S. Messa
Quotidiana Registrata a Cristo Re Martina F. Mese di Luglio 2011 Pubblicata anche su YOUTUBE http://www.youtube.com/user/dalessandrogiacomo Vedi e Ascolta cliccando sul giorno Ve01. Sa02. Do03. Lu04. Ma05. Me06. Gi07. Ve08. Sa09. Do10. Lu11. Ma12. Me13. Gi14. Ve15. Sa16. Do17. Lu18. Ma19. Me20. Gi21. Ve22. Sa23. Do24. Lu25. Ma26. Me27. Gi28. Ve29. Sa30. Do31. Giugno 2011 Me01. Gi02. Ve03. Sa04. Do05. Lu06. Ma07. Me08. Gv09. Ve10. Sa11. Do12. Lu13. Ma14. Me15. Gv16. Ve17. Sa18. Do19. Lu20. Ma21. Me22. Gv23. Ve24. Sa25. Do26. Lu27. Ma28. Me29. Gv30. Maggio 2011 Do01. Lu02. Ma03. Me04. Gv05. Ve06. Sa07. Do08. Lu09. Ma10. Me11. Gv12. Ve13. Sa14. Do15. Lu16. Ma17. Me18. Gv19. Ve20. Sa21. Do22. Lu23. Ma24. Me25. Gv26. Ve27. Sa28. Do29. Lu30. Ma31. Aprile 2011 Ve01. Sa02. Do03. Lu04. Ma05. Me06. Gi07. Ve08. Sa09. Do10. Lu11. Ma12. Me13. Gi14. Ve15. Sa16. Do17. Lu18. Ma19. Me20. Gi21. Ve22. Sa23. Do24. Lu25. Ma26. Do27. Lu28. Ma29. Me30. Marzo 2011 Ma01. Me02. Gv03. Ve04. Sa05. Do06. Lu07. Ma08. Me09. Gv10. Ve11. Sa12. Do13. Lu14. Ma15. Me16. Gv17. Ve18. Sa19. Do20. Lu21. Ma22. Me23. Gv24. Ve25. Sa26. Do27. Lu28. Ma29. Me30. Gi31. Febbraio 2011 .Ma01. .Me02. .Gi03. .Ve04. .Sa05. .Do06. .Lu07. .Ma08. .Me09. .Gi10. .Ve11. .Sa12. .Do13. .Lu14. .Ma15. .Me16. .Gi17. .Ve18. .Sa19. .DO20. .Lu21. .Ma22. .Me23. .Gi24. .Ve25. .Sa26. .Do27. .Lu28. Gennaio 2011 Sa01. Do02. Lu03. Ma04. Me05. Gv06. Ve07. Sa08. Do09. Lu10. Ma11. Me12. Gv13. Ve14. Sa15. Do16. Lu17. Ma18. Me19. Gi20. Ve21. Sa22. Do23. Lu24. Ma25. Me26. Gi27. Ve28. Sa29. Do30. Lu31. Dicembre 2010 Me 01. Gv02. Ve03. Sa04. Do05. Lu06. Ma07. Me08. Gv09. Ve10. Sa11. Do12. Lu13. Ma14. Me15. Gv16. Ve17. Sa18. Do19. Lu20. Ma21. Me22. Gv23. Ve24. Sa25. Do26. Lu27. Ma28. Me29. Gv30. Ve31. Novembre 2010 Lu 01. Ma02. Me03. Gv04. Ve05. Sa06. Do07. Lu08. Ma09. Me10. Gv11. Ve12. Sa13. Do14. Lu15. Ma16. Me17. Gv18. Ve19. Sa20. Do21. Lu22. Ma23. Me24. Gv25. Ve26. Sa27. Do28. Lu29. Ma30. Ottobre 2010 Ve01. Sa02. Do03. Lu04. Ma05. Me06. Gv07. Ve08. Sa09. Do10. Lu11. Ma12. Me13. Gv14. Ve15. Sa16. DO17. Lu18. Ma19. Me20. Gi21. Ve22. Sa23. Do24. Lu25. Ma26. Me27. Gv28. Ve29. Sa30. Do31. Settembre 2010 Me 01. Gi02. Ve03. Sa04. Do05. Lu06. Ma07. Me08. Gv09. Ve10. Sa11. Il Sito Ufficiale della Parrocchia Cristo Re Martina F. è http://www.parrocchie.it/martinafranca/cristore.it Il Canale YOUTUBE di CRISTO RE è http://www.youtube.com/results?search_query=cristoremartina&aq=f Vedi La PASSIONE http://www.youtube.com/watch?v=sjt8rPDLYlY 17 Marzo Festa Nazionale 150° UNITA' d'ITALIA. 2764 Anni dalla FONDAZIONE di ROMA AUGURI ITALIANI - L'INNO di MAMELI APPELLO PER LA RACCOLTA DIFFERENZIATA DEI RIFIUTI VEDI IL VIDEO dell'APPELLO Video Viaggio in Terra Santa clicca qui sopra: Sulle Strade del VANGELO
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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi- dal 2010-06-22 ad oggi 2011-07-25 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)SINDACATO, FIAT, LAVORO, CRISI, GOVERNO COMMENTO A FIAT REFERENDUM: IO STO CON FIOM, SCIOPERO GENERALE Appello su YouTube : 1 a Parte http://www.youtube.com/watch?v=CGaXc8bzXgA2 a Parte http://www.youtube.com/watch?v=_VUg-8Rwyr4 o su questo Sito CRISTO-REAppello su YouTube : FIAT SINDACATO FIOM LAVORO http://www.youtube.com/watch?v=rP4yiOPhCOE2011-01-15 Altissima affluenza: 94,9% Referendum Fiat, vittoria dei "sì" Decisivo il ruolo dei Impiegati Nei primi reparti scrutinati prevalenza dei "no". Poi il sorpasso: alla fine "sì" al 54%. Momenti di tensione MILANO - Via libera all'intesa sul futuro dello stabilimento Fiat di Mirafiori: dopo uno scrutinio durato circa 9 ore, i voti favorevoli hanno prevalso, sia pure di strettissima misura. Queste le cifre ufficiali: al voto, iniziato col turno delle 22.00 di giovedì, hanno partecipato 5.119 lavoratori, oltre il 94,2% degli aventi diritto. E il sì ha vinto con 2.735 voti, pari al 54,05%. |
ST
DG Studio TecnicoDalessandro Giacomo 41° Anniversario - SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE |
A votare no sono stati invece in 2.325 (45,95%), mentre le schede nulle e bianche sono state complessivamente 59. Nei primi seggi scrutinati, nei quattro del montaggio e in uno della lastratura, dove la Fiom, che si oppone all'accordo, è tradizionalmente forte, hanno prevalso i "no". Poi, nelle prime ore del mattino, la situazione si è rovesciata, grazie soprattutto al voto degli impiegati: a decidere, a mettere a segno l'allungo decisivo per il sì, è stato infatti il seggio 5, quello dei 449 impiegati. Lo spoglio è iniziato poco dopo le 21 di venerdì. E' apparso subito che il verdetto finale non avrebbe portato a nessuna delle due opzioni una larga vittoria: si è profilato un testa a testa fin dall'inizio. 2011-01-09 Cgil e Fiom non rompono su Fiat Camusso: "Sostegno allo sciopero" Una riunione fiume sull'accordo separato per Mirafiori. Landini: "Continueremo a discutere". La Camusso garantisce l'impegno Cgil per la riuscita dello sciopero generale indetto dai metalmeccanici. Landini faccia a faccia con Bombassei in tv. "Firma tecnica non esiste". Bonanni: "Se vince il no, ritiro la firma" Contro Marchionne una stella a cinque punte Una scritta con la vernice rossa contro l'amministratore delegato della Fiat. E il lugubre simbolo delle Brigate rosse, una stella a cinque punte. La minaccia è apparsa su un grande manifesto pubblicitario nel centro di Torino, sul cavalcavia di corso Sommellier. Per gli investigatori è solo una "simbologia forte" 2011-01-05 FIAT Referendum sull'accordo Mirafiori si vota il 13 e il 14 gennaio Già venerdì sera si conoscerà il verdetto degli operai sul piano di rilancio per lo stabilimento e sull'accordo firmato da Cisl e Uil con il no della Fiom. I primi ad esprimersi saranno i lavoratori del turno di notte di giovedì. La Fiom ribadisce: "E' il referendum della paura e del ricatto: o voti sì o perdi il lavoro". Le sigle firmatarie chiedono a Chiamparino di fare da garante sul voto Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" Nel giorno dello sdoppiamento del titolo, la Spa chiude a 7,02 euro e l'Industrial a 9. L'ad: "Fuori da Confindustria? Possibile ma non probabile. Ridicolo chiedere i dettagli del piano Italia". Poi l'ultimatum: "Se vincono i no salta Mirafiori". Landini: "Un ricatto, vuole un modello che non c'era neanche nel 1800" 2011-01-04 Sacconi: "L'accordo del 1993 è morto ma i diritti non sono stati svenduti" Il ministro; "Per tutelare i lavoratori c'è la legge, basta ideologie. L'intesa realizzata da Marchionne non è né di destra né di sinistra ma rientra nei doveri di un buon manager". "I nuovi patti sanciscono la fine di un controllo sociale rigido sull'organizzazione del lavoro" di ROBERTO MANIA 2010-12-29 VEDI il CONFRONTO delle PAUSE ORARI AZIENDE AUTOMOBIL. EU Fiat, ore decisive per Pomigliano Su Mirafiori sinistra divisaDopo l'intesa raggiunta su Mirafiori, l'azienda e i sindacati (esclusa la Fiom) si sono ritrovate per discutere del nuovo contratto di lavoro. Di Pietro: "A Mirafiori violata la Costituzione". Vendola: "Bavaglio per chi non si allinea". E il Pd? Fassino: "Fossi un operaio voterei sì" 2010-12-27 MIRAFIORI Più straordinari, pause corte e meno giorni pagati di malattia L'operaio che sciopererà contro il contratto, da lui stesso sottoscritto, sarà licenziato. Possibili turni di 10 ore più una di straordinario. I critici: "Rischi per la salute" di PAOLO GRISERI 2010-12-24 FIAT Berlusconi con Marchionne "Accordo storico e positivo" Il presidente del Consiglio esalta l'intesa su Mirafiori che definisce "innovativa" e che "crea un investimento importante per il Paese". Di Pietro: "Il governo ha fatto da Zerbino al Lingotto. Dal premier un panettone avvelenato agli operai" 2010-12-24 ACCORDO MIRAFIORI Regole zero e massima flessibilità "Si torna agli anni Cinquanta" Una rivoluzione per sindacati e Confindustria. Cade la possibilità per chi non firma i contratti di presentare una lista. "Treu: "Il sistema è in pezzi" di ROBERTO MANIA 2010-12-23 LA TRATTATIVA Mirafiori, c'è l'accordo, la Fiom non firma Marchionne: "Investimenti in tempi brevi" Intesa separata, siglata da Fim, Fismic e Uilm. Cambiano le regole su turni e pause, la nuova azienda investirà un miliardo. A gennaio il referendum. Airaudo (Cgil): "Vergogna" di ROSARIA AMATO e PAOLO GRISERI 2010-12-22 L'AD AI DIRIGENTI Marchionne: con il 51% di sì Fiat farà l'investimento a Mirafiori Saluto di fine anno ai vertici dell'azienda. "Invito la Fiom a firmare". Fim e Uilm: cogliamo l'occasione. "Non si può rinviare all'infinito la decisione, subito il vertice con i sindacati" di SALVATORE TROPEA 2010-12-03 AUTO Fiat, rotte le trattative su Mirafiori L'azienda: "Non ci sono margini d'intesa" La rottura dopo che il Lingotto ha respinto le richieste dei sindacati (Fiom, Fim e Uilm) ed escluso qualsiasi "aggancio" tra i nuovi contratti e quello nazionale dei metalmeccanici. Fiom: "Subito la parola alle assemblee dei lavoratori" 2010-10-26 FIAT Epifani di nuovo all'attacco di Marchionne "In Germania l'avrebbero cacciato" Il segretario della Cgil sull'ad del Lingotto: "I problemi si affrontano ai tavoli non in tv". Marcegaglia: "Il suo è stato un appello a risolvere questioni reali, non sia motivo di divisione politica" Epifani di nuovo all'attacco di Marchionne "In Germania l'avrebbero cacciato" 2010-10-24 FIAT Marchionne: "Senza l'Italia il Lingotto farebbe meglio" L'ad intervistato a "Che tempo che fa": "Nemmeno un euro dei 2 miliardi dell'utile operativo arriva dal nostro paese". Poi smentisce l'impegno in politica: "Io faccio il metalmeccanico, produco auto, camion e trattori". Mano tesa sugli stipendi: "Pronti ad adeguarli a quelli dei paesi vicini" 2010-10-17 LAVORO A settembre oltre 640 in cassa integrazione taglio del reddito di più di 3,5 miliardi I dati dell'Osservatorio Cig della Cgil rivelano un aumento del 34,8% rispetto ad agosto, una crescita minore rispetto agli anni passati perché negli ultimi tre "si è stabilizzato uno zoccolo negativo sempre più alto". Allarme per il sempre crescente ricorso a quella in deroga 2010-10-09 LA MANIFESTAZIONE "In piazza siamo oltre centomila" Cisl e Uil per un fisco più giusto I due sindacati protestano per ottenere riduzioni fiscali per i lavoratori dipendenti e i pensionati. Bonanni: "E' l'Italia della responsabilità" 2010-10-02 Marchionne: "Il clima di violenza? Qualcuno ha aperto i cancelli dello zoo..." Commentando l'intervista a Pietro Ichino pubblicata oggi da Repubblica, l'ad Fiat dice "L'accordo di Pomigliano non viola la Costituzione, si sta solo cercando un punto di convergenza tra noi e alcune persone che non vogliono capire come sta andando il mondo". E ancora: "Noi investiamo 20 miliardi di euro e prendiamo anche gli schiaffi" 2010-09-29 METALMECCANICI Melfi, no al ricorso per gli operai riammessi Accordo su deroghe contratto senza Fiom Il sindacato aveva contestato la decisione dell'azienda di reintegrare i tre licenziati permettendo loro di svolgere attività sindacale, ma non di tornare al lavoro sulle linee produttive. Intesa tra Federmeccanica, Film e Uilm. Epifani: "E' la fine del contratto nazionale" 2010-09-29 METALMECCANICI Melfi, no al ricorso per gli operai riammessi Accordo su deroghe contratto senza Fiom Il sindacato aveva contestato la decisione dell'azienda di reintegrare i tre licenziati permettendo loro di svolgere attività sindacale, ma non di tornare al lavoro sulle linee produttive. Intesa tra Federmeccanica, Film e Uilm. Epifani: "E' la fine del contratto nazionale" 2010-09-27 Salari: Cgil, potere d'acquisto sceso di quasi 5.500 Euro in 10 anniIl dato emerge dal V rapporto Ires-Cgil 2000-2010. Il segretario generale Epifani: "Serve un intervento immediato per diminuire la pressione fiscale sul reddito da lavoro dipendente" 2010-09-24 Marcegaglia smentisce Berlusconi "Noi non stiamo meglio degli altri" La presidente degli industriali ricorda che anche adesso "abbiamo una capacità di crescita inferiore alla media europea". "La politica si concentri sull'occupazione, non sul numero dei deputati". Il monito di Napolitano: "Per superare la crisi investire in istruzione, ricerca e innovazione" 2010-09-20 LAVORO Fincantieri, proteste da Genova a Palermo Sacconi: "Convoco parti, basta agitatori" Scioperi e mobilitazioni in tutta Italia, i sindacati chiedono l'intervento del governo. A Castellammare gli operai sono saliti su una gru. A Riva Trigoso occupata per alcune ore la direzione aziendale. Domani assemblea a Roma con sindacati e rappresentanti degli enti locali 2010-09-19 Fincantieri, l'appello di Bagnasco "Non chiudete i cantieri" "Genova non deve perdere nessuno dei suoi luoghi di lavoro e di impresa". L'arcivescovo di Genova e presidente Cei ha però "fiducia che il peggio presto sarà scongiurato". La riorganizzazione ipotizza 2.450 esuberi. "La Chiesa genovese è sempre vicina alle vicende del mondo del lavoro". Sindacati e istituzioni sul piede di guerra di NADIA CAMPINI 2010-09-17 CORPORATION Fiat vara la scissione in due società Elkann: "Un'assemblea storica" A Torino è stato delibera il nuovo assetto con la divisione fra l'auto e le attività industriali. La prima volta del nuovo presidente. L'ad: "Inizia un nuovo capitolo, per i lavoratori un porto più sicuro" TORINO - L'assemblea degli azionisti di Fiat ha approvato a larga maggioranza la scissione tra Fiat Auto e Fiat Industrial. "L'Auto da oggi avrà finalmente la possibilità di scegliere il suo destino, senza preoccuparsi dell'impatto sull'Iveco e su CNH". - ha sottolineato l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne. "I tempi sono cambiati - ha aggiunto - e l'Auto deve avere totale libertà di scegliere. E' un grandissimo giorno per l'Auto libera di scegliere". 2010-09-10 ha parlato a Gubbio: Sacconi: "Assalto a Bonanni? La ragazza andava arrestata" Il ministro del Lavoro: "Vedo espliciti segnali di tipo violento per condizionare percorso democratico" GUBBIO (PERUGIA) - Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi si dice "sorpreso" per il mancato provvedimento restrittivo nei confronti della ragazza identificata come autrice dell'aggressione al leader della Cisl Raffaele Bonanni nel corso della festa del Pd a Torino. "C'è un dolo comunque eventuale se non specifico", sottolinea il ministro parlando a margine della Scuola del Pdl di Gubbio. "Mi preoccupa che ci possa essere una sorta di violenza autorizzata quando è politica. Non posso non pensare alla sentenza perdonista nei confronti dell'aggressore di Berlusconi. I reati contro la persona - prosegue Sacconi - non possono avere inferiore dignità rispetto ai reati contro il patrimonio. In ogni caso occorre attenzione in un Paese nel quale abbiamo vissuto una stagione di terrorismo ideologico che ha praticato anche l'omicidio". 2010-07-10 Elkann: vogliamo fare la nostra parte. Sacconi: decisione significativa per tutti C’è l’accordo, la Panda va a Pomigliano Vertice Fiat con Cisl e Uil, poi l’annuncio: il nostro piano andrà avanti Telecom, programmati 3.700 tagli entro i prossimi 11 mesi. In tutto si arriverà a 6.822 unità da lunedì via al piano esuberi Sacconi: "Difficile il dialogo sociale" A breve le lettere con i licenziamenti. I sindacati: "Comportamento vergognoso". Preoccupato il ministro 2010-06-23 FIAT Pomigliano, il plebiscito non c'è stato Fiat: "Lavoreremo con i sindacati firmatari" I favorevoli sono la maggioranza (63%), ma i numeri non sono quelli auspicati. "Impossibile trovare un'intesa con chi ci ostacola con argomentazioni pretestuose". Bonanni minaccia: niente scherzi e reagiremo con forza. Fiom pronta a trattare. Marcegaglia: "C'è un sindacato che non capisce" 2010-06-18 sullo stallo in corso sull'accordo per L'IMPIANTO NEL NAPOLETANOFiat, l'allarme di Marchionne: "Senza accordo non esisterà più industria" "A Termini Imerese hanno scioperato per la nazionale". La denuncia Fiom: "Fiaccolata sabato sera a Pomigliano. L'azienda vuole replicare la marcia dei 40mila" 2010-06-15 NAPOLI - Accordo separato sullo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco e referendum martedì 22. Fim, Uilm, Fismic e Ugl hanno firmato il nuovo documento, integrato, presentato dal Lingotto. La Fiom ha confermato il suo no.La Fiat ha sottoposto ai sindacati dei metalmeccanici un nuovo documento in cui viene aggiunto il sedicesimo punto relativo alla istituzione di una commissione paritetica di raffreddamento sulle sanzioni, come era stato richiesto dalle organizzazioni che venerdì scorso avevano già dato un primo ok. |
Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..
Il Mio Pensiero
(Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):Martina f. 2011-01-17
Io sto con FIOM - SCIOPERO per la DEMOCRAZIA, RAPPRESENTANZA SINDACALE in FABBRICA al 45,42% del NO, ALLEANZA con STUDENTI, GIOVANI PRECARI, x L'INNOVAZIONE, con la GIUSTIZIA, contro la IMMORALITA', X l'UNITA e la COSTITUZIONE
Premessa:
L'altro giorno ho ascoltato il colloquio telefonico fra il Finto Vendola e l'Amministratore Delegato Marchionna, ed ho notato nella tonalità di voce del A.D. una tonalità di grande rispetto e giusto timore per i risultati del Referendum Fiat e per le prospettive che avrebbe potuto aprire.
Al Dott. Marchionne va tutto il mio rispetto per la Sua Posizione, ma mi trovo in grande dissenso per la Linea che porta avanti.
Questa e la tabella dei risultati, suddivisi per reparto/impiegati-operai, relativi al Referendum svoltosi il 14 nello Stabilimento Fiat Mirafiori.
REFERENDUM FIAT MIRAFIORI 2011-01-14 VOTI ESPRESSI |
|||||||||
Seggio |
NO |
% NO |
SI |
% SI |
Bianche Nulle |
% Nulle B |
ALTRI |
Totale |
|
Montaggio Carrozzerie |
9 |
362 |
54,11 |
300 |
44,84 |
7 |
669 |
||
Reparto Montaggio |
8 |
407 |
52,52 |
361 |
46,58 |
7 |
775 |
||
Reparto Montaggio |
7 |
374 |
51,73 |
349 |
48,27 |
723 |
|||
Reparto Montaggio |
6 |
433 |
53,79 |
372 |
46,21 |
805 |
|||
Reparto Impiegati |
5 |
20 |
4,54 |
421 |
95,46 |
441 |
|||
Reparto Vernic+Magazz |
4 |
103 |
47,69 |
113 |
52,31 |
216 |
|||
Reparto Verniciatura |
3 |
93 |
39,91 |
140 |
60,09 |
233 |
|||
Reparto Turno Notte |
3 |
111 |
29,76 |
262 |
70,24 |
373 |
|||
Reparto Lastratura |
2 |
218 |
51,90 |
202 |
48,10 |
420 |
|||
Reparto |
1 |
204 |
48,69 |
215 |
51,31 |
419 |
|||
Totale Operai |
2305 |
49,90 |
2314 |
50,10 |
4619 |
||||
Totale Impiegati |
20 |
4,54 |
421 |
95,46 |
441 |
||||
TOTALE |
2325 |
45,42 |
2735 |
53,43 |
59 |
1,15 |
5119 |
||
Votanti |
45,95 |
54,05 |
5060 |
||||||
Elettori |
5431 |
Il SI all'accordo ha vinto con il 53,43% , il NO ha avuto il 45,2% , gli atenuti e le schede nulle sono state del 1,15% .
Se si estrapola la posizione degli impiegati, che hanno votato al 95,46% per il SI , ed al 4,54% per il NO ,
si ottiene che gli Operai che hanno votato SI sono il 50,1% , per il NO il 49,9%, ovvero una differenza di solo 9 Voti.
Se si tiene conto che una buon numero di Operai ha dichiarato di votare SI per paura di perdere il posto di lavoro, si comprende che il Voto non è stato libero.
Alla luce del fatto che il 45,52 % dei Votanti si è schierato per il NO si può immaginare che, al di la di accettare o rifiutare l'accordo, non è Democraticamente pensabile che questa parte di operai non possa avere Rappresentanti Sindacali Aziendali, è del tutto Incostituzionale.
In tutte le elezioni democratiche, Politiche o amministrative di qualsiasi parte del mondo, i rappresentanti vengono eletti in proporzione al numero di voti ottenuti, e vanno a costituire schieramenti di maggioranza ed opposizione.
Pure incostituzionale è Costituire una Nuova Società, senza liquidare la Vecchia, con tutti i risvolti economici e legali relativi preesistenti accordi, né è pensabile che nel trasferimento dei Lavoratori dalla vecchia alla nuova società si possano azzerare i diritti acquisiti senza l'Accordo del 99% dei Lavoratori e dei relativi Rappresentanti Sindacali dell'Azienda precedentemente in essere.
Quindi quella che è dichiarata essere una Vittoria, nei fatti è una "Vittoria di Pirro" ovvero vittoria di una Battaglia, ma non della Guerra che rischia di esplodere, perché non è pensabile governare la trasformazione dei rapporti economici sindacali dei Lavoratori senza il parere dei Dissenzienti, ovvero quelli del del NO all'accordo.
E quando esploderà la Guerra, con lo Scipero Generale proclamato dalla FIOM per il 28 Gennaio, i Lavoratori scenderanno in Campo in tutta Italia, senza il Ricatto della FIAT, ma con l'appoggio oltre che del Mondo del Lavoro, anche dei Pensionati, e soprattutto dei Giovani, Studenti e Lavoratori Precari, quelli condannati ad essere Eternamente a Assunti a Tempo Determinato dalla legislazione adottata dall'attuale Governo.
Oltre questa che è la logica risposta ad un modo unilaterale di risolvere i reali problemi, ci sono una grande serie di altri problemi che si contrappongono alla scelta contrattuale adottata dalla FIAT e da coloro che hanno preferito accettare l'accordo :
Ipotesi Turnazione Pause da Ottimizzare con Lavoratori (Rev. 1) |
|||||||||||||
Prime della MENSA |
Mensa |
Dopo la MENSA |
|||||||||||
Pause |
Lavoro |
Pausa |
Lavoro |
Pausa |
Lavoro |
Lavoro |
Pausa |
Lavoro |
m/giorno |
h /giorno |
Pause |
Mensa |
|
1° Turno |
90 |
10 |
80 |
10 |
80 |
30 |
90 |
10 |
80 |
480 |
8,00 |
50 |
10 |
2° Turno |
95 |
10 |
80 |
10 |
80 |
30 |
90 |
10 |
75 |
480 |
8,00 |
50 |
10 |
3° Turno |
100 |
10 |
80 |
10 |
80 |
30 |
90 |
10 |
70 |
480 |
8,00 |
50 |
10 |
4° Turno |
105 |
10 |
80 |
10 |
80 |
30 |
90 |
10 |
65 |
480 |
8,00 |
50 |
10 |
Prima della MENSA |
Dopo la MENSA |
||||||||||||
m |
h |
m |
h |
||||||||||
1° Turno |
270 |
4,5 |
180 |
3,0 |
|||||||||
2° Turno |
275 |
4,6 |
175 |
2,9 |
|||||||||
3° Turno |
280 |
4,7 |
170 |
2,8 |
|||||||||
4° Turno |
285 |
4,8 |
165 |
2,8 |
Io sto con la FIOM e chiedo :
Gli Studenti, alleandosi ai Lavoratori, potranno rivendicare una reale riduzione dei tempi di ingresso nel Mondo del Lavoro, in virtù dell'adozione del
Tempo Pieno, al quale dovrà collaborare il mondo del lavoro al top professionale, garantendo Moduli Didattici realmente Formanti in
tempo reale con la dinamica di sviluppo tecnologico delle Imprese, consentendo di conseguenza ai Giovani l'inserimento già professionalmente valido a
19 anni per i diplomati, senza ulteriore formazione, a 22 anni per i Laureati del 1° Livello, a 24 del 2° Livello ( in quest'ultimo caso eliminando
anche ripetizione di cicli di insegnamento oggi doppioni del 1° ciclo, sostituendoli con cicli integrativi specialistici ).
Con questa innovazione che porta al completamento formativo Teorico attuale, si potrà conseguire crediti formativi sia per l'accesso all'università che al
2° Livello Universitario, in Base a quanto risultante da una Formazione Continua Altamente e Realmente Formativa .
L'intero Sistema Paese si avvantaggerà in maniera esponenziale dei Benefici reali dovuti all'Ingresso nel mondo del Lavoro dei Giovani, sia delle Loro
Immense Energie Giovanili e conseguenti aumenti produttivi, sia con la riduzione dei costi e delle spese di una Formazione Attuale inesistente e
costosa, sia con la riduzione di costi sociali negativi ( disoccupazione, droga, delinquenza, ecc.)
Programmando i tempi di assunzione a tempo determinato solo per 1 max 2 anni non ripetibili
Di offrire la Loro Esperienza Ultratrentennale, insieme a quella di personale in Cassa Integrazione, per trasferire il loro Know-How ai giovani, evitando che il Paese si depauperi della loro esperienza, ma che si arricchisca potenziata dall'energia dei Giovani
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
2011-01-10
Buon Giorno,
L'argomento di oggi è connesso in maniera molto stretta fra
CRISI, LAVORO, FIAT, SINDACATO,Innanzi tutto è mio dovere dire no alle Brigate Rosse, nessuno può permettersi di esprospriare la Voce della Democrazia al Movivento dei Lavoratori, in virtù di iniziative terroristiche settarie del tutto antidemocratiche !
L'Uomo Amministratore Delegato MARCHIONNE ha tutta la Stima ed Appoggio Morale del Movimento dei Lavoratori e dell'Intero Paese Italia, Giovani, Lavoratori, Pensionati, Imprenditori, Forze Politiche Democratiche, Istituzioni, …
CRISI E PROSPETTIVE
Da quando è iniziata in maniera Planetaria la Crisi Economica si sta attuando una generale politica di Scaricare i Costi, all'insegna della Globalizzazione, sulle spalle del Mondo del Lavoro, Lavoratori ed Imprese Serie, sulle spalle di coloro che non hanno creato la Crisi, bensì ne hanno subito le conseguenze.
Fra l'altro questra Crisi è Figlia unicamente della Speculazione Finanziaria, che ha lucrato massicciamente sui risparmiatori onesti, con il supporto di moltissime Banche che non hanno difeso i propri risparmiatori ed investitori, malconsigliandoli sui Bond Argentini, Derivati, e spazzatura simile.
In questa bolgia è stata coinvolta anche la Parmalat, che fino agli inizi degli anni '90 era ancora una grandissima Azienda Italiana Leader Mondiale, a tal punto, che anche dopo il Crack economico subito, la Parmalat è ancora oggi una Signora società Italiana, che sta ancora lavorando, Leader nel Mondo.
Di questo bisogna dare atto a Callisto Tanzi che è stato un grandissimo Imprenditore, che purtoppo ha invece fatto grandi sbagli a livello finanziario, è stato coinvolto da cattivi consiglieri in speculazioni sbalgiate sperando di salvare la Parmalat, non aiutato da una politica che è stata completamente assente, che invece avrebbe dovuto aiutare la Parmalat a risuscitare ed aiutare i propri risparmiatori.
Questo è il punto importante, la Politica che Governa il Paese deve capire che non può stare alla finestra a guardare, ma deve operare per difendere le Grandi Aziende, oltre le piccole, percè le grandi sono importantissime per indirizzare verso uno sviluppo corretto il Sistema Economico del Paese, per poi distribuire alle piccole aziende subappalti e lavori che altrimenti resterebbero al di fuori dell'Economia Italiana.
Purtroppo oggi sta avvenendo che la Politica di Governo non attua scelte a favore delle Imprese, e neanche del lavoro, ma è sbilanciata verso il sestema Bancario e Finanziario.
Ci sono stati momenti in cui il Governo poteva emettere BOT a costi ridottissim, intorno a 1%i, che se seguiti da una politica di re-investimenti immediati avrebbero prodotto molti più frutti riducendo il disavanzo Deficit-PIL.
Invece da quando è iniziata la Crisi, che è stata sottovalutata per mesi, non c'è stato alcun programma di Sviluppo Economico per rilanciare l'economia, ma solo una corsa ad ostacoli di difesa teorica della Parità di Bilancio che, pur giusta, andava sviluppata in contemporanea con una Politica di Rilancio, mentre da sola si è viceversa dimostrata disastrosa, in quanto in assenza di sviluppo e di conseguenti entrate, il Deficit DEBITO PIL è enormemente salito passando da 1.598.975 Mld ( 103,50%) del 2007 a 1867,4 Mld ( > 118,4 % stima FMI ) dell'ottobre 2010
Dal sito Internet di WIKIPEDIA 2011-01-10
Andamento del debito negli ultimi anni confrontato con il PIL (in milioni di €)
Anno |
Debito |
PIL |
% sul PIL |
2005 |
1.512.779 |
1.429.479 |
105,83% |
2006 |
1.582.009 |
1.485.377 |
106,51% |
2007 |
1.598.975 |
1.544.903 |
103,50% |
2008 |
1.663.353 |
1.571.870 |
105,82% |
2009 |
1.761.191 |
1.528.546 |
115,80% |
2010 |
1.838.000 |
Il dato 2010 è superato in 1867,4 Mld ( > 118,4 % stima FMI ) nell'ottobre 2010
In questo modo non è possibile andare avanti, o il Governo inverte radilcamente la rotta di 180° , il problema non è Berlusconi, bensì la sua Politica miope e del suo stratega Tremonti, che aveva paventato il rigetto dei BOT da parte degli investitori, mentre vioceversa come si è dimostrato erano l'unico investimento sicuro, oppure si faccia un nuovo Governo di Salvezza Nazionale con una Politica di Sviluppo, o si vada a nuove elezioni subito.
La politica fatta dall'inizio della Crisi è stata :
FIAT, ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO
Orbene, nessuno dice che il Capitale FIAT non debba fare le sue scelte produttive, è sacrosanto !
Anzi fossi io rivendicherei il diritto a far funzionare gli impianti 24 ore al giorno per 7 gg la settimana, sempre nel rispetto però delle 40 ore settimanali, per ottimizzarne l'utilizzo ed ammortizzare meglio i costi, compatibilmente con le esigenze manutentive.
Lo stesso io sistema io lo propongo nella Sanità pubblica, per ridurre del 80% il tempo di attesa per le visite specialistiche, rese con macchine altamente costose, fra l'altro così facendo ridurrei i costi del 70 %.
Lo stesso dicasi sulla monetizzazione della mezza ora per il pranzo, non può essere un costo da addebitare alla FIAT ( nessun contratto Nazionale di Lavoro in Italia lo prevede, la pausa mensa è a carico dei lavoratori, invecè e sacrosanto il diritto alla Mensa ) e va scorporato dai costi, salvo con non si recuperi il tempo con un sabato al mese per 11 mesi, ed un 2° sabato per 4,6 mesi , per per ciascun turno.
PROPOSTA RECUPERO LAVORATIVO PAUSA MENSA |
||||||||
Giorni |
||||||||
gg |
||||||||
Giorni Anno |
365 |
|||||||
Domeniche |
52 |
|||||||
Sabati |
52 |
Giornate |
||||||
Ferie |
20 |
Mensa |
da |
Recupero |
||||
Festività |
7 |
30'/g |
m/Anno |
h/A |
h/g |
Recuperare |
1°Sabato |
2°Sabato |
Giorni Lavorativi |
234 |
30 |
7020 |
117 |
7,5 |
15,6 |
12 |
3,6 |
Turni di Lavoro |
3 |
3 |
||||||
Lavor. 3 Turni |
702 |
46,8 |
Il recupero delle 117 ore medie annue è dare alla FIAT una giusta risposta alle eventuali esigenze FIAT sugli straordinari richiesti da esigenze produttive.
Oppure si può rinunciare al recupero, però la FIAT ha il diritto di far funzionare gli impianti, in presenza di programmazione generale o esigenze di straordinario, con altri lavoratori assunti a tempo parziale per 3 gg. La settimana. In pratica ( 7,5 x 3 ) 22,5 ore di lavoro.
In questo modo si fa comunque salvo il concetto delle 40 ore lavorative, il rispetto della mensa.
Però la FIAT non può esimersi dal rispettare i vecchi contratti, né pensare di cambiare società come si cambia un trucco del viso, non può rifare ex-novo le assunzioni, dimenticarsi di quanto hanno fatto i lavoratori Fiat per un secolo intero, per cui la con-Proprietà Morale, ma soprattutto del Know-How Professionale della Fabbrica è anche del Mondo del Lavoro FIAT, oltre che degli ITALIANI che spessissimo hanno contribuito a risanare l'Azienda con incentivi economici notevolissimi sugli investimenti ( tali da far balenare l'idea della salvaguardia della destinazione d'uso degli investimenti per 30 anni per la produzione in ITALIA ), e le agevolazioni economiche sulle immatricolazioni, oltre che consentendo anche di assorbire altre realtà del Settore, famose come l'Alfa Romeo, Lancia a costi irrisori..
Queste sono risposte che io darei alla FIAT, in alternativa alle sue richieste, se non accondiscende a concordare le modalità degòli investimenti con l'organizzazione del lavoro, perchè bisogna fare concertazione, come si iniziò a fare nel 1973, con la rivoluzione contrattuale con la quale si contrattarono gli inquadramenti professionali.
In questa lotta i Metalmeccanici della FIOM non vanno isolati, ma insieme il movimento sindacale, i giovanio, i lavoratori, i pensionati, devono rispondere a questa svolta unilaterale voluta dalla FIAT, ed in questo chiediamo alla Famiglia Agnelli come è schierata.
Se poi la FIAT insiste, allora è bene chiarire alcuni aspetti fondamentali di Democrazia, di Lavoro, Esperienza, ecc.
La FIAT è una Signora Società dal 11 Luglio del 1899, è un grandissimo Leader Mondiale, ha avuto grandissimi proprietari, azionisti, dirigenti, ed è stata artefice di sviluppo economico dell'Italia e di molti altri paesi nel mondo, nessuno lo nega.
Però l'Esperienza non è solo della FIAT intesa come Capitale, ma anche dei suoi Dirigenti, Quadri, Operai, con un Back-Ground tramandato ultracentenario:
Se la FIAT dimentica di essere ITALIANA, gli ITALIANI possono Rinunciare al nome al FIAT, possono Cambiare il Nome, conservando intatto il Mondo del LAVORO ex FIAT, riconvertirlo in FABBRICA ITALIA… e fare senza quel nome Glorioso.
Forse ciò non è fattibile con questa parvenza di effimero Governo, ma senz'altro di un GOVERNO che il PAESE si MERITA' , uno diverso, assolutamente non federalista, ma di UNITA' NAZIONALE !
Viva l'ITALIA che ha 2764 anni di STORIA ( 753 + 2011), di Italiani che sono stato Faro di CIVILTA'
Viva il Nostro Mondo del Lavoro, le Imprese ed Imprenditori, gli Artigiani, le Istituzioni,
Si vada avanti con il Faro della Giustizia Sociale, della Pace, dello Sviluppo, della Democrazia, di questa nostra Gloriosa Costituzione.
Si utilizzi pienamente tutta la Ricchezza dell'Esperienza ultratrenntennale del Mondo del lavoro, non la si lasci perdere,
ma la si trasferisca ai Giovani e li si faccia crescere molto più velocemente, come è nelle loro possibilità capacità, volontà,
perché possano liberare tutte le loro immense energie
per far fare un'enorme balzo in avanti alla
ITALIA del FUTURO, già da OGGI, . senza aspettare DOMANI .
Martina Franca 2011-01-10
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
PAESE |
PIL 2009 |
PIL 2010 |
Usa |
-2,80% |
0,00% |
Canada |
-2,50% |
1,20% |
Mondo |
-1,30% |
1,90% |
Eurolandia |
-4,20% |
-0,40% |
- Grecia |
-0,20% |
-0,60% |
- Slovenia |
-2,70% |
1,40 |
- Austria |
-3,00% |
0,20% |
- Francia |
-3,00% |
0,40% |
- Spagna |
-3,00% |
-0,70% |
- Belgio |
-3,80% |
0,30% |
Regno Unito |
-4,10% |
-0,40% |
- Portogallo |
-4,10% |
-0,50% |
- Italia |
-4,40% |
-0,40% |
- Lussemburgo |
-4,80% |
-0,20% |
- Olanda |
-4,80% |
-0,70% |
- Germania |
-5,60% |
-0,10% |
- Finlandia |
-5,20% |
-1,20% |
- Irlanda |
-8,00% |
-3,00% |
Fonte: Fmi, World Economic Outlook, aprile 2009 |
2010-09-17
Possibile che in Italia non si capisce ancora che per avere un maggior respiro bisogna tornare ad avere grandi gruppi industriali come la Germania, Francia, Inghilterra?
Non basta la piccola industria a risolvere i problemi della crisi e soprattutto ad indirizzare l'Economia e lo Sviluppo del Paese.
Ora anche chi era grande, la FIAT, si ridimensiona, scindendosi in due, come se così facendo si risolvono i problemi:
Avere una grande società è importante per essere leader a livello mondiale, oltre che italiano, diversamente si rischia di perdere.
In tutto questo non si può ignorare il ruolo basilare dei lavoratori, operai, impiegati, tecnici, quadri, manager, ricercatori, che tanto più arricchiscono la FIAT quanto più restano uniti e non si disperde il Know-How di chi ha costruito la FIAT in oltre 1 secolo, ed in particolare negli ultimi 40-50 anni, ma trasferiscono le loro capacità alle leve giovanili, perché la professionalità non si inventa, ma si costruisce, maturando.
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
ORA BASTA !
L a FIAT non è Marchionna, la FIAT è la Storia dell'ITALIA, i LAVORATORI, i SINDACATI, l'INTERO PAESE ITALIA, la FIAT è stata anche ALFA ROMEO, AUTOBIANCHI, LANCIA (comprate dallo stato a costo nullo), la FIAT è stata grandissimi finanziamenti gratuiti dello Stato a sostegno degli investimenti, incentivi per la produzione, sovvenzioni a favore della rottamazione, commesse per pilotate anche in settori diversi dell'automobile, nell'energia, nelle infrastrutture, energia, ecc..
Se Marchionne ed altri non l'hanno capito, allora sarà l'ITALIA a rispondere con grnde UNITA:
Sia chiaro a tutti, compresi ai politici Corrotti e coloro che non corrispondono con comportamenti reali alle aspettative dei loro elettori!
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
REPUBBLICA
per l'articolo completo vai al sito Internet
http://www.repubblica.it/2011-01-14
Diretta
Referendum Mirafiori, lo scrutinio
E' in corso lo spoglio delle schede del referendum a Mirafiori. Altissima la partecipazione: ha votato il 94,6% degli aventi diritto. I no prevalgono alla catena di montaggio, ma la scelta degli impiegati ribalta il risultato
(Aggiornato alle 06:11 del 15 gennaio 2011)
06:11
Seggio 1, spoglio sospeso per un malore 35 –
Alle ultime battute dello spoglio del referendum, nel seggio 1, quando la vittoria del sì è diventata matematica, lo scrutinio è stato sospeso per l'esultanza dei sostenitori del sì. Nei momenti di tensione seguiti, un sindacalista della Fiom si è sentito male ed è stato necessario chiamare un'ambulanza.
06:09
La vittoria del sì è matematica 34 –
Il sì al referendum sull'accordo per lo stabilimento di Mirafiori della Fiat ha vinto. Con l'inizio dello spoglio dell'ultimo seggio il vantaggio del sì è diventato irrecuperabile. Nel complesso hanno votato, secondo gli ultimi conteggi, 5.139 persone, il 94,6% degli aventi diritto.
05:58
Manca un seggio, ma il sì ha già vinto 33 –
Quando manca un solo seggio alla conclusione dello spoglio e 442 schede da scrutinare il sì all'accordo è avanti con il 54,3% (2.525 voti) sul no che ha 2.120 (45,7%). A questo punto la vittoria del sì è certa.
05:52
Lastratura, al seggio 2 vincono i no 32 –
Scrutinato il seggio numero 2: tra gli operai della lastratura prevale il no all'accordo con 218 voti (51,9%) contro i 202 voti del sì (48,1%).
05:25
Otto seggi su 10: il sì sale al 55% 31 –
Otto seggi scrutinati su 10 e il bilancio è il seguente: i voti favorevoli all'accordo sono il 55% (2.322) mentre i contrari sono il 45% a quota 1.902. Mancano ancora i seggi 1 e 2 della lastratura e circa 800 voti, ma si profila una vittoria del sì.
05:21
Anche al seggio 3 vincono i sì 30 –
Si è concluso anche lo scrutinio del seggio 3, del reparto verniciatura: i sì sono 140 (60,1%), i no 93 (39,9%). Cinque le schede bianche o nulle.
04:55
Sette seggi: sì 54,7%, no 45,3% 29 –
Con sette seggi scrutinati e circa l'80% dei voti espressi, i sì all'accordo di Mirafiori raggiungono quota 2.182 (54,7%) mentre i no sono 1.810 (il 45,3%).
04:53
Alla verniciatura prevale il sì 28 –
Nel seggio numero 4 (verniciatura e magazzinaggio) hanno votato sì all'accordo sul rilancio dell'impianto 113 lavoratori (52,3%), mentre hanno detto no all'intesa 103 lavoratori (47,7%). Lo rilevano fonti sindacali.
04:51
La Fim denuncia: ci bruciano le bandiere 27 –
La Fim, uno dei sindacati firmatari dell'accordo, ha denunciato che davanti alla porta 2 dello stabilimento persone non identificate hanno dato fuoco alle bandiere Fim-Cisl
04:29
Dopo sei seggi, il sì sale al 54,8% 26 –
Con i risultati dello scrutinio del turno di notte e dopo 6 seggi scrutinati il consenso all'accordo sul piano Marchionne per Mirafiori sale al 54,8% (2.069 voti) contro il 45,2% del no (1.707 voti).
04:24
Seggio 2, i sì oltre il 70% 25 –
Nel sesto seggio scrutinato, quello in cui hanno gli operai del turno di notte, il sì ha avuto 262 voti (70,2%) contro i 111 del no (29,8%).
04:21
I sì superano il 54% 24 –
A scrutinio in corso dei voti del seggio del turno di notte si rafforza il vantaggio dei sì che superano quota 2mila voti arrivando al 54,8%.
03:54
La commissione ricalcolerà il numero dei votanti 23 –
La commissione elettorale del referendum, al termine delle operazioni di scrutinio, ricalcolerà il numero dei votanti. La verifica si rende necessaria per il giallo del seggio numero 8 e del numero di schede vidimate in eccesso rispetto al numero effettivo dei votanti, già scesi a 765 rispetto agli 836 iniziali. La revisione provvisoria ha già fatto abbassare il dato dell'affluenza a 94,89%.
03:52
Il sì al 53% dopo cinque scrutini 22 –
Nei primi cinque seggi scrutinati, i sì all'accordo del 23 dicembre risultano in vantaggio con il 53,1% dei voti. Lo riferiscono fonti sindacali spiegando che i voti favorevoli, dopo lo scrutinio del seggio degli impiegati, sono 1.807 mentre i no sono 1.596 (al 46,9%.).
03:32
Al seggio 5 il trionfo del sì 21 –
Il voto definitivo del seggio numero 5 ha visto prevalere nettamente i favorevoli all'accordo. Tra gli impiegati i sì sono stati 421, i no 20.
03:00
Gli impiegati ribaltano il risultato: sì al 51,4% 20 –
Poco dopo la metà dello scrutinio del seggio numero 5, quello degli impiegati di Mirafiori, il sì passa in vantaggio sul no, con il 51,4% del totale delle schede esaminate (1.686 contro 1.591). Al momento lo spoglio del seggio conta 300 sì e 15 no, su un totale di 449 voti espressi.
02:50
Metà voti scrutinati: il sì fermo al 46,8% 19 –
Dopo lo scrutinio dei 4 seggi principali e di oltre la metà dei voti, al referendum sull'accordo dello stabilimento Fiat di Mirafiori i no sono il 53,2% (1.576) e i sì sono il 46,8% (1.386).
02:48
Seggio numero 6, prevalgono i no 18 –
Anche nel seggio numero 6 di Mirafiori (sempre nel reparto montaggio in cui sono molto forti Fiom e Cobas, contrari all'accordo) ha prevalso il no. Hanno votato sì all'accordo 372 lavoratori mentre 433 hanno detto no.
02:28
Errore sulle schede, cambia il dato sull' affluenza 17 –
L'errore di conteggio che aveva dato origine al giallo delle 58 schede scomparse ha portato la commissione elettorale a rifare i conti dell'affluenza: hanno votato 5.154 lavoratori e non 5.213 come inizialmente comunicato. Di conseguenza, il dato sull'affluenza cambia ed è del 94,89% e non del 96,07% calcolato in precedenza.
01:44
No avanti anche al seggio numero 6 16 –
A metà spoglio del seggio numero 6, al referendum sull'accordo per lo stabilimenti Fiat di Mirafiori, i no sono 273 a fronte di 215 sì. Il seggio (montaggio) con 819 votanti è l'ultimo di quelli 'grandi' da scrutinare. Lo riferiscono fonti sindacali.
01:40
Seggio n. 8, risolto il giallo delle schede 15 –
Risolto il giallo delle 58 schede che mancavano all'appello durante lo scrutinio del secondo seggio (il numero 8 al montaggio): la Commissione elettorale ha accertato che erano state vidimate più schede rispetto al numero dei votanti del seggio. In realtà il totale dei voti non era 836 ma 775. Il risultato finale, dunque, viene convalidato con 361 sì e 407 no, mentre le 7 schede effettivamente mancanti sarebbero finite nel seggio numero 6.
01:18
Dopo i primi tre scrutini, il no è al 52,43% 14 –
Dopo lo scrutinio dei primi tre seggi allo stabilimento di Mirafiori e 2.180 schede esaminate il no all'accordo è in vantaggio con il 52,43% e 1.143 voti contro il 47,57% dei sì (1.011 voti). Le schede bianche o nulle sono 26 (1,19%).
01:08
Il no vince anche nel terzo seggio 13 –
Concluso lo scrutinio del terzo seggio, il numero 7 del reparto montaggio; i no sono stati 374, i sì 349. I voti erano in totale 732.
01:02
Possibile che siano decisivi gli impiegati 12 –
Il referendum potrebbe essere deciso dal voto degli impiegati. Secondo le previsioni di alcuni operai, i no vincerebbero in tutti i seggi del montaggio (9, 8, 7 e 6), mentre alla verniciatura (seggi 3 e 4) sarebbero in maggioranza i sì e alla lastratura (seggi 1 e 2) i voti sono più o meno equivalenti. A questo punto potrebbe risultare determinante il voto del seggio 5 e dei 441 impiegati che le fonti di fabbrica ritengono essere in grandissima maggioranza a favore del sì.
00:56
Le schede sparite sono in altre urne? 11 –
Secondo fonti sindascali, la possibile spiegazione del giallo delle 58 schede "scomparse" nel seggio 8 potrebbe consistere nel fatto che 4 grandi seggi (il numero 8 'congelato', il 7, il 6 e il 5) sono allestiti in un'unica grande sala e quindi i votanti potrebbero aver inserito la propria scheda non nel seggio di appartenenza, ma in un altro
00:17
Riparte lo spoglio, ma rischio invalidazione 10 –
La Commissione elettorale si divide: una parte procede al riesame delle schede del seggio numero 8 e all'esame degli elenchi elettorali per risolvere il giallo delle 58 schede mancanti. Il resto va avanti con lo scrutinio del seggio 7 (sempre nel reparto montaggio). Se non si dovesse chiarire il mistero delle schede mancanti, il voto complessivo sull'accordo di Mirafiori rischia di essere invalidato.
00:06
Seggio 8: scrutinio "congelato" 9 –
La commissione che sta scrutinando i voti del referendum ha momentaneamente "congelato" il risultato dello scrutinio al seggio 8 (montaggio). Secondo fonti interne alla commissione, mancherebbero all'appello 58 schede che sarebbero finite in un'altra urna. Lo scrutinio va avanti con gli altri seggi. L'ottavo seggio ha 836 votanti.
23:56
La Uilm: mancano schede all'appello 8 –
Giallo sullo scrutinio del secondo seggio: secondo fonti Uilm, i no sarebbero 406, i sì 361, 11 le schede bianche o nulle, ma mancherebbero all'appello 58 schede. E' probabile che si vada al "congelamento" dello scrutinio del seggio
23:44
Secondo seggio, finale: vince il no 7 –
Il no all'accordo separato del 23 dicembre ha vinto anche nel secondo seggio (reparto montaggio). Secondo fonti sindacali i no sono stati 447 e i sì 362.
23:25
Secondo seggio, sì e no si equivalgono 6 –
A metà dello scrutinio delle schede del secondo seggio (il numero 8, montaggio) c'è un sostanziale testa a testa tra i sì e i no all'accordo. Secondo foni sindacali, su circa 400 schede scrutinate (su 836) sì e no si equivalgono.
23:10
No in vantaggio anche nel secondo seggio 5 –
Anche nel secondo seggio, che si trova sempre nel reparto montaggio, sono in vantaggio i no all'accordo. Tra le prime 265 schede scrutinate su 836, i no sono 135 e i sì 130. Secondo fonti sindacali anche in questo settore la maggioranza degli operai è iscritta a Fiom e Cobas.
22:35
Escono gli operai: "Il clima è disteso" 4 –
Escono gli operai del turno pomeridiano, pochi si fermano davanti ai microfoni, i più si dirigono verso gli autobus che li riporteranno a casa. "Il clima in fabbrica è tranquillo e disteso - dice uno degli operai più anziani - e il voto si è svolto con lunghe code, ma in tranquillità".
22:24
Primo seggio: prevale il no con il 54% 3 –
Sono 362 i "no" e 300 i "sì" i risultati definitivi del primo seggio scrutinato, al montaggio delle carrozzerie: 54,6% no, 45,4% sì. I voti in totale erano 669. Sette schede non erano valide
22:17
Al montaggio in testa i no 2 –
Su più di 500 schede scrutinate al reparto montaggio delle carrozzerie di Mirafiori, circa il 10% del totale dei votanti, il no è avanti con 270 voti contro i 234 raccolti dal sì. Un risultato comunque atteso in un reparto in cui sono tradizionalmente forti la Fiom e i Cobas
22:07
Primi risultati: testa a testa 1 –
Su 209 schede, che fanno parte del primo seggio che ne conta in tutto 669, si contano al momento 107 "no" e 102 "sì". Sono questi i primi risultati che emergono dallo scrutinio delle schede del referendum su Mirafiori, secondo quanto riferiscono fonti sindacali
(14 gennaio 2011)
Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-06-22 ad oggi 2011-07-25 |
AVVENIRE per l'articolo completo vai al sito internet http://www.avvenire.it2011-07-22 22 lugio 2011 Treni, bus e metro fermi: un venerdì nero Sarà un venerdì nero per i trasporti, con inevitabili disagi in tutte le città, a causa dello sciopero di treni, autobus, metropolitane e tram, indetto dai sindacati "a sostegno della vertenza per il nuovo contratto della mobilità, che interessa oltre 200 mila addetti", da tre anni in attesa di rinnovo. "In 112 giorni dallo scorso sciopero - sottolineano i sindacati - nulla è cambiato negli atteggiamenti e nei comportamenti dei datori di lavoro". Da ieri sera alle 21 e' iniziato lo stop di 24 ore delle ferrovie, e oggi scatta anche lo sciopero del trasporto pubblico locale, a partire dalle prime ore del mattino. Per quanto riguarda i pendolari, Fs informa che durante lo sciopero circolerà circa il 67% dei 540 treni a lunga percorrenza previsti e, nell'ambito del trasporto regionale, saranno effettuati i servizi essenziali nelle fasce a maggiore mobilità pendolare (dalle 6 alle 9 e dalle 18 alle 21 del 22 luglio). Saranno assicurati poi tutti i treni a media e lunga percorrenza elencati nella tabella A dei convogli previsti in caso di sciopero, consultabile sull'orario ufficiale: limitazioni e cancellazioni saranno possibili però anche dopo la fine dello sciopero, durante il quale sarà comunque assicurato il collegamento tra Roma e l'aeroporto di Fiumicino, con il Leonardo Express o con pullman sostitutivi. E' attivo il numero verde 800 892021 per fornire assistenza. Ecco invece le modalità di sciopero del trasporto pubblico locale delle principali città: Roma dalle 8,30 alle 17,30 e dalle 20 a fine servizio; Milano dalle 8,45 alle 15 e dalle 18 al termine del servizio; Napoli dalle 8,30 alle 17 e dalle 20 a fine servizio; Torino dalle 9 alle 12 e dalle 15 a fine servizio; Venezia-Mestre dalle 9 alle 16,30 e dalle 19,30 a fine servizio; Genova dalle 9,30 alle 17 e dalle 21 a fine servizio; Bari 8,30-12,30 e dalle 15,30 a fine servizio; Palermo dalle 8,30 alle 17,30; Cagliari dalle 9,30 alle 12,45, dalle 14,45 alle 18,30 e dalle 20 alla fine del servizio.
2011-07-04 Stangata su banche e titoli Interni stampa quest'articolo segnala ad un amico feed 4 luglio 2011 LE MISURE DEL GOVERNO Manovra, stretta sulle pensioni Stangata su banche e titoli Il testo definitivo del decreto Manovra è stato trasmesso al Quirinale intorno alle 12.30. Il provvedimento è composto da 39 articoli e due allegati: il primo articolo riguarda gli stipendi dei politici e l'ultimo il riordino dei giudici tributari. Confermate tutte le misure anticipate nei giorni scorsi, nonostante le polemiche nella maggioranza. Nel testo torna il taglio del 30% di "tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni" presenti in bolletta relativi alle energie rinnovabili. "Allo scopo di ridurre il costo finale dell'energia per i consumatori e le imprese - dice l'articolo 35 - a decorrere dal primo gennaio 2012 tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni, comunque gravanti sulle componenti tariffarie relative alle forniture di energia elettrica e gas naturale, previste da norme di legge o da regolamenti sono ridotti del 30 per cento rispetto a quelli applicabili alla data del 31 dicembre 2010". L'entità degli incentivi, dei benefici e delle agevolazioni sarà rideterminata dal ministero dello Sviluppo su proposta dell'Autorità per l'energia entro 90 giorni. La manovra toglie risorse alla politica: previsto un ulteriore taglio del 10% al finanziamento dei partiti "cumulando così una riduzione complessiva del 30%". Ridimensionati anche gli "aerei blu", previsti solo per le prime cinque cariche dello Stato. Confermato per il biennio 2012-2013 il blocco della rivalutazione delle pensioni "dei trattamenti pensionistici superiore a cinque volte il trattamento minimo di pensione Inps. Per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il predetto trattamento minimo Inps l'indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato nella misura del 45%". Confermato al 2014 l'avvio della misura che aggancia l'età pensionabile alla speranza di vita. La norma precedente faceva cominciare questo processo dal 2015. A partire dal 2011 torna il superbollo: "per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro 10 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 225 chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato". Stangata Irap per banche e assicurazioni. Per gli istituti di credito e per le altre società finanziarie l'Irap sale al 4,65% mentre per le assicurazioni passa al 5,90%. Salasso anche per i depositi di titoli: il bollo che si applica alle comunicazioni relative al deposito di titoli può salire infatti fino a 380 euro se ha un ammontare complessivo a cinquantamila euro ed è gestito da una banca. L'importo varierà infatti in base al valore del "conto": dai 120 euro annuali per le comunicazioni di intermediari finanziari ai 150 per i conti inferiori ai 50 mila euro relativi a comunicazioni di depositi titoli presso banche, fino ai 380 euro annuali se si supera questa soglia. Fa discutere l'inserimento di una norma che potrebbe sospendere l'esecutività del mega risarcimento di 750 milioni di euro a carico della Fininvest e a favore della Cir di Carlo De Benedetti, se fosse confermato in appello dai giudici di Milano il verdetto di primo grado sul Lodo Mondadori. Si tratta di una modifica a due articoli del codice di procedura civile che obbliga il giudice, a differenza di quanto accadeva sinora, a sospendere l'esecutività della condanna nel caso di risarcimenti superiori ai 20 milioni di euro (10 in primo grado) dietro il pagamento di "idonea cauzione", in attesa che si pronunci in via definitiva la Cassazione. LA PUNTUALIZZAZIONE DEL COLLE In mattinata la stessa presidenza della Repubblica aveva precisato di non aver ancora ricevuto il testo, prendendo le distanze dai mezzi di informazione che l'hanno descritta come già al vaglio del capo dello Stato. "Poiché molti organi di informazione continuano a ripetere che la manovra finanziaria approvata dal governo nella seduta di giovedì scorso sarebbe al vaglio della presidenza della Repubblica già da venerdì, si precisa che a tutt'oggi la Presidenza del Consiglio non ha ancora trasmesso al Quirinale il testo del decreto legge". La puntualizzazione, per quanto affidata ad un comunicato asettico, è apparsa irrituale e ha dato lo spunto alle opposizioni per un nuovo attacco all'esecutivo. Secondo il Pd, per bocca del senatore Francesco Ferrante, "la nota del Quirinale conferma il fatto che sulla manovra il governo alle prese con un work in progress".
2011-07-02 2 luglio 2011 CONTI PUBBLICI Pensioni, stop alle rivalutazioni Insorgono opposizione e sindacati Una "norma socialmente ingiusta", una "patrimoniale sui poveri". Sindacati e opposizioni dicono no alle taglio delle rivalutazioni delle pensioni, provvedimento che colpisce cinque milioni di cittadini, compresi quelli che percepiscono le rendite più basse e i molti casi unica fonte di reddito regolare nelle famiglie. Alla stretta sulle pensioni, denuncia il Pd, si aggiungerà il peso di una serie di misure che ricadranno sugli anziani. Secondo Stefano Fassina, responsabile per il Pd di Economia e lavoro, "si colpiscono le pensioni da 1.400 euro cioè 1.000 euro netti" ma questa "è sola una delle norme. Poi c'è il ticket che pesa soprattutto sui pensionati visto che più di altri ricorrono al servizio sanitario nazionale. E ancora, l'aumento da 34 a 120 euro del bollo sui titoli a partire dai 1.000 euro investiti; anche qui parliamo di piccoli risparmiatori spesso anziani". Da ultimo "c'è il colpo pesantissimo e insostenibile a Comuni, Province e Regioni, con 10 miliardi di tagli che vanno ad aggiungersi ai 13 miliardi dello scorso anno. Tutti gli amministratori, anche quelli leghisti, hanno già annunciato che dovranno tagliare i servizi sociali e assistenziali". "La manovra Berlusconi-Tremonti candida chi dirige le amministrazioni territoriali, presidenti di regione, di province e sindaci a diventare esclusivamente dei curatori fallimentari" ha affermato il presidente di Sinistra Ecologia Libertà Nichi Vendola. "La manovra era partita con gli effetti speciali degli annunci, che riguardano sempre il futuro, mai il presente, degli tagli alla casta e alla politica. E poi quando uno osserva il contenuto vero capisce - guardando ad esempio l'incredibile vicenda del blocco delle pensioni - che si tratta della patrimoniale sui ceti medio bassi del nostro Paese. È la patrimoniale sui poveri. Nient'altro". "Lo stop alle rivalutazioni delle pensioni è una patrimoniale ai danni di 13 milioni di pensionati -commenta Felice Belisario, dell'Idv -. È un vero e proprio insulto colpire da un lato 13 milioni di pensionati, molti dei quali già stentano ad arrivare a fine mese e, dall'altro, pesare con il misurino del farmacista, dilatandoli nel tempo, i tagli dei costi della politica". Anche Italia Futura, la fondazione di Luca Cordero di Montezemolo, ha bocciato la manovra e ha sollecitato l'opposizione a una sfida sulle riforme. "La manovra è quella che è", si legge in un post sul sito della fondazione firmato da Carlo Calenda, "il minimo sindacale, con alcune ridicole prese in giro sui costi della politica (dove si annunciano misure puramente simboliche) e una buona quantità di assegni post-datati: provvedimenti che avranno effetto solo dalla prossima legislatura e che rappresenteranno un alibi formidabile per chiunque governerà il paese dopo il 2013. Abbiamo forti dubbi che, nel medio periodo, questo risulterà sufficiente". "Ma per il momento e considerando la situazione della maggioranza, non era realistico aspettarsi qualcosa di più o di meglio". Il governo ed il Parlamento "devono correggere il provvedimento che blocca la rivalutazione delle pensioni". È questa richiesta del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni sul tema delle pensioni. Bonanni, che a caldo si era riservato un esame più approfondito delle misure della manovra, spiega: "La norma della manovra economica che riduce la rivalutazione delle pensioni per la fascia da tre a cinque volte il trattamento minimo, tenendo conto dell'inflazione, rende ancora più vulnerabili quei pensionati che negli ultimi quindici anni hanno già visto ridursi il potere di acquisto delle loro pensioni. Non solo ci aspettiamo subito un chiarimento dal Governo, ma il Parlamento, nel percorso di approvazione della manovra stessa, potrà correggere questa palese iniquità, individuando nella riduzione dei livelli amministrativi, negli sprechi e nei costi impropri della politica, la copertura necessaria per dare soluzione ad un provvedimento ingiusto e socialmente non sostenibile". "Una misura inaccettabile, inserita in una manovra che ancora una volta colpisce i soliti noti, che non affronta i temi della crescita e che picchia duro sui lavoratori e sui pensionati". Così il segretario confederale della Cgil, Vera Lamonica, commenta la norma contenuta nella manovra che blocca la rivalutazione delle pensioni, annunciando che il sindacato "si opporrà con forza anche con la mobilitazione". LA PRECISAZIONE DELL'INPS Non c'è uno stop alla rivalutazione delle pensioni ma una revisione per fasce, per cui tutte le pensioni sono oggetto di rivalutazione, anche se in misura progressivamente inversa rispetto all'entità della pensione. È quanto puntualizza l'Inps, ricordando anche che la rivalutazione automatica delle pensioni è stata variamente modulata negli anni. Nel 1995 addirittura il governo Dini realizzò il blocco generalizzato per tutte le pensioni, anche per le più basse. Il Governo Prodi bloccò interamente la rivalutazione delle pensioni oltre cinque volte il minimo.
2 luglio 2011 EMERGENZA A NAPOLI Rifiuti, primo ok dalle Regioni: 20 mila tonnellate in Liguria Primo via libera per il trasferimento dei rifiuti campani. A dare l'ok è stata la regione Liguria. Ora "si attende il nulla osta da altre 7 Regioni". Lo ha annunciato il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, riferendo che "un primo nulla osta per il trasferimento di circa 20 mila tonnellate di rifiuti campani al di fuori della regione è giunto stamattina dalla Liguria". "Da altre 7 regioni - sottolinea Prestigiacomo - si attende un analogo nulla osta per avviare i trasferimenti in altri 16 impianti fuori dalla Campania, in base alle intese che sono state già raggiunte a livello di enti locali preposti allo smaltimento dei rifiuti". "Cominciano quindi ad arrivare - osserva Prestigiacomo - le prime risposte positive del lavoro avviato dalla Campania e dal ministero dell'Ambiente subito dopo l'emanazione del decreto governativo, che non rappresenta, da solo, come si è sempre detto, la soluzione per il problema, ma consente di superare la criticità attuale". Il nodo da sciogliere, secondo la responsabile dell'Ambiente, resta l'attivazione di un corretto ciclo dei rifiuti "per il quale esistono risorse adeguate e sono stati conferiti poteri commissariali appropriati per velocizzare le procedure e per la individuazione delle discariche da attivare nella more dell'avvio degli impianti".
1 luglio 2011 EMERGENZA RIFIUTI Sepe: Napoli umiliata Napolitano al governo: il decreto non basta Il decreto approvato ieri dal Consiglio dei ministri per risolvere l'emergenza rifiuti napoletana non ha soddisfatto il presidente della Repubblica. Napolitano ha emanato il provvedimento, ma ha chiesto al governo di fare di più. "Nel rilevare i limiti del provvedimento - si legge in una nota del Quirinale - che nel testo approvato ieri dal Consiglio dei ministri non appare rispondente alle attese e tantomeno risolutivo, il Capo dello Stato auspica che il Governo adotti ogni ulteriore intervento necessario per assicurare l'effettivo superamento di una emergenza di rilevanza nazionale attraverso una piena responsabilizzazione di tutte le istituzioni insieme con le autorità locali della Campania" Intanto sono stati avviati i primi contatti con le altre Regioni per portare i rifiuti fuori dalla Campania. Il giorno dopo l'approvazione del decreto rifiuti da parte del Consiglio dei ministri, che prevede accordi diretti tra Campania e singole Regioni per il trasferimento in altri territori, l'Assessorato all'Ambiente della Regione ha sentito Comuni, Province e chi gestisce gli impianti e avviato i primi contatti con le altre Regioni. Tra le prime Puglia, Emilia Romagna, Marche, Calabria, Toscana e Friuli Venezia Giulia mentre si continua a lavorare così da allargare il fronte delle Regioni disposte ad accogliere i rifiuti campani.
SEPE: GRANDE AMAREZZA I rifiuti nelle strade a Napoli "sono la tragica eloquenza di una situazione intollerabile non solo da oggi, ma dal momento stesso in cui si è originata" afferma l'arcivescovo della città, cardinale Crescenzio Sepe secondo il quale, però, ora "la vera emergenza è un'altra, è quella di salvare non solo il buon nome della città, ma la città stessa: la salute, il decoro, la dignità della sua gente e, primi fra tutti, dei più deboli che, come sempre, sono i più esposti davanti a ogni ricorrente difficoltà". Insomma, "si faccia presto". In una riflessione di oggi, Sepe spiega: "Quella che da troppo tempo viene definita emergenza è, in realtà, il segno di una sconfitta senza fine che riguarda tutti, ma che oggi rischia di abbattersi come un colpo mortale su una Napoli già duramente provata su altri versanti". In ogni caso, dice il cardinale, "anche nei momenti più gravi e nelle situazioni più difficili, come quella che stiamo vivendo, esistono tempi diversi rispetto alle varie fasi dell'impegno richiesto a ciascuno. Come Pastore della Chiesa di Napoli, avverto il dovere di sottolineare che questo è il momento della responsabilità comune, del serrare le fila e mettere da parte ogni forma di polemiche, tra le tante che - anche legittimamente - la dolorosa e assurda vicenda rifiuti può originare". Non si tratta, quindi, "di spargere veli pietosi sul passato, nè di chiudere gli occhi di fronte alle responsabilità maturate, sia a livello politico che amministrativo, senza neppure escludere alcune manifestazioni di scarsa cura per il bene comune messe in atto a livello individuale; per non parlare, infine, della micidiale morsa con la quale la criminalità organizzata tenta di stringere ai suoi criminali interessi anche questa ennesima crisi della città. Ma verrà il momento delle analisi e della ricerca delle colpe certe". "Se la Chiesa di Napoli avverte ora la necessità di riprendere ancora una volta la parola, lo fa unicamente per segnalare una tale urgenza: si faccia presto".
2 luglio 2011 I CONTI DEL PAESE Fisco, il "fattore famiglia" non c’è La manovra e la delega sulla riforma fiscale appena varate dal governo riservano una sgradita sorpresa ai contribuenti italiani e alle loro famiglie: dopo tante promesse, il testo della delega - per quanto generico - non conterrebbe alcun riferimento a un futuro trattamento di favore ai nuclei più numerosi, né a nuovi bonus per i figli, dei quali pure si era parlato. C’è solo un impegno, altrettanto generico, a concentrare "sulla natalità" i regimi fiscali più favorevoli che ci saranno dopo la revisione del sistema. La manovra ripropone anche il tema del conflitto generazionale: se da una parte infatti gli imprenditori, quelli giovani sotto i 35 anni, 'incassano' il forfettone fiscale (appena il 5% per 5 anni) per avviare nuove attività, i pensionati - e non solo quelli con assegni 'd’oro' (si parte infatti da quota 18.300 euro) - si vedranno stoppata la rivalutazione. Unica attenuazione al conflitto arriva dal fatto che il forfettone varrà anche per i 'quasi anziani' che hanno perso il lavoro o sono in cassa integrazione. Sono le luci e le ombre della ma- novra da 47 miliardi (ma la cifra potrebbe essere destinata a cambiare) che, oltre a trovare nuove risorse per avvicinarci al pareggio di bilancio a fine 2014, è ricca anche di norme 'ordinamentali' che potrebbero però cadere durante il cammino parlamentare: l’opposizione già sottolinea che non hanno alcun carattere d’urgenza, come imporrebbe il decreto. Spulciando il giorno dopo il testo (peraltro ancora non ufficiale, in attesa della firma del Quirinale), si trovano novità e conferme. Fra le prime, c’è la rivalutazione limitata al 45% per gli assegni di pensione che superano il trattamento minimo di tre volte. Quindi, spiega lo stesso governo nella manovra, con una pensione di circa 2.300 euro lordi al mese (30.500 l’anno per 13 mensilità) non si avrà più la rivalutazione; ma anche con una pensione di 1.400 euro (pari a 18.300 l’anno) la rivalutazione si dimezza. Sulla riforma fiscale, intanto, riparte il lavoro dei tavoli tecnici. Il primo a riunirsi, la prossima settimana, tra i 4 istituiti dal ministro Tremonti, sarà quello sulla giungla degli sconti, guidato da Vieri Ceriani. Dovrà infatti arrivare proprio dallo sfoltimento delle agevolazioni, visto che di fatto l’aumento del-l’Iva è stato accantonato nell’immediato, il grosso delle risorse con cui finanziare la riduzione a 3 delle aliquote Irpef. Assieme sempre ai risultati della lotta all’evasione. Con tre sole aliquote arriveranno "grossi vantaggi economici solo per il 4% circa dei contribuenti", calcola il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi. Anche se nel disegno di legge delega non sono ancora indicati i nuovi scaglioni di reddito, la simulazione realizzata dalla Cgia si basa sulle ipotesi circolate nei giorni scorsi. Vale a dire: il 20% da 0 a 15mila euro; da 15.001 a 55mila, il 30%; oltre 55mila, aliquota al 40%. Ivan Malavasi, neo-presidente di Rete Imprese Italia, chiede che la riforma "sia realizzata in modo tale da non penalizzare i consumi". Le notizie riguardanti un possibile aumento, sia pure graduale e futuro, dell’Iva lo preoccupano "perché vanno nella direzione opposta". Sulle rendite al 20% arriva invece il plauso di Corrado Passera, consigliere delegato di Intesa SanPaolo: "È un allineamento a quello che succede in tutta Europa". Eugenio Fatigante
2011-06-24 24 giugno 2011 RELAZIONI INDUSTRIALI Contratti, verso l'intesa: martedì la firma "Abbiamo fatto una buona discussione, utile, che ha permesso di ragionare sulla possibilità di un accordo, sulla misurazione della rappresentanza e l'efficacia della contrattazione". Lo ha detto il leader della Cgil, Susanna Camusso, al termine del tavolo con Confindustria, Cisl e Uil. Sindacati e Confindustria puntano a chiudere un accordo unitario sui contratti nel prossimo incontro previsto per martedì pomeriggio. Lo ha indicato la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, spiegando che "c'é la volontà di tutti" per farlo. Si firmerà martedì? "Si firmerà martedì se sarà possibile", dice la leader degli industriali. Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, esprime un "giudizio positivo su come procede la discussione" con Confindustria, Cgil e Uil, al tavolo sulla rappresentanza e la contrattazione. "Non ci sono pregiudiziali. Con queste premesse si potrà arrivare e molto rapidamente ad un accordo tra di noi. È positivo ritrovare tra Cgil, Cisl e Uil la sintonia, insieme a Confindustria. È davvero un buon auspicio. Sono convinto che si arrivi ad un accordo", dice Bonanni al termine dell'incontro. È stato "un confronto molto utile. La discussione sta procedendo sui binari giusti": così il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, parla del tavolo tra le parti sociali sulla rappresentanza e la contrattazione. La firma di un accordo interconfederale unitario, che potrebbe arrivare martedì quando è convocata una nuova riunione, sarebbe, dice Angeletti, "un segnale inequivocabile".
2011-06-16 16 giugno 2011 SOCIETA' E PALAZZO Brunetta liquida i precari. È bufera Nuova bufera sulle parole del ministro per la Pubblica amministrazione e l’Innovazione Renato Brunetta. Stavolta la scintilla non scocca per i "fannulloni" o i "poliziotti panzoni", ma per un "siete l’Italia peggiore" rivolto a dei precari al termine di un convegno martedì a Roma. A polemica divampata ieri – e alimentata dalla diffusione di un video che riprende la scena – il ministro, messo alle strette, precisa di non aver voluto prendersela con tutti i precari, ma solo con quelli che lo avrebbero aggredito verbalmente. Da quanto si vede nel filmato, però, la contestazione non parte prima delle dure parole di Brunetta, bensì dopo. L’economista evidentemente annusa l’aria e gioca d’anticipo. Dapprima – pur pressato da un impegno al Quirinale – accetta la richiesta di una domanda da parte di una donna e la fa accomodare sul palco. Ma appena questa si qualifica come appartenente alla "rete dei precari" della Pubblica amministrazione, perde l’aplomb e si smarca senza quasi farle aprire bocca. Smozzica un "arrivederci, buongiorno" di circostanza. Poi, prima di infilare il corridoio si lascia andare alla pesante considerazione. A questo punto, lungo il tragitto verso l’esterno, viene apostrofato con l’insulto di "buffone" e gli viene rinfacciato un "è questa la vostra innovazione?". Gli viene pure sventolato davanti uno striscione con su scritto "Si scrive innovazione, si legge precarietà", che di certo non spunta dal nulla. Battibecchi anche fuori, prima che l’esponente del governo si infili in macchina e parta, con un uomo che più volte gli chiede "perché non vuole ascoltare?" e si para davanti al veicolo fino a che non viene tirato via. Vista la mala parata, il ministro interviene con un videomessaggio. Parla di "azione premeditata con cura a fini mediatici". E sostiene che il "duro giudizio" – confermato – "non era certo sui precari tout court" bensì solo rivolto a chi lo contestava, dopo il diniego a vedere sollevato un tema che avrebbe richiesto una lunga discussione. Infine, un attacco a chi irrompe ai convegni per suscitare clamore e poi farlo girare in rete, mandando i filmati ai media amici e usando internet come un "manganello". E in effetti – oltre alla levata di scudi di politici come Pier Luigi Bersani e Leoluca Orlando (citati da Brunetta come coloro i quali "si nascondono compiacenti" dietro i contestatori) – è la rete che fa da megafono alla vicenda. Sulla pagina Facebook del ministro, a commento della precisazione, a una settantina di "mi piace" in poco tempo si contrappongono migliaia di contestazioni, con la richiesta di dimettersi, ma anche abbondanti insulti. Persone in carne e ossa del comitato "Il nostro tempo è adesso" faranno sentire, invece, le loro ragioni oggi alle 18 davanti al ministero della Funzione Pubblica. Mentre la tv democrat Youdem userà il video per un spot sulla conferenza sul lavoro di Genova di domani e sabato. Dal governo si fa sentire solo il ministro della Gioventù Giorgia Meloni che si dice soddisfatta per la precisazione. Perché, sottolinea, "i precari non sono affatto l’Italia peggiore". Ma quella "che paga di più la crisi economica". Opposizioni, come detto, scatenate. Tra i primi a insorgere, il segretario del Pd, che parla di "espressioni estreme" dovute a "profonda incomprensione" dei cambiamenti sociali. La presidente del partito Rosy Bindi, imputa il tutto alla "sberla" elettorale non smaltita. Pier Ferdinando Casini (Udc) ricorda la distinzione di Attilio Piccioni tra politici "energumeni e calmi, più adatti a governare" e si domanda a quale categoria appartenga Brunetta. Duri i toni del sindacato. Non solo la Cgil-Funzione Pubblica che parla di "atto volgare che offende tutti i lavoratori". Anche l’Ugl, sigla vicina al centrodestra, ricorda come l’Italia sia peggiorata proprio per l’estensione della precarietà. Infine, il sindacato dei giornalisti Fnsi chiede che venga approvata in Parlamento una proposta sull’equo compenso del lavoro giornalistico. Gianni Santamaria
16 giugno 2011 SOCIETA' E PALAZZO Brunetta liquida i precari. È bufera Nuova bufera sulle parole del ministro per la Pubblica amministrazione e l’Innovazione Renato Brunetta. Stavolta la scintilla non scocca per i "fannulloni" o i "poliziotti panzoni", ma per un "siete l’Italia peggiore" rivolto a dei precari al termine di un convegno martedì a Roma. A polemica divampata ieri – e alimentata dalla diffusione di un video che riprende la scena – il ministro, messo alle strette, precisa di non aver voluto prendersela con tutti i precari, ma solo con quelli che lo avrebbero aggredito verbalmente. Da quanto si vede nel filmato, però, la contestazione non parte prima delle dure parole di Brunetta, bensì dopo. L’economista evidentemente annusa l’aria e gioca d’anticipo. Dapprima – pur pressato da un impegno al Quirinale – accetta la richiesta di una domanda da parte di una donna e la fa accomodare sul palco. Ma appena questa si qualifica come appartenente alla "rete dei precari" della Pubblica amministrazione, perde l’aplomb e si smarca senza quasi farle aprire bocca. Smozzica un "arrivederci, buongiorno" di circostanza. Poi, prima di infilare il corridoio si lascia andare alla pesante considerazione. A questo punto, lungo il tragitto verso l’esterno, viene apostrofato con l’insulto di "buffone" e gli viene rinfacciato un "è questa la vostra innovazione?". Gli viene pure sventolato davanti uno striscione con su scritto "Si scrive innovazione, si legge precarietà", che di certo non spunta dal nulla. Battibecchi anche fuori, prima che l’esponente del governo si infili in macchina e parta, con un uomo che più volte gli chiede "perché non vuole ascoltare?" e si para davanti al veicolo fino a che non viene tirato via. Vista la mala parata, il ministro interviene con un videomessaggio. Parla di "azione premeditata con cura a fini mediatici". E sostiene che il "duro giudizio" – confermato – "non era certo sui precari tout court" bensì solo rivolto a chi lo contestava, dopo il diniego a vedere sollevato un tema che avrebbe richiesto una lunga discussione. Infine, un attacco a chi irrompe ai convegni per suscitare clamore e poi farlo girare in rete, mandando i filmati ai media amici e usando internet come un "manganello". E in effetti – oltre alla levata di scudi di politici come Pier Luigi Bersani e Leoluca Orlando (citati da Brunetta come coloro i quali "si nascondono compiacenti" dietro i contestatori) – è la rete che fa da megafono alla vicenda. Sulla pagina Facebook del ministro, a commento della precisazione, a una settantina di "mi piace" in poco tempo si contrappongono migliaia di contestazioni, con la richiesta di dimettersi, ma anche abbondanti insulti. Persone in carne e ossa del comitato "Il nostro tempo è adesso" faranno sentire, invece, le loro ragioni oggi alle 18 davanti al ministero della Funzione Pubblica. Mentre la tv democrat Youdem userà il video per un spot sulla conferenza sul lavoro di Genova di domani e sabato. Dal governo si fa sentire solo il ministro della Gioventù Giorgia Meloni che si dice soddisfatta per la precisazione. Perché, sottolinea, "i precari non sono affatto l’Italia peggiore". Ma quella "che paga di più la crisi economica". Opposizioni, come detto, scatenate. Tra i primi a insorgere, il segretario del Pd, che parla di "espressioni estreme" dovute a "profonda incomprensione" dei cambiamenti sociali. La presidente del partito Rosy Bindi, imputa il tutto alla "sberla" elettorale non smaltita. Pier Ferdinando Casini (Udc) ricorda la distinzione di Attilio Piccioni tra politici "energumeni e calmi, più adatti a governare" e si domanda a quale categoria appartenga Brunetta. Duri i toni del sindacato. Non solo la Cgil-Funzione Pubblica che parla di "atto volgare che offende tutti i lavoratori". Anche l’Ugl, sigla vicina al centrodestra, ricorda come l’Italia sia peggiorata proprio per l’estensione della precarietà. Infine, il sindacato dei giornalisti Fnsi chiede che venga approvata in Parlamento una proposta sull’equo compenso del lavoro giornalistico. Gianni Santamaria
2011-05-06 6 maggio 2011 PROTESTA Oggi sciopero della Cgil Disagi nei servizi Basta con le bugie del governo su economia e crescita, appello a Cisl e Uil per ritrovare l'unità sindacale partendo dal fisco, e a Confindustria perché cambi pagina su lavoro e diritti. Sono i messaggi principali lanciati dal palco di Piazza Dante a Napoli da Susanna Camusso, leader della Cgil, in occasione dello sciopero generale di quattro ore indetto oggi, in solitudine, dall'organizzazione sindacale contro "politiche depressive del governo e l'attacco ai diritti". Il blocco di scuole e trasporti in tutta Italia ha registrato finora, secondo le stime fornite dalla Cgil, una adesione intorno al 58% su un campione pesato statisticamente di 870 aziende. Anche la partecipazione alle manifestazioni, 100 in tutta Italia è "molto alta". Secondo il ministero della Funzione pubblica l'adesione dei lavoratori pubblici è stata di poco superiore al 13%. Il ministro Renato Brunetta parla di "fallimento di un'iniziativa di cui non si capiscono gli obiettivi e della quale i cittadini non sentivano certo l'esigenza. Quella di oggi è stata solo la fiacca celebrazione dell'ennesimo sciopero "allunga week-end"". Per la Fiom, che scioperava per otto ore, l'adesione è stata buona con percentuali superiori al 70% in molti stabilimenti. Opposta la rilevazione di Federmeccanica secondo la quale la partecipazione dei meccanici è stata pari appena al 16%. PAESE DEVE OCCUPARSI DEL PIANO INDUSTRIALE DELLA FIAT "Continuiamo a lanciare il messaggio che non può esserci un Paese che non si occupa del piano industriale del più grande gruppo e di quali conseguenze ne derivano". Lo ha affermato Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil, a Napoli per il corteo organizzato dal sindacato. "Né tantomeno può esserci un governo - ha sottolineato - che tiene le aziende in amministrazione controllata e che non è in grado di garantire a se stesso la coerenza con gli accordi che sono stati fatti". In relazione al referendum nello stabilimento ex Bertone di Grugliasco, in provincia di Torino, la Camusso ha ricordato che "la Cgil continua a sostenere la posizione delle rsu". "La loro scelta - ha spiegato - è di responsabilità, e a questa deve corrispondere una scelta della Fiat di aprire una discussione sulle condizioni di lavoro in quello stabilimento". NAPOLITANO HA RAGIONE,UNITÀ È NECESSARIA "Napolitano ha ragione, l'unità è necessaria", ha continuato la segretaria generale della Cgil. "Così - ha sostenuto, in relazione all'appello del capo dello Stato all'unità dei sindacati - i lavoratori sono più forti, ma l'unità deve esserci sulle cose che si chiedono". SENZA GIOVANI IL PAESE NON HA FUTURO "Senza ridare ai giovani una età adulta questo Paese non ha davanti alcuna prospettiva per il futuro", ha ribadito Susanna Camusso. "Ci sono cose che possono essere fatte e che al ministro dell'Economia interesserebbero perché non hanno costi - ha puntualizzato - come per esempio ridurre le tipologie di lavoro e dare certezza a quelle che restano". "Si può cambiare la modalità con cui viene erogata l'indennità di disoccupazione - ha aggiunto - così da garantire una continuità nel reddito dei lavoratori". "E ancora si può immaginare che ci sia una relazione tra l'investimento in preparazione che fanno i giovani - ha concluso - e il lavoro che possono trovare". SPOSTARE PESO SU RENDITE E GRANDI PATRIMONI "Subito una riforma fiscale che sposti il peso su rendite e grandi patrimoni". È una delle richieste al governo che arrivano dalla segretaria generale della Cgil. Le risorse così recuperate "vanno investite per creare lavoro e condizioni di crescita". Nel suo primo sciopero da segretario generale, la Camusso afferma che vive questa giornata "con la stessa responsabilità di tutti i dirigenti della Cgil. È una grande giornata di lotta - ha sottolineato - continuiamo a farlo per ottenere dei risultati". "Sono due anni che la Cgil ha una idea diversa di quale deve essere il progetto per questo Paese - ha concluso - Ma sappiamo bene che per come è messa la politica oggi non c'é alcuno sguardo né attenzione per il Paese". APPELLO A CONFINDUSTRIA, VOLTARE PAGINA Il segretario generale della Cgil, dal palco allestito in piazza Dante al termine del corteo che ha attraversato la città di Napoli ha rivolto un appello a Confindustria. "Chiediamo che dall'assise di Bergamo che si terrà domani - ha detto - decidano di voltare pagina e ripartire da più diritti nel lavoro". "Da due anni - ha affermato - la Confindustria fa una politica sbagliata, dividendo il sindacato, facendo accordi separati e deroghe ai diritti dei lavoratori". "Questa politica - ha concluso - non ha dato alcun risultato". TORINO, MOMENTI TENSIONE STUDENTI-POLIZIA Durante il corteo degli studenti a Torino ci sono stati momenti di forte tensione con la polizia che per due volte ha dovuto caricare i manifestanti che stavano cercando di forzare l'ingresso della sede di Equitalia, la società per la riscossione dei tributi. Al momento non risultano esserci feriti o fermati. Un gruppetto di giovani ha cercato di forzare il portone, che ha resistito e sul quale sono state fatte due scritte, una in rosso "Ladri" e una in nero "Usurai". Intanto uno studente si è arrampicato sulla grata di una finestra nel tentativo di romperne il vetro, ma è stato bloccato dalla forze dell'ordine. Gli studenti hanno poi cominciato a lanciare uova colorate contro la polizia che, in due occasioni, ha dovuto caricarli per tenerli lontani. Nel frattempo il corteo si è portato in via XX Settembre, davanti alla sede della Fondazione Crt blindata da cordoni di poliziotti. Il tutto si è svolto in un centro città super blindato da polizia e carabinieri anche a causa dell' Adunata degli Alpini che si svolgerà domani e dopodomani e che ha già riversato nel centro migliaia di penne nere e di sostenitori. STUDENTI OCCUPANO BINARI STAZIONE TERMINI Gli studenti medi e universitari hanno bloccato alcuni binari della Stazione Termini al grido di "Se ci bloccano il futuro, noi blocchiamo la città". Sono alcune centinaia e hanno acceso fumogeni all'interno della stazione. Gli studenti "passeggiano" da un binario all'altro impedendo così di fatto gli arrivi e le partenze dei treni. Gli studenti hanno deviato il tragitto del corteo e alla spicciolata, percorrendo alcune stradine, all'altezza di via Castro Pretorio, hanno raggiunto la stazione. STUDENTI HANNO TENTATO DI ENTRARE IN BANCA Al grido di "picchetto precario" gli studenti del corteo a Roma hanno tentato di entrare in una banca in via Piave. Davanti alla filiale c'é un cordone delle forze dell'ordine che ne impedisce l'accesso. "Oggi blocchiamo questa attività", hanno urlato i manifestanti lanciando in aria volantini e decisi, hanno detto, a bloccare molte attività della città nel giorno dello sciopero generale. TAFFERUGLI A GENOVA: FERITI QUATTRO MANIFESTANTI E UN POLIZIOTTO È di quattro feriti tra i manifestanti e uno tra le forze di polizia il bilancio dei disordini avvenuti stamani davanti alla stazione Principe di Genova dove si trovava un gruppo di circa 300 persone dei centri sociali e anarchici. I feriti, tutti lievi, sono stati trasferiti negli ospedali Villa Scassi, Galliera e San Martino. Secondo quanto appreso, sei persone contuse sono state medicate sul posto dal personale medico del 118.
5 maggio 2011 GOVERNO Approvato il dl sviluppo Tremonti: "Il primo della serie" Il Consiglio dei Ministri ha varato il dl sviluppo che contiene una serie di misure di stimolo all'economia, come il credito d'imposta per la ricerca e per chi assume donne al Sud e la rinegoziazione dei mutui a tasso variabile. Un provvedimento che era atteso e che, ha assicurato il Ministro dell'Economia Giulio Tremonti in conferenza stampa, "è il primo di una serie di decreti legge che presenteremo in logica europea del semestre. Il prossimo decreto - ha aggiunto - conterrà norme di deflazione del processo civile". Il Consiglio dei Ministri ha dato il via anche al dl sulle rinnovabili. In particolare per lo sviluppo, il decreto prevede un credito d'imposta per chi investe in ricerca, ma anche per chi assume donne nel Mezzogiorno in settori che presentano un forte gap uomo-donna (superiore al 25%). Prevista inoltre una defiscalizzazione del 50% dei costi salariali per assumere lavoratori svantaggiati nei 12 mesi successivi all'emanazione del decreto e nei 24 mesi se particolarmente svantaggiati. E tale agevolazione sarà estesa anche le aziende che assumono quote rosa. Novità anche per le spiagge: fermo restando il diritto di "passaggio" e "utilizzo", il provvedimento stabilisce che tutto ciò che è terreno su cui insistono insediamenti turistici (chioschi, stabilimenti balneari) sarà oggetto di diritto di superficie, che durerà novant'anni e dovrà essere richiesto dagli imprenditori che vorranno proseguire la loro attività. Il diritto sarà ovviamente a pagamento. Non solo, ma come ha annunciato il premier Silvio Berlusconi, il decreto prevede anche "assunzioni a tempo indeterminato" per "decine di migliaia di precari della scuola, pari al numero dei posti vacanti". In pratica, ha spiegato Tremonti, "il decreto prevede di stabilizzare in modo organico parte del personale della scuola senza oneri aggiuntivi da parte dello stato". La situazione attuale, ha sottolineato il Presidente del Consiglio, riflette il fatto che "stiamo uscendo meglio di altri fuori dalla crisi". Berlusconi rivendica sottolineando all'attivo del Paese "fattori positivi come un deficit meno alto dopo quello della Germania in Europa, intorno al 4,5/4,6 e la produzione industriale intorno all'1,5", mentre il livello del debito pubblico va in carico alll'essere stato "messo insieme dai governi del consociativismo".
2011-04-16 16 aprile 2011 TORINO La Fiom presenterà ricorso contro la Fiat "La prossima settimana, molto probabilmente già lunedì, la Fiom nazionale depositerà a Torino un'azione legale nei confronti della Fiat". Lo ha annunciato il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, nel corso di una conferenza stampa, in occasione dell'assemblea nazionale dei delegati della Cgil. Due sono le principali ragioni, la costituzione delle newco da parte del Lingotto violerebbe norme italiane ed europee e avrebbe carattere antisindacale "volta a estromettere la Fiom". "L'obiettivo del ricorso è di rendere nulli gli accordi di Pomigliano", spiega la Fiom. Le newco previste, infatti, violerebbero - precisa il sindacato - le regole in materia di trasferibilità di impresa che implicano la trascinabilità dei diritti dei lavoratori. EX BERTONE: LANDINI, INCONTRO MARCHIONNE ELEMENTO NOVITÀ La Fiom andrà all'incontro sulla vertenza per lo stabilimento Fiat di Grugliasco (ex Bertone) tra l'amministratore delegato Sergio Marchionne e i sindacati se la riunione "sarà confermata, come è stato annunciato". È quanto ha fatto sapere il segretario generale dei metalmeccanici della Cgil, Maurizio Landini, nel corso di una conferenza stampa in occasione dell'Assemblea nazionale dei delegati della Cgil, aggiungendo che l'incontro rappresenta "un elemento di novità", e ha aggiunto "andremo a questo tavolo e ascolteremo". Anche, ha sottolineato Landini, il sindacato è in attesa di conoscere orario e luogo ufficiale dell'incontro.
16 aprile 2011 LA TRAGEDIA DI TORINO Strage Thyssen, fu omicidio Tutti colpevoli. Per la strage del 6 dicembre 2007 alla ThyssenKrupp di Torino che costò la vita a 7 operai, la corte d’Assise di Torino non ha fatto sconti e condannato tutti gli imputati – i vertici tedeschi e italiani del colosso dell’acciaio – a pene molto pesanti. La più dura per l’amministratore delegato Harald Espenhahn: 16 anni e mezzo. I giudici lo hanno riconosciuto colpevole – ed è la prima volta nella storia delle vittime del lavoro in Italia – di omicidio volontario con dolo eventuale. In altre parole per i magistrati, Giuseppe De Masi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone, Roberto Scola morirono perché nonostante l’ad del colosso di Essen, fosse al corrente del rischio che correvano coloro che lavoravano su quella pericolosa linea di produzione, scelse di non metterla in sicurezza perché destinata a essere smantellata. Gli altri cinque dirigenti della Thyssenkrupp sono stati condannati per cooperazione in omicidio colposo. Tredici anni e mezzo sono stati inflitti a Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri; a dieci anni e dieci mesi di reclusione è stato condannato Daniele Moroni. I parenti delle vittime hanno accolto la sentenza con un applauso e grida di approvazione. Soddisfatto il commento del Pm, Raffaele Guariniello: "È una svolta epocale. Una condanna non è mai una vittoria o una festa. Però questa condanna può significare molto per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro". La tragedia avvenne quasi tre anni e mezzo fa nella notte del 6 dicembre 2007, quando si verificò l’incendio alla linea 5 dello stabilimento di corso Regina Margherita. Una vampata di fuoco che investì gli operai, uccidendo immediatamente Antonio Schiavone e nei giorni successivi gli altri sei. Il processo si era aperto il 15 gennaio 2009 per snodarsi per 94 difficili, tese e commoventi udienze nel corso delle quali il fatto è stato analizzato dai tre pubblici ministeri, Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso. L’accusa aveva chiesto le pesanti condanne proprio in considerazione della particolare gravità dei fatti. "Se non si ravvisa il dolo eventuale in un caso del genere – hanno sostenuto i pm – allora questo tipo di reato non esiste". Per i colleghi degli operai che si salvarono lo choc fu devastante: allucinazioni, attacchi di panico, insonnia, crisi provocate da semplici odori di cucina in grado di ricordare le carni bruciate. Si tratta, come ha spiegato una consulenza medica, di disturbi post-traumatici da stress. Per la difesa, invece, si è sempre trattato di "un processo politico". In particolare, l’avvocato Franco Coppi ha sempre cercato di smontare l’accusa di omicidio volontario nei confronti di Espenhahn. "Difendiamo – aveva esordito – una causa impopolare. Ma è impensabile credere che l’amministratore delegato abbia accettato volontariamente, solo per risparmiare sugli investimenti, un evento con delle morti, come se fosse un bandito in fuga che spara sulla folla". Ieri, in un suo comunicato, la ThyssenKrupp definiva la sentenza "incomprensibile e inspiegabile". Di segno radicalmente opposto altri commenti, a partire da quello di Antonio Boccuzzi, unico sopravvissuto alla strage e oggi parlamentare del Pd: "Chi ha sbagliato ha pagato – ha detto – Dedico questa sentenza a tutti i morti di quella notte". Per il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, "la sentenza ha accolto il solido impianto accusatorio e costituisce un rilevante precedente". Secondo il sindaco di Torino Sergio Chiamparino la decisione dei giudici "è commisurata alla gravità del fatto". Di altro avviso Leopoldo Di Girolamo, sindaco di Terni, città nella quale c’è la principale sede italiana della ThyssenKrupp: "Credo che la sentenza sia punitiva nei confronti dell’azienda e dei lavoratori che ora si troveranno in difficoltà". Davide Petrisselli
2011-04-15 15 aprile 2011 ROMA Bankitalia, l'occupazione non riparte ancora L'occupazione non è ancora tornata a crescere. È quanto si legge nel Bollettino statistico della Banca d'Italia. Nella seconda metà dello scorso anno si è interrotta la caduta dell'occupazione avviatasi nel 2008, tuttavia, spiega via Nazionale, i livelli produttivi sono ancora distanti da quelli precedenti l'avvio della recessione e l'elevata incidenza dei lavoratori in cassa integrazione guadagni ne ostacolano il ritorno alla crescita. Per la prima volta dall'inizio della crisi, nel quarto trimestre del 2010 il numero degli occupati è aumentato rispetto al periodo precedente (0,2% al netto dei fattori stagionali, 36mila persone). Sulla base dei dati mensili provvisori, la ripresa non è proseguita nei primi mesi di quest'anno: nella media di gennaio e febbraio l'occupazione è scesa dello 0,3% rispetto al quarto trimestre del 2010, attestandosi in febbraio, ultimo dato disponibile, sui livelli minimi dell'estate scorsa (circa 650mila persone in meno rispetto al primo trimestre del 2008). Il tasso di disoccupazione, salito nel quarto trimestre all'8,5% (8,4%), è rimasto stabile su tali livelli nel primo bimestre del 2011. L'intensità ancora incerta del recupero produttivo, si legge nel documento di Bankitalia, ha favorito il ricorso da parte delle imprese a forme di lavoro flessibile: i dati di fonte Inail elaborati da Ebitemp mostrano che le ore di lavoro interinale sono progressivamente aumentate nel 2010; nella media dell'anno sono cresciute del 24%. I dati Istat relativi al quarto trimestre, che segnalano un'ulteriore flessione delle posizioni di lavoro dipendente permanenti a tempo pieno (-1,7% rispetto a un anno prima; -223mila persone) e un aumento di quelle a tempo determinato e a tempo parziale (5,4%; 231mila persone). Il numero delle persone in cerca di occupazione da oltre dodici mesi è aumentato del 7,4% (73mia persone), giungendo a rappresentare circa la metà di coloro che cercano lavoro.
2011-04-12 12 aprile 2011 AUTO Fiat sale al 30% di Chrysler La Fiat è salita dal 25 al 30% di Chrysler. Lo annuncia il Lingotto, in una nota nella quale precisa che è stato raggiunto il secondo degli step previsti dall'accordo con la casa di Detroit. Il capitale della Chrysler è ora controllato al 59,2% dai sindacati Usa Uaw e Veba, il 30% dalla Fiat, l'8,6% dal Tesoro Usa, il 2,2% dal governo canadese. Il secondo "Performance Event" previsto dall'accordo con Fiat del 10 giugno 2009 - ricorda, in un comunicato, la Chrysler - consiste nel raggiungimento da parte del gruppo di Detroit di ricavi cumulativi superiori a 1,5 miliardi di dollari riferibili a vendite effettuate, successivamente all'intesa, al di fuori del Canada, Messico e Stati Uniti (Paesi Nafta). Questo secondo step prevede anche la sottoscrizione di tre accordi da parte della Fiat o di sue collegate: un'intesa che coinvolga almeno il 90% dei concessionari Fiat in Brasile nella distribuzione di uno o più veicoli Chrysler (inclusi quelli venduti con uno dei marchi di Fiat Group Automobiles); un accordo che coinvolga almeno il 90% dei concessionari Fiat nell'Unione Europea nella distribuzione di uno o più veicoli Chrysler (inclusi, anche in questo caso, quelli venduti con uno dei marchi di Fiat Group Automobiles) e che preveda, ai fini dei rilievi relativi alle emissioni di CO2, l'aggregazione delle flotte di veicoli Chrysler Group e Fiat nell'Unione Europea; un accordo che preveda la remunerazione di Chrysler Group per l'utilizzo da parte di Fiat o sue collegate delle sue tecnologie al di fuori dei Paesi Nafta. Il primo step, che ha portato a gennaio la partecipazione della Fiat dal 20 al 25%, è stato raggiunto con la produzione negli Stati Uniti (a Dundee in Michigan) del motore Fire. Il Lingotto potrà aumentare ancora la quota al 35% quando sarà raggiunto il terzo Performance Event che prevede la produzione negli Stati Uniti di una vettura basata su una piattaforma Fiat con prestazioni di almeno 40 miglia per gallone.
12 aprile 2011 A LEZIONE DI MESTIERI Scuole professionali, in 6 mesi si trova lavoro L’allarme lo aveva lanciato don Bosco un secolo e mezzo fa, quando per primo si fece carico dei ragazzi esclusi dalla scuola. Anche oggi i dati sulla dispersione scolastica confermano la gravità della situazione e la sussistenza di una vera e propria emergenza educativa: il 30% degli iscritti alla prima superiore non arriva al diploma e più di 117mila giovani tra i 14 e i 17 anni sono fuori da qualsiasi percorso formativo. Il difficile lavoro di recupero (umano, sociale e lavorativo) di queste persone ricade in molti casi sull’istruzione professionale, che intercetta il 20% circa degli studenti italiani. A questo variegato sistema di istruzione, composto dagli Istituti professionali di Stato (che "pesano" per circa il 16% dell’intero sistema scolastico, con poco più di 382mila iscritti) e dai Centri di formazione professionale (che si attestano intorno al 5% del totale, con circa 100mila studenti), è dedicato il Rapporto sulla sussidiarietà 2010, che sarà presentato oggi al Senato. Transizione scuola-lavoro. Realizzato attraverso interviste a un campione di 400 studenti "diplomati" nel 2008 negli Istituti professionali di Stato e di altrettanti ragazzi "qualificati", lo stesso anno, nei Centri di formazione professionale di quattro regioni (Lazio, Lombardia, Piemonte, Sicilia), il Rapporto 2010 si sofferma, tra l’altro, sulla capacità di questi sistemi formativi di favorire la transizione al lavoro. Ottimi i risultati: mediamente quasi sette ragazzi su dieci trovano un’occupazione entro sei mesi dal diploma. In particolare, per i qualificati nei Cfp, il 51% ha trovato lavoro entro un semestre, con picchi del 60,2% in Lombardia. Per i diplomati agli Ips, il 62% ha trovato un posto in sei mesi, con il Piemonte al 70,3%. La ricerca si sofferma pure sulla tipologia del contratto. Mentre il 17% dei qualificati ai Cfp ha avuto un contratto a tempo indeterminato e il 19% a tempo determinato, il 25% ha lavorato sulla base di un accordo informale senza contributi; una tipologia che assomiglia molto al cosiddetto "lavoro nero". Situazione simile per i diplomati agli Ips: il 20% ha avuto un contratto a tempo indeterminato, il 24% a tempo determinato e il 17,2% un accordo informale senza contributi. Studenti soddisfatti. Pur con alcune differenze, sia nei Cfp che negli Ips è molto alta la soddisfazione degli studenti circa l’aiuto ricevuto dai docenti su problemi di studio e apprendimento e problemi individuali: l’88% si dichiara "abbastanza" o "molto" soddisfatto. Buono anche il giudizio complessivo sull’insegnamento ricevuto, con appena l’8% dei diplomati e il 4,5% dei qualificati che si dichiarano "insoddisfatti" del percorso scolastico seguito. Eccellenze del sistema. Proprio per recuperare anche gli insoddisfatti, il Rapporto analizza quattordici soggetti erogatori di formazione professionale, presentati come "buone prassi", eccellenze del sistema a cui guardare. Come è sottolineato nelle conclusioni, "il primo e più importante aspetto generativo di queste eccellenze sta nell’importanza data a un’educazione intesa in modo non ridotto, che considera la personalità del ragazzo in tutti i suoi fattori, rispetto a impostazioni che riducono l’educazione all’apprendimento o peggio all’addestramento". Un altro particolare evidenziato nelle realtà analizzate è il "passaggio dal concetto di successo scolastico a quello di successo formativo: l’obiettivo è stimolare in ogni allievo l’espressione delle proprie potenzialità, realizzando una "pedagogia del successo", che non porta alla selezione dei migliori, ma al raggiungimento degli obiettivi prefissati da parte del maggior numero di allievi". Lavorare in rete. Infine, tra le caratteristiche delle eccellenze analizzate, c’è la "capacità di lavorare in rete, con una reale apertura al mondo, inteso sia come contesto territoriale, sia come concezione generale". Il che significa anche intessere una serie di rapporti, "fare con" per il bene comune. "Il farsi compagno di un pezzo di strada – si legge nelle conclusioni – è il metodo che connota le relazioni di questi soggetti, da quelle del tutor con il ragazzo, a quelle dell’artigiano che si rende disponibile a insegnare un mestiere, fino al rapporto con l’autorità locale, che ha la responsabilità di favorire un reale processo di sussidiarietà, sorreggendo iniziative in grado di fornire risposte concrete e nuove a bisogni emergenti".
2011-04-01 1 aprile 2011 ISTAT Disoccupazione giovanile, il tasso scende al 28,1% a febbraio Il tasso di disoccupazione a febbraio scende all'8,4%, con una diminuzione di 0,2 punti percentuali rispetto a gennaio e di 0,1 punti su base annua. Lo comunica l'Istat in base a dati destagionalizzati e a stime provvisorie. L'Istituto spiega che il calo avviene in un contesto di ripresa dell'inattività. Il tasso di disoccupazione giovanile a febbraio 2011 scende al 28,1%, con una diminuzione congiunturale di 1,3 punti percentuali. Lo comunica l'Istat in base a dati destagionalizzati, aggiungendo che si tratta di un dato comunque "estremamente alto" e se confrontato con i grandi Paesi europei solo la Spagna, sottolinea, fa peggio. Nella media del 2010 il tasso di disoccupazione è balzato all'8,4% dal 7,8% del 2009. Lo rileva l'Istat, sottolineando che è il dato medio annuo più alto dall'inizio delle serie storiche omogenee, ovvero dal 2004. Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) nel IV trimestre del 2010 è pari al 29,8% (era al 27,9% nello stesso periodo del 2009). Lo comunica l'Istat, in base a dati non destagionalizzati, aggiungendo che si tratta del tasso più alto dall'inizio delle serie storiche omogenee, ovvero dal 2004. Gli inattivi tra i 15 e i 64 anni aumentano dello 0,1% (21 mila unità) rispetto al mese precedente. Il tasso di inattività, dopo la crescita dei tre mesi precedenti, resta stabile al 38%. Scende, sempre a febbraio, dal 10% al 9,9% il tasso di disoccupazione anche nell'Eurozona: il dato, che conferma la stima "flash" già diffusa, è in lieve calo anche per quanto riguarda l'Ue a 27 Paesi (9,5% contro 9,6% in gennaio). Al Sud quasi una donna su due, ossia il 42,4% della popolazione femminile, è disoccupata. Ancora più rilevante il divario tra maschi e femmine per quanto riguarda il tasso di inattività: sempre nel Mezzogiorno è pari al 48,8% ma da parte delle donne il livello di mancata partecipazione al mercato del lavoro raggiunge il livello del 62,8%. Anche al Nord e al Centro la percentuale di donne senza lavoro è molto più alta rispetto a quella degli uomini: al Nord è del 27,3% e al Centro del 31,3%. Complessivamente, il tasso di disoccupazione femminile è del 32,9%, contro il 27,7% di quella maschile.
1 aprile 2011 MERCATO DELL'AUTO Fiat, vendite in altalena: crollo in Italia, boom negli Usa Niente da fare. Il mercato dell'auto in Italia non ne vuole sapere di riprendere quota: a marzo le nuove immatricolazioni di vetture hanno infatti sfiorato una flessione record del 30%, segnando un calo del 27,57%, pari ad appena 187.687 unità vendute, contro le 259.115 del marzo 2010 (a febbraio il calo era stato del 20,49%). In questo contesto marzo si è chiuso per il gruppo Fiat con un calo del 31,92% e con una quota di mercato del gruppo che si posiziona così al 29,35%, 1,9 punti percentuali in meno nel confronto con marzo dell'anno scorso. Il risultato, spiegano comunque a Mirafiori, è in miglioramento rispetto allo scorso mese di febbraio quando si era ottenuta una quota del 28,4%. Chrysler, partecipata Fiat , ha invece, realizzato un aumento delle vendite Usa del 31% a marzo, mese in cui è iniziata la vendita della Fiat 500. Lo comunica la società, ricordando che la 500 è il primo modello Fiat commercializzato negli Stati Uniti dal marzo 1984. Nel primo trimestre le vendite hanno segnato +51%.Nello stesso periodo sono stati registrati 426.972 trasferimenti di proprietà di auto usate, con una variazione di -1,31% rispetto a marzo 2010, durante il quale furono registrati 432.647 trasferimenti di proprietà. Il volume globale delle vendite (614.659 autovetture) ha interessato per il 30,54 % auto nuove e per il 69,46% auto usate. "Da ora in poi – commenta Loris Casadei, presidente dell’Unrae, l’Associazione che rappresenta le Case estere operanti in Italia – il confronto avverrà senza quelle distorsioni che hanno di fatto reso complesse le valutazioni di prospettiva. Quel che però appare certo è che il trend del primo trimestre del 2011 sta esprimendo anche meno delle 1.850.000 immatricolazioni da noi indicate nel dicembre dello scorso anno". Il quadro generale del mercato dell’auto dei prossimi mesi (con la probabile esclusione del solo aprile) sarà segnato sicuramente da due fatti diversi fra loro, ma ambedue attinenti il settore dell’automotive. Intanto, la tragedia che ha scosso profondamente il Giappone sta avendo riflessi sulle future forniture soprattutto a livello di componentistica che non riguardano solo le Case giapponesi. Non di secondario aspetto, ma molto più legato al nostro Paese, l’aumento del prezzo dei carburanti, al quale ora si aggiunge anche l’incremento delle accise, varato con sorprendente rapidità per fare fronte alle pur comprensibili esigenze dello spettacolo e della cultura. "Così si è concluso il primo trimestre del 2011 - spiega Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l'associazione dei concessionari ufficiali di tutti i marchi - e ora disponiamo ora di un importante indicatore. Poiché i primi due mesi dell'anno si erano chiusi con un -20,5% circa, con marzo a -27,6% il dato trimestrale passa a -23,1%. Proiettando questi dati sull'anno otterremmo un mercato 2011 di circa 1.500.000 immatricolazioni. A parziale correzione di questa ipotesi gli analisti più accreditati prevedono che il 2011 procederà a due velocità, e quindi l'anno dovrebbe chiudersi attorno a 1.850.000 immatricolazioni".
1 aprile 2011 VERTENZA Venerdì nero dei trasporti Fermi bus, treni, metro Si registrano disagi a Roma e a Milano a causa dello sciopero del trasporto pubblico locale. Un venerdì nero per chi si muove con i mezzi pubblici o con il treno, nel quale incrociano le braccia i lavoratori di sette sigle sindacali in segno di protesta contro i tagli e il mancato rinnovo del contratto della mobilità. Fermi per 24 ore i mezzi pubblici urbani nelle grandi città. Giovedì, secondo il sindacato Filt Cgil, è stato uno stop "quasi totale" quello dei bus per i collegamenti extraurbani in tutte le regioni, mentre dalle 21 è partito lo sciopero nelle Ferrovie. Per quanto riguarda il trasporto pubblico locale, lo sciopero riguarda in giornata il personale dei servizi urbani di bus, metro e tram, dei trasporti dei laghi e lagunari e delle ferrovie secondarie, dura per l'intera giornata, ma con modalità diverse da città a città (lo sciopero non riguarda Firenze per via di una protesta nei trasporti già proclamata per il 4 aprile). Garantiti comunque i servizi minimi indispensabili per sei ore di servizio completo in due fasce orarie (dalle ore 6 alle 9 e dalle 18 alle 21). Per quanto riguarda i treni, gli addetti al trasporto ferroviario e ai servizi e attività accessorie sono fermi dalle 21 di giovedì fino alle stessa ora di venerdì. Garantiti i treni a lunga percorrenza inseriti nell'orario Trenitalia, nell'arco dell'intera durata dello sciopero. Ferrovie dello Stato ha informato che sono possibili cancellazioni e limitazioni di corse, ma che circolerà comunque il 73% degli oltre 520 treni a lunga percorrenza previsti e tutti i treni regionali nella fascia oraria di garanzia. Il programma completo dei treni nazionali in circolazione, messo a punto da Ferrovie dello Stato, è consultabile sul sito www.ferroviedellostato.it nonché al numero verde gratuito 800892021, attivo fino alle 9 del 2 aprile. Durante lo sciopero, dal quale è escluso il personale di Trenitalia della Sardegna, sarà assicurato il collegamento tra Roma città e l'aeroporto internazionale di Fiumicino con il servizio Leonardo Express o con pullman sostitutivi. Informazioni potranno essere assunte anche presso le biglietterie e gli uffici di assistenza delle stazioni ferroviarie, nelle agenzie di viaggi convenzionate con Trenitalia, consultando il notiziario web, Fs News e ascoltando la web radio del Gruppo Fs: Fs News Radio. Le ragioni della protesta, indetta da Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl, Orsa, Faisa-Cisal e Fast sono da una parte il contratto della mobilità (è scaduto a dicembre 2007 e non si è ancora definito il contratto unico della mobilità, che servirebbe a regolamentare il mercato), dall'altro i tagli al settore (823,3 milioni di euro su uno stanziamento pubblico di 7 miliardi, che potrebbe ulteriormente assottigliarsi se le Regioni, dal Lazio in giù in particolare, ne dovessero dirottare parte ad altri settori deficitari, come la sanità). La mobilitazione dei sindacati è considerata "fuori misura" dall'Asstra, l'associazione che rappresenta il 95% del trasporto pubblico locale e il 75% di quello extraurbano e regionale, che accusa i sindacati di "non comprendere la reale situazione del settore". I segretari generali di Fit-Cisl, Filt-Cgil e Uiltrasporti hanno quindi scritto al presidente della Conferenza Stato Regioni Vasco Errani chiedendo un incontro urgente e lamentando che le aziende negano il rinnovo del contratto perché incolpano le Regioni di non aver versato i fondi provenienti dalle accise e costringendo decine di migliaia di lavoratori a scioperare e milioni di italiani a subire disagi. Queste le modalità delle principali città: Roma dalle 8,30 alle 17.30 e dalle 20 a fine servizio; Milanodalle 8.45 alle 15 e dalle 18 al termine del servizio; Napoli dalle 8.30 alle 17 e dalle 20 a fine servizio; Torino dalle 9 alle 12 e dalle 15 a fine servizio; Venezia-Mestre dalle 9 alle 16.30 e dalle 19.30 a fine servizio; Genova dalle 9,30 alle 17 e dalle 21 a termine servizio; Bologna (giovedì 31 marzo) dalle 8.30 alle 16.30 e dalle 19.30 a fine servizio; Bari 8.30 - 12.30 e dalle 15.30 a fine servizio; Palermo dalle 8,30 alle 17,30; Cagliari dalle 9.30 alle 12.45, dalle 14.45 alle 18.30 e dalle 20 alla fine del servizio. Lo sciopero non riguarda Firenze per via di una protesta nei trasporti già proclamata per il 4 aprile. Gli addetti al trasporto ferroviario e ai servizi e attività accessorie si fermeranno dalle 21 del 31 marzo alla stessa ora del 1 aprile. Durante l'astensione saranno garantiti i servizi minimi indispensabili pari a 6 ore di servizio completo in due fasce (6-9 ; 18-21) oltre ai treni a lunga percorrenza inseriti nell'orario Trenitalia, nell'arco dell'intera durata dello sciopero. Manifestazioni e presidi sono previsti nelle principali città.
2011-03-15 15 marzo 2011 SICILIA Termini Imerese, operai bloccano l'autostrada L'autostrada A19 Palermo-Catania è bloccata stamattina da circa 200 operai dello stabilimento Fiat di Termini Imerese e dell'indotto. Hanno invaso la corsia in direzione Palermo e si stanno muovendo verso Termini Imerese. La manifestazione avviene nel giorno in cui Fim, Fiom e Uilm hanno indetto otto ore di sciopero per chiedere l'immediata apertura di un tavolo tecnico tra sindacati e ministero dello Sviluppo economico sull'accordo di programma quadro per la riconversione del polo industriale di Termini Imerese, siglato a Roma il 16 febbraio scorso. "Non conosciamo ancora i dettagli dei piani industriali e d'investimento - dice il segretario provinciale della Fiom, Roberto Mastrosimone - e non ci sono garanzie occupazionali per i 2.200 lavoratori della Fiat e dell' indotto. Chiediamo un incontro immediato con il ministero perché per ora l'unica certezza che abbiamo è che la Fiat andrà via il 31 dicembre di quest'anno".
2011-03-10 10 marzo 2011 CRISI Confindustria: prezzo petrolio rallenta la ripresa In Italia "si osservano segnali più decisi di accelerazione" della ripresa economica, "anche se rimane ampio il divario di crescita con le altre nazioni". Ma, indica Confindustria, in questo scenario "si sono inseriti nuovi fattori di rischio". Come "lo shock rappresentato dal rincaro delle materie prime e in particolare del petrolio" che "rischia di rallentare sensibilmente la ripresa nei Paesi avanzati". Un prezzo a 115 dollari al barile "può comportare un minor livello del Pil italiano di circa lo 0,7% in due anni a parità di altre condizioni". Lo ha spiegato il direttore generale di Viale dell'Astronomia, Giampaolo Galli, in una audizione alla Commissione Bilancio della Camera sul piano nazionale di riforma che, comunicato lo scorso novembre dal Governo all'Unione europea, verrà presentato ad aprile con il testo definitivo. Il rincaro delle materie prime può avere effetti recessivi che, avverte Confindustria, "possono essere aggravati dai rialzi dei tassi di interesse annunciati dalle autorità monetarie e dal conseguente apprezzamento del cambio dell'euro". Mentre il piano presentato dal governo all'Europa, nel contesto degli obiettivi 2020 e del percorso di uscita dalla crisi, "nella sua versione provvisoria" appare "scarsamente ambizioso, specie alla luce del ritardo accumulato nell'ultimo decennio dall'Italia". In Italia serve, in un contesto europeo, "una riflessione seria e condivisa sulle strozzature che ostacolano la crescita del nostro Paese e sulle politiche che possono e devono essere messe in campo per tornare a essere competitivi in Europa e nel mondo", sottolinea il dg di Confindustria. Lo scenario della crisi illustrato ai parlamentari da Giampaolo Galli indica una ripresa globale che a inizio 2011 "ha dato nuovi e ancor più convincenti segni di rafforzamento e diffusione, con il coinvolgimento delle principali economie avanzate, a cominciare da Stati Uniti e Germania". In questo contesto "anche in Italia si osservano segnali più decisi di accelerazione, soprattutto dell'industria manifatturiera, con una significativa riduzione della cassa integrazione, anche se rimane ampio il divario di crescita con le altre nazioni, divario esistente prima della crisi e che si è confermato da quando a metà 2009 la ripresa globale è cominciata". È uno scenario oggi "favorevole" nel quale "si sono inseriti nuovi fattori di rischio che si sono aggiunti a quelli più volte indicati" da Confindustria: tra i quali, ricorda Galli, l'alta disoccupazione soprattutto giovanile, le difficoltà di accesso al credito, la crisi dei debiti sovrani e l'aumento dei debiti pubblici, difficoltà nel settore immobiliare, gli squilibri commerciali a livello globale. Oggi si aggiunge "lo shock" dell'aumento delle materie prime. E in particolare del petrolio che, "dovuto in parte a ragioni geopolitiche", rischia di frenare la ripresa.
2011-02-17 17 febbraio 2011 OCSE Crescita, Italia ultima tra i Paesi del G7 La crescita economica dei Paesi Ocse nel quarto trimestre del 2010 ha segnato un rialzo del 2,7% rispetto allo stesso periodo del 2009. Lo comunica l'organizzazione parigina, precisando che tra le principali sette economie al mondo, l'Italia è quella che è cresciuta meno (+1,3%) rispetto al quarto trimestre del 2009, mentre la Germania ha segnato la crescita più forte (+4%).
2011-02-15 15 febbraio 2011 ROMA Fiat, Marchionne alla Camera: "Pronti ad aumentare i salari" "Il fatto di essere qui in Parlamento è la dimostrazione del rispetto per questo Paese e le istituzioni e la fiducia che abbiamo nel futuro dell'azienda e dell'Italia". Lo afferma l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, in audizione alla Camera, dove è arrivato in giacca e cravatta, che su Fiat ha detto che si "è aperto un ampio e lungo dibattito; si è sentita molta politica, molta ideologia, ma poca aderenza alla realtà e conoscenza dei fatti". "Abbiamo progetti ambiziosi che partono proprio dall'Italia e si ispirano su uno sforzo globale". L'amministratore delegato della Fiat aggiunge: "Vorrei che fosse assolutamente chiara una cosa: nessuno può accusare la Fiat, guardandola negli occhi, di comportamenti scorretti, di vivere alle spalle dello Stato o di voler abbandonare il Paese". "Se il cuore è e resterà in Italia, la nostra sede sarà in più posti; sedi operative diverse in diversi posti. Non c'é assolutamente nulla di strano in questo: non si tratta di rinnegare le nostre radici, ma anzi di proteggerle, di garantire al passato il futuro - sottolinea Marchionne -. La scelta della sede legale non è stata ancora presa, non è vero che la Fiat ha salvato Chrysler, è vero anche il contrario". "Se riusciamo a portare l'utilizzo degli impianti dall'attuale 40% all'80%, siamo pronti ad aumentare i salari portandoli ai livelli della Germania". E anche "al passo successivo, che è la partecipazione dei lavoratori agli utili d'azienda".
15 febbraio 2011 LA FIRMA Intesa per Termini Imerese Sette aziende e 3.300 posti Via libera al piano di rilancio di Termini Imerese. L’accordo di programma per la riconversione del sito industriale in via di dismissione da parte della Fiat è stato siglato ieri sera al ministero dello Sviluppo economico. Prevede investimenti complessivi per un miliardo di euro, quasi la metà fondi pubblici, per l’avvio di sette progetti imprenditoriali scelti fra i 31 presentati in questi mesi. Investimenti che dovranno garantire il mantenimento dell’attuale occupazione della Fiat e dell’indotto, circa 2200 persone. L’obiettivo però è più ambizioso e punta ad arrivare a regime a 3300 occupati nell’area. "Da una situazione di crisi ne abbiamo ricavato una straordinaria case history italiana di ristrutturazione aziendale, industriale, che dà anche alla Sicilia la possibilità di raddoppiare l’occupazione", ha commentato il ministro dello Sviluppo Paolo Romani. Dopo la sigla dell’accordo tra i soggetti coinvolti (Regione Sicilia, provincia di Palermo, il Comune di Termini, l’ente di sviluppo Asi e Fiat) il documento è stato illustrato ai sindacati. Le organizzazioni erano presenti però con i segretari confederali e non con i leader, circostanza che ha provocato l’irritazione del ministro. Domani pomeriggio ci sarà la firma finale. Per incentivare gli investimenti privati, sul piatto arrivano 450 milioni di euro pubblici (350 dalla Regione e 100 dal ministero). La Fiat lascerà lo stabilimento (già inattivo) entro fine anno e si è impegnata a cedere gratuitamente i terreni e i fabbricati all’Asi una volta appurato che a Termini non sbarcherà un gruppo concorrente. Il Lingotto si farà carico anche di eventuali bonifiche. Le aree saranno poi suddivise tra le aziende coinvolte. Per beneficiare dei terreni e dei fondi pubblici le imprese dovranno impegnarsi ad avviare l’attività entro 20 mesi e a mantenere i livelli occupazionali per dieci anni. "Abbiamo costruito le condizioni per un futuro di lavoro", ha commentato il segretario confederale della Cisl, Luigi Sbarra, aggiungendo che "poi approfondiremo nel merito" le singole proposte. Positivo anche il giudizio di massima di Paolo Pirani (Uil) che ha chiesto un incontro con tutti gli imprenditori. La Cgil, con Vincenzo Scudiere, sospende il giudizio "in attesa di conoscere i piani industriali" delle aziende coinvolte. I progetti inseriti nella short list per Termini Imerese da Invitalia, l’advisor del ministero dello Sviluppo, sono sette, di cui due del comparto auto. Si tratta della De Tomaso di Gian Mario Rossignolo (auto di lusso) e di Cape Reva di Simone Cimino (auto elettrica). Gli altri cinque progetti spaziano in diversi settori: energie rinnovabili (Bio Gen Termini, pannelli solari), serre fotovoltaiche (Ciccolella), grande distribuzione (Newcoop), protesi mediche (Lima) e fiction cinematografica (Med Studios). C’è poi un’ottava proposta che resta in "panchina": si tratta della Dr Motor Company di Isernia (settore auto) che si è presentata fuori tempo. Nicola Pini
2011-02-10 10 febbraio 2011 ISTAT La produzione industriale torna a salire: +5,5% La produzione industriale nella media dell'intero 2010 è cresciuta del 5,5% (dato grezzo) su base annua, tornando a salire dopo due anni in calo, con il 2009 che aveva registrato un vero e proprio tonfo (-18,4%). Lo rileva l'Istat, evidenziando che l'indice corretto per gli effetti di calendario ha segnato un rialzo del 5,3%. Tuttavia, aggiunge l'Istituto, rimane un ampio divario rispetto ai livelli pre-crisi. La produzione industriale a dicembre 2010 ha registrato un lieve aumento rispetto a novembre, pari al +0,3% (dato destagionalizzato), mentre è cresciuta del 8,7% (dato grezzo) rispetto a dicembre 2009, in accelerazione a confronto con il mese precedente. Lo rileva l'Istat, aggiungendo che a livello tendenziale l'indice corretto per gli effetti di calendario ha segnato un aumento del 5,4% (i giorni lavorativi sono stati 22 contro i 21 del dicembre 2009). La produzione di autoveicoli in media nel 2010 ha registrato un aumento annuo del 2,5%, in base all'indice grezzo (stesso dato del corretto per gli effetti di calendario). Lo comunica l'Istat, aggiungendo che, invece, a dicembre 2010 ha segnato un calo del 4,3%, (dato a grezzo) rispetto allo stesso mese del 2009 (-7,5% l'indice corretto per gli effetti di calendario).
2011-02-05 5 febbraio 2011 AUTO Marchionne: "Fiat-Chrysler: possibile fusione tra 2-3 anni" Una fusione fra Fiat e Chrysler "potremmo guardarla nei prossimi due o tre anni", forse anche con il quartier generale negli Stati Uniti. "Prima dobbiamo integrarle dal punto di vista operativo e poi ci occuperemo della governance. Ora però la priorità è farle lavorare insieme". Lo afferma l'amministratore delegato di Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne, dicendosi non soddisfatto della joint venture fra Fiat e Tata Motors: "Dobbiamo dare una nuova dimensione all'accordo. Abbiamo dato loro il diritto di distribuire e in alcune aree non sta funzionando. È tutto sul tavolo". Tata Motors controlla il 50% di Fiat India Automobiles. Il Wall Street Journal ritiene che Fiat e Chrysler potrebbero fondersi e installare il quartier generale negli Stati Uniti sotto la guida di Marchionne. L'approccio per "una società" - aggiunge il Wall Street Journal - potrebbe essere completato una volta che Chrysler avrà restituito i prestiti ricevuti dal governo, obiettivo che potrebbe essere raggiunto nel 2011. "Fondere la casa automobilistica italiana e quella americana spingerebbe la partnership più di in là di quanto delineato da Marchionne dopo che Fiat ha preso il controllo di Chrysler nel 2009". Fiat e Chrysler, "una delle dimostrazione di come l'industria automobilistica sia cambiata con la crisi", stanno portando avanti un processo "di integrazione culturale basato sul rispetto reciproco e sull'umiltà, dove non c'é spazio per il nazionalismo o l'arroganza di quelli che ritengono di saperne di più": "Ho fiducia nel futuro di Fiat e Chrysler", osserva Marchionne, spiegando che le due case automobilistiche hanno ottime squadre al vertice e sono "perfettamente complementari in termini di prodotto, architetture e presenza geografica". E afferma: "Fino a quando sarò io amministratore delegato, terrò Alfa Romeo". "Di recente alcune pubblicazioni hanno sollevato il nodo della successione di Chrysler e Fiat, con una che si è chiesta cosa sarebbe accaduto se io avessi lasciato. Questo è un esempio della tendenza a mitizzare gli amministratori delegati e il mito è basato sull'idea sbagliata che una persona può risolvere tutta da sola i problemi di un'azienda. Ritengo che il vero valore di un amministratore delegato dovrebbe essere misurato in termini di impatto umano sull'organizzazione e di capacità di scegliere i giusti leader e metterli al posto giusto", aggiunge Marchionne, precisando che i giusti leader "sono coloro che hanno il coraggio di sfidare le cose ovvie, che navigano su acque inesplorate, di rompere le convenzioni e le vecchie modalità di fare le cose". Chrysler "ha un profondo debito di gratitudine nei confronti dei contribuenti americani e canadesi. Non c'é dubbio che la determinazione e il coraggio mostrato dai governi americani e canadesi è stato unico. Riconosciamo di avere una responsabilità morale e intendiamo mostrare la nostra gratitudine adempiendo ai nostri impegni e restituendo ogni centesimo che ci è stato dato". "Fiat e Chrysler condividono la sfida di unire le rispettive forze e capacità per superare gli effetti della crisi e creare un futuro insieme come leader globale nel settore automobilistico", mette in evidenza Marchionne. Fra i risultati tangibili dell'alleanza è l'introduzione della Fiat 500, con il quale il Lingotto torna in nord America dopo 27 anni.
2011-01-04 4 febbraio 2011 ACCORDO SEPARATO Sindacato, strappo sul pubblico impiego Firmano Cisl e UIl, la Cigil lascia il tavolo Accordo separato nel pubblico impiego sugli aumenti salariali legati alla produttività. Il testo presentato oggi dal governo è stato firmato da Cisl e Uil ma non dalla Cgil che ha lasciato il tavolo. Per il leader della Cgil, Susanna Camusso "il governo si è inventato un testo che non affronta i problemi urgenti che abbiamo". Bocciando il documento firmato da Cisl e Uil con cui si legano gli aumenti salariali dei dipendenti pubblici alla produttività, Camusso ha sottolineato le emergenze come quella "della cancellazione del 50% dei precari nel pubblico impiego, previsto dalla legge finanziaria", e quella che vede "da mesi il blocco del rinnovo delle Rsu in tutti i comparti"."Non si fa una riforma con il blocco della contrattazione nazionale e di secondo livello", ha accusato ancora. "Mi dispiace della caduta di stile di Susanna Camusso, mi dispiace davvero, perchè noi siamo i rappresentanti di milioni di lavoratori e non prendo in giro nessuno". Così il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, risponde alle critiche ravanzate dal segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. "Non mi sono mai permesso di dire una cosa del genere. Eppure ho molti ma molti dubbi sulla caratura essenzialmente sindacali di comportamenti come quelli che ci tocca sopprotare. Non lancio ingiurie ma continueremo a fare il nostro lavoro sindacale e lo faremo sempre di più", prosegue. "Noi vogliamo sottrarci in tutti i modi alla morsa che c'è in questo Paese di uno scontro politico senza precedenti che vuol coinvolgere tutte le componenti della società italiana. In questa storia - ha concluso - non ci vogliamo entrare ed i giudizi che diamo alle cose appartengono esclusivamente agli interessi del lavoratori e tutto ciò che muoviamo lo facciamo esclusivamente nell'interesse sindacale".
2011-01-29 27 gennaio 2011 SUPER-COORDINAMENTO Nasce l'alleanza tra le cooperative italiane: 43 mila imprese, 1 milione di occupati Al via l'alleanza delle cooperative italiane. I tre presidenti di Confcooperative, Legacoop e Agci - rispettivamente Luigi Marino, Giuliano Poletti, Rosario Altieri - hanno firmato stamattina l'intesa che dà vita al super coordinamento delle cooperative italiane. La nuova alleanza mette insieme 43 mila imprese associate, un milione 100 mila occupati e un fatturato di 127 miliardi di euro.
La storia e l'azione del movimento cooperativo hanno profondamente influenzato la crescita economica e civile del paese promuovendo una organizzazione dei sistemi produttivi coerenti con i principi della dignità sociale del lavoro, della centralità della persona e della compartecipazione attiva e responsabile alla vita dell'impresa". È uno dei passaggi del saluto del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ai rappresentanti delle associazioni cooperative che hanno firmato oggi un'alleanza, "un comune progetto operativo - scrive Napolitano in un messaggio fatto pervenire a Confcooperative, Lega coop e Agc, dalla segreteria generale della Presidenza della Repubblica - in grado di innovare, adeguare e rafforzare il ruolo della cooperazione nel nostro sistema economico e produttivo".
2011-01-21 21 gennaio 2011 ROMA Marcegaglia: "Ora riformare Confindustria" "A questo punto è venuta l'ora di riformare la Confindustria, e non penso solo di tagliare i costi ma di decidere che mestiere vogliamo fare in futuro, quale rappresentanza diamo alle imprese". La presidente Emma Marcegaglia entra nel dibattito sul dopo Mirafiori e annuncia i suoi propositi: più forza ai territori, meno convegni e apertura ai contratti aziendali. Riformare la Confindustria, spiega Marcegaglia in un'intervista a un quotidiano, "vuol dire rafforzare il ruolo delle unioni territoriali per essere più vicini alle imprese. Nel linguaggio mediatico quando si parla di Confindustria in molti pensano solo a Roma e ai nostri convegni, ma sul territorio ci sono esperienze e realtà magnifiche. Già siamo federalisti - sottolinea - e vogliamo diventare iperfederalisti". "Considero la vicenda Fiat uno stimolo al cambiamento - ammette Marcegaglia - ma le idee ce le avevamo già. Noi dobbiamo uscire da un vecchio schema fordista di fare rappresentanza, un format unico per tutti. In campo sindacale vuol dire aprire ai contratti aziendali, si fa rappresentanza quasi su misura ma non è affatto vero che scomparirà il contratto nazionale". Per la presidente di Confindustria, "l'83% delle Pmi lo vorrà ma in parallelo, noi abbiamo l'esigenza di cucire una contrattazione che calzi perfettamente all'organizzazione del lavoro, ai regimi di orario e alle specificità di mercato di ciascuna grande azienda. Si potrà obiettare che si tratta di un indirizzo ambizioso ma - assicura - non è certo indirizzato a radere al suolo il sindacato". Marcegaglia sottoscrive le dichiarazioni di Marchionne: "Dobbiamo abbattere la spirale bassi salari-bassa produttività. Quanto alla partecipazione agli utili, sono più che favorevole a soluzioni aziendali, non credo invece a una legge ad hoc sulla partecipazione". La numero uno della Confederazione apre agli imprenditori cinesi che operano in Italia. "Ai miei di Prato ho chiesto di associarne almeno dieci, perché se entrano da noi vuol dire che escono dal sommerso. So che spesso i cinesi sono in diretta e sleale concorrenza con le nostre piccole imprese, ma so anche che copiare un'azienda è facile, copiare una filiera è impossibile".
2011-01-19 19 gennaio 2011 LAVORO E RIFORME Utili agli operai, Fiat apre La Cisl: doveroso "Fatemi migliorare il costo di utilizzo degli impianti e alzerò i salari. Possiamo arrivare al livello della Germania e della Francia, io sono pronto". Subito prima di ripartire per gli Stati Uniti alla volta della Chrysler dopo il referendum di Mirafiori, Sergio Marchionne ha lanciato un’impegnativa promessa ai lavoratori italiani della Fiat: stipendi meno magri, anche attraverso la partecipazione degli operai agli utili aziendali. Ma – avverte l’amministratore delegato Fiat – "prima di parteciparli gli utili dobbiamo farli". Le dichiarazioni sono state rilasciate nel corso di una lunga intervista a Repubblica nella quale Marchionne annuncia che anche le fabbriche di Melfi e Cassino dovranno seguire la strada di Mirafiori e Pomigliano, con l’estensione dei contratti validati dai referendum. Il top manager chiede alle fabbriche italiane di lavorare di più per guadagnare di più in un futuro che, secondo Marchionne, sarà positivo per una Fiat destinata a rafforzarsi nel quadro dell’alleanza con Chrysler. La strada della maggiore produttività resta però affidata ai nuovi investimenti e a una ripresa del mercato. Per ora c’è il nuovo annuncio dalla Fiat di cassa integrazione che coinvolgerà nella seconda metà di febbraio anche un migliaio di colletti bianchi degli enti centrali, oltre ai lavoratori delle presse di Mirafiori e della lastratura di Grugliasco. L’apertura di Marchionne sulla compartecipazione dei lavoratori agli utili piace a Raffaele Bonanni. "Sono soddisfatto che Marchionne lo dica per la prima volta con così forte chiarezza – commenta il segretario generale della Cisl – La partecipazione dei lavoratori è d’obbligo, non si può avanzare con l’antagonismo, serve un’altra energia". Bonanni dice di non immaginare "una fabbrica senza la Fiom né solo con la Fiom", ma spiega che la questione partecipativa "l’abbiamo posta fin dal primo giorno – ha affermato Bonanni – perché oggi servono delle aziende dove si mira alla qualità e alla quantità, un maggior salario e a far star bene i lavoratori. E la partecipazione consapevole e responsabile è fatta attraverso la divisione degli utili". La Fiom invece non crede alle parole di Marchionne e va all’attacco: sono dichiarazioni "offensive", afferma il segretario Maurizio Landini, dopo che nel 2010 "ha tagliato i 1.200 euro di premio di risultato ai lavoratori mentre ha aumentato lo stipendio a lui e ai dirigenti con le stock options e altri strumenti". Il segretario Cgil Susanna Camusso sottolinea poi che il top manager Fiat "continua a non raccontare qual è il piano di Fabbrica Italia". Un nuovo appello al dialogo e alla responsabilità arriva intanto dall’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, che invita l’azienda e i sindacati a ritrovare "un clima di maggiore concordia" in una vicenda dove "non ci sono vinti né vincitori". Nell’intervista Marchionne fa un mea culpa per aver "sottovalutato l’impatto mediatico" della vertenza Mirafiori. "Ho sottovalutato un sindacato che aveva obiettivi politici e non di rappresentanza", afferma riferendosi alla Fiom, organizzazione che "ha costruito un capolavoro mediatico mistificando la realtà, ma non c’è riuscita". Il risultato risicato dei sì a Mirafiori, specie tra gli operai, non porterà comunque a una riapertura della trattativa. "Il sì ha avuto la maggioranza e il discorso è chiuso, anche se dentro quella maggioranza molti cercano il pelo nell’uovo". Comunque Marchionne vuole convincere "chi ha votato no su informazioni sbagliate e chi ha votato sì per paura". "Sono convinto che le nostre ragioni siano ottime, ma non sono riuscito a farle diventare le ragioni di tutti. Passaggio obbligato sarà ora quello di estendere agli altri stabilimenti italiani, da Melfi a Cassino, il modello contrattuale avviato a Pomigliano e Mirafiori: "Non c’è alternativa, non possiamo vivere in due mondi diversi – avverte il capo della Fiat – e io spero che nemmeno gli operai, visto l’accordo alla prova, vorranno vivere nel secondo mondo". Il manager ribadisce di non voler "togliere nulla di ciò che fa parte dei diritti dei lavoratori" e respinge l’accusa di non credere al futuro di Torino. "Non ho mai fatto un investimento di così pessima qualità per l’azienda come quelli di Mirafiori e Pomigliano e questo vuol dire crederci". Nicola Pini
19 gennaio 2011 OCCUPAZIONE E RIFORME Bono, Fincantieri: "Lavorare di più o perderemo la sfida" Non vuol sentir parlare di "esuberi", né utilizzare la parola "ristrutturazione". Ma annuncia che il 2010 si chiuderà con una perdita superiore ai 64 milioni del 2009 e che le prospettive per il 2011 non sono migliori. "Se allora vogliamo mantenere una cantieristica forte, dobbiamo assolutamente recuperare produttività, aumentare il lavoro, riorganizzare gli impianti e difendere con i denti la nostra presenza nei flussi della competizione internazionale". Per questo occorre "cambiare atteggiamento" e ritrovarsi a un "tavolo della condivisione" coi sindacati, il governo e le istituzioni locali, spiega Giuseppe Bono, amministratore delegato della Fincantieri, "gioiello" dell’industria pubblica italiana, capace di conquistare cantieri negli Usa, commesse in mezzo mondo e costruire le più grandi navi da crociera, ma oggi in oggettiva difficoltà per la forte contrazione della domanda degli armatori e la competizione sempre più agguerrita di tedeschi, francesi, giapponesi, coreani e in futuro anche cinesi che potrebbero insidiare il mercato delle crociere, oggi appannaggio dei cantieri europei. Dottor Bono, siamo all’annuncio di quei 2.500 esuberi ventilati nei mesi scorsi o c’è dell’altro? Non abbiamo deciso alcuna riduzione di personale e non abbiamo mai parlato di esuberi. Piuttosto vorremmo discutere con i sindacati una riorganizzazione complessiva del gruppo. I punti focali del nostro impegno devono essere: avere una cantieristica forte e ridurre al minimo i costi sociali che si dovranno pagare per arrivare a questo risultato. Dobbiamo fare i conti con la realtà: la nostra capacità produttiva è sovradimensionata rispetto alla domanda attuale. Indico solo un paio di cifre per comprendere: nel biennio 2008-2009 abbiamo svolto una media di 13 milioni di ore di lavoro, nel 2010 sono scese a 11, per quest’anno la previsione è di soli 7 milioni, poco più della metà. La richiesta di traghetti si è azzerata, le commesse della Marina militare dall’Italia sono ridotte e per quanto riguarda le grandi navi da crociera, riusciremo a conquistare le commesse solo per 2 navi, forse 3, a prezzi che saranno ovviamente stracciati, visto che a contendersele sono un numero maggiore di concorrenti. Significa che avete in animo di chiudere qualcuno dei vostri 8 cantieri sparsi per l’Italia? Finora abbiamo mantenuto aperti tutti i siti produttivi. E ci siamo riusciti da un lato gestendo la dislocazione della produzione, dall’altro saturando gli impianti in quanto la congiuntura offriva molte più commesse all’anno sia per navi da crociera che di traghetti, con un comparto militare che è passato in 8 anni dal 20 al 50% del nostro fatturato. Ora, però, anche questo segmento ha volumi che si stanno riducendo ed emergono quindi, con maggiore negatività, le carenze di alcuni cantieri che ne accentuano, nel mutato scenario di mercato, la scarsa competitività. Provo ad azzardare qualche ipotesi: state pensando di chiudere Castellammare di Stabia che è privo di bacino e quindi lì non si possono realizzare navi di grandi dimensione? Sa cosa ha detto una volta il presidente di Confitarma, che è l’associazione degli armatori? "Costruire navi a Castellammare è un miracolo". Io però potrei rispondere che farle a Sestri Ponente – dove il cantiere è diviso in due dalla ferrovia e bisogna spostare da un lato all’altro i blocchi d’acciaio – è un miracolo doppio. Oppure che farlo a Riva Trigoso dove manca la banchina e alla fine della zona di montaggio c’è una spiaggia, è un altro miracolo ancora. Possiamo mantenere tutto come 100 anni fa, difendere l’esistente per non spostarsi di 50 chilometri? Insomma, tira aria di ristrutturazione e all’orizzonte si profila il conflitto... Parliamo di "riorganizzazione", che vorremmo fare assieme a tutti quelli che hanno volontà di ragionare a partire dai dati di realtà economica che ricordavo prima. È assolutamente necessario che il sindacato cambi atteggiamento culturale, smetta di considerare l’azienda una controparte – quando non esplicitamente un "nemico" – e cominci a preoccuparsi con noi di come difendere e far tornare a crescere questo settore, così come più in generale l’industria manifatturiera in Italia. Siete appena usciti da Confindustria di Genova e Gorizia, state preparando anche voi un contratto alternativo a quello dei metalmeccanici? Avremo in Fincantieri un nuovo confronto-scontro come avvenuto in Fiat? No, siamo usciti da Confindustria per la semplice ragione che non ci sentivamo supportati nelle nostre relazioni sindacali, mi sono sentito solo in molte battaglie. Non ho però alcuna intenzione né di fare un nuovo contratto né assolutamente di comprimere alcun diritto dei lavoratori o della rappresentanza sindacale. Già sarebbe un risultato importante se i sindacati tenessero fede agli impegni assunti con il contratto integrativo del 2009, firmato prima solo da Fim e Uilm, poi anche dalla Fiom. Vi erano contenuti degli obiettivi di produttività che non sono stati raggiunti. La produttività senza commesse non è decisiva, quali sono i problemi che lamentate? Noi le commesse cerchiamo di conquistarle sul mercato, ma se non siamo altamente produttivi i nostri prezzi non saranno competitivi e allora addio lavoro. Perché questo è il tema: dobbiamo davvero mettere al centro della riflessione e dei cambiamenti il lavoro. Per assicurare un futuro al nostro gruppo, così come al Paese intero e ai giovani in particolare. Dobbiamo lavorare di più e meglio. È concepibile che si lavori 190 giorni in un anno e 170 no? Forse un tempo, quando i mercati erano chiusi, si poteva fare. Ora però ci misuriamo non dico con i cinesi, ma con gli americani che lavorano 1.800 ore contro le 1.300-1.400 nostre. Così non reggiamo la competizione, non c’è futuro per la nostra manifattura. Sta dicendo che cambieranno gli orari alla Fincantieri? No, mi accontenterei di risolvere il problema dell’assenteismo che da noi è alla percentuale record del 14% in media. Certo ci sono le malattie e gli infortuni veri, se però la media è del 14 significa che ci sono lavoratori che si ammalano in maniera fisiologica con un tasso del 3-5% e persone che sono assenti al 25-30%. E questo non solo è economicamente insostenibile, ma soprattutto è moralmente inaccettabile. Ed è inaccettabile anche che una parte del sindacato difenda i fannulloni in maniera acritica. Qui abbiamo avuto vertenze in difesa di persone trovate a pescare anziché lavorare o a dormire mentre dovevano fare prevenzione anti-incendi. Da dove si riparte, allora? Dalla vera questione morale: il lavoro, la sua valorizzazione, la sua centralità. Come farlo crescere è la vera priorità. E la sola speranza di non essere schiacciati nella competizione globale che ci attende. Francesco Riccardi
2011-01-18 18 gennaio 2011 TORINO Marchionne: salari tedeschi e azioni agli operai Fatemi migliorare il costo di utilizzo degli impianti e alzero' i salari. Possiamo arrivare al livello della Germania e della Francia. Io sono pronto''. Parola di Sergio Marchionne, che scommette sulla partecipazione degli operai agli utili, anche se ''prima di parteciparli, gli utili dobbiamo farli''. In una lunga intervista a Repubblica, l'amministratore delegato della Fiat fa un mea culpa per aver ''sottovalutato l'impatto mediatico di questa partita. Ho sottovalutato un sindacato che aveva obiettivi politici e non di rappresentanza di un interesse specifico''. La Fiom, afferma, ''ha costruito un capolavoro mediatico mistificando la realta', ma non c'e' riuscita''. Marchionne difende la sua tesi. ''Sono convinto che le nostre ragioni siano ottime, ma non sono riuscito a farle diventare le ragioni di tutti. Mi sembrava chiaro: io lavoratore posso fare di piu' se mi impegno di piu', guadagnando di piu'. E invece - dice - ha preso spazio la tesi opposta, il diritto semplicemente ad avere''. Il manager ribadisce di non voler ''togliere nulla di cio' che fa parte dei diritti dei lavoratori. Ma qui - sostiene - si parla d'altro: la Fiom e' scesa in guerra non per i diritti, ma per il suo ruolo di minoranza bloccante, perche' qui salta l'accordo interconfederale secondo cui chi non ha firmato beneficia delle protezioni del contratto senza mai impegnarsi a rispettarlo''. L'intesa Mirafiori non si tocca. Nel referendum ''le urne hanno detto che il si' ha avuto la maggioranza. Il discorso e' chiuso, anche se dentro quella maggioranza molti cercano il pelo nell'uovo''. Adesso, dichiara Marchionne, ''comincia il mio compito. Ci sono due voti che mi preoccupano: quello di chi ha votato no su informazioni sbagliate e quello di chi ha votato si' per paura. Voglio convincerli, spiegare chi sono''. Nell'intervista il numero uno della Fiat rispedisce al mittente l'accusa di non credere a Torino. ''Non ho mai fatto un investimento di cosi' pessima qualita' per l'azienda come quelli di Mirafiori e Pomigliano. Questo vuol dire crederci''. Il nuovo contratto, prosegue, investira' anche Melfi e Cassino, perche' ''non c'e' alternativa, non possiamo vivere in due mondi''. Dopo Pomigliano e Mirafiori il nuovo contratto investirà anche Melfi e Cassino, ha affermato Marchionne nell'intervista a Repubblica che, rispondendo ad una specifica domanda, sostiene che "non c'é alternativa". "Non possiamo vivere in due mondi - afferma Marchionne - Io spero che, visto l'accordo alla prova, non vorranno vivere nel secondo mondo nemmeno gli operai". Ad una domanda relativa alla possibilità di vendere l'Alfa Romeo, l'ad ha risposto: "Fossi matto, è roba nostra". "Grazie a Chrysler - afferma nell'intervista - l'Alfa arriverà in America, con una rete di 2 mila concessionari, e farà il botto". Marchionne, inoltre, afferma di non voler vendere anche la parte relativa ai veicoli industriali. "Manco di notte - risponde alla specifica domanda - E l'arroganza tedesca, gliela raccomando. Quando volevo comprare Opel non me l'hanno data perché ero italiano...". "Bisognerà abituarsi al fatto che avremo più teste, a Torino, a Detroit, in Brasile, in Turchia, spero in Cina. Ma un cuore solo. Così rimarranno vive quelle quattro lettere del marchio Fiat. Vediamole. Fabbrica: produciamo ancora, vogliamo produrre di più. Italiana: siamo qui e non vendiamo nulla. Automobili: resta il cuore del business. Torino: se ha dei dubbi, apra la mia finestra e guardi fuori". L'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne nell'intervista del direttore Ezio Mauro risponde ad una domanda sulla localizzazione della "testa" decisionale del gruppo automobilistico. Sulle nuove auto prodotte a Mirafiori, poi, aggiunge: "il Centro Stile rimane qui, il design, ma anche i progetti, le piattaforme di origine: la piattaforma della Giulietta è nata qui, è stata riadattata negli Usa, adesso torna qui per fare da base ai Suv Jeep e Alfa".
2011-01-17 17 gennaio 2011 IL FUTURO DELL'AUTO Fiat, plauso dal Financial Times Cgil: possibile ricorso a magistratura Sergio Marchionne è "lodato a Motown (Detroit, ndr) ma è sotto esame a Torino". È quanto sostiene il Financial Times in una analisi a seguito del referendum sull'accordo per Mirafiori. Secondo il quotidiano economico-finanziario britannico, il manager italo-canadese che guida sia Fiat sia Chrysler, viene "apostrofato come un capitalista rapace dai dirigenti sindacali italiani per la riforma del lavoro che vuole introdurre in Fiat, mentre gli americani lo indicano come un eroe che ha portato nuova vita in Chrysler". Il foglio rosa salmone d'Oltremanica aggiunge che "Fiat ha trasformato lo stabilimento di Jefferson North, l'ultimo rimasto a Detroit, da un ambiente sporco e semibuio a uno spazio pulito e invitante, installando il suo sistema 'World class manufacturing' e spingendo i lavoratori a migliorare in tutto, dalla sicurezza alla produttività". Lo stabilimento, secondo quanto riporta il quotidiano, "dopo aver prodotto a stento 60.000 vetture nel 2009 prevede di produrne 265.000 quest'anno, perchè i lavoratori in due turni costruiscono una nuova Jeep Grand Cherokee e un grande Suv Dodge Durango". "Marchionne - prosegue il quotidiano - ha avanzato l'ipotesi che Jefferson North possa produrre un Suv per la Maserati, marchio di eccellenza del gruppo Fiat". CGIL DOPO IL VOTO "Valuteremo se ricorrere alla magistratura" dopo il referendum di Mirafiori. Lo ha affermato ieri il leader della Cgil, Susanna Camusso, intervenendo al programma in mezz'ora in onda su Rai3. Il segretario ha aggiunto subito dopo che tuttavia "non si può affidare la rappresentanza sindacale al ricorso della magistratura". "Sicuramente - ha sottolineato Camusso - ci sono dei diritti che non sono a disposizione di nessun accordo sindacale che vanno salvaguardati". In particolare, ha spiegato il segretario, "una clausola che impedisce a un lavoratore di partecipare a uno sciopero è sicuramente un tema che arriva fino alla Corte Costituzionale. Siamo di fronte a diritti che non sono disponibili nè a un'impresa né a un sindacato".
16 gennaio 2011 La grande sfida entra nel vivo Lavorare insieme Vincitori e vinti, dignità contro paura, gli operai versus gli impiegati. La nebbia non si è ancora alzata ai cancelli di Mirafiori, che già la lettura del risultato del referendum ripropone la divisione dei lavoratori e non permette di compiere quei passi avanti che invece sono necessari. Le diverse analisi appaiono legittime, ma rischiano di far nuovamente avvitare il dibattito. È vero, i "no" sono stati numericamente superiori alle attese e alla rappresentanza delle tute blu Cgil e Cobas. Considerando il solo voto operaio, i "sì" hanno prevalso per appena 9 schede. Così che la Fiom oggi parla di una sorta di "vittoria morale", di allargamento della sua area di consenso, rivendicando la riapertura della trattativa. Sull’altro fronte si obietta che da 15 anni a Mirafiori nessun referendum aveva mai visto la vittoria dei "sì", che molti "no" sono stati dettati solo da insoddisfazione e rabbia, contando sul fatto che comunque i "sì" avrebbero vinto assicurando il futuro. Soprattutto, si fa notare, la maggioranza dei lavoratori ha detto chiaro che vuole lavorare. Anche se in frabbrica non ci dovesse "essere" la Fiom, che ha collezionato l’ennesima sconfitta dopo tre contratti nazionali dei metalmeccanici non firmati e applicati ugualmente, una riforma della contrattazione portata a termine senza il suo contributo e due referendum che hanno confermato le intese separate a Pomigliano e, appunto, a Mirafiori. Ora il primo passo da compiere – in particolare per la Fiom – sarebbe quello di sciogliere le ambiguità, riconoscendo il referendum e il suo esito. I lavoratori si sono espressi e, a maggioranza, il nuovo contratto firmato da Fim, Uilm, Fismic e Ugl è stato approvato. Dunque è valido ed è grazie a questo che da oggi si può sollecitare la Fiat a tenere fede all’impegno di investire 1 miliardo a Torino, si può chiedere conto a Marchionne dei ritardi sui nuovi modelli e delle strategie del gruppo, potendo contare con maggiore realismo sulla tenuta dell’occupazione e la crescita dei salari. Il diritto al dissenso esiste sempre, ma una volta che si sono espressi i lavoratori sarebbe antidemocratico – oltre che controproducente – cercare di far saltare l’accordo, di sovvertire la volontà della maggioranza degli stessi lavoratori. Libera la Fiom di scioperare il 28 gennaio, di manifestare con forza la propria contrarietà (a riprova che nessuna limitazione è stata posta al diritto dei lavoratori di protestare). Ciò che andrebbe scongiurato, però, è il boicottaggio, lo scatenare una "guerriglia" stabilimento per stabilimento, per conseguire con altri mezzi ciò che non si è riusciti a conquistare con il voto dei lavoratori. Un importante passo in avanti, invece. è stato compiuto. Cisl, Uil e la maggioranza dei dipendenti si sono assunti una responsabilità precisa: accettare la sfida del cambiamento per far crescere la produttività del lavoro e non far declinare il Paese. Per farlo hanno rinunciato alle tentazioni antagonistiche, hanno valutato che la propria tutela non sta in un contratto nazionale rigidamente osservato, ma in una nuova alleanza tra lavoratori e azienda, un’azienda chiamata a sua volta a una responsabilità ancora maggiore. Da domani occorre impostare il passo successivo e insieme far avanzare le relazioni industriali, nel gruppo Fiat come dappertutto, verso una maggiore partecipazione. Ci sono i tempi e gli spazi perché anche la Cgil – come d’altronde è già avvenuto in molte altre categorie di lavoratori – sia della partita. È auspicabile, ed è la sfida più importante che attende Susanna Camusso. Qualcuno ha notato nei giorni scorsi come questa vertenza rappresenti il paradigma di un cambiamento (negativo) negli equilibri tra capitale e lavoro. In realtà, il cambio nei rapporti di forza è milioni di volte più ampio del piccolo caso Fiat e muove dalla (inarrestabile) globalizzazione. In Italia possiamo scegliere se tentare di nuotare contro corrente, affidandoci ai vecchi strumenti conflittuali del Novecento, o cercare di attrezzarci per cavalcare l’onda. Senza limitarsi a subirla, progettando una nuova democrazia economica. Francesco Riccardi
16 gennaio 2011 IL CASO MIRAFIORI "Operai e falsi miti. Il futuro? Partecipare" Il sociologo, ex sindacalista Cisl, sul referendum nello stabilimento Fiat "La svolta epocale è nel mondo, e le relazioni industriali si devono adattare I lavoratori schiavi? Un’invenzione". "Il cambiamento epocale è nel mondo. Sono le relazioni industriali che si devono adattare al mondo, non viceversa". Qualcosa però sembra muoversi. Anche nella nuova Fiat. "Io spero ardentemente che si possa realizzare un salto verso la partecipazione, perché non si può chiedere responsabilità senza far partecipare i lavoratori. I limiti del conflitto li abbiamo visti tutti. Ora bisogna rivendicare la formula partecipativa". Modello Ig-Metall? "Beh, quel modello il sindacato tedesco se l’è trovato bell’e fatto, l’hanno imposto gli americani nel dopoguerra a Konrad Adenauer perché dovendo ricostruire l’industria tedesca si temeva che i grandi cartelli potessero approfittarsene e occorreva bilanciarne il potere. Poi c’è l’azionariato collettivo, come in America. Da noi Ichino e Castro hanno teorizzato la possibilità della partecipazione, ma non l’obbligo". Nell’accordo Fiat c’è qualche apertura partecipativa di tipo tecnico. "Sì, su come si gestisce un isola, per esempio. E c’è chi ritiene opportuno che il team leader venga eletto direttamente dai lavoratori: se vuoi fare la qualità non devi avere dei robot o degli schiavi. Diversa invece è la partecipazione strategica, che presupporrebbe nel cda rappresentanti eletti da tutti i dipendenti, non solo sindacalisti, che giudicano il cda e dicono la loro sulle grandi scelte. Questa secondo me è la strada virtuosa. Ed è un’occasione unica". Come giudica Marchionne: un marziano, un rivoluzionario? "Macché, è un manager con una grandissima esperienza sui temi finanziari, che ha mostrato di avere anche capacità strategiche. Non a caso fu Umberto Agnelli a scoprirlo. Certamente non è un uomo di fabbrica che si intende di relazioni sindacali. Anzi, ne è vagamente infastidito. E poi ci sono due Marchionne: quello che ha operato bene e silenziosamente per anni e quello che ormai ogni giorno parla e straparla". Cesare Romiti avrebbe fatto meglio? "Non credo. Con Romiti ne abbiamo visti di tutti i colori, ma soprattutto la dispersione di una parte notevole del capitale industriale in altre direzioni. Marchionne invece deve salvare la baracca. E questa è tutta un’altra situazione". Insomma, non mitizziamo questo accordo e nemmeno i referendum Pomigliano-Mirafiori. Giusto? "Posso dire una cosa?" Siamo qui per questo. "Io sono rimasto veramente disgustato da un certo giornalismo, che su Mirafiori come faziosità e disinformazione ha rivaleggiato con i peggiori fogli della destra". In che modo? "Hanno dipinto un mondo di operai-schiavi, scegliendo accuratamente solo certe particolari testimonianze". A vantaggio di chi? "Per una certa intellettualità di sinistra non c’è nulla di più eccitante di una bella sconfitta operaia. Bandiere che sventolano, lacrime, rimpianti...". La famosa "sinistra divina", quella degli "intellos", come la chiamava il suo collega Jean Baudrillard... "Agli intellettuali piace perdere e soprattutto <+corsivo>far<+tondo> perdere: a loro non interessa niente della sorte degli operai, la loro sconfitta gli serve per far trionfare una certa critica del capitalismo". A Mirafiori fortunatamente se ne son visti molto pochi. Giorgio Ferrari
15 gennaio 2011 IL FUTURO DELL'AUTO Fiat-Mirafiori, vince il "sì" Marchionne: "Svolta storica" Vince il "sì" a Mirafiori, ma il fronte del "no" si attesta al 46%. L'accordo separato per il rilancio dello stabilimento torinese ottiene il disco verde, ma restano aperti i problemi legati alla gestione delle relazioni sindacali e al peso che la Fiom potrà far valere, forte di un risultato che va ben oltre la sua rappresentanza. L'Ad di Fiat, Sergio Marchionne, che aveva indicato l'obiettivo minimo del 51%, festeggia una vittoria che non esita a definire "una svolta storica". Stessa soddisfazione arriva dal presidente John Elkann che chiede di archiviare le polemiche e conferma il pieno impegno della famiglia Agnelli nel futuro del Lingotto. I lavoratori di Mirafiori, afferma l'amministratore delegato in una lunga nota, "hanno scelto di prendere in mano il loro destino, di assumersi la responsabilità di compiere una svolta storica e di diventare gli artefici di qualcosa di nuovo e di importante". In un Paese come l'Italia, che "è sempre stato legato al passato e restio al cambiamento, e il referendum di ieri in parte lo ha dimostrato", osserva Marchionnne, "la scelta di chi ha votato sì è stata lungimirante". Rappresenta "la voglia di fare che si oppone alla rassegnazione del declino". Rappresenta "il coraggio di compiere un passo avanti contro l'immobilismo di chi parla soltanto o aspetta che le cose succedano". Il pensiero di Marchionne è rivolto alle scelte della Fiom e, soprattutto, a quei lavoratori che, nonostante lo spettro della perdita del posto di lavoro, hanno comunque espresso il loro dissenso. "Mi auguro che le persone che hanno votato no, messe da parte le ideologie e i preconcetti prendano coscienza dell'importanza dell'accordo che salvaguarda le prospettive di tutti i lavoratori". LE REAZIONI POLITICHE Una vittoria del Sì attesa e salutata come positiva da parte della grande maggioranza delle forze politiche. Solo la sinistra radicale e Antonio Di Pietro, elogiando la prova di dignità della Fiom, mostrano di considerare quella dell'ad Sergio Marchionne a Mirafiori una sorta di vittoria dimezzata. Dagli altri esponenti e leader politici che avevano favorito l'intesa siglata con Cisl e Uil, si leva un invito rivolto al Lingotto: ora rispetti gli impegni sul piano degli investimenti. Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi vede nell'esito referendario l'apertura di "un'evoluzione nelle relazioni industriali soprattutto nelle grandi fabbriche che dovrebbe consentire un migliore uso degli impianti e una effettiva crescita dei salari". Ma nello stesso tempo, per Sacconi, adesso "tocca a Fiat realizzare gli investimenti promessi e continuare il confronto sugli altri siti produttivi". "La vittoria del sì - afferma il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani - è uno snodo fondamentale per la costruzione del futuro di Mirafiori. Adesso Fiat ha tutte le carte in regola per tornare a essere una grande azienda multinazionale italiana". Anche Romani ritiene "ora necessario attuare subito l'accordo, partendo con gli investimenti e con le nuove strategie di produzione". Il coordinatore del Pdl Sandro Bondi elogia "il senso di responsabilità" dei lavoratori, accusa il Pd di averli lasciati soli ma richiama maggioranza e governo all'azione per spingere la Fiat "a onorare gli impegni presi per quanto riguarda il piano industriale che riguarda gli investimenti in Italia". Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, sottolinea che il "risultato va rispettato e va rispettato anche quel tanto di disagio che rappresenta". Parlando nel corso di una manifestazione ad Ancona, Bersani incalza l'azienda: "Ora la Fiat mantenga gli impegni e si rivolga a tutti i lavoratori". LE PROSPETTIVE Per ogni dipendente dell'auto si calcola ce ne siano tre nell'indotto, cinque nell'intera filiera: i 5.431 di Mirafiori diventano così 27 mila. Nel solo torinese lavorano in un migliaio di aziende sparse sul territorio provinciale. Con la vittoria dei sì nel referendum "si è evitato un suicidio collettivo - osserva Gianfranco Carbonato, presidente dell'Unione Industriale di Torino - Non si è salvaguardato solo l'investimento e Mirafiori, ma tutta l'industria nazionale dell'auto". La newco che nascerà dalla joint venture tra la Fiat e la Chrysler, con un investimento di oltre un miliardo di euro, comincerà a produrre i suoi frutti nel secondo-terzo trimestre del 2012, berline e suv dei marchi Jeep e Alfa Romeo. Vetture di gamma alta che ora mancano e che dovrebbero far lievitare i volumi produttivi dalle 124 mila auto del 2010 (erano 178 mila nel 2009) alle 250-280 mila (a pieno regime). Oltre mille veicoli al giorno, destinati per il 50% a essere commercializzati fuori dall'Unione Europea, specialmente in America, dovrebbero uscire dallo stabilimento torinese. MONS. NOSIGLIA Dopo i veleni dei giorni scorsi, è ora anche il momento della riconciliazione in città. È l'auspicio dell'arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, che si dice disponibile a celebrare una messa proprio di riconciliazione a Mirafiori, se gli sarà richieto. Per lui la vicenda di Mirafiori ha avuto il merito di riportare il tema del lavoro in tutte le sue sfaccettature al centro della discussione. "La consultazione - ha aggiunto - ha posto in risalto che investire sulle persone e sul futuro del nostro territorio offre a tutti gli imprenditori nuove e concrete opportunità".
2011-01-15 15 gennaio 2011 IL FUTURO DELL'AUTO Fiat, passa il sì: ma si ferma al 54% L'accordo sul rilancio dello stabilimento di Mirafiori e' stato approvato con il 54% dei si'. Lo riferiscono fonti sindacali. L'accordo era stato firmato da Fim, Uilm, Fismic e Ugl mentre non hanno firmato l'intesa la Fiom e i Cobas. Hanno votato, secondo gli ultimi conteggi 5.139 persone (il 94,6%). Sostenitori del 'no' hanno bruciato bandiere del fronte del 'sì' davanti lo stabilimento. Alle ultime battute dello spoglio del referendum della Fiat di Mirafiori, quando la vittoria del si' era ormai matematica, lo scrutinio e' stato momentaneamente sospeso per l'esultanza dei sostenitori del si' che e' stata contesta con proteste dal fronte del no. Dopo la vittoria del si' al referendum di Mirafiori, lo spoglio delle ultime schede è ancora sospeso dopo un momento di lite e confusione nella commissione elettorale. Un rappresentate della Fiom ha avuto un malore e, per questo, e' stata chiamata una ambulanza. La lite - secondo quanto affermano alcuni presenti - sarebbe scoppiata quando uno dei rappresentanti della Fismic, componente della commissione, ha esultato per la vittoria del sì.
Il risultato del referendum sull'accordo sullo stabilimento di Mirafiori lo hanno deciso in sostanza gli impiegati perché gli operai hanno detto di no in modo rilevante. Lo ha detto il segretario nazionale della Fiom responsabile dell'auto, Giorgio Airaudo. ''Bisogna apprezzare il grande coraggio e l'onesta di una grandissima parte dei lavoratori di Mirafiori che hanno detto di no all'accordo''. ''Gli operai delle linee di montaggio - ha aggiunto - hanno detto di no. Di fatto sono stati decisivi gli impiegati che a Mirafiori sono in gran parte capi e struttura gerarchica''. ''Come per tutti i veri cambiamenti la decisione è stata sofferta. Alla fine hanno vinto le ragioni del lavoro''. Lo ha detto il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti. ''Il si' all'accordo - ha detto - ci fa vedere con piu' ottimismo il futuro di Mirafiori e dell'industria automobilistica nel nostro Paese. Con la vittoria matematica del sì al referendum, a Mirafiori ''nasce lo stabilimento del futuro''. E' il primo commento del segretario nazionale della Fim Cisl, Bruno Vitali, che sottolinea: ''Ora festeggia Torino, sbaglia chi pensa che Marchionne va a festeggiare a Detroit''. '' E' il primo referendum che vinciamo a Mirafiori da 15 anni ma - dice ancora il sindacalista della Fim, responsabile del settore auto - e' il piu' importante''. ''Mirafiori vivrà, grazie ai lavoratori'': è la prima dichiarazione dopo la vittoria del si' al referendum sull'accordo per il rilancio dello stabilimento di Mirafiori del segretario generale della Uilm, Roco Palombella. La battaglia all'ultimo voto nel referendum sull'accordo sullo stabilimento Fiat di Mirafiori era ''scontata'' ma adesso che ha vinto il si' ''bisogna lavorare con pazienza e ricostruire le ragioni di largo consenso che necessita un investimento cosi' importante''. Lo afferma il segretario generale del Fismic, Roberto Di Maulo sottolineando che sulla vertenza ''c'e stata troppa demagogia e confusione'' che ha impedito di spiegare ai lavoratori che non si ledeva nessun diritto''. ''Oggi hanno vinto prima di tutto i lavoratori di Mirafiori e li ringraziamo per aver creduto nelle nostre ragioni''. Lo ha detto il segretario generale dell'Ugl Giovanni Centrella commentando a caldo il risultato del referendum sull'accordo per il rilancio dello stabilimento di Mirafiori. ''La loro maturita' e i loro senso di responsabilita' - ha detto - hanno salvato decine di migliaia di posti di lavoro e faranno partire finalmente Fabbrica Italia''. "L'esito del referendum apre un'evoluzione nelle relazioni industriali soprattutto nelle grandi fabbriche che dovrebbe consentire un migliore uso degli impianti e effettiva crescita dei salari". Così, dai microfoni del Gr2 Rai, il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi commenta il risultato del referendum della Fiat di Mirafiori.
2011-01-14 14 gennaio 2011 INCHIESTA Arance, mafia e costi Raccolta ad alto rischio L’arancia di Sicilia? Resta sull’albero. L’isola si conferma come il maggiore produttore italiano di questo frutto, tra i più amati della nostra tavola, eppure c’è un paradosso che si consuma annualmente all’ombra dell’Etna così come nel cuore verde di questo territorio. Il problema è la raccolta, specie quando la produzione supera ogni aspettativa e abbatte i prezzi già estremamente bassi. È successo ad esempio nel 2010, quando sono stati prodotti circa 18 milioni di quintali di agrumi, secondo i dati Istat. Una crisi che stritola da anni i 25mila produttori siciliani, che coltivano i circa 93mila ettari ad arance, limoni e mandarini, dando lavoro a 98mila persone tra diretti e indotto, escluso il settore del commercio. Piccoli proprietari terrieri, con appezzamenti di pochi ettari, che non riescono a far tornare i conti. Il calcolo è presto fatto. Per produrre un chilo di arance sono necessari 30 centesimi, mentre i commercianti li comprano tra i 15 e i 25 centesimi al chilo, per l’alta qualità destinata alla tavola. Per il prodotto da destinare all’industria, appena il 10 per cento, il prezzo è di 8-9 centesimi al chilo per le arance bionde e 10 centesimi per le arance rosse. Mentre il costo della manodopera ammonta a 80 euro al giorno. Motivo per cui risulta crescente la presenza di manodopera extracomunitaria, spesso pagata meno e a nero, con rischi enormi e una sponda in più all’infiltrazione della criminalità organizzata, che in tutta Italia si stima crei un danno all’agricoltura pari a sette miliardi e mezzo di euro, fra estorsioni, furti, forme di caporalato e abigeato. "La situazione siciliana è paradossale – afferma il presidente della Coldiretti dell’isola, Alessandro Chiarelli – perché, nonostante nell’attuale campagna agrumicola si registri una riduzione della produzione del 10 per cento, il costo del prodotto non è aumentato". Pesanti anche le critiche alla grande distribuzione, "che impone ai supermercati l’acquisto degli agrumi non siciliani. Questo è un atteggiamento francamente incomprensibile". L’invasione di prodotto da altri Paesi, come il Perù, il Sudafrica e la Tunisia, dove la produzione cresce e il costo del lavoro è inferiore, è una delle minacce più gravi all’agrumicoltura siciliana. Sembra evidente, allora, che occorre correre ai ripari. Finora l’unica ciambella di salvataggio è stata rappresentata dai contributi che l’Unione europea eroga ai coltivatori, circa 1.100 euro ad ettaro. L’ipotesi avanzata in Calabria di aumentare la percentuale di succo nelle bibite è guardata come una possibilità. "Non si supererebbe così la crisi – osserva il direttore della Coldiretti, Giuseppe Campione – ma di certo si andrebbe verso un consumo di prodotto più razionale e adeguato all’alimentazione". Ma gli addetti ai lavori puntano a incentivare il consumo domestico, "il saggio uso delle spremute potrebbe contribuire a risollevare il comparto ed educare a una corretta alimentazione i nostri ragazzi in tutta la Penisola – suggerisce Salvatore Rapisarda, presidente del consorzio Euroagrumi, che riunisce tremila ettari di agrumeti nella Sicilia orientale –. Con una politica sbagliata abbiamo perso l’Italia e ci siamo illusi di guadagnare mercati lontani, dove il prodotto arriva stanco. Per creare una vera concorrenza dobbiamo valorizzare l’alta qualità del nostro prodotto". Alessandra Turrisi
14 gennaio 2011 TORINO Fiat, il giorno della verità Ha votato il 97,7% dei lavoratori Dopo il voto dei lavoratori del turno di notte si sono aperti alle 7.30 tutti e nove i seggi per il referendum interno alle carrozzerie di Mirafiori sull'accordo del 23 dicembre scorso, cruciale per il destino della fabbrica. I seggi rimarranno aperti fino alle 13, quando verranno chiusi brevemente. Riapriranno alle 14.30 per il turno del pomeriggio che completerà il voto dei 5.431 aventi diritto, dei quali 453 impiegati. I seggi si chiuderanno alle 19.30, quando cominceranno a venire compilati i verbali in ogni seggio. Dopodiché comincerà il conteggio delle schede. Per le scorse elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie lo spoglio ha richiesto alcune ore. In questo caso si dovrebbe trattare di un'operazione più semplice avendo da conteggiare solo i sì e i no e non le preferenze per i delegati. BERLUSCONI: "VINCERANNO I SI'" "Penso che vinceranno i sì con una percentuale piuttosto elevata e che quindi vincerà il buonsenso". Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi in collegamento con Mattino Cinque, a proposito del referendum di Mirafiori. VOTA 97,7% LAVORATORI TURNO NOTTE Nel turno di notte allo stabilimento di Mirafiori della Fiat hanno votato per il referendum per l'accordo sul rilancio dell'impianto il 97,7% dei lavoratori presenti. Secondo quanto si apprende sono andati alle urne 384 lavoratori su 393 presenti. Nel turno di notte hanno lavorato più persone rispetto alle stime iniziali, in quanto la produzione leggermente aumentata ha richiesto un numero maggiore di addetti. Di fronte ai cancelli di Mirafiori con le prime luci del mattino il clima è del tutto tranquillo ed è ancora scarsa la presenza di delegati e attivisti sindacali a sostegno delle diverse posizioni nel referendum. Tra molte bandiere colorate dei diversi sindacati e striscioni tutti contrari all'accordo lavorano solo le truppe televisive per le dirette delle diverse reti. A metà giornata è previsto il cambio turno dei lavoratori del mattino che stanno votando nei nove seggi allestiti per loro. COMINCIATA SUSPENSE VOTO Il momento della verità è arrivato. Ventun giorni dopo l'accordo per il futuro di Mirafiori (firmato da Fismic, Fim, Uilm, Ugl e Associazione Quadri, ma non dalla Fiom), è scoccata l'ora X che chiama i 5.431 addetti delle Carrozzerie a esprimere il loro parere nel referendum in fabbrica. Sono in gioco investimenti per un miliardo di euro, la creazione della nuova società, la newco tra Fiat e Chrsyler che prevede la produzione di Suv di lusso che, a regime, dovrebbe raggiungere i 250-280 mila veicoli all'anno. In un clima di forti tensioni e di estrema attenzione da parte di tutto il Paese, nelle Carrozzerie di Mirafiori le urne sono state aperte alle 22 di ieri sera, all'inizio dell'ultimo turno nel quale sono impegnati 180 lavoratori. La Commissione elettorale ha deciso di aprire una sola delle 9 urne allestite nello stabilimento. Oggi saranno aperte tutte e toccherà a tutti gli altri operai (in tutto 5.431); alle 17 si chiuderanno i seggi, nella tarda serata arriveranno i risultati. L'allestimento dei seggi è stato seguito con cura meticolosa, un centinaio di persone vigileranno affinché tutto si svolga regolarmente fino allo spoglio di questa sera e alla proclamazione dei risultati. Il quesito referendario è molto semplice: "Approvi l'ipotesi di accordo del 23 dicembre?". In realtà, dietro quella semplice frase si nascondono tutti i punti dell'intesa, dai 18 turni di lavoro alle pause, dagli straordinari alla rappresentanza sindacale, dalla mensa ai provvedimenti in caso di assenza dal lavoro che in questi giorni sono stati oggetto di accesissime discussioni. Che per alcuni sono "il nuovo sistema di relazioni industriali" in linea con i tempi; per altri "il peggioramento delle condizioni di lavoro".
13 gennaio 2011 Mirafiori, la posta, le imposture Senza alibi, senza sconti Abbiamo troppo rispetto di chi lavora a Mirafiori, come nelle altre fabbriche, per dirgli come dovrebbe votare al referendum che comincia questa sera. "Cosa faremmo noi" al loro posto è irrilevante. E la politica sbaglia a schierarsi, anziché offrire analisi. Soprattutto dovrebbe evitare le uscite estemporanee come quelle di Berlusconi e di Vendola, che rischiano di ideologizzare ancor più la questione, invelenire il clima e spaccare, persino più drammaticamente, i lavoratori. È importante invece che i dipendenti Fiat abbiano strumenti di valutazione possibilmente obiettivi, perché possano esercitare meglio la loro responsabilità. Il punto focale, infatti, sta proprio qui: con il voto i lavoratori sono chiamati ad assumersi una responsabilità. Anzitutto rispetto al proprio destino personale, valutando se – in questa fase economica – l’investimento aziendale e un incremento salariale valgano il sacrificio di una turnazione più impegnativa, 10 minuti di pausa in meno e lo spostamento della mensa a fine turno. E ancora, considerare se l’aumento della produzione, un futuro più probabile per la Fiat a Torino e in Italia valgano la sfida di un altro assetto contrattuale che introduce sostanzialmente due novità. Il mancato pagamento dei primi giorni di malattia per gli assenteisti; la sanzione per quei sindacati – attenzione: non per i lavoratori – che dovessero proclamare lo sciopero nei turni straordinari. Ancora una volta si tratta dell’assunzione di una responsabilità. A fronte di un investimento – che potrebbe essere fatto in molte altri parti del mondo – la Fiat ha chiesto la corresponsabilità dei lavoratori e dei sindacati con un impegno scritto: il nuovo contratto. Per scongiurare il rischio che, in futuro, un lunedì non si presenti il 10% dei dipendenti o per il 18esimo turno straordinario magari scioperi un quarto degli operai, bloccando anche tutti gli altri, vanificando così il piano produttivo. Fim-Cisl, Uilm-Uil, Fismic e Ugl si sono assunte questa responsabilità e hanno gettato le basi di un nuovo rapporto di maggiore partecipazione dei lavoratori ai destini dell’impresa. La Fiom – che contesta alcuni punti di merito dell’intesa, ritenendoli troppo onerosi – intende invece soprattutto conservare immutato e inderogabile il contratto nazionale come regolatore dei rapporti di lavoro. Uguali da Palermo a Bolzano, dalle piccole alle grandi imprese, disconoscendo la necessità di maggiori adattamenti azienda per azienda (che pure sono normali in mezza Europa, ad esempio alla Siemens, dove si è passati da 35 a 40 ore a parità di salario per evitare una delocalizzazione). Di qui la decisione di non firmare il patto e l’esclusione – meglio, l’autoesclusione – dalla rappresentanza in fabbrica. Ora ai lavoratori la scelta: sì, ci sto; no, non voglio. Il resto sono falsità e forzature ideologiche pericolose. E una cosa è comunque chiara: nessun diritto costituzionale viene conculcato. Rimane la libertà di scioperare, resta libera l’associazione sindacale. I delegati Fiom – se questa sigla non sottoscriverà l’accordo neppure dopo l’eventuale approvazione da parte dei lavoratori – non saranno riconosciuti da Fiat, non avranno diritto alle ore di permesso, ma potranno raccogliere iscritti, fare attività sindacale fuori dai cancelli e pure proclamare scioperi, se lo vorranno. Nulla di illegittimo o anti-democratico, a meno di non voler considerare illegale lo Statuto dei lavoratori, che verrà applicato a Mirafiori, come avveniva in tutt’Italia fino all’accordo interconfederale del 1993. In uno degli appelli lanciati dall’intellighenzia salottiera nostrana si legge che l’accordo Fiat è "l’equivalente funzionale, seppure in forma post-moderna e soft (soft?), dello squadrismo contro le sedi sindacali, con cui il fascismo distrusse il diritto dei lavoratori a organizzarsi liberamente". Ma le uniche sedi sindacali "messe nel mirino" sono state quelle di Cisl e Uil; a essere insultati e minacciati sono delegati e segretari sindacali che hanno firmato gli accordi. Le sole squadracce che si sono viste in azione venivano dai centri sociali. E questo la dice lunga su certa idea di democrazia. I lavoratori Fiat, votando oggi e domani, si assumono la loro responsabilità. Poi toccherà a Marchionne esercitare fino in fondo la propria, con investimenti, modelli di auto, uno scambio forte tra coinvolgimento e democrazia economica. Andrà preteso: senza alibi, senza sconti. Francesco Riccardi
14 gennaio 2011 LE SFIDE DEL LAVORO L'attesa degli operai "Ci giochiamo tutto" Cancelli di Mirafiori, la storia del movimento sindacale passa ancora una volta da corso Tazzoli. D’accordo, quarant’anni fa qui incontravi Berlinguer e oggi Nichi Vendola. Allora, Pci e sindacato erano una cosa sola, mentre oggi il peggior nemico del Pd è la Fiom, al punto che il sindaco Chiamparino invoca da Bersani "parole più nette e certe a sostegno del sì" e Piero Fassino – candidato a succedergli – teorizza che una cosa sono i diritti e un’altra "le condizioni per garantire quei diritti". Insomma, anche oggi la storia operaia passa da corso Tazzoli ma va subito a casa, a testa bassa, e davanti alle telecamere prende addirittura la rincorsa, come si faceva nell’autunno caldo per sfondare i cordoni della polizia: era questo il clima tra gli operai ieri, fuori dalla porta 2, al termine delle assemblee organizzate dalla Fiom per sostenere le ragioni del "no all’accordo di Marchionne". Un analogo appuntamento in una parrocchia della zona, promosso da Fim, Uilm, Ugl e Fismic che sostengono l’accordo, è andato deserto. Il segretario fiommino Maurizio Landini non ha rinunciato allo sfottò – "le assemblee per spiegare l’accordo le facciamo noi che non lo vogliamo" – ma la Fismic parla di un "clima di intolleranza" e addita la presenza degli "sconfitti di Pomigliano in cerca di un’improbabile rinvincita". Pronostici impossibili. Il sociologo torinese Bruno Manghi scommette sul sì ma avverte che Mirafiori "può sorprendere" perché "l’età media degli operai è alta e sono abituati a pensare che la fabbrica non chiuderà mai, che li soccorrerà sempre la politica". Il voto è iniziato con il turno delle 22 e terminerà stasera, verdetto finale a notte fonda. Voteranno in 5.500, quel che resta della "grande" Mirafiori. Quale che sia l’esito, Landini ha confermato che la Fiom non firmerà l’accordo (neppure la firma tecnica) e "la vertenza andrà avanti". Il segretario torinese dei metalmeccanici della Cgil, Giorgio Airaudo gigioneggia: "Sappiamo che i capi reparto della Fiat cercano di convincere a votare sì, ma le nostre assemblee sono affollatissime e quando ho dato del vile a Berlusconi c’è stato un boato di applausi". Promette che dopo il referendum, "la Cgil resterà in fabbrica. Poiché l’accordo impedisce ogni azione sindacale a partire dal diritto di sciopero, saremo ogni giorno davanti ai cancelli". Aspettiamoci qualcosa di simile ai gazebo già installati dalla sinistra antagonista e dai Cobas: ascoltarne i comizi improvvisati, ieri, significava fare un salto indietro di decenni. Al 1968, ad esempio, di Alfonso Natella, il quale raccontava a tutti di quando bloccò la linea di montaggio di Mirafiori e lo volevano arrestare, "ma i compagni lo impedirono: per fortuna c’era ancora l’Unione sovietica". Oppure agli anni Settanta del trotzkista Marco Ferrando, espulso da Rifondazione per il caso Nassirya: oggi portavoce del partito comunista dei lavoratori fa sapere che "se la Fiat decidesse di andarsene dall’Italia scatterebbe l’occupazione delle sue fabbriche". Tanta pressione si traduce in indecisione. Egidio, quarant’anni, ci spiega che voterà "sì, ma è un ricatto bello e buono". Sì anche per Loredana, ma solo perché ha due figli e "che peso decidere per tutti i lavoratori, ma sarà poi vero che con questo contratto cambia il modo di lavorare in tutta Italia?". Pietro invece non ha dubbi, "no" stentoreo con nostalgia: "Mio nonno lavorava in Fiat, mio padre lavorava in Fiat, mia madre lavorava in Fiat. Hanno lottato per quei diritti". Quel che fa più paura alle tute blu sono i vincoli sull’orario, sui turni, sulle pause, sulle malattie, il "clima da azienda cinese" insomma. Anche se Damiano, 23 anni di Mirafiori, un po’ cinese si sente già adesso: per otto ore al giorno avvita cinture di sicurezza, "un minuto e mezzo l’una, 220 cinture al giorno, 620 bulloni". Sergio applica lo stesso numero di canaline; per ognuna deve sparare undici viti nello stesso minuto e mezzo. La matematica della catena di montaggio spiega meglio di qualsiasi analisi finanziaria perché i bisogni fisiologici di un operaio possano decidere il futuro dell’auto made in Italy. Paolo Viana
2011-01-13 13 gennaio 2011 LA SFIDA DEL LAVORO Il futuro di Mirafiori Voto ad alta tensione Alta tensione alla vigilia del referendum di Mirafiori. Da stasera i lavoratori inizieranno a votare sull’intesa firmata tra i sindacati, Fiom-Cgil esclusa, e la Fiat, mentre i toni e il clima del confronto si scaldano dentro e fuori la fabbrica, nella città di Torino e nel Paese. Ieri è scoppiata una nuova polemica tra le tute blu della Cgil e l’azienda, con il sindacato che ha accusato la Fiat di fare pressione diretta sui lavoratori per spingerli al sì e il Lingotto che ha replicato che le attività svolte "rientrano nelle prerogative aziendali". Un messaggio distensivo è arrivato in serata da Sergio Marchionne che, parlando da Detroit, ha affermato: "Ai lavoratori di Mirafiori dico di avere fiducia nel futuro e in loro stessi. Niente altro". "Mi piacerebbe tanto avere con Landini (il leader Fiom, ndr) lo stesso rapporto che ho con Bob King", ha aggiunto quindi l’amministratore delegato della Fiat, abbracciando calorosamente all’uscita di un hotel il presidente dello Uaw, il sindacato americano che è anche azionista Chrysler. "Mi piacerebbe, perché bisogna condividere il futuro con le parti sociali e noi ci abbiamo provato", ha sottolineato Marchionne. Un invito sdrammatizzante a fronte di un clima che davanti ai cancelli delle Carrozzerie, dove si fronteggiano le diverse pattuglie sindacali, è invece pesante. Mentre rimbalza a Torino anche la dura polemica che coinvolge i vertici politici e sindacali. Momenti di tensione si sono avuti in tarda mattinata a Mirafiori quando il leader di Sinistra e Libertà Nichi Vendola è arrivato per un comizio davanti alla fabbrica parlando di "referendum porcata" ed è stato contestato da alcuni attivisti della Fismic, una delle sigle firmatarie dell’accordo. Tra contestatori e sostenitori del presidente pugliese si è sfiorato lo scontro. Il capo della Fim torinese Claudio Chiarle ha annunciato che la sua organizzazione ha bloccato i volantinaggi ai cancelli "perché non c’è più l’agibilità democratica". Ieri pomeriggio, ha raccontato, alcune tute blu della Cisl "sono state aggredite verbalmente da un gruppo di persone che sono estranee a Mirafiori". Per la stessa ragione il fronte sindacale del sì all’intesa ha deciso di organizzare oggi assemblee informative fuori dall’orario di lavoro e fuori dalla fabbrica, invitando i lavoratori nei locali della vicina parrocchia del Redentore. Assemblee interne agli stabilimenti saranno tenuto invece oggi dalla Fiom. Nella serata di ieri la stessa federazione Cgil, che contesta tanto l’accordo quanto la validità de voto dei lavoratori giudicandolo non libero, ha organizzato una fiaccolata nel centro di Torino. Ma fin dal mattino le tute blu Fiom avevano aperto le ostilità accusando il Lingotto di "sostituirsi ai sindacati" perché durante i turni di lavoro rappresentanti dell’azienda avrebbero fermato la produzione e riunito i lavoratori per spiegare i termini del nuovo contratto. "La Fiat sta facendo le sue assemblee nel silenzio degli altri sindacati e ha assunto la guida del fronte del sì", ha accusato Giorgio Airaudo, responsabile del settore auto della Fiom. Per il Lingotto però gli incontri tenuti in fabbrica sono pienamente legittimi mentre i sindacati del fronte del sì hanno sottolineato che non si tratta di una novità nel mondo Fiat. "La Fiom si tranquillizzi, la Fiat ha sempre fatto questi incontri e in genere ottiene l’effetto contrario – ha osservato con una punta di polemica il segretario nazionale della Fim Cisl Bruno Vitali – : anche a Pomigliano la Fiat ha presentato l’accordo e infatti abbiamo perso voti". Il referendum inizia questa sera dalle 22 con i lavoratori del turno notturno e prosegue nella giornata di domani. Le operazioni di voto dovrebbero terminare alle 18 e 30 e l’esito sarà noto entro la serata. La vertenza Fiat però non sembra destinata a finire lì. Nicola Pini
13 gennaio 2011 Mirafiori, la posta, le imposture Senza alibi, senza sconti Abbiamo troppo rispetto di chi lavora a Mirafiori, come nelle altre fabbriche, per dirgli come dovrebbe votare al referendum che comincia questa sera. "Cosa faremmo noi" al loro posto è irrilevante. E la politica sbaglia a schierarsi, anziché offrire analisi. Soprattutto dovrebbe evitare le uscite estemporanee come quelle di Berlusconi e di Vendola, che rischiano di ideologizzare ancor più la questione, invelenire il clima e spaccare, persino più drammaticamente, i lavoratori. È importante invece che i dipendenti Fiat abbiano strumenti di valutazione possibilmente obiettivi, perché possano esercitare meglio la loro responsabilità. Il punto focale, infatti, sta proprio qui: con il voto i lavoratori sono chiamati ad assumersi una responsabilità. Anzitutto rispetto al proprio destino personale, valutando se – in questa fase economica – l’investimento aziendale e un incremento salariale valgano il sacrificio di una turnazione più impegnativa, 10 minuti di pausa in meno e lo spostamento della mensa a fine turno. E ancora, considerare se l’aumento della produzione, un futuro più probabile per la Fiat a Torino e in Italia valgano la sfida di un altro assetto contrattuale che introduce sostanzialmente due novità. Il mancato pagamento dei primi giorni di malattia per gli assenteisti; la sanzione per quei sindacati – attenzione: non per i lavoratori – che dovessero proclamare lo sciopero nei turni straordinari. Ancora una volta si tratta dell’assunzione di una responsabilità. A fronte di un investimento – che potrebbe essere fatto in molte altri parti del mondo – la Fiat ha chiesto la corresponsabilità dei lavoratori e dei sindacati con un impegno scritto: il nuovo contratto. Per scongiurare il rischio che, in futuro, un lunedì non si presenti il 10% dei dipendenti o per il 18esimo turno straordinario magari scioperi un quarto degli operai, bloccando anche tutti gli altri, vanificando così il piano produttivo. Fim-Cisl, Uilm-Uil, Fismic e Ugl si sono assunte questa responsabilità e hanno gettato le basi di un nuovo rapporto di maggiore partecipazione dei lavoratori ai destini dell’impresa. La Fiom – che contesta alcuni punti di merito dell’intesa, ritenendoli troppo onerosi – intende invece soprattutto conservare immutato e inderogabile il contratto nazionale come regolatore dei rapporti di lavoro. Uguali da Palermo a Bolzano, dalle piccole alle grandi imprese, disconoscendo la necessità di maggiori adattamenti azienda per azienda (che pure sono normali in mezza Europa, ad esempio alla Siemens, dove si è passati da 35 a 40 ore a parità di salario per evitare una delocalizzazione). Di qui la decisione di non firmare il patto e l’esclusione – meglio, l’autoesclusione – dalla rappresentanza in fabbrica. Ora ai lavoratori la scelta: sì, ci sto; no, non voglio. Il resto sono falsità e forzature ideologiche pericolose. E una cosa è comunque chiara: nessun diritto costituzionale viene conculcato. Rimane la libertà di scioperare, resta libera l’associazione sindacale. I delegati Fiom – se questa sigla non sottoscriverà l’accordo neppure dopo l’eventuale approvazione da parte dei lavoratori – non saranno riconosciuti da Fiat, non avranno diritto alle ore di permesso, ma potranno raccogliere iscritti, fare attività sindacale fuori dai cancelli e pure proclamare scioperi, se lo vorranno. Nulla di illegittimo o anti-democratico, a meno di non voler considerare illegale lo Statuto dei lavoratori, che verrà applicato a Mirafiori, come avveniva in tutt’Italia fino all’accordo interconfederale del 1993. In uno degli appelli lanciati dall’intellighenzia salottiera nostrana si legge che l’accordo Fiat è "l’equivalente funzionale, seppure in forma post-moderna e soft (soft?), dello squadrismo contro le sedi sindacali, con cui il fascismo distrusse il diritto dei lavoratori a organizzarsi liberamente". Ma le uniche sedi sindacali "messe nel mirino" sono state quelle di Cisl e Uil; a essere insultati e minacciati sono delegati e segretari sindacali che hanno firmato gli accordi. Le sole squadracce che si sono viste in azione venivano dai centri sociali. E questo la dice lunga su certa idea di democrazia. I lavoratori Fiat, votando oggi e domani, si assumono la loro responsabilità. Poi toccherà a Marchionne esercitare fino in fondo la propria, con investimenti, modelli di auto, uno scambio forte tra coinvolgimento e democrazia economica. Andrà preteso: senza alibi, senza sconti. Francesco Riccardi
13 gennaio 2011 LA SFIDA DEL LAVORO Berlusconi: "Se vince il no è giusto che Fiat lasci l'Italia" Non sono pentito. Ho detto solo quello che pensavo, solo quello di cui sono convinto". Silvio Berlusconi, quando è già notte, ripete in maniera più netta quella linea spiegata in conferenza stampa a Berlino. "Se i lavoratori dovessero bocciare con il referendum l’accordo raggiunto tra la Fiat e i sindacati Marchionne avrebbe buoni motivi per spostarsi in altri Paesi". A una manciata di ore dal momento della verità il presidente del Consiglio rompe il silenzio e si schiera con l’amministratore delegato di Fiat. Lo fa ufficialmente davanti a telecamere e taccuini. Lo fa sapendo di provocare reazioni. Ha letto tutto, il premier. L’atto d’accusa di Bersani, i toni aspri della Camusso... Ha letto, ha pensato e ha scelto di chiudersi la bocca e di confidare le sue sensazioni solo ai collaboratori più ascoltati: "Bersani? Oramai pensa solo a se stesso. E per garantirsi la sopravvivenza è pronto a trascinare il Pd sul fondo e a schierarlo a fianco della Fiom". C’è amarezza nel tono della voce. "Il mondo corre, la globalizzazione è un dato di fatto e non farci i conti è imperdonabile. Marchionne? Ha messo in moto una rivoluzione che non posso non comprendere". Chiuso nel suo ufficio di Palazzo Chigi Berlusconi si interroga su due verdetti. Quello della Consulta sul legittimo impedimento. E quello di Mirafiori. "C’è in gioco il destino di troppi lavoratori... Speriamo in un esito positivo della vicenda", ripete sottovoce il premier. È stato a Berlino con Emma Marcegaglia. Ha parlato con lei. Anche di Fiat. Come in altre occasioni. E ora il presidente di Confindustria si schiera con assoluta netteza: "Siamo dalla parte della Fiat e auspichiamo che il referendum possa passare". Rispetto al Cavaliere c’è solo un di più di prudenza. Ma il senso è identico. La linea è la stessa. "Non c’è nessuna lesione di diritti. Fiat vuole investire...". Non serve mettere in fila le perplessità sull’atteggiamento di un pezzo di sindacato. La Marcegaglia capisce il senso della sfida del premier. La condivide. "Effettivamente in Italia c’è una difficoltà ad attrarre investimenti. Così come c’è anche una scarsa produttività. Le cose che Fiat chiede, in Germania esistono già da molti anni". È un dibattito senza fine. Che trova un governo compatto. Che unisce Pdl e Lega. "Io sono a favore di questo accordo e spero tanto che vincano i sì", dice il presidente del Piemonte, Roberto Cota. Poi chiosa: "Noi, come territorio, non possiamo permetterci di perdere questo investimento e questi posti di lavoro". È anche un dibattito che fa risaltare le distanze tra questo Pd e l’Udc di Casini che dopo una premessa che fa titolo ("Marchionne non è un santo") ripete la linea: i lavoratori approvino il piano di rilancio degli stabilimenti Fiat. Insomma c’è solo una strada perchè – spiega Casini – "in un mondo in grande trasformazione, in un mercato che offre sempre nuove opportunità, il rischio è che la competività delle nostre imprese si indebolisca ancora di più per l’esodo dei capitali stranieri". Berlusconi potrebbe sottoscrivere. Casini, però, arriva alla fine e la sintonia diventa sempre più evidente: "In Europa siamo il Paese che attira meno investimenti esteri, se ci aggiungiamo che gli investimenti possono essere dirottati altrove a causa dell’ostilità di una parte del sindacato, questo sarebbe estremamente negativo. Marchionne non è un santo. Sta facendo forzature evidenti, che sono sotto gli occhi di tutti, ma io mi auguro ugualmente che i lavoratori approvino il referendum sul piano di rilancio. Il rischio di perdere gli investimenti e il rischio che si dirigano verso altri paesi europei sarebbe drammatico, per le imprese e per i lavoratori". Arturo Celletti
2011-01-12 12 gennaio 2011 TORINO Fiat, tensione prima del referendum Il premier con Marchionne Ultime battute per Mirafiori, oggi è la vigilia del referendum sull'intesa sottoscritta da Fiat con Fim, Fismic, Ugl, Uilm, ma non con la Fiom. Urne aperte domani fino alle 22. Forte tensione, urla, liti e slogan all'arrivo del leader di Sinistra Ecologia e Libertà, Nichi Vendola ai cancelli di Mirafiori a causa di una contestazione organizzata dai sindacalisti della Fismic. Dapprima alcuni aderenti a questo sindacato hanno urlato davanti a fotografi e telecamere, intimando a Vendola di andarsene, "perché il comunismo è finito". Poi hanno mostrato fotocopie di un articolo de Il Giornale critico nei confronti del leader di Sel. Questa decina di attivisti è stata fronteggiata da altrettanti sostenitori di Vendola e tra i due schieramenti sono volati insulti, minacce e qualche sputo. VENDOLA: "REFERENDUM È UNA PORCATA" "Un referendum come questo è una porcata per usare la celebre espressione di Calderoli". Lo afferma il leader di Sinistra Ecologia e Libertà, Nichi Vendola ai cancelli di Mirafiori a proposito della prossima consultazione sull'accordo alle Carrozzerie. "Bisogna avere rispetto di tutti i lavoratori - ha aggiunto Vendola - comunque voteranno e io non voglio parlare di un orientamento al referendum perché decidono i lavoratori". "Il governo non è assente, il governo che avrebbe dovuto svolgere il ruolo dell'arbitro tra le due squadre è invece sceso in campo a gamba tesa dalla parte di Marchionne", ha aggiunto il leader di Sinistra Ecologia e Libertà, in merito al prossimo referendum sull'accordo Fiat. "Questo è davvero un fatto gravissimo, inaudito - ha aggiunto Vendola - perché snatura anche le relazioni industriali nel momento in cui il Governo scende in campo contro i lavoratori". BERLUSCONI SI SCHIERA CON MARCHIONNE Nel caso in cui il referendum bocciasse l'intesa raggiunta "le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri Paesi". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, commentando l'accordo raggiunto tra Fiat e sindacati. Il premier, nel corso della conferenza stampa congiunta con il cancelliere tedesco, Angela Merkel, si è comunque augurato "che la vicenda possa avere esito positivo". CAMUSSO: "PAROLE BERLUSCONI-MARCHIONNE DANNO PAESE" "Il presidente del Consiglio sta facendo una gara con l'amministratore delegato della Fiat tra chi fa più danno al nostro Paese". Lo afferma il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, commentando le parole del premier, Silvio Berlusconi, secondo cui se passa il no al referendum di Mirafiori ci sono buoni motivi per lasciare l'Italia. BERSANI, BERLUSCONI SI VERGOGNI PENSI ALL'ITALIA "Berlusconi non se ne accorge perché è un miliardario ma noi paghiamo a lui uno stipendio che gli sembrerà misero per occuparsi dell'Italia e fare gli interessi del Paese e non per fare andare via le aziende". Così il segretario del Pd Pier Luigi Bersani giudica "vergognose" le parole del premier Silvio Berlusconi per il quale è comprensibile che la Fiat lascia l'Italia se al referendum non passa l'accordo. FIOM ACCUSA AZIENDA: "ASSEMBLEE PER CHIEDERE DI VOTARE SI'" "I dirigenti della Fiat stanno incontrando gruppi di lavoratori per spiegare l'accordo, ma di fatto per chiedere di votare sì". A dirlo è il responsabile del settore auto della Fiom Giorgio Airaudo, che accusa la Fiat di fare sindacato svolgendo le proprie assemblee. La Fiat ha risposto che "è nelle sue prerogative" spiegare un accordo che l'azienda ha firmato. "Da questa mattina, alle Carrozzerie di Mirafiori - afferma Airaudo - si sta verificando un fenomeno singolarissimo. La produzione viene fermata dall'azienda e gruppi di lavoratori vengono riuniti dalla gerarchia aziendale che spiega loro, a modo suo, i contenuti dell'accordo separato del 23 dicembre. In pratica, la Fiat sta facendo le sue assemblee".
12 gennaio 2011 IL VERTICE Merkel: "Aiutare Paesi a rischio" Berlusconi: "No al pessimismo" MERKEL: AIUTARE PAESI IN EMERGENZA "Credo che, passo dopo passo, il nostro compito sia quello di aiutare i Paesi in emergenza. Ci devono essere bilanciamento, solidarietà e controllo della crescita in Europa" che sono "la faccia della stessa medaglia. Possiamo farcela perchè vogliamo farcela, nessun collega europeo pensa che con questa determinazione non possiamo farcela". Lo ha detto il cancelliere tedesco Angela Merkel nella conferenza stampa congiunta con il premier italiano, in occasione del vertice italo-tedesco, rispondendo a una domanda sulla crisi che ha colpito il Portogallo. Berlusconi è arrivato a Berlino accompagnato da cinque ministri: Frattini, Matteoli, Prestigiacomo, Tremonti e Romani. Alla colazione di lavoro parteciperanno poi esponenti del settore industriali dei due Paesi. Per l'Italia sono presenti il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, l'ad di Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti e l'ad di Eni, Paolo Scaroni. CRISI, NON SOTTOVALUTARE IL FATTORE PSICOLOGICO "In una crisi dei consumi e degli investimenti è molto importante il fattore psicologico" ha detto sempre Berlusconi durante la cponferenza stampa. "Non bisogna diffondere pessimismo tra i cittadini e gli operatori ma è una responsabilità dei singoli governi cercare di dare una prospettiva positiva dell'economia, sostenere i consumi e cercare di infondere fiducia e ottimismo". "In una indagine fatta in Italia si vede che su persone che non hanno nulla da temere dalla crisi, cioè tra impiegati e pensionati pubblici si verifica un'astensione da certi acquisti, con la motivazione che siamo in crisi". "È un dovere di tutti noi che abbiamo responsabilità di governo - ha concluso Berlusconi - infondere fiducia e non fare il contrario cedendo alla diffusione del pessimismo". DRAGHI ALLA BCE "Ovvio che saremmo onorati se scelta europea cadesse su governatore nostra banca d'Italia". Così il premier ha risposto a una domanda sulla candidatura di Mario Draghi alla Bce.
LEGITTIMO IMPEDIMENTO "Io la legge sul legittimo impedimento non l'ho mai richiesta", ha aggiunto Berlusconi, "è un'iniziativa portata avanti dai gruppi parlamentari e io sono totalmente indifferente al fatto che possa esserci o meno un fermo di processi che considero ridicoli e inesistenti, come ho giurato sui miei figli e sui miei nipoti". NO A GRANDE COALIZIONE "Non credo che in Italia ci siano spazi per una grande coalizione" ha detto il presidente delConsiglio. Che ha aggiunto di non vedere nemmeno spazi per un confronto con l'opposizione che "è divisa, senza leader, senza progetti, senza idee. Non vediamo dentro questa coalizione - ha concluso - nessuna persona che possa essere presa sul serio e con cui sia possibile parlare in modo serio".
2011-01-11 11 gennaio 2011 FIAT Marchionne: "Lavoro per l'Italia" Camusso: "Insulta il Paese" "La Fiat sbaglia tempo e sbaglia risposte e riduce i diritti dei lavoratori e la loro fiducia sulle prospettive", ha detto oggi Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil, sottolineando "la debolezza industriale dell'azienda" e "il mistero che continua a circondare il piano Fabbrica Italia". "Se Fiat può tenere nascosto il piano è anche perché c'è un governo che non fa il suo lavoro ma è tifoso e promotore della riduzione dei diritti. È così tifoso che non ha il coraggio di vedere che quando l'amministratore delegato insulta ogni giorno il Paese non offende solo i cittadini e il Paese ma in realtà dice della qualità di governare e delle risposte che vengono date", risposte "sbagliate". "La signora Camusso può dire quello che vuole, ma vada a guardare il piano industriale della Volkswagen, che arriva fino al 2018, e mi spieghi quanti dettagli ci sono". Così ha replicato l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, dal salone dell'auto di Detroit. "Non c'è una pagina con una riga sugli investimenti. Il piano della Volkswagen l'ho letto anch'io. Noi perlomeno lo abbiamo quantificato e abbiamo dato anche uno spazio temporale". "Se introdurre un nuovo modello di lavorare in Italia - ha detto sempre Marchionne - significa insulto mi assumo le mie responsabilità, ma non lo è. L'ho già detto e lo continuo a ripetere: è un messaggio totalmente coerente con la strategia industriale di questo gruppo". "Siamo assolutamente convinti - ha aggiunto - che il modo di operare industrialmente in Italia, anche sulla base della nostra esperienza a livello internazionale, debba essere rinnovato. Stiamo cercando di cambiare una serie di relazioni che storicamente hanno guidato il sistema italiano. In questo sono assolutamente colpevole, stiamo cercando di cambiarlo, di aggiornarlo e di renderlo competitivo. Non si può confondere con un insulto all'Italia. Anzi vogliamo più bene noi all'Italia in questo senso cercando di cambiarla. Il vero affetto è cercare di fare crescere le persone e farle crescere bene, stiamo cercando di farlo a livello industriale. Il fatto che sia un modo nuovo non lo metto in dubbio e nemmeno che sia dirompente perché cambia il sistema delle relazioni storiche, ma che in questo si veda una mancanza di affetto verso l'Italia è ingiustificato. È uno sforzo sovraumano, non lo farebbe nessun altro". "Non ce l'ho né con la Cgil, né con Camusso, né con la Fiom e nemmeno con Landini - ha continuato il top manager Fiat - hanno punti di vista completamente diversi dal nostro che non riflettono quello che vediamo noi a livello internazionale". "Nessuno sta dicendo loro di cambiare punto di vista - ha aggiunto - ma questo non permette loro di accusare gli altri di non volere bene all'Italia. Non si risolve niente così".
2011-01-10 10 gennaio 2011 TORINO Fiat sale al 25% di Chrysler Sindacati divisi su Mirafiori La Fiat è salita dal 20 al 25% della Chrysler. La notizia è stata data dall'amministratore delegato Sergio Marchionne in un incontro con i giornalisti italiani a Detroit. Marchionne ha spiegato che è stata adempiuta la prima condizione per l'aumento della quota, quella relativa alla certificazione del primo motore con tecnologia Fiat per l'uso in America. "La possibilità di salire entro quest'anno al 51% c'è", ha aggiunto Marchionne. E sulle nuove scritte insultanti, apparse dopo la stella a cinque punte di ieri, l'ad di Fiat ha detto che "sono di sicuro fuori posto e riflettono una mancanza di civiltà che credo non sia opportuna per l'Italia. Siamo fiduciosi - ha aggiunto - che l'aspetto razionale prevalga. Lasciamo fuori l'ideologia politica e facciamo qualcosa di buono per l'azienda e per i lavoratori come vogliamo fare a Mirafioni". LA STELLA A CINQUE PUNTE Una scritta contro Marchionne con la stella a cinque punte è stata tracciata, con vernice rossa a Torino su un grande manifesto pubblicitario nel centro cittadino, sul cavalcavia di corso Sommellier. Altre scritte sono state tracciate, sempre con vernice rossa e sempre con la stella a cinque punte, su due manifesti pubblicitari vicini al primo. Sul posto sono intervenuti gli investigatori della Digos che hanno avviato indagini. Secondo gli investigatori della Digos della Questura di Torino la stella a cinque punte non può essere tradotta immediatamente con collegamenti, più o meno diretti, con presunte o sedicenti Brigate rosse. A parere degli investigatori, si tratta di "una simbologia forte", non così "inedita" neppure negli ultimi tempi, usata comunque per "alzare il tono" e per attirare la massima attenzione. D'altronde - rilevano gli stessi investigatori - il dibattito sulla questione Fiat-Marchionne è a tinte forti anche a livello istituzionale, politico e televisivo, da non far meravigliare se alcune persone, magari anche tra i più giovani e comunque tra i cosiddetti antagonisti, cerchi di "calcare la mano". Il livello di attenzione da parte della Digos e delle forze dell'ordine nel loro complesso - hanno riferito fonti investigative - è comunque alto, soprattutto in considerazione del fatto che siamo a pochi giorni dal referendum di giovedì e venerdì prossimi sull'accordo su Mirafiori. La condanna per le scritte è stata subito unanime, a partire dalla Fiom e dalla Cgil ("Netta condanna di ogni forma di violenza e di ogni forma di critica e di battaglia politica antidemocratica", in "un momento troppo delicato per dare spazio a provocazioni di qualsiasi natura e da qualsiasi parte provengano", con l'invito "a non cadere in trappole mediatiche o peggio folcloristiche"). Il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota invita a "non abbassare la guardia"; per il Pd non ci deve essere alcun "pretesto per la violenza, neanche simbolica", mentre per il vicepresidente dei deputati del Pdl, Osvaldo Napoli "lo sdegno della sinistra è ipocrita". VERSO IL REFERENDUM Intanto riparte la produzione a Mirafiori, dopo tre settimane di cassa integrazione, a pochi giorni dal referendum sul futuro dello stabilimento, fissato per giovedì e venerdì prossimi. Da mercoledì saranno nello stabilimento tutti i 5.500 operai. I primi a rientrare, stamani, sono stati gli operai dell'Alfa Mito (300 con il primo turno, alle 6; altri 500 negli altri due turni della giornata). Ai cancelli hanno trovato tre diversi volantini: quello del fronte del sì all'accordo del 23 dicembre di Fim, Uilm, Fismic e Ugl ("Mirafiori c'è, ora dipende da te"), quello della Fiom, presente con il camper metalmeccanico alla porta 2, che ha distribuito l'intero testo dell'accordo (70 pagine) con un commento, e quello dei Cobas ("Siamo tutti Mirafiori, nessuna resa"). "La Fiom ha deciso di distribuire l'intero accordo - ha spiegato Federico Bellono, segretario generale delle tute blu torinesi della Cgil - perchè noi, a differenza degli altri sindacati, abbiamo deciso di fare le assemblee (in programma domani e mercoledì, ndr) e quindi abbiamo deciso di privilegiare l'aspetto informativo". "I lavoratori - ha sottolineato Vincenzo Aragona, segretario della Fismic Piemonte - sono consapevoli di come votare il 13 e il 14: sceglieranno il sì per tutelare l'investimento, l'occupazione, i diritti". Il volantinaggio proseguirà anche al cambio turno delle 14 e a quello delle 22. Davanti alla porta 2 di Mirafiori oggi pomeriggio è atteso il segretario generale Fismic, Roberto Di Maulo. ANCORA NESSUNA INTESA SU MIRAFIORI Ancora nessuna intesa tra Cgil e Fiom sulla linea da adottare per l'accordo sullo stabilimento Fiat di Mirafiori, che verrà sottoposto a referendum dei lavoratori giovedì e venerdì. Ieri, dopo una riunione fiume delle segreterie, il leader della Fiom, Maurizio Landini, ha assicurato che "non c'è nessuna spaccatura" con la Cgil, ribadendo però che in caso di vittoria dei sì la Fiom non apporrà alcuna firma tecnica. D'altronde, ha spiegato, "l'evenutale firma tecnica non è stata particolare oggetto della discussione perchè c'è stato un pronunciamento del comitato centrale della Fiom e per noi quell'accordo resta non firmabile". "Il tema - ha sottolineato anche il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso - non è mai stato una soluzione tecnica, ma come garantire la libertà dei lavoratori di avere un sindacato e di eleggere i propri rappresentanti". Perché, ha proseguito, "continuamo a giudicare negativo" l'accordo di Mirafiori, "i lavoratori dovrebbero votare no". Dunque, il nodo resta quello delle iniziative da adottare nei prossimi giorni. Ed è proprio su questo che continuerà il confronto. Intanto, la Cgil ha confermato l'appoggio alla Fiom per lo sciopero generale indetto per il 28 gennaio: "La Cigl - ha precisato la Camusso - è impegnata con la Fiom per la massima riuscita dell'agitazione". Sul tema dell'accordo di Mirafiori è intervenuto anche il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, il quale è tornato ad auspicare una vittoria dei sì al referendum "in modo da garantire questo importante investimento" che "consoliderebbe l'investimento nell'industria automobilistica e allo stesso tempo sarebbe una garanzia di posti di lavoro e di crescita dei salari". Per il vicepresidente di Confindustria con delega alle relazioni industriali, Alberto Bombassei, quello di Marchionne "non è un ricatto" ma sono "le condizioni minimali" per poter investire. E su questo ha aggiunto che "Marchionne finora ha fatto quello che ha detto e, se si è impegnato sugli investimenti, vi terrà certamente fede". Ma a surriscaldare il clima attorno alla vertenza Mirafiori sono state proprerio le scritte apparse a Torino contro l'amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne, firmate con la stella cinque punte. LANDINI, VERTENZA APERTA, PARTITA PUO' ESSERE VINTA La vertenza sullo stabilimento Fiat di Mirafiori "è ancora aperta" e la partita "può essere vinta e risolta positivamente". Lo ha detto il segretario generale della Fiom Cgil Maurizio Landini nel corso di una conferenza stampa. Landini ha ribadito "il pieno sostegno della Cgil" sulla vertenza a partire dall'impegno nella riuscita dello sciopero del 28 gennaio. Il segretario generale Susanna Camusso sarà in piazza con i metalmeccanici il 27 a Bologna poiché l'Emilia Romagna anticipa di un giorno la protesta a causa di una festività. Landini ha annunciato a sostegno della vertenza contro l'accordo sullo stabilimento di Mirafiori firmato dagli altri sindacati una sottoscrizione straordinaria e una raccolta di firme. Landini ha ribadito che la Fiom non firmerà comunque l'accordo indipendentemente dal risultato del referendum del 13-14 gennaio. CAMUSSO, ACCORDO SBAGLIATO, LAVORATORI VOTINO NO Quello di Mirafiori è "un accordo sbagliato. È bene che i lavoratori si esprimano con un no al referendum". Lo ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ai microfoni del Tg3. "Bisogna difendere il diritto dei lavoratori di essere liberi di poter scioperare e di votare i propri rappresentanti sindacali", ha affermato, sottolineando che per queste "ragioni saremo con loro - ha aggiunto riferendosi alla Fiom - allo sciopero generale del 28 gennaio". BONANNI, SE FIOM FOSSE MAGGIORITARIA AZIENDA GIA' ALTROVE "Dal mese di giugno la Fiom sta tentando di creare confusione nelle fabbriche con scioperi mal riusciti". Lo ha dichiarato il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, secondo il quale se il sindacato dei metalmeccanici della Cgil "fosse maggioritario, e non lo è, avrebbe spinto la Fiat ad andarsene dall'Italia". Parlando a Mattino Cinque su Canale5, Bonanni ha aggiunto che "quando si parla di flessibilità si fa confusione. Marchionne ci ha chiesto una sola cosa: non meno salario, non taglio di alcuni diritti, ma solo di permettere una organizzazione del lavoro in grado di sfruttare al 100% gli impianti. I dipendenti lavoreranno otto ore come prima, ma in tre turni giornalieri, è tutto lì". Quanto infine alla ricomparsa della stella a cinque punte, Bonanni ha affermato che "purtroppo la storia d'Italia è stata sempre così: si comincia con le invettive, si continua con calunnie e minacce, ma dentro questo gioco di fantasmi ci possono essere situazioni torbide". STABILIMENTO TERMINI IMERESE RIAPRE DOPO CIG Riapre lo stabilimento Fiat di Termini Imerese, dopo tre settimane di cassa integrazione: tornano in fabbrica 2.200 lavoratori dell'azienda e dell'indotto. Già dalla prossima settimana si prevede un nuovo periodo di stop alla produzione. Il 17 e il 24 gennaio i lavoratori saranno in cassa integrazione per l'intera giornata lavorativa, mentre dal 28 gennaio al 6 febbraio per una settimana. Intanto è atteso nei prossimi giorni l'incontro tra il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani e le organizzazioni sindacali sui dettagli dell'accordo di programma quadro e del piano di investimenti per il rilancio dello stabilimento siciliano, che la casa automobilistica torinese ha deciso di chiudere dal 1 gennaio 2012.
2011-01-05 5 gennaio 2011 SINDACATI Fiat: a Mirafiori si vota il 13 e 14 Il referendum sull'accordo per il rilancio dello stabilimento Fiat di Mirafiori si svolgerà il 13 e il 14 gennaio. Le urne saranno aperte infatti dall'ultimo turno di lavoro del 13 gennaio e si chiuderanno alla fine del secondo turno del 14 gennaio. Sarà dunque possibile rendere noti i risultati già nel corso del pomeriggio del 14. A riferire i termini dell'accordo tra i sindacati è il leader della Uilm, Rocco Palombella.
2011-01-04 4 gennaio 2011 RELAZIONI INDUSTRIALI Fiat, segreterie Cgil e Fiom s'incontreranno domenica È fissato a domenica 9 gennaio alle 12 l'incontro tra le segreterie della Cgil e della Fiom. Temi della riunione saranno l'accordo sullo stabilimento Fiat di Mirafiori (non firmato dalla Fiom) e l'eventuale firma tecnica dell'intesa, nel caso di esito positivo del referendum che si terrà nei prossimi giorni. L'incontro era stato chiesto dalla Fiom. Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, ha sottolineato che dalla riunione di domenica non usciranno sorprese sul dossier Fiat. "La linea rimane quella decisa dal comitato centrale - ha detto Landini - la riunione di domenica servirà solo a mettere a punto le prossime iniziative". Landini ha anche ripetuto il no alla firma tecnica: "Le firme tecniche non esistono. Gli accordi o si firmano o non si firmano". NAPOLITANO, SI CERCHI DIALOGO PIU' COSTRUTTIVO "Mi auguro che sulle relazioni industriali, oggetto di contenzioso alla Fiat, si trovi un modulo più costruttivo di discorso". Così il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, parlando con i giornalisti nel corso della sua visita privata a Napoli. "C'è un rapporto difficile, un confronto che è diventato molto duro - ha aggiunto il presidente della Repubblica - ne ho fatto appena un cenno nel mio messaggio del 31 dicembre, perché credo che nessuno possa negare che esiste un problema di bassa produttività del lavoro. Però non è questione che sia legata esclusivamente al rendimento lavorativo delle maestranze. La produttività del lavoro dipende in larga misura anche dall'innovazione tecnologica, dalle scelte di organizzazione del lavoro e quindi ci deve essere un confronto, si deve assumere questo obiettivo". "Tutte le parti in causa - ha auspicato Napolitano - devono riconoscere l'essenzialità di questo impegno e aumentare la produttività del lavoro ai fini della competitività internazionale della nostra economia. Poi il modo affrontare questo problema - ha concluso Napolitano - soprattutto il punto delle modifiche che ne possono derivare nelle relazioni industriali sono oggetto di contenzioso ed io mi auguro che si trovi un modulo piu' costruttivo di discorso". NAPOLITANO, RIVEDERE TEMA DIRITTO RAPPRESENTANZA Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano definisce "un aspetto importante" l'affermazione del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, secondo il quale "nell'accordo del 1993 erano sanciti diritti che bisogna fare salvi". Rispondendo alla domanda di una giornalista, che gli ha chiesto se i tempi della concertazione fossero ormai finiti, il capo dello Stato, in visita al Pio Monte della Misericordia di Napoli, ha detto: "Ho appena letto un intervento del ministro del Lavoro il quale dice che nell'accordo del '93 erano sanciti diritti che bisogna fare salvi. Mi pare che questo sia un aspetto importante. Per quanto siano cambiate le cose e si possa vedere quanto dell'accordo del '93 rimanga valido, però vi sono dei punti importanti che riguardano senza dubbio il diritto di rappresentanza, tutta una materia che ormai va affrontata". DAMIANO, LEGGE RAPPRESENTANZA DA PROPOSTA SINDACATI "Nel 2008 Cgil, Cisl e Uil hanno già sottoscritto un documento unitario che regola la rappresentanza e la rappresentatività nei luoghi di lavoro. Basta che la politica decida di prendere questo accordo unitario e di tradurlo in legge". Lo propone Cesare Damiano (Pd), intervenendo ad Agorà u Rai Tre che riporta gli interventi in un comunicato. Ma, secondo Giuliano Cazzola (Pdl), ospite nella stessa trasmissione, ci sarebbe "un impedimento tecnico perché esiste già in materia un progetto di legge all'esame del Senato e quando è così la Camera non può vederlo". Paolo Pirani, segretario confederale della Cisl, in studio con Giorgio Cremaschi, si dice "disponibile a sottoscrivere l'accordo 2008" e invita la Fiom a fare altrettanto, rinunciando però al diritto di sciopero in caso di vittoria dei sì nel prossimo referendum tra i lavoratori di Mirafiori. Fiom, con Cremaschi, conferma a stretto giro, però, di non essere disponibile a rinunciare al diritto di sciopero e invita a estendere il referendum previsto per Mirafiori a "tutti i lavoratori italiani per sapere se sono d'accordo o no se rinunciare al contratto nazionale di lavoro". I TITOLI FIAT IN BORSA Si intensificano gli acquisti su Fiat che accelera a oltre il 6% ai massimi di seduta, mentre l'altro titolo del gruppo torinese Fiat Industrial si stabilizza nella parte bassa del paniere principale di Piazza Affari. Attorno alle 14,30 il titolo della società auto del Lingotto segna un rialzo del 6,33% a 7,47 euro, dopo aver toccato un massimo intrady di 7,55 euro con forti volumi. Passano infatti di mano 46,5 milioni di pezzi, oltre il 4% del capitale, a fronte di una media giornaliera di 27 milioni circa e dei 48 milioni di titoli scambiati ieri nel giorno di esordio in borsa delle due "nuove" Fiat. Fiat Industrial, la parte che raggruppa camion e trattori, scende dello 0,72% a 8,94 euro con quasi 16 milioni di titoli trattati da 34 milioni di ieri.
3 gennaio 2011 MILANO Fiat vola in Borsa ma vende sempre meno auto Esordio positivo per Fiat Industrial in Piazza Affari, la società scissa da Fiat spa che raggruppa le attività nei camion (Iveco), macchine agricole e movimento terra (Cnh): il titolo ha chiuso le contrattazioni del primo giorno di quotazione in crescita del 3,05% a 9 euro netti. Ancora meglio ha fatto la società Fiat dedicata all'auto, salita del 4,91% a 7,02 euro, segnalandosi come il miglior titolo del paniere principale. Molto forti gli scambi: sono passati di mano 48 milioni di titoli di Fiat spa e 34 milioni di Fiat Industrial, contro una media quotidiana di dicembre di 26 milioni di 'pezzì Fiat scambiati. Tiepida la controllante Exor: +1,01%. Tuttavia nel 2010 le immatricolazioni di Fiat Group Automobiles in Italia sono scese del 16,73% a 589.195 unità, contro le 707.591 unità del 2009. Nel solo mese di dicembre, invece, le vendite del gruppo torinese hanno subito una flessione del 26,43% a 38.668 immatricolazioni, contro le 52.562 del dicembre 2009. A novembre Fiat Group Automobiles aveva immatricolato 41.376 unità, subendo un calo del 26% rispetto allo stesso mese del 2009. Intanto, però, sul futuro prossimo del Lingotto, continuano a pesare i nodi sindacali, in vista soprattutto del referendum sull'accordo di Mirafiori. "Questo è un momento molto importante per la Fiat, perché rappresenta allo stesso tempo un punto di arrivo e un punto di partenza", ha detto l'ad Sergio Marchionne alla cerimonia per il debutto di Fiat Industrial in Borsa. "Di fronte alle grandi trasformazioni in atto nel mercato - ha spiegato - non potevamo più continuare a tenere insieme settori che non hanno nessuna caratteristica economica e industriale in comune". Per comprendere il valore della scissione, poi, ha sottolineato, occorre anche "considerare le opportunità di crescita personale che potrà offrire ai nostri lavoratori". Marchionne non ha però dimenticato le difficoltà che stanno incontrando le relazioni sindacali, con la Fiom che si oppone, dopo aver detto no a quello di Pomigliano, all'accordo per Mirafiori. "La Fiat è capace di produrre vetture con o senza la Fiom", ha detto il top manager italo-canadese a muso duro, aggiungendo che se al referendom dello stabilimento torinese "vince il no con il 51% la Fiat non farà l'investimento". "La Fiom ne dice una al giorno. L'unica cosa che non dice è che per ottenere il lavoro ci vogliono investimenti. Noi tutto quello che abbiamo fatto, lo abbiamo fatto solamente per ottenere l'investimento". Così il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, al Tg3 si rivolge al sindacato dei metalmeccanici guidato da Maurizio Landini, sulla vicenda Fiat.
2010-12-30 30 dicembre 2010 ECONOMIA E LAVORO Fiat, svolta e resistenze Pomigliano ora può ripartire davvero. Con salari più alti e un nuovo inquadramento professionale per i 4.600 dipendenti dello stabilimento campano della Fiat. Il nuovo contratto di lavoro siglato ieri a Roma da Fim, Uilm, Ugl metalmeccanici, Fismic, l’Associazione dei quadri Fiat e il Lingotto, apre definitivamente la strada ai 700 milioni di investimenti previsti da Fabbrica Italia per il "Giambattista Vico" e alla produzione della nuova Panda da dicembre prossimo. Le prime assunzioni dalla Newco, realizzata sulla base dell’accordo separato del 15 giugno, scatteranno già da gennaio. L’incremento salariale medio sarà di 360 euro lordi l’anno a regime, 30 euro lorde al mese, anche se – assicurano i sindacati – "il nuovo minimo tabellare avrà un maggiore incremento mensile di 100 euro medi rispetto al Contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici, derivanti da voci inserite, come il premio di produzione e la 14esima". Un’intesa che sarà di "transizione" fino al 2012, in attesa che si definisca a livello confindustriale un contratto nazionale specifico per l’Auto a cui aderirà anche la nuova Fiat. "Il Sud ha bisogno come il pane di accordi come quello di Pomigliano", ha detto il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. "Mentre un sindacato minoritario pensa solo al conflitto e ad organizzare scioperi – dice il leader Cisl –, tutti gli altri sindacati pensano a come far uscire i lavoratori e le loro famiglie dalla precarietà e dall’incertezza". "È un contratto migliorativo rispetto a quello dei metalmeccanici", ha aggiunto il segretario nazionale della Fim, Bruno Vitali. "Un grande risultato che dimostra la concretezza dell’agire sindacale contro ogni forma di speculazione propagandistica", secondo il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella. Un contratto che adesso – sottolineano i sindacati – potrebbe applicarsi anche su Mirafiori e, poi, in modo sempre migliorativo anche in tutti gli altri siti produttivi. Un caso "scuola" insomma. L’accordo contrattuale per Pomigliano "consente all’Italia – afferma il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani – di giocare ancora un ruolo nel settore automobilistico e apre una nuova fase di crescita e produzione industriale per una delle più importanti fabbriche del Mezzogiorno e dell’Italia intera". Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, soddisfatto per i risultati dell’intesa, non manca di dare una stoccata al "fronte del no": l’accordo "nasce da esigenze pratiche e non da disegni ideologici. Ben venga tuttavia un’utile discontinuità nel sistema di relazioni industriali, soprattutto là ove il vecchio impianto politico-culturale fondato sull’inesorabile conflitto sociale ha prodotto bassi salari e bassa produttività. È ora il tempo di accelerare tutto ciò che, al contrario, può far crescere tanto i redditi da lavoro quanto la competitività delle imprese". Ma la Fiom non cambia atteggiamento. Il segretario generale, Maurizio Landini, parla di "fatto gravissimo. Ancora una volta Fiat vuole cancellare il contratto e i diritti dei lavoratori". Landini va diritto contro i sindacati che hanno firmato l’intesa: "Fermateli, stanno facendo del male ai lavoratori". Mentre rivolgendosi al Lingotto aggiunge: "Non si illudano, non è con gli accordi separati che cancelleranno il più grande sindacato dei metalmeccanici". La Fiom – fuori dai tavoli di contrattazione – alza il livello dello scontro all’esterno delle fabbriche, annuncia lo sciopero (otto ore per il 28 gennaio) e una raccolta di firme. Mentre lo Slai Cobas "impugnerà la procedura di accordo sindacale e annuncia un’azione giudiziaria a tutela delle prerogative delle rsu aziendali". La battaglia continuerà in piazza e in Tribunale. Per una parte. Mentre i lavoratori aspettano solo che si riaprano le porte di Pomigliano. Per lavorare. Giuseppe Matarazzo
30 dicembre 2010 Oltre arroccamenti e immobilismi Il tempo delle scelte Il nuovo contratto per la Fiat di Pomigliano rappresenta allo stesso tempo la chiusura di una fase storica e il potenziale detonatore di una serie di cambiamenti. Non solo nell’organizzazione del lavoro, ma più in generale nelle relazioni sindacali, nell’organizzazione sociale e negli stessi palazzi della politica. Sul piano dei contenuti, l’intesa firmata ieri prevede un incremento salariale e chiede agli operai un nuovo modo di lavorare, maggiormente impegnativo. Assicurando come contropartita la sopravvivenza della grande industria al Sud e al Nord d’Italia, anzi prospettandone uno sviluppo futuro. Fin qui si tratta di uno scambio forte, ma tutto sommato "classico", tra produttività e salario, favorito da un regime fiscale agevolato. La discontinuità rispetto al passato è che questo scambio, per portare vantaggi ad entrambe le parti, deve essere condiviso fino in fondo, chiede un surplus di responsabilità a tutti gli attori. Anzitutto all’azienda, con l’impegno a investire, a "sfornare" nuovi modelli competitivi e ad aprirsi a una maggiore partecipazione. E poi ai sindacati nella gestione dell’intesa, fino ai singoli lavoratori, in particolare per il contenimento dell’assenteismo. Ed è su questo che si è consumata la rottura fra la Fiat, la Fiom e all’interno stesso dei sindacati. Fim, Uilm, Fismic e Ugl hanno ritenuto assolutamente prioritario assicurare il futuro dei lavoratori di Pomigliano (e di Mirafiori) spendendosi fino in fondo nel confronto con l’azienda sul nuovo modello organizzativo, firmando un vero e proprio "patto di responsabilità". Al contrario, la Fiom – nonostante i lavoratori di Pomigliano avessero approvato l’intesa con il referendum del giugno scorso – ha scatenato la protesta. Provocando così le condizioni per il successivo irrigidimento della Fiat, l’uscita dal contratto nazionale dei metalmeccanici e l’esclusione dei sindacati "non-firmatari" dalla nomina di delegati all’interno delle fabbriche. In definitiva un’autoesclusione, quella della Fiom. Dolorosa, che non piace a nessuno, tanto che pure Fim e Uilm hanno faticato ad accettarla e lavorano oggi perché sia solo transitoria. Ma che, nel contempo, rende la situazione del tutto chiara e può innescare una serie di cambiamenti. C’è da mutare anzitutto le regole sulla rappresentanza. Ripartendo dall’accordo già raggiunto tra Cgil, Cisl e Uil nel 2008 e boicottato proprio dalla Fiom, che voleva alzare al 60% la soglia dei sì per approvare qualsiasi intesa, riservandosi così una sorta di diritto di veto. Soprattutto, però, occorre che la Cgil in particolare scelga quale sindacato vuole essere da "grande", in uno scenario economico globale completamente mutato nel giro di pochi anni. Un’organizzazione che negozia, che sta in campo con le proprie proposte e alla fine è capace di stringere delle intese a favore dei propri rappresentati (come d’altro canto già fa buona parte delle sue categorie, firmando contratti senza clamori particolari). Oppure una confederazione immobile, isolata, in definitiva impotente, che si fa costantemente condizionare dall’ala estrema dei metalmeccanici prodiga di "no" e di un’inaccettabile violenza verbale di alcuni dirigenti che, in parte, si è già tramutata in intimidazioni ai danni di delegati e strutture di Cisl e Uil. Nell’intesa per Pomigliano, così come per Mirafiori, non viene conculcato alcun diritto fondamentale dei lavoratori, la democrazia non è affatto posta in discussione, semmai "esaltata" dal ricorso al referendum. Più semplicemente, dopo anni di immobilismo, il cambiamento di scenario nell’industria automobilistica sta facendo emergere le contraddizioni del nostro sistema, obbligando a compiere una scelta netta di modello tra conflitto e antagonismo da un lato; riformismo e partecipazione dall’altro. E a ben guardare, è la stessa sfida che attraversa come una faglia sotterranea la gran parte dello schieramento politico. Francesco Riccardi
30 dicembre 2010 INTERVISTA Enrico Letta: "Passo necessario Adesso nuove regole" Trova "conservatore, come la sua linea" lo sciopero indetto dalla Fiom. Anche i metodi di Marchionne, tuttavia, sono "al limite". Davanti alla nuova intesa per Pomigliano, Enrico Letta, vicesegretario del Pd, rompe il silenzio finora tenuto sull’argomento Fiat per definire "necessario" l’accordo, ma pure "essenziale la riduzione delle tensioni sociali". Per questo punta alla "riscrittura completa delle regole" nelle relazioni industriali. E al riguardo rivela che una serie di incontri riservati avuti con Camusso, Bonanni e Angeletti all’Arel (il centro studi di cui Letta è segretario) gli fa pensare che "le distanze non sono incolmabili" per arrivare a una legge sulla rappresentanza sindacale. Partiamo dal Pd. Troppo diviso anche su Fiat? Io trovo naturale che si fatichi a comporre il quadro. Questa è una vicenda che sta dilaniando fortemente il mondo del lavoro. Va anche sottolineato, semmai, che il Pdl la affronta con notevole superficialità. Nessuno può schierarsi battendo la grancassa, come fa Sacconi, su un fronte o sull’altro. La nostra complessità ci tiene uniti. Perché questa è una vicenda che è figlia della crisi e causa a sua volta di una crisi sociale molto seria. Se per recuperare competitività si arriva a limare 10 minuti alle pause di lavoro, si sta proprio raschiando il fondo del barile. Qual è il suo giudizio complessivo? Questi accordi li trovo necessari, nella situazione economica in cui viviamo, ma non sono un elemento che può essere facilmente esteso alle altre imprese. Necessari, se si pensa che l’impatto del sistema Fiat sull’industria nazionale supera i 60 miliardi. Se la Fiat lasciasse l’Italia sarebbe un depauperamento drammatico. Ragione sufficiente per accettare ogni condizione imposta da Marchionne? No. I suoi metodi non vanno messi sul piano del ricatto, ma sono al limite. Diciamo però che se le tre foto dell’attività di Fiat oggi sono Marchionne che dialoga con Obama, lui con Lula a Pernambuco e Marchionne che investe in Italia, questa terza immagine non deve essere un fotomontaggio. Tutto funzionerà quando Fiat dimostrerà di tener fede agli investimenti in Italia. Per costruire un’industria dell’auto non più sovvenzionata dallo Stato, competitiva e globale. E il rischio di un accordo simile, che ha ragione nel voler ridurre l’assenteismo ma eccede nell’insistere su aspetti minori, è di far passare in secondo piano la portata dell’intero piano. Molti, però, nella sinistra - e anche nel Pd - strizzano l’occhio alla Fiom. Le posizioni della Fiom sono conservatrici, e sbaglia chi dà loro corda. Esaltare troppo l’eventuale violazione di diritti del lavoro non fa considerare che l’aspetto dirimente è quello degli aumenti in "busta-paga". Tutti gli indicatori ripetono che i due grandi mali dell’Italia sono la scarsa produttività e i bassi salari. Per questo un accordo che affronta questi due nodi è giusto sul profilo strategico. Tuttavia resta essenziale il recupero di una sigla che rappresenta una parte significativa dei lavoratori italiani. <+nero>È sbagliata quindi la norma che esclude dalle Rsu interne i sindacati non firmatari?<+tondo> È sicuramente il punto più controverso. Ma è anche vero che la logica per cui qualcuno aveva il diritto di veto sempre, non poteva più andare avanti. Ciò detto, va pure aggiunto che non si può alimentare un clima di tensione sociale permanente. Non si può andare avanti senza un moderno sistema di rappresentanza. Finché non c’è, il caos regnerà sovrano e consentirà situazioni-limite come queste delle newco Fiat fuori dal quadro interconfederale. Lo reputa possibile un nuovo sistema? Registro i passi avanti compiuti sul triangolo Camusso-Bonanni-Federmeccanica. A novembre e dicembre abbiamo avuto all’Arel alcuni incontri coi leader sindacali, l’impressione è che le distanze non sono incolmabili. Ha ragione Bonanni: bisogna che la politica e il governo coadiuvino le parti sociali nella loro autonomia. La prima cosa da fare per il governo il 3 gennaio è convocare un tavolo sulla rappresentanza. Non provocare divisioni nel sindacato, cosa che non aiuta in prospettiva anche se può essere giusto nel momento in cui una sigla si autoesclude. Eugenio Fatigante
2010-12-29 29 dicembre 2010 SINDACATO Pomigliano, c'è il contratto Fiom: sciopero il 28 gennaio Fim, Uilm, Ugl metalmeccanici, Fismic, l'Associazione dei quadri Fiat e il Lingotto hanno firmato il nuovo contratto di lavoro per i 4.600 dipendenti dello stabilimento di Pomigliano, che a partire da gennaio 2011 saranno riassunti dalla Newco, sulla base dell'accordo di giugno che sblocca investimenti per 700 milioni per la produzione della nuova Panda. Intanto il Comitato centrale della Fiom ha approvato il documento finale che, accogliendo la richiesta della Segreteria, proclama otto ore di sciopero generale dei metalmeccanici per venerdì 28 gennaio. È stato approvato con 102 voti a favore, nessun contrario e 29 astenuti, tra cui il leader di un'area di minoranza Fausto Durante. "L'obiettivo strategico della Fiat è chiaro - si legge nel documento -: provare a cancellare in modo definitivo il sistema dei diritti individuale e collettivi nel lavoro". I due accordi per Pomigliano e Mirafiori puntano ad aumentare la produttività delle fabbriche del gruppo automobilistico introducendo condizioni di lavoro meno favorevoli per i lavoratori rispetto al contratto nazionale dei metalmeccanici. L'intenzione è quella di escludere chi non ha firmato le intese, come la Fiom, dalla rappresentanza sindacale anche se è una delle organizzazioni con maggiori adesioni. Per essere competitiva a livello mondiale, ha spiegato l'Ad Sergio Marchionne, Fiat ha bisogno di aumentare la produttività in Italia dove vengono prodotte 650.000 vetture con 22.000 addetti contro le 600.000 unità e le 6.100 persone dello stabilimento polacco di Tichy. L'ACCORDO SU POMIGLIANO Fiat intende impegnare 700 milioni di euro per rilanciare l'impianto vicino a Napoli e vuole proteggere l'investimento da abusi quali un tasso di assenteismo particolarmente alto che in alcuni momenti ha toccato picchi del 30%. I circa 4.000 dipendenti della fabbrica campana, che hanno approvato l'intesa in un referendum con il 63% di voti, saranno assunti da una nuova società fuori da Confindustria e quindi fuori dal contratto nazionale dei metalmeccanici. L'accordo prevede un terzo turno giornaliero su una settimana di sei giorni e raddoppia il numero di ore di straordinario che possono essere richieste da Fiat senza previa consultazione. Sono previste penalizzazioni nel caso di tassi di assenteismo anomali e vengono accorciate le pause. Una "clausola di responsabilità" impegna i sindacati e i lavoratori a rispettare quanto concordato introducendo una sorta di tregua sindacale sugli scioperi. "L'aspetto positivo riguarda la parte salariale", ha detto il segretario nazionale della Fim-Cisl Bruno Vitali. "La paga sarà più alta. Inoltre ci sarà un nuovo inquadramento professionale, che da anni i metalmeccanici chiedono".
29 dicembre 2010 POLITICA E SINDACATO Il nuovo corso Fiat fa sbandare il Pd Non fa in tempo a digerire il panettone Pier Luigi Bersani. La tegola Mirafiori sta già producendo i suoi effetti nel partito diviso, ma è Nichi Vendola – ancora una volta – a rovinare definitivamente la festa. Se il leader del Pd aveva preso tempo per decidere la direzione di marcia del suo partito, in attesa del vertice del 13 gennaio, ebbene, il leader di Sel schiera le pedine sulla scacchiera e apre la sfida. Per il governatore pugliese la battaglia con Marchionne va condotta con "radicalità", perché si tratta di una battaglia "per la democrazia". E il segretario democratico, che avrebbe demandato in Parlamento il dibattito, si trova incalzato a dover rispondere. Per lui lo fanno subito i vertici di largo del Nazareno, e l’immagine che ne esce è quella di un partito spaccato, che si gioca il futuro sulle alleanze possibili tra i "conservatori" della sinistra radicale e i "riformisti" favorevoli all’accordo, come si autodefiniscono i moderati piddì. Vendola esamina l’accordo di Mirafiori e la posizione isolata della Fiom. "Non è solo una sfida arrogante contro il mondo del lavoro – dice – .È l’idea di un restringimento secco degli spazi di democrazia in questo Paese". Ma su Mirafiori il leader di Sel cerca di stanare Bersani, che solo qualche giorno fa gli aveva chiesto "generosità" per una alleanza costituente: "Il messaggio è: 'prima delle alleanze confrontiamoci su un programma'? Abbiamo una occasione straordinaria che è quella del caso Mirafiori ". Insomma, spiega, "un punto dirimente per costruire una visione e una coalizione con coloro che si sono opposti, per esempio, alla riforma Gelmini". Su questo, neanche a dirlo, Antonio Di Pietro è pienamente d’accordo. E qui iniziano le nuove grane bersaniane. Il tempo stringe – sebbene un attendista Chiamparino pensi ai 18 mesi necessari perché l’accordo Fiat entri in vigore – , e il segretario dovrà dare la sua risposta. Intanto sono in molti a schierarsi, in un partito diviso, sul quale incombe il Lingotto due di Veltroni, la miniscissione di Parisi e la decisione di Fioroni. La spaccatura è trasversale, perché tra gli ex ds filo-Cgil, molti si sfilano per seguire la linea Cisl-Uil. Così Piero Fassino confessa: "Se fossi lavoratore Fiat voterei sì al referendum". Ma resta la ricerca di un "clima più disteso", come quello del 2008 che, ricorda Cesare Damiano, favorì il documento unitario. E sono in molti a ragionare sull’inasprimento del confronto, che porta alle spaccature. L’accordo di Mirafiori è un "evento positivo", secondo il giusvalorista Pietro Ichino. La Fiom, però, deve "avere voce, non potere di veto", evitando che "si trasformi in un super Cobas fuori sistema". Piuttosto, in un regime di "pluralismo sindacale", diventi normale "che un sindacato firmi un accordo e un altro si rifiuti". Eppure sulla mancata firma, ormai, si combatte l’ultima battaglia nel centrosinistra. Se l’ex diesse Vincenzo Vita considera "riformista" la bocciatura dell’accordo e così anche il responsabile economia pd Fassina, per gli ex popolari, al contrario, il riformismo è proprio nella rottura degli schemi passati. La pensa così Beppe Fioroni, convinto che nella crisi ci vuole coraggio ". E la pensa così la lettiana Alessia Mosca, come il veltroniano Tonini, per il quale il "Pd è un partito di cambiamento". Parla invece come ex leader Cisl Franco Marini: "Da sindacalista io l’accordo per Mirafiori lo avrei sottoscritto". Roberta D'Angelo
29 dicembre 2010 ECONOMIA E LAVORO Mirafiori, verità e bugie sull’intesa Due politici e un sindacalista – rispettivamente Antonio Di Pietro, Paolo Ferrero e Giorgio Cremaschi – hanno detto che l’intesa su Mirafiori è qualcosa che ricorda gli anni del fascismo. Maurizio Landini, segretario nazionale della Fiom, ha sintetizzato le 36 pagine dell’accordo firmato il 23 dicembre in questo modo: "Si riducono le garanzie per i lavoratori e si conferma che non si vogliono pagare i primi giorni di malattia, con sanzioni che possono arrivare fino al licenziamento per i lavoratori che dovessero decidere di scioperare". I sindacalisti che hanno messo i l loro nomi in calce all’accordo per il rilancio di Mirafiori però sono stanchi di essere descritti come i nuovi nemici dei lavoratori. Rocco Palombella della Uilm ha chiesto alla Fiom di smetterla con le "dichiarazioni roboanti" e il "terrorismo nei confronti dei lavoratori". Giovanni Centrella dell’Ugl ha invitato i politici a evitare di "gettare benzina sul fuoco". Giuseppe Farina, segretario nazionale della Fim, è con loro. "La stampa tende a dare 'politicità' alle trattative tra aziende e sindacati e a questo si aggiunge molta approssimazione – dice ad Avvenire – per questo è necessario ribadire quello che per noi è sempre stato chiaro: cioè che questa intesa non mette in discussione in nessun modo i diritti dei lavoratori". Lunedì la Fim ha deciso di fare ordine: ha messo sul suo sito il documento 'Mirafiori: vero o falso? Miti e leggende del Natale 2010' in cui, punto per punto, risponde alle bugie che circolano sull’intesa. La prima falsità è che nell’accordo di Mirafiori "chi farà sciopero sarà licenziato". Non è vero, spiega la Fim, perché l’intesa prevede invece che i sindacati firmatari dell’accordo non possano dichiarare sciopero nello straordinario obbligatorio, e in caso contrario sarebbero multati. Non è vero nemmeno che "l’azienda può farti lavorare anche 10 ore al giorno più una di straordinario", perché questo non è possibile e l’accordo prevede invece che si possa sperimentare un sistema a turni di 10 ore per 4 giorni a settimana se la maggioranza dei lavoratori lo chiederà. Nell’accordo c’è scritto che dopo 6 mesi di monitoraggio delle assenze di malattia se l’assenteismo medio rimane sotto al 6% (oggi è al 7,5%) non succederà nulla, altrimenti dopo 2 assenze brevi legate ai giorni di festa (salvi i casi già previsti dal contratto nazionale) la 'Commissionde assentesimo' verificherà il da farsi e potrà decidere di non pagare il primo giorno. Successivamente la percentuale dovrà scender al 4% e quindi al 3,5% (la media del settore in Piemonte è al 4%). Il nodo vero, però, è quello della democrazia sindacale. La Fiom non avendo firmato sarà esclusa dalla Rsu. È vero che così salta l’accordo del ’93 sulla concertazione nazionale, però, aggiunge Farina, "chi si assume la responsabilità di firmare l’intesa deve anche avere più permessi e garanzie per fare funzionare le cose". Poi i protocolli "che ormai hanno vent’anni hanno anche bisogno di una manutenzione straordinaria". Non che il segretario Fim pensi che l’intesa su Mirafiori sia un testo fantastico. È anzi un accordo "impegnativo" perché chiede turni più duri ai lavoratori, e non solo. "Avrei fatto volentieri a meno di due cose: dell’uscita dell’azienda da Confindustria e della rottura dell’accordo interconfederale – spiega il sindacalista – però l’atteggiamento della Fiom su Pomigliano, con gli scioperi selvaggi contro un testo approvato dai lavoratori tramite il referendum, ha convinto Fiat che il contratto tradizionale non le avrebbe garantito il rispetto delle intese". E allora la Fim in cambio del miliardo di investimenti ha dovuto accettare le due 'newco' (a Pomigliano e a Mirafiori) ritenendole comunque realtà "provvisorie", in attesa che al tavolo con Federmeccanica si arrivi a un contratto dell’auto capace di fare rientrare la nuova Fiat in Confindustria. Un tavolo che sarà "decisivo " anche per la Cgil, che dovrà trovare "il coraggio di accettare che le regole approvate a maggioranza valgono per tutti, e per tutte le categorie". E, dal canto suo, l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, ha commentato: "Mi spiace che alla Fiom non si rendano conto dell’importanza di questo progetto di Mirafiori". Pietro Saccò
2010-12-23 23 dicembre 2010 SINDACATI Fiat, trovato l'accordo per Mirafiori Ma la Fiom non firma "Accordo di portata storica". Così la Fismic ha commentato l'accordo raggiunto giovedì sera a Torino sul futuro dello stabilimento di Mirafiori, di cui ha dato notizia lo stesso sindacato guidato da Roberto Di Maulo. La Fiom, come previsto, non ha firmato l'intesa. "L'accordo di Mirafiori - dichiara la Fismic - ha un'importanza straordinaria per la modernizzazione del sistema di relazioni industriali creando il presupposto del contratto specifico dell'auto maggiormente vicino ai bisogni dei lavoratori e quindi di dare risposte concrete e non ideologiche". L'amministratore delegato di Fiat, Marchionne, ha commentato: con i nuovi investimenti inizia una nuova fase della vita di Fiat Mirafiori. Investimento in joint venture tra Fiat e Chrysler per oltre un miliardo di euro, produzione a regime di 280mila vetture l'anno di Suv Chrysler e Alfa Romeo. Sono due dei punti principali dell'accordo diffusi dai rappresentanti della Fismic presenti all'incontro. L'intesa prevede "il pieno utilizzo degli impianti su sei giorni lavorativi; il lavoro a turni avvicendati che mantiene l'orario individuale a 40 ore settimanali; una crescita del reddito annuo individuale di circa 3.700 euro per la maggiore incidenza delle maggiorazioni di turno; la possibilità di lavorare il 18esimo turno solo con il pagamento dello straordinario; il mantenimento della pausa per la mensa nel turno fino a che la joint venture non andrà a regime; la salvaguardia dei malati reali e un intervento volto a colpire gli assenteisti, al fine di tutelare coloro che hanno assiduità e puntualità nella prestazione; la compensazione di oltre 32 euro mensili per l'assorbimento della pausa di 10 minuti, resa possibile dal minore affaticamento del lavoro con l'introduzione della nuova ergonomia; il mantenimento di tutti i diritti individuali oggi esistenti e il loro miglioramento attraverso la prossima stesura di un Contratto Collettivo su molti punti migliorativo del Ccnl Metalmeccanici (scatti di anzianità, paga base, premio di risultato, ecc.)". L'accordo, avverte inoltre la Fismic, sarà portato alla ripresa dell'attività lavorativa alla discussione dei lavoratori e sottoposto al loro giudizio.
2010-12-17 17 dicembre 2010 LINGOTTO AL BIVIO Confindustria avvisa la Fiat: no al conflitto Appoggio alla Fiat ma senza scardinare il contratto nazionale e alimentare inutili conflitti sociali. Il vertice di Confindustria si smarca dalla linea Marchionne, lanciando un implicito invito alla moderazione al numero uno del Lingotto. Il parlamentino degli industriali, composto dai presidenti territoriali e di categoria, si è riunito ieri con Emma Marcegaglia per mettere a fuoco l’annunciato proposito dell’amministratore delegato di far nascere Pomigliano e la nuova Mirafiori fuori dal sistema Confindustria e dal recinto dei contratti nazionali, minacciando altrimenti un disimpegno dall’Italia. Aspetti sui quali la Consulta degli imprenditori ha lasciato trapelare timori e preoccupazioni, come già mercoledì aveva fatto il direttivo. Il tutto in vista delle prossime scadenze a partire lunedì dall’incontro tra Federmeccanica e i sindacati di categoria (Fiom esclusa) per avviare il tavolo sulle normative per l’auto. Non è confermato per ora un nuovo vertice tra gli stessi Marchionne, Marcegaglia e Alberto Bombassei, il vicepresidente di Confindustria con delega alle relazioni industriali appena nominato nel Cda di Fiat Industrial (è di ieri l’atto di scissione dal gruppo dell’auto). "Siamo al fianco di Fiat e di tutte le altre imprese che vogliono investire – ha detto Marcegaglia prima della riunione – ma la nostra idea è che dobbiamo farlo senza innescare un conflitto sociale che non serve al Paese". In particolare preoccupa il mondo industriale la richiesta del Lingotto di modificare le regole della rappresentanza sindacale nelle aziende, attualmente affidata alla Rsu: Marchionne, che non ha ottenuto il via libera della Fiom a Pomigliano e forse non lo otterrà nemmeno a Mirafiori, punta a un sistema che sancisca l’ineleggibilità per i sindacati che non firmano il contratto. Una norma anti-Fiom che non convince tutti gli imprenditori. Al di là dei dubbi giuridici e costituzionali, c’è il fatto che in diverse fabbriche, specie in Emilia Romagna, le tute blu della Cgil sono il sindacato maggioritario la cui esclusione comporterebbe tensioni e problemi di governabilità. A Sergio Marchionne si riconosce di avanzare "richieste legittime" e si promette sostegno nello sforzo di garantire gli investimenti annunciati dagli eccessi di conflittualità dei sindacati più radicali. Tuttavia l’invito è a muoversi "nel quadro di regole di un contratto nazionale" e quindi a "cercare un accordo", anche per venire incontro ai sindacati più dialoganti come la Cisl e la Uil che a loro volta non gradiscono l’abbandono della cornice nazionale. Via libera quindi a una "modernizzazione delle relazioni sindacali" ma senza scardinare il sistema. Una strada può passare dalla riunione di lunedì tra Fim, Uilm, Fismic, Ugl con Federmeccanica per avviare l’esame di norme contrattuali specifiche per l’auto. Nessuna convocazione invece del tavolo ad hoc su Mirafiori, sospeso dalla Fiat ai primi di dicembre. Martedì le parti si incontreranno al ministro dello Sviluppo, anche se l’oggetto del vertice è il futuro di Terrmini Imerese. Per il leader della Uil Luigi Angeletti si sta "lavorando per fare l’accordo la prossima settimana". Ma i tempi sono stretti e le posizioni, come dimostra anche il vertice di Confindustria, ancora lontane. Sabato intanto la Fiom (che chiama in causa la famiglia Agnelli definendo "imbarazzante" il silenzio degli azionisti) ha annunciato un presidio davanti a Mirafiori. Smentita invece una mobilitazione dei capi e dei colletti bianchi davanti al Lingotto a sostegno della Fiat, sulla falsariga della marcia dei quarantamila, anche se la voce continua a circolare. Nicola Pini
17 dicembre 2010 Le strategie di Fiat e Fiom-Cgil Relazioni industriali e rigidità parallele Un tempo c’erano le "convergenze parallele", ossimoro coniato per tenere unito il Paese in un momento difficile. Oggi, nella vicenda del piano Fabbrica Italia, sembrano prevalere invece le "rigidità parallele" di Fiom e della Fiat. Col rischio di vanificare un importante investimento produttivo e incidere negativamente sull’evoluzione del nostro sistema di relazioni industriali. Il confronto sul futuro dello stabilimento di Mirafiori, infatti, si è interrotto bruscamente la scorsa settimana più che sul merito e i contenuti specifici (lo straordinario, la mensa e le pause), su una questione di metodo e di "cornice" nella quale inserire le innovazioni richieste dall’azienda e sulle quali si stava cercando (faticosamente) un’intesa sindacale. L’irrigidimento delle parti, prima i sindacati e poi soprattutto la delegazione aziendale, ha finito per provocare lo stallo. E in progressione un’escalation di prese di posizione che hanno portato a mettere in discussione sia il contratto nazionale dei metalmeccanici sia la stessa permanenza della Fiat nel perimetro della rappresentanza di Confindustria. Tanto da costringere la presidente Emma Marcegaglia a inseguire a New York un (più o meno onorevole) compromesso, con uscita temporanea della Fiat e promessa di reingresso dopo un contratto-ponte solo per il settore auto. Ora, è chiaro che l’obiettivo principale deve rimanere quello di "portare a casa" l’investimento su Mirafiori, con la produzione del Suv in collaborazione con Chrysler, per assicurare il futuro stesso dei lavoratori. E, a questo fine, è necessario che la Cgil prema sulla Fiom affinché assicuri maggiore disponibilità, abbandonando una visione ideologica della contrattazione quale strumento della lotta di classe. Allo stesso tempo, però, occorre che la Fiat eviti le forzature progressive per non compromettere, non solo le proprie relazioni industriali, ma il sistema più in generale. Il "come" si realizza l’intesa e il "dove" la si colloca, infatti, avranno un significato e conseguenze ben oltre il destino – pur importantissimo – dello stabilimento torinese. Perché uscire da Confindustria, creare una newco (nuova azienda) e un nuovo patto di settore, sganciato da quello nazionale dei metalmeccanici, significa anzitutto minare alla base l’evoluzione del sistema contrattuale, avviata con la riforma dello scorso anno. Non senza fatica, infatti, si è costruita una più moderna griglia basata su due livelli, uno nazionale di garanzia generale e un secondo decentrato che assumerà via via sempre maggior peso, permettendo proprio quelle flessibilità e adattabilità specifiche che la Fiat ricerca. Si tratta di un travaso progressivo di competenze e poteri – favorito dalle deroghe già presenti ad esempio nel contratto dei chimici e introdotte la scorsa estate pure in quello (separato) delle tute blu – che rischia di bloccarsi del tutto se ogni segmento produttivo ricerca un proprio livello nazionale tagliato "su misura". Allo stesso tempo, la nuova forzatura sul contratto finirebbe per fare terra bruciata intorno a quei soggetti come Cisl e Uil impegnati a sostituire, nei rapporti tra capitale e lavoro, il conflitto con la partecipazione. La strategia di Marchionne che lega gli investimenti a una maggiore produttività può fungere da volano per il risveglio del sistema industriale italiano. A due condizioni, però. La prima che non cerchi di scegliersi in proprio le controparti: una strategia fallita già negli anni ’50. La seconda, che il manager italo-canadese non tenti un trapianto di modelli d’oltreoceano troppo distanti dalla nostra tradizione di relazioni sindacali. Il rigetto potrebbe costare caro. Francesco Riccardi
2010-12-11 10 dicembre 2010 FIAT La Newco di Mirafiori nascerà fuori da Confindustria La newco per Mirafiori resterà fuori da Confindustria. Si inizierà a lavorare da subito per la definizione di un contratto auto e, solo quando sarà pronto, la joint venture fra Fiat e Chrysler potrà rientrare nell'associazione di Viale dell'Astronomia. È la soluzione individuata dall'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, e dal presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. La newco per quanto riguarda l'investimento di Mirafiori, ha spiegato la leader degli industriali a margine del consiglio per le relazioni Italia-Stati Uniti, "nasce fuori da Confindustria". A questo punto, ha proseguito, "lavoriamo insieme da oggi per fare un contratto auto in linea con le esigenze di Fiat, che conosciamo benissimo". Poi, "appena ci sarà il contratto tornerà nel sistema Confindustria. Tecnicamente facciamo un contratto dell'auto come vuole Fiat, non ci sembra difficile". Fiat, ricorda Marcegaglia, "ha riconfermato un investimento importantissimo, in un momento in cui l'economia non va bene. C'è la volontà di rafforzare la produzione in Italia e c'è la volontà di gestire in modo serio gli stabilimenti e questo faremo". In questo quadro, "le richieste di Fiat non sono folli, non sono una lesione di diritto e la reazione dei lavoratori penso sarà positiva". "Il contratto nazionale rimarrà". Così il leader degli industriali Emma Marcegaglia ha indirettamente risposto agli attacchi dei sindacati che accusano viale dell'Astronomia di voler scardinare con Fiat il contratto nazionale di lavoro. "Questo è un percorso che oggi noi facciamo con Fiat - ha aggiunto - lo abbiamo fatto con la siderurgia e domani se ce lo chiederà qualche altro settore o azienda specifica lo faremo. Sempre nell'ambito del contratto nazionale". "Chi dice che noi stiamo distruggendo assieme a Fiat o spinti da Fiat il contratto nazionale dice il falso". Ai cronisti che chiedevano un commento a Marchionne sulle 2.500 firme raccolte tra i lavoratori contro la proposta fatta per Mirafiori, l'Ad di Fiat ha risposto che "se il numero è vero, si vede che i lavoratori non vogliono l'investimento. Non c'è niente di anomalo nella richiesta fatta ai lavoratori. Se gli operai di Mirafiori non vogliono me lo dicano". E a chi chiedeva se ci fossero alternative su Mirafiori, il manager italo-canadese ha ricordato che "tutti gli industriali gestiscono la loro realtà con alternative".
2010-12-03 3 dicembre 2010 INDUSTRIA Fiat, fallisce il tavolo su Mirafiori La trattativa sul piano per Mirafiori è finita. La Fiat ha deciso di chiudere il confronto con i sindacati perché non ci sono le condizioni per realizzare l'investimento. I sindacati avevano chiesto di riprendere il confronto tra qualche giorno per poter valutare complessivamente le proposte dell'azienda. "Non sono stupito dalla piega che il confronto ha preso. Da Pomigliano diciamo che la Fiat vuole costruire un suo contratto aziendale al posto di quello nazionale. E' stato un errore seguirli sulla strada delle modifiche contrattuali e delle deroghe". Lo ha detto Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom, aggiungendo: "vogliono un loro contratto e usare quello nazionale come un supermercato dai cui scaffali prendere di volta in volta quello che gli serve. La Fiat è la prima importante azienda italiana - conclude l'esponente della Fiom - che ci porta fuori dal contratto nazionale e dalle regole sociali ed europee. Una specie di zona franca". "Noi non abbiamo interrotto la trattativa, abbiamo chiesto di poter fare una valutazione complessiva con i lavoratori. La risposta dell'azienda che non ci è piaciuta è che ritiene che non ci siano le condizioni per l'investimento. Questo per noi è inaccettabile". Lo ha dichiarato Eros Panicali, responsabile Auto della Uilm. Panicali ha spiegato che "l'azienda vuole applicare un contratto Fiat. Noi abbiamo delle perplessità perché siamo sottoscrittori del contratto nazionale". "La situazione è complicatissima, si è inceppata. La Fiat dovrà decidere nei prossimi giorni se quel testo può essere modificato. Per noi deve comunque confermare l'investimento per Mirafiori". Lo ha detto il responsabile Auto della Fim, Bruno Vitali. "Abbiamo mantenuto la riserva sul contratto nazuonale perché per noi va applicato anche alla joint venture", ha aggiunto. "Abbiamo provato a sbloccare la situazione, ma oltre al no della Fiom, Fim e Uilm si sono riservate di decidere assumendosi una responsabilità gravissima. L'azienda ha detto che non accetta riserve e riferirà a Marchionne che non ci sono le condizioni per concludere il negoziato. la trattativa è chiusa". Lo ha detto il segretario generale Fismic, Roberto Di Maulo, aggiungendo: "Noi eravamo disponibili a chiudere". "Faccio appello alla responsabilità di tutti gli attori del negoziato affinché intelligenza ed esperienza conducano a far prevalere il bene comune". Lo afferma in una nota il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi dopo che è saltato il confronto per Mirafiori. "L'investimento ipotizzato da Fiat per lo stabilimento di Mirafiori - prosegue - talmente importante per il futuro dei lavoratori, del territorio, dell'intero gruppo e dell'economia italiana da meritare la ripresa del dialogo tra le parti con priorità di attenzione a quegli aspetti sostanziali che consentono la piena utilizzazione degli impianti con i conseguenti incrementi retributivi detassati. Ciò richiede l'abbandono di ogni pregiudizio e di ogni rigido formalismo da parte di tutti per ricercare ciò che unisce nel nome del lavoro e dell'impresa".
2010-10-27 27 ottobre 2010 AUTO E MERCATI "Alla Fiat 7,5 miliardi in 30 anni" Resta alta la temperatura del confronto sul futuro della Fiat dopo le dichiarazioni dell’amministratore delegato Sergio Marchionne. Per il segretario della Cgil Gugliemo Epifani, "in Germania sarebbe stato cacciato" se fosse andato a parlare della sua azienda in Tv. Lo difende invece il presidente di Confidustria Emma Marcegaglia che legge l’intervento di Marchionne come "un pungolo a superare i limiti di competitività del nostro sistema industriale". Intanto si muove il governo: il 4 novembre ci sarà un incontro tra lo stesso Marchionne e il nuovo ministro dello Svilippo Economico Paolo Romani. Sul tavolo il piano di investimenti da 20 miliardi di euro Fabbrica Italia, annunciato dalla Fiat ma non ancora articolato nei dettagli, e il possibile ruolo dell’esecutivo per supportarlo. Sindacati e azienda si vedranno invece già domani a Torino. "La Fiat, la famiglia, John Elkann, Marchionne, non hanno affatto detto che intendono lasciare l’Italia", ha detto Emma Marcegaglia. "A me è sembrato che l’appello del manager sia a guardare i problemi dell’Italia, che sono effettivi e non riguardano solo Fiat". Per la presidente di Confindustria dunque l’intervento non deve diventare "motivo di scontro e divisione politica ma piuttosto motivo per riunire le forze".In questo quadro Marcegaglia è tornata a invitare la Fiom-Cgil a "superare la contrapposizione continua"". Il segretario della Cgil Epifani si è chiesto invece "cosa sarebbe successo in Germania se un amministratore delegato di un grande gruppo avesse parlato in televisione e non davanti al suo comitato di sorveglianza? Lo avrebbero cacciato", ha detto Epifani, secondo il quale l’uscita di Marchionne rende ora più difficile affrontare la vertenza. "Marchionne non dice il falso – ha aggiunto – ma scambia la causa con gli effetti. Il problema non è l’orario di lavoro, la Fiat deve far crescere la qualità di quello che produce: se ha 22.000 lavoratori in cig non può chiudere in utile e se sono in cig è perché i suoi modelli non si vendono". Epifani accusa anche il governo di non avere una politica industriale, mentre in questa situazione "qualsiasi governo europeo avrebbe aperto un tavolo e discusso delle prospettive del gruppo". Anche la Fiom sollecita un tavolo governativo richiesta su cui gli altri sindacati, a cominciare da Fim e Uilm, frenano . Una delle accuse più ricorrenti alla Fiat è quella di avere ricevuto soldi pubblici e dunque di avere un debito di riconoscenza verso il paese. La Cgia di Mestre ha fatto due conti in base ai quali gli aiuti di Stato ricevuti dal gruppo torinese ammontano a 7,6 miliardi di euro negli ultimi 30 anni. La fetta più consistente, oltre 5 miliardi, risale agli anni Ottanta. Ma contributi per la costruzione o la ristrutturazione di impianti (a Melfi , Pratola Serra, Foggia) sono stati erogati anche dopo e fino al 2003. La Cgia ricorda anche la spesa a carico dello Stato per coprire gli incentivi alla rottamazione (in vigore fino al 2009) pari a 465 milioni di euro e andati a vantaggio di tutti i costruttori auto. Insomma, i dati confermano che la Fiat ha avuto molto anche se non durante la gestione Marchionne (se si escludono gli incentivi). Nicola Pini
2010-10-26 26 ottobre 2010 PARIGI Francia, approvata la riforma delle pensioni Con 177 voti e favore e 151 contrari, il Senato francese ha approvato la versione definitiva del testo sulla riforma delle pensioni messo a punto dalla Commissione mista Assemblea-Senato. La riforma passerà mercoledì al vaglio dell'Assemblea, il cui voto sarà però poco più che una formalità, prima della promulgazione del presidente della Repubblica. Il Partito socialista ha annunciato che presenterà ricorso alla Corte costituzionale. "È un voto storico e solenne", ha commentato il ministro del Lavoro Eric Woerth, celebrando la vittoria del governo arrivata dopo un dibattito parlamentare durato 146 ore in 16 giorni caratterizzati da scioperi e manifestazioni di protesta. Scarsa adesione degli studenti francesi alla nuova giornata di proteste indetta per oggi dall'Unef, il primo sindacato degli studenti universitari, contro la riforma delle pensioni. Obiettivo di questa nuova giornata di mobilitazione doveva essere quello di mostrare al governo del presidente Nicolas Sarkozy che la mobilitazione non si sarebbe indebolita durante le vacanze di Ognissanti. Ma sulle 83 università di Francia, solo un massimo di 7 università registravano questa mattina blocchi o disagi.
2010-10-16 16 ottobre 2010 MANIFESTAZIONE Fiom in piazza, Epifani evoca lo sciopero generale "Dopo la manifesatzione del 27 novembre in assenza di risposte noi continueremo se necessario anche con lo sciopero generale". Lo ha detto il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, al termine del suo intervento dal palco di piazza San Giovanni dove è in corso la manifestazione della Fiom che si è appena conclusa. "Lo sciopero - ha aggiunto - è un grande sacrificio, lo dobbiamo preparare per bene, portando tutto il mondo del lavoro con le giuste proposte". "La Cgil non lascerà sola la Fiom" nelle battaglie per i diritti, "perchè sono nostre battaglie e sono quelle che ci hanno guidato, quelle che ci hanno fatto dire di no quando altri hanno firmato e noi, invece, non abbiamo chinato la testa", ha detto ancora Epifani.
La manifestazione. Metalmeccanici della Fiom in piazza a Roma, dove due corteisono confluiti in piazza San Giovanni, per il comizio finale. Il corteo da piazza della Repubblica si è mosso chiedendo "lavoro". Allerta per la sicurezza, ma Landini e Epifani sottolineano: abbiamo lavorato perchè sia una manifestazione pacifica. Partecipano anche i tre operai della Fiat di Melfi licenziati e reintegrati dal giudice e studenti delle scuole e università romane, contro il precariato. "Il Paese sta rotolando. Il Paese è stato lasciato a sé stesso e dunque serve un cambiamento della politica economica". Sono queste le motivazioni per cui la Cgil e la Fiom sono in piazza oggi per una grande manifestazione nazionale: a dirlo il numero uno del sindacato di Corso Italia, Guglielmo Epifani, prima della partenza del corteo da Piazza della Repubblica. "Siamo in piazza per i diritti, lavoro e occupazione. Ma anche per chiedere un contratto senza deroghe. C'è una situazione sociale molto pesante e una politica economica molto difficile", ha spiegato Epifani. "Aumentano i disoccupati e i casi di crisi aziendale - ha proseguito - e le imprese che approfittano della crisi per ridurre i diritti: serve un impegno vero del governo per la tutela dei diritti dei lavoratori. Questa sarà una grande manifestazione di protesta, una spinta a chiedere un cambiamento profondo". "Qui il problema non è la Fiom o la Cgil, bisogna ricongiungersi ai lavoratori, alla loro condizione" ha inoltre affermato Epifani. Quello di oggi in Piazza S.Giovanni sarà, per il leader della Cgil, l'ultimo comizio prima del passaggio di testimone a Susanna Camusso, attuale vicesegretario generale di Corso d'Italia. "Io sono stato eletto otto anni fa - ha ricordato Epifani -, ho iniziato con lo sciopero generale del 18 ottobre sui diritti, la dignità, l'occupazione e lo sviluppo. Chiudo con l'ultimo comizio, insistendo ancora sui diritti e sull'occupazione. Malgrado tutti gli sforzi e le mobilitazioni, c'è ancora tanta strada da fare per far ripartire gli investimenti e l'occupazione".
2010-10-14 14 Ottobre 2010 SINDACATO Fiom, Maroni: rischio infiltrazioni per manifestazione di sabato a Roma "Elevati rischi di infiltrazioni" di gruppi violenti, "anche stranieri" alla manifestazione organizzata dalla Fiom a Roma sabato prossimo. L'allarme lo lancia il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, nel corso della registrazione di 'Porta a porta', sostenendo che è "un'occasione troppo ghiotta". Il ministro ha spiegato che la grande maggioranza delle persone manifesterà pacificamente, ma c'è il rischio che "gruppetti, staccandosi dal corteo, vadano a spaccare le vetrine: la Fiom sono sicuro che saprà controllare". Ha annunciato quindi che domani incontrerà i vertici del sindacato. Maroni ha poi parlato di "clima non buono" in Italia, con le minacce a sindacalisti e frange di violenti che considerano i riformisti "collaborazionisti, traditori".
2010-10-06 5 ottobre 2010 'NDRANGHETA Reggio, bazooka in tribunale "Messaggio" per Pignatone "Andate e troverete una sorpresa per Pignatone". Così un anonimo e minaccioso "centralinista" della 'ndrangheta la notte scorsa ha chiamato il 113. Poco dopo, in un'area di via Cardinale Portanova, in prossimità della sede del Consiglio regionale della Calabria, la polizia ha trovato un bazooka monouso, già utilizzato e quindi inoffensivo. È il "regalo" che la 'ndrangheta ha donato al capo della Procura di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone, uno dei magistrati in prima linea a combattere la criminalità organizzata. La risposta dello Stato non si è fatta attendere e questa mattina Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza hanno eseguito 250 perquisizioni in tutta la provincia di Reggio Calabria. Nel mirino degli investigatori i capi dei principali casati dell'ndrangheta nei confronti dei quali sono in corso attività di controllo, ispezioni e perquisizioni finalizzate alla ricerca di armi ed esplosivi. Alla grave minaccia rivolta al procuratore Pignatone hanno fatto seguito dichiarazioni di solidarietà bipartisan dal mondo politico. Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha telefonato al procuratore di Reggio Calabria per esprimergli la propria solidarietà dopo le minacce ricevute questa mattina. Nel corso della telefonata il ministro ha ribadito al procuratore l'impegno del governo "a ribattere colpo su colpo l'offensiva della 'ndrangheta". Per il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, "l'inquietante episodio conferma ancora una volta la gravità della situazione in Calabria e anche che, in un contesto così a rischio, la magistratura ha bisogno di essere sostenuta in modo più netto. Il Pd si impegnerà perchè i magistrati e le forze dell'ordine che ogni giorno si battono per liberare il Sud dalla mala pianta della 'ndrangheta non rimangano soli". Secondo il ministro della Giustizia Angelino Alfano "si tratta dell'ennesimo tentativo messo in campo dalla 'ndrangheta, ferita a morte dai continui successi della magistratura, delle forze dell'ordine e del governo. Occorre stringersi attorno agli uomini impegnati in prima linea su questo fronte, garantendo, in particolare ai magistrati, la possibilità di svolgere con serenità il loro delicato compito a favore della giustizia e della legalità". "Alla magistratura e alle forze dell'ordine va tutto il nostro sostegno continuiamo a chiedere a gran voce al governo di sostenere il loro operato con strumenti adeguati sia economici sia logistici", dichiara il leader dell'Idv Antonio Di Pietro; mentre il segretario dell'Udc Pier Ferdinando Casini afferma: ai magistrati come Pignatone "lo Stato deve fornire mezzi, uomini e strutture per rendere efficace la lotta alla criminalità che rende i calabresi sempre più sgomenti". L'Anm, poi, rileva che "lo Stato non può lasciare solo chi si sforza di garantire il controllo di legalità in zone del Paese dove opera una delle più cruente forme di criminalità organizzata come la 'ndrangheta". I funzionari di Polizia sottolineano infine la necessità di "potenziare strutture investigative e di controllo del territorio". "Un segnale inquietante, che va colto e approfondito in tutte le sue dinamiche". Così sostiene Libera, esprimendo vicinanza al procuratore capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, vittima di minacce. "Da parte nostra - continua Libera - sentiamo che non basta esprimere ancora una volta la pur doverosa solidarietà. È oggi più che mai necessaria la corresponsabilità. Ognuno è chiamato a fare la propria parte, quotidianamente. A partire dallo Stato, che deve fare di più, garantendo l'indipendenza e l'autonomia alla magistratura e una giustizia veloce, efficiente ed efficace. Ma, in questi momenti, vogliamo ribadire che la Calabria c'è: la gente comincia a denunciare, i cittadini sempre di più partecipano e scendono in piazza". "Siamo consapevoli delle difficoltà -conclude quindi Libera - ma siamo convinti che il lavoro della Procura, dei magistrati e di tutti gli operatori delle istituzioni, assieme all'impegno responsabile dei cittadini, delle oltre 60 associazioni, gruppi, movimenti, laici e cristiani riunite in ReggioliberaReggio, dei tanti amministratori e sindaci seri, onesti, che nella trasversalità, con competenze e riferimenti diversi, alimentano la speranza e insieme possiamo isolare la criminalità mafiosa e ogni forma di violenza". Una fiaccolata di solidarietà al procuratore capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, e a tutti i magistrati antimafia, si svolgerà questa sera a Reggio Calabria, dopo l'ultimo episodio di intimidazione. La manifestazione è stata promossa dal movimento "Reggio non tace".
2010-09-29 29 settembre 2010 POTENZA Il giudice del lavoro:"Inammissibile ricorso Fiom sugli operai di Fiat a Melfi" Ricorso "inammissibile". Così il giudice del lavoro di Melfi, lo stesso che aveva emesso il provvedimento di annullamento dei licenziamenti dei tre operai Fiat, ha giudicato l'istanza presentata dalla Fiom sulle modalità con cui la Fiat aveva attuato il reintegro dei tre operai dello stabilimento di Melfi (Potenza) licenziati nel luglio scorso. L'udienza durante la quale la Fiom aveva presentato la sua istanza si è svolta il 21 settembre scorso. Il sindacato aveva contestato la decisione della Fiat di riammettere i tre licenziati permettendo loro di svolgere attività sindacale ma non di tornare a lavoro sulle linee produttive. In una nota, i legali della Fiat hanno evidenziato che "nel dichiarare inammissibile l'istanza della Fiom, il Tribunale di Melfi ha confermato trattarsi di richiesta estranea al nostro ordinamento processuale, sottolineando che la stessa costituisce 'tentativo, che oltrepassando i limiti dell'analogia, si caratterizza per essere un'iniziativa creativa e di politica legislativa, inibita all'ordine giudiziario".
2010-09-28 28 settembre 2010 ISTAT Crisi, il Nord-Ovest è più penalizzato Il Nord-Ovest ha pagato la crisi nel 2009 più delle altre zone d'Italia. È quanto emerge dallo studio Principali aggregati dei conti economici regionali a cura dell'Istat. Lo scorso anno infatti il Pil si è ridotto del 6% nel Nord-Ovest, del 5,6% nel Nord-Est, del 3,9% nel Centro e del 4,3% nel Mezzogiorno, a fronte di un valore nazionale pari a -5%. Il Pil per abitante ai prezzi di mercato, misurato dal rapporto tra Pil nominale e numero medio di residenti nell'anno, segna una flessione del 3,7% a livello nazionale. Il calo è più contenuto nel Mezzogiorno (-2,7%) e nel Centro (-2,9%), mentre è più marcato nel Nord-Ovest (-4,6%) e nel Nord-Est (-4,5%). Diversa è la fotografia della spesa delle famiglie italiane che si è ridotta dell'1,9% nel 2009 rispetto al 2008. Il calo maggiore si è registrato al Mezzogiorno con un -2,8% seguito dal Centro -2,1%, dal Nord-Ovest -1,7% e dal Centro-Nord -1,6%. Meglio di tutti fa il Nord-Est -1%. La Confesercenti intanto indica nel "posto di lavoro" la grande priorità degli italiani. Dal quarto rapporto su Gli Italiani e la crisi promosso da Confesercenti-Ispo emerge che il 61% degli italianai si dichiara molto o abbastanza preoccupato a causa della crisi. In particolare, cresce anche il numero di coloro che si dicono molto allarmati (dal 28 al 31%). Una sensazione di ansia che tormenta soprattutto imprenditori, dirigenti e liberi professionisti ma anche i lavoratori dipendenti dalle basse qualifiche. Paradossalmente però sono i diplomati e laureati a dormire sonni meno tranquilli di coloro che hanno conseguito solo la licenza elementare o media. E naturalmente in prima fila fra coloro che mostrano preoccupazione ci sono i giovani fra i 18 e i 34 anni, mentre finisce pari il confronto fra uomini e donne. Analizzando il dato per aree geografiche, secondo il rapporto la preoccupazione sale di ben 11 punti nel Nord-Est (dal 21% di maggio al 32% di settembre 2010) mentre ad esempio nel Sud sale solo di un punto (dal 36 al 37%). Per il presidente della Confesercenti Marco Venturi dunque servono cinque mosse per rilanciare lo sviluppo: taglio coraggioso delle spese, meno pressione fiscale, investire in infrastrutture, autonomia energetica, lotta alla criminalità. "Il calo di fiducia non è il solo segnale negativo - sottolinea Venturi - in quanto ad esso si aggiunge il fatto che la gran parte degli italiani non crede che la crescita nel 2011 sarà significativa e vigorosa". Ecco perchè, dice il presidente di Confesercenti, "si deve elevare la qualità del confronto politico e sociale se non vogliamo sprecare altri preziosi mesi".
2010-09-25 25 settembre 2010 GENOVA Marcegaglia: il governo proceda "Ma la pazienza sta finendo" "Il governo deve andare avanti, deve governare, ma sappia che tutto il mondo delle imprese e i cittadini stanno esaurendo la pazienza". Lo ha detto la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, concludendo il convegno di Genova. "Bisogna fare subito - ha aggiunto - senza tentennamenti. Il governo ascolti l'Italia che c'è qui, ma anche fuori, fatta di tanta gente che con grande senso responsabilità fra mille problemi continua a fare il proprio mestiere con determinazione". "Il Paese - ha sottolineato Marcegaglia - ha problemi di crescita, di occupazione, bisogna tornare a crescere. È molto chiaro quello che bisogna fare, ma è venuto il momento di farlo. Anche l'Europa ci costringe a fare delle scelte. Il teatrino della politica di cui parla lo stesso Berlusconi è necessario che finisca". La presidente di Confindustria ha sottolineato l'esigenza "di fare scelte a favore delle infrastrutture, della ricerca, della formazione, pur mantenendo il rigore dei conti pubblici".
2010-09-24
24 settembre 2010 CONFINDUSTRIA Marcegaglia: serve reale politica di crescita L'Italia oggi "ha un problema serio di crescita" e se dunque "il rigore nei conti pubblici non è una opzione ma un must", allo stesso tempo "bisogna fare una reale politica di crescita". A ribadirlo è la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, intervenendo alla seconda Assise di Confindustria Toscana a Viareggio (Lu), all'interno dei cantieri navali Azimut Benetti. "Il Paese si concentri su questo tema della crescita", ha ribadito la Marcegaglia che chiede "da tempo" alla politica, e ora "con una certa stanchezza", "risposte chiare e forti". I punti sottolineati dalla Confindustria riguardano lo snellimento della burocrazia e il taglio dei costi improduttivi ("nelle nostre imprese nella crisi abbiamo tagliato tutti i costi"); il taglio delle tasse (l'auspicio è che il tavolo per le tasse porti a "ridurre la pressione fiscale su chi tiene in piedi questo Paese, imprese e lavoratori", con la disponibilità a ragionare sulle rendite finanziarie); le infrastrutture ("sulle opere strategiche i fondi ci siano, e se non ci sono bisogna dirlo, basta bugie"); l'energia; il mercato (perchè il Paese mostra una "allergia al mercato" e anche questo governo "sta facendo una politica assolutamente contraria al mercato"); il merito, la ricerca e la formazione e in questo senso l'auspicio è che la Riforma Gelmini passi "intatta" alla Camera. Un analogo impegno per la crescita la numero uno di Confindustria lo chiede all'Europa: "Si sta discutendo di un nuovo Patto di Stabilità per la crescita, questo vorrà dire una ancora maggiore sorveglianza sui conti pubblici, e noi saremo un sorvegliato speciale per il nostro debito, ma anche una maggiore sorveglianza sulle politiche di crescita. Serve più Europa ma anche l'Europa deve cambiare" e deve "tornare a valorizzare la propria industria".
2010-09-22 21 settembre 2010 ROMA Alitalia: illazioni sul presunto piano esuberi L'Alitalia definisce "illazioni" le notizie circolate su "un presunto piano esuberi" e assicura, in una nota, che "l'eventuale evoluzione degli organici in termini di efficienza e flessibilità organizzativa derivante dal miglioramento delle performance e dei livelli di produttività saranno affrontati, quando necessario, di concerto con le Organizzazioni Sindacali firmatarie degli Accordi del 2008". L'Alitalia definisce "illazioni" le notizie circolate su "un presunto piano esuberi" e assicura, in una nota, che "l'eventuale evoluzione degli organici in termini di efficienza e flessibilità organizzativa derivante dal miglioramento delle performance e dei livelli di produttività saranno affrontati, quando necessario, di concerto con le Organizzazioni Sindacali firmatarie degli Accordi del 2008".
2010-09-17 16 settembre 2010 AUTO Fiat, via libera alla scorporo L'assemblea degli azionisti di Fiat , come atteso, ha approvato oggi la scissione in due del gruppo. Lo ha affermato il presidente John Elkann, dichiarando il risultato della votazione. Via libera dunque al progetto dell'AD Sergio Marchionne che prevede la nascita di due distinte società quotate in Borsa, Fiat Spa e Fiat Industrial. Le azioni Fiat Industrial, secondo le previsioni di Marchionne, arriveranno a Piazza Affari il prossimo 3 gennaio. "È un'assemblea storica per la Fiat che darà vita a due Fiat, una legata ad auto, che con l'accordo con Chrysler è molto rafforzata e ha una gamma di prodotto molto estesa", aveva detto il presidente John Elkann, stamane in apertura dei lavori. "L'altra, Fiat Industrial, è meno conosciuta. Però, nei mercati in cui opera, dei veicoli commerciali, camion, macchinari movimento terra e agricolo è una delle società più grandi del mondo". "L'assemblea voterà per dar vita a due Fiat forti, con obiettivi, ambizioni e persone pronte a realizzarli".
16 settembre 2010 MERCATO AUTOMOBILISTICO Auto, immatricolazioni in calo In Europa -12,9% ad agosto Le immatricolazioni di nuove auto nell'Unione europea sono scese del 18,6% a luglio, del 12,9% ad agosto. Nei primi otto mesi dell'anno, da gennaio ad agosto sono scese del 3,5%, secondo i dati forniti da Acea. Per quanto riguarda il gruppo Fiat, le immatricolazioni sono scese del 31,1% a 80.626 auto a luglio nei Paesi Ue più Efta, pari a una quota di mercato del 7,5% dal 9% dello stesso periodo 2009. Ad agosto le immatricolazioni sono calate del 23,8% a 46.899 per una quota di mercato che si attesta al 6,4% dal 7,4% di un anno prima. Nei primi otto mesi dell'anno il ribasso di auto vendute dal Lingotto sempre nella zona euro è stato pari al 13,7% a 735.353 per una quota di mercato scesa al 7,9% dall'8,9% dello stesso periodo 2009. Anche Fiat Group Automobiles registra un calo delle vendite, causato principalmente dal fatto che nel 2009 aveva beneficiato in maniera forte della sua gamma di vetture a basso impatto ambientale, che usufruivano degli eco-incentivi in numerosi Paesi europei, spiegano alla Fiat. Il calo delle vendite di Fiat Group Automobiles in Europa è stato causato principalmente dal tradizionale rallentamento del mercato italiano, come avviene ogni anno a causa delle ferie estive, e dalla caduta della Germania, dove il mercato in luglio è sceso del 30,2% e in agosto del 27%. Va ricordato che, in questo Paese, nel 2009 i modelli ecologici che usufruivano degli incentivi alla rottamazione avevano permesso a Fiat Group Automobiles di ottenere risultati straordinari, concludono al Lingotto.
2010-09-13 13 settembre 2010 MORTI BIANCHE Capua, la rabbia e il dolore per i tre operai morti Dopo la morte dei tre operai, di una ditta esterna, alla Dsm di Capua, i dipendenti dell'azienda non parlano. Ieri tutti sono stati convocati per un'assemblea con la presenza anche di alcuni vertici dell'azienda arrivati direttamente dall'Olanda. Carmela, da tutti chiamata Lina, 27 anni, occhi gonfi, è entrata dritta nello stabilimento della multinazionale Dsm. Lì dentro, in una cisterna, suo padre è morto, insieme ad altri due colleghi. E così ieri mattina Lina si è messa in ginocchio e a tutti ha chiesto di "fare giustizia". Ha urlato "li trattavate come schiavi". E poi è scoppiata a piangere. È il giorno della rabbia a Capua. E delle accuse. Una su tutte, quella della moglie di una delle vittime: "Assassini, lì dentro non c'era sicurezza". Giuseppe Cecere, 52 anni, Carmine Antropoli, sindaco di Capua, lo ha definito eroe. Secondo una prima ricostruzione, Giuseppe si sarebbe infatti calato in quella cisterna piena zeppa di azoto e di elio, vale a dire una miscela che uccide, proprio per aiutare gli altri suoi due colleghi, Antonio Di Matteo, 63 anni, e Vincenzo Musso, 43 anni. Lui, del resto, era un tipo che quando c'era da lavorare, non si tirava mai indietro. Per la ditta edile di Afragola, che prestava servizio per la Dsm, ci lavorava da 30 anni. Insieme con la moglie e ai suoi tre figli, due ragazze di 27 e 25 anni, e un maschio di 19 anni, viveva proprio in una palazzina di fronte allo stabilimento della multinazionale. Al secondo piano di quella palazzina, nella casa di Giuseppe, foto in ogni dove, ieri le urla della moglie spezzavano in mille pezzi il silenzio. "Non c'è sicurezza, dicono che c'è, ma non è vero - ha ripetuto Giuseppina con ritmo quasi cadenzato - dicono che queste morti sul lavoro non ci devono essere, e invece continuano ad esserci". Ha quasi un rammarico, Giuseppina, bruna, bella, di aver a stento sentito che, poco dopo le sei, il marito è andato via, "non l'ho neanche salutato". "Li trattavano come schiavi - ripete anche la moglie di Giuseppe - gli facevano fare di tutto. Bisogna lavorare, lavorare, lavorare, è urgente, è urgente: i suoi capi non facevano che ripetere questo". Lo avevano detto anche ad agosto quando a Giuseppe erano stati concessi quattro giorni di ferie, "poi diventati tre perchè doveva fare un lavoro urgente", dice Lina. Giuseppe guadagnava mille euro e lo straordinario per il lavoro di ieri - chi dice trenta euro, chi 50 come se importasse - gli sarebbe stato pagato a dicembre. LE DICHIARAZIONI DI MONSIGNOR SCHETTINO Per monsignor Bruno Schettino, arcivescovo di Capua e presidente della Commissione episcopale per le migrazioni, spiegando la situazione del territorio di Capua e del Casertano, dove è avvenuto il grave incidente sul lavoro che ha visto la morte di tre operai, "il rischio è che nell'assenza di lavoro, prevalgano la violenza, il crimine, lo spaccio di droga. C'è bisogno di un impegno più forte delle autorità". "Nel nostro territorio - ha proseguito monsignorSchettino - le industrie sono finite, negli ultimi anni hanno chiuso diverse aziende fra le quali alcune legate ai tabacchi e alla telematica. In tutto il territorio, adesso, le possibilità di lavoro sono quasi inestinti". "La crisi - ha spiegato ancora l'arcivescovo - è cominciata una quindicina di anni fa, poi lentamente e inesorabilmente, è sempre andata avanti".
12 settembre 2010 La catena di morti bianche Non solo fatalità. Sicurezza senza prezzo Altre tre vittime, altri tre caduti sul lavoro, nuovi numeri – esseri umani, in realtà – che si aggiungono alla dolorosa statistica delle cosiddette morti bianche, alla lista di quanti a sera non tornano dalla fabbrica o dal cantiere, all’elenco di coloro che hanno dato la vita per un magro salario e un misero risarcimento postumo alla famiglia in lacrime e nel bisogno. Di fronte alla tragedia avvenuta ieri a Capua manifestare sentimenti di dolore e costernazione per le tre vite stroncate da una cisterna maledetta che andava bonificata è dovere etico e civico al quale nessuno può sottrarsi, pur nella consapevolezza che il dolore e la pietas sono inadeguati ad esprimere l’indignazione che coglie al ripetersi di drammi siffatti, frutto di sostanziale incuria per la sicurezza di chi lavora e di mancato rispetto delle regole, prima che di fatalità. Non basta neppure – anche questo deve esser chiaro – manifestare solidarietà di facciata, a parole, alle famiglie delle vittime. Sappiamo qual è di solito l’epilogo triste di queste vicende: i congiunti vengono tacitati con una manciata di soldi, ai processi – quando pure si celebrano – le parti civili si ritirano, se dei colpevoli vengono individuati se la cavano con poco. Diciamolo, allora. Diciamo con forza e senza perifrasi che la vera espressione di solidarietà a queste famiglie dovrà sostanziarsi in primo luogo in un equo risarcimento materiale. La vita umana non ha prezzo, non è monetizzabile, ma assicurare ai superstiti un’esistenza dignitosa è comunque un dovere. In secondo luogo, genuina manifestazione di solidarietà a queste di Capua e a tutte le altre famiglie delle vittime di morti bianche potrà venire dall’adozione di ulteriori misure atte a fare in modo che simili tragedie non abbiano più a verificarsi. Altrimenti restiamo alle chiacchiere e alle discussioni accademiche buone a tacitare qualche coscienza ma assolutamente inidonee a rendere più sicuri determinati ambienti di lavoro. Troppo frequentemente la cronaca si occupa di morti per asfissia all’interno di cisterne o di spazi chiusi equiparabili. Altrettanto frequentemente emerge che una delle vittime ha perduto la vita nel generoso quanto vano tentativo di portare soccorso ai colleghi in difficoltà. Sono morti che non si possono sempre attribuire a fatalità. Fatalità, al limite, potrebbe essere la caduta da un ponteggio per la rottura accidentale di un sostegno, ma in certi casi no, in certi casi basterebbe usare un autorespiratore che permetta di non inalare esalazioni venefiche. Non sappiamo quali siano nel dettaglio le disposizioni da adottare in questi casi essendo la normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro complessa, astrusa, a volte contraddittoria. Certo, in una cisterna non si sta in apnea. È troppo allora chiedere che venga imposto per legge a tutte le aziende di far usare autorespiratori a chiunque debba accedere ad una cisterna (qualunque ne fosse stato il contenuto) e a chiunque si trovi ad operare all’esterno di essa? È troppo auspicare che l’imposizione venga poi fatta rispettare con estremo rigore, assieme a tutte le altre che davvero tutelano la salute e la vita di chi lavora? Nessuna impresa che effettui operazioni subacquee fa immergere un palombaro privo di scafandro. È proprio tecnicamente assurdo o economicamente insostenibile imporre adeguate misure di sicurezza per salvare vite umane? Antonio Giorgi
2010-09-11 11 settembre 2010 CAPUA Cadono in una cisterna muoiono tre operai Tre operai, che lavoravano alle dipendenze di una ditta di Afragola, sono morti in un incidente sul lavoro avvenuto a Capua. Secondo quanto riferito dai vigili del fuoco, i tre operai stavano lavorando alla bonifica di una cisterna dello stabilimento della multinazionale olandese "DSM" quando due sono stati investiti dalle esalazioni provenienti dalla cisterna. Inutilmente il terzo operaio ha tentato di soccorrere i colleghi finendo, però, nel fondo della vasca priva di sensi. I corpi delle tre vittime sono già stati recuperati ed è stato identificato Giuseppe Cecere, di 50 anni, sposato e padre di tre figli, residente non molto lontano dal luogo dove è avvenuta la tragedia. All'esterno dell'industria chimica - che si trova all'ingresso della città di Capua, sulla Statale Appia - si sono radunati i familiari delle tre vittime. In preda alla disperazione, attendono notizie dai soccorritori e dalle forze dell'ordine che stanno presidiando i cancelli. Sono giunti anche numerosi residenti nella zona che, appresa la notizia, stanno portando la loro solidarietà ai familiari degli operai decedeuti. LA NOTA DI SACCONI Il Governo partecipa al dolore dei congiunti e dei colleghi dei tre lavoratori caduti oggi a Capua. "Colpisce in particolare il fatto che ancora una volta siano vittime di infortuni gravi o mortali nel lavoro coloro che operano in appalto specificamente nei servizi di manutenzione - si legge in una nota diffusa dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi -. Il nuovo Testo unico in materia di sicurezza nel lavoro ha introdotto una disciplina ancor più impegnativa con riferimento al rapporto tra appaltante e appaltatore introducendo il Documento unico dei rischi interferenziali affinchè ci sia una compiuta conoscenza di tutti gli elementi utili a svolgere il lavoro in condizioni di sicurezza. Se nel caso specifico sarà doverosa la più accurata indagine circa le eventuali responsabilità. Più in generale vogliamo operare per una specifica prevenzione relativa a questo tipo di infortuni convocando una riunione dedicata con le Regioni e le parti sociali per la effettiva applicazione della norma richiamata del Testo unico e una più accurata attività ispettiva in materia".
2010-09-09 2010-09-09 metalmeccanici Sale la tensione dopo la mossa di Federmeccanica Marcegaglia plaude Le tute blu della Cgil attaccano: siamo pronti ad andare in tribunale Contratto, la Fiom sceglie lo sciopero La disdetta del vecchio contratto metalmeccanico è "un questione tecnica e un atto di chiarezza", afferma la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. "Avete ceduto al ricatto della Fiat", replica il segretario della Fiom Maurizio Landini che giudica illegittima la decisione, contro la quale le tute blu della Cgil promettono battaglia legale e hanno proclamato 4 ore di sciopero. È scontro il giorno dopo la decisione degli industriali metalmeccanici di recedere dall’ultimo contratti di lavoro firmato anche dalla Fiom e formalmente valido ancora per quindici mesi. Una scelta già implicita con il varo del nuovo contratto nel 2009, non firmato dalla Fiom ma dagli altri sindacati. Ma che ora ha reso ufficiale la volontà degli imprenditori di cambiare strada a partire dal gennaio 2012 e che ha riattizzato la tensione tra le parti, come si è già visto durante la vicenda Pomigliano. "Andremo avanti con chi ci sta", precisa Federmeccanica mentre Marcegaglia definisce la decisione degli imprenditori meccanici "un’accelerazione su una strada già iniziata" e respinge l’accusa che sia avvenuta su mandato di Sergio Marchionne. "Noi abbiamo fatto una riforma degli assetti contrattuali che prevede deroghe". Il capo degli industriali, preoccupata per il quadro economico e anche per quello politico (con il no alle elezioni anticipate e la richiesta di nominare il ministro dello Sviluppo), accusa la Fiom: "Abbiamo firmato contratti in tutti i settori anche con la Cgil: il problema vero è la Fiom che non accetta nessun cambiamento che renda le imprese più competitive". Poi l’auspicio che quel sindacato ci possa ripensare .Perché, ha affermato, "se non acceleriamo questo cambiamento avremo aziende che non stanno in piedi". Anche il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni accusa la Fiom, che "grida ogni giorno al lupo perchè questo è l’unico modo per stare in piedi", mentre "dovrebbe imparare le regole democratiche". Dalla federazione guidata da Maurizio Landini arrivano segnali di battaglia. La Fiom non ha "nessuna intenzione di accettare la grave decisione" di Federmeccanica e ha proclamato nel Comitato centrale quattro ore di sciopero articolate a livello locale entro il 16 ottobre, quando terrà a Roma una manifestazione a difesa del contratto e "contro i ricatti". In vista delle trattative sulle deroghe contrattuali (primo incontro il 15 settembre) Landini chiede alla Fim Cisl e alla Uilm, di sospendere tutto e organizzare un referendum tra i lavoratori "per verificare se hanno il mandato a fare una trattativa per cancellare il contratto". La Fiom comunque non parteciperà a un negoziato "per uccidere i contratti". Alle imprese le tute blu della Cgil fanno sapere di essere pronte a "portare in tribunale chi non volesse rispettare e applicare il contratto mentre a Marchionne dicono di "smetterla con i diktat e di avere la pazienza di contrattare". Non fa breccia nel parlamentino Fiom la posizione di minoranza (vicina al leader Cgil Epifani) che invitava a "superare il muro contro muro". La linea Landini ha ottenuto il 79% dei voti. Per la segreteria Cgil comunque "la disdetta è una scelta sbagliata che accentua la divisione e determina la balcanizzazione delle relazioni industriali". Nicola Pini
9 settembre 2010 La scelta di Federmeccanica, i toni roventi, l’aggressione anti-Cisl Non è finito il mondo ma si negozia E nessuno giochi col fuoco "Diritti violati", "Costituzione ferita", addirittura "democrazia in pericolo" per un "disegno eversivo". A leggere alcuni dei commenti al recesso dal contratto dei metalmeccanici, l’Italia sembrerebbe riprecipitata ai tempi dell’autunno caldo. O forse ancora più indietro: alla cancellazione delle libertà sindacali durante il fascismo. Una drammatizzazione ingiustificata, con parole potenzialmente assai pericolose, che è assolutamente necessario tornare a misurare. La violenta e inaccettabile contestazione al segretario della Cisl, infatti, dimostra che siamo già abbondantemente oltre il confine del confronto democratico, della protesta legittima. E che nessuno – sia esso un sindacalista, un manager o un intellettuale, qualunque siano le ragioni di cui è portatore – può permettersi di esasperare ulteriormente la situazione sociale, piagata dalla crisi economica. Il Paese porta ancora le cicatrici dolorose, incancellabili, di stagioni recenti nelle quali uomini del dialogo hanno pagato con la vita il coraggio delle riforme. E ai cittadini, sgomenti, è toccato a posteriori valutare le assonanze tra certi slogan, le analisi allarmistiche e il linguaggio dei documenti di rivendicazione. Le parole pesano. Possono diventare petardi, sassi e altro ancora. Nello scontro di idee, di posizioni legittime, prima ancora di moderare i toni, occorre assolutamente mantenere le questioni nella loro esatta proporzione, senza forzature. E allora forse è opportuno chiarire l’esatta portata di quanto è accaduto nel settore metalmeccanico. Dicendo in premessa che per una tuta blu oggi non cambia nulla sul piano pratico. La Federmeccanica ha annunciato la volontà, a partire dal 2012, di recedere da un contratto nazionale – quello firmato nel 2008 da tutti i sindacati – che è stato già superato da un altro accordo, stretto nell’ottobre del 2009 senza la firma della Fiom-Cgil. A sua volta, quest’ultimo aveva recepito l’impianto dell’intesa precedente e aggiunto aumenti salariali. Cominciando però – questa la peculiarità – a prevedere la possibilità di derogare dalle norme generali, in alcuni casi specifici e previa contrattazione fra le parti sociali. E questo seguendo le linee generali dell’intesa interconfederale – firmata a gennaio 2009 da governo, associazioni datoriali e sindacati a eccezione della Cgil – per riformare la struttura della contrattazione. In sostanza, il caso della Fiat di Pomigliano e le successive forzature "targate" Sergio Marchionne hanno solo accelerato un processo di revisione dei contratti già scritto nell’intesa di un anno e mezzo fa. E che ha poi prodotto una serie di cambiamenti in diversi contratti nazionali. Firmati anche dalla Cgil, senza che ciò abbia significato fare strame dei diritti dei lavoratori. Ridotta all’essenziale, infatti, la questione è una sola: il contratto nazionale deve restare una gabbia rigida di norme inderogabili uguali per tutti i lavoratori di un settore, oppure va dato ampio spazio alla contrattazione aziendale o di comparto per meglio contemperare esigenze dell’impresa e interessi dei lavoratori? La stragrande maggioranza delle parti sociali hanno già dato la risposta. Hanno scelto – imprese e sindacati – di affrontare le sfide della competizione globale salvando il meglio della nostra tradizione di tutela – la cornice essenziale di un contratto nazionale "leggero" – scrollandosi però di dosso rigidità eccessive e contrapposizioni pregiudiziali, per cercare in ogni singola situazione il compromesso più alto, l’adattamento migliore, l’organizzazione più produttiva e redditizia, la costruzione di una prospettiva partecipativa. È quel che proveranno a fare anche i metalmeccanici di Cisl, Uil, Ugl e Fismic assieme a Federmeccanica da qui al 2012 con un nuovo contratto. Certo è un crinale stretto, non esente da rischi pure per la condizione dei dipendenti. Ma solo lo sforzo di camminare su questo crinale – avendo chiara la rotta e i principi guida – può garantire il futuro dei lavoratori. Non la rivendicazione di diritti astratti, non una norma contrattuale "inderogabile", non il sottrarsi al negoziato. Francesco Riccard
2010-09-08 8 settembre 2010 SCONTRO Fumogeni e fischi, Bonanni contestato a Torino Dopo le contestazioni al presidente del Senato Renato Schifani oggi è la volta del segretario della Cisl Raffaele Bonanni ad essere contestato alla festa del Pd in piazza Castello a Torino. Alcuni dei contestatori sono saliti sul palco e sono stati lanciati anche alcuni fumogeni. Bonanni, invitato ad un dibattito, è stato contestato con fischi e urla da un folto gruppo di persone, tra cui pare, alcuni esponenti dei centri sociali. Raffaele Bonanni, è stato raggiunto sul palco della festa nazionale del Pd da un fumogeno lanciato da alcuni contestatori. Il fumogeno ha colpito di striscio Bonanni danneggiandogli il giubbotto, senza procurargli ferite. Immediatamente il sindacalista è stato allontanato dal palco. Un coro di "vergogna vergogna" e una pioggia di facsimile di banconote da 50 euro sul palco hanno accolto l'arrivo di Bonanni alla Festa nazionale del Pd a Torino, dove Raffaele Bonanni avrebbe dovuto partecipare ad un dibattito con Enrico Letta. Bonanni è stato contestato appena è apparso sul palco con una salve di fischi e non ha potuto cominciare il suo intervento. Il momento più alto della tensione quando sul palco sono stati lanciati anche alcuni fumogeni: è stato a quel momento che alcuni esponenti sindacali che erano con il leader della Cisl lo hanno protetto e accompagnato lontano dal palco. I facsimile da 50 euro recavano la scritta "Il denaro è un buon servo e un cattivo padrone". I contestatori del segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni alla Festa del Pd di Torino, hanno esposto uno striscione che diceva: 'Marchionne comanda, Bonanni obbedisce". Uno dei contestatori ha detto che il gruppo che ha fischiato Bonanni era composto da operai "anche di Mirafiori", da precari e da studenti. Ma secondo le forze dell'ordine si tratterebbe di esponenti dell'area antagonista. La polizia è intervenuta ma non ci sono stati tafferugli. SACCONI: ATTO GRAVISSIMO "L'aggressione verbale e fisica nei confronti del segretario generale della Cisl costituisce un atto gravissimo non solo in sè, ma anche perchè può rappresentare il ritorno di una stagione di violenza politica nel Paese che ha conosciuto ben quarant'anni di ricorrente terrorismo ideologizzato". È il commento del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Maurizio Sacconi. "Gli stessi omicidi sono stati sempre preceduti dalla pubblica individuazione di un obiettivo, con preferenza per i riformisti in quanto mediatori capaci di prevenire e risolvere il conflitto - aggiunge il ministro -. Si interroghi peraltro il Partito democratico, nella cui festa si sono verificati ricorrenti episodi di intolleranza nei confronti di molti altri ospiti, tra i quali la seconda carica dello Stato e il suo predecessore Franco Marini, già Segretario della Cisl. Rifletta, in particolare, sulla sua scelta di non riconoscere alcun avversario a sinistra nonostante il radicalismo intollerabile di molti esponenti". A Bonanni, conclude, "do tutta la solidarietà del Governo e l'impegno a contrastare con la massima determinazione ogni forma di violenza politica, perchè c'è un filo rosso che inesorabilmente conduce, se non spezzato, alle espressioni più gravi che abbiamo già conosciuto".
8 settembre 2010 TRATTATIVE SINDACALI Marcegaglia: disdetta contratto è atto di chiarezza La disdetta del contratto dei metalmeccanici, annunciata ieri da Federmeccanica, "è semplicemente un atto di chiarezza". Lo ha affermato la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, oggi a Milano a margine dell'inaugurazione del Salone del Tessile. "Federmeccanica e tutti i sindacati tranne la Fiom - spiega - hanno firmato un nuovo contratto dei metalmeccanici a ottobre 2009, con decorrenza da gennaio 2010. Quindi per noi e per gli altri sindacati esiste già un nuovo contratto che sta decorrendo da nove mesi. Non è che i lavoratori non hanno un contratto, il contratto ce l'hanno e stiamo pagando gli aumenti a due milioni di lavoratori metalmeccanici" Il Governo "deve superare le beghe interne e agire per il bene del Paese", ha poi aggiunto Emma Marcegaglia tornata oggi a ribadire la propria contrarietà a eventuali elezioni anticipate. "Abbiamo già detto che secondo noi non si deve andare a votare - ha detto - questo Governo ha avuto per tre volte il voto della maggioranza degli italiani, nel 2008, 2009 e 2010. Non è accettabile che per motivi di leadership e di attacchi personali non si governi. Il Governo si prenda le sue responsabilità e vada avanti a governare". Confindustria ha poi fatto una richiesta formale perchè il Governo convochi un nuovo consiglio dei Ministri "entro pochi giorni" per nominare il ministro dello Sviluppo economico. "Abbiamo chiesto la nomina del ministro e continuiamo a chiederla - ha detto - c'è la promessa di farlo in pochi giorni, ieri in consiglio dei Ministri non è stato fatto. A questo punto noi facciamo un'altra richiesta formale, che entro pochi giorni si faccia un consiglio dei Ministri e si nomini un ministro dello Sviluppo economico. In un momento come questo ne abbiamo bisogno, è fondamentale che il ministro venga nominato e che tutto il Governo decida di occuparsi di crescita e di posti di lavoro. Non vediamo sufficiente attenzione e concentrazione su questo tema".
8 settembre 2010 METALMECCANICI Federmeccanica disdetta il contratto dal 2012 Federmeccanica raccoglie l’appello di Sergio Marchionne e dà il benservito al contratto nazionale del 2008, l’ultimo firmato anche della Fiom Cgil e che scade tra poco più di un anno, nel gennaio 2012. Il direttivo degli imprenditori meccanici, che apre anche a regole su misura per il comparto dell’auto, ha comunicato ieri pomeriggio la disdetta dell’accordo "in via meramente cautelativa e alla scopo di garantire la migliore tutela delle aziende", precisa l’associazione, "a fronte delle minacciate azioni giudiziarie della Fiom". La mossa del vertice dell’industria metalmeccanica, duramente contestata ieri dalla stessa Fiom che parla di decisione "grave e irresponsabile", era attesa. Dopo che le tute blu Cgil hanno bocciato l’accordo siglato dagli altri sindacati a Pomigliano, e dopo che la stessa Fiat ha chiesto nuove regole in tempi brevi che permettano di "blindare" l’intesa raggiunta in Campania, la disdetta del vecchio accordo è diventata un passaggio obbligato e allo stesso tempo simbolico. Da un lato dovrebbe tagliare le unghie a chi volesse, vedi appunto la Fiom, ricorrere alla magistratura per contestare le deroghe al contratto nazionale contenute nelle intese locali. Dall’altro rende esplicito e definitivo il cambio di stagione inaugurato con la firma del nuovo modello contrattuale nel 2009. Sulla base di quell’intesa interconfederale, che non è stata firmata dalla Cgil, alla fine dello scorso anno Fim, Uilm hanno siglato (senza la Fiom) un nuovo contratto con Federmeccanica che prevede la possibilità di derogare, in casi particolari, alle regole nazionali. In sostanza oggi sono due i contratti formalmente vigenti: il primo è quello unitario disdettato ieri da Federmeccanica, il secondo quello "separato" che scade a fine del 2012 e già prevede l’istituto della deroga. Per questo ieri Fim e Uil hanno minimizzato e giudicato con un certo fastidio la mossa degli industriali, che rischia a loro avviso di dare maggiore visibilità alle posizioni dei metalmeccanici Cgil. Secondo il segretario della Fim Cisl Giuseppe Farina si tratta di un "fatto scontato e irrilevante" senza nessuna ricaduta sui lavoratori, in quanto il contratto 2008 "è già stato superato e migliorato da quello del 2009". Per la Uilm la decisione è "ininfluente". Posizione simile a quella del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi che auspicando "l’ulteriore evoluzione delle relazioni industriali" anche in casa della Cgil, sottolinea che la disdetta "non ha alcuna valenza sostanziale per i lavoratori". All’opposto il segretario della Fiom, Maurizio Landini, definisce la decisione "uno strappo alle regole democratiche, in quanto si pensa di concordare con sindacati minoritari la cancellazione del contratto 2008, firmato da tutti e approvato con referendum". Mentre l’intesa del 2009, accusa, "non è mai stata sottoposta a verifica democratica". La federazione Cgil annuncia una mobilitazione: verrà decisa oggi dal comitato centrale. Federmeccanica chiede poi ai sindacati un tavolo di confronto per "definire norme specifiche per il comparto auto", scelta che può servire a Fiat per allargare a tutta la "Fabbrica Italia" intese simili a quella di Pomigliano. Ma il presidente Pier Luigi Ceccardi precisa che la svolta decisa ieri dagli imprenditori "è arrivata per rispondere alle esigenze delle industrie metalmeccaniche" e non sulla spinta della Fiat. "Essere più competitivi riguarda tutte le oltre 12mila imprese associate", ha aggiunto respingendo l’accusa di un’associazione "orientata" dal Lingotto. Il 15 settembre è previsto il primo incontro sul tema delle deroghe con i sindacati che hanno firmato l’ultimo contratto, dunque senza Fiom. Dagli imprenditori arriva tuttavia l’auspicio a una maggiore unità sindacale e la richiesta urgente di una "regolamentazione condivisa del sistema di rappresentanza" alla quale partecipi anche la Cgil. Secondo Ceccardi vanno "cambiate le relazioni sindacali, le aziende non sono governabili se cinque persone che scioperano fanno chiudere uno stabilimento di 500. Questa non è democrazia ma prevaricazione". Nicola Pini
2010-08-26 FIAT Melfi, Sergio Marchionne in dialogo con Napolitano L'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, sotto pressione per voler rendere più flessibili le condizioni di lavoro in Italia, non abbandona la linea dura nei confronti di chi contrasta l'ordinato svolgimento della produzione nelle fabbriche e la realizzazione del progetto "Fabbrica Italia". Dal palco del Meeting dell'amicizia il numero uno di Fiat e Chrysler dedica gran parte del suo intervento alla vicenda dei tre operai licenziati a Melfi con l'accusa di aver interrotto illegalmente il ciclo produttivo e reintegrati dalla magistratura di primo grado. "Certe decisioni come quella di Melfi non sono popolari ma non si può fare finta di niente", ha detto Marchionne citando testimoni che hanno assistito al blocco della produzione "in modo illecito" da parte dei tre operai di Melfi. "Fiat ha dato pieno seguito al primo provvedimento provvisorio della magistratura. Ora siamo in attesa del secondo grado e ci auguriamo che sia meno influenzato dalla campagna mediatica". L'azienda torinese ha ripreso a busta paga i tre lavoratori e concesso loro lo svolgimento dell'attività sindacale ma senza consentire il ritorno nelle linee produttive. La Fiom, braccio dei metalmeccanici della Cgil, ha denunciato quindi Fiat per inottemperanza della sentenza del giudice. Marchionne ha anche sottolineato come verso il gruppo siano state rivolte accuse gravi come quella di non rispettare la dignità delle persone. "Si tratta di accuse pretestuose che non aiutano a costruire un clima sereno - ha detto -. La dignità non può essere patrimonio esclusivo di tre persone. Sono valori che vanno difesi e riconosciuti a tutti i lavoratori. Dobbiamo tutelare il diritto a lavorare anche delle altre persone". Marchionne ha usato però parole distensive nei confronti del capo dello Stato Giorgio Napolitano che nei giorni scorsi era intervenuto sulla vicenda con un comunicato. Il presidente aveva chiesto sia a Fiat che agli operai il rispetto delle sentenze dei giudici e toni più pacati. "Il mio vivissimo auspicio - aveva detto Napolitano - è che questo grave episodio possa essere superato nell'attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria". Marchionne ha detto di avere "un grandissimo rispetto per il presidente della Repubblica come persona e per il suo ruolo istituzionale". "Accetto quello che ha detto come un invito a trovare una soluzione per mandare avanti la situazione", ha aggiunto Marchionne senza elaborare. Nel comunicato del Quirinale si faceva anche riferimento all'importanza del confronto aperto tra Fiat, Confindustria e sindacati per rendere più competitivi gli impianti italiani. Fiat ha minacciato di uscire da Confindustria se non riuscirà ad ottenere l'applicazione dell'accordo di Pomigliano. L'intesa è stata approvata da quattro sindacati su cinque e dalla maggioranza dei lavoratori ma la Fiom continua a considerarla lesiva dei diritti dei lavoratori, in particolare per quel che riguarda il diritto di sciopero, e a minacciare azioni legali. L'accordo introduce 18 turni settimanali tra cui il sabato sera, raddoppia gli straordinari che Fiat può imporre senza previa consultazione, prevede penalizzazioni in caso di assenteismo abnorme e una tregua sindacale. Marchionne nel suo intervento al Meeting ha lodato il comportamento dei segretari generali di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti che, al contrario della Cgil di Guglielmo Epifani e con l'appoggio di Fismic e Ugl, hanno sottoscritto l'accordo di Pomigliano. Poi ha risfoderato toni aggressivi per ricordare come nonostante la maggioranza dei sindacati e dei lavoratori di Pomigliano siano a favore delle nuove regole in fabbrica per sviluppare il piano di riconversione e di produzione della Nuova Panda, la Fiom rifiuta di accettarle. "Gli accordi stipulati devono essere effettivamente applicati. Se no è il caos. Non credo sia onesto usare i diritti di pochi per piegare i diritti di molti", ha detto Marchionne sottolineando come questa sia una regola fondamentale della democrazia. "È inammissibile tollerare la mancanza di rispetto delle regole e gli illeciti che in alcuni casi sono arrivati al sabotaggio. Non è giusto per l'azienda, ma soprattutto non è giusto per gli altri lavoratori", ha aggiunto. LA REPLICA DI FIOM Un discorso "di puro stampo reazionario", con queste parole Giorgio Cremaschi della Fiom-Cgil ha bollato il discorso di Marchionne al Meeting di Rimini. "Come un padrone delle ferriere dell'Ottocento, Marchionne ha spiegato che non ci deve essere conflitto tra padroni e operai, cioè che comandano solo i padroni, e che nella globalizzazione i diritti e la dignità del lavoro sono quelli che vengono definiti dal mercato", ha aggiunto Cremaschi. Intanto, il giudice del Lavoro di Melfi che ha deciso il reintegro dei tre dipendenti licenziati dal Lingotto, ha fissato per il 21 settembre la data del prossimo incontro tra Fiat e Fiom Cgil. "Il giudice ha convocato le parti il 21 su nostra richiesta di chiarire i termini della sentenza" dice il segretario della Fiom, Maurizio Landini. La nuova convocazione, dopo il ricorso presentato dal sindacato, dovrebbe chiarire le modalità corrette di applicazione della sentenza con cui lo scorso 9 agosto venne decretato il reintegro dei tre dipendenti. La Fiat ha fatto ricorso alla sentenza. L'udienza davanti al Tribunale è stata convocata per il prossimo 6 ottobre
26 agosto 2010 MELFI Marchionne scrive a Napolitano: Fiat rispetta le sentenze Sergio Marchionne ha scritto una lettera "personale" a Giorgio Napolitano per spiegare le ragioni che hanno spinto la Fiat ad adottare i tre licenziamenti, rassicurando il presidente sul fatto che l'azienda non vuole alimentare tensioni e rispetta i verdetti della magistratura. Secondo quanto riportato da alcuni giornali, ieri anche John Elkann, presidente della Fiat, ha parlato con il capo dello Stato al telefono in un colloquio definito "cordiale e chiarificatore". Nella lettera a Napolitano, si legge sulla Stampa, Marchionne assicura che la Fiat non ha né intenzione né interesse al permanere di uno stato di tensione in fabbrica. L'amministratore delegato del Lingotto avrebbe inoltre illustrato la linea alla quale si atterrà l'azienda da qui in avanti: massimo rispetto per le decisioni della magistratura, ma anche difesa della scelta fatta con il tipo di reintegro adottato nei confronti di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, che è nel solco della "prassi" solitamente seguita da ogni azienda in attesa del pronunciamento finale dei giudici. Nel colloquio telefonico con Napolitano, Elkann invece ha spiegato che "cercare e trovare soluzioni di lungo periodo di fronte alle difficoltà del momento e alle tensioni che talvolta ne derivano è l'auspicio di tutti, Fiat in testa".
26 agosto 2010 TRASPORTI Tirrenia, revocato lo sciopero di fine mese La Uiltrasporti ha deciso di differire lo sciopero del personale Tirrenia proclamato per il 30 e 31 agosto. La nuova data verrà decisa dopo il tavolo del 6 settembre convocato dal ministro, Altero Matteoli, con i sindacati. Lo comunica il segretario generale Giuseppe Caronia in una nota. "Finalmente un segnale di responsabilità", afferma Caronia a proposito della decisione del ministro dei trasporti Matteoli di non ricorrere ad un atto coercitivo. "Naturalmente non possiamo a questo punto non accogliere l'invito del Ministro a differire lo sciopero la cui eventuale effettuazione e l'eventuale data verrà decisa sulla base delle risultanze del previsto incontro del 6 settembre prossimo".
25 agosto 2010 MORTI BIANCHE Foggia, morto un operaio caduto in una cisterna Un operaio è morto dopo essere caduto con altre due persone impegnate all'interno di una cisterna piena d'acqua profonda sette-otto metri nelle campagne di San Ferdinando di Puglia, tra le provincie di Bari e Foggia. I due operai e il proprietario del fondo agricolo stavano svolgendo lavori di impermeabilizzazione della cisterna. "Abbiamo ricevuto l'allarme un'ora e mezzo fa (verso le 18, ndr) )- viene spiegato dai vigili del fuoco - da alcune persone che si erano preoccupate per l'assenza dei tre e si erano recate in campagna per svolgere le prime ricerche". Gli altri due, ugualmente precipitati nella cisterna, sono stati estratti ancora in vita e subito trasportati in ospedale.
2010-08-24 24 agosto 2010 VERTENZA Melfi, Napolitano: "Auspico confronto pacato e serio" Giorgio Napolitano auspica che sull'episodio dei tre operai della Fiat di Melfi "si creino le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell'attività della maggiore azienda manufatturiera italiana e dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale". Il capo dello Stato lo scrive in una lettera in risposta al pubblico appello rivoltogli dai tre operati della Fiat di Melfi che gli chiedevano di intervenire "per farci sentire lavoratori, uomini e padri". "Cari Barozzino, Lamorte e Pignatelli - prosegue la nota del capo dello Stato - ho letto con attenzione la lettera che avete voluto indirizzarmi e non posso che esprimere il mio profondo rammarico per la tensione creatasi alla FIAT SATA di Melfi in relazione ai licenziamenti che vi hanno colpito e, successivamente, alla mancata vostra reintegrazione nel posto di lavoro sulla base della decisione del Tribunale di Melfi". "Anche per quest'ultimo sviluppo della vicenda - ricorda il capo dello Stato - è chiamata a intervenire, su esplicita richiesta vostra e dei vostri legali, l'Autorità Giudiziaria: e ad essa non posso che rimettermi anch'io, proprio per rispetto di quelle regole dello Stato di diritto a cui voi vi richiamate. Comprendo molto bene come consideriate lesivo della vostra dignità "percepire la retribuzione senza lavorare". Il mio vivissimo auspicio - che spero sia ascoltato anche dalla dirigenza della FIAT - è che questo grave episodio possa essere superato, nell'attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria, e in modo da creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell'attività della maggiore azienda manufatturiera italiana e dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale". Ieri, i tre lavoratori dello stabilimento di Melfi (Potenza) della Fiat, licenziati e poi reintegrati, erano stati bloccati subito dopo aver attraversato i cancelli, hanno deciso di non entrare oggi in fabbrica. Secondo quanto si è appreso da fonti sindacali, la scelta di non varcare i tornelli è stata presa in attesa di conoscere la decisione del giudice di lavoro di Melfi sulla denuncia presentata ieri dalla Fiom della Basilicata contro l'azienda per inottemperanza alla sentenza di reintegro dello scorso 9 agosto.
IL MINISTRO MATTEOLI "Le sentenze vanno rispettate anche quando non ci fanno piacere". Il ministro Altero Matteoli commenta così il caso dei tre operai licenziati a Melfi, e reintegrati dal giudice del Lavoro. "Se il nostro è uno stato di diritto - ha detto il ministro al Meeting di Rimini - non lo può essere a fasi alterne. C'è una sentenza e va rispettata".
24 agosto 2010 LO SCONTRO SUL REINTEGRO DEGLI OPERAI FIAT L'errore di Melfi le occasioni da cogliere La Fiat, dunque, ha scelto di mantenere la linea dura: i tre operai dello stabilimento di Melfi – prima licenziati e poi reintegrati dal giudice – ieri sono potuti sì entrare in fabbrica, ma non riprendere la normale attività lavorativa. Per loro una sorta di "confino" in una saletta sindacale, distante dalle linee produttive. Il messaggio sottinteso è ancora una volta la divisione tra chi è "dentro" il progetto Fabbrica Italia e chi se ne chiama "fuori": contestando gli accordi, scioperando, bloccando la produzione. La Fiat, rifiutandosi di far lavorare i tre dipendenti, ha sbagliato. Volutamente, coscientemente. Pur sapendo che rispettare la sentenza di reintegro solo formalmente, ma non nella sostanza, la espone a nuove denunce. Di più, potrebbe pregiudicare la serenità di giudizio in secondo grado e in sede penale, quando il tribunale di Melfi sarà chiamato a riesaminare il caso del presunto blocco volontario della produzione. Inoltre, costringe anche i sindacati che si sono spesi per il dialogo a fare appello per i licenziati. E soprattutto rischia di alienare quel consenso finora raccolto nell’opinione pubblica, con gesti che finiscono per alimentare anziché spezzare la spirale di atti e ritorsioni, dando fiato alle "vuvuzelas" della Fiom. Perché allora insistere in una strategia così rischiosa, dagli esiti incerti? L’impressione è che il Lingotto, dopo il consenso a metà raccolto a Pomigliano, voglia arrivare a un punto finale di svolta, chiaro, netto. Intenda forzare sino all’estremo, a Melfi come per il contratto nazionale dei metalmeccanici, convinto che "chi non è con noi è contro di noi". Chi non è per un nuovo modello produttivo, in linea con le esigenze del mercato globalizzato, è contro la Fiat e la stessa produzione di auto in Italia. Dopo la faticosa ricerca del consenso, così, oggi l’amministratore delegato Sergio Marchionne vuol dividere: dentro o fuori, con noi o senza di noi, in Italia o all’estero, uno o zero come nel linguaggio binario, che non ammette terze vie né semplici mediazioni. È a partire da qui, allora, che occorre riprendere a ragionare. Anche al di là dei torti e delle ragioni che stanno in entrambi i fronti. Perché, sul caso specifico, a decidere saranno comunque i diversi gradi di giudizio dei tribunali. In democrazia ci si affida alla legge e alla giustizia, garanzia tanto per i singoli quanto per le imprese. Poi, però, non ci si può mai dimenticare che, se si vuole progredire e costruire iniziative solide, a beneficio di tutti, occorre saper aggregare persone ed energie intorno a un obiettivo condiviso, attraverso il confronto, la negoziazione, il coinvolgimento pieno dei soggetti. Perciò oggi servirebbe una "mossa del cavallo". La capacità di fare tre passi avanti, scartando di lato rispetto agli ostacoli, per rilanciare il gioco. La discussione sul contratto del settore auto può essere l’occasione per uscire dalle secche giudiziarie e dalla sterile contrapposizione a due, per tornare a confrontarsi con tutti i soggetti di rappresentanza sul merito del futuro produttivo nel nostro Paese. Bonanni per la Cisl e Angeletti per la Uil hanno da tempo dimostrato di essere disponibili a esercitare per intero un’intelligente flessibilità negoziale. Indicando la strada della partecipazione come via per coinvolgere e premiare il maggiore impegno dei lavoratori. Una direzione suggerita, in maniera assai significativa, anche dal ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. A Sergio Marchionne, allora, tocca fare un passo per dimostrare come Fabbrica Italia non sia semplicemente un progetto imposto, ma una scelta di cambiamento reale sul quale aggregare le forze vive del Paese. Francesco Riccardi
24 agosto 2010 VERTENZA Melfi, i tre operai Fiat non rientrano in azienda I tre lavoratori dello stabilimento di Melfi (Potenza) della Fiat, licenziati e poi reintegrati, ma ieri bloccati subito dopo aver attraversato i cancelli, hanno deciso di non entrare oggi in fabbrica. Secondo quanto si è appreso da fonti sindacali, la scelta di non varcare i tornelli è stata presa in attesa di conoscere la decisione del giudice di lavoro di Melfi sulla denuncia presentata ieri dalla Fiom della Basilicata contro l'azienda per inottemperanza alla sentenza di reintegro dello scorso 9 agosto. LA LETTERA A NAPOLITANO "Ci rivolgiamo a Lei, Presidente, perché richiami i protagonisti di questa vicenda al rispetto delle leggi": lo hanno scritto in una lettera al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, i tre operai dello stabilimento di Melfi (Potenza) della Fiat licenziati e poi reintegrati. Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli hanno chiesto a Napolitano di intervenire "per farci sentire lavoratori, uomini e padri". I tre operai si sono rivolti a Napolitano "perchè nel suo ruolo di massima carica dello Stato sia da garanzia del rispetto della democrazia, della Costituzione e dello Stato di diritto in modo da ripristinare e garantire il libero esercizio dei diritti sindacali nonchè dei diritti costituzionalmente riconosciuti a tutti, all'interno dello stabilimento Fiat Sata di Melfi". "Ci rivolgiamo a Lei, quale massima carica dello Stato e supremo garante della Costituzione - hanno scritto Barozzino, Lamorte e Pignatelli - per sottoporre alla sua attenzione una vicenda, la cui eco da diversi giorni ha raggiunto tutti gli organi della stampa nazionale, che non lede soltanto i nostri diritti di cittadini e di lavoratori ma colpisce direttamente i diritti collettivi e generali degli operai e dello stesso sindacato a cui siamo iscritti". "Signor Presidente - hanno scritto i tre operai - per sentirci uomini e non parassiti di questa società vogliamo guadagnarci il pane come ogni padre di famiglia e non percepire la retribuzione senza lavorare. Questo non è mai stato un nostro costume, nè come semplici operai nè come delegati sindacali aziendali, avendo sempre svolto con diligenza e professionalità il nostro lavoro. La decisione della Fiat Sata di non reintegrarci nel nostro posto di lavoro è una palese violazione dell'articolo 28 della legge 300/70 e della norma penale da esso richiamata. In uno Stato di diritto non dovrebbe essere neppure consentito di dichiarare a tutti (stampa compresa) di voler disattendere un provvedimento legalmente impartito dalla autorità giudiziaria con ciò mostrando disprezzo per la Costituzione e per le leggi civili e penali del nostro ordinamento giuridico". IL MINISTRO MATTEOLI "Le sentenze vanno rispettate anche quando non ci fanno piacere". Il ministro Altero Matteoli commenta così il caso dei tre operai licenziati a Melfi, e reintegrati dal giudice del Lavoro. "Se il nostro è uno stato di diritto - ha detto il ministro al Meeting di Rimini - non lo può essere a fasi alterne. C'è una sentenza e va rispettata".
23 agosto 2010 RIMINI Il ministro Sacconi al Meeting: l'agenda etica presto in Parlamento "Presenterò al Parlamento l’agenda etica che abbiamo predisposto e sono convinto che su di essa si potrà registrare una maggioranza più ampia di quella del governo": Maurizio Sacconi rilancia da Rimini le priorità su inizio e fine vita, ricerca e disabilità, e si dice convinto che esse troveranno spazio dell’agenda dell’esecutivo "per i prossimi tre anni" (dice, fiducioso sulla tenuta della legislatura), che possono anzi, essere un terreno fertile per aprire a una maggioranza più ampia, "checché ne dica Della Vedova", aggiunge, riferendosi alle fughe in avanti del deputato finiano su coppie di fatto e Legge 40, il quale poi, a dire il vero, aveva chiarito di parlare a titolo personale. Il ministro del Welfare interviene all’incontro del Meeting dedicato all’esperienza del dono. Ma non è il suo, un modo per parlare d’altro. Anzi. Le proposte di "biopolitica" fanno parte integrante di quell’"antropologia positiva" di cui Sacconi parla come concezione integralmente "etica" della politica. Perché con la crisi cambia tutto, è finita anche, ad esempio, l’idea di "impunità del debito sovrano", dice ancora il ministro, alludendo alla vecchia illusione che "tanto paga Pantalone". Ne discende, prosegue il ragionamento del ministro, anche una nuova concezione del bene comune, che, "come voi mi insegnate non dipende dallo Stato, ma dal cuore della persona". Un’"antropologia positiva", insiste, che richiede anche "posizioni inequivoche sul valore della vita", ma che è alla base anche della doppia direttrice del federalismo e del nuovo Welfare, in chiave di sussidiarietà, come si dice, verticale (decentramento), e orizzontale, intesa come più spazio alla persona, alla famiglia, all’associazionismo. Perché, ricorda Sacconi, "il concetto di gratuità, la cultura del dono, non possono più essere confinati nella sfera privata, ma hanno che vedere direttamente con la democrazia, con la concezione stessa della politica". Un concetto su cui si era soffermato, prima di lui, anche il pro-rettore dell’Università Cattolica Luigi Campiglio: "Il dono - ha detto - non può essere associato solo al concetto di pietà, ma significa anche solidarietà, in definitiva comunità", senza la quale una nazione non tiene. Campiglio ha molto fatto riferimento all’esperienza americana, nella quale "si stima che oltre il 2 per cento del Pil sia reinvestito in gratuità, nonostante la crisi". Anzi, proprio l’enorme allargamento dell’area del bisogno apre ora spazi nuovi alla generosità intesa non più come slancio individuale, ma come autonoma risposta, strutturata nell’ambito della società, da parte di chi ha di più, a vantaggio di chi non ha nemmeno il necessario per vivere o per far fronte a uno stato di disagio. Per cui il dono si conferma, ricorda Campiglio, come un "elemento costitutivo della società americana", e ricorda l’esperienza recente di 40 miliardari americani che si sono messi insieme per devolvere a cause benefiche una considerevole parte del loro patrimonio. Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione per il Sud, si è invece soffermato nel suo appassionato e molto applaudito intervento, su una serie di iniziative dell’associazionismo nel Mezzogiorno, che ha potuto conoscere nel suo nuovo incarico (dall’orchestra sinfonica degli scugnizzi del Rione Sanità di Napoli, alle iniziative contro la dispersione scolastica "che strappano ad uno ad uno i giovani alla criminalità"), "e che andrebbero conosciute di più, per vincere i tanti stereotipi sul Sud senza speranza", auspica Borgomeo. Fra i temi rilanciati da Sacconi anche il 5 per mille, come strumento di sostegno all’associazionismo da utilizzare però correttamente. Una misura apprezzata anche da Carlo Costalli, presidente dell’Mcl. Angelo Picariello
24 agosto 2010 IL PIANO SEGRETO Sul quoziente familiare il premier "tenta" Casini "Bossi è così. Usa quei toni nelle sue valli, davanti alla sua gente... Gli serve urlare contro l’Udc ma, se vuole la verità, quest’anno mi è sembrato addirittura più spento del solito". Maurizio Gasparri sorride e va avanti con un solo obiettivo: rassicurare i centristi. Spiegare a Casini che non c’è e non ci sarà un veto della Lega. "Gli uomini del Carroccio non mangiano i bambini. Forse sono un po’ rozzi, forse usano toni sbagliati; ma sui temi che contano sono seri, leali, affidabili. Guardiamo i fatti, riflettiamo sulle scelte della Lega sui temi etici, sulla famiglia... C’è una convergenza anche con l’Udc che deve far pensare". Il capogruppo parla però dando l’impressione di non fare i conti con il veto di Bossi. È stato il Senatur a dire "con Casini mai". È stato lui a ventilare le dimissioni di Giulio Tremonti (e dal ministro non sono arrivate smentite) qualora la maggioranza avesse aperto le porte a Casini. Gasparri sospira e invita ad attendere facendo capire che qualcosa di rilevante succederà. "Berlusconi, nelle prossime ore, parlerà con la Lega. E quando arriverà il momento delle scelte la Lega sarà attenta a quello che dice Berlusconi". È volutamente enigmatico Gasparri. Ma tutto è vero: c’è un appuntamento già fissato, e c’è una trattativa segretissima che va avanti lontano dai taccuini e dalle telecamere. Berlusconi vedrà Bossi domani e gli farà un discorso franco. Gli spiegherà che ha parlato con Casini. Che sul federalismo l’Udc è pronta a ragionare. E che è ora di smetterla con i veti e gli ultimatum. Gli ricorderà che i centristi sono alleati nel Ppe. Poi sarà pragmatico: "Al Senato senza Fini rischiamo... È ora di salvare la legislatura, di salvare le riforme, di costruire le condizione per un ritorno a casa di Pier". Questa è solo la prima parte della trattativa. Berlusconi spiegherà sia a Bossi che a Tremonti che la mano tesa verso i centristi deve essere sostenuta con i fatti, con le scelte. E se Casini chiede il quoziente familiare, Tremonti – ripete il Cavaliere – "dovrà superare le sue vecchie rigidità e trovare le risorse necessarie. Perché è una scelta in cui credo e perché è su questo tema ristabiliamo i contatti con l’Udc". È partito il pressing su Bossi. Osvaldo Napoli, in vacanza a Miami, avverte: "Basta veti, la politica non è blocco, non è chiusura. L’Udc è nel Ppe al fianco del Pdl e la Lega non può alzare i ponti". Anche Altero Matteoli, il potente ministro alle Infrastrutture, apre le porte del governo e della maggioranza ai centristi: "Sarebbe un ritorno a casa... Non sarebbe un’alleanza spuria, ma una ricomposizione". È un coro. Ma è ancora una volta Gasparri a mettere in fila i pro e i contro di un nuovo patto Pdl-Udc. È lui a spiegare che per Casini c’è una sola strada: riavvicinarsi al Pdl. "Che fa un terzo polo con Fini dopo quello che ha combinato e ha detto Fini sui temi cari al mondo cattolico?". Gasparri va avanti e boccia anche l’ipotesi di un patto con Bersani. "Lo spazio che ci poteva essere qualche mese fa non c’è più. Se il Pd dicesse "ecco c’è Casini" immediatamente Vendola e l’Idv sferrerebbero l’attacco. E gli porterebbero via un mare di voti". C’è solo una strada. Che conviene alla Lega che troverebbe un nuovo interlocutore sul federalismo. E a Casini che – ripete sottovoce il presidente dei senatori del Pdl – "rientrerebbe nel Pdl da protagonista assoluto. Sì con noi lui giocherebbe la Champion league, potrebbe aspirare a qualsiasi ruolo, potrebbe...". Gasparri si ferma. Poi avverte. "Non andiamo avanti, altrimenti la Lega...". Questa è solo una battuta ma la fase della competizione è cominciata. Isabella Bertolini, una vita sul territorio, avverte il Cavaliere: "In Toscana la Lega ha preso quattro consiglieri regionali senza avere un partito. Attento Silvio che se si vota oggi, la Lega fa il pieno anche nelle regioni rosse. Hanno governatori che tirano, amministratori capaci...". E poi c’è il patto con Tremonti. Chi conosce Berlusconi racconta di una crescente diffidenza del premier verso il suo ministro dell’Economia. Chi partecipa ai vertici che contano confida un retroscena che fa capire. "Giulio ti sei già messo la camicia verde?". Nei prossimi giorni sarà tutto meno confuso. Si capirà l’effetto dell’offensiva del premier su Bossi. E si capirà se l’ottimismo di Gasparri troverà un fondamento nelle cose. "Con l’Udc siamo destinati ad incontrarci. In alcune regioni abbiamo vinto insieme e insieme governiamo anche diverse città del Centro-Sud. Credo che non si debba avere fretta in certe cose. Contano i contenuti. La Lega teme un freno su alcune riforme. Se ci fosse la possibilità di rendere compatibili gli obiettivi politici, il disegno andrebbe assolutamente perseguito". Parole chiare. Quasi una conferma a quella trattativa segreta su federalismo e quoziente familiare. Ma Bossi insiste. "L’unica possibilità sono le urne. E tutti questi qua – dice con chiaro riferimento a Casini e a Fini – li polverizzeremo...". E ancora: "Non si può andare avanti così, non si può per ogni cosa che si fa pagare un dazio troppo alto". Parole chiare che rendono più complicata la "mission" del Cavaliere e più teso l’oramai vicino "faccia a faccia". Arturo Celletti
24 agosto 2010 ECUMENISMO Erdö: "Cristiani divisi? Provo un dolore fisico" L’idea di farli avvicinare era stata di Charlie, il responsabile del servizio d’ordine del Meeting, pressato dai fotografi in cerca dello scatto "storico". Imprevisto o meno, l’abbraccio tra il cardinale Peter Erdö – presidente del Ccee, il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa – e il metropolita Filaret c’è stato e ha scatenato una cascata di applausi nell’aula più grande della fiera, gremita dai visitatori del Meeting. Poco prima, il primate d’Ungheria aveva detto che "le questioni dogmatiche che ancora dividono cattolici e ortodossi sono talmente poche che provoca dolore il fatto che non ci sia ancora una piena comunione". E l’esarca patriarcale di tutta la Bielorussia, di rimando, ha dichiarato ai giornalisti che "il 2011 per un incontro tra il Papa e il patriarca Kirill è una data davvero molto vicina, ma ostacoli di principio io non ne vedo". Se è vero che, per stare al titolo del Meeting, il cuore fa desiderare grandi cose, ieri il desiderio più grande si è materializzato nell’amicizia di due uomini dell’Est, uniti nelle fede e divisi dalle chiese. Divisioni che per l’arcivescovo di Budapest sono solo o soprattutto dogmatiche - "sui temi pastorali, ad esempio sulla vita e sulla famiglia abbiamo le stesse posizioni" - e anche sotto questo profilo ("che compete alla Santa Sede" ha precisato il cardinale) il dialogo interconfessionale è ad un passo dal concludersi, al punto che la sua incompiutezza provoca, appunto, "dolore". Conferma Filaret, metropolita di Minsk e Sluzk: "Siamo ormai da tempo in dialogo e a volte in questo percorso ci sono momenti di slancio a volte una caduta di tensione" ma ora Roma e Mosca "si stanno parlando del futuro della chiesa e dio voglia che quest’atmosfera continui". Erdö e Filaret si sono confrontati per un’ora sulla fede in Europa, partendo dalla domanda di Dostoevskij: "Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni, può credere, credere proprio alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?". Filaret ha insistito sul tema del cuore come "campo di battaglia tra il diavolo e Dio" e individuando questa lotta perenne anche "nei processi di sviluppo dei sistemi democratici in Europa e nel mondo", mentre Erdö ha esaminato la figura dell’intellettuale europeo, il quale non può prescindere dall’eredità cristiana nella sua ricerca di risposte. Linguaggi che sembrano far dimenticare gli errori del passato quando, ha commentato Filaret, "parlava sottovoce delle proprie falsità", sottacendo "contraddizioni che gridano al cielo". Paolo Viana
2010-08-23 23 agosto 2010 LAVORO E DIRITTI Tensione a Melfi La Fiom denuncia Fiat Licenziati, reintegrati dal giudice, entrati in fabbrica per meno di due ore, di nuovo fuori, con l'intenzione di avviare un'azione penale contro l'azienda, che invece ribadisce la legittimità dei licenziamenti e crede nella vittoria del ricorso, il 6 ottobre prossimo, fino ad un appello al Presidente della Repubblica. Può essere raccontata così la giornata - convulsa e ricca di prese di posizione - di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli: oggi al cambio turno, intorno alle ore 13.30, si sono presentati all'ingresso dello stabilimento di Melfi (Potenza) della Fiat, con avvocato e ufficiale giudiziario al seguito, per far valere la sentenza del giudice del lavoro del 9 agosto scorso. Sostenuti dall'applauso dei colleghi, hanno varcato il primo tornello. Il giudice ha ordinato che i tre (Barozzino e Lamorte sono delegati Fiom) devono tornare al loro posto: ma la Fiat, che aveva chiesto ai tre di non presentarsi neanche, li "ospita" negli uffici dei sorveglianti, a pochi metri dai cancelli. Poi la proposta: tornino pure in fabbrica, ma accettino di fare attività sindacale in una sala, senza tornare nei reparti dove si assembla la "Punto Evo". L'avvocato della Fiom non ci sta: "Non è così che si rispetta la sentenza di reintegro", dice Lina Grosso e annuncia due mosse. La prima è la richiesta al giudice del lavoro, Emilio Minio, di specificare i termini del reintegro disposto nella sentenza del 9 agosto; la seconda è una denuncia penale contro la Fiat per non aver rispettato la sentenza stessa. Da Torino, la Fiat replica con una nota che non lascia spazio a dubbi: secondo l'azienda non solo i licenziamenti dei tre operai sono legittimi ma l'udienza del 6 ottobre stabilirà che la posizione della Fiat è giusta perchè vi sono stati "comportamenti di estrema gravità", con un "volontario e prolungato illegittimo blocco della produzione, e non esercizio del diritto di sciopero". E, intanto, all'interno dello stabilimento la Fiom proclama la sciopero con un corteo: nella prima ora, dalle 14 alle 15, l'adesione, secondo l'azienda, è stata del 5,2%. All'esterno, i rappresentanti sindacali si "stringono" intorno ai tre operai. Barozzino, a nome anche di Lamorte e Pignatelli, si rivolge al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: "Gli lanciamo un appello: non ci faccia vergognare di essere italiani. Vogliamo solo il nostro lavoro, come ha deciso il giudice". Anche la Fiom, durante il presidio organizzato al cambio turno, ha distribuito un volantino con la richiesta a Napolitano di intervenire "per ristabilire il principio costituzionale che la legge è uguale per tutti". Dopo la protesta, i tre lasciano lo stabilimento: "Non vogliamo essere confinati - ha aggiunto Barozzino ai numerosi giornalisti presenti oggi a Melfi - in una saletta sindacale che è distante centinaia di metri dalla fabbrica dove lavorano i nostri colleghi. Dalla saletta - ha concluso - non potremmo parlare con nessuno. Per rivendicare i nostri diritti siamo disposti a venire in fabbrica ogni giorno".
2010-08-10 10 agosto 2010 POTENZA Fiat, da reintegrare i tre dipendenti licenziati La Fiat è stata condannata per comportamento antisindacale e i tre operai licenziati a Melfi dovranno essere reintegrati dall'azienda. È questa la decisione del giudice del lavoro di Potenza in merito ai licenziamenti decisi nello stabilimento lucano dal gruppo automobilistico secondo quanto riferisce Enzo Masini, responsabile nazionale per il settore auto della Fiom-Cgil. "La Fiat è stata condannata per comportamento antisindacale e il giudice ha detto che i tre licenziamenti sono illegittimi e i dipendenti dovranno essere reintegrati al lavoro", dice Masini. I tre dipendenti, due dei quali rappresentanti sindacali, erano stati licenziati a metà luglio dall'azienda perché durante un corteo interno allo stabilimento avevano bloccato un carrello robotizzato che riforniva altri operai che erano regolarmente al lavoro. L'allontanamento dei tre operai è arrivato durante una delle fasi della complessa trattativa che la Fiat sta portando avanti per ottenere un contratto ad hoc per i dipendenti dello stabilimento napoletano di Pomigliano d'Arco, che prevede sanzioni per chi non rispetta le intese. Un accordo che la Fiom-Cgil si è rifiutata di sottoscrivere - al contrario di Uilm-Uil, Fim-Cisl, Ugl e Fismic - attirandosi addosso, secondo quanto dichiarato dai vertici della Fiom, anche la reazione dell'azienda. Oggi Giovanni Sgambati, segretario della Uilm Campania e responsabile per il settore auto del sindacato, teme che la decisione del giudice di Potenza inasprisca il conflitto innescato dall'accordo separato su Pomigliano, ma anche dai licenziamenti. "Mi auguro che ora ci sia meno enfasi politica e la vicenda si chiuda qui, senza altri passaggi in tribunale, soprattutto per il bene dei lavoratori", ha detto Sgambati, riferendosi alla possibilità che la Fiat ricorra in appello prolungando la querelle giudiziaria e stimolando la conflittualità intersindacale. Giuseppe Farina, segretario generale della Fim-Cisl, ritiene al contrario che la sentenza "contribuirà a rasserenare gli animi". La sentenza, spiega il sindacalista, "è un segnale per il gruppo e ci dice due cose: che la Fiat ha sbagliato a non graduare le sue decisioni nei confronti di quei dipendenti, utilizzando gli strumenti già previsti dal contratto, ma ci dice anche che l'attuale quadro di riferimento legislativo e contrattuale garantisce la tutela dei diritti".
2010-08-04 4 Agosto 2010 LAVORO Telecom, 3900 esuberi: accordo per mobilità volontaria Fumata bianca alla Telecom: il negoziato, partito a metà luglio, è stato molto serrato all'indomani dell'annuncio dell'azienda di 6.800 licenziamenti nei prossimi due anni (3.700 dei quali entro giugno 2011). E stanotte, dopo 24 ore di confronto al ministero dello Sviluppo Economico, è stata trovata l'intesa: tra le novità la formazione e la mobilità volontaria. Per 3.900 dipendenti si prevede l'attivazione di una mobilità ordinaria su base volontaria nel biennio 2010-2012. Per altri 2.220 invece si ricorrerà a percorsi di formazione con contratti di solidarietà per consentire il reinserimento in settori strategici dell'azienda, in particolare la rete. Si tratta di 1.300 dipendenti non coperti da tutela e saranno reinseriti in Telecom, di 470 dipendenti del '1254' e 450 di SSC. Per i lavoratori già posti in mobilità, che si sono visti slittare in avanti la data utile a percepire la pensione a seguito delle modifiche normative sopraggiunte, si è ottenuta la copertura del 90% della retribuzione per i periodi eventualmente scoperti. L'attivazione di mobilità ordinaria su base volontaria per circa 3.900 lavoratori sarà volta, principalmente, a coloro che così potranno raggiungere i requisiti pensionistici previsti dalla legge. I lavoratori del '1254' avranno una proroga dei contratti di solidarietà per ulteriori due anni e un piano formativo di riqualificazione nonchè un ulteriore riutilizzo del telelavoro. Per Ssc è prevista l'attivazione di circa 470 contratti di solidarietà anche questi associati ad un piano formativo e che reintegri i lavoratori in altri settori di Telecom, oltre a prevederne l'internalizzazione dei processi di attività informatiche. Per 1.300 lavoratori che non hanno protezioni sociali ed erano, per l'azienda, esuberi strutturali è previsto un importante piano formativo al termine del quale porterà ad una riqualificazione completa dei lavoratori per un loro utilizzo in altri settori strategici per l'azienda. Per i lavoratori ex Tils, attualmente non impiegati, grazie anche ai percorsi formativi previsti per i colleghi di altri settori/aziende, c'è l'impegno di riassunzione in Hr Service. Soddisfatte le parti. L'ad di Telecom, Franco Bernabè, ha sottolineato come l'intesa garantisca "il rispetto e la tutela dei lavoratori". Per il Governo l'accordo è un "segnale di maturità da parte di tutti, del sindacato, dell'azienda e per certi versi anche del Governo", afferma il vice ministro allo Sviluppo economico, Paolo Romani. "Certamente la notizia è buona, fino a poche settimane fa il quadro era diverso con licenziamenti unilaterali", dice invece il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Anche i sindacati mostrano apprezzamento: per Enrico Miceli della Slc Cgil l'accordo è un modello possibile
2010-07-29 29 luglio 2010 AL TAVOLO CON GOVERNO E SINDACATI Fiat, fabbrica di aut-aut C’hiamato a chiarire cosa ne sarà del piano "Fabbrica Italia" dopo l’annuncio della produzione in Serbia dei prossimi monovolume del gruppo Fiat, Sergio Marchionne ha spiegato tutto: il programma da 20 miliardi non è cambiato, c’era bisogno di decidere rapidamente dove costruire quelle auto e solo l’impianto di Kragujevac poteva dare certe garanzie. Ma Mirafiori non perde nulla, perché nella gamma di Fiat e Chrysler non mancano certo le nuove vetture da costruire. Detto questo – a Torino, al tavolo su Mirafiori tra l’azienda, il governo e i sindacati – il manager italo-canadese ha quindi aggiunto che c’è poco da trattare. Al governo Marchionne ha fatto presente che non chiede aiuti pubblici né incentivi perché non vuole "farsi coinvolgere" politicamente. Ai sindacati ha ricordato che Fabbrica Italia non è un accordo, ma un progetto autonomo di Fiat: quindi l’azienda non ha nessun vincolo. Non c’è spazio per grandi trattative. Fiat vuole investire in Italia – l’unica area del mondo in cui l’azienda è ancora in perdita – ma se i sindacati non le daranno "la sicurezza che le fabbriche possano funzionare" non lo farà. L’azienda non può permettersi "di produrre a singhiozzo, con livelli ingiustificati di assenteismo, o di vedere le linee bloccate per giorni interi". E se questo non è possibile "andrà altrove" perché "non siamo disposti a mettere a rischio la sopravvivenza della Fiat". L’accordo su Pomigliano non sarà replicato, si procederà con intese impianto per impianto. Lavorare senza ostacoli, è questa "certezza" quello che vuole Marchionne. "Vogliamo governare gli stabilimenti. Questa non è una cosa oscena. Qui in Italia sembra che stiamo parlando della luna" dirà il manager qualche ora dopo, alla fine dell’incontro in Confindustria con Emma Marcegaglia. Marchionne dirà anche che "prima dei diritti vengono i doveri, ma qui invece abbiamo invertito il discorso". Anche al tavolo torinese Marchionne ha parlato a lungo e agli altri (gli "altri" sono i sindacati) ha chiesto di parlare poco. Perché in questa situazione "non servono fiumi di parole" ma bastano "un sì o un no". E se sarà sì, che sia "definitivo e convinto" ha avvertito il manager. Le repliche sono arrivate presto. Quello della Cisl è un sì "senza se e senza ma" ha risposto Raffaele Bonanni. Con una condizione, però: che Fabbrica Italia "rimanga nel perimetro delle regole del nuovo sistema contrattuale che abbiamo costruito". È un sì anche quello della Uil, perché, ha spiegato Luigi Angeletti, l’obiettivo di raddoppiare la produzione di auto in Italia "è così importante che non andiamo a cercare alibi o scuse per non raggiungerlo". In cambio però Angeletti chiede chiarezza: "La Fiat ci dica quali sono le condizioni per cui questo progetto si implementi sicuramente". Chi ha firmato – su Pomigliano, ma anche sul contratto nazionale dei metalmeccanici – ci sta. La Cgil, che quegli accordi li ha rifiutati, ha confermato il suo no. Guglielmo Epifani ha chiesto a Marchionne di "riaprire il confronto a partire da Pomigliano", di farlo "gestendo l’eventuale dissenso" e senza "usare i carrarmati". Qualcosa, evidentemente, molto lontano dall’assenso "convinto" richiesto dal manager. Il governo è con Cisl e Uil. "Soddisfatto" e rassicurato sulle intenzioni dell’azienda, Maurizio Sacconi ha chiesto solo di "restare nell’alveo delle tradizionali relazioni industriali": per il ministro del Lavoro sindacati e azienda a questo devono "trovare modalità con cui adattare il sistema di relazioni alle concrete esigenze degli obiettivi che si sono posti". Per l’esecutivo non resta che un ruolo di mediatore, perché il compito di "finanziatore" della più grande industria manifatturiera d’Italia si è esaurito con la fine degli incentivi. Una battuta di Marchionne non è sfuggita al ministro: "Ha ribadito che non chiede e che non cerca incentivi pubblici, ma cerca gli incentivi nelle persone e nelle organizzazioni sindacali". Pietro Saccò
29 luglio 2010 La grande partita del "caso Fiat" Il rivoluzionario e la politica distratta e invischiata Invischiate in un miscuglio di rassegnazione e indifferenza, distratte dalle convulsioni interne alla maggioranza e dagli sviluppi delle inchieste giudiziarie su P3 e dintorni, la politica e la società italiane sembrano incapaci di inquadrare nelle sue esatte dimensioni la grande partita che si sta giocando attorno al caso Fiat. Proiettata ormai da anni in una dimensione operativa sovranazionale, che l’accordo dello scorso anno con Chrysler ha solo reso evidente anche ai ciechi, l’azienda manifatturiera che fu nazionale per definizione è pronta adesso a giocare in modo "esemplare" una carta cruciale per il futuro di tutti: la messa in discussione esplicita e il superamento del tradizionale sistema di relazioni industriali, costruito storicamente sul binomio conflitto-contratto. Un obiettivo, questo, perseguito dal numero uno Sergio Marchionne non con intenti ideologici, ma quasi per marcare una volta per tutte il carattere di "extra territorialità" del suo gruppo, non più disposto a restare all’interno di recinti ritenuti, a torto o a ragione, insostenibili. Che tutto ciò possa avvenire senza ricadute significative per il Sistema Italia nel suo complesso è evidentemente impensabile. Stupisce, allora, che per il momento nei palazzi della politica non siano in molti – ministro Sacconi a parte – a prendersene cura con un livello adeguato di attenzione. Il giorno dopo l’annuncio sulla "newco", la nuova società creata appositamente per gestire lo stabilimento di Pomigliano, si è consumata ieri sull’asse Torino-Roma una giornata di incontri e di trattative che, a livello di decisioni concrete, si è rivelata ancora interlocutoria. Ma che intanto è servita all’amministratore delegato di Fiat per ribadire il suo punto di vista con un frasario netto e dai tratti vagamente messianici ("Ci sono due sole parole possibili da pronunciare: una è sì, l’altra è no"). Non è escluso che certi toni ultimativi nascondano una intenzione tattica, che le pressioni mediatiche e psicologiche puntino anzitutto ad ammorbidire le componenti sindacali e politiche tuttora contrarie a consentire deroghe al sistema delle regole vigenti, in cambio della certezza di un impegno produttivo consistente. Anche l’ipotesi di non iscrivere la nuova azienda all’associazione delle industrie metalmeccaniche, per sfuggire ai vincoli del contratto collettivo, potrebbe infine rientrare, in presenza di garanzie adeguate sulla continuità dei ritmi lavorativi e sulla rinuncia alla conflittualità facile: in fondo, gli operai Chrysler di Detroit hanno già firmato da tempo l’impegno a non scioperare fino al 2015. Ma anche solo il fatto che uno scenario simile sia stato evocato, ci pare, avrebbe dovuto destare ben altra attenzione. Dagli anni ’50 in poi, l’accostamento Fiat-Confindustria ha rappresentato un binomio pressoché obbligato, una sorta di identificazione implicita e scontata tra gli interessi della maggiore azienda nazionale e quelli della categoria degli imprenditori privati. Al punto di dar vita a ricorrenti polemiche delle piccole e medie imprese, che spesso imputavano a Viale dell’Astronomia un eccessivo appiattimento sulle posizioni di Corso Marconi. La semplice ipotesi di un "satellite" Fiat che non entra in Federmeccanica, la sigla confindustriale di settore, ha insomma del sensazionale. Molti indizi, per altro, inducono a pensare che la vicenda Fiat non si giocherà mai più solo sul terreno simbolico. E che molte tessere, nel mosaico finale dell’industria automobilistica italiana e mondiale, usciranno rivoluzionate: ci auguriamo senza pagare prezzi sociali troppo alti e senza ridestare antichi e tristi fantasmi. Che nulla sarà più come prima, altrove se ne sono accorti da tempo. Domani Barak Obama sarà a Detroit, anche per visitare gli impianti della Chrysler. Ad accoglierlo ci sarà quello stesso Marchionne che il presidente Usa volle già incontrare nella fase decisiva della trattativa con Fiat. Da dove tutto è cominciato. Al volante dell’auto c’è posto per uno solo, ma i cambi di marcia e di direzione – tanto quanto le accelerazioni – vanno sorvegliati con lucida capacità di governo e di rappresentanza dell’interesse comune. Gianfranco Marcelli
29 luglio 2010 IL LAVORO E L'AUTO Fiat-Confindustria, nessuno strappo Un incontro di 45 minuti tra Sergio Marchionne ed Emma Marcegaglia scongiura, almeno per ora, l’uscita della Fiat da Confindustria e dalla cornice del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici. Dopo il tavolo riunito a Torino ieri mattina, nel pomeriggio è andato in onda il secondo tempo della partita sul futuro del Lingotto e dell’auto italiana. Mentre dai sindacati che hanno siglato l’accordo per il rilancio di Pomigliano partivano segnali di disponibilità al confronto, l’ad della Fiat è volato a Roma per fare il punto con il leader degli imprenditori. Per la multinazionale dell’auto l’obiettivo è quello di avere garanzie che un accordo come quello siglato in Campania (e altri che dovessero arrivare) non trovi ostacoli nell’attuale contratto nazionale. Una certezza che allo stato non c’è nemmeno con lo strumento della newco (la società nuova di zecca che gestirà Pomigliano) appena varata dalla Fiat a Napoli. Da parte sua Confindustria vuole evitare di essere scavalcata dal ventilato atto unilaterale del Lingotto (la disdetta del contratto e l’uscita da Federmeccanica) che ne indebolirebbe prestigio e rappresentatività. Così dopo il colloquio Marcegaglia ha spiegato che Confindustria "condivide l’obiettivo di Fiat di puntare a una maggiore competitività e produttività", un traguardo di "tutto il sistema industriale". Assicurando di voler lavorare a un processo di cambiamento delle regole. "Abbiamo definito insieme – ha proseguito il leader – un impegno a trovare nel più breve tempo possibile una strada affinché Fiat possa implementare nel miglior modo possibile gli obiettivi di competitività, come a Pomigliano restando all’interno di Confindustria" "C’è un impegno comune – ha rimarcato Marchionne – cerchiamo di portare a casa una soluzione anche con Emma". Anche se l’ad della Fiat non ha mancato di avvertire fin dal mattino che "la disdetta del contratto è possibile" e che "c’è sempre un piano B". Insomma andiamo avanti insieme, è il messaggio a Confindustria e ai sindacati, ma se i risultati non arrivano andremo avanti anche da soli. Nessun dettaglio sull’impegno a cui lavorano le parti. Ma dal momento che l’attuale contratto metalmeccanico scade nel dicembre del 2012 e Fiat vuole cambiamenti a breve, la soluzione sembra essere quella di un’integrazione concordata alla normativa nazionale che permetta delle deroghe stabilimento per stabilimento (come a Pomigliano) con accordi specifici tra le parti. Una soluzione resa in qualche modo più semplice dal fatto che la Fiom-Cgil non ha firmato l’ultimo contratto e dunque la sua probabile contrarietà non sarà di ostacolo a un nuovo accordo tra le parti. Di questo piano si comincerà a parlare già oggi nell’incontro convocato da Fiat con i sindacati di categoria a Torino. Alla chiamata di Marchionne "rispondiamo sì senza se e senza ma", ha assicurato il segretario della Cisl Raffaele Bonanni dopo il vertice di Torino. Alla Fiat il segretario cislino chiede però di fare chiarezza sul fatto che si rimarrà "nel perimetro del nuovo modello contrattuale che abbiamo costruito". Siamo "pronti a discutere e a dare le garanzie chieste da Marchionne ma tassativamente dentro le regole contrattuali vigenti", ha sottolineato. Per Luigi Angeletti l’obiettivo di aumentare la produzione di auto in Italia, "è così importante da non permettere "alibi o scuse". "Non abbiamo problemi ad accettare la sfida , ha aggiunto il leader della Uil, spiegando in merito agli assetti contrattuali che "gli stabilimenti Fiat sono diversi e non si può fare una camicia a taglia unica". In sostanza non servono nuove regole nazionali vincolanti per tutti ma piuttosto la possibilità di trovare accordi specifici come a Pomigliano. Restano ai margini Cgil e Fiom. Per Gugliemo Epifani dal vertice di Torino non sono emersi fatti nuovi. "Chiediamo che si possa riaprire il confronto a partire da Pomigliano senza usare i carri armati e trovando una soluzione condivisa", è l’auspicio. Ma le cose paiono andare in un’altra direzione. Nicola Pini
2010-07-28 28 luglio 2010 AL TAVOLO CON GOVERNO E SINDACATI "Senza un "sì" convinto, meno investimenti in Italia" Senza un "si" convinto, meno investimenti. Questo l'avvertimento di Sergio Marchionne intervenuto aoggi al tavolo sulle prospettive del gruppo e sullo stabilimento di Mirafiori: "Se si tratta solo di pretesti per lasciare le cose come stanno è bene che ognuno si assuma la propria responsabilità sapendo che il progetto "Fabbrica Italia" non può andare avanti e che tutti i piani e gliinvestimenti per l'Italia verranno ridimensionati". "Sarebbe stato molto più semplice e anche più economico guardare ai vantaggi sicuri che altri Paesi possono offrire - ha aggriunto -. La corsia per venire in Italia per aprire un nuovo insediamento è drammaticamente vuota. Questa è la verità". L'amministratore delegato di Fiat ha poi ricordato che gli investimenti previsti in Italia, circa 20 miliardi, "equivalgono quasi alla Finanziaria di cui si discute in questi giorni. La sola cosa che abbiamo chiesto - ha spiegato - è di avere più affidabilità e più normalità in fabbrica. Da qualcuno ci siamo sentiti rispondere che stiamo ricattando i lavoratori, violando la legge o addirittura la Costituzione. Non voglio più commentare assurdità del genere". All'incontro, che si sta svolgendo nella sede della Regione Piemonte partecipano il ministro Maurizio Sacconi, l'amminsitratore delegato Fiat Sergio Marchionne, i leader dei sindacati confederali e metalmeccanici, i rappresentanti delle istituzioni locali. È inoltre previsto per oggi il faccia a faccia tra Marchionne e la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia per cercare una via d'uscita dopo l'ipotesi ventilata da parte del Lingotto di disdire il contratto nazionale. "Le nostre non sono minacce, ma non siamo disposti a mettere a rischio la sopravvivenza del'azienda - ha detto Marchionne - Dobbiamo decidere se avere un settore auto forte in Italia o consegnarlo ai competitori esteri". L'amministratore delegato di Fiat ha poi rassicurato gli interlocutori precisando che il piano d'investimenti "Fabbrica Italia" verrà portato avanti e che Fiat è "l'unica azienda a investire 20 miliardi nel Paese. Ma dobbiamo avere garanzie che gli stabilimenti possano funzionare". Parlando poi della produzione della monovolume "LZero" in Serbia, Marchionne ha precisato che il progetto "non toglie prospettive a Mirafiori. Esistono alternative per garantire i volumi di produzione" nella fabbrica torinese. "Ci sono solo due parole che al punto in cui siamo richiedono di essere pronunciate una è sì, l'altra è no", ha concluso Marchionne. Un quadro in cui "si" vuol dire, per l'ad di FIat, "modernizzare la rete produttiva italiana" e "no" significa "lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui ad essere inefficiente e inadeguato a produrre utile e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro".
28 luglio 2010 INIZIATIVA Fiat, prova di forza su Pomigliano e contratto Fiat 2, la clonazione: nuova società per Pomigliano e nuovo contratto di lavoro su misura dell’auto globale. Dopo avere ridisegnato la struttura del gruppo (con lo spin off delle quattro ruote) Sergio Marchionne "scorpora" anche le relazioni industriali. Alla vigilia del tavolo di questa mattina a Torino sul futuro di Mirafiori e degli stabilimenti italiani, il Lingotto ha fatto filtrare la doppia notizia, che conferma le indiscrezioni degli ultimi giorni. La prima riguarda la new company (newco), costituita già lo scorso 19 luglio: si chiama "Fabbrica Italia Pomigliano", è interamente controllata dalla Fiat e presieduta dallo stesso Marchionne: dovrà rilevare lo stabilimento Gian Battista Vico e gestire il rilancio della produzione con l’arrivo della Panda. Assumerà con un nuovo contratto (assorbendo le clausole contenute nell’accordo con i sindacati sottoposto a referendum) i 5.000 lavoratori della fabbrica campana. La seconda novità non è ancora ufficiale ma non viene smentita dal Lingotto. Dopo l’incontro di oggi, Fiat ha infatti convocato i sindacati anche per domani e in quella sede comunicherà la disdetta degli accordi vigenti, tra i quali il contratto nazionale di lavoro metalmeccanico, firmato nel 2009 con un accordo separato (senza la Fiom) e valido fino a tutto il 2012. L’incontro si svolgerà in due tappe: un primo round con i tutti i sindacati per discutere dell’attuazione di Fabbrica Italia e un secondo passaggio con le sigle firmatarie dell’intesa di Pomigliano (Fim, Uilm, Fismic e Ugl): la disdetta dovrebbe essere comunicata in questo contesto. A corollario di questa scelta la newco appena costituita non aderirebbe all’Unione industriale campana proprio per evitare di applicare fin da subito il contratto nazionale. La prova di forza di Marchionne ha suscitato reazioni e preoccupazioni nel mondo sindacale e politico. Anche se alcuni leader attendono prima di esprimersi di avere più chiaro il quadro delle intenzioni Fiat nei due incontri di oggi e domani. "L’uscita dal contratto nazionale? Non la voglio nemmeno prendere in considerazione", afferma il segretario della Uil, Lugi Angeletti. "Non credo che la Fiat possa non applicarlo – aggiunge –. Può fare una cosa ovvia: quando scadrà potrebbe non applicarlo più e allora dovrà negoziare con i sindacati un nuovo contratto". La mossa non piace nemmeno al ministro del Lavoro Maurizio Sacconi che ieri ha invitato la Fiat a non fare "scelte unilaterali". La Fiom con il segretario Maurizio Landini afferma che "se la Fiat pensa per attivare la newco di arrivare alla disdetta del contratto nazionale, sarebbe un atto senza precedenti, un fatto grave e inaccettabile". Approva invece l’ex presidente di Federmeccanica, Massimo Calearo, oggi deputato dell’Api, che definisce Marchionne "precursore dei nuovi rapporti industriali in Italia". Mentre il senatore pd Tiziano Treu si dice "preoccupato": "Il problema è come fermare questa ondata – sottolinea – e su questo anche il governo deve dire qualcosa. Poi però sarà necessario ripensare alle regole di sistema". Per l’ex ministro "lasciare il contratto nazionale è una rottura netta del sistema ed è come dire che neppure con gli aggiustamenti introdotti a Pomigliano è possibile lavorare in Italia". È dunque una vigilia molto tesa quella che ieri ha preceduto l’incontro convocato oggi alla 10 a Torino dal ministro Sacconi con azienda, sindacati ed enti locali la quale dovrebbe essere presente lo stesso Sergio Marchionne. Sul tavolo il nodo di Mirafiori dopo la decisione di produrre in Serbia il nuovo monovolume L0 e più in generale il piano di rilancio degli stabilimenti italiani prevista da Fabbrica Italia. Sindacati e istituzioni si attendono la conferma degli investimenti (20 miliardi in 5 anni) e dei livelli produttivi (1,4 milioni di auto) annunciati ad aprile. "La partita è più che mai aperta e sono ottimista per la sua soluzione", afferma Sacconi che crede "nella volontà degli attori e nella loro consapevolezza di quanto sia alta la posta in gioco". Una posta che riguarda ormai, insieme al futuro dell’industria dell’auto e dell’occupazione, l’intero sistema delle relazioni sindacali. Nicola Pini
2010-07-27 26 luglio 2010 INIZIATIVA Fiat, nasce Fabbrica Italia Marchionne presidente Nasce Fabbrica Italia Pomigliano, società iscritta al registro delle Imprese della Camera di commercio di Torino e controllata al 100% da Fiat Partecipazioni. Presidente è l'ad del Lingotto Sergio Marchionne. La società ha sede legale a Torino e il capitale sociale è di 50mila euro. L'oggetto sociale della new company è "l'attività di produzione, assemblaggio e vendita di autoveicoli e loro parti. A tal fine può costruire, acquistare, vendere, prendere e dare in affitto o in locazione finanziaria, trasformare e gestire stabilimenti, immobili e aziende". Inoltre la società "può compiere le operazioni commerciali, industriali, immobiliari e finanziarie, queste ultime non nei confronti del pubblico, necessarie o utili per il conseguimento dell'oggetto sociale, ivi comprese l'assunzione e la dismissione di partecipazioni ed interessenze in enti o società, anche intervenendo alla loro costituzione". La nascita di Fabbrica Italia Pomigliano è un passo preliminare per la costituzione di una nuova società, una new company in cui riassumere, con un nuovo contratto, i 5mila lavoratori attuali della fabbrica campana. Si tratta del progetto Futura Panda a Pomigliano, per il quale la Fiat ha raggiunto un accordo con i sindacati il 15 giugno, non firmato dalla Fiom.
2010-07-25 24 luglio 2010 CITTÀ DEL VATICANO Osservatore Romano: insostenibile delocalizzazione La delocalizzazione può funzionare, ma non se è mirata a produrre dove il lavoro costa meno e vendere e investire in aree diverse, perchè in una economia sana devono essere presenti tutte e tre queste dimensioni. È quanto sostiene il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, in un editoriale di prima pagina dell'Osservatore Romano, in cui non si parla mai esplicitamente della Fiat, ma facilmente riconducibile alle vicende di questi giorni. Il banchiere cattolico cita una storiella di Henry Ford, il quale, "dopo avere sopportato un lungo periodo di conflittualità sindacale, fece progettare e costruire una fabbrica di automobili totalmente automatizzata. Mostrò poi l'impianto senza operai al potente capo dei sindacati e gli disse con scherno: 'La fermi ora, se ne è capace'. Ma il sindacalista replicò: 'Adesso venda lei le auto prodotte, se ne è capacè. Sottintendendo che, se non si produce potere di acquisto, non è nemmeno possibile vendere". "L'uomo economico - insiste Gotti Tedeschi - è infatti produttore, compratore, investitore", e "il mondo intero ha sotto gli occhi gli effetti della delocalizzazione, soprattutto in Asia, degli ultimi anni, fenomeno che ha prodotto trasferimenti di capitali e tecnologie, orientati soprattutto a ottenere produzioni a basso costo, ma senza basarsi su vere scelte strategiche. Ciò ha generato un nuovo modello economico difficilmente sostenibile, perchè ha creato Paesi produttori, ma temporaneamente non consumatori, e Paesi consumatori, ma non più produttori. I primi sono entrati nel ciclo economico della crescita, i secondi ne sono quasi usciti". Se una simile filosofia prendesse piede in Occidente - avverte Gotti Tedeschi - "si rischia di poter quotare in Borsa solo l'Empire State Building, la Tour Eiffel o il Colosseo".
23 luglio 2010 AUTO Calderoli: "Fiat garantisca occupazione altrimenti paghi il conto" "A me interessa poco di cosa la Fiat voglia andare a fare in Serbia, a me interessa che lo stabilimento di Mirafiori resti aperto e siano garantiti i livelli occupazionali, investendo come si è fatto a Pomigliano". Lo afferma il ministro Roberto Calderoli (Lega) che aggiunge: "Ho fiducia nel tavolo promosso dal nostro Roberto Cota a Torino la prossima settimana, diversamente saremmocostretti a far pagare il conto non soltanto alla Fiat, ma a tutte le altre imprese, di quanto hanno ricevuto in questi decenni dallo Stato, perché, torno a ripetere, non si può pensare di sedersi ad un tavolo, mangiare con aiuti di Stato e incentivi e poi andarsene senza pagare il conto!". LA CONVOCAZIONE DI SACCONI Sulla vicenda Fiat è intervenuto anche il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Maurizio Sacconi, che d'intesa con il presidente della Regione Piemonte, "convoca la Fiat Auto e le organizzazioni sindacali di categoria e confederali per l'esame del Piano "Fabbrica Italia" e delle sue ricadute produttive e occupazionali sui siti produttivi italiani". Lo fa sapere il ministero in una nota. "Il confronto tra parti e istituzioni si svolgerà mercoledì 28 alle ore 10 presso la Regione Piemonte a Torino". Per Sacconi tra la vicenda di Pomigliano D'Arco e l'annuncio della delocalizzazione in Serbia c'è un legame fondamentale, che è quello di una "buona utilizzazione degli impianti, basato soprattutto sulle relazioni industriali. Fiat cerca l'incentivo all'investimento nell'ambito di comportamenti sindacali cooperanti. A noi quello che interessa è saturare gli impianti italiani e garantire buoni investimenti negli impianti italiani. Di questo discuteremo, nel frattempo noi lavoriamo per costruire. Capisco che per qualcuno possa essere difficile capirlo". BERLUSCONI: DELOCALIZZAZIONE NON A SCAPITO DELL'ITALIA "In un'economia di mercato un gruppo industriale è libero di stabilirsi dove ritiene più opportuno. Spero non accada a scapito della produzione in Italia e dei lavoratori". Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha commentato così nel corso della conferenza stampa congiunta con il presidente russo Dimitri Medvedev la decisione del Lingotto, anticipata ieri dall'amministratore delegato Sergio Marchionne, di produrre la nuova monovolume in Serbia. Al centro dell'incontro con il presidente della Federazione Russa, che si è svolto oggi alla Prefettura di Milano, Silvio Berlusconi ha assicurato a Medvedev di essere "impegnato per portare avanti il problema" della liberalizzazione dei visti per i cittadini russi "a livello europeo", chiedendo "di inserire il tema della prossima riunione dei Capi di Stato e di governo europei", e di averne parlato al presidente della Commissione Ue Josè Manuel Durao Barrosso e al Commissario Antonio Tajani.
2010-07-22 22 Luglio 2010 ECONOMIA Marchionne: "Produrremo in Serbia la nuova monovolume "Lo"" La Fiat produrrà la nuova monovolume "Lo" in Serbia. Il nuovo insediamento partirà subito e prevede un investimento complessivo da un miliardo di euro, di cui 350 milioni circa dal Lingotto (400 milioni dalla Bei, 250 da Belgrado), per una produzione di 190 mila unità l'anno che sostituirà la Multipla, la Musa e l'Idea che attualmente vengono fatte a Mirafiori. Lo spiega l'amministratore delegato Sergio Marchionne in una intervista. E proprio a Mirafiori la futura monovolume poteva essere prodotta: "Se non ci fosse stato il problema Pomigliano, la Lo l'avremmo prodotta in Italia", afferma l'ad. "Ci fosse stata la serietà da parte del sindacato, il riconoscimento dell'importanza del progetto, del lavoro che stiamo facendo e degli obiettivi da raggiungere con la certezza che abbiamo in Serbia, la Lo l'avremmo prodotta a Mirafiori", dice Marchionne. L'ad ribadisce che la Fiat "non può assumere rischi non necessari in merito ai suoi progetti sugli impianti italiani: dobbiamo essere in grado di produrre macchine senza incorrere in interruzioni dell'attività". L'APPELLO DI CHIAMPARINO Sullo spostamento di una parte della produzione Fiat in Serbia, Sergio Chiamparino, sindaco di Torino e presidente dell'Anci, lancia un appello all'azienda e alle parti sociali. Alla prima perchè "prima di assumere decisioni rifletta perché per la Fiat vale quello che ho detto anche sul Governo, c'è un problema di affidabilità". Alle parti sociali perchè "dovrebbero invece sforzarsi di comprendere che un progetto come quello di Fabbrica Italia ha caratteristiche quasi rivoluzionarie per la situazione produttiva del nostro paese e che quindi bisogna guardare con occhi nuovi rispetto al passato". A margine del suo intervento alla presentazione del rapporto annuale Ifel, Chiamparino ha detto di credere che "su questa base bisognerebbe ricostruire una base di confronto tra azienda, parti sociali e parti istituzionali per definire delle certezze perchè non è accettabile, e io non posso accettarlo prima di tutto come sindaco di Torino - ha sottolineato - che si vada avanti navigando a vista su un terreno che riguarda la vita di migliaia di persone". A proposito della delocalizzazione in Serbia, il sindaco di Torino ha aggiunto che "gli impegni presi dalla Fiat col progetto Fabbrica Italia erano diversi e prevedevano che quel tipo di produzione fosse fatta nello stabilimento di Mirafiori. Ora trovo che sia paradossale e inaccettabile - ha concluso - che sia proprio quello stabilimento, il primo ad aver creduto nella possibilità di un rilancio dell'intero progetto Fiat in Italia, a pagare le conseguenze di un mancato accordo o di un accordo dimezzato su Pomigliano". POLEMICA LA CGIL "La scelta di spostare la produzione prevista nella stabilimento di Mirafiori in Serbia, e le motivazioni addotte, sembrano confermare una linea basata sulla ritorsione nei confronti del sindacato e dei lavoratori, in continuità con il clima determinato dai recenti licenziamenti individuali". È quanto si legge in una nota della Segreteria nazionale della Cgil, che esprime "preoccupazione per la continua indeterminatezza nelle decisioni che assume la Fiat sul futuro delle produzioni negli stabilimenti italiani"
22 luglio 2010 IL RILANCIO DEL LINGOTTO Fiat, trimestre "eccezionale". Via libera alla scissione "Eccezionale". Sergio Marchionne guarda i conti del trimestre appena chiuso, approvati dal Cda del gruppo Fiat in seduta Oltreoceano, a Auburn Hills, quartier generale della Chrysler, nel Michigan. E non usa mezzi termini. "È stato un trimestre eccezionale per il gruppo che ha superato quasi tutte se non tutte le attese del mercato". Il Lingotto torna in positivo. Con un utile netto a 113 milioni di euro, contro una perdita di 179 milioni di euro nel secondo trimestre 2009; un utile della gestione ordinaria più che raddoppiato a 651 milioni; ricavi in rialzo del 12,5% a 14,8 miliardi di euro. Dati incoraggianti anche per l’altra sfida del Lingotto, lo spin off dell’auto annunciato ad aprile nell’Investor Day di Torino, il cui percorso è stato definito proprio ieri. Il cda ha dato infatti il via libera alla nascita di due Fiat: Fiat Spa, con le attività automobilistiche e la componentistica (Fiat Group Automobiles, Ferrari, Maserati, Magneti Marelli, Teksid, Comau e FPT Powertrain Technologies) e Fiat Industrial Spa, con le attività di Cnh (macchine agricole e per le costruzioni), i veicoli industriali Iveco e i motori "industrial e marine" di Fiat Powertrain Technologies. Uno spin off atteso da tempo che partirà dal 1 gennaio 2011 e che – secondo il Lingotto – "darà chiarezza strategica e finanziaria ad entrambi i business e permetterà loro di svilupparsi strategicamente in modo indipendente l’uno dall’altro". Le azioni di Fiat Industrial saranno assegnate agli azionisti Fiat "sulla base di un rapporto uno a uno". Il 16 settembre la proposta sarà definitivamente approvata dall’Assemblea. Numeri e trasformazioni strutturali che sono stati premiati in Borsa con una corsa durata tutta la giornata. La chiusura è stata brillante, con il titolo in rialzo del 6,74% a 9,66 euro, tra scambi fiume per 49 milioni di pezzi, pari al 4,5% del capitale. Qualche timore invece da Moody’s, che ha posto sotto revisione il rating Ba1 assegnato a Fiat in vista di un possibile declassamento, alla luce dello spin off annunciato dal gruppo. "Lo scorporo di Fiat Industrial – ha spiegato l’agenzia di rating – si tradurrà in un indebolimento del profilo di business di Fiat rispetto a quello attuale delle attività unite in Fiat Group, a tal punto da ridurre la portata e la diversificazione di ciascuna delle due entità separate". Ma Marchionne va dritto su risultati e obiettivi. Il manager di timori non ne ha. Anzi il momento è estremamente positivo, nonostante in Italia, resistano ancora polemiche e tensioni a livello sindacale. "Il business è in buona forma", ha detto, sottolineando poi che i target 2010 sono "decisamente sottostimati". "Il lavoro fatto nel 2008-2009 – ha aggiunto – sta portando i suoi frutti. Ed è molto probabile che rivedremo le stime al rialzo per il 2010". Un rialzo che potrebbe essere "significativo". Quanto alle polemiche dopo l’accordo su Pomigliano, il manager ha assicurato: "Fiat non può assumere rischi non necessari in merito ai suoi progetti" sugli impianti italiani: "Dobbiamo essere in grado di produrre macchine senza incorrere in interruzioni" dell’attività. La discussione, ha spiegato Marchionne, "si è inquinata sia in merito alle intenzioni sia agli obiettivi di Fiat". Adesso il Lingotto ha intenzione di portare "avanti l’investimento, lavorando insieme alla maggioranza dei sindacati che lo ha approvato". Un modello da "esportare"? No, "non duplicheremo Pomigliano", ha risposto Marchionne. "Decideremo impianto per impianto. Soprattutto, dobbiamo convincere i sindacati sull’assoluta necessità di modernizzare" i rapporti industriali in Italia. Giuseppe Matarazzo
2010-07-10 10 Luglio 2010 FIAT Pomigliano, si fa strada l'ipotesi di una "new company" È sempre al lavoro il pool di legali ed esperti che cerca di individuare, con i manager della Fiat, gli strumenti giuridici per garantire l'applicazione dell'accordo per produrre la Nuova Panda a Pomigliano. Un'analisi avviata all'indomani dell'intesa del 15 giugno, non sottoscritta dalla Fiom e proseguita in questi giorni. Una delle ipotesi all'esame è la costituzione di una newco, una società che riassumerebbe con un nuovo contratto i lavoratori di Pomigliano disponibili ad accettare le condizioni poste dall'accordo. Allo studio ci sono tuttavia anche altre possibilità che i legali ai quali la Fiat si è rivolta stanno vagliando. ANGELETTI (FIOM): APPLICHEREMO L'ACCORDO "Che la Fiom lo firmi o no, applicheremo l'accordo. Vinceremo la sfida e Pomigliano sarà una grande fabbrica di auto". Il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, ribadisce la sua soddisfazione per il via libera della Fiat all'investimento per la nuova Panda nella fabbrica campana e non ha dubbi sul fatto che l'intesa raggiunta con l'azienda venga attuata. "La Fiom deve prima firmare il contratto nazionale, poi può dire che vuole difenderlo", attacca subito Angeletti. E insiste: "Dopo l'accordo separato per la riforma del sistema contrattuale, molti si sono chiesti se si potesse applicare senza la Cgil. Il risultato è che la sua applicazione c'è stata anche con la firma di molti segretari di categoria della Cgil. Per Pomigliano accadrà la stessa cosa. Se lo firmano sarà meglio per loro, ma non ci sono problemi". Il segretario generale della Uil dice di non avere mai temuto, dopo l'accordo del 15 giugno, che la Panda non arrivasse a Pomigliano: "Non ho mai conosciuto un imprenditore che viene meno alla parola data, la cosa più importante per lui è la credibilità". "Dimostreremo – conclude Angeletti – che a Napoli si possono fare auto competitive. I lavoratori parteciperanno a questa grande sfida".
10 luglio 2010 IL RILANCIO Fiat investe: la Panda arriva a Pomigliano Fiat scioglie la riserva: l’investimento a Pomigliano si farà e arriverà la produzione della Panda. La conferma della disponibilità dell’azienda, sembrata in forse dopo il referendum senza plebiscito tra i lavoratori della fabbrica, è arrivata ieri da Torino dopo un vertice tra Sergio Marchionne, le federazioni sindacali firmatarie dell’accordo e i segretari confederali di Cisl e Uil Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. Una decisione che l’amministratore delegato spiega in una lettera inviata a tutti i dipendenti italiani del gruppo dove (vedi altro articolo) esclude di voler colpire i loro diritti e chiama a una piena collaborazione sul progetto "Fabbrica Italia". A Pomigliano si andrà avanti quindi alle condizioni stabilite nell’accordo separato, senza correzioni di rotta e nessuna apertura alle richieste della Fiom-Cgil, che non ha firmato e chiedeva di ridiscutere alcuni punti. L’incontro è maturato dopo alcuni giorni di stand by che avevano fatto temere un disimpegno Fiat. Nel vertice, tenuto riservato fino all’ultimo, Marchionne è stato chiaro con i sindacati: vado avanti ma dovete assicurarmi che posso fare pieno affidamento su di voi oggi e domani, è in sostanza il messaggio dell’ad. Una richiesta accolta. La Fiat e le organizzazioni sindacali Fim-Cisl, Uil-Uilm e Fismic, spiega il comunicato congiunto diffuso dopo l’incontro, "hanno convenuto di dare attuazione all’accordo raggiunto per la produzione della Panda. I firmatari "considerando che la grande maggioranza dei lavoratori ha dato il proprio assenso con il referendum, hanno convenuto sulla necessità di dare continuità produttiva allo stabilimento".
Soddisfatto Raffaele Bonanni: "È una svolta che senza enfasi si può definire storica sia per le relazioni industriali sia per tutta l’economia italiana", ha commentato il leader Cisl. Un segnale "positivo per il Mezzogiorno e di tutto il sistema produttivo italiano" che arriva "nonostante tutti i profeti di sventura e le chiusure ideologiche e politiche di una minoranza rissosa". Interviene anche il presidente Fiat John Elkann sottolineando l’"importante segnale di fiducia" da parte dell’azienda: "significa che crediamo nell’Italia e intendiamo fare fino in fondo la nostra parte". Non ha gradito la Cgil, che resta isolata. Dalla segreteria di Guglielmo Epifani si sottolinea che quello che è accaduto con l’intesa separata alla Foat "è un fatto grave e senza precedenti" e apre "un problema formale nei rapporti tra l’azienda e la Cgil". La riunione di ieri non è entrata nella dimensione operativa del progetto, limitandosi a dare un via libero "politico" all’operazione che vale 700 milioni di euro di investimento. Si tratterà ora di vedere come la Fiat vorrà cautelarsi rispetto a possibili conflittualità interne alla fabbrica, specie ora che la Fiom è rimasta fuori e che il referendum ha fatto emergere il dissenso del 36% dei lavoratori. Nella nota congiunta azienda e firmatari dell’accordo affermano a questo proposito che "si impegneranno per la sua applicazione con modalità che possano assicurare tutte le condizioni di governabilità dello stabilimento". Quali? Una delle ipotesi che resta in piedi e della quale la Fiat sta verificando la praticabilità è quella della new company. In questo caso la fabbrica di Pomigliano sarebbe conferita a una società nuova di zecca che potrebbe ripartire su basi contrattuali nuove. Non solo: i dipendenti sarebbero riassunti nei numeri concordati ma potrebbero non essere necessariamente tutti gli stessi di prima. Dura la reazione Fiom, che considera "grave e sbagliato non aver voluto cercare soluzioni contrattuali condivise". Per Maurizio Landini, segretario della federazione metalmeccanica targata Cgil, la Fiat invece "ha scelto di procedere sulla base dell’accordo separato, che contiene deroghe al contratto nazionale, alle leggi e violazioni costituzionali e può aprire la strada alla demolizione del contratto nazionale e a un peggioramento delle condizioni di lavoro". Per il segretario della Fim Cisl Giuseppe Farina la conferma dell’avvio degli investimenti è "una notizia importante per i lavoratori e il territorio di Pomigliano". Nicola Pini
2010-07-01 1 Luglio 2010 FIAT Pomigliano, la Fiom annuncia: "Pronti a riprendere le trattative" "La Fiat farebbe una cosa saggia se riaprisse la trattativa per ricercare una vera soluzione di prospettiva dello stabilimento. Noi questa disponibilità l'abbiamo data". A dirlo, sia parlando nell'assemblea dei delegati Fiom in corso a Pomigliano d'Arco (Napoli) sia ai giornalisti, il segretario dei metalmeccanici aderenti alla Cgil Maurizio Landini. È iniziata questa mattina al teatro Gloria di Pomigliano d'Arco (Napoli) l'assemblea dei delegati e dei segretari della Fiom durante la quale si discuterà soprattutto della vertenza dei lavoratori dello stabilimento Giambattista Vico. All'assemblea, partecipano tra gli altri, i segretari nazionali, Maurizio Landini e Giorgio Cremaschi. Cremaschi, poco prima dell'inizio dei lavori, ha sostenuto che la vertenza di Pomigliano "deve essere la grande lotta per tutelare il lavoro nel Mezzogiorno. Assieme al lavoro devono esserci i diritti, in quanto il lavoro senza diritti non può essere considerato tale". All'assemblea sono presenti delegati del gruppo Fiat di tutta Italia e di altri stabilimenti del settore metalmeccanico. "La Fiat voleva il plebiscito per il sì al referendum. Prendano atto della realtà" ha detto il segretario nazionale della Fiom, Giorgio Cremaschi, poco prima dell'inizio dell'assemblea il segretario nazionale. Cremaschi, che si è presentato all'incontro in stampella per un infortunio al ginocchio, ha infine sottolineato che la Fiat non può sostenere "che i lavoratori di Pomigliano debbano avere trattamenti peggiori di quelli polacchi". L'EDITORIALE DEL FINANCIAL TIMES Per l'industria automobilistica italiana è arrivato il momento della verità. Lo afferma, in un editoriale, il Financial Times di oggi secondo cui l'Italia si trova come si trovava La Gran Bretagna trent'anni fa, quando la sua industria automobilistica venne "praticamente distrutta" da una prassi sindacale "fortemente conflittuale". Secondo il Financial Times, "la situazione in Italia ora pare aver raggiunto un punto di non ritorno" dopo "l'ultimatum ai sindacati". Il giornale economico britannico ripercorre quindi le ultime tappe della trattativa su Pomigliano. "Uno stabilimento che - si legge - opera al 25% delle sue capacita", dove "è diffuso l'assenteismo" e gli operai si assentano "non tanto per andare al mare quanto per fare un altro lavoro altrove". Dopo il referendum, che ha visto un 36% di no al piano dell'amministratore delegato Marchionne, la Fiat, scrive Ft, "sente che il 62% della maggioranza non può garantire" il successo del piano. Questa volta, a differenza che in passato - sottolinea il Financial Times - "la Fiat non ha chiesto sussidi governativi al suo progetto". E questo, si sottolinea, è un segnale nella nuova Fiat guidata da John Elkann. La Fiat - scrive ancora il giornale britannico - sta dicendo ai sindacati italiani e alla politica che "sta facendo di tutto per mettere l'Italia al centro della sua nuova strategia industriale, ma non ha intenzione di sacrificare il futuro del gruppo" dimostrandosi accomodante con "i capricci e le cattive prassi di un sistema del lavoro anarchico". E se alla fine la Fiat dovesse decidersi a mettere in pratica la minaccia di delocalizzare le sue produzioni - conclude l'editoriale - "nessun Paese si sentirebbe di criticarla".
2010-06-23 23 Giugno 2010 FIAT Pomigliano, Fiat: "Lavoreremo con chi ha firmato l'accordo" Il fronte del sì vince a Pomigliano, ma non sfonda. A votare favorevolmente all'accordo, è stato il 62% dei lavoratori dello stabilimento campano: una percentuale inferiore a quanto si aspettava la stessa azienda. In mattinata, prima è trapelata la notizia secondo cui Fiat starebbe per rinunciare a spostare la produzione della Panda dalla Polonia. Dopo qualche ora, una nota ufficiale del Lingotto ha fatto sapere che l'azienda "lavorerà con le parti sindacali che si sono assunte la responsabilità dell'accordo" su Pomigliano, prendendo atto "dell'impossibilità di trovare condivisione da parte di chi sta ostacolando, con argomentazioni dal nostro punto di vista pretestuose", il piano per il rilancio di Pomigliano. Subito la replica di Fiom: "Facciano pure ma noi continuiamo a pensare che sia importante il consenso di tutti", ha detto il segretario generale Maurizio Landini. Nei fatti, il Lingotto non chiude la porta e non menziona alcun "piano B"(cioè il ritorno della produzione della Panda in Polonia), apre piuttosto il confronto con i sindacati che hanno firmato l'accordo per "individuare ed attuare insieme le condizioni di governabilità necessarie per la realizzazione di progetti futuri". Insomma, prima di sborsare 700 milioni, bisognerà pur vedere se il 62% di lavoratori che hanno sottoscritto l'accordo rappresentino una garanzia sufficiente per la governabilità di Pomigliano. Sulla vicenda è intervenuto anche il Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Si è detto "fiducioso" che Fiat rispetti gli accordi e vada avanti col piano mentre il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni ha avvertito di "non fare scherzi", ed anche la Uil, con Angeletti, ha chiesto il rispetto del patto. Dal canto suo la Cgil, ha detto Susanna Camusso numero due della confederazione, ha invitato invece le parti a "riaprire il confronto per una soluzione condivisa". Intanto, sul mercato azionario, l'esito del referendum sembra essere stato ignorato: le azioni del Lingotto sono partite in ribasso, in linea con l'andamento generale del listino, e a fine mattinata hanno limato le perdite, segnando un -0,26%. Vince, quindi, ma non sfonda il "sì" al referendum che si è svolto allo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco: un voto che è servito ai lavoratori per esprimere il proprio consenso o meno all'intesa siglata lo scorso 15 giugno tra la Fiat e la sigle sindacali, eccetto la Fiom. I sindacati si dicono soddisfatti del 63,4% dei consensi conquistato dal sì. Ma nella fabbrica campana della Fiat sono tutti consapevoli che a pesare nel prossimo futuro sarà anche il 36% raggiunto dal fronte del no. I "sì" sono stati 2.888, i no 1.673, le schede bianche 22 e quelle nulle 59. I lavoratori che hanno votato sono stati 4.642 (il 95%) su 4.881 aventi diritto.
23 Giugno 2010 Il voto in fabbrica a Pomigliano Ma la porta deve stare aperta "Non chiudete quella porta!". All’indomani del voto dei lavoratori di Pomigliano d’Arco – qualunque ne sia stato l’esito, non ancora noto nelle sue esatte proporzioni al momento in cui scriviamo – è questo l’unico slogan che ci piacerebbe sentir scandito. Non deve chiudere la porta la Fiat. I cancelli dello stabilimento, anzitutto, che vanno lasciati aperti anche se il 100% dei consensi – com’è scontato – non verrà raggiunto, resistendo alla tentazione di ri-collocare la produzione della nuova Panda in Polonia. E soprattutto non deve sbarrare l’accesso al confronto, ma al contrario impegnarsi ancora a ricercare il consenso più vasto possibile, offrendo alla Fiom la possibilità di rientrare in gioco, qualunque sia stata l’entità della sua sconfitta o, a maggior ragione, in caso di una qualche affermazione. Meglio perdere altre due settimane al tavolo negoziale, forti del consenso già raggiunto, che cercare di approfittarne subito, finendo poi per infilarsi in un tunnel di ricorsi legali, di microconflittualità e di un pericoloso scontento latente fra i lavoratori. Men che meno l’amministratore delegato Marchionne dovrebbe farsi tentare dall’ipotesi del cosiddetto "Piano C", con la creazione di una società nella quale ri-assumere – fuori dal contratto nazionale – i soli lavoratori che accettassero le condizioni imposte. Magari escludendo quelli iscritti alla Fiom o comunque "poco collaborativi". Sarebbe come sbattere la porta in faccia, non a una componente sindacale, ma all’insieme dei lavoratori, al Paese. E il contraccolpo potrebbe essere altrettanto duro. Anche la Fiom, però, farebbe bene a non chiudere la porta. Perché, nonostante consideri illegittimo il referendum, non potrà non tener conto dell’espressione degli operai. E se anche la percentuale dei "no" fosse significativa, la sua vittoria nelle urne sarebbe la sconfitta dell’occupazione. E dunque ci sarebbe ben poco da gioire, al di là di un’effimera affermazione "politica" nei confronti della casa-madre Cgil e delle federazioni cugine. Bando allora allo splendido (e sterile) isolamento nel quale la Fiom si è auto-relegata da tempo, porte aperte invece al confronto. Con gli imprenditori, gli altri sindacati e con la realtà, pure se sgradita. Col coraggio di innovare e assumersi anche la responsabilità di partecipare al cambiamento. E ancora, non dovrebbero chiudere la porta neppure Fim-Cisl, Uilm, Fismic e Ugl, anche se per loro il negoziato è finito, l’intesa firmata e approvata dai lavoratori. Vale la pena, pur di ritrovare l’unità dei lavoratori, anche uno sforzo in più, qualche ulteriore colpo di lima all’intesa. Perché se è vero – com’è vero – che tutti i sindacati, Fiom compresa, avevano accettato l’organizzazione su 18 turni, il ridisegno delle pause e l’aumento degli straordinari, il più è fatto. C’è già l’accordo su ciò che davvero conta per la vita concreta degli operai. Sul resto – la lotta all’assenteismo e le clausole di responsabilità contro gli scioperi che vanificano le intese – c’è la possibilità di tornare a confrontarsi e trovare un nuovo, più alto e comunque efficace compromesso. Sarebbe sufficiente darsi atto di una fiducia reciproca, lavorando insieme nelle commissioni paritetiche chiamate ad esaminare i casi di "malattie" anomale. E specificare che non di (ipotetiche) lesioni al diritto di sciopero si tratta, ma di semplici forme di autoregolamentazione. Con sanzioni limitate e concordate. Come ne esistono già in altri settori, senza perciò aver messo in mora alcun diritto costituzionale. Tutto si può concordare. Basta non chiudere la porta. Francesco Riccardi
2010-06-22 22 Giugno 2010 LAVORO Pomigliano, affluenza massiccia Verso il sì all'accordo con Fiat I lavoratori dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco aprono all'accordo. La stragrande maggioranza degli aventi diritto al voto al referendum ha scelto di rispondere sì alla chiamata del Lingotto che prevede la produzione della Nuova Panda ed investimenti per 700 milioni di euro. A pochi minuti dalla chiusura dei seggi (alle 21) aveva votato circa il 95% dei quasi 5mila lavoratori aventi diritto. Un consenso atteso quello registrato anche se ancora non si conosce la percentuale di voti contrari (l'esito preciso si saprà in nottata). La parola ora passa all'azienda che è chiamata a decidere se ci saranno le condizioni per rilanciare Pomigliano. La perdita dello stabilimento per quest'area sarebbe un vero disastro non solo per una provincia in cui il tasso di disoccupazione è del 19,7%, ma anche per tutto il Mezzogiorno. Un clima di attese, speranze e di riscatto quello respirato all'ingresso dello stabilimento. Tanta anche la determinazione dei lavoratori che non ci stanno a passare per quelli che non hanno voglia di lavorare. È invece un'assunzione piena di responsabilità quella che sono pronti a dare, ma dovrà essere un impegno reciproco. A fronte di una Fiat disposta a scommettere in questo territorio per i lavoratori ci dovrà essere anche una Fiat pronta a istituire nuove relazioni sindacali per rinnovate dinamiche da gestire ogni giorno nella fabbrica. Si apre una nuova stagione dove lavoro e produttività dovranno trovare il giusto equilibrio per riuscire ad integrarsi al meglio. La nuova organizzazione del lavoro è pensata all'insegna della flessibilità in grado di portare lo stabilimento al suo massimo utilizzo, in modo da poter rispondere alle variazioni di un mercato sempre più veloce e globale. Un progetto che convince come hanno ribadito oggi ancora una volta Cisl e Fim che insieme a Uilm, Fismic e Ugl hanno firmato l'accordo. Resta invece in disparte la Fiom che da strenua sostenitrice della democrazia referendaria non solo si è detta contro l'accordo, ma ha anche dichiarato che non firmerà nemmeno a fronte della maggioranza di consensi dei lavoratori.
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CORRIERE della SERA
per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.corriere.it2011-07-22 mezzi pubblici Trasporti: un'altra giornata calda Oggi fermi bus e metro nelle principali città. Sei ore di servizio garantito. Treni fermi fino alle 21 di questa sera questa seraNOTIZIE CORRELATE Milano, chiuse tutte e tre le linee della metropolitana MILANO - Un'altra giornata calda per i trasporti. Città e stazioni a rischio caos: dalle 21 di ieri è scattato lo sciopero di 24 ore del trasporto ferroviario mentre da stamattina toccherà ad autobus, metro e tram. Ieri si erano fermati i servizi extraurbani. L'agitazione proclamata da Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Ugltrasporti, Orsa Trasporti, Faisa e Fast è "a sostegno della vertenza per la sottoscrizione del nuovo contratto della Mobilità". Durante l'astensione degli addetti al trasporto ferroviario ed alle attività connesse, saranno garantiti i servizi minimi indispensabili pari a 6 ore di servizio completo in due fasce protette (6-9; 18-21), oltre ai treni a lunga percorrenza inseriti nell'orario Trenitalia nell'arco dell'intera durata dello sciopero. QUANDO E DOVE - Per quanto riguarda le principali città, le modalità saranno le seguenti: Roma dalle 8.30 alle 17.30 e dalle 20 a fine servizio; Milano (ferme tutte e tre le linee della metropolitana) dalle 8.45 alle 15 e dalle 18 al termine del servizio; Napoli dalle 8.30 alle 17 e dalle 20 a fine servizio; Torino dalle 9 alle 12 e dalle 15 a fine servizio; Venezia-Mestre dalle 9 alle 16.30 e dalle 19.30 a fine servizio; Genova dalle 9,30 alle 17 e dalle 21 a termine servizio; Bologna (giovedì 21 luglio) dalle 8.30 alle 16.30 e dalle 19.30 a fine servizio; Bari 8.30 - 12.30 e dalle 15.30 a fine servizio; Palermo dalle 8.30 alle 17.30; Cagliari dalle 9.30 alle 12.45, dalle 14.45 alle 18.30 e dalle 20 alla fine del servizio. I MOTIVI - Lo sciopero, riferiscono i sindacati, "si è reso necessario in considerazione del grave stato di tensione tra i lavoratori conseguente al mancato pagamento degli aumenti contrattuali relativi agli anni 2009-2010 e alla mancata soluzione contrattuale, la cui responsabilità è da ascrivere alle posizioni di chiusura datoriale. Nonostante gli impegni assunti dal governo anche in sede di confronto con le Regioni - spiegano le varie sigle - le problematiche riferite al contratto della mobilità sono rimaste irrisolte e anche la richiesta di incontro inoltrata al presidente del Consiglio da parte dei segretari generali delle confederazioni non ha avuto alcun seguito". MILANO E ROMA - A Milano la circolazione è stata sospesa dalle 8.45 sulle tre linee della metro, mentre per le linee di superficie sono possibili disagi. Dalle 15 alle 18 scatterà la fascia di garanzia, con la circolazione di metropolitane e superficie che tornerà ad essere regolare, mentre dalle 18 al termine del servizio "riprenderà l'agitazione". A Roma, spiega una nota, lo sciopero "si svolgerà nel rispetto delle fasce di garanzia. Il servizio sarà quindi garantito tra le 17 e le 20 quando è previsto che l'astensione degli autoferrotranvieri riprenda". Redazione online 21 luglio 2011(ultima modifica: 22 luglio 2011 11:42)
2011-07-20 ma la società automobilistica deve permettere l'attività sindacale della cgil in fabbrica Pomigliano: il giudice , no a ricorso Fiom ma comportamento Fiat è antisindacale Il verdetto del giudice del lavoro di Torino: legittimo il contratto firmato per la newco da Cisl e Uil Il leader della Fiom Maurizio Landini (Imagoeconomica) Il leader della Fiom Maurizio Landini (Imagoeconomica) MILANO - L'accordo fatto a Pomigliano tra Fiat e Cisl e Uil è perfettamente legittimo, ma il comportamento dell'azienda automobilistica è stato antisindacale. Respinte quindi tutte le richieste contrattuali della Fiom ma, al tempo stesso, dichiarazione di comportamento antisindacale da parte della Fiat. È questo il senso della sentenza del tribunale di Torino sulla newcom di Pomigliano. Nel dispositivo della sentenza il giudice Vincenzo Ciocchetti dichiara antisindacale la condotta posta in essere da Fiat Spa, Fiat Group Automobiles Spa, Fabbrica Italia Pomigliano Spa poichè determina, quale effetto conseguente, l'estromissione di Fiom Cgil dal sito produttivo di Pomigliano d'Arco. Il giudice inoltre ordina a Fabbrica Italia Pomigliano Spa di riconoscere in favore di Fiom Cgil la disciplina giuridica come regolato dal titolo terzo (dell'attività sindacale). Ciocchetti a Torino doveva valutare sul ricorso proposto dalla Fiom contro il contratto collettivo di primo livello per lo stabilimento di Pomigliano, siglato il 29 dicembre 2010, che fissa nuove regole di gestione dello stabilimento campano dove la Fiat ha investito 700 milioni di euro per la produzione della nuova Panda, prevista per il prossimo autunno, in tema, tra l'altro, di turni, organizzazione del lavoro, assenteismo e malattia, straordinario. Nel dispositivo il giudice del tribunale del lavoro ha respinto le domande formulate da Fiom Cgil dirette ad ottenere l'illegittimità dei contratti collettivi relativi al sito produttivo di Pomigliano d'Arco. In particolare, il contratto collettivo di lavoro di primo livello stipulato il 29 dicembre scorso da Fiat Spa con le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali di Fim, Uilm, Fismic, Ugl, Associazione quadri e capi Fiat e il contratto collettivo aziendale di secondo livello stipulato il 17 febbraio da Fabbrica Italia Pomigliano Spa con le organizzazioni sindacali territoriali di Napoli di Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Associazione quadri e capi Fiat. LA VICENDA - La resa dei conti era cominciata il 18 aprile scorso quando i metalmeccanici della Cgil hanno presentato un'azione legale per contestare la costituzione di una nuova societá, la Fip, Fabbrica Italia Pomigliano. Secondo i legali del sindacato, la newco sarebbe stata voluta dalla Fiat per aggirare l'articolo 2112 del codice civile che vieta di creare nuove aziende con l'obiettivo di modificare i contratti. In più, sempre secondo la Fiom, l'intesa avrebbe avuto anche carattere antisindacale in quanto con il passaggio dalle Rsu alle Rsa, avrebbe permesso solo ai sindacati firmatari dell'accordo, e cioè Fim, Uilm, Fsmic e Ugl, di svolgere attività sindacali, mentre quelli dissenzienti non avrebbero alcuna rappresentanza in fabbrica. La decisione della Fiom di utilizzare la via giudiziaria è stata, però, contestata dalle altre sigle sindacali: Fim e Uilm, qualche giorno prima che si aprisse il dibattimento, lo scorso 18 giugno, hanno depositato un autonomo atto di intervento, spiegando che si trattava di "un atto dovuto per difendere le importanti ragioni sindacali di un accordo che ha assicurato lavoro e prospettive industriali allo stabilimento di Pomigliano". Fismic, invece si è costituita in giudizio con intervento volontario "a tutela esclusiva degli interessi dei lavoratori e degli accordi che sono stati approvati dalla maggioranza dei lavoratori attraverso i referendum", mentre l'Ugl ha depositato una memoria difensiva. Dal canto suo, Fiat ha sempre sostenuto la necessitá di nuove regole per garantire la competitivitá degli stabilimenti italiani, nuove regole in termini di flessibilitá, saturazione degli impianti, volumi prodotti, che richiedono alcune modifiche al contratto nazionale di categoria. Una necessità ribadita anche oggi da Raffaele De Luca, legale del Lingotto, secondo cui "è suggestione dire che la più grande organizzazione sindacale italiana non goda di diritti, quelli non sono in discussione. Quello che qui stiamo discutendo è altro, è il futuro dell'industria italiana per la quale senza quelle poche regole modificate non c'è storia". I LEGALI FIAT - "La sentenza ci soddisfa a metà": questo il primo commento degli avvocati Raffaele De Luca e Diego di Rutigliano, legali della Fiat, dopo la sentenza. "La prima parte riconosce piena legittimità delle nuove regole pensate per lo stabilimento di Pomigliano che l'azienda ritiene indispensabili per poter competere in un mercato sempre più globalizzato. La sentenza - aggiungono i legali - ha riconosciuto la legittimità delle deroghe ai contratti collettivi nazionali e la validità dell'impegno del gruppo Fiat e delle quattro organizzazioni sindacali firmatarie. La Fiom, al contrario, ha il mito dell'intangibilità del contratto collettivo nazionale di lavoro che invece è stato demolito dal giudice". "Al contrario riteniamo la seconda parte della sentenza incomprensibile in quanto contrasta apertamente - dicono gli avvocati - con l'articolo 19 dello Statuto dei lavoratori che sancisce il diritto di rappresentanza sindacale soltanto alle organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto il contratto". Sulla seconda parte della sentenza, ovvero quella relativa al comportamento antisindacale della Fiat, l'azienda farà ricorso. CAMUSSO - "La cosa più importante della sentenza è che il modello della divisione ha fallito e che viene restituita ai lavoratori la possibilità di decidere a quale sindacato appartenere". Il leader della Cgil, Susanna Camusso, commenta la sentenza del tribunale di Torino sul ricorso della Fiom-Cgil contro la Fiat. "Questo dovrebbe indurre tutti i firmatari dell'accordo separato a riflettere sul fatto che le strade che portano a separazioni ed esclusioni non funzionano", aggiunge il segretario generale della Cgil. "Ed è proprio per questa ragione - conclude - che è importante che ci siano regole condivise come quelle contenute nell'ipotesi di accordo del 28 giugno scorso firmato da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria" SACCONI - "Ad una prima analisi la sentenza conferma la legittimità dell'accordo di Pomigliano e questa è la cosa più importante". Così il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, commenta la sentenza. "A questo punto - aggiunge - la Fiom dovrebbe riflettere sulla strategia dell'autoisolamento e prendere la via della collaborazione con le altre organizzazioni sindacali e con la stessa Fiat nel nome degli investimenti e dell'occupazione". LANDINI - "La Fiat è stata condannata per comportamento antisindacale e questo è un fatto significativo" ha detto Maurizio Landini, segretario generale della Fiom. "Da tempo - aggiunge - avevamo denunciato che l'esclusione della Fiom dagli stabilimento Fiat era illegittima. Dobbiamo leggere il dispositivo della sentenza, dopodichè valuteremo se avviare delle cause individuali dei singoli lavoratori". BONANNI - "È una vittoria sul piano sindacale di chi ha ritenuto importante l'investimento ed ha puntato sull'accordo con la Fiat". Così il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, commenta la sentenza sul ricorso Fiom contro la newco Fiat di Pomigliano. "Ma per la Cisl - aggiunge - è anche una vittoria in sede giudiziaria perchè da oggi la Fiom, al contrario di ieri, non ha alcun alibi, visto che ha l'opportunità di rientrare nel gioco democratico ma dovrà rispettare gioco forza la volontà dei lavoratori e degli altri sindacati, assumendosi le proprie responsabilità sugli accordi che a maggioranza si faranno come pattuito dall'accordo interconfederale sottoscritto alcune settimane fa". Redazione online 16 luglio 2011(ultima modifica: 18 luglio 2011 11:12)
2011-07-04 MANOVRA, IL TESTO ARRIVA AL QUIRINALE. Giallo sui tagli alle rinnovabili Spunta la norma sul Lodo Mondadori Possibile blocco del risarcimento da 750 milioni dovuto da Fininvest. Confermata la stretta sulle pensioni MILANO - Il testo definitivo della manovra, "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria", è stato trasmesso al Quirinale. Non senza punti controversi e relative polemiche. Primo tra tutti, il capitolo sulle "norme risarcimenti", che potrebbe interessare direttamente la sentenza sul Lodo Mondadori e provocare la sospensione del pagamento dei 750 milioni di euro dovuti dalla Fininvest alla Cir di Carlo De Benedetti. LODO MONDADORI - Anche se fosse confermato in appello dai giudici di Milano (la sentenza dovrebbe arrivare sabato 9 luglio), il verdetto di primo grado sul Lodo Mondadori potrebbe infatti vedere sospesa la sua esecutività da una norma inserita nella manovra. Più in dettaglio, si tratta di una modifica a due articoli del codice di procedura civile (il 283 e il 373) che obbliga il giudice (che finora ne aveva solo la facoltà) a sospendere l'esecutività della condanna nel caso di risarcimenti superiori ai 20 milioni di euro (10 in primo grado) dietro il pagamento di "idonea cauzione", in attesa che si pronunci in via definitiva la Cassazione. "Una disposizione palesemente immorale e incostituzionale" attacca il leader dell'Idv Antonio Di Pietro. "Scandalosa in una finanziaria che prefigura lacrime e sangue per il Paese" aggiunge la capogruppo democratica nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti. Una norma incostituzionale sostiene anche il presidente dell'associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, secondo il quale: "Se dovesse essere confermata si tratterebbe di una norma che nulla ha a che vedere con il tema dell'efficienza del processo civile, che determinerebbe una iniqua disparità di trattamento e che sarebbe, quindi, incostituzionale". IL DECRETO - Il testo finale del decreto, dove viene confermata la stretta sulla pensioni, è composto da 39 articoli e da due allegati. Si apre con gli stipendi dei politici e si chiude sul riordino dei giudici tributari. I provvedimenti saranno spiegati martedì in una conferenza stampa del ministro dell'Economia Giulio Tremonti alla quale partecipano anche i ministri Brunetta, Calderoli, Romani e Sacconi. PENSIONI - Confermato per il biennio 2012-2013 il blocco della rivalutazione delle pensioni "dei trattamenti pensionistici superiore a cinque volte il trattamento minimo di pensione Inps". "Per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il predetto trattamento minimo Inps l'indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato nella misura del 45%". ENERGIE RINNOVABILI - Il taglio del 30% di "tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni" presenti in bolletta torna nel testo del decreto secondo le indiscrezioni battute dalle agenzie. Ma il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo smentisce: "Non mi risulta" e il ministro dello Sviluppo Paolo Romani precisa in una nota: "Nessun taglio". Allo scopo di ridurre il costo finale dell'energia per i consumatori e le imprese, recitava invece l'articolo 35 dell'ultima bozza circolata, "a decorrere dal primo gennaio 2012 tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni, comunque gravanti sulle componenti tariffarie relative alle forniture di energia elettrica e gas naturale, previste da norme di legge o da regolamenti sono ridotti del 30 per cento rispetto a quelli applicabili alla data del 31 dicembre 2010". L'entità degli incentivi, dei benefici e delle agevolazioni sarà rideterminata dal ministero dello Sviluppo su proposta dell'Autorità per l'energia entro 90 giorni. Sul "giallo" del testo inviato al Quirinale, l'opposizione va all'attacco: "Nonostante le smentite dei ministri Romani e Prestigiacomo, il testo contiene tagli - dice il senatore del Pd Salvatore Tomaselli -. Con questa misura, ancora una volta, il governo cede al populismo della Lega, danneggiando il settore delle rinnovabili con l'ennesimo colpo di mannaia dopo quanto avvenuto nelle settimane passate con il forte ridimensionamento degli incentivi al fotovoltaico". RISPARMIATORI - Il bollo che si applica alle comunicazioni relative al deposito di titoli può salire infatti fino a 380 euro se ha un ammontare complessivo a cinquantamila euro ed è gestito da una banca. L'importo varierà infatti in base al valore del "conto": dai 120 euro annuali per le comunicazioni di intermediari finanziari ai 150 per i conti inferiori ai 50 mila euro relativi a comunicazioni di depositi titoli presso banche, fino ai 380 euro annuali se si supera questa soglia SUPERBOLLO - A partire dal 2011, "per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro 10 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 225 chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato". BANCHE E FINANZIARIE- Banche, assicurazioni e società finanziarie, dovrebbero vedersi imporre un'addizionale sull'Irap pari a 0,75 punti percentuali (aliquota in crescita dal 3,9 al 4,65%) al posto della tassazione separata al 35% sugli utili da trading bancario. VOLI DI STATO - I voli di Stato saranno limitati soltanto alle cinque massime cariche dello Stato, ossia al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato, al Presidente del Consiglio e al Presidente della Corte Costituzionale. Nell'articolo, si sancisce che le eccezioni a questa regola "devono essere specificatamente autorizzate, soprattutto con riferimento agli impegni internazionali e rese pubbliche sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, salvi i casi di segreto per ragioni di Stato". LA POLEMICA- Resta l'eco delle polemiche che hanno accompagnato il giallo dell'invio del decreto legge a Giorgio Napolitano. Domenica 3 luglio una nota della Presidenza della Repubblica aveva smentito le notizie diffuse dalla stampa. "Poiché molti organi di informazione continuano a ripetere che la manovra finanziaria approvata dal governo nella seduta di giovedì scorso sarebbe al vaglio della Presidenza della Repubblica già da venerdì - si leggeva nella nota - si precisa che a tutt'oggi (domenica, ndr) la Presidenza del Consiglio non ha ancora trasmesso al Quirinale il testo del decreto legge". E infatti fonti dell'esecutivo hanno poi spiegato che il testo non era stato ancora trasmesso, a ridosso del fine settimana, ma che sarebbe giunto al Colle per la firma già da lunedì. Redazione online 04 luglio 2011 22:20
IL DECRETO DI TREMONTI Manovra, il testo è al Quirinale Confermata la stretta sulle pensioni Blocco delle rivalutazioni delle pensioni per il biennio 2012-2013. Taglio agli incentivi sulle energie rinnovabili MILANO - Il testo definitivo della manovra è stato trasmesso al Quirinale. Il testo finale del decreto "disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria", dove viene confermata la stretta sulla pensioni, è composto da 39 articoli e da due allegati. Si apre con gli stipendi dei politici e si chiude sul riordino dei giudici tributari. I provvedimenti saranno spiegati martedì in una conferenza stampa del ministro dell'Economia Giulio Tremonti alla quale partecipano anche i ministri Brunetta, Calderoli, Romani e Sacconi PENSIONI - Confermato per il biennio 2012-2013 il blocco della rivalutazione delle pensioni "dei trattamenti pensionistici superiore a cinque volte il trattamento minimo di pensione Inps". "Per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il predetto trattamento minimo Inps l'indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato nella misura del 45%". ENERGIE RINNOVABILI - Il taglio del 30% di "tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni" presenti in bolletta torna nel testo del decreto. "Allo scopo di ridurre il costo finale dell'energia per i consumatori e le imprese - dice l'articolo 35 - a decorrere dal primo gennaio 2012 tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni, comunque gravanti sulle componenti tariffarie relative alle forniture di energia elettrica e gas naturale, previste da norme di legge o da regolamenti sono ridotti del 30 per cento rispetto a quelli applicabili alla data del 31 dicembre 2010". L'entità degli incentivi, dei benefici e delle agevolazioni sarà rideterminata dal ministero dello Sviluppo su proposta dell'Autorità per l'energia entro 90 giorni. STANGATA SUI RISPARMIATORI - Il bollo che si applica alle comunicazioni relative al deposito di titoli può salire infatti fino a 380 euro se ha un ammontare complessivo a cinquantamila euro ed è gestito da una banca. L'importo varierà infatti in base al valore del "conto": dai 120 euro annuali per le comunicazioni di intermediari finanziari ai 150 per i conti inferiori ai 50 mila euro relativi a comunicazioni di depositi titoli presso banche, fino ai 380 euro annuali se si supera questa soglia SUPERBOLLO - A partire dal 2011, "per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro 10 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 225 chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato". BANCHE E FINANZIARIE- Banche, assicurazioni e società finanziarie, dovrebbero vedersi imporre un'addizionale sull'Irap pari a 0,75 punti percentuali (aliquota in crescita dal 3,9 al 4,65%) al posto della tassazione separata al 35% sugli utili da trading bancario. VOLI DI STATO - I voli di Stato saranno limitati soltanto alle cinque massime cariche dello Stato, ossia al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato, al Presidente del Consiglio e al Presidente della Corte Costituzionale. Nell'articolo, si sancisce che le eccezioni a questa regola "devono essere specificatamente autorizzate, soprattutto con riferimento agli impegni internazionali e rese pubbliche sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, salvi i casi di segreto per ragioni di Stato". LA POLEMICA- Resta l'eco delle polemiche che hanno accompagnato il giallo dell'invio del decreto legge a Giorgio Napolitano. Domenica 3 luglio una nota della Presidenza della Repubblica aveva smentito le notizie diffuse dalla stampa. "Poiché molti organi di informazione continuano a ripetere che la manovra finanziaria approvata dal governo nella seduta di giovedì scorso sarebbe al vaglio della Presidenza della Repubblica già da venerdì - si leggeva nella nota - si precisa che a tutt'oggi (domenica, ndr) la Presidenza del Consiglio non ha ancora trasmesso al Quirinale il testo del decreto legge". E infatti fonti dell'esecutivo hanno poi spiegato che il testo non era stato ancora trasmesso, a ridosso del fine settimana, ma che sarebbe giunto al Colle per la firma già da lunedì. Redazione online 04 luglio 2011 14:24
2011-07-03 MANOVRA Assegni più leggeri da 8 a 150 euro La nuova mappa della previdenza Il costo della stretta: quattro miliardi e mezzo in due anni Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ROMA - La nuova stretta sulla previdenza costerà ai pensionati italiani almeno 4 miliardi e mezzo di euro nei prossimi due anni. Sempreché l'inflazione non continui ad aumentare, rendendo più doloroso il blocco, totale o parziale, della rivalutazione degli assegni superiori ai 1.428 euro lordi mensili. Il freno all'indicizzazione porterà nelle casse dello Stato 2,2 miliardi di euro l'anno: l'effetto sulle pensioni più basse sarà quasi impercettibile, ma sugli assegni più alti l'impatto sarà consistente. Per fare i suoi calcoli il governo ha immaginato un indice di rivalutazione delle pensioni dell'1,5% sia nel 2012 che nel 2013, anche se c'è il rischio concreto, visto l'attuale andamento dei prezzi, che l'indice debba essere rivalutato in misura maggiore. Se arrivasse al 2%, il risparmio sulle pensioni, e dunque il mancato recupero del potere d'acquisto per i pensionati, salirebbe a 3 miliardi di euro l'anno, 6 miliardi nel biennio. Clausola di salvaguardia Tenendo per buone le stime del governo, un pensionato che percepisce 1.500 euro lordi mensili dovrà rinunciare a 8 euro l'anno, che salgono a 60 euro nel caso di una pensione mensile di 2.000 euro, a circa 100 se l'assegno è di 2.500 euro, oltre 150 euro su una pensione di 3.500 euro. Sacrifici mitigati solo in parte da una clausola di salvaguardia inserita nel decreto, che rende il blocco della rivalutazione meno aspra rispetto a quelli varati nel 1992 dal governo di Giuliano Amato e nel 1996 dall'esecutivo guidato da Romano Prodi. Mentre allora il blocco fu totale per le pensioni più alte, questa volta un minimo di perequazione ci sarà per tutti. I 3,2 milioni di pensionati che ricevono un assegno da tre a cinque volte il minimo (476 euro), cioè tra 1.428 e 2.380 euro lordi mensili, subiranno solo un taglio del 55% dell'indicizzazione solo sulla quota eccedente i 1.428 euro. E così per i pensionati più ricchi: perequazione totale sui primi 1.428 euro, al 45% sulla quota tra 1.428 e 2.380 euro, nessuna rivalutazione sulla parte eccedente (invece del 75% come avviene oggi). In pensione più tardi Oltre alla perdita del potere d'acquisto, ci sarà da fare i conti con l'aumento dell'età pensionabile dovuto alle misure varate negli anni scorsi, e che hanno effetto già da quest'anno. Sui requisiti minimi per la pensione di anzianità giocheranno, infatti, sia il meccanismo delle quote, che già dal 2011 ha portato l'età minima a 61 anni (ma con almeno 36 anni di contributi), che le finestre mobili introdotte con la manovra triennale dell'anno scorso, mentre per le donne che lavorano nel settore pubblico nel 2012 l'età minima per la pensione di vecchiaia salirà di colpo da 60 a 65 anni. Dal 2014 in poi, per tutti, bisognerà considerare anche l'effetto dell'agganciamento automatico dell'età di pensione alle speranze di vita. E, dal 2020, anche per le donne che lavorano nel settore privato partirà l'aumento progressivo dell'età minima, da 60 a 65 anni.Di fatto, già da quest'anno, l'età minima della pensione di anzianità è aumentata di due anni per i lavoratori dipendenti e di due anni e mezzo per gli autonomi. C'è stato il passaggio da "quota 95" a "quota 96", cioè 61 anni di età invece di 60 con 35 anni di contributi. In più sono scattate le finestre mobili, che di fatto mangiano un altro anno alla pensione: l'assegno previdenziale, infatti, comincia ad arrivare 12 mesi dopo la maturazione dei requisiti minimi per i dipendenti, 18 mesi per gli autonomi. Dal 2013 si passerà a "quota 97" per i dipendenti e a "quota 98" per gli autonomi, quindi l'età minima salirà ancora di un anno rispetto a oggi. E nel 2014, un anno prima del previsto, entrerà in gioco il meccanismo dell'adeguamento automatico dell'età minima alle speranze di vita. In sede di prima applicazione l'aumento dell'età di pensione non potrà essere superiore a tre mesi. Dal 2018, però, scattano gli aggiornamenti triennali, che saranno pieni, e capaci di produrre effetti consistenti. Basti pensare che l'Istat ha calcolato che nel 2050, rispetto al 2007, le speranze di vita, a 65 anni, aumenteranno di 6,4 anni per gli uomini e 5,8 anni per le donne. Appuntamento al 2020 L'appuntamento successivo è fissato al 2020, anno in cui inizierà il percorso di progressivo adeguamento delle pensioni di vecchiaia delle donne nel privato, dagli attuali 60 ai 65 anni degli uomini. Dal 2020 ci vorrà un mese in più, dal 2021 due mesi, e così via, per arrivare a regime nel 2032. L'effetto di tutti questi provvedimenti inciderà in modo molto rilevante sulla spesa pubblica. Ai 4 miliardi e mezzo che saranno risparmiati nei prossimi due anni con la mancata rivalutazione, si devono aggiungere i risparmi attesi dall'agganciamento della pensione alle speranze di vita, modesti nei primi anni (2,1 miliardi di euro dal 2014 al 2020), ma molto rilevanti negli anni successivi: 13 miliardi di risparmio nel decennio 2020-2030, e ben 19 miliardi di euro dal 2030 al 2040. Più quello che si risparmierà con l'aumento dell'età di pensione delle donne e l'allungamento dell'età per effetto delle quote e delle finestre. La rivoluzione assistenziale Altri risparmi verranno dalla sistemazione del contenzioso previdenziale nel settore agricolo, prevista dal decreto appena varato dal governo. Ma in prospettiva gli effetti più consistenti sono attesi dalla riforma di tutto il meccanismo dell'assistenza, contemplata dalla delega per la revisione del sistema fiscale, e che si configura come una vera e propria rivoluzione. Il primo passo sarà la revisione degli indicatori della situazione economica dei contribuenti, l'indice di "bisogno" che regola le prestazioni assistenziali. Il vecchio Isee andrà in pensione, e sarà sostituito da un meccanismo che terrà in maggior conto la composizione del nucleo familiare. Poi il passaggio fondamentale sarà la revisione dei criteri per poter ricevere gli assegni. Saranno riconsiderati i parametri per le pensioni di invalidità e anche quelli per le pensioni di reversibilità che si tramandano ai coniugi, che sono 4,8 milioni e che costano 38 miliardi di euro l'anno (34 all'Inps, 4 all'Inpdap). Una cifra molto elevata, pari al doppio di quella che si spende in Francia e in Germania e al triplo di quanto costano, in media, le pensioni di reversibilità in Olanda. E non è tutto, perché la riforma prevede anche un ruolo diverso per l'Inps. Sarà l'agente pagatore e terrà il "fascicolo elettronico" di ciascun assistito. Ma a fare selezioni e controlli per l'accesso e il diritto alle prestazioni saranno Regioni e Comuni. Che dovranno rispettare criteri ben precisi, a meno di non volerci rimettere di tasca propria. Mario Sensini 03 luglio 2011 12:08
LA MANOVRA / Nello "Spazio Azzurro" anche i malumori della base del Pdl Bonanni: "Sul taglio alla rivalutazioni delle pensioni il governo chiarisca subito" Per il leader sindacale è "una norma socialmente ingiusta". E Vendola: "Patrimoniale sui poveri" Raffaele Bonanni Raffaele Bonanni MILANO - Una "norma socialmente ingiusta", una "patrimoniale sui poveri". Sindacati e opposizioni dicono no alle taglio delle rivalutazioni delle pensioni, provvedimento che colpisce un 13 milioni di cittadini, compresi quelli che percepiscono le rendite più basse e i molti casi unica fonte di reddito regolare nelle famiglie. Ma anche nello "Spazio Azzurro", il forum online dei sostenitori del Pdl (ma aperto a chiunque), emergono molti malumori per l'annunciata stretta sui trattamenti pensionistici e per il superbollo. "Ma bravi, va proprio nella direzione giusta! Dopo tanti annunci quello che avete partorito è stato il superbollo! Fate pietà!", scrive ad esempio Albano. "Deluso!!!!! che aspettiamo a eliminare i reali privilegi? Tetto alle pensioni d'oro, via alle prebende delle sanguisughe, tagli ai mantenuti della politica. Forza Alfano", dice invece Renato. Molti gli interventi dello stesso tono. BONANNI - Ma a pesaer è anche la posizione di Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, in passato più "aperturista" nei confronti dell'esecutivo. Il governo ed il Parlamento, per Bonanni, "devono correggere il provvedimento che blocca la rivalutazione delle pensioni. Spiega il leader sindacale: "La norma della manovra economica che riduce la rivalutazione delle pensioni per la fascia da tre a cinque volte il trattamento minimo, tenendo conto dell'inflazione, rende ancora più vulnerabili quei pensionati che negli ultimi quindici anni hanno già visto ridursi il potere di acquisto delle loro pensioni. Non solo ci aspettiamo subito un chiarimento dal Governo, ma il Parlamento, nel percorso di approvazione della manovra stessa, potrà correggere questa palese iniquità, individuando nella riduzione dei livelli amministrativi, negli sprechi e nei costi impropri della politica, la copertura necessaria per dare soluzione ad un provvedimento ingiusto e socialmente non sostenibile". VENDOLA - "La manovra Berlusconi-Tremonti candida chi dirige le amministrazioni territoriali, presidenti di regione, di province e sindaci a diventare esclusivamente dei curatori fallimentari" ha affermato il presidente di Sinistra Ecologia Libertà Nichi Vendola. "La manovra era partita con gli effetti speciali degli annunci, che riguardano sempre il futuro, mai il presente, degli tagli alla casta e alla politica. E poi quando uno osserva il contenuto vero capisce - guardando ad esempio l'incredibile vicenda del blocco delle pensioni - che si tratta della patrimoniale sui ceti medio bassi del nostro Paese. È la patrimoniale sui poveri. Nient'altro". IL PD - Alla stretta sulle pensioni, denuncia il Pd, si aggiungerà il peso di una serie di misure che ricadranno sugli anziani. Secondo Stefano Fassina, responsabile per il Pd di Economia e lavoro, "si colpiscono le pensioni da 1.400 euro cioè 1.000 euro netti" ma questa "è sola una delle norme. Poi c'è il ticket che pesa soprattutto sui pensionati visto che più di altri ricorrono al servizio sanitario nazionale. E ancora, l'aumento da 34 a 120 euro del bollo sui titoli a partire dai 1.000 euro investiti; anche qui parliamo di piccoli risparmiatori spesso anziani". Da ultimo "c'è il colpo pesantissimo e insostenibile a Comuni, Province e Regioni, con 10 miliardi di tagli che vanno ad aggiungersi ai 13 miliardi dello scorso anno. Tutti gli amministratori, anche quelli leghisti, hanno già annunciato che dovranno tagliare i servizi sociali e assistenziali". MONTEZEMOLO -Anche Italia Futura, la fondazione di Luca Cordero di Montezemolo, ha bocciato la manovra e ha sollecitato l'opposizione a una sfida sulle riforme. "La manovra è quella che è", si legge in un post sul sito della fondazione firmato da Carlo Calenda, "il minimo sindacale, con alcune ridicole prese in giro sui costi della politica (dove si annunciano misure puramente simboliche) e una buona quantità di assegni post-datati: provvedimenti che avranno effetto solo dalla prossima legislatura e che rappresenteranno un alibi formidabile per chiunque governerà il paese dopo il 2013. Abbiamo forti dubbi che, nel medio periodo, questo risulterà sufficiente". "Ma per il momento e considerando la situazione della maggioranza, non era realistico aspettarsi qualcosa di più o di meglio". Redazione Online 02 luglio 2011(ultima modifica: 03 luglio 2011 09:20)
Risparmio, i soldi sul conto valgono di più L'aliquota unica del 20% premia il lungo termine L'imposta di bollo sul deposito titoli sale a 120 euro Code in banca (Fotogramma) Code in banca (Fotogramma) MILANO - Tra qualche anno un Fisco nuovo per le rendite finanziarie. Con un'aliquota unica del 20% che premia il risparmio lasciato sul conto corrente ma anche quello che trova il coraggio del lungo termine. Chi ha un dossier in banca, però, dovrà incassare in tempi veloci un notevole rafforzamento dell'imposta di bollo, introdotta nel 1992 e mai più modificata. Si passerebbe da 34,20 a 120 euro l'anno. E poi c'è il ritocco all'Irap per banche e assicurazioni (0,75 per cento) che ha sostituito il revival del fissato bollato sulle operazioni di Borsa e la tassa sul trading delle banche, improponibili perché in contrasto con regole già approvate e nuove tendenze dell'Unione europea. Queste sarebbero le novità fiscali più significative per gli investitori privati, che si stanno chiedendo in che modo la manovra entrerà in rapporto con i risparmi di famiglia. L'Irap non è direttamente affar loro, ma aspettarsi che in qualche modo i maggiori oneri per le banche arrivino a valle non è un esercizio di pessimismo eccessivo. E il Fisco nuovo come sarà? L'aliquota unica sulle rendite da capitale al 20% porterebbe in dote un notevole sgravio per i conti correnti di tutte le specie, il cui rendimento è tassato oggi al 27%, mentre diventerebbe più salato il conto erariale per azioni, obbligazioni, fondi e altri strumenti finanziari che oggi sopportano un'imposta del 12,5%. Da questo nuovo sistema sarebbero invece esclusi i titoli di Stato italiani (che resterebbero tassati al 12,5%), oltre a fondi pensione, forme di assistenza socio-sanitaria complementari e piani di risparmio a lungo termine. La previdenza integrativa, quindi, manterrebbe probabilmente l'attuale regime agevolato di tassazione. I piani di risparmio a lungo termine - una possibilità che per ora il nostro sistema non contempla - sarebbero invece una novità e un modo per invogliare l'investimento duraturo nel risparmio gestito, già sperimentata in altri Paesi europei e negli Stati Uniti. Come funzionano? Si tratta di conti dove è possibile depositare strumenti e titoli impegnandosi a mantenerli per cinque, dieci anni in cambio di un lauto sconto fiscale a fine corsa. Una proposta articolata in merito è stata messa sul tavolo nei mesi scorsi da Assogestioni, la Confindustria dei fondi guidata da Domenico Siniscalco. L'aumento dell'imposta di bollo sull'estratto conto del deposito titoli potrebbe essere invece una misura che entra in vigore velocemente. Oggi è pari a 34,20 euro annuali per tutti coloro che hanno in giacenza valori superiori a mille euro. L'aumento è notevole, fino a 120 euro. Vale a dire più del triplo. La mini stangata arriverebbe, come accade ora, contestualmente alla consueta comunicazione sullo stato dell'arte del dossier, che può essere trimestrale, semestrale o annuale. Giuditta Marvelli 03 luglio 2011 11:22
la protesta in VAL DI SUSA: 200 feriti tra i no tav Tav, battaglia al cantiere: feriti e arresti Dopo i cortei dei residenti, la guerriglia Una giornata di scontri violenti, lancio di pietre e lacrimogeni. I feriti tra le forze dell’ordine sono 188: "In azione Black bloc con impostazione paramilitare" NOTIZIE CORRELATE MULTIMEDIA: I video e le fotogallery delle proteste delle ultime settimane Napolitano: "Fermezza contro i violenti (3 luglio 2011) Beppe Grillo: "Tutti eroi a Val di Susa (3 luglio 2011) MILANO - Una lunga giornata di protesta e guerriglia. Lo schieramento contro la realizzazione del tratto della Tav in Val di Susa domenica mattina ha marciato compatto, esibendo una grande forza di numeri (circa 60-70mila persone secondo gli organizzatori) rimanendo pacifico nel ribadire il proprio no all’alta velocità e alla perforazione della montagna. Ma verso metà mattinata il clima è cambiato: alcuni gruppi di manifestanti sull’altro versante della valle hanno cercato di sfondare le recinzioni appena montate lungo il cantiere di Chiomonte. Ed è cominciata una guerriglia diventata via via più violenta, sfociata in veri e propri scontri con le forze dell’ordine (vedi alcuni momenti degli scontri in un video Youreporter). La situazione è tornata calma soltanto molte ore dopo, verso le 17, quando i manifestanti hanno cominciato a ripiegare. Poco dopo una delegazione di manifestanti, a braccia alzate, ha incontrato dirigenti e funzionari di polizia sul ponte della valle Clarea. Il bilancio degli scontri è grave: le forze dell’ordine lamentano 188 feriti. Anche tra i No Tav i ferito ammonterebbero a circa 200 persone. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha condannato con forza le violenze. GRUPPI IN AZIONE DAI BOSCHI - Gli scontri sono iniziati subito dopo il corteo pacifico dei No Tav (70 mila secondo gli organizzatori) con assalti partiti dai boschi soprastanti l’area del cantiere. I manifestanti sono arrivati già pronti allo scontro, molti di loro con maschere antigas prevedendo l’uso di lacrimogeni da parte della polizia. Secondo le forze, questi gruppi hanno attuato una sorta di tattica militare con attacchi, ripiegamenti dietro a barricate. I fronti sono stati tre: quello raggiunto dal corteo di Gaglione, quello di Ramats e il terzo di Exilles. Lungo assedio nel tardo pomeriggio poi alla centrale idrica difesa da carabinieri e agenti della Guardia di Finanza. Controlli da parte delle forze di polizia si sono sviluppati fino a tarda ora lungo i sentieri dei boschi attraverso i quali i manifestanti ripiegavano. GLI ARRESTI - Lunghe ore di scontri sono state scandite dai tentativi di assediare il cantiere. I manifestanti hanno tirato pietre, bastoni e grossi petardi, la polizia ha risposto con cariche lanci di lacrimogeni. A distanza dalla zona calda, migliaia di persone sono rimaste assiepate lungo le strade che portano all’area di cantiere. C’è stata difficoltà anche per il transito delle ambulanze. Nel pomeriggio un gruppo di manifestanti si è radunato per un comizio improvvisato da Beppe Grillo. "Siete degli eroi" ha detto tra le altre cose il leader del leader del Movimento 5 stelle ironizzando sull’allarme black bloc: "I black block sono in Parlamento". ARRESTI - Cinque persone, tutte trentenni, sono state arrestate: tre sono provenienti da Modena. Si tratterebbe secondo le definizioni della Questura di "anarco-insurrezionalisti, pluripregiudicati per reati specifici"; uno da Padova e uno da Bologna, "antagonisti con precedenti specifici". Sempre secondo la polizia in località La Maddalena erano presenti "circa 2000 aderenti ai centri sociali, 800 dei quali appartengono all’antagonismo radicale e resistente, che rappresenta l’ala più dura di questo coagulo a livello europeo di professionisti della protesta, mentre circa 300 provengono dall’estero: Francia, Spagna, Austria e Germania". Tutti gli arrestati - ha sottolineato la Questura - sono stati oggetto delle cure sanitarie del personale medico della polizia di Stato, e del personale del 118. Uno di loro, a seguito dei politraumi riscontrati (sospetta frattura del naso, contusioni al torace e al capo), dovrebbe essere trasportato in elicottero presso un nosocomio cittadino. Chiomonte I FERITI - Negli scontri, secondo la Questura, sono rimasti feriti 188 agenti. Tra loro ci sono un primo dirigente, 5 funzionari, 130 operatori dei reparti mobili; 37 carabinieri; 15 finanzieri. La Questura precisa che il bollettino dei feriti è destinato ad aumentare. Tra intossicati e feriti, gravi e meno gravi, presenti su 4 fronti, sono oltre 200 i No Tav rimasti feriti, affermano fonti mediche e pronto soccorso mobili. Tra i feriti anche uno studente veneziano di 19 anni, del Coordinamento studenti medi di Venezia e Mestre. Lo sostiene il consigliere comunale di Venezia Beppe Caccia. "Mi trovavo a pochi passi dal giovane veneziano - aggiunge - quando, a meno di quattro metri di distanza, un agente gli ha puntato addosso il dispositivo di lancio ed ha esploso un colpo. Il candelotto lo ha colpito tra il torace e l’addome. L’abbiamo portato a braccia fino alla baita No Tav di Giaglione, ma le sue condizioni sono apparse subito serie: faticava a respirare e a parlare". CANTIERE SOTTO ASSEDIO - I No Tav sono riusciti a entrare nell’area recintata e a rioccuparla almeno in parte ma per poco tempo. Mentre continuava la guerriglia ai quattro lati della recinzione, un gruppo di manifestanti è riuscito a sfondare la recinzione all’ingresso di strada dell’Avanà, la via asfaltata che conduce al punto più alto del cantiere e all’ Ecomuseo. Blindati sono scesi lungo la strada andando incontro ai No Tav. La battaglia si è svolta almeno su tre fronti, con le forze dell’ordine che da dietro alle reti d’acciaio sparavano lacrimogeni e usavano idranti e i No Tav tiravano bombe carte e pietre. Dagli scontri hanno preso le distanze gli amministratori dei comuni della Valle: "Solo se ci manteniamo pacifici possiamo pensare di riaprire le trattative" hanno detto a più riprese. Ma i gruppi antagonisti si erano staccati praticamente fin dall’inizio dalla sfilata autorizzata. Così la polizia respinge i No Tav Il racconto di B. Argentieri I DUE CORTEI - A migliaia si erano radunati a Exilles e a Giaglione, per poi marciare fino al cantiere di Chiomonte e protestare contro la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione. L’appello alla mobilitazione era stato lanciato dai leader dei comitati nazionali No Tav lunedì scorso, dopo che duemila uomini delle forze dell’ordine avevano sgomberato, il giorno prima, l’area della Maddalena, occupata per oltre un mese dal presidio permanente degli oppositori alla grande opera, permettendo così l’avvio dei lavori per la costruzione del tunnel geognostico preliminare alla linea ferroviaria. Le autorità hanno deciso di chiudere per sicurezza la A32 Torino-Bardonecchia, a quanto pare dopo il lancio di alcune pietre contro gli agenti di un presidio, ma finite sulla carreggiata, da parte di persone non identificate. La Val di Susa torna a mobilitarsi La Val di Susa torna a mobilitarsi La Val di Susa torna a mobilitarsi La Val di Susa torna a mobilitarsi La Val di Susa torna a mobilitarsi La Val di Susa torna a mobilitarsi La Val di Susa torna a mobilitarsi La Val di Susa torna a mobilitarsi "NON SI FARA’ MAI" - " Per il leader del movimento No Tav Alberto Perino il bilancio è comunque positivo: "Abbiamo vinto", ha detto. "Li abbiamo assediati. Abbiamo raggiunto i punti più vicini del fortilizio. Siamo riusciti a smontare le recinzioni. Siamo riusciti ad andare via tutti. Questo era un assedio e l’assedio ha funzionato benissimo. Perché non dovremmo dire che abbiamo vinto? Adesso sanno che dovranno continuare così, che subiranno altre azioni meno grosse ma continue". Redazione Online 03 luglio 2011 22:15] la protesta in VAL DI SUSA: 200 feriti tra i no tav Tav, battaglia al cantiere: feriti e arresti Dopo i cortei dei residenti, la guerriglia Una giornata di scontri violenti, lancio di pietre e lacrimogeni. I feriti tra le forze dell'ordine sono 188: "In azione Black bloc con impostazione paramilitare" NOTIZIE CORRELATE MULTIMEDIA: I video e le fotogallery delle proteste delle ultime settimane Napolitano: "Fermezza contro i violenti (3 luglio 2011) Beppe Grillo: "Tutti eroi a Val di Susa (3 luglio 2011) MILANO - Una lunga giornata di protesta e guerriglia. Lo schieramento contro la realizzazione del tratto della Tav in Val di Susa domenica mattina ha marciato compatto, esibendo una grande forza di numeri (circa 60-70mila persone secondo gli organizzatori) rimanendo pacifico nel ribadire il proprio no all'alta velocità e alla perforazione della montagna. Ma verso metà mattinata il clima è cambiato: alcuni gruppi di manifestanti sull'altro versante della valle hanno cercato di sfondare le recinzioni appena montate lungo il cantiere di Chiomonte. Ed è cominciata una guerriglia diventata via via più violenta, sfociata in veri e propri scontri con le forze dell'ordine (vedi alcuni momenti degli scontri in un video Youreporter). La situazione è tornata calma soltanto molte ore dopo, verso le 17, quando i manifestanti hanno cominciato a ripiegare. Poco dopo una delegazione di manifestanti, a braccia alzate, ha incontrato dirigenti e funzionari di polizia sul ponte della valle Clarea. Il bilancio degli scontri è grave: le forze dell'ordine lamentano 188 feriti. Anche tra i No Tav i ferito ammonterebbero a circa 200 persone. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha condannato con forza le violenze. GRUPPI IN AZIONE DAI BOSCHI - Gli scontri sono iniziati subito dopo il corteo pacifico dei No Tav (70 mila secondo gli organizzatori) con assalti partiti dai boschi soprastanti l'area del cantiere. I manifestanti sono arrivati già pronti allo scontro, molti di loro con maschere antigas prevedendo l'uso di lacrimogeni da parte della polizia. Secondo le forze, questi gruppi hanno attuato una sorta di tattica militare con attacchi, ripiegamenti dietro a barricate. I fronti sono stati tre: quello raggiunto dal corteo di Gaglione, quello di Ramats e il terzo di Exilles. Lungo assedio nel tardo pomeriggio poi alla centrale idrica difesa da carabinieri e agenti della Guardia di Finanza. Controlli da parte delle forze di polizia si sono sviluppati fino a tarda ora lungo i sentieri dei boschi attraverso i quali i manifestanti ripiegavano. GLI ARRESTI - Lunghe ore di scontri sono state scandite dai tentativi di assediare il cantiere. I manifestanti hanno tirato pietre, bastoni e grossi petardi, la polizia ha risposto con cariche lanci di lacrimogeni. A distanza dalla zona calda, migliaia di persone sono rimaste assiepate lungo le strade che portano all'area di cantiere. C'è stata difficoltà anche per il transito delle ambulanze. Nel pomeriggio un gruppo di manifestanti si è radunato per un comizio improvvisato da Beppe Grillo. "Siete degli eroi" ha detto tra le altre cose il leader del leader del Movimento 5 stelle ironizzando sull'allarme black bloc: "I black block sono in Parlamento". ARRESTI - Cinque persone, tutte trentenni, sono state arrestate: tre sono provenienti da Modena. Si tratterebbe secondo le definizioni della Questura di "anarco-insurrezionalisti, pluripregiudicati per reati specifici"; uno da Padova e uno da Bologna, "antagonisti con precedenti specifici". Sempre secondo la polizia in località La Maddalena erano presenti "circa 2000 aderenti ai centri sociali, 800 dei quali appartengono all'antagonismo radicale e resistente, che rappresenta l'ala più dura di questo coagulo a livello europeo di professionisti della protesta, mentre circa 300 provengono dall'estero: Francia, Spagna, Austria e Germania". Tutti gli arrestati - ha sottolineato la Questura - sono stati oggetto delle cure sanitarie del personale medico della polizia di Stato, e del personale del 118. Uno di loro, a seguito dei politraumi riscontrati (sospetta frattura del naso, contusioni al torace e al capo), dovrebbe essere trasportato in elicottero presso un nosocomio cittadino. I FERITI - Negli scontri, secondo la Questura, sono rimasti feriti 188 agenti. Tra loro ci sono un primo dirigente, 5 funzionari, 130 operatori dei reparti mobili; 37 carabinieri; 15 finanzieri. La Questura precisa che il bollettino dei feriti è destinato ad aumentare. Tra intossicati e feriti, gravi e meno gravi, presenti su 4 fronti, sono oltre 200 i No Tav rimasti feriti, affermano fonti mediche e pronto soccorso mobili. Tra i feriti anche uno studente veneziano di 19 anni, del Coordinamento studenti medi di Venezia e Mestre. Lo sostiene il consigliere comunale di Venezia Beppe Caccia. "Mi trovavo a pochi passi dal giovane veneziano - aggiunge - quando, a meno di quattro metri di distanza, un agente gli ha puntato addosso il dispositivo di lancio ed ha esploso un colpo. Il candelotto lo ha colpito tra il torace e l'addome. L'abbiamo portato a braccia fino alla baita No Tav di Giaglione, ma le sue condizioni sono apparse subito serie: faticava a respirare e a parlare". CANTIERE SOTTO ASSEDIO - I No Tav sono riusciti a entrare nell'area recintata e a rioccuparla almeno in parte ma per poco tempo. Mentre continuava la guerriglia ai quattro lati della recinzione, un gruppo di manifestanti è riuscito a sfondare la recinzione all'ingresso di strada dell'Avanà, la via asfaltata che conduce al punto più alto del cantiere e all' Ecomuseo. Blindati sono scesi lungo la strada andando incontro ai No Tav. La battaglia si è svolta almeno su tre fronti, con le forze dell'ordine che da dietro alle reti d'acciaio sparavano lacrimogeni e usavano idranti e i No Tav tiravano bombe carte e pietre. Dagli scontri hanno preso le distanze gli amministratori dei comuni della Valle: "Solo se ci manteniamo pacifici possiamo pensare di riaprire le trattative" hanno detto a più riprese. Ma i gruppi antagonisti si erano staccati praticamente fin dall'inizio dalla sfilata autorizzata. Così la polizia respinge i No Tav Il racconto di B. Argentieri I DUE CORTEI - A migliaia si erano radunati a Exilles e a Giaglione, per poi marciare fino al cantiere di Chiomonte e protestare contro la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione. L'appello alla mobilitazione era stato lanciato dai leader dei comitati nazionali No Tav lunedì scorso, dopo che duemila uomini delle forze dell'ordine avevano sgomberato, il giorno prima, l'area della Maddalena, occupata per oltre un mese dal presidio permanente degli oppositori alla grande opera, permettendo così l'avvio dei lavori per la costruzione del tunnel geognostico preliminare alla linea ferroviaria. Le autorità hanno deciso di chiudere per sicurezza la A32 Torino-Bardonecchia, a quanto pare dopo il lancio di alcune pietre contro gli agenti di un presidio, ma finite sulla carreggiata, da parte di persone non identificate. La Val di Susa torna a mobilitarsi La Val di Susa torna a mobilitarsi La Val di Susa torna a mobilitarsi La Val di Susa torna a mobilitarsi La Val di Susa torna a mobilitarsi La Val di Susa torna a mobilitarsi La Val di Susa torna a mobilitarsi La Val di Susa torna a mobilitarsi "NON SI FARA' MAI" - " Per il leader del movimento No Tav Alberto Perino il bilancio è comunque positivo: "Abbiamo vinto", ha detto. "Li abbiamo assediati. Abbiamo raggiunto i punti più vicini del fortilizio. Siamo riusciti a smontare le recinzioni. Siamo riusciti ad andare via tutti. Questo era un assedio e l'assedio ha funzionato benissimo. Perché non dovremmo dire che abbiamo vinto? Adesso sanno che dovranno continuare così, che subiranno altre azioni meno grosse ma continue". Redazione Online 03 luglio 2011 22:15
TAV Napolitano condanna le violenze "Lo Stato vigili, solidarietà ai poliziotti" Il presidente della Repubblica: "Intervenire con la massima fermezza" NOTIZIE CORRELATE Tav, battaglia al cantiere: arresti e feriti (3 luglio 2011) Multimedia: tutti i video degli scontri (3 luglio 2011) Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (Ansa) Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (Ansa) MILANO - "Non si può tollerare che a legittime manifestazioni di dissenso cui partecipino pacificamente cittadini e famiglie si sovrappongano, provenienti dal di fuori, squadre militarizzate per condurre inaudite azioni aggressive contro i reparti di polizia chiamati a far rispettare la legge" afferma il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel commentare quanto è accaduto in Val di Susa. LA NOTA - "Quel che è accaduto in Val di Susa, per responsabilità di gruppi addestrati a pratiche di violenza eversiva, sollecita tutte le isituzioni e le componenti politiche democratiche a ribadire la più netta condanna, e le forze dello Stato a vigilare e intervenire ancora con la massima fermezza" afferma il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in una nota. "Esprimo plauso e solidarietà alle forze dell'ordine - ha concluso Napolitano - che hanno subito un pesante numero di feriti, e confido che si accresca in Val di Susa, con chiari comportamenti da parte di tutti, l'impegno a isolare sempre di più i professionisti della violenza". Redazione online 03 luglio 2011 20:32
2011-07-02 LA MANOVRA / Nello "Spazio Azzurro" anche i malumori della base del Pdl Bonanni: "Sul taglio alla rivalutazioni delle pensioni il governo chiarisca subito" Per il leader sindacale è "una norma socialmente ingiusta". E Vendola: "Patrimoniale sui poveri" Raffaele Bonanni Raffaele Bonanni MILANO - Una "norma socialmente ingiusta", una "patrimoniale sui poveri". Sindacati e opposizioni dicono no alle taglio delle rivalutazioni delle pensioni, provvedimento che colpisce un 13 milioni di cittadini, compresi quelli che percepiscono le rendite più basse e i molti casi unica fonte di reddito regolare nelle famiglie. Ma anche nello "Spazio Azzurro", il forum online dei sostenitori del Pdl (ma aperto a chiunque), emergono molti malumori per l'annunciata stretta sui trattamenti pensionistici e per il superbollo. "Ma bravi, va proprio nella direzione giusta! Dopo tanti annunci quello che avete partorito è stato il superbollo! Fate pietà!", scrive ad esempio Albano. "Deluso!!!!! che aspettiamo a eliminare i reali privilegi? Tetto alle pensioni d'oro, via alle prebende delle sanguisughe, tagli ai mantenuti della politica. Forza Alfano", dice invece Renato. Molti gli interventi dello stesso tono. BONANNI - Ma a pesaer è anche la posizione di Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, in passato più "aperturista" nei confronti dell'esecutivo. Il governo ed il Parlamento, per Bonanni, "devono correggere il provvedimento che blocca la rivalutazione delle pensioni. Spiega il leader sindacale: "La norma della manovra economica che riduce la rivalutazione delle pensioni per la fascia da tre a cinque volte il trattamento minimo, tenendo conto dell'inflazione, rende ancora più vulnerabili quei pensionati che negli ultimi quindici anni hanno già visto ridursi il potere di acquisto delle loro pensioni. Non solo ci aspettiamo subito un chiarimento dal Governo, ma il Parlamento, nel percorso di approvazione della manovra stessa, potrà correggere questa palese iniquità, individuando nella riduzione dei livelli amministrativi, negli sprechi e nei costi impropri della politica, la copertura necessaria per dare soluzione ad un provvedimento ingiusto e socialmente non sostenibile". VENDOLA - "La manovra Berlusconi-Tremonti candida chi dirige le amministrazioni territoriali, presidenti di regione, di province e sindaci a diventare esclusivamente dei curatori fallimentari" ha affermato il presidente di Sinistra Ecologia Libertà Nichi Vendola. "La manovra era partita con gli effetti speciali degli annunci, che riguardano sempre il futuro, mai il presente, degli tagli alla casta e alla politica. E poi quando uno osserva il contenuto vero capisce - guardando ad esempio l'incredibile vicenda del blocco delle pensioni - che si tratta della patrimoniale sui ceti medio bassi del nostro Paese. È la patrimoniale sui poveri. Nient'altro". IL PD - Alla stretta sulle pensioni, denuncia il Pd, si aggiungerà il peso di una serie di misure che ricadranno sugli anziani. Secondo Stefano Fassina, responsabile per il Pd di Economia e lavoro, "si colpiscono le pensioni da 1.400 euro cioè 1.000 euro netti" ma questa "è sola una delle norme. Poi c'è il ticket che pesa soprattutto sui pensionati visto che più di altri ricorrono al servizio sanitario nazionale. E ancora, l'aumento da 34 a 120 euro del bollo sui titoli a partire dai 1.000 euro investiti; anche qui parliamo di piccoli risparmiatori spesso anziani". Da ultimo "c'è il colpo pesantissimo e insostenibile a Comuni, Province e Regioni, con 10 miliardi di tagli che vanno ad aggiungersi ai 13 miliardi dello scorso anno. Tutti gli amministratori, anche quelli leghisti, hanno già annunciato che dovranno tagliare i servizi sociali e assistenziali". MONTEZEMOLO -Anche Italia Futura, la fondazione di Luca Cordero di Montezemolo, ha bocciato la manovra e ha sollecitato l'opposizione a una sfida sulle riforme. "La manovra è quella che è", si legge in un post sul sito della fondazione firmato da Carlo Calenda, "il minimo sindacale, con alcune ridicole prese in giro sui costi della politica (dove si annunciano misure puramente simboliche) e una buona quantità di assegni post-datati: provvedimenti che avranno effetto solo dalla prossima legislatura e che rappresenteranno un alibi formidabile per chiunque governerà il paese dopo il 2013. Abbiamo forti dubbi che, nel medio periodo, questo risulterà sufficiente". "Ma per il momento e considerando la situazione della maggioranza, non era realistico aspettarsi qualcosa di più o di meglio". Redazione Online 02 luglio 2011 19:19
MANOVRA E PREVIDENZA Stretta sull e pensioni, revisioni tagliate a partire dai 1.400 euro I risparmi sulla previdenza di oltre 13 milioni di cittadini. Rivisti i criteri per la reversibilità e l'invalidità ROMA - Altro che pensioni d'oro. Le forbici della manovra colpiranno gli assegni previdenziali anche di importo più modesto, quelle da 1.400 euro al mese, per intenderci. E riguarderanno oltre 13 milioni di cittadini. Ma non basta, perché una vera e propria rivoluzione che avrà conseguenze anche sul sistema previdenziale, ad esempio con la revisione delle pensioni di reversibilità. BIENNIO 2012-2013 - Il decreto per la correzione dei conti pubblici prevede la mancata rivalutazione per il biennio 2012-2013 delle pensioni superiori a cinque volte il minimo, cioè 2.300 euro al mese (il minimo della pensione Inps 2011 è di 476 euro al mese), mentre quelle più basse, comprese tra 1.428 e 2.380 euro mensili, saranno rivalutate per tener conto dell'inflazione, ma solo in misura del 45%. A ciò si aggiunge l'allungamento dell'età minima di pensione, che dal 2014 salirà di almeno tre mesi con l'anticipo dell'agganciamento automatico alle speranze di vita. La riforma dell'assistenza viaggia su un binario diverso: lo scopo è quello di tagliare i sussidi ai furbi e dare più soldi a chi ha veramente bisogno. Ma per arrivare a quell'obiettivo bisognerà razionalizzare e rivedere tutto il sistema delle prestazioni assistenziali, con conseguenze anche sul fronte previdenziale. La delega per la riforma dell'assistenza, che a differenza di quella fiscale, dovrà essere attuata in due anni e non tre, prevede, infatti, la revisione dei criteri per le invalidità, ma anche degli indicatori della situazione economica di ciascun cittadino e dei "requisiti reddituali e patrimoniali" che servono per l'erogazione delle prestazioni assistenziali e previdenziali. REVERSIBILITA' - E saranno rivisti anche i principi attuali per l'assegnazione delle pensioni di reversibilità tramandate ai coniugi, e che costano ogni anno la bellezza di 34 miliardi di euro. Il riordino dell'assistenza partirà con la razionalizzazione delle prestazioni, eliminando tutte le sovrapposizioni tra i diversi strumenti previdenziali e assistenziali e quelli fiscali che, impropriamente, contribuiscono a sostenere i cittadini meno abbienti. Il secondo passaggio sarà la riorganizzazione delle competenze tra l'Inps, le Regioni e i Comuni. L'Inps sarà agente pagatore e controllore, mentre la prestazione dei servizi sarà lasciata agli enti locali. Le Regioni avranno un fondo per finanziare l'indennità di accompagnamento agli invalidi da ripartire tra di loro secondo standard ben precisi. Mentre ai Comuni, singoli o in forma associata, sarà trasferito il sistema della carta acquisti, con lo scopo di identificare i beneficiari e di integrare le risorse, con fondi propri o convogliando sulla carta acquisti le erogazioni liberali.
ASSISTENZA - La spesa pubblica per l'assistenza e la previdenza, a legislazione vigente, aumenterebbe dai 300 miliardi di euro attuali a 338 miliardi nel 2014. Una crescita fortissima, alimentata da furbizie di ogni tipo, cui il governo ha deciso di porre fine. Per far in modo, c'è scritto nella delega, "di riqualificare ed integrare le prestazioni a favore dei soggetti autenticamente bisognosi". Ovviamente spendendo meno. E sfruttando ogni volta che è possibile il volontariato ed il settore no profit, al quale andrebbero destinati "in via prioritaria" i finanziamenti per le iniziative e gli interventi sociali. Purché, naturalmente, sia più efficace e conveniente, dal punto di vista economico. Mario Sensini 02 luglio 2011 14:42
IINTERVISTA Al ministro del Welfare Sacconi: "Manovra, nessuna bomba a orologeria" Faremo le riforme La rabbia dei pensionati? Se scatta l'inflazione rivedremo le misure. Interventi 2011-2012 concordati con la Ue Maurizio Sacconi Maurizio Sacconi ROMA - Difende la manovra, dice che i tagli alla politica ci saranno, benedice l'accordo tra Confindustria e sindacati ed esclude un intervento legislativo a meno che non sia richiesto dalle parti. Per il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi c'è anche un filo conduttore tra il via libera del governo ai provvedimenti di stabilità e l'investitura di Angelino Alfano a segretario del Popolo della libertà, una doppietta che dimostra l'esistenza di una "classe dirigente e di una forte leadership". Le critiche maggiori alla manovra da 47 miliardi riguardano il timing visto che quasi tutto è spostato al 2013-2014, quando ci sarà un altro governo... "Questa articolazione temporale è stata concordata con la Commissione europea in base all'andamento di finanza pubblica e in funzione del pareggio di bilancio del 2014. Gli interventi nel 2011 e del 2012 sono di semplice manutenzione perché hanno avuto efficacia le manovre già fatte. Per il 2013 e 2014 sono state predisposte riforme che ora si tratta di applicare e cifrare con l'aggiunta di ulteriori interventi e soprattutto della riforma fiscale. Quindi non ha senso la teoria di Bersani sulla "bomba ad orologeria" e sugli impegni post elettorali". Molte poste importanti però sono ancora da definire. "Incide in parte sulla manovra la delega sulla riforma fiscale e dell'assistenza. Riguarda sia la rimodulazione delle aliquote fiscali - in favore del lavoro, della famiglia numerosa e dell'impresa che innova - che il disboscamento dei 161 miliardi di agevolazioni fiscali che va correlato con la riorganizzazione delle prestazioni sociali". In che modo avverrà? "L'intervento strutturale riguarda quattro grandi aggregati della spesa pubblica. Omologando l'età di pensione di uomini e donne, anche se dopo il 2030, si stabilizzano definitivamente i conti previdenziali. La sanità cresce di 2 miliardi dal 2012, molto meno dei vecchi ritmi perché entrano in vigore i costi standard legati alla riforma del federalismo fiscale. La stessa finanza locale può essere contenuta grazie ai fabbisogni standard del federalismo municipale destinato ad accorpare anche le funzioni dei Comuni, che, peraltro, quando sono virtuosi, potranno fare più investimenti. E poi c'è il pubblico impiego che prevede sì il blocco a livello centrale ma consente la contrattazione a livello locale per redistribuire la metà delle economie prodotte dalle razionalizzazioni". Standard & Poor's ha osservato che "restano rischi sostanziali per la riduzione del debito con deboli prospettive di crescita". Se l'aspettava? "A dire la verità l'agenzia di rating ha fatto anche molti apprezzamenti. Osservo solo che la Francia l'anno scorso è cresciuta più di noi dello 0,3% a fronte di un rapporto deficit/Pil quasi doppio del nostro. Credo che per l'Italia una politica del genere non sarebbe accettata né dai mercati né dall'Unione. Sono convinto che la maggiore crescita può arrivare dalla capacità delle nostre imprese di raggiungere i consumatori lontani. Per questo abbiamo unificato nella rete diplomatica i servizi dell'ex Ice". Il Sole 24 Ore parla addirittura di una manovra che sterza a sinistra e rinuncia alle liberalizzazioni. "Un commentatore non fa il giornale. Ci sono due importanti liberalizzazioni. Quella del collocamento per sbloccare i nostri 85 operatori privati contro i 10 mila della Germania e i 20 mila del Regno Unito e del Giappone e favorire così l'incontro tra domanda e offerta. E gli orari dei negozi nelle città d'arte e turistiche, una misura sperimentale che poi verificheremo con le categorie". Perché non avete inglobato nel decreto anche la legge sulla concorrenza? "Stiamo ragionando sulla riforma delle professioni visto che in Italia c'è un problema di eccesso e non di accesso nelle professioni, nonché di garantirne la migliore qualità". Per alcuni in questa manovra manca un cambiamento di paradigma. "Alcuni commentatori odierni non l'hanno letta e non gli è piaciuta". Secondo indiscrezioni il Cavaliere avrebbe definito la manovra una cosa "da ragioniere". Conferma? "Mai sentita una frase del genere. La fantasia di alcuni giornalisti non ha limiti". I tagli alla politica però li avete rimandati alle calende greche... "Non è assolutamente vero. Ci sono misure di carattere strutturale, cambia proprio l'assetto dei costi delle funzioni pubbliche. E ragionevolmente per sempre". Ma cosa cambia in concreto? "L'impiego dei mezzi, tutto l'assetto della remunerazioni delle funzioni pubbliche elettive e non. Chiedo che questo pacchetto venga letto bene quando verrà presentato. Non deve essere confusa con l'insieme la possibile applicazione nella prossima legislatura di decisioni che peraltro spettano solo alle Camere nella loro autonomia". Molte le proteste. C'è la rabbia dei pensionati contro lo stop all'adeguamento automatico del costo della vita. "Anche qui ci vuole chiarezza: lo stop agisce solo sullo scaglione superiore delle pensioni almeno cinque volte superiori al minimo". Se scatta l'inflazione diventa un bella mazzata... "Se così sarà vorrà dire che ci ripenseremo, non sono misure eterne. In altri Paesi ci sono stati licenziamenti di migliaia di dipendenti pubblici, decurtate le buste paga del 20% ed altro ancora!". Accordo Confindustria-sindacati. C'è un collegamento con la manovra? "Certo. E non solo perché nella manovra c'è la proroga della detassazione del salario di produttività così come nella legge delega di riforma fiscale c'è la strutturalità di questa misura. Un provvedimento per far sì che le parti utilizzino il contratto aziendale che è lo strumento più idoneo per sostenere la crescita dell'impresa attraverso la migliore utilizzazione degli impianti garantendo ai lavoratori incrementi salariali collegati ai risultati e alla maggiore efficienza. Per promuoverli il governo Zapatero ha addirittura adottato un decreto legge senza accordo tra le parti". Resta aperta ancora la questione Fiat. Chi ha ragione, Marchionne o la Marcegaglia? "Alla fine credo dicano la stessa cosa. L'accordo si rivolge al futuro però la risposta della Cgil e della Fiom sulla retroattività - e quindi sugli accordi Fiat - è da azzeccagarbugli, non da sindacato. Se è vero che quell'intesa consente da domani mattina di fare un accordo come quelli di Pomigliano e Mirafiori diventa davvero assurdo ritenerli ancora oggetto di conflitto. Ci vuole buon senso". Potrebbe intervenire anche lei come ministro per sbloccare la situazione? "Tocca alle parti innanzitutto trovare la soluzione. Se non di merito, di metodo, di rispetto per quelle intese, per gli investimenti pianificati, per l'occupazione e gli aumenti salariali. Una norma di legge può essere ipotizzata solo se chiesta dalle parti". Il capo dello Stato chiede non ci siano forzature sulla successione a Draghi. "Ha ragione. E ha fatto bene a chiedere di evitare ogni polemica pubblica. Tutti devono essere sobri, nessuno ha contestato la qualità dei candidati". La nomina di Alfano è davvero l'inizio di una nuova fase? "Lo è davvero. Chi ha partecipato come me a questa assemblea sa che oggi è accaduto qualcosa di importante. Sarà il tempo a determinarne il valore. Intanto il nuovo segretario politico è partito con il piede giusto: l'ambizione di costruire l'unità politica di tutti i moderati e i riformisti che si riconoscono nel popolarismo europeo". Roberto Bagnoli 02 luglio 2011 09:47
e sulla manovra "Il governo rischia di essere troppo ottimista sulla lotta all'evasione" "Restano rischi per la crescita debole" Nota di Standard & Poor's: "Restano sostanziali rischi per il piano di riduzione del debito" Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti (Benvegnù-Guaitoli) Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti (Benvegnù-Guaitoli) MILANO - Nonostante la manovra correttiva dei conti pubblici, "restano sostanziali rischi per il piano di riduzione del debito principalmente a causa della debole crescita". Lo dice l'agenzia di rating Standard & Poor's in una nota. TAGLIO - La possibilità che e Standard & Poor's tagli il rating sovrano sull'Italia resta una su tre, nonostante le misure correttive relative al periodo 2011-2014. IL COMMENTO ALLA MANOVRA - Standard & Poors tuttavia plaude alle misure per contenere gli aumenti salariali nel settore pubblico e la spesa pensionistica contenute nella manovra correttiva. L'agenzia di rating avverte: "Il governo rischia di essere troppo ottimista sull'efficacia delle misure contro l'evasione fiscale", e "un lungo stallo politico potrebbe contribuire a far sforare i conti pubblici". Secondo l'agenzia di rating, "se messe in pratica, le misure per anticipare l'età del pensionamento nel 2014 anzichè nel 2015 rinforzano l'opinione che l'Italia ha passività fra le più basse in Europa legate all'invecchiamento della popolazione". Bene anche gli accordi stretti fra i sindacati e Confindustria, definiti da S&P un "importante passo in avanti verso la flessibilità salariale". LA CONVOCAZIONE - La Consob ha convocato per la prossima settimana le agenzie di rating Standard & Poor's e Moody's. Lo ha appreso l'agenzia di stampa Ansa interpellando il portavoce della Commissione di vigilanza sulla Borsa. Le convocazione hanno ad oggetto proprio la nota di S&P sulla manovra correttiva e la decisione di giovedì della settimana scorsa di Moody's di mettere sotto osservazione il rating di 16 banche italiane. In particolare, S&P dovrà chiarire la decisione di pubblicare la propria nota prima che il testo definitivo del dl della manovra sia pubblicato in Gazzetta Ufficiale, e alle ore 13, cioè a mercati aperti. La Consob ha anche interessato della questione la nuova super Consob europea, l'Esma, che dovrebbe affrontare la vicenda in una riunione a Parigi la prossima settimana. Redazione online 01 luglio 2011 20:27
crescono le entrate totali del 3,8% Istat: migliora il rapporto deficit-Pil Nel primo trimestre dell'anno è sceso al 7,7% contro l'8,5% dello stesso periodo del 2010 MILANO - Nel primo trimestre del 2011 il rapporto tra deficit e Pil è stato pari al 7,7%, in miglioramento di 0,8 punti percentuali rispetto al corrispondente periodo del 2010 (quando era pari all'8,5%). Lo rileva l'Istat diffondendo i dati grezzi sull'indebitamento delle Amministrazioni pubbliche. ENTRATE - Le entrate totali nel primo trimestre del 2011 sono aumentate del 3,8% su base annua, in accelerazione rispetto a quanto rilevato nel corso dei precedenti trimestri. Sul risultato ha inciso soprattutto il rialzo delle imposte in conto capitale. Lo comunica sempre l'Istat, sottolineando che la loro incidenza su Pil è salita al 40,6% rispetto al 40,2% registrato nel corrispondente trimestre del 2010. Redazione online 01 luglio 2011 11:16 DISPOSIZIONI URGHENTI TAGLI : COSTI della POLITICA BOZZA RIFORMA FISCALE
IL PROVVEDIMENTO La manovra voce per voce Taglio ai costi della politica, via libera alla delega fiscale superbollo solo sulle auto di lusso oltre i 225 kw NOTIZIE CORRELATE Manovra, tutte le misure (1 luglio 2011) Meno tasse ai giovani imprenditori. Cosa cambia con la manovra (1 luglio 2011) Taglio ai costi della politica, via libera alla delega fiscale, intervento sul regime fiscale delle imprese, stretta sugli impiegati pubblici, election day per ridurre le "spese della democrazia". Sono alcuni dei punti che compongono la manovra da 47 miliardi di euro approvata dal Consiglio dei ministri di giovedì. Ecco una panoramica dei contenuti del provvedimento, quali si ricavano dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e del ministro dell'Economia Giulio Tremonti, più alcune indiscrezioni attendibili. ENTITA' - La manovra ha un valore globale di 47 miliardi di euro, così suddivisi: 1,5 miliadi nel 2011, 5,5 nel 2012, 20 miliardi nel 2013 e nel 2014. DELEGA ALLA RIFORMA FISCALE - Nessun aumento dell'Iva ma soltanto la "revisione graduale delle attuali aliquote, tenendo conto degli effetti inflazionistici prodotti da un aumento". È quanto prevede la bozza del ddl delega per la riforma del fisco. Tre aliquote Irpef, del 20%, 30% e 40%, che saranno finanziate, tra le altre voci, anche attraverso l'eliminazione di alcune agevolazioni fiscali. Per quanto riguarda le rendite, l'obiettivo di portarle a una tassazione del 20% (escludendo però i titoli di Stato). La riforma si disegnerà da qui ai prossimi tre anni. RISPARMI - Riduzione del personale degli uffici Ice di almeno 200 unità (attualmente l'Istituto per il commercio estero impegna 1200 persone, 600 in Italia e 600 all'estero). Gli uffici Ice in Italia, attualmente 14, scenderanno a 2, uno a Roma e uno a Milano. Il finanziamento pubblico ai partiti sarà decurtato di un altro 10%, si istituirà l'election day, che prevede l'accorpamento delle elezioni nazionali e amministrative (esclusi invece i referendum, che per Costituzione devono essere autonomi). Per quanto riguarda gli "aerei blu", saranno riservati al capo dello Stato, al presidente della Camera, a quello del Senato, a quello del Consiglio e al presidente della Corte Costituzionale, mentre gli altri ministri ne potranno usufruire solo per viaggi istituzionali all'estero. Per quanto riguarda le auto blu, vanno usate e rottamate quelle che ci sono ora. In futuro ne avranno diritto i presidenti, ma non quello della Corte Costituzionale e comunque non si potranno usare quelle superiore a 1.600 di cilindrata, fatte salve le esigenze di sicurezza. Gli stipendi dei parlamentari saranno parificati a quelli europei. STRETTA SUI DIPENDENTI PUBBLICI - Stretta sulle assenze dei dipendenti della pubblica amministrazione. Controlli immediati se la "malattia" si verifica nelle giornate precedenti o successive a quelle non lavorative. SUPERBOLLO AUTO - Sparita l'ipotesi di tassa sui Suv, resta una maggiorazione di imposta sui superbolidi, quelli oltre i 225 kw, pari a 301 cavalli (tra cui anche l'Audi A8 di Berlusconi). FISCALITA' DELLE IMPRESE - Sarà istituito un forfait fiscale al 5%, (per Tremonti "il più conveniente d'Europa"), che riguarda le imprese fatte dai giovani fino a 35 anni per cinque anni Redazione online 30 giugno 2011(ultima modifica: 01 luglio 2011 14:20)
2011-06-24 SINDACATI E CONFINDUSTRIA Contratti, l'accordo è più vicino Marcegaglia: "Si conta di chiudere martedì". La Camusso: "Abbiamo fatto una buona discussione, utile" NOTIZIE CORRELATE Marcegaglia: "Troppi ritardi, le imprese faranno da sole" (8 maggio 2011) L'incontro tra Emma Marcegaglia e i segretari generali di Uil Luigi Angeletti, Cisl Raffaele Bonanni e Cgil Susanna Camusso (Ansa) L'incontro tra Emma Marcegaglia e i segretari generali di Uil Luigi Angeletti, Cisl Raffaele Bonanni e Cgil Susanna Camusso (Ansa) MILANO - Sindacati e Confindustria puntano a chiudere un accordo unitario sui contratti nel prossimo incontro previsto per martedì pomeriggio. Lo ha indicato la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, spiegando che "c'è la volontà di tutti" per farlo. Si firmerà martedì? "Si firmerà martedì se sarà possibile", dice la leader degli industriali. Ottimismo anche da parte del leader della Cgil, Susanna Camusso, al termine del tavolo con Confindustria, Cisl e Uil. "Abbiamo fatto una buona discussione, utile, che ha permesso di ragionare sulla possibilità di un accordo, sulla misurazione della rappresentanza e l'efficacia della contrattazione". ANGELETTI - "Le distanze si sono ridotte al punto da farci prefigurare una soluzione condivisa" su rappresentanza ed esigibilità dei contratti, ha detto il segretario generale della Uil Luigi Angeletti, lasciando la sede di Confindustria. CENTRELLA - Anche Giovanni Centrella, segretario generale dell'Ugl, è ottimista: "Si sta ragionando per raggiungere in tempi brevi un accordo che valga per tutti". Per il sindacalista "la calendarizzazione di un nuovo incontro per martedì prossimo dimostra che c'è la volontà di trovare soluzioni condivise e veloci. Nell'augurarci che si riesca ad arrivare alla fine di questo percorso senza alcun ostacolo, - conclude Centrella - consideriamo strategico per il futuro del Paese e indispensabile per il bene dei lavoratori un sistema di regole capace di aprire una nuova stagione nelle relazioni sindacali e industriali". Redazione online 24 giugno 2011
2011-06-16 il ministro della Funzione pubblica a Radio24 dopo averli definiti "l'Italia peggiore" La retromarcia di Brunetta: "I precari sono vittime, io ce l'ho con casta romana" "Privilegiati di cui Roma è piena. Io lavoro per precari veri. La contestatrice? Guadagna 1.800 euro al mese" MILANO - I precari sono "vittime del sistema" mentre 'l'Italia peggiore sono la "casta di privilegiati molto romani" che cerca solo visibilità mediatica. Lo ha sottolineato il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, precisando il senso delle sue parole al centro delle polemiche sui precari. "Io faccio il professore di economia del lavoro - ha detto Brunetta intervenendo su Radio24 - è da una vita che mi interesso di problemi del lavoro: le pare che io sia così stupido da dire che le vittime di un sistema che non funziona, in cui i padri sono troppo egoisti, le vittime siano loro l'Italia peggiore? Lei pensa che sia così stupido?". "Io ce l'ho - ha spiegato il ministro - con quella casta di privilegiati "molto romani". Guardi i nomi nelle interviste di questa mattina sui giornali", nomi come Maurizia Russo Spena, figlia di Giovanni ex senatore del Prc. "Roma è piena di questo tessuto di persone - ha aggiunto - e io mi preoccupo di più dei precari dei call center, dei precari nel settore privato che non riescono ad avere un contratto a tempo indeterminato e non hanno parola". "Io mi preoccupo di loro - ha concluso Brunetta - e sto lavorando per dare una soluzione ai loro problemi, mentre mi preoccupo di meno dei tanti organizzati, molto spesso in ambito romano, che vengono con telecamerine e striscioni per avere visibilità mediatica". Il confronto MILANO - "Ho visto i giornali - ha sottolineato Brunetta - e la cosa più divertente è stata l'intervista alla "leader" (Maurizia Russo Spena, ndr) di quel movimento di precari che è venuto a contestarmi o a pormi delle domande: guadagna 1.800 euro al mese da 5 anni, con contratti a termine presso un'agenzia del ministero del Lavoro. Non mi sembra molto precaria". "C'è tanta ipocrisia in questo mondo - ha affermato il ministro della Funzione pubblica - e si fa presto a giudicare una frase rivolta a un modo barbaro di fare politica. Se tra 20 anni governeranno probabilmente gli altri, la sinistra, è questo il modo di costruire il dialogo tra forze sociali e chi governa: striscioni, insulti, agguati mediatici? Chi di agguato colpisce poi di agguato ferisce - ha concluso - e la prossima volta magari contesteranno la Camusso, Bersani, porgendogli le stesse domande. Stiamo attenti a non capire l'imbarbarimento di questa fase della nostra vita politica". AVVENIRE, CHI NON ASCOLTA PRENDE SBERLE - "Chi non sa ascoltare le persone - che non sono certo il Paese "peggiore" - oggi si candida solo a ricevere altre sberle. Metaforiche, s'intende. Ma non per questo meno pesanti". Il quotidiano cattolico Avvenire commenta l'episodio. "Le contestazioni agli esponenti politici sono non di rado dure, in passato ve ne sono state pure di violente - scrive il quotidiano della Cei in un corsivo non firmato, quindi attribuibile alla direzione -. Ma i timori, legittimi, che possano accadere non giustificano gli insulti e le fughe sdegnate di fronte a semplici domande". Secondo Avvenire, "per un politico la capacità di ascolto è una delle prime virtù da coltivare. Per un ministro, poi, è addirittura un dovere". Per il giornale dei vescovi, comunque, "ora gli insulti che a sua volta il ministro riceve su internet sono parimenti criticabili". Ma il consiglio che rivolge a Brunetta è che "anziché insistere nell'errore, meglio scusarsi e aprirsi al confronto. Questa sì sarebbe un'Italia migliore". Redazione online 16 giugno 2011
2011-05-08 Assise generali di Confindustria a Bergamo La Marcegaglia: "La sentenza Thyssen può allontanare gli investimenti esteri" "È un tema che va guardato con grande attenzione, nel massimo rispetto per la sicurezza sul lavoro" Assise generali di Confindustria a Bergamo La Marcegaglia: "La sentenza Thyssen può allontanare gli investimenti esteri" "È un tema che va guardato con grande attenzione, nel massimo rispetto per la sicurezza sul lavoro" ROMA - Emma Marcegaglia chiama gli industriali alla conta, misura il consenso, cerca un mandato pieno dalla platea di 5.700 imprenditori alle Assise generali di Confindustria a Bergamo. Che sono stati chiamati a votare punto su punto, scegliendo tra varie opzioni (il voto è avvenuto con un messaggio sms), le proposte che la presidente di Confindustria poi rilancerà, come preannunciato, in una agenda di priorità da proporre alla politica. SENTENZA THYSSEN - Uno dei temi caldi toccati da Emma Marcegaglia nel suo intervento è legato alla condanna a 16 anni per Harald Espenhahn per il rogo della Thyssen. "È un unicum in Europa. Una cosa di questo tipo se dovesse prevalere allontanerebbe investimenti esteri mettendo a repentaglio la sopravvivenza del sistema produttivo. È un tema che va guardato con grande attenzione, nel massimo rispetto per la sicurezza sul lavoro, ma una cosa di questo tipo se dovesse prevalere allontanerebbe gli investimenti dall'Italia", ha detto il presidente di Confindustria nel corso della conferenza stampa. La Marcegaglia ha poi sottolineato che le Assise hanno ribadito "il massimo impegno per la sicurezza, ogni morte sul lavoro è una sconfitta". RIFORME - La Marcegaglia ha poi rivolto un invito al governo: "Chiediamo poche riforme chiare, non sussidi, non incentivi, non aiuti. Chiediamo invece grandi riforme che permettano allo Stato di ridursi e di funzionare meglio". E ancora: "Lo Stato privatizzi la gestione dell'Ice. Noi, come Confindustria, ci candidiamo a prenderla in considerazione". SINDACATO - Sul fronte della dialettica con il sindacato la Marcegaglia ha detto che "non siamo interessati a dividere il sindacato come ha detto il segretario della Cgil Camusso anzi, tutto il contrario". 07 maggio 2011
LE ASSISE DI CONFINDUSTRIA Il modello Manchester LE ASSISE DI CONFINDUSTRIA Il modello Manchester La buona notizia è che a Bergamo la Confindustria ha cominciato a farsi le domande giuste. Poi che non abbia ancora elaborato risposte compiute è tutto sommato secondario. L'importante, per ora, è che il malessere degli industriali e l'afasia della rappresentanza siano stati diagnosticati con sufficiente perizia e che si sia individuata la strada da percorrere per porvi rimedio. Perché il vero problema con il quale gli industriali devono fare i conti non è tanto e solo "la distrazione del premier", che non ama passare le serate di Arcore consultando gli atlanti di politica industriale, ma il fatto che siamo entrati nell'epoca dello "zero budget", dell'impossibilità dichiarata dell'esecutivo di spendere. È evidente che di fronte a questa discontinuità l'azione di rappresentanza debba essere sostanzialmente ridisegnata. No budget, no lobby. E a Bergamo la Confindustria ha iniziato a farlo con la logica del "piuttosto che aspettare la politica, cominciamo noi". Che altro ragionamento, se non questo, c'è dietro la coraggiosa proposta di prendersi in carico l'Istituto del commercio estero (Ice), uno strumento decisivo per l'affermazione dell'export italiano? Ma una dietro l'altra dal palco sono arrivate diverse altre idee, tutte in linea con la nuova filosofia sussidiaria. Gli industriali si sono candidati a investire per favorire la diffusione della lingua inglese, a organizzare un mall a Berlino per i marchi del made in Italy di fascia media, a finanziare cattedre di mobilità per far rientrare nel Paese i migliori ricercatori. Non sottolineare il cambio di cultura che sta dietro quest'assunzione di responsabilità sarebbe a questo punto un'omissione. La seconda novità di Bergamo riguarda il modo di operare di Confindustria. Oggi quella presieduta da Emma Marcegaglia si presenta come un'organizzazione a delega eccessivamente lunga, incomprensibile nell'epoca di Facebook e Twitter come si è visto persino dal resoconto pubblico dei lavori di ieri. C'è un centro romano pletorico e molte duplicazioni di strutture, la vita interna si svolge lungo cerimoniali e procedure che non hanno più ragione d'esistere e via via si è formato un ceto di "professionisti della rappresentanza" - come li ha definiti dal palco l'ex direttore generale Stefano Parisi -, continuamente a caccia di una presidenza. Per non parlare dei convegni che animano i borghi di S. Margherita Ligure o Capri e durante i quali gli imprenditori, giovani o attempati che siano, servono solo a misurare gli applausi del politico di turno. Ridisegnare Confindustria non è un'operazione che si possa chiudere in 24 ore, però a Bergamo è parso chiaro che la riforma passa da un rinnovato protagonismo di territori e categorie. Ascolto è stata la parola chiave dell'Assise, dovrebbe diventarlo anche nella routine della confederazione.Se queste sono state le confortanti primizie emerse nell'adunata di ieri è sulle tendenze del modello capitalistico italiano post-Grande Crisi che ancora non pare sia maturata un'analisi condivisa. Si sentono discorsi diversi. La sottolineatura dell'orgoglio del manifatturiero che fa dire a mo' di battuta al presidente di Assolombarda, Alberto Meomartini, che "noi dovremmo tifare per Manchester più che per Barcellona". La richiesta ai Piccoli di muoversi, di battere la sindrome dell'appagamento e costruire aziende più grandi che possano competere con maggiori chance sul mercato globale. L'enfasi più che giustificata sui temi della ricerca che in Italia avrebbe bisogno di investimenti per almeno un miliardo di euro. Si dicono cose diverse e non necessariamente in contraddizione tra loro, ma si parla poco di rispecializzazione del modello Italia e altrettanto poco di capitalismo delle reti. Se riprenderemo a crescere molto dipenderà dalla capacità che avremo di creare una nuova catena del valore lungo l'asse fornitura-fabbrica-logistica-distribuzione. Alcuni prodotti tipicamente nostri vanno reinventati, altri vanno portati in tempi certi sugli scaffali giusti di Paesi nuovi. Nella descrizione di questo sforzo si può leggere l'oroscopo dell'industria italiana. Dario Di Vico 08 maggio 2011
2011-05-06 FIAT Ex Bertone, via libera al l'accordoper la Fiom firmano le Rsu A Melfi undici "ribelli" scrivono a Landini e Camusso, "basta con la logica dei no" FIAT Ex Bertone, via libera al l'accordoper la Fiom firmano le Rsu A Melfi undici "ribelli" scrivono a Landini e Camusso, "basta con la logica dei no" Un corteo degli operai di Melfi Un corteo degli operai di Melfi MILANO - E' stato firmato l'accordo che consentirà l'investimento della Fiat alla ex Bertone, oggi Officine Automobilistiche Grugliasco. L'intesa, che prevede dal primo gennaio 2012 l'applicazione del contratto di primo livello di Pomigliano, è stata sottoscritta da Fim, Uilm e Fismic, mentre per la Fiom hanno firmato le Rsu. Il sì all'accordo arriva all'indomani del referendum in cui i voti favorevoli sono stati l'88,9%. Alla ex Bertone sono occupati circa 1100 lavoratori in cassa integrazione da sei anni. FIOM, LA LETTERA DEI "RIBELLI" -L'accordo sull'organizzazione del lavoro allo stabilimento Fiat di Melfi è "trasparente" e "poteva e doveva essere firmato": in una lettera inviata al segretario generale della Fiom, Maurizio Landini e al numero uno della Cgil, Susanna Camusso, 11 delegati "ribelli" della Fiom di Melfi (su un totale di 18 ) hanno chiesto di convocare una riunione per chiarire la posizione da tenere nello stabilimento . "Intendiamo evidenziare - si legge - l'atteggiamento contraddittorio tenuto sulla vicenda dal gruppo dirigente locale e nazionale della Fiom. Atteggiamento che ha messo in forte difficoltà la Rsu al cospetto dei lavoratori. Si tratta di un accordo trasparente, perfettibile certo, ma è un accordo che poteva e doveva essere firmato e che la Rsu ha deciso responsabilmente di firmare anche perchè legittimata a farlo, salvo poi subire la ritirata tattica imposto dal gruppo dirigente Fiom che non si capisce bene a chi risponda. Spiace ammettere che ancora una volta ha vinto la logica del no a prescindere dal merito delle questioni e, fatto ancora più grave, la dirigenza della Fiom ha di fatto esautorato la sua Rsu, violando il principio democratico della rappresentanza. Questa è la famosa democrazia sindacale di cui parla Landini? È il caso di ricordare al compagno Landini che la Rsu alla Sata si elegge e non si nomina e che i delegati rispondono soprattutto ai lavoratori-elettori". Infine i delegati hanno ribadito la richiesta di firmare l'accordo. "Landini e la Fiom - è scritto - non hanno sempre sostenuto che è la base quella che decide? È bene ricordare che ben 11 Rsu su 18 hanno dato indicazione contrarie a quello che è stato sostenuto nelle assemblee. Se è questa la democrazia che oggi viene indicata rifletteremo sul nostro futuro". 04 maggio 2011(ultima modifica: 05 maggio 2011)
DECRETO SVILUPPO: "Vantaggi fiscali per chi assume nel Sud" Tremonti, ecco le sanzioni per chi esagera sui controlli fiscali Lettera dell' Agenzia delle Entrate: "Comportiamoci tutti, come funzionari del Fisco, così come vorremmo essere tutti trattati come contribuenti" * NOTIZIE CORRELATE * La lettera dell'Agenzia della Entrate firmata dal direttore Befera (pdf) DECRETO SVILUPPO: "Vantaggi fiscali per chi assume nel Sud" Tremonti, ecco le sanzioni per chi esagera sui controlli fiscali Lettera dell' Agenzia delle Entrate: "Comportiamoci tutti, come funzionari del Fisco, così come vorremmo essere tutti trattati come contribuenti" Il ministro dell'Economia Il ministro dell'Economia MILANO - Una circolare dell'Agenzia delle Entrate per spiegare "quali sono le sanzioni per chi esagera con i controlli fiscali" sulle imprese. L'ha preannunciata il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, nella conferenza stampa a Palazzo Chigi per la presentazione del Dl sullo Sviluppo. "Un conto è chiedere le tasse , un altro è essere coerenti con la legge" ha aggiunto il ministro che alcune settimane fa aveva promesso di adoperarsi contro "l'oppressione" fiscale, gli eccessi che generano "costi, tempo perso, stress, e occasioni di corruzione". LA LETTERA AI DIPENDENTI - Il direttore Attilio Befera ha infatti richiamato i propri dipendenti al rispetto di un rapporto leale, serio, rispettoso con i contribuenti in una lettera pubblicata sul sito istituzionale: niente soprusi o vessazioni nei controlli. Anche perché danneggiano la credibilità di un fisco che vuole trasparenza e che quindi deve dare rispetto. Arroganza e soprusi provocano invece "un devastante danno di immagine" - si legge nella lettera - tanto da "finire quasi per apparentare l'azione del fisco a quella di estorsori". Arrivano così le sanzioni per gli ispettori del fisco che eccedono il loro ruolo: se i comportamenti sono gravi, "gravi saranno anche le relative sanzioni, nessuna esclusa". Lo stesso ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha parlato di una prossima circolare con le sanzioni. "Uscirà una circolare dell'Agenzia delle Entrate che spiegherà quali saranno le sanzioni per chi esagera", ha detto. Il direttore Befera ricorda di aver già richiamato alla "correttezza ed efficienza" ma di continuare a ricevere "segnalazioni nelle quali si denunciano modi di agire che mi spingono adesso a richiamare ognuno alle proprie responsabilità e ribadire ancora una volta che la nostra azione di controllo può rivelarsi realmente efficace solo se è corretta". LE INDICAZIONI - Il numero uno delle Entrate fornisce anche indicazioni pratiche. "Se un accertamento non ha solido fondamento - spiega - non va fatto e se da una verifica non emergono fatti o elementi concreti da contestare, non è corretto cercare a ogni costo pseudo infrazioni formali da sanzionare solo per evitare che la verifica stessa sembri essersi chiusa negativamente. Insomma, se il contribuente ha dato prova sostanziale di buona fede e di lealtà nel suo rapporto con il Fisco, ripagarlo con la moneta dell'accanimento formalistico significa venire meno a un obbligo morale di reciprocità, ed essere perciò gravemente scorretti nei suoi confronti". E aggiunge, queste non sono osservazioni, ma obblighi precisi. In fondo - conclude - "la regola da seguire è molto semplice. È una regola di rispetto: comportiamoci tutti, come funzionari del Fisco, così come vorremmo essere tutti trattati come contribuenti". FISCO CON LO SCONTO AL SUD - Il drecreto contiene poi le misure per l'occupazione nel Sud, con l'introduzione del credito di imposta per le imprese che assumono nel Mezzogiorno. "Pensiamo di poter avere la fiscalità di vantaggio: è l'unico modo di spendere i soldi europei - ha detto Tremonti - . Nel 2011 rischiamo di perdere 5 miliardi. Il tasso di utilizzo dei fondi è scandalosamente basso. E se non spendiamo i fondi, questi tornano a Bruxelles". Anche il social housing, l'edilizia sociale, "sarà concentrata al Sud". BANCA PER IL MEZZOGIORNO, "NASCE UN GIGANTE" - Semaforo verde della Banca d'Italia per la Banca del Mezzogiorno. E per Tremonti, "da oggi inizia un percorso operativo per strutturare le banche popolari e i crediti cooperativi. Si tratta di oltre 7000 sportelli, è una cosa molto importante, nasce un gigante. Abbiamo apprezzato il lavoro della Banca d'Italia". Berlusconi elogia Tremonti: superlavoro LA MANOVRA? "OGGI HO PARLATO DI SVILUPPO" - "Oggi abbiamo fatto un provvedimento economico, ne saranno fatti una serie. E poi ci saranno i provvedimenti sul bilancio pubblico" ha detto infine Tremonti replicando alle domande sulla possibile manovra correttiva da 7-8 miliardi di euro. TETTO AI BONUS DEI BANCHIERI - Nel drecreto è stato poi stabilito che la Banca d'Italia potrà mettere tetti ai bonus dei manager bancari, ossia fissare dei limiti sulla parte variabile che in genere costituisce la voce rilevante della retribuzione dei banchieri. LA RICERCA - Il credito imposta per la ricerca viene "introdotto per due anni ed è sperimentale. La copertura è operata con una tecnica non a carico delle imprese stesse, ma si tratta di una forma di prelievo volontario di grande interesse". 05 maggio 2011
2011-05-01 IL VIA ALLE DALLE 16 1° maggio, Concertone per l'Unità d'Italia Tema dei 150 anni per l'appuntamento in piazza San Giovanni. Sul palco musica e impegno con Dalla, De Gregori, Marcorè, Morricone e Gino Paoli IL VIA ALLE DALLE 16 1° maggio, Concertone per l'Unità d'Italia Tema dei 150 anni per l'appuntamento in piazza San Giovanni. Sul palco musica e impegno con Dalla, De Gregori, Marcorè, Morricone e Gino Paoli ROMA - Fervono i preparativi per il classico appuntamento con il Concertone del Primo Maggio, al via domenica alle 16.00 circa da Piazza San Giovanni a Roma. Nel 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia, la Storia, la patria e il lavoro sono le parole chiave dell'edizione 2011, mentre Roma registra il tutto esaurito in concomitanza con la beatificazione di papa Wojtyla. Dalla e De Gregori (Barbaglia) Dalla e De Gregori (Barbaglia) MUSICA E IMPEGNO - Per la prima volta sul palco del Concertone di San Giovanni saranno insieme Lucio Dalla e Francesco De Gregori. La musica sinfonica la farà da padrone. Grande protagonista del Primo maggio sarà infatti l' Orchestra Roma Sinfonietta. Un contributo speciale verrà da Ennio Morricone che ha composto per l'occasione l'inedito "Elegia per l'Italia". Gino Paoli intonerà il "Và Pensiero". Il Leitmotiv quest'anno sarà l'Unità e i 150 anni e il tema artistico è: "La storia siamo noi. La storia, la patria, il lavoro". Il cast va da Daniele Silvestri ai Modena City Ramblers passando per Luca Barbarossa, Caparezza e Beppe Servillo. Esordisce alla conduzione il comico, attore e presentatore Neri Marcorè, mentre le sette ore di musica saranno inaugurate da Eugenio Finardi. Sul palco daranno il loro contributo, tra gli altri, Ascanio Celestini e Andrea Camilleri. La manifestazione si apre e si chiude con l'Inno di Mameli, mentre non può mancare "Bella ciao". La diretta televisiva si apre alle 16.00 su Raitre e riprende alle 20.00 con l'esibizione di Neri Marcorè in "Dolcenera" di Fabrizio de Andrè. L'allestimento del palco in piazza San Giovanni (Blowup) L'allestimento del palco in piazza San Giovanni (Blowup) LA MOBILITA' - Per consentire lo svolgimento dell'evento, cui prenderanno parte migliaia di persone, sarà chiusa al traffico la zona delimitata da via Carlo Felice, piazza di Porta San Giovanni e via Emanuele Filiberto, mentre sarà consentito transitare sulle direttrici: via Amba Aradam, piazza San Giovanni in Laterano, via Merulana; via Nola piazza e via Santa Croce in Gerusalemme; via Magna Grecia, piazzale Appio, via Appia e via La Spezia. Ecco quindi, in una nota di Roma Servizi per la Mobilità, il piano tpl: IL SERVIZIO DI TRASPORTO PUBBLICO - Le linee 3, 16, 360, 590, 665 saranno in servizio con fasce orarie dalle 8,30 alle 13 e dalle 16,30 alle 21; le linee 81, 85, 87, invece, inserite nel programma di intensificazione per l'evento di beatificazione di Giovanni Paolo II, saranno in funzione dalle 5,30 alle 21. Come misura di sicurezza, infine, a partire dalle 15 di domenica 1 maggio è prevista la chiusura delle stazioni "San Giovanni" e "Manzoni" della linea A della metropolitana. LE DEVIAZIONI E LE LIMITAZIONI - Dalle 8,30 a fine servizio le linee diurne 3, 16, 81, 85, 87, 360, 590 di Atac e la linea 218 di Roma Tpl dovranno cambiare itinerario, la linea diurna 665 sarà limitata. Inoltre, per consentire la pulizia dell'area di piazza San Giovanni, da inizio servizio fino alle 5 di domenica 2 maggio devieranno le notturne n1, n10, n11. Redazione online 30 aprile 2011(ultima modifica: 01 maggio 2011)
2011-04-17 Dopo la condanna a 16 anni dell'amministratore: non vogliamo diventare un pretesto Lo sfogo dei vertici della Thyssen "Ora sarà difficile lavorare in Italia" I dirigenti tedeschi: non siamo assassini, gli industriali reagiscano Dopo la condanna a 16 anni dell'amministratore: non vogliamo diventare un pretesto Lo sfogo dei vertici della Thyssen "Ora sarà difficile lavorare in Italia" I dirigenti tedeschi: non siamo assassini, gli industriali reagiscano TORINO - "Scusateci, ma abbiamo l'ordine di accompagnarvi fuori dal tribunale". Gli addetti alla sicurezza si sono avvicinati al presidente Klaus Schmitz e agli altri dirigenti di Thyssenkrupp Italia Spa mentre il giudice stava ancora leggendo la sentenza. Sono usciti di soppiatto, senza farsi notare. "C'era una situazione molto emotiva, non capisco come qualcuno possa negarlo". Due operai si stringono in un abbraccio all'esterno dell'acciaieria ThyssenKrupp (Ansa) Due operai si stringono in un abbraccio all'esterno dell'acciaieria ThyssenKrupp (Ansa) Il giorno dopo, visto dall'altra parte. Quella dei "tedeschi", come venivano chiamati dagli operai dello stabilimento di Torino, che da venerdì sera detengono un primato non invidiabile per una società che si è sempre dichiarata all'avanguardia nella sicurezza sul lavoro. Harald Espenhahn, il capo assoluto, il loro amministratore delegato, è diventato il primo dirigente d'azienda europeo a essere condannato per omicidio volontario. Sulla coscienza, i sette operai della linea 5, bruciati vivi la notte del 6 dicembre 2007. Tecnicamente, un assassino. Uno schiaffo all'orgoglio e alla coscienza. La casa madre ha dato ordini precisi, non dire niente, la consegna del silenzio per riprendersi dallo stordimento. "Noi vogliamo vedere come reagisce il vostro Paese a questa sentenza, e poi, nell'ambito che ci compete, daremo il nostro contributo alla discussione". Le frasi restano sospese a mezz'aria, private dell'ufficialità. Schmitz avrebbe una gran voglia di parlare, questione d'orgoglio, rappresenta un gruppo che in Italia ha 6.521 dipendenti, 29 aziende più un'altra ventina di affiliate, nel 2010 ha fatto investimenti per 58 milioni di euro nel nostro Paese. Intorno a lui, gli altri dirigenti fanno cenni di assenso con il capo, non si sentono assassini, capiscono che quella di venerdì scorso non è una sentenza come le altre, ma uno spartiacque. "Il problema è sapere quale sarà la giurisprudenza in tema di sicurezza sul lavoro. Noi restiamo in Italia, ma dopo la situazione che si è venuta a creare con il verdetto di Torino sarà difficilissimo lavorare da voi. Ci aspettiamo una riflessione su queste condanne, ma per ora non vogliamo rimanere coinvolti nel dibattito". C'è molta rabbia, nella comitiva tedesca in attesa di imbarcarsi sui voli per Roma e per la Germania. Nessuno sperava in una assoluzione. Ma quel dolo eventuale, ovvero l'accettazione del rischio conseguente alla scelta di non investire sulla sicurezza antincendio, pesa come un macigno. I dirigenti di Thyssenkrupp si sentono l'oggetto di un esperimento giuridico, faticano a comprendere come sia potuto toccare alla loro azienda, anche se la contabilità delle vittime del rogo sarebbe già una prima risposta. "Noi siamo una delle aziende più importanti d'Italia. Siamo regolarmente associati a Confindustria, e abbiamo bisogno di avere garanzie per il nostro futuro. Confindustria ci deve rappresentare, deve reagire a questa sentenza. Dall'associazione degli industriali italiani ci aspettiamo tutela e passi ufficiali". In sottofondo, senza che venga mai dichiarata ma comunque palpabile, la sgradevole sensazione di sentirsi stranieri in terra straniera, e per questo sottoposti a un trattamento che i vertici della multinazionale giudicano di particolare durezza. "Purtroppo in Italia ci sono state tante tragedie sul lavoro, tante morti bianche. Ma questa sorte giudiziaria è toccata solo a noi. Il punto cruciale è questo: non vorremmo diventare un pretesto, noi come azienda, e Espenhahn come persona. Con un verdetto di questo tipo, alcune persone pensano di poter cambiare l'attitudine di questo Paese in tema di sicurezza sul lavoro. Proprio per questo, prima di decidere come comportarci in futuro e quali strategie adottare, abbiamo bisogno di capire come l'Italia valuta la sentenza e la novità che ha introdotto". La consapevolezza di muoversi su un terreno molto ripido è ben presente in Schmitz e nei suoi principali collaboratori, che vivono e lavorano a Roma, sono ben introdotti negli ambienti della Capitale. La strage del dicembre 2007 ebbe un impatto fortissimo sull'opinione pubblica italiana e nessuno dei dirigenti tedeschi ne vuole sminuire la portata. "Se la situazione generale continuerà ad essere segnata dalla forte emotività che ha caratterizzato il processo di Torino, è chiaro che il problema rimane, e ci obbliga a interrogarci sul nostro futuro. A nostro giudizio molte persone, a cominciare dai vertici di Confindustria, dovrebbero riflettere a lungo sulle conseguenze di questa sentenza". Avrebbero tanta voglia di dire altro, di proseguire lo sfogo, i tedeschi di Thyssenkrupp Italia. Ma l'altoparlante dell'aeroporto di Caselle ha cominciato a chiamare gli imbarchi per i voli di ritorno. Meglio fare in fretta. Via, da quella sentenza, dalle immagini di quei sette operai arsi vivi che li fissavano da ogni angolo dell'aula, e da Torino, città considerata ostile. Marco Imarisio 17 aprile 2011
LA SENTENZA THYSSEN VIte spezzate e colpe dei manager LA SENTENZA THYSSEN VIte spezzate e colpe dei manager Una condanna pesante. Per un'accusa altrettanto pesante: omicidio volontario. Non era mai successo che per morti sul lavoro si ritenessero responsabili di una colpa così grave i manager dell'impianto dove si era verificata la tragedia. E in modo così netto e definito. La sentenza con la quale ieri sera la Corte d'assise di Torino ha riconosciuto l'omicidio volontario con dolo eventuale per i sette morti alla Thyssen di Torino nella notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007, è di quelle che faranno la storia e la giurisprudenza. Ogni giorno in Italia tre lavoratori non tornano a casa a causa di incidenti. Poco importa se quel numero (troppo lentamente) sta calando. Quella strage silenziosa che si consuma giorno dopo giorno raccontata da stanche cronache, animate solo quando la tragedia è particolarmente cruenta o da un numero delle vittime insolitamente alto, ieri sera con la sentenza torinese è come se avesse trovato anch'essa un minimo di giustizia. Troppe volte in altre occasioni le morti sono scivolate nel disinteresse e nell'oblio. Anche quella della Thyssen è sembrata seguire lo stesso destino quando lo scorso autunno nelle aule semideserte il pubblico ministero Raffele Guariniello fece quella richiesta di condanna per sedici anni e mezzo di reclusione per l'amministratore delegato dell'impianto Harald Espenhahn. I parenti delle vittime si sentirono soli in quell'aula. Accusarono tutti, sindacati, forze politiche, anche la città di averli dimenticati. Le parole del pubblico ministero che ricordarono quella notte di dicembre, quando la fuoriuscita di olio bollente prese fuoco e arrivò a bruciare sette vite, risuonarono nell'aula semivuota. La requisitoria raccontò di quelle spese per la sicurezza antincendio cancellate per un impianto che tanto era destinato alla chiusura. Raccontò di quel disinteresse per incidenti pure possibili. Quasi che i reati in materia di sicurezza sul lavoro non esistessero. Quasi che la giustizia non esistesse. Non è stato così. Faranno discutere le pene comminate, la loro severità o meno della decisione. Farà discutere il tipo di accusa, omicidio volontario con dolo eventuale. Ma quello che è avvenuto ieri nel Tribunale di Torino è un precedente importante. Ci dice che in un'Italia in perenne ricerca di riforme su ogni aspetto della vita civile, gli strumenti attuali già permettono di cercare e trovare giustizia. Certo, la sentenza non servirà a ridare la vita a quei sette operai che l'hanno persa. Ed è l'altro insegnamento. In tema di sicurezza del lavoro la severa prevenzione resta la strada maestra per fare sì che ogni giorno anche quei tre lavoratori che oggi non tornano a casa a causa di incidenti possano invece ritrovarsi ancora tra i loro cari. Daniele Manca 16 aprile 2011
2011-04-16 "L'obiettivo del ricorso è di rendere nulli gli accordi di Pomigliano" Fiom: "Pronta azione legale contro Fiat" Landini: "La costituzione delle newco da parte del Lingotto viola le norme italiane ed europee" "L'obiettivo del ricorso è di rendere nulli gli accordi di Pomigliano" Fiom: "Pronta azione legale contro Fiat" Landini: "La costituzione delle newco da parte del Lingotto viola le norme italiane ed europee" MILANO - "La prossima settimana, molto probabilmente già lunedì, la Fiom nazionale depositerà a Torino un'azione legale nei confronti della Fiat". Lo ha annunciato il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, nel corso di una conferenza stampa, in occasione dell'assemblea nazionale dei delegati della Cgil. Due sono le principali ragioni, la costituzione delle newco da parte del Lingotto violerebbe norme italiane ed europee e avrebbe carattere antisindacale "volta ad estromettere la Fiom". RICORSO - "L'obiettivo del ricorso è di rendere nulli gli accordi di Pomigliano", spiega la Fiom. Le newco previste, infatti, violerebbero - precisa il sindacato - le regole in materia di trasferibilità di impresa che implicano la trascinabilità dei diritti dei lavoratori. Redazione online 16 aprile 2011
il rogo del 6 dicembre 2007 provocò la morte di 7 operai Sentenza Thyssen: dure condanne La Corte d'Assise di Torino: 16 anni e mezzo di carcere all'amministratore delegato Espenhahn il rogo del 6 dicembre 2007 provocò la morte di 7 operai Sentenza Thyssen: dure condanne La Corte d'Assise di Torino: 16 anni e mezzo di carcere all'amministratore delegato Espenhahn Un momento del processo di Torino (Fotogramma) Un momento del processo di Torino (Fotogramma) MILANO - La Corte d'Assise di Torino ha condannato a 16 anni e mezzo per omicidio volontario l'amministratore delegato della ThyssenKrupp Harald Espenhahn. Dopo 94 udienze per i familiari dei sette operai morti la notte del sei dicembre 2007 a causa di un incendio sulla linea cinque delle acciaierie ThyssenKrupp di Torino è stato il giorno della giustizia. "È una svolta epocale, non era mai successo che per una vicenda del lavoro venisse riconosciuto il dolo eventuale" ha dichiarato il pm Raffaele Guariniello, al termine della lettura della sentenza del processo Thyssenkrupp, tra le lacrime e gli applausi dell'aula 1 del Tribunale di Torino, gremita da parenti ed ex dipendenti della multinazionale. "Diciamo che una condanna non è mai una vittoria - ha proseguito Guariniello - né una festa, però questa condanna può significare molto per la salute e la sicurezza dei lavoratori". Il pm ha poi concluso: "Credo che da oggi in poi i lavoratori possano contare molto di più sulla sicurezza". Accanto ai pm Guariniello e Traverso, ad attendere la sentenza era seduto anche il procuratore capo, Giancarlo Caselli. LA SENTENZA - Al banco degli imputati, oltre all'amministratore delegato Harald Espenhahn, 45 anni di Essen, condannato per omicidio, c'erano anche Cosimo Cafueri, responsabile della sicurezza, Giuseppe Salerno, responsabile dello stabilimento torinese, Gerald Priegnitz, membro del comitato esecutivo dell'azienda, assieme a Marco Pucci, e un altro dirigente Daniele Moroni, accusati a vario titolo di omicidio e incendio colposi (con colpa cosciente) oltre che di omissione delle cautele antinfortunistiche. Per Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, confermate le richieste dell'accusa: sono stati condannati a 13 anni e 6 mesi. Solo per Daniele Moroni la Corte ha aumentato la pena a 10 anni e 10 mesi, i pm avevano infatti chiesto 9 anni. È la prima volta che in un processo per morti sul lavoro gli imputati sono stati condannati a pene così alte. La società ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni Spa, chiamata in causa come responsabile civile, è stata inoltre condannata al pagamento della sanzione di 1 milione di euro, all'esclusione da agevolazioni e sussidi pubblici per 6 mesi, al divieto di pubblicizzare i suoi prodotti per sei mesi, alla confisca di 800mila euro, con la pubblicazione della sentenza sui quotidiani nazionali "La Stampa", "La Repubblica" e il "Corriere della Sera". Il processo Il processo Il processo Il processo Il processo Il processo Il processo Il processo DIFESA - "Siamo totalmente insoddisfatti. Ha influito tutto questo pressing mediatico" ha detto invce Cesare Zaccone, uno dei legali della difesa, indicando i numerosi giornalisti presenti in aula, appena pronunciata la sentenza. "Siamo insoddisfatti - ha ribadito - in particolare per la dichiarazione della subvalenza delle attenuanti rispetto al risarcimento del danno questa è una cosa mai vista prima. Andremo in appello ma non credo otterremo molto di più". PARTI CIVILI stata anche la prima volta in cui a costituirsi parte civile è stato un numero così alto di lavoratori, 48, alcuni ricollocati in altre aziende o enti, altri in cerca di lavoro. Anche Comune e Provincia di Torino, Regione Piemonte, Cgil e gli altri sindacati e varie associazioni come Medicina democratica si sono costituite parte civile. A tre anni dalla strage in cui hanno perso la vita Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino e Antonio Schiavone, una sentenza della magistratura italiana ha stabilito che Espenhahn, come sosteneva l'accusa, aveva deciso di posticipare i lavori per la messa in sicurezza dello stabilimento di Torino a una data successiva a quella della prevista chiusura e del trasferimento a Terni. E aveva deciso quindi, in modo consapevole, di tralasciare i gravi rischi a cui avrebbe sottoposto i lavoratori. APPLAUSI - Un lungo applauso si è levato dall'aula del tribunale di Torino al termine delle lettura della sentenza per il rogo della Thyssen. I parenti delle vittime hanno urlato: "Bravo Guariniello" rivolgendo parole di solidarietà al pm a capo del team dell'accusa. "Adesso gli avvocati non ridono più" ha commentato uno dei parenti presenti. "Sono soddisfatta" ha detto una delle madri piangendo "mio figlio non me lo ridaranno più, ma almeno in tribunale è stata fatta giustizia. I ragazzi se lo meritavano". SOCIETA' - La condanna dell'ad Espenhahn in primo grado per "omicidio con dolo eventuale" è per la ThyssenKrupp "incomprensibile e inspiegabile", secondo una nota della società dopo la sentenza. La ThyssenKrupp "esprime ai familiari delle vittime il suo più profondo cordoglio e rinnova il suo grande rammarico per il tragico infortunio avvenuto in uno dei suoi stabilimenti. Nelle sue linee guida, il Gruppo conferma che la sicurezza sul posto di lavoro è un obiettivo aziendale di assoluta importanza, pari alla redditività e alla qualità dei prodotti, e che si deve provvedere con ogni mezzo a garantire la stessa. Una tragedia simile non si dovrà ripetere mai più". SACCONI - "La sentenza ha accolto il solido impianto accusatorio e costituisce un rilevante precedente. Essa dimostra peraltro che l'assetto sanzionatorio disponibile è adeguato anche nel caso delle violazioni più gravi". Così il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha commentato la sentenza. "Questa tragedia impone soprattutto una più diffusa ed efficace azione preventiva perché anche la sentenza più rigorosa non può compensare la perdita di vite umane e il grande dolore che ha prodotto - ha aggiunto Sacconi in una nota - la via maestra rimane la collaborazione bilaterale paritetica tra aziende e organizzazioni dei lavoratori accompagnata da una idonea attività di vigilanza". COTA - "I piemontesi sentono ancora il dolore di quella tragedia - ha dichiarato il Presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota - e in questo giorno sono vicini alle famiglie delle vittime. È importante che sia arrivata una sentenza in un tempo ragionevole pur in un processo così complesso". Redazione online 15 aprile 2011(ultima modifica: 16 aprile 2011)
L'abbraccio dei parenti delle vittime al pm "Abbiamo avuto giustizia, ma del mio ragazzo resta solo una foto" Il magistrato Raffaele Guariniello: è un verdetto storico, un punto d'arrivo non solo per me e per questa gente L'abbraccio dei parenti delle vittime al pm "Abbiamo avuto giustizia, ma del mio ragazzo resta solo una foto" Il magistrato Raffaele Guariniello: è un verdetto storico, un punto d'arrivo non solo per me e per questa gente TORINO - Nino Santino fatica, come sempre. Si fa largo con le braccia, annaspa, spinge, brandisce la sua giacca stazzonata come un cuneo. E infine raggiunge l'altra parte dell'aula per abbracciare il suo opposto, quell'uomo così lontano da lui, che sembra quasi lontano da tutto. Raffaele Guariniello, il magistrato dai modi algidi, dall'eloquio aristocratico. "Grazie" gli dice. E poi lo sommerge con la sua emotività, lo stringe a sé, lo bacia e lo ribacia, gli mette le mani sulla faccia. "Anche a nome di mio figlio...".
I parenti delle vittime mentre ascoltanto la sentenza (LaPresse) I parenti delle vittime mentre ascoltanto la sentenza (LaPresse) La frase resta sospesa nell'aria bollente dell'aula bunker. Guariniello subisce con stoicismo quello che per lui è un supplizio, il suo conclamato timore del contatto fisico con altri esseri umani è una costante fonte di anedottica. "Una condanna non è mai una festa o vittoria per nessuno", risponde il pubblico ministero cercando di sottrarsi a ulteriori abbracci, "sarebbe stato meglio se questo processo non ci fosse mai stato". Invece s'è dovuto fare, e sono stati due anni di udienze senza pietà. Adesso che il giudice Maria Iannibelli ha finito di leggere una sentenza storica, gli estremi si toccano. Nino Santino era diventato un'icona di questa tragedia. Le sue urla alla manifestazione del 10 dicembre 2007, tre giorni dopo la tragedia, avevano dato la misura del male, e della solitudine che circondava le famiglie delle vittime, in una Torino che si era mostrata assente, distratta. Malediceva tutti, con la sua cadenza meridionale, chiedeva a Dio di restituirgli il suo Bruno, il più giovane degli operai della linea 5, il più lento a morire. Oggi si è vestito come allora, con una maglietta sopra il maglione, l'immagine di un ragazzo che sorride.
Sulla faccia incorniciata da una barba incolta ha i segni di questi anni, non solo l'assenza, ma anche la storia di un processo e di una situazione di vita dura, che ha messo le famiglie davanti a scelte dolorose. "Se potessi tornare indietro, non accetterei mai gli indennizzi della Thyssen. Ma ne avevamo bisogno, non potevamo fare senza. Quei soldi ci hanno diviso, hanno separato le famiglie delle vittime dagli altri operai. Ma oggi almeno, abbiamo avuto giustizia, e sinceramente non ci speravamo". È il riassunto di un processo che ha avuto momenti amari, con famiglie unite dalla tragedia che si dividevano per questioni materiali, e un gruppo di pm che andava avanti consapevole di cavalcare un azzardo giuridico. In questa sera di bolgia, nella calca sudata dell'aula bunker, i due volti che rappresentano il senso di questa sentenza sono quello affannato dell'ex operaio Fiat rimasto senza un figlio e quello senza espressione del magistrato considerato un rompiscatole, ma l'unico forse a occuparsi di certi temi in Italia.
La commozione in aula (LaPresse) La commozione in aula (LaPresse) La storia dei Santino è quasi un Bignami di quelle delle altre famiglie rimaste senza un figlio. Immigrati, arrivati da Roccapalomba, in provincia di Palermo. Lui operaio Fiat, poi cassintegrato, poi pensionato. I suoi due figli, Luigi e Bruno, assunti nel marzo 2003 alla fabbrica dei tedeschi, loro la chiamavano così, per quello che sembrava un avanzamento sociale. Uno stabilimento moderno, che presto non si è rivelato tale, passato dalle assunzioni alla chiusura. Anche oggi Nino maledice un barista di Cherasco che esitava a cedere l'attività al figlio e alla sua fidanzata. Volevano andarsene tutti, Bruno era già tornato a casa "sbollentato" dagli sbuffi d'olio, aveva paura. Non c'era quasi più nessuno in quella fabbrica, solo gli ultimi disperati. "Io campo con la pensione di mio figlio, non le sembra già questa una cosa contronatura? Dicono che il tempo guarisce dal dolore, ma è vero solo nei film. Doveva sposarsi, doveva darmi dei nipoti. Adesso è questa foto sulla maglietta, nient'altro". Guariniello osa un gesto inedito, gli mette una mano sulla spalla. Coraggio, gli dice. La sua apparente distanza è sempre e solo stata un espediente per gestire l'aspetto emotivo di storie terribili, come lo sono sempre quelli dei morti di lavoro, di disastro ambientale. Non è un aristocratico, suo papà faceva il sarto a Salerno, sua madre era una casalinga di Alessandria. Spesso deriso per quelle che erano considerate fissazioni, per iniziative giudiziarie poco ortodosse, sempre ossessionato dalla sicurezza sul lavoro. Nino Santino, ormai in lacrime per la tensione, non smette di abbracciarlo, e intanto gli fa largo verso l'uscita come se stesse proteggendo una Madonna pellegrina. Marco Imarisio 16 aprile 2011
2011-04-14 la maggior parte delle morti avvengono a causa di cadute dall'alto Morti sul lavoro in forte crescita: +25% nei primi 3 mesi dell'anno rispetto al 2010 Lo rileva uno studio della Vega Engineering: la Lombardia è la regione con più decessi la maggior parte delle morti avvengono a causa di cadute dall'alto Morti sul lavoro in forte crescita: +25% nei primi 3 mesi dell'anno rispetto al 2010 Lo rileva uno studio della Vega Engineering: la Lombardia è la regione con più decessi La raffineria Saras di Sarroch dove recentemente è avvenuto un incidente mortale sul lavoro (Milestone Media) La raffineria Saras di Sarroch dove recentemente è avvenuto un incidente mortale sul lavoro (Milestone Media) MILANO - Aumentano nuovamente nei primi tre mesi dell'anno le morti sul lavoro. Sono infatti 114 i decessi sul lavoro da gennaio a marzo, contro i 91 del primo trimestre 2010. Lo rileva l’Osservatorio Sicurezza sul lavoro di Vega Engineering che da oltre due decenni lavora nel settore della formazione e della sicurezza. Si evidenza quindi un'inversione di tendenza rispetto al 2010, anno il quale, secondo gli ultimi dati Inail, aveva visto una flessione dell'1,9% degli infortuni in complesso rispetto al 2009 (da 790 mila casi a 775 mila casi); una flessione del 6,9% degli infortuni mortali (da 1053 a 980). LE REGIONI PIU' COLPITE - Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte sono le regioni con più decessi, seguite da Sicilia, Campania e Veneto. In rapporto al numero di occupati, invece, ad indossare la maglia nera è sempre la Valle D’Aosta. Milano la provincia maggiormente colpita, seguita da Torino, Catania, Bologna e Napoli. Nel settore agricolo si è verificato il 35,1% delle morti bianche, seguito da quello delle costruzioni (21,9 % delle vittime). La fascia d’età maggiormente a rischio è invece quella che va dai 40 ai 49 anni con 29 vittime (25,7 %del totale). Dalla ricerca poi emerge che le morti bianche non conoscono spazi vuoti neppure nel fine settimana perché tra venerdì e domenica viene accertato circa il 30% delle tragedie. Significativo il dato relativo a come avvengono gli incidenti mortali: il 28,1% sono causati dalla caduta di persone, mentre il 25,4% sono prodotti dallo schiacciamento conseguente ad oggetti caduti dall'alto. Redazione online 14 aprile 2011
2011-04-13 E sul nucleare: "Il governo è in una fase di riflessione" Tremonti: imprenditori, solitudine finita Marcegaglia: prima risolvere i problemi Botta e risposta tra il ministro dell'Economia e la presidente degli industriali. Il governo vara il piano reti * NOTIZIE CORRELATE * Marcegaglia: "Noi imprenditori ci sentiamo soli" (10 aprile 2011) E sul nucleare: "Il governo è in una fase di riflessione" Tremonti: imprenditori, solitudine finita Marcegaglia: prima risolvere i problemi Botta e risposta tra il ministro dell'Economia e la presidente degli industriali. Il governo vara il piano reti Emma Marcegaglia e il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti (Ansa) Emma Marcegaglia e il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti (Ansa) ROMA - Domenica il presidente degli industriali italiani, Emma Marcegaglia, aveva denunciato la lontananza delle istituzioni dal mondo imprenditoriale. A distanza di tre giorni il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, liquida la questione con una battuta: "la solitudine come vedete è durata pochi giorni". Tremonti lo ha detto dopo aver presentato il decreto attuativo per le agevolazioni alle reti di imprese, una riunione a cui era presente la stessa Marcegaglia. "Il decreto sulle reti di impresa, il fondo delle pmi ed il nuovo fondo della Cassa depositi e prestiti - ha sottolineato il ministro - convincerà anche la nostra Confindustria la cui solitudine, come vedete, è durata pochi giorni". La Marcegaglia, che pure aveva apprezzato la scelta delle agevolazioni ("è certamente un'iniziativa positiva, che viene incontro ad alcune esigenze delle imprese") ha però ribadito il commento di domenica: "Gli imprenditori non si sentiranno più soli quando saranno risolti i problemi, quando ci saranno provvedimenti a sostegno della crescita e dello sviluppo". IL NUCLEARE - In giornata Tremonti aveva parlato anche dell'ipotesi di un ritorno dell'Italia al nucleare. "Come ha detto il governo c'è una fase di riflessione" ha commentato al termine del Consiglio dei ministri. Poi Tremonti ha aggiunto: "Sul contenuto dei trattati europei, e sul loro eventuale aggiornamento, va tenuto presente che sul nucleare è evidente che ci sono paesi dove hai benefici locali, come la bolletta bassa, ma i rischi sono generali, perchè se succede qualcosa va a tutti". Redazione online 13 aprile 2011
"La situazione del nostro debito non è drammatica se l'Italia cresce del 2%" "La politica crei condizioni per sviluppo" L'appello del governatore di Bankitalia, Mario Draghi: "Nel Risorgimento erano innate in tutta la società" * NOTIZIE CORRELATE * IL DOCUMENTO: Il testo integrale dell'intervento del governatore "La situazione del nostro debito non è drammatica se l'Italia cresce del 2%" "La politica crei condizioni per sviluppo" L'appello del governatore di Bankitalia, Mario Draghi: "Nel Risorgimento erano innate in tutta la società" Il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi (Lapresse) Il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi (Lapresse) MILANO - "La politica economica deve saper creare quell'ambiente istituzionale in cui la capacità dell'economia di svilupparsi possa dispiegarsi appieno". Lo ha detto a Torino, intervendo al biennale della democrazia, il governatore della banca d'Italia Mario Draghi ricordando come dopo il Risorgimento, l'Italia seppe tramutarsi da economia ai margini dei processi di modernizzazione in atto in Europa nel 1861 in un paese fra i più ricchi del mondo. "Questa capacità di sviluppo - ha detto Draghi - impetuosa alla fine dell'Ottocento e poi ancora dopo la seconda guerra mondiale, risiedeva in ultima analisi nelle persone: negli imprenditori e nei lavoratori italiani; va ritrovata, per sciogliere i nodi che stringono le nostre prospettive di crescita". CRESCITA E DEBITO - Quanto alla situazione economica dei nostri giorni, il governatore ha spiegato che è la crescita il fattore cruciale per l'Italia sia per la riduzione del debito con il nuovo ritmo imposto dall'Unione europea, sia per recuperare il terreno perso con la crisi finanziaria. "Se continueremo a crescere al ritmo dell'1% impiegheremo 5 anni per tornare a livelli precrisi" ha detto. Mentre invece "la riduzione del debito richiesta all'Italia, secondo le nuove norme europee, non è drammatica se il Paese cresce al 2%" ha sottolineato Draghi. Secondo il Patto di stabilità riformato, che deve essere approvato dal Parlamento europeo dopo l'ok del consiglio europeo, i Paesi con debito oltre il 60% del Pil dovranno ridurre l'eccedenza di un ventesimo all'anno. Parlando del settore bancario, Draghi ha ripetuto di essere soddisfatto degli aumenti di capitale recentemente annunciati da alcune delle maggiori banche italiane, tra cui Intesa Sanpaolo. Redazione Online 13 aprile 2011
2011-04-12 marchionne lo aveva già preannunciato Fiat sale dal 25% al 30% di Chrysler Il Lingotto: raggiunto il secondo degli step previsti dall'accordo con la casa di Detroit marchionne lo aveva già preannunciato Fiat sale dal 25% al 30% di Chrysler Il Lingotto: raggiunto il secondo degli step previsti dall'accordo con la casa di Detroit L'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne (Imagoeconomica) L'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne (Imagoeconomica) MILANO - Come reso noto dal suo amministratore delegato Sergio Marchionne, la Fiat è salita dal 25 al 30% delle quote azionarie di Chrysler. Lo annuncia il Lingotto, in una nota nella quale precisa che è stato raggiunto il secondo degli step previsti dall'accordo con la casa di Detroit. PROSSIMO PASSO - Lunedì nel corso di un evento riguardante il marchio Jeep che si era tenuto a Balocco, l'amministratore delagato della Fiat Sergio Marchionne aveva preannunciato che l'aumento al 30% era questione di pochissimo tempo: "Praticamente e' tutto fatto" erano state le sue parole. La prossima variazione prevista dagli accordi in Usa è la salita al 35% nella quota azionaria della casa americana. Redazione online 12 aprile 2011
fondo monetario: troppi senza lavoro, soprattutto giovani, è allarme sociale Nel mondo 205 milioni di disoccupati Rialzate le stime sul Pil italiano: "Ripresa resta debole". E sul debito: Roma più vicina di altri in Ue sui target * NOTIZIE CORRELATE * Il sito del Fondo monetario internazionale * Trichet: "Disoccupazione, livelli troppo elevati" (9 aprile 2011) * "Il nostro tempo è adesso" I precari in corteo (9 aprile 2011) fondo monetario: troppi senza lavoro, soprattutto giovani, è allarme sociale Nel mondo 205 milioni di disoccupati Rialzate le stime sul Pil italiano: "Ripresa resta debole". E sul debito: Roma più vicina di altri in Ue sui target DOminique Strauss-Kahn, presidente del Fondo monetario DOminique Strauss-Kahn, presidente del Fondo monetario MILANO - Il Pil italiano crescerà nel 2011 dell'1,1%, ovvero 0,1 punti percentuali in più rispetto alla stima di gennaio. Lo afferma il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) nel World Economic Outlook. Nel 2012 l'economia italiana crescerà dell'1,3% (stima invariata rispetto a gennaio). "In Italia la ripresa è prevista rimanere debole, con i problemi di competitività che limitano che limitano la crescita dell'export e il risanamento fiscale che pesa sulla domanda privata". DEBITO PUBBLICO - Sul debito, invece, l'Italia è più vicina di altri paesi europei a raggiungere l'obiettivo di un deficit sotto il 3% nel 2013, ma servono ulteriori misure". CONTI PUBBLICI E PETROLIO - I rischi al ribasso sull'economia mondiale, peraltro, restano anche se sono diminuiti. Fra questi il possibile aumento dei prezzi del petrolio, lo stato delle finanze pubbliche delle economie avanzate, squilibri nel mercato immobiliare e il surriscaldamento delle economie emergenti. La ripresa economica mondiale procede a diverse velocità, con il Pil delle economie avanzate che crescerà nel 2011 del 2,4% e nel 2012 del 2,6% mentre quello delle economie emergenti metterà a segno un +6,5% sia quest'anno sia il prossimo. Il Fondo taglia di 0,1 punti percentuali le stime di crescita delle economie avanzate nel 2011 rispetto alle previsioni di gennaio. La Cina fa la parte del leone, con un Pil in crescita del 9,6% nel 2011 e del 9,5% nel 2012 (stime invariate rispetto a gennaio). L'economia indiana rallenta, con il Pil tagliato di 0,2 punti percentuali sia nel 2011 sia nel 2012 rispettivamente a +8,2% e +7,8%. MEGLIO EUROLANDIA DI USA - Per quanto riguarda l'economia mondiale, l'economia americana crescerà nel 2011 del 2,8%, ovvero 0,2 punti percentuali in meno rispetto alle stime di gennaio. Nel 2012 il pil statunitense si espanderà del 2,9% (+0,2 punti percentuali rispetto a gennaio). Il Fondo rivede invece al rialzo le stime per Eurolandia che crescerà del +1,6% nel 2011 e del +1,8% nel 2012. In ambedue i casi il ritocco al rialzo è dello 0,1 percentuali. "205 MILIONI DI DISOCCUPATI" - Ma nell'Outlook dell'istituto di Washington la preoccupazione più rilevante è quella per i senza lavoro: un esercito di 205 milioni di persone. "Il tasso di disoccupazione è molto elevato - scrivono gli economisti - e va ridotto anche perché pone sfide economiche e sociali. Al mondo ci sono 205 milioni di disoccupati, 30 milioni in più rispetto al 2007". Il Fondo stima per Eurolandia una disoccupazione al 9,9% nel 2011 e al 9,6% nel 2012. L'Italia è sotto la media europea con una disoccupazione all'8,6% nel 2011 e all'8,3% nel 2012. "La disoccupazione pone questioni amplificate nelle economie emergenti e in via di sviluppo dagli elevati prezzi alimentari - scrive l'Fmi - A incontrare le maggiori difficoltà sono i giovani: in media nei paesi dell'Ocse il tasso di senza lavoro fra i giovani di età compresa fra i 15 e i 24 anni è due volte e mezzo quello degli altri gruppi. La disoccupazione fra i giovani aumenta durante le recessioni e in questa occasione l'aumento è stato più che in passato". Secondo il Fmi le tre linee di difesa contro un'elevata disoccupazione sono politiche macroeconomiche di sostegno, il rilancio del settore finanziario e misure specifiche per il mercato del lavoro. GIAPPONE, STIME TAGLIATE- Anche le previsioni di crescita economica del Giappone sono state riviste al ribasso nel 2011, a causa dei danni dovuti al terremoto, ma all'opposto ritoccate al rialzo sul 2012 a riflesso dell'attesa spinta che dovrebbe derivare dalla ricostruzione. Secondo il Fondo monetario internazionale restano "elevate incertezze" su quelle che saranno le effettive ricadute economiche del cataclisma, specialmente sulle fughe di radiazioni alla centrale nucleare di Fukushima. Tuttavia "dando per scontato che i problemi sulle penurie di elettricità e che la crisi nucleare vengano risolti in pochi mesi", quest'anno il Pil dell'Arcipelago dovrebbe aumentare dell'1,4 per cento, mentre nel prossimo del 2,1 per cento. Valori contenuti nell'ultimo World Economic Outlook e se nel primo caso il dato è stato rivisto al ribasso di 0,2 punti dalle stime fornite nel gennaio scorso, sul 2012 invece è stato rivisto al rialzo di 0,3 punti. Redazione online 11 aprile 2011
DOPO LE PAROLE DI MARCEGAGLIA "Lasciati soli su Mirafiori e Pomigliano" L'accusa di Marchionne: "C'è mancanza di coesione" * NOTIZIE CORRELATE * Marcegaglia: "Governo assente, imprenditori lasciati soli" (10 aprile 2011) DOPO LE PAROLE DI MARCEGAGLIA "Lasciati soli su Mirafiori e Pomigliano" L'accusa di Marchionne: "C'è mancanza di coesione" L'Ad Fiat Sergio Marchionne (Ansa) L'Ad Fiat Sergio Marchionne (Ansa) MILANO - Nel solco tracciato da Emma Marcegaglia, anche l'ad di Fiat Sergio Marchionne si scaglia contro il governo: "Nella battaglia per Mirafiori e Pomigliano siamo stati lasciati soli". Il manager è intervenuto a Balocco (Vercelli), alla presentazione della nuova jeep. Ed ha risposto a chi gli domandava un commento alle parole della leader di Confindustria, che domenica in un messaggio video ha denunciato l'assenza di politiche imprenditoriali concrete da parte dell'esecutivo: "Non so neanche come rispondere - ha aggiunto Marchionne - le difficoltà che stiamo incontrando alla Fiat riflettono una mancanza di coesione. La battaglia per Mirafiori e Pomigliano parla chiaro: ci hanno lasciati soli". L'ANNUNCIO - Marchionne ha anche annunciato l'inevitabile avanzata nel capitale Chrysler: "A giorni saliremo al 30%. È questione di giorni, mancano solo pochi dettagli, non dipende da noi potremo chiederlo anche domani". Mentre per raggiungere il 51% del gruppo Usa, Marchionne ha detto: "Non so se ce la farò quest'anno, l'intenzione c'è. Dipende se riusciremo a rifinanziare il debito con il governo". Un annuncio che ha avuto immediate ripercussioni in Borsa, con la Fiat che è così risalita dai minimi toccati nei giorni scorsi. Il titolo, in difficoltà con tutto il comparto dopo i decisi cali alla borsa di Tokyo a causa dei ritardi nella ripresa delle produzione dopo il sisma e del giudizio sell emesso da Citigroup su Toyota, rimane venduto e perde l'1,06% a 6,53 euro per azione, in parziale recupero dai minimi, quando aveva sfiorato una perdita dell'1,4%. Marchionne ha anche confermato che il marchio Alfa Romeo sbarcherà negli Usa nel 2012, smentendo così indiscrezioni che volevano uno slittamento di un anno. LA BERTONE - Marchionne ha poi ricordato che per raggiungere un'intesa sulla ex Bertone "ci sono pochi giorni" o salta tutto. "Non possiamo creare due stati nella Fiat. Bisogna trovare un accordo". Per l'ad non sono prevedibili margini di compromesso e a suo parere non c'è alcuna situazione di impasse: "Fiat è stata di una chiarezza incredibile. Abbiamo un contratto che è stato votato dalla maggioranza e approvato dalla maggioranza dei dipendenti". "I piani alternativi - ha proseguito Marchionne - ci sono, li abbiamo sia in Italia sia altrove. Preferirei fare la vettura in Italia, sono ottimista sul fatto che la vettura si possa fare nel nostro Paese". Sull'amministrazione straordinaria l'ad ha concluso dicendo: "Non ho altre idee per il momento". Quanto alla Fiom si è limitato a dire: "Lascio giudicare ai dipendenti della ex Bertone. Sarebbe un vero peccato per loro. Ognuno è libero di fare le proprie scelte". LA CORREZIONE DI ROTTA - In tarda mattinata, Marchionne ha poi corretto il tiro: "Il governo ha fatto quello che poteva. Il ministro Sacconi ha fatto il massimo in quelle condizioni, ha cercato di inquadrare il discorso nel modo giusto. Quindi in questo senso non siamo stati soli". E anche i sindacati non sono stati completamente contrari: "C'è stata una parte del sindacato - ha spiegato - che ovviamente ci ha appoggiato. Bonanni, Angeletti e altri hanno capito l'importanza della nostra mossa e ci sono stati vicini. È il sistema che continua a costringere la Fiat a difendersi per il suo piano di investimenti nel Paese. Lo trovo assolutamente ridicolo e strano, non mi è mai successo niente del genere nella vita, in questo senso siamo soli, spero che non succeda con altri investitori stranieri che vengono in Italia, cerchiamo piuttosto di incoraggiarli anziché maltrattarli". Redazione online 11 aprile 2011
DOPO LE PAROLE DI MARCEGAGLIA "Lasciati soli su Mirafiori e Pomigliano" L'accusa di Marchionne: "C'è mancanza di coesione" * NOTIZIE CORRELATE * Marcegaglia: "Governo assente, imprenditori lasciati soli" (10 aprile 2011) DOPO LE PAROLE DI MARCEGAGLIA "Lasciati soli su Mirafiori e Pomigliano" L'accusa di Marchionne: "C'è mancanza di coesione" L'Ad Fiat Sergio Marchionne (Ansa) L'Ad Fiat Sergio Marchionne (Ansa) MILANO - Nel solco tracciato da Emma Marcegaglia, anche l'ad di Fiat Sergio Marchionne si scaglia contro il governo: "Nella battaglia per Mirafiori e Pomigliano siamo stati lasciati soli". Il manager è intervenuto a Balocco (Vercelli), alla presentazione della nuova jeep. Ed ha risposto a chi gli domandava un commento alle parole della leader di Confindustria, che domenica in un messaggio video ha denunciato l'assenza di politiche imprenditoriali concrete da parte dell'esecutivo: "Non so neanche come rispondere - ha aggiunto Marchionne - le difficoltà che stiamo incontrando alla Fiat riflettono una mancanza di coesione. La battaglia per Mirafiori e Pomigliano parla chiaro: ci hanno lasciati soli". L'ANNUNCIO - Marchionne ha anche annunciato l'inevitabile avanzata nel capitale Chrysler: "A giorni saliremo al 30%. È questione di giorni, mancano solo pochi dettagli, non dipende da noi potremo chiederlo anche domani". Mentre per raggiungere il 51% del gruppo Usa, Marchionne ha detto: "Non so se ce la farò quest'anno, l'intenzione c'è. Dipende se riusciremo a rifinanziare il debito con il governo". Un annuncio che ha avuto immediate ripercussioni in Borsa, con la Fiat che è così risalita dai minimi toccati nei giorni scorsi. Il titolo, in difficoltà con tutto il comparto dopo i decisi cali alla borsa di Tokyo a causa dei ritardi nella ripresa delle produzione dopo il sisma e del giudizio sell emesso da Citigroup su Toyota, rimane venduto e perde l'1,06% a 6,53 euro per azione, in parziale recupero dai minimi, quando aveva sfiorato una perdita dell'1,4%. Marchionne ha anche confermato che il marchio Alfa Romeo sbarcherà negli Usa nel 2012, smentendo così indiscrezioni che volevano uno slittamento di un anno. LA BERTONE - Marchionne ha poi ricordato che per raggiungere un'intesa sulla ex Bertone "ci sono pochi giorni" o salta tutto. "Non possiamo creare due stati nella Fiat. Bisogna trovare un accordo". Per l'ad non sono prevedibili margini di compromesso e a suo parere non c'è alcuna situazione di impasse: "Fiat è stata di una chiarezza incredibile. Abbiamo un contratto che è stato votato dalla maggioranza e approvato dalla maggioranza dei dipendenti". "I piani alternativi - ha proseguito Marchionne - ci sono, li abbiamo sia in Italia sia altrove. Preferirei fare la vettura in Italia, sono ottimista sul fatto che la vettura si possa fare nel nostro Paese". Sull'amministrazione straordinaria l'ad ha concluso dicendo: "Non ho altre idee per il momento". Quanto alla Fiom si è limitato a dire: "Lascio giudicare ai dipendenti della ex Bertone. Sarebbe un vero peccato per loro. Ognuno è libero di fare le proprie scelte". LA CORREZIONE DI ROTTA - In tarda mattinata, Marchionne ha poi corretto il tiro: "Il governo ha fatto quello che poteva. Il ministro Sacconi ha fatto il massimo in quelle condizioni, ha cercato di inquadrare il discorso nel modo giusto. Quindi in questo senso non siamo stati soli". E anche i sindacati non sono stati completamente contrari: "C'è stata una parte del sindacato - ha spiegato - che ovviamente ci ha appoggiato. Bonanni, Angeletti e altri hanno capito l'importanza della nostra mossa e ci sono stati vicini. È il sistema che continua a costringere la Fiat a difendersi per il suo piano di investimenti nel Paese. Lo trovo assolutamente ridicolo e strano, non mi è mai successo niente del genere nella vita, in questo senso siamo soli, spero che non succeda con altri investitori stranieri che vengono in Italia, cerchiamo piuttosto di incoraggiarli anziché maltrattarli". Redazione online 11 aprile 2011
I TANTI TALENTI COSTRETTI A EMIGRARE Generazioni perdute I TANTI TALENTI COSTRETTI A EMIGRARE Generazioni perdute La manifestazione dei precari di sabato scorso ha ricordato agli italiani che il loro è un Paese che riserva ai giovani una condizione di estremo sfavore. Ma non solo perché trovare un lavoro stabile è un'impresa disperata. Anche perché (e forse tra i due fenomeni c'e una relazione) ai posti che si dicono di responsabilità - cioè nei posti che contano - si arriva, bene che vada, tra i 50 e i 60 anni, e ci si resta per decenni. Tutta la classe dirigente italiana è organizzata in un sistema di compatte oligarchie di anziani che per conservare e accrescere i propri privilegi sono decisi a sbarrare l'ingresso a chiunque. A cominciare dal capitalismo industriale-finanziario il quale, almeno in teoria, dovrebbe essere il settore più dinamico e innovativo della società, ma dove invece i Consigli d'amministrazione assomigliano quasi sempre a un club esclusivo di maschi anziani. Anche il sistema politico e i partiti non scherzano. I leader più importanti non solo stanno in politica da almeno tre o quattro decenni, ma in media è da almeno 20-25 anni che occupano posizioni di vertice. La muraglia invalicabile dietro la quale prospera la gerontocrazia italiana ha un nome preciso: l'ostracismo alla competizione e al merito. In Italia il sapere e il saper fare contano pochissimo. Moltissimo invece contano le amicizie, il tessuto di relazioni, l'onnipresente famiglia, e soprattutto l'assicurazione implicita di non dar fastidio, di aspettare il proprio turno, di rispettare gli equilibri consolidati: vale a dire ciò che fanno o decidono i vecchi. È così che l'Italia sta mandando letteralmente al macero una generazione dopo l'altra. Ma non tutti si rassegnano a subire la frustrazione di dover passare i migliori anni della propria vita ad arrancare dietro un posto di seconda fila, precario e mal pagato. A partire almeno dagli Anni 90, infatti, decine di migliaia di giovani, donne e uomini, hanno trovato modo di lasciare la Penisola e di ottenere un lavoro fuori dai nostri confini. Non è vero che l'emigrazione italiana è finita. Certo, ora non sono più le "braccia", sono i "cervelli"; ma la sostanza del fenomeno non cambia. Sono giovani di talento che per avere un futuro hanno dovuto andarsene dal Paese. E che nelle università, negli uffici finanziari, nelle case di commercio, nelle banche, nei centri di ricerca, negli ospedali, nelle imprese industriali di mezzo mondo, mostrano come il nostro sistema d'istruzione, pur con i centomila difetti che sappiamo, sia tuttavia ancora capace di produrre una formazione d'eccellenza. Sono giovani di talento che fuori d'Italia hanno avuto modo di farsi apprezzare, di costruirsi carriere e posizioni spesso di rilievo. È un'emigrazione di qualità, insomma. Ma è anche un'emigrazione che non dimentica, non riesce a dimenticare, il proprio Paese. Un'emigrazione che per mille segni mostra quanta voglia avrebbe di poter essere utile all'Italia. Che senso ha allora, mi chiedo, che un'Italia di vecchi, un Paese disperatamente in declino, non pensi a ricorrere in qualche modo a questa riserva collaudata di energia e di competenze? Stabilizzare centinaia di migliaia di lavoratori precari è un obiettivo sacrosanto ma è certamente un obiettivo non facile. Richiede interventi economici e giuridici complessi. Ci si deve assolutamente provare, ma ciò non toglie che allo stesso tempo non si possano anche studiare procedure di favore e incentivi allo scopo di immettere un certo numero di italiani di talento che si trovano oggi all'estero, per esempio in posizioni medio-alte della Pubblica amministrazione, degli Enti locali, delle Asl. Nelle Università qualcosa del genere si è tentato ma è naufragato per le inevitabili resistenze corporative. Il che dimostra che ciò che soprattutto servirebbe per muoversi nella direzione ora detta sarebbe un impulso forte e coordinato dal centro. Cioè un'iniziativa politica che desse il segnale che il Paese vuole cambiare rotta, farla finita con abitudini che ci soffocano, prendere con coraggio strade nuove, muoversi finalmente con immaginazione senza lasciarsi frenare dal burocratismo, dalle vecchie oligarchie, dal passato. Conosco l'obiezione: e cioè che per fare tutto questo ci vorrebbe una vera leadership politica, un governo. È proprio così: ci vorrebbe un governo. Ernesto Galli della Loggia 11 aprile 2011
MOTORI Il Wall Street Journal e la Cinquecento alla conquista dell'America Il prestigioso giornale Usa promuove l'utilitaria Fiat: "Auto elegante e piacevole" MOTORI Il Wall Street Journal e la Cinquecento alla conquista dell'America Il prestigioso giornale Usa promuove l'utilitaria Fiat: "Auto elegante e piacevole" Marchionne ha presentato la 500 negli Usa Marchionne ha presentato la 500 negli Usa MILANO - Il Wall Street Journal promuove la Cinquecento, convinto che l'utilitaria che segna il ritorno della Fiat sul mercato statunitense, in quanto elemento di stile destinato soprattutto ad un pubblico femminile, "troverà una audience negli Stati Uniti". È questa la conclusione cui giunge Dan Neil, il columnist auto del quotidiano finanziario della Grande Mela, che lo scrive nell'edizione del weekend del Wsj. ELEGANTE- Neil, che ha provato la Cinquecento in South Carolina, la trova elegante e piacevole da guidare, grazie alla sua ripresa, ma trova che manchi un po' di potenza per l'autostrada. Il critico auto aspetta quindi la commercializzazione del modello Abarth, con un motore turbo da 170 cavalli. Rispetto a quello europeo, il modello in vendita negli Usa presenta sedili più grandi e pesa qualche decina di chili in più, aumentandone un pò i consumi, rileva Neil. (Fonte: Ansa). 10 aprile 2011(ultima modifica: 11 aprile 2011)
2011-04-11 "Lasciati solo su Mirafiori e Pomigliano" L'accusa di Marchionne: "C'è mancanza di coesione" * NOTIZIE CORRELATE * Marcegaglia: "Governo assente, imprenditori lasciati soli" (10 aprile 2011) DOPO LE PAROLE DI MARCEGAGLIA "Lasciati solo su Mirafiori e Pomigliano" L'accusa di Marchionne: "C'è mancanza di coesione" L'Ad Fiat Sergio Marchionne (Ansa) L'Ad Fiat Sergio Marchionne (Ansa) MILANO - Nel solco tracciato da Emma Marcegaglia, anche l'ad di Fiat Sergio Marchionne si scaglia contro il governo: "Nella battaglia per Mirafiori e Pomigliano siamo stati lasciati soli". Il manager è intervenuto a Balocco (Vercelli), alla presentazione della nuova jeep. Ed ha risposto a chi gli domandava un commento alle parole della leader di Confindustria, che domenica in un messaggio video ha denunciato l'assenza di politiche imprenditoriali concrete da parte dell'esecutivo: "Non so neanche come rispondere - ha aggiunto Marchionne - le difficoltà che stiamo incontrando alla Fiat riflettono una mancanza di coesione. La battaglia per Mirafiori e Pomigliano parla chiaro: ci hanno lasciati soli". L'ANNUNCIO - Marchionne ha anche annunciato l'inevitabile avanzata nel capitale Chrysler: "A giorni saliremo al 30%. È questione di giorni, mancano solo pochi dettagli, non dipende da noi potremo chiederlo anche domani". Mentre per raggiungere il 51% del gruppo Usa, Marchionne ha detto: "Non so se ce la farò quest'anno, l'intenzione c'è. Dipende se riusciremo a rifinanziare il debito con il governo". Un annuncio che ha avuto immediate ripercussioni in Borsa, con la Fiat che è così risalita dai minimi toccati nei giorni scorsi. Il titolo, in difficoltà con tutto il comparto dopo i decisi cali alla borsa di Tokyo a causa dei ritardi nella ripresa delle produzione dopo il sisma e del giudizio sell emesso da Citigroup su Toyota, rimane venduto e perde l'1,06% a 6,53 euro per azione, in parziale recupero dai minimi, quando aveva sfiorato una perdita dell'1,4%. Marchionne ha anche confermato che il marchio Alfa Romeo sbarcherà negli Usa nel 2012, smentendo così indiscrezioni che volevano uno slittamento di un anno. LA BERTONE - Marchionne ha poi ricordato che per raggiungere un'intesa sulla ex Bertone "ci sono pochi giorni" o salta tutto. "Non possiamo creare due stati nella Fiat. Bisogna trovare un accordo". Per l'ad non sono prevedibili margini di compromesso e a suo parere non c'è alcuna situazione di impasse: "Fiat è stata di una chiarezza incredibile. Abbiamo un contratto che è stato votato dalla maggioranza e approvato dalla maggioranza dei dipendenti". "I piani alternativi - ha proseguito Marchionne - ci sono, li abbiamo sia in Italia sia altrove. Preferirei fare la vettura in Italia, sono ottimista sul fatto che la vettura si possa fare nel nostro Paese". Sull'amministrazione straordinaria l'ad ha concluso dicendo: "Non ho altre idee per il momento". Quanto alla Fiom si è limitato a dire: "Lascio giudicare ai dipendenti della ex Bertone. Sarebbe un vero peccato per loro. Ognuno è libero di fare le proprie scelte". LA CORREZIONE DI ROTTA - In tarda mattinata, Marchionne ha poi corretto il tiro: "Il governo ha fatto quello che poteva. Il ministro Sacconi ha fatto il massimo in quelle condizioni, ha cercato di inquadrare il discorso nel modo giusto. Quindi in questo senso non siamo stati soli". E anche i sindacati non sono stati completamente contrari: "C'è stata una parte del sindacato - ha spiegato - che ovviamente ci ha appoggiato. Bonanni, Angeletti e altri hanno capito l'importanza della nostra mossa e ci sono stati vicini. È il sistema che continua a costringere la Fiat a difendersi per il suo piano di investimenti nel Paese. Lo trovo assolutamente ridicolo e strano, non mi è mai successo niente del genere nella vita, in questo senso siamo soli, spero che non succeda con altri investitori stranieri che vengono in Italia, cerchiamo piuttosto di incoraggiarli anziché maltrattarli". Redazione online 11 aprile 2011
I TANTI TALENTI COSTRETTI A EMIGRARE Generazioni perdute I TANTI TALENTI COSTRETTI A EMIGRARE Generazioni perdute La manifestazione dei precari di sabato scorso ha ricordato agli italiani che il loro è un Paese che riserva ai giovani una condizione di estremo sfavore. Ma non solo perché trovare un lavoro stabile è un'impresa disperata. Anche perché (e forse tra i due fenomeni c'e una relazione) ai posti che si dicono di responsabilità - cioè nei posti che contano - si arriva, bene che vada, tra i 50 e i 60 anni, e ci si resta per decenni. Tutta la classe dirigente italiana è organizzata in un sistema di compatte oligarchie di anziani che per conservare e accrescere i propri privilegi sono decisi a sbarrare l'ingresso a chiunque. A cominciare dal capitalismo industriale-finanziario il quale, almeno in teoria, dovrebbe essere il settore più dinamico e innovativo della società, ma dove invece i Consigli d'amministrazione assomigliano quasi sempre a un club esclusivo di maschi anziani. Anche il sistema politico e i partiti non scherzano. I leader più importanti non solo stanno in politica da almeno tre o quattro decenni, ma in media è da almeno 20-25 anni che occupano posizioni di vertice. La muraglia invalicabile dietro la quale prospera la gerontocrazia italiana ha un nome preciso: l'ostracismo alla competizione e al merito. In Italia il sapere e il saper fare contano pochissimo. Moltissimo invece contano le amicizie, il tessuto di relazioni, l'onnipresente famiglia, e soprattutto l'assicurazione implicita di non dar fastidio, di aspettare il proprio turno, di rispettare gli equilibri consolidati: vale a dire ciò che fanno o decidono i vecchi. È così che l'Italia sta mandando letteralmente al macero una generazione dopo l'altra. Ma non tutti si rassegnano a subire la frustrazione di dover passare i migliori anni della propria vita ad arrancare dietro un posto di seconda fila, precario e mal pagato. A partire almeno dagli Anni 90, infatti, decine di migliaia di giovani, donne e uomini, hanno trovato modo di lasciare la Penisola e di ottenere un lavoro fuori dai nostri confini. Non è vero che l'emigrazione italiana è finita. Certo, ora non sono più le "braccia", sono i "cervelli"; ma la sostanza del fenomeno non cambia. Sono giovani di talento che per avere un futuro hanno dovuto andarsene dal Paese. E che nelle università, negli uffici finanziari, nelle case di commercio, nelle banche, nei centri di ricerca, negli ospedali, nelle imprese industriali di mezzo mondo, mostrano come il nostro sistema d'istruzione, pur con i centomila difetti che sappiamo, sia tuttavia ancora capace di produrre una formazione d'eccellenza. Sono giovani di talento che fuori d'Italia hanno avuto modo di farsi apprezzare, di costruirsi carriere e posizioni spesso di rilievo. È un'emigrazione di qualità, insomma. Ma è anche un'emigrazione che non dimentica, non riesce a dimenticare, il proprio Paese. Un'emigrazione che per mille segni mostra quanta voglia avrebbe di poter essere utile all'Italia. Che senso ha allora, mi chiedo, che un'Italia di vecchi, un Paese disperatamente in declino, non pensi a ricorrere in qualche modo a questa riserva collaudata di energia e di competenze? Stabilizzare centinaia di migliaia di lavoratori precari è un obiettivo sacrosanto ma è certamente un obiettivo non facile. Richiede interventi economici e giuridici complessi. Ci si deve assolutamente provare, ma ciò non toglie che allo stesso tempo non si possano anche studiare procedure di favore e incentivi allo scopo di immettere un certo numero di italiani di talento che si trovano oggi all'estero, per esempio in posizioni medio-alte della Pubblica amministrazione, degli Enti locali, delle Asl. Nelle Università qualcosa del genere si è tentato ma è naufragato per le inevitabili resistenze corporative. Il che dimostra che ciò che soprattutto servirebbe per muoversi nella direzione ora detta sarebbe un impulso forte e coordinato dal centro. Cioè un'iniziativa politica che desse il segnale che il Paese vuole cambiare rotta, farla finita con abitudini che ci soffocano, prendere con coraggio strade nuove, muoversi finalmente con immaginazione senza lasciarsi frenare dal burocratismo, dalle vecchie oligarchie, dal passato. Conosco l'obiezione: e cioè che per fare tutto questo ci vorrebbe una vera leadership politica, un governo. È proprio così: ci vorrebbe un governo. Ernesto Galli della Loggia 11 aprile 2011
INDUSTRIA ALIMENTARE Parmalat, bocciato ricorso Lactalis L'assemblea sarà a fine giugno. La riunione era stata rinviata in base alle nuove norme anti-scalate estere * NOTIZIE CORRELATE * Parmalat-Lactalis, il destino in cancelleria di M. Sideri (10 aprile 2011) * Il faro dell' Europa sul decreto "antiscalata" di S. Tamburello (9 aprile 2011) * Parmalat: assemblea rinviata a giugno (1 aprile 2011) INDUSTRIA ALIMENTARE Parmalat, bocciato ricorso Lactalis L'assemblea sarà a fine giugno. La riunione era stata rinviata in base alle nuove norme anti-scalate estere (Ansa) (Ansa) MILANO - Il Tribunale di Parma ha respinto l'istanza di sospensione presentata da Lactalis contro la delibera del cda di Parmalat che ha rinviato l'assemblea. Lo dice una nota del gruppo alimentare precisando che il tribunale ha confermato il decreto del presidente del tribunale del 4 aprile. Venerdì 1 aprile il consiglio di amministrazione del gruppo alimentare aveva convocato una nuova asssemblea per il 25-27-28 giugno avvalendosi di quanto previsto dalla normativa varata dal governo a fine marzo a tutela dei settori strategici. SCALATA PIU' DIFFICILE - La decisione della magistratura parmense rende più difficile la conquista della Parmalat da parte dei francesi di Lactalis: la scelta di rinviare l'assemblea, avvalendosi delle nuove norme, era del resto stata presa proprio per questo, ossia per dare più tempo a un'eventuale cordata italiana di costituirsi e di sbarrare la strada all'operazione transalpina. Ormai l' ipotesi più accreditata è quella di una discesa in campo delle banche, capitanate da Intesa Sanpaolo, e della Cassa depositi e prestiti. Gran Latte, la società con cui la Legacoop controlla l' 80% di Granarolo, secondo alcune ipotesi allo studio dovrebbe poi vendere la società alla stessa Parmalat, per raccogliere la somma necessaria per partecipare al progetto. A quel punto la palla passerebbe in mano ai francesi che dovrebbero decidere se allearsi agli italiani, finendo però sostanzialmente in minoranza. Su tutto però pende ancora la decisione dell'Unione europea sul decreto anti-scalata: Bruxelles ha già fatto sapere che non accetterà norme restrittive della concorrenza Redazione online 11 aprile 2011
2011-04-09 Il vertice ecofin "Troppi disoccupati, livelli inaccettabili" Il presidente della Bce, Trichet: "Situazione ancora molto critica. Su crescita impatto Giappone e Nordafrica" * NOTIZIE CORRELATE * La Bce alza i tassi e li porta all'1,25%: mutui più cari (7 aprile 2011) Il vertice ecofin "Troppi disoccupati, livelli inaccettabili" Il presidente della Bce, Trichet: "Situazione ancora molto critica. Su crescita impatto Giappone e Nordafrica" Jean-Claude Trichet Jean-Claude Trichet MILANO - Nell'Eurozona "abbiamo ancora un livello di disoccupazione inaccettabile". L'allarme è stato lanciato dal presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, nel corso della conferenza stampa finale dell'Ecofin informale svoltosi a Budapest. SITUAZIONE CRITICA - Trichet ha quindi sottolineato come sia in atto una ripresa dell'occupazione nell'insieme dell'Eurozona, ma come in alcuni Paesi, vedi la Spagna, la situazione sia ancora molto critica, nonostante le misure prese. "Pre rafforzare la crescita e aumentare i livelli di occupazione - ha detto il presidente della Bce - bisogna andare avanti con il risanamento dei conti pubblici e le riforme strutturali. E questo, comunque, vale per tutti i Paesi, senza eccezione". IMPATTO NORDAFRICA E GIAPPONE - E nel frattempo non ci sono buone notizie sulla crescita economica: "La ripresa dell'attività nell'Eurozona continua, ma restano molte incertezze", ha detto Trichet, sottolineando "i rischi legati alla situazione in cui versano alcuni segmenti dei mercati finanziari e l'impatto sulla crescita sia delle crisi in Nordafrica sia del dramma accaduto in Giappone". Anche per il commissario Ue agli affari economici e monetari, Olli Rehn, la ripresa dell'economia reale prosegue, "anche se in maniera diversificata tra Paese e Paese". Il presidente dell'Ecofin, il ministro delle finanze ungherese Matolcsy Gyorgy, ha quindi detto di aver condiviso l'analisi fatta all'Ecofin dal segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria: "La crisi non è ancora alle nostre spalle e i rischi per la ripresa restano significativi. Per questo - ha sottolineato il presidente dell'Ecofin - tutti gli Stati membri devono proseguire con le riforme strutturali per eliminare gli squilibri macroeconomici e per creare crescita e occupazione". IL SUCCESSORE - Intanto però continuano le grandi manovre per la successione al francese alla guida delal Bce: "La decisione sarà presa entro fine giugno", ha annunciato il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, sempre da Budapest per la riunione dell'Ecofin. Redazione online 09 aprile 2011
Cgia: "Boom della loro presenza nel nord-Ovest" Lavoro, quasi 4 milioni di precari A seguito della crisi Trentino ed Emilia epicentro del precariato. Ma in valori assoluti il Meridione è al top Cgia: "Boom della loro presenza nel nord-Ovest" Lavoro, quasi 4 milioni di precari A seguito della crisi Trentino ed Emilia epicentro del precariato. Ma in valori assoluti il Meridione è al top La manifestazione dei precari a Napoli (Gennaro) La manifestazione dei precari a Napoli (Gennaro) MILANO - Che siano un esercito senza rappresentanza (e per questo scendono in piazza) era assodato. Che loro fila s'ingrossino sempre più nelle aree più produttive del Paese è in parte una sorpresa. Che in valori assoluti il Meridione recita il ruolo incontrastato come contenitore dei lavoratori senza tutele è invece un dato conclamato. Ma che ormai sfiorino in 4 milioni e i numeri siano impietosi soprattutto in Trentino Alto Adige (+20,7% di precari dal 2008, nonostante la sua forte autonomia) ed Emilia Romagna (+20,3%, dove per anni il sistema delle cooperative ha cercato di frenare il fenomeno fino allo smottamento di questo ultimo triennio) conferma che il lavoro in Italia è il problema numero uno. L'ANALISI – Chi lavora nel turismo (ristorazione e alberghi), chi nei servizi pubblici e sociali: ecco l'identikit-principe del precario di oggi. Va da sé che anche altre categorie professionali non siano esenti da fenomeni di mancanza di tutele e di "progettualità contrattuale". Ma – riporta uno studio della Cgia di Mestre (l'associazione artigiani piccole imprese) – nella ristorazione è precario oltre un lavoratore su tre (il 35,5%, anche se il dato va depurato della forte stagionalità di questo particolare comparto), come nei servizi sociali e alla persona (il 33,4% e qui il preoccupante stato dei conti pubblici influisce pesantemente), mentre nell'agricoltura sono "precari" 28 lavoratori su 100. FORMAZIONE E RETRIBUZIONE – Dice Giuseppe Bortolussi, segretario Cgia, che il motivo di principale criticità è il basso livello di studio: "sono coloro che rischiano maggiormente di essere espulsi dal mercato del lavoro (oltre il 38% dei precari ha solo la licenza media, ndr.) perché nella stragrande maggioranza dei casi svolgono mansioni pesanti dal punto di vista fisico". Quelli che gli economisti definirebbero "labour intensive", non mestieri ad alto valore aggiunto, quindi più a rischio, data la concorrenza a livello globale e i fenomeni migratori che essa comporta. Ma precario è anche sinonimo di bassa retribuzione: tra gli under 35 è mediamente pari a 1.068 euro, inferiore di circa il 25% rispetto alla retribuzione di chi ha un contratto stabile e a tempo indeterminato. QUESTIONE MERIDIONALE – Da Salvemini in poi in tanti si sono interrogati sul ritardo economico e produttivo delle regioni del centro-Sud. Logico che ciò si traduca anche in "tensione occupazionale" e il precariato diventa la norma, non l'eccezione. Sono oltre 2,3 milioni i lavoratori senza stabilità e tutele (il 56% del dato nazionale) tra Campania, Calabria, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Ma qui un dato sembra andare contro-corrente: scrive la Cgia di Mestre che i precari sono diminuiti in queste regioni in media del 4% dal 2008. Un paradossale virtuosismo? Non proprio, spiega un report di Confartigianato, perché "il tasso di inattività nelle regioni meridionali – nella fascia di popolazione compresa tra i 25 e i 54 anni – è schizzato quasi al 20%". In altri termini un adulto su cinque nel Mezzogiorno è senza alcun lavoro, con punte del 43,3% in Campania, del 40,7% in Calabria e del 38,7% in Sicilia. Come dire: i precari sono sì diminuiti, ma perché ora sono disoccupati. Fabio Savelli 09 aprile 2011
La manifestazione I precari oggi in piazza: stop a raccomandazioni e clientele Cortei in tutt'Italia: al fianco degli organizzatori Pd e Cgil, ma non la Cisl * NOTIZIE CORRELATE * "Il nostro tempo è adesso". I precari in piazza De Leo (9 aprile 2011) La manifestazione I precari oggi in piazza: stop a raccomandazioni e clientele Cortei in tutt'Italia: al fianco degli organizzatori Pd e Cgil, ma non la Cisl ROMA - "Vogliamo tutto un altro Paese, non più schiavo di rendite, raccomandazioni e clientele". Il mondo dei precari scende oggi in una cinquantina di piazze animato dal comitato promotore "Il nostro tempo è adesso". Le sponsorizzazioni non cercate dagli organizzatori alla fine sono arrivate lo stesso: a loro fianco si sono schierati Pd, Cgil, Italia dei Valori e Udc della Campania mentre Fli ricorda che da pochi giorni è stata presentata alla Camera una proposta per difendere i precari. Anche dalla Chiesa è arrivato un sostegno indiretto. Per il cardinale Angelo Bagnasco, presidente Cei, "il precariato deve essere una fase transitoria il più breve possibile". Per la maggioranza solo il ministro della Gioventù Giorgia Meloni si è detto d'accordo con le ragioni della manifestazione "ma stando attenti a non pretendere solo di entrare nella cittadella dei tutelati". Sindacato diviso anche su questo fronte. "Noi non siamo stati contattati - ha affermato il leader della Cisl Raffaele Bonanni - ci stiamo comunque muovendo con altre associazioni per una proposta che possa davvero aggregare i giovani". Nel merito delle proposte ha fatto discutere quella lanciata sul Corriere della Sera da Pietro Ichino, Luca di Montezemolo e Nicola Rossi. "E' davvero importante che un ex presidente di Confindustria come Montezemolo - ha commentato Salvo Barrano, 35 anni, uno degli organizzatori per conto dell'associazione nazionale geologi - si sia sintonizzato sulla nostra lunghezza d'onda, nello specifico invece pensiamo sia sbagliato puntare tutto sul contratto unico". Per i precari anche la "flessibilità è un valore" e la loro idea è di avere una "buona protezione sociale anche per i lavoratori autonomi e i milioni di partite Iva". E se il premier Silvio Berlusconi ha invitato ieri i giovani a guardare al futuro "con il sole in tasca", il comitato "Il nostro tempo è adesso" gli ha risposto che "è lui ad umiliare i giovani e il Paese, per l'assoluta incapacità di fronteggiare la crisi economica gli chiediamo di farsi da parte". Guai anche per la Cgil. Un gruppo di attivisti "Uniti contro la crisi" che oggi partecipano alla protesta, ha disteso uno striscione davanti alla sede di Corso Italia: "Camusso, la vita non aspetta i licenziati della Cgil". Roberto Bagnoli 09 aprile 2011
dalle 15 in piazza della repubblica fino al colosseo "Il nostro tempo è adesso" I precari vanno in corteo A Roma e in altre 30 città d'Italia la protesta di studenti, disoccupati, stagisti, ricercatori, free lance: oggi vogliamo risposte e nessuna bandiera di partito * NOTIZIE CORRELATE * Blitz dei precari alla sede Inps De Leo (7 apr'11) * Un mese fa la protesta con le tende dell'Ubs (11 mar 11) * Call center, addio all'ultimo rifugio dei precari (16 feb 11) * Lazio, migliaia di nuovi precari da gennaio (10 dic 10) * Il comitato di precari "Il nostro tempo è adesso" * Il video messaggio di Susanna Camusso ai precari * Su You Tube le ragioni della protesta dei precari dalle 15 in piazza della repubblica fino al colosseo "Il nostro tempo è adesso" I precari vanno in corteo A Roma e in altre 30 città d'Italia la protesta di studenti, disoccupati, stagisti, ricercatori, free lance: oggi vogliamo risposte e nessuna bandiera di partito Il blitz dei precari alla sede Inps di Roma di pochi giorni fa (AgfRoma) Il blitz dei precari alla sede Inps di Roma di pochi giorni fa (AgfRoma) ROMA - Attenzione: questa volta i "bamboccioni" fanno sul serio. Gli eterni giovani, senza diritti né certezze lavorative, scendono in piazza per lanciare alla politica un messaggio forte e chiaro: "Il nostro tempo è adesso. La vita non aspetta". È questo lo slogan – e il nome del comitato promotore – della manifestazione che sabato pomeriggio mobilita l'Italia intera. Quella dei precari, dei disoccupati, il popolo delle partite Iva, gli studenti, gli stagisti, i ricercatori, i free lance che sfilano per le strade di Roma e di un'altra trentina di città italiane (e non solo), per riprendersi il presente, ancor prima del futuro, ed il Paese, partendo dal lavoro. DISOCCUPAZIONE FUORI CONTROLLO - Sono "oltre 2 milione i Neet in Italia, ovvero i giovani che non studiano non lavorano e non si formano; sfiora il 30% la disoccupazione giovanile", sottolinea Salvo Barrano, archeologo free lance tra i 14 promotori della manifestazione. Tra loro anche Ilaria Lani, responsabile Politiche giovanili della Cgil: "Siamo in una condizione di stabile precarietà" che coinvolge già "due generazioni di lavoratori segnati da contratti a termine, senza diritti e con retribuzioni da fame. Servono risposte adesso". Lo "speech corner" a Porta Portese per i precari (Omniroma) Lo "speech corner" a Porta Portese per i precari (Omniroma) CAMUSSO A ROMA - A Roma è in programma l’evento principale con una street parade rumorosa e colorata in vero "Torretta Style". "Vogliamo essere ironici e dissacranti: siamo tutti giovani, studenti, precari, non precari e cittadini. L'unica cosa che non vogliamo sono le bandiere di partito" spiega Luca De Zolt, organizzatore dell’evento romano. Il corteo parte alle ore 15 da piazza della Repubblica e attraversa l’Esquilino per arrivare al Colosseo. "Abbiamo scelto un percorso nuovo – aggiunge De Zolt - che passa attraverso il quartiere Esquilino, perché tutta la città ci possa vedere e partecipare". Al Colosseo sarà allestito un palco per musica e interventi (previsto quello del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso che già con un videomessaggio è scesa in campo con i giovani). VIP E POLITICA– L'iniziativa è nata sul web, grazie al passaparola tra la "generazione precaria". Ha coinvolto anche personaggi famosi: Ascanio Celestini, Dario Vergassola, Dario Fo, Margherita Hack, Sabina Guzzanti, Subsonica e tutto il cast del film Boris che sfilerà a Roma. In piazza ci saranno anche i precari dell'Ispra (i primi a salire sul tetto per evitare il licenziamento), il comitato "Se non ora quando" (protagonista delle manifestazioni da un milione di persone del 13 febbraio scorso per rivendicare la dignità delle donne) ed il fronte dell'opposizione: Pd, Idv, Verdi, Pdci-Federazione della sinistra. BAGNASCO: PRECARI SENZA FUTURO- Al fianco dei giovani, senza se e senza ma, si schiera la Cei: "Il precariato lavorativo sia solo una fase transitoria", ammonisce il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco, per aprire le porte ad un lavoro "a tempo indeterminato" e "dare anche la possibilità di un futuro, di un progetto di vita". Tra i partecipanti al corteo anche il cast di "Boris", nella foto Pietro Sermonti (Ansa) Tra i partecipanti al corteo anche il cast di "Boris", nella foto Pietro Sermonti (Ansa) "BERLUSCONI SI FACCIA DA PARTE" – I precari accusano il governo "che ha deciso di sacrificare una o più generazioni sull'altare degli interessi di qualcuno, della rendita e della speculazione". E chiedono al premier Silvio Berlusconi di "farsi da parte": "Non ha affrontato la crisi – dicono - ci ha umiliati e trascinati in un baratro di povertà e disoccupazione". I precari, chiedono un Paese diverso che "permetta a tutti di studiare, di lavorare, di inventare" e che, quindi, "investa sulla ricerca e sulle giovani generazioni, invece di relegarle ai margini del sistema produttivo, mortificandone le competenze e cancellando ogni possibilità di realizzazione personale". MELONI: SERVE PIU' CORAGGIO - "Dite che è giunto il tempo per la nostra generazione di prendere spazi e alzare la voce. Per questo scendete in piazza il 9 aprile. Sono d'accordo" scrive Giorgia Meloni, ministro della Gioventù, in una lettera aperta ai precari. "Ma dopo aver letto il vostro manifesto, ho qualche timore – aggiunge -. Non possiamo scendere in piazza per difendere non i nostri diritti, ma quelli della generazione precedente che ce li ha scippati. Proprio come pochi mesi fa quando gli studenti hanno manifestato in difesa dei privilegi dei baroni. È inutile rimpiangere un sistema che non ci possiamo più permettere, ma è possibile impegnarsi per costruirne un nuovo. La battaglia sarà dura. Io sono vostra disposizione per affrontare insieme il programma di un'agenda concreta" conclude Meloni. Carlotta De Leo 09 aprile 2011
2011-04-08 In un incontro con autorità civili e militari a Genova Il cardinal Bagnasco: "l lavoro precario sia solo una fase transitoria" Il presidente della Cei: "Lo scopo ultimo della politica è la giustizia" In un incontro con autorità civili e militari a Genova Il cardinal Bagnasco: "l lavoro precario sia solo una fase transitoria" Il presidente della Cei: "Lo scopo ultimo della politica è la giustizia" Il cardinale Angelo Bagnasco (Ansa) Il cardinale Angelo Bagnasco (Ansa) GENOVA - "Ci si augura che il precariato sia sempre una fase estremamente transitoria, il più possibile breve per poter diventare lavoro a tempo indeterminato e per dare anche la possibilità di un futuro, di un progetto di vita". Così l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, Angelo Bagnasco, ha risposto a chi gli chiedeva un commento in vista delle manifestazioni dei precari prevista in Italia per sabato. A margine di un incontro con autorità civili e militari presso il Municipio III Bassa Valdisagno, il porporato ha aggiunto: "il tema del lavoro è un problema noto e molto grave. È sempre necessario affrontarlo con grande determinazione ed efficacia, anche se le difficoltà sono oggettive sia al livello italiano sia europeo. Dall'altra parte - ha concluso il cardinale Bagnasco - il tema del precariato se per un verso è stato ed è a volte una possibilità, come dire "meglio che niente", dall'altro lato se il precariato diventasse stabile non raggiungerebbe lo scopo che si è prefisso". GIUSTIZIA - "Scopo della politica è la giustizia. Questo discorso, questo richiamo andrebbe fatto soprattutto ai livelli più alti, dove si legifera" ha aggiunto Bagnasco. "Fa sempre bene a tutti noi - ha aggiunto il porporato - anche per i pareri richiesti e le decisioni, ricordare sempre lo scopo ultimo della politica a tutti i livelli e in tutte le forme che è la giustizia, vale a dire riconoscere a ciascuno il suo, il proprio diritto insieme al proprio dovere, in modo che una porzione della nostra città, la città intera, la regione, il paese possano meglio e sempre meglio corrispondere a quel desiderio di benessere che non è innanzitutto l'uso delle cose, ma è innanzitutto e sempre a livello interiore, morale e spirituale". Redazione online 08 aprile 2011
EMERGENZA OCCUPAZIONE L'esercito dei precari scende in piazza sabato giornata dei lavoratori senza tutele Cortei in 29 città italiane, a Roma street parade con Dario Fo. Dalla Cgil a Vendola, il sostegno ai giovani: "Ammortizzatori contro la discontinuità contrattuale" * NOTIZIE CORRELATE * Un mese fa la protesta con le tende dell'Ubs (11 mar 11) * Call center, addio all'ultimo rifugio dei precari (16 feb 11) * Lazio, migliaia di nuovi precari da gennaio (10 dic 10) * In piazza anche i precari del giornalismo * Il comitato di precari "Il nostro tempo è adesso" * Il video messaggio di Susanna Camusso ai precari * Su You Tube le ragioni della protesta dei precari EMERGENZA OCCUPAZIONE L'esercito dei precari scende in piazza sabato giornata dei lavoratori senza tutele Cortei in 29 città italiane, a Roma street parade con Dario Fo. Dalla Cgil a Vendola, il sostegno ai giovani: "Ammortizzatori contro la discontinuità contrattuale" Una protesta degli studenti romani a sostegno dei precari (foto Ansa) Una protesta degli studenti romani a sostegno dei precari (foto Ansa) ROMA - "A.A.A Affittasi cinque canadesi (tre posti cadauna) in graziosa tendopoli zona Ponte Milvio. Ottimo per esperienza di co-housing". Rispolverano le tende come nella manifestazione cobas di un mese fa i precari del comitato "Il nostro tempo è adesso". E scelgono l’ironia per spiegare le difficoltà di trovare una casa, un lavoro e un prestito bancario quando il contratto è intermittente e da fame. Proprio per rivendicare diritti e raccontare una "emergenza generazionale troppo spesso taciuta", i precari hanno organizzato per sabato 9 aprile una mobilitazione nazionale che coinvolgerà 29 città in Italia (dalla Capitale a Bologna e Napoli, da Palermo a Milano) e alcune piazze all’estero (Bruxelles, Washington e in Spagna) "dove i cervelli sono dovuti scappare". STREET PARADE ROMANA - A Roma è in programma l’evento principale con una street parade. "Il corteo parte alle 15 da piazza della Repubblica e attraversa l’Esquilino per arrivare al Colosseo – spiega Luca De Zolt, organizzatore dell’evento romano – Abbiamo scelto un percorso nuovo perché tutta la città ci possa vedere e partecipare". Al Colosseo sarà allestito un piccolo palco con interventi e musica. "Chiediamo il contributo di tutti gli artisti per la giornata di sabato – aggiunge – La nostra manifestazione è auto-organizzata e abbiamo bisogno di testimonial per far sentire la nostra voce". Alla mobilitazione hanno aderito anche la Cgil (Susanna Camusso ha registrato un videomessaggio , vedi il link), i giovani del Pd, Sel e Idv e Nichi Vendola. "Speriamo di avere in piazza anche tutti i leader politici sensibili al tema – aggiunge De Zolt – e vorremo essere ascoltati dal Presidente Giorgio Napolitano che ha a cuore il problema del precariato". Manifestanti con le tende (foto Ansa) Manifestanti con le tende (foto Ansa) VIP IN PIAZZA CON BORIS – L’appuntamento di sabato è stato anticipato da flash mob e pacifiche azioni di guerrilla urbana per spiegare le ragioni della protesta e raccolte nel canale Youtube. Al corteo della Capitale non mancheranno i volti noti. Il cast del film "Boris" ha dato piena adesione alla mobilitazione con Pietro Sermonti, Caterina Guzzanti e Ninni Bruschetta che sono diventati testimonial dell’iniziativa. Con loro anche tanti altri artisti: Ascanio Celestini, Daniele Silvestri, Valerio Mastandrea, Dario Fo e Franca Rame, il Trio Medusa, Dario Vergassola, Sabina Guzzanti, Margherita Hack, la scrittrice Silvia Avallone e tanti altri. Striscione di protesta dei precari davanti alla Regione Lazio (foto Ansa) Striscione di protesta dei precari davanti alla Regione Lazio (foto Ansa) "NON SIAMO BAMBOCCIONI" – Alla base della mobilitazione un comitato composto da reti che, in diversi ambiti, si battono contro lo sfruttamento del precariato (stagisti, ricercatori universitari, professionisti e lavoratori tradizionali). Insieme hanno lanciato un appello e, successivamente, organizzato la manifestazione. "Ci hanno accusato di essere bamboccioni senza umiltà ma non è vero – spiega Maria Pia Pizzolante, del comitato organizzatore -. Non siamo viziati e abbiamo umiltà da vendere visto che abbiamo fatto mille lavori, spesso anche in nero. Vogliamo il diritto alla giusta retribuzione, alla maternità, alla malattia, alle ferie. Abbiamo studiato e crediamo nella formazione. Noi siamo il futuro e vogliamo un welfare che guardi ai giovani". LE COLPE DEL SINDACATO E DELLA SINISTRA - "La questione del lavoro deve essere centrale, una priorità dell’agenda politica – spiega Ilaria Lani, sindacalista Cgil -. In questo Paese sono proprio i giovani che hanno pagato di più la crisi economica con tassi di disoccupazioni elevati. I governi non hanno saputo dare risposte su welfare e formazione: la discontinuità contrattuale deve essere riequilibrata con indennità e ammortizzatori. È vero, ci sono state difficoltà anche del sindacato nel suo ruolo di proposta e difesa dei giovani". Qualche colpa ce l’hanno anche i precedenti governi di sinistra: "E’ vero che la legge 30 ha introdotto peggiori condizioni di lavoro per noi giovani – aggiunge – ma oggi abrogarla non è sufficiente. Oggi la questione è dare nuove regole per garantire stabilità e nuovi diritti per tutti. È arrivato il momento di chiedere alla politica e ai sindacati di fare la loro parte per risolvere il problema". Roma, ricercatori precari protestano (foto Lapresse) Roma, ricercatori precari protestano (foto Lapresse) LE CIFRE DELL’EMERGENZA – Un pò di numeri. In Italia, con la crisi il tasso di disoccupazione giovanile è tornato a crescere: a dicembre 2010, 29,8% per gli uomini e 29,4% per le donne (con un picco del 40.6% per le giovani del Mezzogiorno). Ogni anno sono 45 mila i laureati che lasciano l'Italia, il loro disamore per il nostro Paese costa annualmente - stima l'Ocse - 6 milioni di dollari. Sono solo il 30% le giovani famiglie che riescono ad acquistare una casa. Una piaga che colpisce anche il mondo del giornalismo: i precari delle redazioni (co.co.co) guadagnano anche 5 euro per un pezzo pubblicato, e sul web il compenso può scendere anche alla metà. Non a caso, anche i giornalisti romani parteciperanno al corteo del 9 aprile. VERSO LO SCIOPERO GENERALE - La mobilitazione del 9 aprile è legata a doppio filo con le manifestazioni degli studenti e degli universitari dell’autunno scorso, ed è una tappa di avvicinamento allo sciopero generale promosso dalla Cgil per il prossimo 6 maggio. Per questo gli organizzatori si aspettano un’ampia partecipazione, "contando su passaparola lungo la Penisola per portare in piazza amici e coetanei". Carlotta De Leo 05 aprile 2011
2011-04-01 INattivi in aumento Disoccupazione all'8,4% nel 2010 Al Sud 4 donne giovani su 10 senza lavoro L'Istat: disoccupati al massimo dal 2004. Un anno fa erano il 7,8%. Leggero calo in febbraio INattivi in aumento Disoccupazione all'8,4% nel 2010 Al Sud 4 donne giovani su 10 senza lavoro L'Istat: disoccupati al massimo dal 2004. Un anno fa erano il 7,8%. Leggero calo in febbraio (LaPresse) (LaPresse) MILANO - Sempre più disoccupati in Italia. Il tasso di disoccupazione nel 2010 si è infatti attestato all'8,4%, contro il 7,8% del 2009, il dato più alto dall'inizio delle serie storiche cioè dal 2004. Lo rileva l'Istat. INATTIVI - Il tasso di disoccupazione a febbraio 2011, rileva sempre l'Istat, è invece calato dall'8,6% di gennaio all'8,4%. Registrata quindi una diminuzione di 0,2 punti percentuali rispetto a gennaio e di 0,1 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione giovanile scende inoltre al 28,1% con una diminuzione congiunturale di 1,3 punti percentuali. Gli inattivi tra i 15 e i 64 anni aumentano dello 0,1% (21 mila unità) rispetto al mese precedente. Il tasso di inattività, dopo la crescita dei tre mesi precedenti, resta stabile al 38%. Scende, sempre a febbraio, dal 10% al 9,9% il tasso di disoccupazione anche nell'Eurozona: il dato, che conferma la stima "flash" già diffusa, è in lieve calo anche per quanto riguarda l'Ue a 27 Paesi (9,5% contro 9,6% in gennaio). DISOCCUPAZIONE FEMMINILE - Al Sud quasi una donna su due nella fascia tra i 15 e i 24 anni, ossia il 42,4% della popolazione femminile, è disoccupata. Ancora più rilevante il divario tra maschi e femmine per quanto riguarda il tasso di inattività: sempre nel Mezzogiorno è pari al 48,8% ma da parte delle donne il livello di mancata partecipazione al mercato del lavoro raggiunge il livello del 62,8%. Anche al Nord e al Centro la percentuale di donne senza lavoro è molto più alta rispetto a quella degli uomini: al Nord è del 27,3% e al Centro del 31,3%. Complessivamente, il tasso di disoccupazione femminile è del 32,9%, contro il 27,7% di quella maschile. Redazione online 01 aprile 2011
Dati del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Auto in picchiata in Italia: -30% mentre la Chrysler vola negli Usa In Italia -31,9% immatricolazioni Fiat rispetto allo stesso mese del 2010 Dati del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Auto in picchiata in Italia: -30% mentre la Chrysler vola negli Usa In Italia -31,9% immatricolazioni Fiat rispetto allo stesso mese del 2010 (Ap) (Ap) ROMA - Picchiata a marzo per il mercato dell'auto in Italia. Il mese scorso - secondo i dati diffusi dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti - le nuove immatricolazioni di vetture hanno sfiorato una flessione del 30%, segnando un calo del 27,57% a 187.687 unità, contro le 259.115 del marzo 2010. A febbraio il calo era stato del 20,49%. FIAT - Fiat Group Automobiles ha immatricolato a marzo 55 mila vetture, il 31,9% in meno rispetto allo stesso mese del 2010. La quota è del 29,35 per cento, 1,9 punti percentuali in meno nel confronto con marzo dell'anno scorso ma il risultato è in miglioramento rispetto allo scorso mese di febbraio, quando si era ottenuta una quota del 28,4%. VOLA LA CHRYSLER NEGLI USA - Volano invece le vendite di Chrysler negli Usa a marzo. Le immatricolazioni vedono un incremento del 31% con 121.730 veicoli venduti. Nel mese di marzo dell'anno scorso Chrysler aveva venduto 92.363 veicoli. Il risultato di oggi è stato il migliore nel mese di marzo dal 2008 e il più alto in assoluto per qualsiasi mese a partire dal maggio 2008. Le vendite al dettaglio del Gruppo Chrysler nel primo trimestre del 2011 hanno mostrato un aumento del 51% rispetto allo stesso periodo del 2010. TRIMESTRE - In Italia il bilancio per quanto riguarda l'ultimo trimestre vede 149 mila vetture immatricolate, il 29,1 per cento in meno rispetto ai primi tre mesi dell'anno scorso. La quota è del 29 per cento, con un calo di 2,4 punti percentuali nel confronto con il 2010. Le auto immatricolate da Fiat in marzo sono state quasi 39 mila, il 39,8 per cento in meno rispetto a un anno fa. Il marchio ottiene così una quota del 20,7 per cento che - nonostante sia in calo nel confronto con marzo 2010 - è allineata con quella degli ultimi mesi. Nel trimestre Fiat ha consegnato oltre 105 mila vetture, il 36,2 per cento in meno dell'anno scorso, ottenendo una quota del 20,5 per cento, in calo di 4,2 punti percentuali rispetto al 2010. LE AUTO PIÙ VENDUTE - Le posizioni di vertice della classifica delle auto più vendute in Italia sono ancora una volta occupate da prodotti Fiat. Al primo posto si piazza la Punto, che è prima anche nel segmento B con una quota del 22,3%. Alle sue spalle la Panda, che risulta anche la più venduta nel segmento A con il 39,3 per cento di quota. Ottimi risultati anche dalla 500 (15,6 per cento nel segmento A) che con i suoi risultati di vendita sommati a quelli della Panda permette al brand Fiat di detenere il 54,9 per cento di quota nel segmento delle city car. Cubo e Doblò dominano le vendite tra i multispazio, ottenendo insieme una quota del 64,1 per cento. Il brand Lancia ha venduto a marzo oltre 9 mila vetture, il 22 per cento in meno rispetto all'anno scorso. Grazie a questo calo inferiore rispetto a quello complessivo ottenuto dal mercato, il marchio può migliorare la quota: 4,9 per cento rispetto al 4,5 di un anno fa. Decisamente positivo il trend del 2011 per Lancia, che è passata dal 4,3 per cento di quota in gennaio, al 4,5 per cento di febbraio fino all'attuale 4,9 per cento. Nel primo trimestre dell'anno, il marchio ha immatricolato quasi 23.500 auto, il 21,9 per cento in meno rispetto al 2010 e ha ottenuto una quota del 4,6 per cento, in crescita di 0,1 punti percentuali nel confronto con l'anno scorso. Ancora una volta il risultato ottenuto da Alfa Romeo è decisamente positivo. Con oltre 7 mila immatricolazioni a marzo, il marchio aumenta i volumi di vendita del 51,2 per cento ottenendo una quota del 3,8 per cento, in crescita di 2 punti percentuali rispetto a marzo 2010. Altrettanto positivo il risultato ottenuto nel trimestre: quasi 20 mila le Alfa Romeo immatricolate, il 37,5 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. La quota è del 3,9 per cento, 1,7 punti percentuali in più in confronto al primo trimestre 2010. A trainare le vendite del brand è la Giulietta che si conferma nelle posizioni di vertice del segmento C con il 14,5 per cento di quota e con oltre 26 mila immatricolazioni in Italia dal lancio a oggi. (Fonte: Ansa). 01 aprile 2011
Retribuzioni - Da Montezemolo a Tronchetti, a Geronzi I 25 manager più pagati d'Italia La maxiliquidazione di Profumo Retribuzioni - Da Montezemolo a Tronchetti, a Geronzi I 25 manager più pagati d'Italia La maxiliquidazione di Profumo Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Unicredit MILANO - Alessandro Profumo, Luca Cordero di Montezemolo, Marco Tronchetti Provera, Cesare Geronzi e Paolo Scaroni. Sono loro i cinque top manager più pagati a Piazza Affari nel 2010, in base ai dati finora pubblicati dalle più importanti società quotate in Borsa. Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit fino allo scorso settembre, guida indisturbato la classifica con un compenso di 40,6 milioni, di cui 38 milioni come liquidazione: 36,5 alla voce incentivo all'esodo e 1,5 milioni per un patto di non concorrenza. In un accordo complessivo in cui - si legge in una relazione del gruppo - Unicredit si è impegnata a versare in beneficenza due milioni. Destinataria l'associazione di don Colmegna. Al secondo posto, nella classifica di presidenti e amministratori delegati le cui società hanno già pubblicato i bilanci o le relazioni con tanto di tabella sui compensi, c'è l'ex presidente di Fiat, Luca Cordero di Montezemolo. I milioni in questo caso sono 8,7, dovuti in gran parte non alla buonuscita di Fiat (1,03 milioni) ma all'incarico, ancora ricoperto, di presidente della Ferrari (7,5 milioni). Medaglia di bronzo a Marco Tronchetti Provera, presidente di Pirelli, che arriva a sfiorare i 6 milioni, di cui 2,4 da percepire nel corso del 2011. Segue in classifica Cesare Geronzi, che somma la presidenza di Mediobanca prima a quella delle Generali poi. L'assegno totale, per un anno e mezzo (il bilancio di Piazzetta Cuccia va da luglio a giugno), vale più di 5 milioni. Chiude la "top five" l'amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni, con un "cedolino" annuale da 4,4 milioni. Il "ranking" prosegue con decine di milionari. Fino alla posizione 25, cui arriva la classifica qui sopra, ma anche oltre. E tra le società che ancora mancano all'appello delle pubblicazioni ci sono nomi molto grandi, da cui è presumibile attendersi nuovi super compensi. Le retribuzioni, comunicate direttamente dalle società, possono contenere delle voci calcolate sulla base dei risultati degli anni passati, o inquadrarsi all'interno di complicati piani di incentivazioni a lungo termine, o ancora includere benefici non monetari come auto e polizze. E, naturalmente, possono essere arricchite da cospicui schemi di stock option: i milioni crescerebbero ancora. Non ci sono solo i numeri, però. La classifica dei paperoni di Piazza Affari, per esempio, a oggi è dominata dagli uomini: nessuna donna nella "top 25". La lista è provvisoria, certo, ma è probabile che non molto cambierà una volta che si conosceranno i dati di tutte le blue chip italiane. Giovanni Stringa 01 aprile 2011-03-25 LA REUTERS: DOPO LA FUSIONE CON CHRYSLER "Il gruppo Fiat intende spostarsi in Usa" La replica: "Ancora nessuna decisione" Il Lingotto: molto dipende dal progetto Fabbrica Italia * NOTIZIE CORRELATE * Marchionne: "Nessuno accusi la Fiat di abbandonare l'Italia" (15 febbraio 2011) * Il report della Reuters LA REUTERS: DOPO LA FUSIONE CON CHRYSLER "Il gruppo Fiat intende spostarsi in Usa" La replica: "Ancora nessuna decisione" Il Lingotto: molto dipende dal progetto Fabbrica Italia Sergio Marchionne (Ansa) Sergio Marchionne (Ansa) MILANO - L'ipotesi venne già smentita a suo tempo dall'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne: "Nessuno può accusare la Fiat di voler abbandonare l'Italia", aveva affermato Marchionne in un'audizione alla Camera lo scorso 15 febbraio. "Se il cuore della Fiat resterà a Torino, la testa deve essere in più posti: a Torino per gestire le attività europee, a Detroit per quelle americane, ma anche in Brasile e, in futuro, una in Asia", aveva detto l'ad del Lingotto. Stessi concetti ribaditi anche dal presidente Fiat, John Elkann, che aveva rinviato ogni decisione in merito al 2014. Storia chiusa? Non secondo la Reuters, che venerdì ha rilanciato l'ipotesi che la Fiat avrebbe intenzione di spostare il quartiere generale del gruppo negli Usa dopo la fusione con Chrysler. LA REPLICA - La scelta sulla sede legale non è ancora stata presa. Dopo le indiscrezioni della Reuters, la replica della Fiat è stata affidata a una nota in cui si legge che la sede sarà scelta in base ad alcuni elementi di fondo: "Il primo è il grado di accesso ai mercati finanziari, indispensabile per gestire un business che richiede grandi investimenti e ingenti capitali. Il secondo ha a che fare con un ambiente favorevole allo sviluppo del settore manifatturiero e quindi anche con il progetto Fabbrica Italia". Il gruppo del Lingotto aggiunge che il problema della governance si porrà dopo il risanamento e la quotazione della Chrysler, "quando il gruppo avrà due entità legali che coesistono, quotate in due mercati diversi". Le informazioni del report Reuters, conclude la nota, si basano su informazioni non attuali REPORT - Tornando al lungo report della Reuters , in esso vengono ricostruiti anche i temi al centro del dibattito negli ultimi tempi, tra cui l'ipotesi della quotazione in Borsa della Ferrari. Reuters parla di "rock star appeal" di Marchionne al Salone di Ginevra e paragona il manager del Lingotto all'Elvis Presley del settore auto. Secondo l'agenzia di stampa, l'ad Fiat pensa di mantenere a Torino la gestione delle operazioni europee e di creare un centro in Asia, mentre sulla sede legale del quartier generale la scelta - secondo fonti citate dalla Reuters - cadrebbe sul Paese dove il regime di tassazione è più conveniente: gli Stati Uniti. Nel report si parla anche della possibilità di quotazione della Ferrari: Marchionne valuterebbe la casa di Maranello circa 5 miliardi di euro, secondo una fonte vicina al manager. CHRYSLER - Per quanto riguarda i rapporti con Chrysler, la Reuters ricorda che Marchionne ha definito "Christmas wishes" (auguri di Natale) i suoi obiettivi di aumentare la quota Fiat in Chrysler al 51% entro quest'anno e di portare la società Usa in Borsa. Prima la casa di Detroit dovrà ripagare i suoi prestiti ai governi di Stati Uniti e Canada. Un pacchetto di rifinanziamento è attualmente all'esame del consiglio di amministrazione di Chrysler, mentre la società è ancora in trattativa con il dipartimento dell'Energia degli Usa per ottenere tassi più favorevoli. Finché non avrà la maggioranza di Chrysler, Marchionne non investirà nella società Usa soldi Fiat. Reuters ricorda che l'obiettivo delle due società è di vendere 6,6 milioni di veicoli nel 2014 dopo l'integrazione. L'ad del Lingotto viene definito un uomo isolato nel gruppo Fiat, dove può contare esclusivamente sull'appoggio di John Elkann e, per quanto riguarda la sua successione, si ricorda che nella conference call di gennaio il manager Fiat ha detto: "Ho intenzione di restare qui finché non avremo fatto tutto". Redazione online 25 marzo 2011
2011-03-10 I DATI ISTAT La produzione industriale in negativo Calo dell'1,5% (dato destagionalizzato) rispetto a dicembre. Su base annua indice a +0,6% I DATI ISTAT La produzione industriale in negativo Calo dell'1,5% (dato destagionalizzato) rispetto a dicembre. Su base annua indice a +0,6% MILANO - La produzione industriale a gennaio torna in negativo, l'indice ha registrato un calo dell'1,5% (dato destagionalizzato) rispetto a dicembre, mentre ha segnato un aumento dello 0,6%, considerando il dato corretto per gli effetti di calendario, rispetto a gennaio del 2010 (+3,8% il grezzo). Lo rileva l'Istat, aggiungendo che la "netta" diminuzione sul congiunturale arriva dopo due mesi di segni positivi. Nella media del trimestre novembre-gennaio l'indice è inferiore dello 0,1% rispetto ai tre mesi immediatamente precedenti. La produzione industriale a livello congiunturale mostra, quindi, sottolinea l'Istat, un andamento "stagnate". Guardando ai raggruppamenti principali d'industrie, i maggiori contributi alla crescita tendenziale dell'indice generale (calcolato sui dati grezzi) vengono dalla componente dei beni strumentali (+2,5 punti percentuali) e da quella dei beni intermedi (+2,0 punti percentuali). Tornando ai dati annui corretti per gli effetti di calendario, con riferimento ai settori d'attività economica, nel mese di gennaio gli incrementi più marcati hanno interessato la fabbricazione di macchinari e attrezzature n.c.a. (+13,9%), della fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+11,0%) e della metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo esclusi macchine e impianti (+9,9%). Le principali diminuzioni riguardano invece, i settori relativi alla fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi (-11,1%), delle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-10,3%) e dell'attività estrattiva (-8,8%). (Fonte Ansa) 10 marzo 2011
2011-03-03 La decisione comunicata nel corso dell'attivo dei delegati a Modena Cgil, sciopero generale il 6 maggio L'annuncio del segretario generale, Susanna Camusso. Lavoro, sviluppo e precariato al centro della protesta La decisione comunicata nel corso dell'attivo dei delegati a Modena Cgil, sciopero generale il 6 maggio L'annuncio del segretario generale, Susanna Camusso. Lavoro, sviluppo e precariato al centro della protesta Susanna Camusso (Ansa) Susanna Camusso (Ansa) MODENA - Lo sciopero generale della Cgil sarà il 6 maggio. Lo ha annunciato il segretario generale Susanna Camusso, parlando all'attivo dei delegati di Modena. "Partiamo fin da ora con una serie di iniziative - ha detto Camusso -. Sarà una grande mobilitazione per tutto il Paese". Lo sciopero sarà di quattro ore ed è previsto che vi siano diverse manifestazioni a livello territoriale. "LAVORO, SVILUPPO E PRECARIATO" - La decisione di indire la protesta era stata già presa la scorsa settimana durante una riunione del comitato direttivo nazionale della Cgil che aveva dato mandato alla segreteria confederale di decidere la data e le modalità dello sciopero secondo la richiesta dello stesso segretario generale. Nel documento politico approvato dal direttivo si sosteneva che "è necessario rimettere al centro il tema del lavoro e dello sviluppo, riconquistare un modello contrattuale unitario e battere la pratica degli accordi separati, riassorbire la disoccupazione, contrastare il precariato, estendere le protezioni sociali e ridare fiducia ai giovani. Serve una nuova stagione fatta di obiettivi condivisi e rispettosi della dignità del lavoro e serve definire le regole della democrazia e della rappresentanza". Redazione Online 03 marzo 2011
2011-03-01 Nuovo crollo del mercato Immatricolazioni auto, male anche in febbraio: -20,49% Il gruppo Fiat ha perso il 27,09%, attestandosi a 45.527 unità, contro le 62.441 dello stesso mese 2010 Nuovo crollo del mercato Immatricolazioni auto, male anche in febbraio: -20,49% Il gruppo Fiat ha perso il 27,09%, attestandosi a 45.527 unità, contro le 62.441 dello stesso mese 2010 Marchionne, Montezemolo ed Elkann (Imagoeconomica) Marchionne, Montezemolo ed Elkann (Imagoeconomica) ROMA - Nuovo crollo del mercato dell'auto a febbraio, dopo il pesante -20,7% di gennaio. Il mese scorso - comunica il ministero dei Trasporti - la Motorizzazione ha immatricolato 160.329 autovetture, con un calo del 20,49% rispetto a febbraio 2010, quando furono immatricolate 201.641 autovetture. Nello stesso periodo ha registrato 408.440 trasferimenti di proprietà di auto usate, con una variazione di +11,49% rispetto a febbraio 2010, durante il quale furono registrati 366.341 trasferimenti di proprietà. Il volume globale delle vendite (568.769 autovetture) ha dunque interessato per il 28,19% auto nuove e per il 71,81% auto usate. FIAT: -27,09% - A febbraio 2011 le nuove immatricolazioni di Fiat Group Automobiles sono scese in Italia del -27,09% attestandosi a 45.527 unità, contro le 62.441 di febbraio 2010. A gennaio le vendite del gruppo torinese avevano subito una flessione del 27,76% a quota 47.918 unità. In precedenza Sergio Marchionne, al salone dell'auto di Ginevra, aveva detto che le immatricolazioni in Italia potrebbero andare peggio del previsto calo del 5%. Per l'Europa si conferma invece la stima del -3%. I dati di febbraio del mercato in Italia, ha aggiunto, "sono totalmente in linea con quello che mi aspettavo. Ad aprile cambieranno le cose. Facciamo scadere marzo che è l'ultimo mese del 2010" con gli incentivi e "poi cominciamo a fare l'analisi" per il futuro. 01 marzo 2011
2011-02-26 "Se il prezzo del petrolio cresce del 20%, il Pil cala di mezzo punto in tre anni" Draghi: "L'Italia stenta da 15 anni, riforme più coraggiose per le famiglie" Il Governatore di Bankitalia: "Ciò darebbe anche impulsi alla crescita". I salari dei giovani fermi da 10 anni * NOTIZIE CORRELATE * Draghi: "Per stimolare la crescita si prenda esempio dalla Germania" (14 febbraio 2011) "Se il prezzo del petrolio cresce del 20%, il Pil cala di mezzo punto in tre anni" Draghi: "L'Italia stenta da 15 anni, riforme più coraggiose per le famiglie" Il Governatore di Bankitalia: "Ciò darebbe anche impulsi alla crescita". I salari dei giovani fermi da 10 anni Mario Draghi (Fotogramma) Mario Draghi (Fotogramma) MILANO - "In Italia la crescita stenta da quindici anni" e i tassi di sviluppo "sono attorno all'1%" mentre la domanda interna rimane "debole". Lo afferma il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, che chiede "azioni riformatrici più coraggiose che migliorerebbero le aspettative delle imprese e delle famiglie e aggiungerebbero impulsi alla crescita". L'Italia, sottolinea Draghi al 17° congresso Forex degli operatori finanziari a Verona, "dispone di grandi risorse, ha molte aziende, una grande capacità imprenditoriale, la sua gente è laboriosa e parsimoniosa". CRISI LIBIA - Secondo il Governatore, "un aumento del 20% del prezzo del petrolio determina una minor crescita del prodotto interno lordo di mezzo punto percentuale nell'arco di tre anni". Per questo, ha spiegato, "le dimensioni umane e l'esito ancora incerto della sollevazione popolare che scuote la Libia preoccupano la comunità internazionale". L'impatto immediato di eventuali difficoltà di approvvigionamento di fonti energetiche dall'Africa settentrionale secondo Draghi "può essere contenuto dall'ampia capacità inutilizzata negli altri Paesi produttori, ma ci potrebbero essere "ripercussioni sulla crescita mondiale". SALARI INGRESSO FERMI DA 10 ANNI - "I salari di ingresso dei giovani sul mercato, in termini reali, sono fermi da oltre un decennio su livelli al di sotto di quelli degli anni Ottanta", ha riferito Draghi, secondo cui "la recessione ha reso più difficile la situazione. Il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 30%. Si accentua la dipendenza dalla ricchezza e dal reddito dei genitori, un fattore di forte iniquità sociale. È uno spreco di risorse che avvilisce i giovani e intacca gravemente l'efficienza del sistema produttivo". Redazione online 26 febbraio 2011
2011-02-20 GIOVANI E LAVORO Generazione call center: fuga in Albania multinazionale scippa commesse a Roma Sempre meno posti ai centralini con la delocalizzazione Il caso Teleperformance: in 3 sedi italiane impone il salario di solidarietà, ma intanto assume a Tirana * NOTIZIE CORRELATE * L'ultimo rifugio dei precari italiani minacciato dai non-immigrati (16 febb 11) * Crac da 11 milioni in ex Eutelia, parte il processo agli ex manager (1 febb 11) * Lo 06.06.06 rischia di chiudere per tagli (30 lug 10) * Atesia: in lotta anche i lavoratori del più grande call center d'Europa (17 mag '10) * Allarme alla Cronos: 67 esuberi (8 giu 10) * Leggi il blog dei "precari in linea" GIOVANI E LAVORO Generazione call center: fuga in Albania multinazionale scippa commesse a Roma Sempre meno posti ai centralini con la delocalizzazione Il caso Teleperformance: in 3 sedi italiane impone il salario di solidarietà, ma intanto assume a Tirana Uno dei call center di Teleperformance Uno dei call center di Teleperformance ROMA - Hanno trent’anni, una laurea e pochi sogni. Luca, Assunta e Andrea lavorano in un call center e raccontano bene un’intera generazione, "quella delle porte sbattute in faccia e dei curriculum senza risposta". Lavorano per una stessa azienda, la multinazionale Teleperformance, ma in tre sedi differenti (Roma, Fiumicino e Taranto) e - per colpa della crisi che minacciava di provocare 847 licenziamenti - hanno dovuto accettare un salario di solidarietà di circa 800-900 euro al mese. "Ora però la situazione va meglio, l’azienda ha preso altre commesse, ma ha deciso di investire in Albania" dicono. Eccolo il bubbone della delocalizzazione sulla pelle dei lavoratori. Le aziende spostano il business dove costa meno la manodopera come Tirana, Tunisi e Bucarest: poco importa che l’italiano sia stentato e la qualità del servizio rischia di abbassarsi. I lavoratori della società Teleperformance durante una protesta precedente l'accordo sui contratti di solidarietà I lavoratori della società Teleperformance durante una protesta precedente l'accordo sui contratti di solidarietà VITE NEL LIMBO – "Dopo la laurea in psicologia, il master e tante belle speranze, da sette anni rispondo al telefono" dice Assunta Linza, 32 anni, impiegata nella sede di Roma con un contratto part-time a tempo interminato. "È una pseudo garanzia da 800 euro mese che ti mette in un limbo - dice Assunta - Siamo in attesa che qualcosa migliori e ci culliamo in un falso benessere". Il suo stipendio, infatti, è totalmente assorbito dal mutuo della casa acquistata dopo il matrimonio. E i figli? "Non me la sento – confessa - Io e mio marito non facciamo la fame, ma non potremo mai permetterci un bambino. Soltanto l’asilo nido ci costerebbe 500 euro". 13 MILA POSTI A RISCHIO – Luca, Assunta e Andrea, sono tutti colleghi (e delegati sindacali): si sono incontrati nella Capitale per la terza "Conferenza nazionale delle lavoratrici e lavoratori dei call center" organizzata da Slc-Cgil (il principale sindacato del settore). Una riunione per richiamare l’attenzione sui problemi di un comparto che, nel 2011, conta 67 mila addetti in tutto il Paese. Il rischio maggiore si chiama delocalizzazione: 8mila posti di lavoro persi nell'ultimo biennio e altri 13mila ancora in bilico nei call center in outsourcing italiani (di cui 1.100 solo nel Lazio). Lavoratori in un call center (foto Emblema) Lavoratori in un call center (foto Emblema) DELOCALIZZAZIONE E PRIVACY - Sarebbero gli stessi committenti (i colossi della telefonia, gas, elettricità, trasporti, eccetera) a imporre vere e proprie "gare al ribasso": le aziende che si aggiudicano la gestione del servizio, quindi, sarebbero costrette ad andare all’estero per risparmiare sul costo dei lavoratori. Di esempi ce ne sono molti: "Noi abbiamo accettato i contratti di solidarietà per superare la crisi. Ma quando sono arrivate nuove importanti commesse, invece di investire qui, hanno trasferito il call center all’estero – dice Luca Alessandrini, 29 anni che lavora a Fiumicino - L’azienda si è giustificata sostenendo che, da contratto, la commessa imponeva solo il 30% del lavoro in Italia. Il resto, per risparmiare, è stato spostato in Albania". Una protesta dei precari di Teleper- formance a Roma Una protesta dei precari di Teleper- formance a Roma PRIVILEGIATI AL TELEFONO – La delocalizzazione non riguarda tutti. Ai clienti top - che di solito vengono privilegiati - continuano a rispondere operatori italiani. A quelli "normali", meno interessanti dal punto di vista commerciale, rispondono addetti albanesi, romeni, tunisini o argentini (nonostante il problema del fuso orario). "E questo comporta tutta una serie di problemi legati alla privacy. La normativa italiana è chiara e garantista e noi lavoriamo con mille cautele – aggiunge Alessandrini - Ma è lo stesso all’estero? Al telefono noi forniamo dati sensibili come il numero della carta di credito". MOBILITAZIONE PERMANENTE - Il sindacato Slc-Cgil ha annunciato una mobilitazione unitaria per fermare "una nuova e massiccia fase di delocalizzazioni, spinta e richiesta direttamente dai grandi committenti". "Su questo problema c’è una totale disattenzione del governo – attacca Susanna Camusso, segretario generale della Cgil –. Da più di un anno aspettiamo un tavolo ad hoc per affrontare il problema della delocalizzazione. Il ministero del Welfare poi, ha ridotto i controlli e così sono lievitati il lavoro nero e operazioni di questo tipo hanno favorito le imprese predone che prendono gli incentivi e poi scappano all’estero". Carlotta De Leo 20 febbraio 2011
2011-02-17 SABATO LA CONFERENZA NAZIONALE DI SLC-CGIL Call center: l'ultimo rifugio dei precari minacciato da schiere di non-immigrati Al centralino rispondono albanesi, romeni, tunisini: parlano un italiano stentato, ma costano molto meno A Roma, congresso nazionale di settore con Camusso * NOTIZIE CORRELATE * Crac da 11 milioni in ex Eutelia, parte il processo agli ex manager (1 febb 11) * Lo 06.06.06 rischia di chiudere per tagli (30 lug 10) * Atesia: in lotta anche i lavoratori del più grande call center d'Europa (17 mag '10) * Allarme alla Cronos: 67 esuberi (8 giu 10) SABATO LA CONFERENZA NAZIONALE DI SLC-CGIL Call center: l'ultimo rifugio dei precari minacciato da schiere di non-immigrati Al centralino rispondono albanesi, romeni, tunisini: parlano un italiano stentato, ma costano molto meno A Roma, congresso nazionale di settore con Camusso Una scena del film "Tutta la vita davanti", dedicato ai giovani dei call center Una scena del film "Tutta la vita davanti", dedicato ai giovani dei call center ROMA - Vite in standby nei call center di tutta Italia. Di quest’universo composto, per lo più, da donne under-40 laureate e precarie, hanno parlato film, documentari, libri e inchieste giornalistiche. Guadagnano meno di mille euro al mese. Fanno orari massacranti. Eppure rischiano di vedersi soffiare il posto da "colleghi" albanesi, romeni e tunisini che parlano un italiano più stentato ma costano molto meno. E l'ultima frontiera del precariato, la delocalizzazione dei call center. Se ne parlerà nella "Terza conferenza nazionale delle lavoratrici e lavoratori dei call center" organizzata a Roma venerdì 18 e sabato 19 febbraio da Slc-Cgil (il principale sindacato del settore) per fare il punto sul settore. Un call center a Roma Un call center a Roma TELEFONI TRASFERITI ALL'ESTERO - La delocalizzazione colpisce anche il Lazio: spariscono posti nei call center perchè i centralini sono stati spostati all'estero, ed ora impiegano schiere di non-immigrati; extracomunitari (ma anche cittadini comunitari, come i romeni), che non hanno più bisogno di arrivare in Italia per trovare lavoro presso una società tricolore. Alla conferenza di Roma, i delegati locali si ritroveranno insieme al Segretario della Cgil, Susanna Camusso, ad analizzare questo ed altri problemi di un settore duramente colpito dalla crisi (nel 2010 si sono persi 8mila posti di lavoro in tutta Italia) e avanzare nuove proposte. "Il Lazio è una delle regioni dove l’occupazione è più a rischio. Abbiamo diverse situazioni critiche che teniamo sotto osservazione", afferma Natascia Treossi, segretario Slc-Cgil di Roma e Lazio. Una protesta dei lavoratori Eutelia , società specializzata nella gestione di call center (foto Ansa) Una protesta dei lavoratori Eutelia , società specializzata nella gestione di call center (foto Ansa) 63 MILA ADDETTI IN ITALIA – Stando ai dati del sindacato aggiornati a settembre 2010, il comparto nazionale conta tra 63-64 mila addetti. Una buona fetta di questi, circa 11mila, lavora nei call center outsourcing (ovvero quelli che lavorano su commessa di grandi aziende) del Lazio. "La crisi continua a colpire – spiega la Treossi – nello scorso anno abbiamo perso 430 posti. A rischio poi, ci sono altri 1.100 lavoratori, circa il 10 per cento degli occupati nel settore in regione". L’emergenza continua ancora oggi e "purtroppo, alcune situazioni si sono aggravate". Un esempio da manuale: "La protesta dei 118 lavoratori della Herla di Pomezia che, a ottobre, sono dovuti salire sul tetto e occupare il call center perché non venivano pagati da un anno – ricorda la sindacalista -. Abbiamo ottenuto la cassa integrazione in deroga a zero ore, ma è scaduta lo scorso 31 dicembre e aspettiamo che la Regione Lazio la rinnovi". Manifestazione dei ragazzi del call center della Cronos (foto Faraglia) Manifestazione dei ragazzi del call center della Cronos (foto Faraglia) CONTRATTI E COMMESSE – A mettere a rischio il settore sono i repentini fallimenti e cessioni di rami d’azienda dei call center in outsourcing. "La Slc-Cgil ha chiesto di legare i contratti alle commesse – spiega la Treossi - cosicché se l’azienda fallisce o viene ceduta, i lavoratori continueranno a svolgere le stesse mansioni, ma saranno pagati da chi subentra". Un esempio positivo è proprio a Pomezia, dove lo scorso dicembre si è chiusa la vertenza dei 146 lavoratori della Cronos: "Dopo una trattativa serrata sono stati assunti dalla nuova società Comdata – aggiunge –. Azienda e lavoratori hanno fatto sacrifici, ma siamo riusciti a garantire i posti di lavoro. Ed entro giugno saranno ricollocati anche i pochi addetti rimasti finora esclusi dall’accordo". Protesta dei lavoratori del call center Atesia (Ansa) Protesta dei lavoratori del call center Atesia (Ansa) IL "DUMPING" SALARIALE - Dietro alcuni fallimenti o cessioni, però, non si nasconde la crisi economica. Le società preferiscono delocalizzare il servizio in Paesi dove il salario costa meno (Albania, Romania e Tunisia appunto). "Vogliamo inserire una clausola sociale contro il dumping salariale nel contratto nazionale – dice la Treossi –, perché questa gara a ribasso non tutela né l’occupazione né la qualità del servizio". In effetti, a rischio non è solo il lavoro in Italia (più costoso che altrove), ma anche la privacy. "La nostra normativa è molto garantista sul trattamento dei dati personali – conclude la sindacalista – ma non possiamo certo sapere se lo siano anche quelle albanesi, tunisine o romene. E non si tratta di un problema minore: molto spesso, al telefono forniamo dati sensibili come il numero della carta di credito o informazioni che riguardano la nostra salute". Carlotta De Leo 17 febbraio 2011
2011-02-15 L'a.d. del Lingotto in un'audizione alla Camera: "Sede legale ancora da scegliere" Marchionne: "Nessuno accusi la Fiat di abbandonare l'Italia" "Cuore a Torino per le attività europee, testa a Detroit per le americane, ma anche in Brasile e in Asia" L'a.d. del Lingotto in un'audizione alla Camera: "Sede legale ancora da scegliere" Marchionne: "Nessuno accusi la Fiat di abbandonare l'Italia" "Cuore a Torino per le attività europee, testa a Detroit per le americane, ma anche in Brasile e in Asia" Sergio Marchionne alla Camera Sergio Marchionne alla Camera MILANO - "Vorrei che fosse assolutamente chiara una cosa: nessuno può accusare la Fiat di comportamenti scorretti, di vivere alle spalle dello Stato o di voler abbandonare il Paese". Lo ha affermato Sergio Marchionne, insolitamente in giacca e cravatta, in un'audizione alla Camera. "Abbiamo progetti ambiziosi che partono proprio dall'Italia e si ispirano su uno sforzo globale". CUORE A TORINO, TESTA IN PIÙ POSTI - "Se il cuore della Fiat resterà a Torino, la testa deve essere in più posti", ha aggiunto l'amministratore delegato della Fiat. "A Torino per gestire le attività europee, a Detroit per quelle americane, ma anche in Brasile e, in futuro, una in Asia". Marchionne ha specificato che comunque una decisione sul quartier generale della Fiat non è stata ancora presa. "Una volta che Chrysler sarà quotata e avremo due società in due mercati diversi, si porrà un problema di governance. La scelta della sede legale non è ancora stata presa. Se si realizzeranno le condizioni" rispetto al progetto Fabbrica Italia, "allora il nostro Paese sarà in grado di mantenere la sede legale". CHRYSLER - Secondo l'a.d. del Lingotto, che ha parlato alle commissioni riunite Attività produttive, commercio, turismo e trasporti, poste e telecomunicazioni, "non è vero che solo Fiat ha salvato Chrysler, ma è vero anche il contrario: il nostro futuro è legato a doppio filo. "Mirafiori è l'emblema della tradizione industriale del Paese". MODELLI - Entro il 2014 Fiat produrrà un milione di vetture nei tre settori principali. Il lancio dei nuovi modelli è stato riposizionato a partire dalla seconda metà del 2011. "Quest'anno presenteremo sette prodotti nuovi", ha detto il capo della Fiat. "Tra i veicoli commerciali ci saranno 34 nuovi modelli nel giro di cinque anni, due terzi dei nuovi modelli saranno prodotti da Fiat, mentre 13 da Chrysler. Stiamo lavorando perché l'Alfa Romeo possa tornare sul mercato americano entro la fine del 2012". Il lancio della nuova Panda nello stabilimento di Pomigliano avverrà entro la fine dell'anno. SALARI - Marchionne ha aggiunto che la Fiat è pronta ad aumentare i salari portandoli ai livelli di Germania o Francia se incrementerà l'utilizzo degli impianti a una percentuale dell'80% rispetto all'attuale 40%. Negli accordi per Pomigliano e Mirafiori "non c'è nessuna clausola che penalizzi i lavoratori. Vengono mantenute inalterate tutte le condizioni positive che sono previste non solo dal nostro contratto collettivo, ma anche da tutti i trattamenti che la Fiat nel tempo ha riconosciuto alle proprie persone". Redazione online 15 febbraio 2011
LA PRODUZIONE TERMINERA' A FINE ANNO Fiat: Termini Imerese, siglato l'accordo per la riconversione Romani: "Integrale riassorbimento dei 1.500 lavoratori Fiat e aumento dell'occupazione a 3.300 persone LA PRODUZIONE TERMINERA' A FINE ANNO Fiat: Termini Imerese, siglato l'accordo per la riconversione Romani: "Integrale riassorbimento dei 1.500 lavoratori Fiat e aumento dell'occupazione a 3.300 persone Operai nello stabilimento di Termini Imerese in un'immagine di archivio Operai nello stabilimento di Termini Imerese in un'immagine di archivio MILANO - Investimenti totali per oltre un miliardo, ricollocazione integrale dei 1.500 dipendenti attuali, previsione di occupazione, una volta completato il piano, di circa 3.30 lavoratori. Sono gli elementi principali dell'accordo di programma per la riconversione dello stabilimento Fiat di Termini Imerese (Palermo), siglato lunedì sera. La firma è stata annunciata dal ministro per lo Sviluppo Economico, Paolo Romani. L'accordo è stato siglato dalla Fiat, dalla Regione Sicilia, dalla Provincia, dal Comune e dall'Asi (l'area di sviluppo industriale proprietaria dei terreni). È arrivato, quindi, l'ok ai sette progetti industriali inseriti nella short-list dall'advisor Invitalia. Sono previsti investimenti pubblici per 450 milioni: 100 milioni dal ministero e 350 milioni dalla Regione Sicilia. Complessivamente l'investimento, considerando l'apporto dei privati, è pari a oltre un miliardo. "AUMENTO DELL' OCCUPAZIONE" - "Questo accordo ha due sottolineature importanti - ha detto Romani -. Primo: la Fiat cede gli impianti (che cesseranno la produzione a fine 2011, ndr) a patto che ci sia la ricollocazione integrale di tutti gli attuali dipendenti dello stabilimento. Secondo: a fronte dei 1.500 dipendenti oggi impiegati in Fiat la previsione di occupazione, una volta che le sette aziende si saranno stabilite, è di circa 3.300 lavoratori". Romani ha sottolineato che "da una situazione di crisi ne abbiamo ricavato una straordinaria case history italiana di ristrutturazione aziendale e industriale che dà alla Sicilia la possibilità di raddoppiare l'occupazione". La firma ufficiale dell'intesa, ha detto Romani, è prevista per mercoledì 16 febbraio. Redazione online 14 febbraio 2011
l'anno scorso il gettito tributario ha fatto segnare una contrazione dello 0,97% Bankitalia: debito 2010 cresciuto del 4,3% Ha toccato quota 1.843,2 miliardi di euro contro i 1763,9 miliardi del 2009 l'anno scorso il gettito tributario ha fatto segnare una contrazione dello 0,97% Bankitalia: debito 2010 cresciuto del 4,3% Ha toccato quota 1.843,2 miliardi di euro contro i 1763,9 miliardi del 2009 Il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi (Imagoeconomica) Il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi (Imagoeconomica) MILANO - Sale del 4,3% in un anno il debito pubblico italiano che a fine 2010 si attesta a quota 1.843,2 miliardi di euro, contro i 1.763,9 miliardi di euro dell'anno precedente. È quanto emerge dal supplemento Finanza Pubblica al Bollettino statistico della Banca d'Italia. Il debito risulta comunque in lieve flessione rispetto al record di 1.868,6 miliardi toccato lo scorso novembre. GETTITO - Chiude invece con il segno meno l'anno 2010 sul fronte tributario. Il gettito tributario - secondo quanto calcolato dalla Banca d'Italia - ha segnato una contrazione dello 0,97%. È quanto emerge dalle statistiche pubblicate dal supplemento Finanza Pubblica al bollettino dell'istituto di via Nazionale. Gli incassi, secondo i dati al netto dei fondi speciali della riscossione, sono calati di 3,9 miliardi di euro attestandosi a 397,5 miliardi contro i 401,4 miliardi dell'anno precedente. Redazione online 14 febbraio 2011
L'intervista esce martedì sul FrankfUrter Allgemeine Zeitung Draghi: "Per stimolare la crescita si prenda esempio dalla Germania" Il governatore di Bankitalia: "Non siamo Paese a rischio" L'intervista esce martedì sul FrankfUrter Allgemeine Zeitung Draghi: "Per stimolare la crescita si prenda esempio dalla Germania" Il governatore di Bankitalia: "Non siamo Paese a rischio" Mario Draghi (Ansa) Mario Draghi (Ansa) MILANO - L'Europa ha bisogno di riforme per accelerare la crescita economica e in questo caso la Germania "deve servire da esempio" per gli altri Paesi. Lo ha detto il governatore della Banca d'Italia e membro del consiglio direttivo della Banca centrale europea, Mario Draghi, durante un'intervista al quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung che verrà pubblicata martedì. "La Germania ha migliorato la sua competitività attuando delle riforme strutturali. Questo deve essere il modello". [an error occurred while processing this directive] IL CASO ITALIA - "L'Italia non è un Paese a rischio", ha aggiunto Draghi. "L'indebitamento delle famiglie e delle imprese è tra i più bassi in Europa. La struttura industriale è molto diversificata e pertanto resistente. Il bilancio delle partite correnti è in equilibrio. Durante la crisi, il deficit di bilancio italiano durante la crisi non è aumentato come in altri Paesi. La durata media del debito pubblico italiano è aumentata a sette anni e tre mesi, il che ci protegge da problemi di finanziamento". L'Italia, insiste Draghi, non è più un Paese simbolo di instabilità. "Ma abbiamo bisogno", rileva, "di regole severe per ridurre l'indebitamento" e "di maggiore crescita".ì Redazione online 14 febbraio 2011(ultima modifica: 15 febbraio 2011)
2011-02-13 IL VERTICE - Berlusconi, Romani e sacconi a Palazzo Chigi con i vertici del Lingotto "La Fiat si espande nel mondo ma rimane con un cuore italiano" Confermati gli obiettivi di sviluppo con investimento da 20 miliardi. Sacconi: "Serve governabilità stabilimenti" IL VERTICE - Berlusconi, Romani e sacconi a Palazzo Chigi con i vertici del Lingotto "La Fiat si espande nel mondo ma rimane con un cuore italiano" Confermati gli obiettivi di sviluppo con investimento da 20 miliardi. Sacconi: "Serve governabilità stabilimenti" MILANO - "Fiat è una grande multinazionale che si sta espandendo nel mondo, ma che rimane con un cuore italiano", sintetizza il ministro dello Sviluppo, Paolo Romani, dopo l'incontro a Palazzo Chigi con i vertici del Lingotto. Per il ministro, l'ad Sergio Marchionne ed il presidente John Elkann hanno "confermato di voler investire in Italia", considerando il nostro Paese "un punto di partenza per un'azienda che vuole investire nel mondo intero, anche aprendo nuovi mercati". "Il Governo ha preso atto positivamente delle intenzioni manifestate dall'azienda e del suo ruolo sul mercato globale" ed ha inoltre "confermato che concorrerà a realizzare le migliori condizioni di competitività perché gli investimenti previsti in Italia siano il volano per raggiungere il più alto posizionamento rispetto ai concorrenti del settore", si legge in un comunicato diffuso da palazzo Chigi al termine dell'incontro con i vertici della Fiat. INVESTIMENTO DA 20 MILARDI - Sempre a quanto riporta il comunicato, "il presidente e l'amministratore delegato della Fiat, John Elkann e Sergio Marchionne, hanno confermato al Governo l'intenzione di perseguire gli obiettivi di sviluppo della multinazionale italiana, che prevede la crescita della produzione nel nostro Paese da 650 mila a 1 milione e 400 mila auto, un obiettivo sostenuto da un investimento di Fiat e Fiat Industrial per circa 20 miliardi di euro". È quanto si legge in un comunicato diffuso da palazzo Chigi al termine del tavolo con i vertici della Fiat. GOVERNABILITA' DEGLI STABILIMENTI - "Il futuro di Fiat, il suo radicamento in Italia, l'effettiva realizzazione degli altri investimenti ipotizzati sono condizionati alla governabilità degli stabilimenti", ha detto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, in conferenza stampa dopo l'incontro con Fiat. Su questo "abbiamo riconosciuto concordemente - ha aggiunto Sacconi - governo, regione, comune e provincia, l'importanza di relazioni industriali costruttive". È "questo il cuore del problema, lo abbiamo condiviso tutti", ha sottolineato. IL PROGETTO FABBRICA ITALIA - La futura governance della Fiat dipenderà dalla realizzazione "entro il 2014 del progetto Fabbrica Italia che potrà condizionare eventuale decisioni future sulla governance e non solo sulla sede", ha detto il sindaco di Torino Sergio Chiamparino. Marchionne "ha ribadito il mantenimento dell'italianità" ma, ha spiegato Chiamparino, questo "dipende dalla dinamica mondiale e dagli obiettivi che si prefigge giorno per giorno. La questione della sede coincide con il progetto Fabbrica Italia". La parolaccia del ministro BERSANI: ALLA BUON'ORA - Interpellato a margine dell'incontro a Milano per dare il via alla campagna elettorale del candidato sindaco Giuliano Pisapia, il segretario del Pd Pierluigi Bersani ha commentato: "Il vertice? Alla buon'ora, dopo un paio d'anni!". E ha spiegato di temere che "molte cose siano già successe". "Vedremo che cosa si farà di quelle che devono ancora succedere - ha detto -. Per esempio se io fossi lì avrei tante domande. Una, in particolare, se mi segnalano una multinazionale monoprodotto che ha quattro quartieri generali. Io non ne conosco una". Redazione online 12 febbraio 2011
2011-02-05 L’aD: stiamo allevando nuovi manager, quelli che potranno prendere il mio posto "Possibile fondere Fiat con Chrysler" Marchionne: potrebbe anche avere sede negli Usa. Alfa Romeo? Finché ci sono io non si vende * NOTIZIE CORRELATE * Sacconi: "Fiat negli Usa? Una vaga ipotesi, non la decisione" (5 febbraio 2011) L’aD: stiamo allevando nuovi manager, quelli che potranno prendere il mio posto "Possibile fondere Fiat con Chrysler" Marchionne: potrebbe anche avere sede negli Usa. Alfa Romeo? Finché ci sono io non si vende MILANO - Doveva essere un tranquillo incontro con concessionari e consulenti nordamericani. È diventata la sede del "niente è escluso". La fusione Fiat-Chrysler, intanto: e quella è comunque da tempo data per scontata. E poi, però, c'è quel che scontato non solo non era (e non è): rientrava semmai nella categoria delle accuse che Sergio Marchionne respingeva regolarmente al mittente. Portare la "testa" del gruppo a Detroit? "La radici restano a Torino", ha sempre risposto. E sul piatto, a dimostrazione, metteva Fabbrica Italia. Ora, invece: "Who knows?". "Chi può dirlo?". È solo uno dei tanti "scenari e alternative" da considerare "nei prossimi due o tre anni", ripete. E tuttavia: no, non si può escludere che la possibile, futura "nuova entità" abbia "una sede qui". Cioè negli Usa. C'è un po' di confusione sulla traduzione, lui parla di headquarter ed è difficile dire se intenda il quartier generale "base" o più semplicemente un "gemello" del Lingotto. Ma la sostanza non cambia. Anche se la seconda ipotesi è più nella logica delle cose — la doppia sede è già nei fatti — la frase è di quelle destinate a far riesplodere le polemiche. Cadrà come una bomba sul sindacato e sulla politica italiani. È a San Francisco, Marchionne. Davanti ha la platea della Jd Power. Discorso tranquillo. Le prospettive di Chrysler: "Il risanamento va avanti a un trend buonissimo, ripagheremo ogni cent ai governi di Usa e Canada". Quelle della Fiat e della prima integrazione "piena" con Alfa- Jeep insieme a Mirafiori: "Ho piena fiducia nel futuro dei due gruppi" e, a proposito, "l'Alfa io non la venderò mai". E le prospettive del management e sue personali: "Stiamo allevando i nuovi leader", quelli che "potranno prendere il mio posto". È a questo punto che entra nel vivo la sessione di domande. In Italia è ormai sera. Marchionne aveva appena ripetuto la filosofia del matrimonio Torino-Detroit: "I due gruppi sono perfettamente complementari, siamo in grado di affrontare sfide comuni ". È qui che arriva la domanda più ovvia: la fusione, allora, ci sarà? E se sì, dove sarà la sede? Ecco la molto meno ovvia risposta: "Nei prossimi due o tre anni potremmo guardare a una nuova entità. Potrebbe avere base qui". Secco. Non per gli americani: ma in Italia, e lui lo sa, l'effetto sarà ben diverso. Forse anche per questo precisa che "stiamo considerando diverse alternative e diversi scenari" e che tutto, dunque, è ipotetico: "Prima dobbiamo pensare all'integrazione, poi alla governance". Che va comunque, inevitabilmente, verso la doppia sede: Torino sullo stesso piano di Detroit. Ma da noi, intanto, Marchionne si prepari a nuove polemiche. E a parlare anche di questo quando, il 15 febbraio, andrà a illustrare i piani Fiat-Chrysler in Parlamento. Raffaella Polato Raffaella Polato 05 febbraio 2011
CAMUSSo: "GOVERNO CONVOCHI MARCHIONNE". Bersani: "Il governo chieda chiarimenti" Sacconi: "Fiat negli Usa? Una vaga ipotesi, non la decisione" Il ministro del Lavoro: "Garantisca trasparente e continuo confronto con le istituzioni e le parti sociali" * NOTIZIE CORRELATE * Marchionne: "Possibile fondere Fiat con Chrysler" (5 febbraio 2011) CAMUSSo: "GOVERNO CONVOCHI MARCHIONNE". Bersani: "Il governo chieda chiarimenti" Sacconi: "Fiat negli Usa? Una vaga ipotesi, non la decisione" Il ministro del Lavoro: "Garantisca trasparente e continuo confronto con le istituzioni e le parti sociali" Maurizio Sacconi (LaPresse) Maurizio Sacconi (LaPresse) MILANO - "Una vaga ipotesi non è una decisione, e non può quindi dar luogo al solito festival delle Cassandre". Così il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, commenta le dichiarazioni dell'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, sulla possibilità di realizzare entro due tre anni la fusione con Chrlyser e di trasferire la governance negli Usa. MARCHIONNE - "Una cosa è certa: l'Italia tutta, nelle sue componenti istituzionali come in quelle sociali prevalenti, si è guadagnata il diritto a conservare funzioni direzionali e progettuali - sottolinea il ministro -. E l'ulteriore evoluzione dell'efficienza dei siti produttivi può ancor più consolidare questa legittima aspettativa che il governo è decisamente intenzionato a far valere. A Marchionne - conclude - chiediamo la garanzia di un trasparente e continuo confronto con le istituzioni e le parti sociali". CAMUSSO - Per il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, il governo dovrebbe "convocare Sergio Marchionne". "Che si discuta il piano industriale", ha affermato a margine di una manifestazione di Libertà e Giustizia al Palasharp a Milano, "che si discuta finalmente delle cose vere invece che di trattare male i lavoratori. BERSANI - Sulla setssa falsariga anche Bersani intervenendo all'Assemblea nazionale del Pd: "Per l'amor di Dio! - ha esclamato Bersani - Sono stato ministro anche io. Io chiamerei Marchionne e gli direi: 'dopo averci spiegato come si organizzano i turni e le pause, vuoi dirci cosa succede sulle prospettive con la Chrysler?"'. "Non vorrei - ha proseguito - che per i 150 anni dell'unità d'Italia, il regalo per Torino e l'Italia sia quello di diventare la periferia di Detroit. Perché noi non siamo mica d'accordo. Vogliamo risposte - ha concluso - sugli investimenti". Redazione online 05 febbraio 2011
SFRUTTAMENTO LAVORATIVO Primo: non sostituire i dipendenti. Le 10 regole contro gli "stage-truffa" La Cgil lancia una campagna e un sito per tutelare l'entrata nelle azienda dei giovani SFRUTTAMENTO LAVORATIVO Primo: non sostituire i dipendenti. Le 10 regole contro gli "stage-truffa" La Cgil lancia una campagna e un sito per tutelare l'entrata nelle azienda dei giovani ROMA — Un decalogo per difendersi dagli stage-truffa. E una campagna per suggerire ai più giovani come difendersi dallo sfruttamento lavorativo, perché nel 2008 soltanto 9 stagisti su 100 hanno trovato un lavoro, sia pure precario, dopo uno stage. È la campagna lanciata dal segretario della Cgil, Susanna Camusso, che prevede tra l’altro, l’istituzione di una bacheca online che ospiterà le denunce sugli stage-truffa. La Cgil chiede a governo e Regioni norme che prevedano sanzioni per chi non rispetta le regole e rafforzino i limiti su durata massima, numero di stagisti in azienda e divieto di proroga. RIMBORSO SPESE - Ma ecco, in sintesi, il decalogo: 1) Stage e tirocinio devono essere fondati su un progetto formativo, definito da una convenzione tra l’ente promotore, l’ente ospitante e lo stagista. 2) Gli stagisti devono essere inseriti in (o aver da poco concluso) percorsi formativi. 3) Lo stagista ha diritto a un Tutor. 4) Lo stagista non può sostituire personale dipendente. 5) È consentito un limite massimo di stagisti in proporzione al personale. 6) La durata di uno stage è commisurata al progetto formativo. 7) Lo stage non può essere prorogato. 8) Lo stagista deve esser messo in condizione di formarsi. 9) Allo stagista devono essere riconosciuti pari diritti rispetto ai dipendenti su servizi-mensa, buoni-pasto, trasporti, alloggio, assicurazione infortunistica e tutte le norme previste sulla salute e sicurezza. 10) Lo stagista ha diritto a un rimborso spese di 400 euro a titolo di borsa di studio. Redazione online 04 febbraio 2011
2011-01-04 accordo sul regime transitorio sugli aumenti salariali legati alla produttività Pubblico impiego, Cgil lascia il tavolo Intesa firmata da Cisl e Uil. Camusso attacca: "Corrono in soccorso al governo". Verso mobilitazione della Cgil accordo sul regime transitorio sugli aumenti salariali legati alla produttività Pubblico impiego, Cgil lascia il tavolo Intesa firmata da Cisl e Uil. Camusso attacca: "Corrono in soccorso al governo". Verso mobilitazione della Cgil Susanna Camusso (Lapresse) Susanna Camusso (Lapresse) MILANO - Cgil lascia il tavolo con il governo in cui l'esecutivo ha presentato ai sindacati il testo dell'accordo sul regime transitorio sugli aumenti salariali legati alla produttività nel pubblico impiego. L'intesa, oltre a Cisl e Uil, è stata firmata anche da Ugl, Usae, Confsal e Cida. Hanno detto no Cgil, Cgu, Cisal, Confedir, Cosmed, Cse e Rdb-Usb. CAMUSSO ALL'ATTACCO - Dure le parole del leader della Cgil, Susanna Camusso, dopo la rottura: "L'accordo firmato da Cisl e Uil sui salari di produttività nel pubblico impiego è una presa in giro dei lavoratori". Diretto l'attacco alle altre due organizzazioni dei lavoratori: "Siamo di fronte a sindacati che corrono in soccorso al governo che è un po' claudicante". LA RISPOSTA - Immediata la replica di Bonanni: " Mi dispiace della caduta di stile di Susanna Camusso, perché noi siamo i rappresentanti di milioni di lavoratori e non prendiamo in giro nessuno. Ho molti dubbi sulla caratura sindacale di comportamenti come quelli che ci tocca sopportare. Non lancio ingiurie, ma continueremo a fare il nostro lavoro sindacale e lo faremo sempre di più". Venendo all'accordo siglato, Bonanni ha commentato che le "buste paga di tutti i lavoratori del pubblico impiego avranno esattamente quello che è stato pattuito, senza un euro in meno". Anche Pirani ha replicato alla Camusso: "Non è manifestando solo il dissenso che si salvano le ragioni del sindacato, ma è risolvendo problemi concreti che il sindacato potrà continuare a essere credibile in Italia. Non comprendo le motivazioni per cui la Cgil non ha firmato un accordo che migliora le condizioni". BRUNETTA: "SODDISFAZIONE" - Il ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, ha espresso "grande soddisfazione" per la firma dell'intesa. MOBILITAZIONE - Si va verso una mobilitazione nazionale generale dei lavoratori del pubblico impiego della Cgil. Lunedì 7 - secondo quanto si apprende - è prevista una riunione della Fp-Cgil e della Flc per valutare un cammino di mobilitazione dei lavoratori del settore. Martedì 8 ci sarà una riunione straordinaria dei segretari generali regionali della funzione pubblica per decidere le forme di mobilitazione della categoria. Non è escluso che si arrivi a uno sciopero generale della categoria entro la fine di marzo contro il blocco dei contratti, l'accordo separato di venerdì e per il rinnovo urgente delle rappresetanze sindacali del pubblico impiego. INTESA - Questi in sintesi i punti dell'intesa: 1. Le parti convengono sulla necessità di realizzare un sistema di relazioni sindacali che persegua condizioni di produttività ed efficienza del pubblico impiego tali da consentire il rafforzamento del sistema produttivo e il miglioramento delle condizioni lavorative 2. Le retribuzioni complessive, comprensive della parte accessoria, conseguite dai lavoratori nel corso del 2010, non devono diminuire 3. Al fine di non pregiudicare le attuali retribuzioni dei dipendenti pubblici si è stabilito che i premi previsti dalla riforma Brunetta possano essere finanziati solo con le risorse derivanti da risparmi di gestione 4. Saranno costituite commissioni paritetiche con il compito di monitorare e analizzare i risultati prodotti 5. Quanto alle relazioni sindacali, l'accordo prevede una direttiva all'Aran per trattare un contratto collettivo quadro che tenga conto dell'intera cornice normativa vigente in materia ai fini dell'applicazione del decreto legislativo n. 150/2009.
2011-01-01 Ma diminuiscono nel complesso le persone in cerca di occupazione Disoccupazione giovanile a livelli record L'Istat: a dicembre il tasso per la generazione tra i 15 e i 24 anni è salito al 29%. E' il dato più alto dal 2004 Ma diminuiscono nel complesso le persone in cerca di occupazione Disoccupazione giovanile a livelli record L'Istat: a dicembre il tasso per la generazione tra i 15 e i 24 anni è salito al 29%. E' il dato più alto dal 2004 Giovani precari ad una manifestazione a Roma (Fotogramma) Giovani precari ad una manifestazione a Roma (Fotogramma) ROMA - Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a dicembre è salito al 29% dal 28,9% di novembre, segnando così un nuovo record, si tratta, infatti, del livello più alto dall'inizio delle serie storiche mensili, ovvero dal gennaio del 2004. Lo comunica l'Istat in base a dati destagionalizzati e a stime provvisorie. Il tasso di disoccupazione a dicembre, invece, resta stabile all'8,6%, lo stesso livello già registrato a novembre (rivisto al ribasso dall'8,7%). PROSPETTIVE PIU' SERENE - Il numero delle persone in cerca di occupazione a dicembre risulta, rispetto a novembre, in diminuzione dello 0,5%, ovvero di 11 mila unità, una discesa dovuta esclusivamente alle donne. Inoltre, il numero di occupati a livello congiunturale rimane invariato, con un tasso di occupazione stabile al 57% su base mensile. I tecnici dell'Istat spiegano che "a chiusura del 2010 le condizioni del mercato del lavoro appaiono un po' più serene, da autunno l'occupazione ha smesso di scendere e la disoccupazione nell'ultimo bimestre, novembre e dicembre, ha preso a calare. L'unico elemento che stona - aggiungono - è la disoccupazione giovanile, che ancora una volta torna a scalare posizioni, segnando un nuovo record". IL MINISTRO SACCONI - "Nella rilevazione mensile dell'Istat il mercato del lavoro si conferma stabile in un contesto europeo altrettanto stabile". Lo sottolinea il ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, spiegando che "si è fermata la caduta dell'occupazione tanto che rispetto al mese si registrano 11 mila disoccupati in meno". "Il tasso di disoccupazione italiano è all'8,6% - prosegue il ministro - quasi un punto e mezzo al di sotto della media europea. La crescita in tutto l'Occidente, anche per i caratteri di selettività che la contraddistinguo, non è sempre accompagnata da nuova occupazione e spesso si traduce come in Italia in aumento delle ore lavorate da parte degli stessi occupati. Le incertezze che permangono sulla ripresa contraggono le nuove assunzioni - rileva - e inducono a consolidare anche attraverso gli ammortizzatori sociali i rapporti di lavoro in essere. Per i giovani - ricorda Sacconi - il Piano del Governo, anche con misure specifiche di incentivazione, si rivolge soprattutto all'investimento nelle competenze e, in particolare, ai contratti di apprendistato che integrano apprendimento e esperienza lavorativa". L'OPPOSIZIONE ALL'ATTACCO - Non si è fatta attendere anche la voce dell'opposizione. Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, ha detto che ci troviamo davanti a un'altra "pessima notizia dal fronte lavoro. Ancora un aumento dei lavoratori e delle lavoratrici che, perchè scoraggiati, rinunciano a cercare lavoro. Le generazioni più giovani - dice - passano dalla precarietà alla disoccupazione senza speranza. Non è soltanto conseguenza della crisi globale, è anche colpa grave di un governo concentrato da mesi sulle ragazzine a casa Berlusconi e di un ministro del Lavoro impegnato a tempo pieno a dividere i sindacati e a colpire i diritti dei lavoratori. Berlusconi si deve dimettere. L'Italia ha bisogno di un governo per le riforme, per la crescita e il lavoro". (Fonte: Ansa) 01 febbraio 2011
2011-01-29 LA MOBILITAZIONE - tensioni davanti alla sede di assolombarda Metalmeccanici e studenti in piazza Caos traffico in centro Fiom, migliaia di manifestanti. La Cub manifesta ad Arcore. Scuole, slogan contro il premier LA MOBILITAZIONE - tensioni davanti alla sede di assolombarda Metalmeccanici e studenti in piazza Caos traffico in centro Fiom, migliaia di manifestanti. La Cub manifesta ad Arcore. Scuole, slogan contro il premier MILANO - Migliaia di manifestanti hanno sfilato per le vie di Milano per il corteo della Fiom Cgil, organizzato a Milano in occasione dello sciopero nazionale della categoria. Secondo gli organizzatori, da tutta la Lombardia sono arrivati 90 pullman. In testa al lunghissimo corteo Giuliano Pisapia, Onorio Rosati della Camera del Lavoro di Milano, Maria Sciancati, segretario regionale della Cgil, don Andrea Gallo, Gad Lerner e molti esponenti della sinistra cittadina. Il segretario nazionale Maurizio Landini ha percorso tutto il corteo, salutando diversi manifestanti. Numerose le manifestazioni di stima nei confronti del sindacalista tra applausi e incitazioni a "tenere duro". "Maurizio difendici", uno dei messaggi ricorrenti. Lungo il corteo numerosi striscioni, tra i quali una rappresentazione della prima pagina del contratto nazionale siglato il 20 gennaio 2008 unitariamente, che Federmeccanica ha annunciato il recesso lo scorso settembre. "Gli operai - si leggeva un altro striscione della Fiom di Brescia - producono per tutti, non saremo mai vostri schiavi". Presenti anche i lavoratori della Scala di Milano con lo striscione "La Scala si inFiomma". Insieme a Landini il segretario generale della Lombardia Mirco Rota, la segretaria generale di Milano Maria Sciancati, i segretari generali della Cgil di Milano e Lombardia, Onorio Rosati e Nino Baseotto, e il senatore Antonio Pizzinato, che fu segretario generale della Cgil dopo Luciano Lama. La Cub ha invece manifestato ad Arcore davanti a Villa San Martino, residenza del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro Il corteo degli studenti (Newpress) Il corteo degli studenti (Newpress) IL CORTEO DEGLI STUDENTI - Un corteo composto da circa un migliaio tra studenti delle medie superiori, antagonisti e militanti dell'Unione sindacale di base (Usb) si è mosso in contemporanea da piazza Cairoli per una manifestazione parallela a quella della Fiom. Tra musica e slogan contro Berlusconi, studenti e lavoratori si sono mossi in corteo lungo via Carducci, De Amicis, Missori, Mazzini, Orefici, Cordusio, guardati a vista dalle forze dell'ordine. Al corteo si sono uniti anche il centro sociale Cantiere, alcuni collettivi della sinistra antagonista e alcuni lavoratori della scuola. Lungo il percorso, alcuni manifestanti hanno lanciato uova, vernice e petardi contro le sedi di Enel, Edison, dell'istituto privato De Amicis e della sede dell'università Cattolica, in via Carducci. Il corteo era aperto da uno striscione che recitava "Scuola - Diritti - Futuro: voi ve ne fregate, noi ce ne occupiamo!". "Tra magna magna e bunga bunga si sono mangiati tutto... cacciamoli!", era scritto su un'altro striscione. "Fund our future" ("Finanziate il nostro futuro") e "Que se vayan todos!" sono stati tra gli slogan più cantati nel corteo. TENSIONI DAVANTI AD ASSOLOMBARDA - Un centinaio di giovani antagonisti, staccatosi dalla manifestazione della Fiom in piazza del Duomo, si è scontrato poco prima delle 12.30 all'incrocio tra via Pantano e via Larga a Milano con la polizia schierata a presidio della sede di Assolombarda. I ragazzi, che hanno lanciato petardi e fumogeni, sono stati respinti con una carica di alleggerimento a cui hanno risposto lanciando alcune bottiglie. È volata qualche manganellata, poi i giovani sono confluiti in via Baracchini. Gli antagonisti sono giunti in corteo insieme con alcuni consigli di fabbrica ed operai, occupando lo spazio davanti a via Pantano lasciato libero da circa 300 lavoratori dello Slai Cobas e studenti che poco prima avevano tenuto un presidio. I manifestanti hanno poi sciolto il corteo e sono rientrati alla spicciolata in parte all'università Statale di via Festa del perdono e in parte nella "Casa dello sciopero", l'edificio occupato di via De Amicis. IL COMIZIO - "Le piazze sono strapiene in tutta Italia e le fabbriche si sono svuotate", ha detto il segretario della Fiom Landini ai giornalisti, prima di salire sul palco di una Piazza Duomo gremita per il suo comizio. "Se gli industriali fanno quello che fa Fiat creano un conflitto che non ha precedenti nel nostro Paese. Noi vogliamo fare accordi, che le aziende lavorino, che i diritti siano estesi. Offriamo terreno di confronto per affrontare la questione ma garantendo diritti e lavoro". Alla fine del suo intervento, Landini ha invocato lo sciopero generale dicendo: "Se vogliamo dare una prospettiva ai giovani, ai precari e unire tutti i lavoratori, abbiamo bisogno che si metta in campo anche lo sciopero generale di tutti i lavoratori. Ne abbiamo bisogno per ridare voce al Paese". Gad Lerner, invitato dalla Fiom Cgil ad intervenire dal palco, ha parlato del tema della giustizia sociale, un tema che "non è stato più nemmeno al centro dell'attenzione dei partiti della sinistra: ci si è dimenticati, caduto il mito della classe operaia, che quella classe è fatta di tante persone in carne ed ossa". Redazione online 27 gennaio 2011(ultima modifica: 28 gennaio 2011)
2011-01-28 LA MOBILITAZIONE - tensioni davanti alla sede di assolombarda Metalmeccanici e studenti in piazza Caos traffico in centro Fiom, migliaia di manifestanti. La Cub manifesta ad Arcore. Scuole, slogan contro il premier LA MOBILITAZIONE - tensioni davanti alla sede di assolombarda Metalmeccanici e studenti in piazza Caos traffico in centro Fiom, migliaia di manifestanti. La Cub manifesta ad Arcore. Scuole, slogan contro il premier MILANO - Migliaia di manifestanti hanno sfilato per le vie di Milano per il corteo della Fiom Cgil, organizzato a Milano in occasione dello sciopero nazionale della categoria. Secondo gli organizzatori, da tutta la Lombardia sono arrivati 90 pullman. In testa al lunghissimo corteo Giuliano Pisapia, Onorio Rosati della Camera del Lavoro di Milano, Maria Sciancati, segretario regionale della Cgil, don Andrea Gallo, Gad Lerner e molti esponenti della sinistra cittadina. Il segretario nazionale Maurizio Landini ha percorso tutto il corteo, salutando diversi manifestanti. Numerose le manifestazioni di stima nei confronti del sindacalista tra applausi e incitazioni a "tenere duro". "Maurizio difendici", uno dei messaggi ricorrenti. Lungo il corteo numerosi striscioni, tra i quali una rappresentazione della prima pagina del contratto nazionale siglato il 20 gennaio 2008 unitariamente, che Federmeccanica ha annunciato il recesso lo scorso settembre. "Gli operai - si leggeva un altro striscione della Fiom di Brescia - producono per tutti, non saremo mai vostri schiavi". Presenti anche i lavoratori della Scala di Milano con lo striscione "La Scala si inFiomma". Insieme a Landini il segretario generale della Lombardia Mirco Rota, la segretaria generale di Milano Maria Sciancati, i segretari generali della Cgil di Milano e Lombardia, Onorio Rosati e Nino Baseotto, e il senatore Antonio Pizzinato, che fu segretario generale della Cgil dopo Luciano Lama. La Cub ha invece manifestato ad Arcore davanti a Villa San Martino, residenza del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro Il corteo degli studenti (Newpress) Il corteo degli studenti (Newpress) IL CORTEO DEGLI STUDENTI - Un corteo composto da circa un migliaio tra studenti delle medie superiori, antagonisti e militanti dell'Unione sindacale di base (Usb) si è mosso in contemporanea da piazza Cairoli per una manifestazione parallela a quella della Fiom. Tra musica e slogan contro Berlusconi, studenti e lavoratori si sono mossi in corteo lungo via Carducci, De Amicis, Missori, Mazzini, Orefici, Cordusio, guardati a vista dalle forze dell'ordine. Al corteo si sono uniti anche il centro sociale Cantiere, alcuni collettivi della sinistra antagonista e alcuni lavoratori della scuola. Lungo il percorso, alcuni manifestanti hanno lanciato uova, vernice e petardi contro le sedi di Enel, Edison, dell'istituto privato De Amicis e della sede dell'università Cattolica, in via Carducci. Il corteo era aperto da uno striscione che recitava "Scuola - Diritti - Futuro: voi ve ne fregate, noi ce ne occupiamo!". "Tra magna magna e bunga bunga si sono mangiati tutto... cacciamoli!", era scritto su un'altro striscione. "Fund our future" ("Finanziate il nostro futuro") e "Que se vayan todos!" sono stati tra gli slogan più cantati nel corteo. TENSIONI DAVANTI AD ASSOLOMBARDA - Un centinaio di giovani antagonisti, staccatosi dalla manifestazione della Fiom in piazza del Duomo, si è scontrato poco prima delle 12.30 all'incrocio tra via Pantano e via Larga a Milano con la polizia schierata a presidio della sede di Assolombarda. I ragazzi, che hanno lanciato petardi e fumogeni, sono stati respinti con una carica di alleggerimento a cui hanno risposto lanciando alcune bottiglie. È volata qualche manganellata, poi i giovani sono confluiti in via Baracchini. Gli antagonisti sono giunti in corteo insieme con alcuni consigli di fabbrica ed operai, occupando lo spazio davanti a via Pantano lasciato libero da circa 300 lavoratori dello Slai Cobas e studenti che poco prima avevano tenuto un presidio. I manifestanti hanno poi sciolto il corteo e sono rientrati alla spicciolata in parte all'università Statale di via Festa del perdono e in parte nella "Casa dello sciopero", l'edificio occupato di via De Amicis. Gad Lerner e don Andrea Gallo (Fotogramma) Gad Lerner e don Andrea Gallo (Fotogramma) IL COMIZIO - "Le piazze sono strapiene in tutta Italia e le fabbriche si sono svuotate", ha detto il segretario della Fiom Landini ai giornalisti, prima di salire sul palco di una Piazza Duomo gremita per il suo comizio. "Se gli industriali fanno quello che fa Fiat creano un conflitto che non ha precedenti nel nostro Paese. Noi vogliamo fare accordi, che le aziende lavorino, che i diritti siano estesi. Offriamo terreno di confronto per affrontare la questione ma garantendo diritti e lavoro". Alla fine del suo intervento, Landini ha invocato lo sciopero generale dicendo: "Se vogliamo dare una prospettiva ai giovani, ai precari e unire tutti i lavoratori, abbiamo bisogno che si metta in campo anche lo sciopero generale di tutti i lavoratori. Ne abbiamo bisogno per ridare voce al Paese". Gad Lerner, invitato dalla Fiom Cgil ad intervenire dal palco, ha parlato del tema della giustizia sociale, un tema che "non è stato più nemmeno al centro dell'attenzione dei partiti della sinistra: ci si è dimenticati, caduto il mito della classe operaia, che quella classe è fatta di tante persone in carne ed ossa". Redazione online 27 gennaio 2011(ultima modifica: 28 gennaio 2011)
BILANCIO POSITIVO Fiat, ritorno all'utile netto nel 2010 Risultato di 600 milioni. Quasi dimezzato l'indebitamento netto industriale. dividendo complessivo di 152 milioni BILANCIO POSITIVO Fiat, ritorno all'utile netto nel 2010 Risultato di 600 milioni. Quasi dimezzato l'indebitamento netto industriale. dividendo complessivo di 152 milioni MILANO - Ritorno all'utile nel 2010 per il gruppo Fiat: 600 milioni di risultato netto contro una perdita di 848 milioni, in miglioramento di un miliardo di euro se si escludono gli oneri atipici. Dei 600 milioni di risultato netto, 222 sono relativi a Fiat Post Scissione e 378 milioni a Fiat Industrial. Il consiglio di amministrazione, che ha approvato i conti dell'esercizio, proporrà un dividendo totale per il 2010, per le tre classi di azioni di Fiat Spa, pari a 152 milioni di euro (escludendo le azioni proprie). Le azioni ordinarie, se la proposta del consiglio sarà approvata, riceveranno un dividendo unitario di 9 centesimi , mentre alle ordinarie e alle risparmio andranno 31 centesimi. Per il 2011, considerato un anno di transizione, è previsto un pagamento del 25% dell'utile consolidato sia per Fiat sia per Fiat Industrial, con un minimo di 50 milioni per la prima e di 100 milioni per la seconda. DEBITI QUASI DIMEZZATI - L'indebitamento netto industriale si è ridotto significativamente a 2,4 miliardi (era pari a 4,4 miliardi di euro a fine 2009). Questo riflette "la positiva performance operativa di tutti i business", si legge nella nota del consiglio di amministrazione. La ripartizione dell'indebitamento netto industriale tra Fiat Post Scissione e Fiat Industrial, che tiene conto degli effetti della scissione avvenuta il primo gennaio 2011, è di 0,5 miliardi di euro e 1,9 miliardi di euro rispettivamente. RICAVI PIU' 12% - Per quanto riguarda gli altri dati di bilancio, i ricavi 2010 sono ammontati a 56,3 miliardi di euro, in crescita del 12,3% rispetto al 2009, mentre l'utile della gestione ordinaria del gruppo ha raggiunto i 2,2 miliardi di euro (1,1 miliardi di euro nel 2009). Fiat Post Scissione ha registrato un utile della gestione ordinaria di 1,1 miliardi di euro e un margine sui ricavi del 3,1% (736 milioni di euro e 2,3% dei ricavi nel 2009), con un contributo del business delle Automobili pari a 934 milioni di euro (in aumento di 215 milioni di euro rispetto al 2009). Fiat Industrial ha riportato un utile di 1,1 miliardi di euro e un margine sui ricavi del 5,1% (322 milioni di euro e 1,8% dei ricavi nel 2009), con utili della gestione ordinaria più che raddoppiati per Cnh e Iveco. Redazione online 27 gennaio 2011
LA PROTESTA NELLO STABILIMENTO DEL FRUSINATE Fiom, studenti bloccano stazione Fs Sciopero alla Fiat di Cassino Sgombrati i manifestanti che bloccavano i binari a Colleferro per solidarietà coi metalmeccanici. Operai in corteo: no all'esportazione modello Marchionne * NOTIZIE CORRELATE * Con la Fiom anche giovani Pdl: combattiamo per nostro futuro (28 gen'11) * Studenti di nuovo in corteo con i cobas (27 genn 11) * Pullman e treni: tute blu e giovani verso Cassino per lo sciopero (27 genn 11) * Il sito di Officina Futura LA PROTESTA NELLO STABILIMENTO DEL FRUSINATE Fiom, studenti bloccano stazione Fs Sciopero alla Fiat di Cassino Sgombrati i manifestanti che bloccavano i binari a Colleferro per solidarietà coi metalmeccanici. Operai in corteo: no all'esportazione modello Marchionne La protesta dei lavoratori Fiom a Cassino (Ansa) La protesta dei lavoratori Fiom a Cassino (Ansa) CASSINO - E' tornata alla normalità la situazione alla stazione ferroviaria di Colleferro, dove i manifestanti diretti a Cassino hanno occupato i binari, ma sono stati poi convinti a sgombrare. Ed è in pieno svolgimento lo sciopero degli operai metalmeccanici del Lazio raccolti nella cittadina del Frusinate che ospita lo stabilimento Fiat dove si producono Bravo, Lancia Delta e Giulietta. Successo per la Fiom che conta 10mila manifestanti, mentre da Torino ridimensionano il dato dell'adesione in fabbrica. NO A MARCHIONNE - Migliaia di manifestanti sono entrati in piazza De Gasperi per il comizio finale, mentre palloncini e bandiere rosse dominavano il corteo che viaggiava al ritmo dei tamburi battuti dagli studenti: i giovani hanno aderito alla mobilitazione "Da Pomigliano a Mirafiori a Cassino il lavoro è un bene comune. Difendiamo ovunque contratti e diritti". Un corteo per dire 'no' alla "esportazione del modello dell'accordo Marchionne" nello stabilimento Fiat del frusinate. "Questo sciopero - hanno gridato al megafono i sindacalisti Fiom - è per impedire che vengano lesi tutti i diritti dei lavoratori, per dire 'no' a un accordo autoritario e antidemocratico". Al fianco dei lavoratori hanno sfilato anche il segretario generale della Cgil del Lazio, Claudio Di Berardino, il segretario regionale della Fiom, Canio Calitri, consiglieri regionali e provinciali. Il corteo partito dalla stazione cittadina si è diretto alla piazza centrale di Cassino. In piazza a Cassino (Ansa) In piazza a Cassino (Ansa) LE CIFRE - Balletto di cifre sull'adesione degli operai dello stabilimento Fiat di Piedimonte San Germano. Secondo le stime della Fiom hanno aderito oltre il 65% degli operai. Molti di loro questa mattina stanno manifestando in piazza Miranda da dove si è mosso il corteo organizzato per dire no al 'modello Marchionne'. Dalla piazza, il delegato Rsu Fiom dello stabilimento di Cassino, Pompeo Rasi, riferisce: "Oggi, secondo le nostre stime, ha aderito allo sciopero più del 65% dei lavoratori di Cassino. Questa mattina la Fiat ha abbassato di oltre la metà gli obiettivi di produzione, spostando la cosiddetta 'impostazione' delle vetture da produrre da 460 a 230". TORINO: UN FLOP - Da Lingotto arrivano altre cifre. "Flop dello sciopero indetto dalla Fiom nei tre stabilimenti Fiat Auto che oggi sono al lavoro". Lo sostiene la Fismic secondo la quale "a Cassino c'è stata un'adesione del 13%, alla Sevel del 23% e a Melfi del 9,9% , mentre a Mirafiori e Pomigliano i lavoratori sono in cassa integrazione e quindi non possono esserci riscontri". "I bassi tassi di adesione - afferma il Segretario Generale della Fismic, Roberto Di Maulo - dimostrano che la politica estremistica della Fiom non fa presa sui lavoratori". Il treno bloccato a Colleferro (Agfroma) Il treno bloccato a Colleferro (Agfroma) PARLANO GLI OPERAI - "Siamo qui per chiedere che il contratto nazionale non sia toccato da nessuno, per nessun motivo", dice Fabio Lopetuso, 43 anni, da 20 impiegato in un'azienda metalmeccanica, la Site, che si occupa di installare impianti telefonici. "Le aziende hanno strumenti legali per abbassare i costi- continua- come la cessione di rami d'azienda, o la divisione dell'azienda stessa, come ha fatto Marchionne con la Fiat. Invece, levando i diritti non si risolve nulla: un lavoratore privato dei diritti rischia la salute e sicuramente non produce come potrebbe". È d'accordo anche Andrea Romito, 49 anni, metalmeccanico da 21: "I colletti bianchi non sanno cosa vuol dire stare tutto il giorno davanti a una macchina. Solo chi lavora in catena sa davvero cosa significa quello che ci stanno facendo". POLITICI IN PIAZZA - Alla manifestazione, sono presenti anche il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, rappresentanti di Sinistra Ecologia e Libertà, Federazione della Sinistra, studenti e lavoratori, e Fausto Bertinotti, che si è detto fortemente critico nei confronti dei vertici Fiat. "Marchionne, con il suo progetto, ha riportato indietro le lancette dell'orologio a prima della Costituzione italiana. La speranza per il nostro Paese ora sono i giovani", ha detto appena giunto a Cassino. Il camion dei Cobas in piazza Venezia a Roma Il camion dei Cobas in piazza Venezia a Roma CORTEO A ROMA - Si è svolto senza particolari problemi il corteo dei Cobas a Roma che partendo da piazza della Repubblica con un lungo camion tappezzato di bandiere rosse ha raggiunto piazza Venezia. Qui un comizio tenuto dal leader dei Cobas Piero Bernocchi ha bloccato la piazza per circa una mezz'ora, impedendo così al traffico cittadino di passare. In piazza anche gruppi di studenti. Come sempre, camionette delle forze dell'ordine hanno presidiato l'ingresso di via del Corso e di via del Plebiscito, verso Palazzo Grazioli, sede romana del premier Berlusconi. Michele Marangon 28 gennaio 2011
la manifestazione Studenti e centri sociali in piazza Scritte sulle vetrine delle banche "Che la crisi la paghino i padroni" è lo striscione che ha aperto la manifestazione organizzata dai Cobas: il corteo è partito da San Marco e si è concluso ai cantieri Tav FIRENZE - Con una occupazione simbolica del cantiere dell’Alta velocità, nella zona degli ex Macelli, si è di fatto concluso il corteo organizzato a Firenze dai Cobas. Alcuni dei manifestanti, un centinaio circa, sono entrati nel cantiere e qualcuno ha tracciato con dello spray nero le scritte "No Tav" e "Stop Tav" su camion e container. Alcuni degli operai hanno continuato a lavorare. La manifestazione, partita da piazza San Marco e che per un paio d’ore ha creato disagi alla circolazione cittadina, doveva inizialmente concludersi al Polo universitario di Novoli, ma nei pressi del cantiere dove dovrebbe sorgere la stazione dell’Alta velocità progettata da Foster, la prima parte del corteo ha deviato il tragitto. A quel punto in tanti hanno lasciato il corteo. Dopo l’occupazione del cantiere, durata circa un’ora, un piccolo gruppo ha raggiunto piazza Leopoldo dove la manifestazione si è definitivamente conclusa. Durante il corteo, che secondo gli organizzatori ha visto la partecipazione di 2500 persone, sono state lanciate uova contro alcuni edifici e tracciate scritte sui muri, sulle vetrine di banche e di una rivendita della Fiat. Scanditi slogan contro Sergio Marchionne, Silvio Berlusconi e anche il sindaco Matteo Renzi. "È stata una manifestazione riuscita e pacifica - ha affermato Alessandro Nannini (Confederazione Cobas) -: ci sono stati gesti isolati, dettati dalla rabbia. Le scritte per fortuna si cancellano". "Che la crisi la paghino i padroni" è lo striscione che ha aperto la manifestazione. Lancio di uova e le scritte "Cisl servi", con una stella rossa completamente colorata e "Potere operaio", con il simbolo della falce e martello, sono state lasciate su alcuni muri nei pressi della stazione di Santa Maria Novella durante il passaggio del corteo dei Cobas per la manifestazione in corso a Firenze. Deviando il percorso stabilito gli studenti hanno raggiunto il cantiere della stazione sotterranea Foster prevista dal piano Tav. Continuano i cori contro la giunta Renzi in merito alla gestione dei cantieri. Il passaggio del corteo ha creato diversi disagi al traffico: in particolare la circolazione è rimasta bloccata per oltre 20 minuti sui viali Rosselli e Belfiore in entrambi i sensi di marcia. Sono state inoltre lanciate uova contro la scuola marescialli dei carabinieri e contro la sede del tribunale per i minorenni. Con della vernice rossa è stata poi imbrattata la vetrina di una rivendita Fiat. Nei pressi del Duomo erano state lasciate altre scritte ("Uniti contro i padroni") sulle vetrine di alcune filiali di banche. Infine, altre frasi sono state vergate su altri muri: tra queste, "Renzi ad Arcore c’è posto", "Berlusconi come Ben Ali". "Oggi scioperiamo contro il governo e le lobby dell’economia - hanno spiegato i promotori - Appoggiamo anche lo sciopero della Fiom". Gaetano Cervone 28 gennaio 2011
PADOVA Fiom, ventimila manifestanti chiedono lo sciopero generale Nella città del Santo la manifestazione regionale "Uniti contro la crisi". Cremaschi: "Fiat va verso una deriva fascista". Controlli dei biglietti ai no global, il corteo parte in ritardo PADOVA - "Sciopero generale": questo il coro dei manifestanti a chiusura della manifestazione Fiom-Cgil a Padova - oltre 30 mila presenza per il sindacato, 20 mila per le forze dell’ordine - che si è sovrapposto anche all’intervento di Danilo Barbi, della segreteria nazionale Cgil. "Vogliono licenziare i padri per assumere i figli a metà prezzo - ha detto Giorgio Cremaschi - ma il nostro no ha parlato al Paese, è diventato il no di tutto il Paese, perché Marchionne ha avuto il pregio di spiegare cosa vuole: un modello vergognoso di società senza diritti, una società del ricatto dove non ci sono cittadini, ma sudditi". "Fiat ha avuto un incremento di 600 milioni di euro, il titolo è andato su, mentre la gente sta a casa, loro sono un costo - ha proseguito Cremaschi -. Marchionne in un anno prende 40 milioni di euro, quanto due mila lavoratori in cassa integrazione, ma tutto si regge sulla nostra fatica: il lavoro è un diritto, non un costo". Il segretario Fiom ha quindi ricordato che "in un’intervista Marchionne ha detto di aver perso la battaglia mediatica con la Fiom. Ma come? hai gran parte dell’informazione pubblica e non riesci a spiegarti? Mi sembri Berlusconi che ha tutte quelle televisioni e si lamenta dell’informazione. La verità è che la verità viene fuori lo stesso". "La notte tra il 14 e il 15 gennaio l’Italia è rimasta sveglia per seguire il voto di Mirafiori, un voto politico: ci stiamo riuscendo, abbiamo una forza e una dignità superiore alla loro arroganza - ha concluso Cremaschi - non molleremo mai, il futuro è dalla nostra parte". "FIAT, DERIVA FASCISTA" - "La Fiat si sta avviando verso una deriva fascista e autoritaria perchè impedisce la libertà sindacale". Così a Padova Fiom Giorgio Cremaschi (Fiom Cgil), che chiede "che la Cgil proclami lo sciopero generale per tutti i lavoratori italiani come svolta conflittuale per aprire nel paese una fase nuova". "Questo ci chiedono oggi i metalmeccanici, gli studenti, i precari che stanno manifestando nelle piazze d’Italia". IL RITARDO - È partito con un forte ritardo il treno Venezia-Padova per il controllo del personale dei biglietti di circa 150 esponenti dei centri sociali del nord-est diretti alla manifestazione della Fiom a Padova, nell’ambito dell’intesa studenti-lavoratori "Uniti contro la crisi". Ma stavolta, ha spiega Luca Casarini, tornato dopo un periodo di assenza come portavoce dei centri sociali, tutti i disobbedienti avevano il biglietto. A Padova si è mosso dalla stazione il corteo che, dopo aver attraversato il centro cittadino, si è concluso con il comizio di Giorgio Cremaschi. La manifestazione è animata tra l’altro da canzoni rasta suonate dagli altoparlanti dei centri sociali, "Bella Ciao", Guccini e melodie di Ivan Della Mea, patrimonio musicale della Sinistra degli anni ’70, cantate dalle donne della Cgil. Alla manifestazione a cui stanno aderendo migliaia di persone, promossa dalla Fiom-Cgil, la rete degli studenti ed unione universitari, i Cobas, le associazioni dei consumatori, i pensionati Spi, Rifondazione comunista e numerosi comitati di base. Il corteo è stato aperto da uno striscione "Da Pomigliano a Mirafiori il lavoro è un bene comune - difendiamo ovunque contratto e diritti". "Siamo ’Uniti contro la crisì - ha detto Casarini - uno spazio comune per cercare una alternativa partendo dai no come quelli di Mirafiori ed alla Gelmini". (Ansa) 28 gennaio 2011
n piazza ci sono operai provenienti da ogni parte della Sicilia Sciopero Fiom, sfilano le tute blu: "Termini Imerese non si tocca" Davanti al patronato Uil, un gruppo di metalmeccanici ha gridato: "Venduti, buffoni, cannavazzi (strofinacci)" PALERMO - È partito il corteo degli operai a Termini Imerese dove è in corso lo sciopero generale organizzato dalla Fiom in difesa del contratto nazionale di lavoro: secondo gli organizzatori i lavoratori scesi in piazza sarebbero ottomila. Ad aprire il corteo è uno striscione dei lavoratori della Fiat, dove proprio oggi è scattato un nuovo periodo di cassa integrazione: le tute blu rientreranno in fabbrica il 7 febbraio, poi torneranno in cassa integrazione il 14 e il 21 febbraio e dal 28 febbraio al 4 marzo. Il corteo di lavoratori sfilerà per le strade di Termini Imerese fino a raggiungere piazza Duomo dove il segretario nazionale di Fiom per il settore auto, Enzo Masini, concluderà il comizio. A fianco dei metalmeccanici ci sono rappresentanti di altre categorie di lavoro e studenti. Sciopero generale Fiom a Termini Imerese * * * * * * * * * * * * OPERAI DA TUTTA LA SICILIA - Gli operai urlano slogan contro Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat: "Termini Imerese non si tocca, la difenderemo con la lotta". Quando il corteo è passato davanti un patronato della Uil, un gruppo di metalmeccanici ha gridato: "Venduti, buffoni, cannavazzi (strofinacci)". In piazza ci sono metalmeccanici provenienti da ogni parte della Sicilia. Da Messina gli operai della raffineria di Milazzo, delle Acciaierie, della Sicem, Tozzi Sud, Cantieristica Palumbo; da Catania i lavoratori della StMicroelectronics, della Sielte e delle Acciaierie del Sud; da Siracusa le tute blu del Petrolchimico, della Pontisol e della Sinaservice; gli operai di Metra da Ragusa, dei cantieri navali e della Lombardo da Trapani. Sfilano anche gli operai del Petrolchimico di Gela e quelli di diverse aziende del palermitano: Fincantieri, Keller, Imesi e i lavoratori delle installazioni telefoniche. SARACINESCHE ABBASSATE - Mentre gli operai sfilano i commercianti, in segno di solidarietà, abbassato le saracinesche dei loro negozi. Le scene si sono susseguite lungo il tragitto che sta conducendo i metalmeccanici della Fiom in piazza Duomo, a Termini Imerese per la conclusione dello sciopero. Gli operai intonano canti, tra cui la famosa canzone popolare Ciuri ciuri, intercalando alle strofe invettive contro Berlusconi e Marchionne. In piazza, a fianco agli operai, ci sono anche diversi esponenti politici, tra cui il senatore del Pd Giuseppe Lumia, il senatore di Idv Fabio Giambrone e i segretari siciliani di Sel e Federazione della sinistra, Erasmo Palazzotto e Luca Cangemi. Tanti i rappresentati delle varie categorie della Cgil, oltre alla segretaria generale Mariella Maggio. "Oggi la Cgil è a fianco dei metalmeccanici", dice Serena Sorrentino della Segretaria nazionale della Cgil, "in difesa del contratto nazionale di lavoro e dei diritti. Qui a Termini Imerese c’è la grande vertenza Fiat, chiediamo al governo di ricoprire un ruolo determinante nelle scelte che riguardano lo stabilimento siciliano, bisogna tutelare i posti di lavoro ma dare anche una prospettiva seria e concreta di sviluppo in questo territorio". Redazione online 28 gennaio 2011
il sindacato: "difendiamo il contratto nazionale" Pomigliano, cinquemila in corteo: "Marchionne posa i soldi" Cori ironici contro l'ad Fiat alla manifestazione organizzata dalla Fiom. Ironia sul bunga bunga NAPOLI - Riprendendo un famoso ritornello del gruppo folk 'E Zezi, gli operai in corteo stanno sfilando al grido: "Posa i soldi Marchionne, posa i soldi ladro". Si tratta della manifestazione organizzata dalla Fiom a Pomigliano D’Arco (Napoli) per difendere il contratto nazionale, il diritto di sciopero, e quello dei lavoratori. Prima della partenza alcuni manifestanti hanno fatto esplodere numerosi e forti petardi. Al corteo, secondo le prime stime, ci sarebbero circa 5000 persone. Vi prendono parte, tra gli altri, Francesca Re David, della segreteria nazionale della Fiom, Andrea Amendola, segretario generale Fiom Napoli, Michele Gravano e Giuseppe Errico della Cgil, politici ed esponenti della sinistra nonchè alcuni parroci della cittadina partenopea. In piazza anche studenti, attori precari, attivisti dei centri sociali da tutta la Campania. Gli attori hanno esposto alcuni cartelloni con le scritte "Arcore, 5mila euro un’ora di bunga bunga. Pomigliano 5mila euro 4 mesi di catena". LO STRISCIONE - In testa al corteo è stato esposto uno striscione con la scritta: "Da Pomigliano a Mirafiori il lavoro è un bene comune. Difendiamo ovunque contratto e diritti". 28 gennaio 2011
LA MOBILITAZIONE - tensioni davanti alla sede di assolombarda Metalmeccanici e studenti in piazza Caos traffico in centro Fiom, migliaia di manifestanti. La Cub manifesta ad Arcore. Scuole, slogan contro il premier LA MOBILITAZIONE - tensioni davanti alla sede di assolombarda Metalmeccanici e studenti in piazza Caos traffico in centro Fiom, migliaia di manifestanti. La Cub manifesta ad Arcore. Scuole, slogan contro il premier Il corteo della Fiom (Salmoirago) Il corteo della Fiom (Salmoirago) MILANO - Sono migliaia i manifestanti che stanno sfilando per le vie di Milano per il corteo della Fiom Cgil, organizzato a Milano in occasione dello sciopero nazionale della categoria. Secondo gli organizzatori, da tutta la Lombardia sono arrivati 90 pullman. In testa al lunghissimo corteo ci sono Giuliano Pisapia, Onorio Rosati della Camera del Lavoro di Milano, Maria Sciancati, segretario regionale della Cgil e molti esponenti della sinistra cittadina. Il segretario nazionale Maurizio Landini ha percorso tutto il corteo, salutando diversi manifestanti. Numerose le manifestazioni di stima nei confronti del sindacalista tra applausi e incitazioni a "tenere duro". "Maurizio difendici", uno dei messaggi ricorrenti. Lungo il corteo numerosi striscioni, tra i quali una rappresentazione della prima pagina del contratto nazionale siglato il 20 gennaio 2008 unitariamente, che Federmeccanica ha annunciato il recesso lo scorso settembre. Lo striscione misura 12 metri per 6 e viene portato in testa al corteo. "Gli operai - si legge un altro striscione della Fiom di Brescia - producono per tutti, non saremo mai vostri schiavi". Presenti anche i lavoratori della Scala di Milano con lo striscione "La Scala si inFiomma". Insieme a Landini il segretario generale della Lombardia Mirco Rota, la segretaria generale di Milano Maria Sciancati, i segretari generali della Cgil di Milano e Lombardia, Onorio Rosati e Nino Baseotto, e il senatore Antonio Pizzinato, che fu segretario generale della Cgil dopo Luciano Lama. La Cub sta manifestando ad Arcore davanti a Villa San Martino, residenza del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro 28 gennaio, due cortei in centro Il corteo degli studenti (Newpress) Il corteo degli studenti (Newpress) IL CORTEO DEGLI STUDENTI - Un corteo composto da circa 500 studenti delle medie superiori, antagonisti e militanti dell'Unione sindacale di base (Usb) è partito intanto da piazza Cairoli a Milano per una manifestazione parallela a quella principale organizzato dalla Fiom in partenza da porta Venezia. Tra musica e slogan contro Berlusconi queste diverse centinaia di studenti e lavoratori si stanno muovendo in corteo lungo via Carducci, De Amicis, Missori, Mazzini, Orefici, Cordusio per poi ritornare nel luogo dove sono partiti in largo Cairoli. Questo corteo e quello della Fiom dunque non si dovrebbero incrociare. Il corteo è guardato a vista dalle forze dell'ordine. Al corteo si sono uniti anche il centro sociale Cantiere, alcuni collettivi della sinistra antagonista e alcuni lavoratori della scuola. Lungo il percorso, alcuni manifestanti hanno lanciato uova, vernice e petardi contro le sedi di Enel, Edison, dell'istituto privato De Amicis e della sede dell'università Cattolica, in via Carducci. TENSIONI DAVANTI AD ASSOLOMBARDA BLINDATA - Un centinaio di giovani antagonisti, staccatosi dalla manifestazione della Fiom in piazza del Duomo, si è scontrato poco prima delle 12.30 all'incrocio tra via Pantano e via Larga a Milano con la polizia schierata a presidio della sede di Assolombarda. I ragazzi, che hanno lanciato petardi e fumogeni, sono stati respinti con una carica di alleggerimento a cui hanno risposto lanciando alcune bottiglie. È volata qualche manganellata e ora i giovani sono confluiti in via Baracchini. Gli antagonisti sono giunti in corteo insieme con alcuni consigli di fabbrica ed operai, occupando lo spazio davanti a via Pantano lasciato libero da circa 300 lavoratori dello Slai Cobas e studenti che poco prima avevano tenuto un presidio. Redazione online 27 gennaio 2011(ultima modifica: 28 gennaio 2011)
2011-01-19 DOPO L'ANNUNCIO DI MARCHIONNE SULL'APPLICAZIONE DElle nuove regole Cassino: gelo sul "modello Mirafiori" le tute blu preparano lo sciopero del 28 Nello stabilimento turni ridotti nonostante nuovi modelli molti dei 4.500 operai respingono l'accordo di Torino * NOTIZIE CORRELATE * Cassino: un anno fa il progetto di rilancio con 3 modelli (9 mar 10) * Ma in fabbrica i turni si riducono: si lavora solo lunedì e martedì (8 mar '10) * Sono 4.500 le tute blu Fiat cassintegrate a Cassino (10 febb '10) * Le foto della nuova Giulietta DOPO L'ANNUNCIO DI MARCHIONNE SULL'APPLICAZIONE DElle nuove regole Cassino: gelo sul "modello Mirafiori" le tute blu preparano lo sciopero del 28 Nello stabilimento turni ridotti nonostante nuovi modelli molti dei 4.500 operai respingono l'accordo di Torino Operai Fiat all'uscita dallo stabilimento di Cassino (Ansa) Operai Fiat all'uscita dallo stabilimento di Cassino (Ansa) CASSINO - "Siamo pronti alla sfida che ci lancia Marchionne". Nel silenzio gelido che accoglie l'illustrazione del nuovo "modello Mirafiori" all'assemblea delle tute blu, l'unica voce che si leva è quella dei dirigenti Fiom, raccolti attorno al segretario generale Maurizio Landini: promettono battaglia dopo l'annuncio dell'amministratore delegato sull'apertura di un nuovo capitolo della riorganizzazione Fiat, che a breve toccherà anche questo maxi stabilimento del Frusinate. Gli operai, intanto, preparano lo sciopero che il 28 gennaio raccoglierà proprio qui a Cassino tutti i metalmeccanici del Lazio. La catena di montaggio a Cassino (Ansa) La catena di montaggio a Cassino (Ansa) L'APPELLO DI LANDINI - "Abbiamo discusso con i lavoratori di Cassino il fatto che è necessario respingere questo disegno basato sulla competizione che riduce diritti e contratti. Siamo convinti che in questo modo non ci sarà futuro per la produzione dell'auto nel nostro paese". Così Landini sintetizza i contenuti dell'incontro avuto con gli operai di Piedimonte San Germano (Cassino) in un clima di forte preoccupazione per il futuro. Un grande silenzio ha accompagnato l'assemblea organizzativa di martedì 18 gennaio, cui hanno partecipato centinaia di lavoratori: principalmente quelli della catena di montaggio, arrabbiati e delusi per quanto accaduto a Mirafiori e già ampiamente prefigurato a Pomigliano. DIVISIONI ALL'ORIZZONTE - "Ormai - dice il segretario provinciale Fiom Arcangelo Compagnoni - c'è un asse ideale che unisce gli stabilimenti Fiat di tutta Italia, e la speranza è che davvero Marchionne riapra il confronto: se pensa di governare in questo modo gli operai che lavorano sulle linee, si sbaglia". Già, perchè è sugli addetti alle catene di montaggio che più pesa il nuovo contratto, quello che nell'ultimo referendum è stato benedetto dal "sì" che arriva da quanti, in azienda, magari hanno altre mansioni. E possono rinunciare ai dieci minuti di pausa sottratti dal nuovo accordo. Una fabbrica in cui gli operai sono divisi e le ali estreme del sindacato vengono escluse dalle trattative: l'effetto Marchionne pare assicurato anche nel Lazio. Una protesta degli operai Fiat dio Cassino sulla Roma-Napoli Una protesta degli operai Fiat dio Cassino sulla Roma-Napoli RANGHI RIDOTTISSIMI - Alla soglia dei 40 anni di attività, Piedimonte San Germano conta 4500 operai destinati a diminuire drasticamente nell'arco di tre anni: fino a un anno fa, qui c'erano 4500 cassintegrati e 500 operai in mobilità (già pensionati o destinati alla pensione a breve); si producevano soltanto 300 auto al giorno. Lontani anni luce dai numeri degli esordi, quando qui si contavano punte di 11 mila operai. Oggi la Fiat di Cassino, mandata in pensione nel dicembre scorso la Croma, sforna 600 vetture al giorno tra Giulietta, Bravo e Doblò operando su tre turni, anche se in tempi recenti i ranghi sono stati ridottissimi; anche due, o addirittura un solo turno. "Uno stabilimento che lavora a metà delle sue potenzialità", dice ancora Compagnoni sottolineando il momento di crisi appena mitigato dalla produzione della nuova Giulietta (seppur ben accolta dal mercato) dalle promesse di investimenti e dalle prestigiose visite recentemente ricevute. Come quella di Renata Polverini, governatore della Regione Lazio, o dell'erede dell'Avvocato, John Elkann. Il presidente Fiat, nel novembre scorso, aveva elogiato lo stabilimento e le sue maestranze, rimarcando ad esempio l'assenza totale di infortuni nel 2010. Un operaio a Cassino Un operaio a Cassino CONSEGUENZE SULL'INDOTTO - Elogi, "pacche sulle spalle" che alle tute blu interessano poco, ma che pure potrebbero avere un senso nell'affermare Cassino quale realtà virtuosa, forse meritevole di altro trattamento. Come auspicato da Renata Polverini, che per Piedimonte spera in un accordo diverso da quello sottoscritto a Pomigliano e Mirafiori. Stesso obiettivo della Fiom, che sottolinea la necessità di un confronto con i vertici del Lingotto: "Il sistema Fiat - aggiunge ancora Compagnoni - riguarda 13mila operai considerato l'indotto. Cambiare il contratto, i ritmi di lavoro allo stabilimento di Cassino in deroga al contratto nazionale metalmeccanico, significa influenzare ritmi e organizzazione di un'altra miriade di aziende. E questo è sinceramente assurdo". Michele Marangon 19 gennaio 2011
"Avremo più teste, a Torino, a Detroit, in Brasile, in Turchia, spero in Cina Il piano di Marchionne: "Estendere il nuovo accordo a Melfi e Cassino" L'ad di Fiat: "Non c'è alternativa, non possiamo vivere in due mondi. Vendere l'Alfa? Fossi matto, è roba nostra" * NOTIZIE CORRELATE * Marchionne: "Scelta coraggiosa". Camusso: voto contro fabbrica-caserma(15 gennaio 2011) * Referendum Fiat, vittoria dei "sì" (14 gennaio 2011) "Avremo più teste, a Torino, a Detroit, in Brasile, in Turchia, spero in Cina Il piano di Marchionne: "Estendere il nuovo accordo a Melfi e Cassino" L'ad di Fiat: "Non c'è alternativa, non possiamo vivere in due mondi. Vendere l'Alfa? Fossi matto, è roba nostra" (foto Salmoirago) (foto Salmoirago) MILANO - Dopo Pomigliano e Mirafiori il nuovo contratto investirà anche Melfi e Cassino. È quanto afferma Sergio Marchionne nell'intervista a Repubblica che, rispondendo ad una specifica domanda, sostiene che "non c'è alternativa". "Non possiamo vivere in due mondi - afferma Marchionne - Io spero che, visto l'accordo alla prova, non vorranno vivere nel secondo mondo nemmeno gli operai". UTILI AGLI OPERAI - Marchionne ha poi promesso di alzare i salari se riuscirà a ridurre i costi di utilizzo degli impianti oltre a quelli del lavoro: "Possiamo arrivare al livello della Germania e della Francia. Io sono pronto". L'ad di Fiat si è anche detto disposto a far partecipare gli operai agli utili. "Ci arriveremo - ha affermato -. Voglio arrivarci. Ma prima di parteciparli gli utili dobbiamo farli". L'ALFA - Alla domanda relativa alla possibilità di vendere l'Alfa Romeo Marchionne è lapidario: "Fossi matto, è roba nostra". "Grazie a Chrysler l'Alfa arriverà in America, con una rete di 2 mila concessionari, e farà il botto". Marchionne, inoltre, afferma di non voler vendere anche la parte relativa ai veicoli industriali. "Manco di notte - risponde alla specifica domanda -. E l'arroganza tedesca, gliela raccomando. Quando volevo comprare Opel non me l'hanno data perché ero italiano...". PIÙ TESTE - L'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne risponde poi ad una domanda sulla localizzazione della "testa" decisionale del gruppo automobilistico: "Bisognerà abituarsi al fatto che avremo più teste, a Torino, a Detroit, in Brasile, in Turchia, spero in Cina. Ma un cuore solo. Così rimarranno vive quelle quattro lettere del marchio Fiat. Vediamole. Fabbrica: produciamo ancora, vogliamo produrre di più. Italiana: siamo qui e non vendiamo nulla. Automobili: resta il cuore del business. Torino: se ha dei dubbi, apra la mia finestra e guardi fuori". Sulle nuove auto prodotte a Mirafiori, poi, aggiunge: "il Centro Stile rimane qui, il design, ma anche i progetti, le piattaforme di origine: la piattaforma della Giulietta è nata qui, è stata riadattata negli Usa, adesso torna qui per fare da base ai Suv Jeep e Alfa". FIOM - "La Fiom ha costruito un capolavoro mediatico, mistificando la realtà, ma ci è riuscita" ha aggiunto Marchionne. "Noi, che siamo presenti in tutto il mondo, dal punto di vista culturale siamo stati una ciofeca, e la colpa è soltanto mia - ha continuato l'ad di Fiat -. Ho sottovalutato l'impatto mediatico di questa partita, ho sottovalutato un sindacato che aveva obiettivi politici e non di rappresentanza di un interesse specifico, come invece accade negli Usa". Marchionne nega poi di aver cercato la rottura con la Fiom: "Quel che volevo rompere era questo sistema ingessato, dove tutti sanno che noi imprese italiane siamo fuori dalla competitività, non possiamo farcela, eppure tutti fanno finta di niente". "Io parlavo una lingua, loro l'altra - ha detto ancora Marchionne - Tutti facevamo riferimento alla realtà: ma io alla realtà di oggi, così com'è nel mondo globale, la Fiom alla realtà del passato, quella che si è trascinata fin qui impantanandoci fino al collo, come Italia". Redazione online 18 gennaio 2011 2011-01-18 Avremo più teste, a Torino, a Detroit, in Brasile, in Turchia, spero in Cina Il piano di Marchionne: "Estendere il nuovo accordo a Melfi e Cassino" L'ad di Fiat: "Non c'è alternativa, non possiamo vivere in due mondi. Vendere l'Alfa? Fossi matto, è roba nostra" * NOTIZIE CORRELATE * Marchionne: "Scelta coraggiosa". Camusso: voto contro fabbrica-caserma(15 gennaio 2011) * Referendum Fiat, vittoria dei "sì" (14 gennaio 2011) "Avremo più teste, a Torino, a Detroit, in Brasile, in Turchia, spero in Cina Il piano di Marchionne: "Estendere il nuovo accordo a Melfi e Cassino" L'ad di Fiat: "Non c'è alternativa, non possiamo vivere in due mondi. Vendere l'Alfa? Fossi matto, è roba nostra" (foto Salmoirago) (foto Salmoirago) MILANO - Dopo Pomigliano e Mirafiori il nuovo contratto investirà anche Melfi e Cassino. È quanto afferma Sergio Marchionne nell'intervista a Repubblica che, rispondendo ad una specifica domanda, sostiene che "non c'è alternativa". "Non possiamo vivere in due mondi - afferma Marchionne - Io spero che, visto l'accordo alla prova, non vorranno vivere nel secondo mondo nemmeno gli operai". UTILI AGLI OPERAI - Marchionne ha poi promesso di alzare i salari se riuscirà a ridurre i costi di utilizzo degli impianti oltre a quelli del lavoro: "Possiamo arrivare al livello della Germania e della Francia. Io sono pronto". L'ad di Fiat si è anche detto disposto a far partecipare gli operai agli utili. "Ci arriveremo - ha affermato -. Voglio arrivarci. Ma prima di parteciparli gli utili dobbiamo farli". L'ALFA - Alla domanda relativa alla possibilità di vendere l'Alfa Romeo Marchionne è lapidario: "Fossi matto, è roba nostra". "Grazie a Chrysler l'Alfa arriverà in America, con una rete di 2 mila concessionari, e farà il botto". Marchionne, inoltre, afferma di non voler vendere anche la parte relativa ai veicoli industriali. "Manco di notte - risponde alla specifica domanda -. E l'arroganza tedesca, gliela raccomando. Quando volevo comprare Opel non me l'hanno data perché ero italiano...". PIÙ TESTE - L'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne risponde poi ad una domanda sulla localizzazione della "testa" decisionale del gruppo automobilistico: "Bisognerà abituarsi al fatto che avremo più teste, a Torino, a Detroit, in Brasile, in Turchia, spero in Cina. Ma un cuore solo. Così rimarranno vive quelle quattro lettere del marchio Fiat. Vediamole. Fabbrica: produciamo ancora, vogliamo produrre di più. Italiana: siamo qui e non vendiamo nulla. Automobili: resta il cuore del business. Torino: se ha dei dubbi, apra la mia finestra e guardi fuori". Sulle nuove auto prodotte a Mirafiori, poi, aggiunge: "il Centro Stile rimane qui, il design, ma anche i progetti, le piattaforme di origine: la piattaforma della Giulietta è nata qui, è stata riadattata negli Usa, adesso torna qui per fare da base ai Suv Jeep e Alfa". FIOM - "La Fiom ha costruito un capolavoro mediatico, mistificando la realtà, ma ci è riuscita" ha aggiunto Marchionne. "Noi, che siamo presenti in tutto il mondo, dal punto di vista culturale siamo stati una ciofeca, e la colpa è soltanto mia - ha continuato l'ad di Fiat -. Ho sottovalutato l'impatto mediatico di questa partita, ho sottovalutato un sindacato che aveva obiettivi politici e non di rappresentanza di un interesse specifico, come invece accade negli Usa". Marchionne nega poi di aver cercato la rottura con la Fiom: "Quel che volevo rompere era questo sistema ingessato, dove tutti sanno che noi imprese italiane siamo fuori dalla competitività, non possiamo farcela, eppure tutti fanno finta di niente". "Io parlavo una lingua, loro l'altra - ha detto ancora Marchionne - Tutti facevamo riferimento alla realtà: ma io alla realtà di oggi, così com'è nel mondo globale, la Fiom alla realtà del passato, quella che si è trascinata fin qui impantanandoci fino al collo, come Italia". Redazione online 18 gennaio 2011
Lettera della cgil alla Cisl e alla Uil Fiat, sale la tensione tra i sindacati Bonanni dice "no" alla Camusso Bloccata la richiesta della Cgil di alzare sopra il 51% la maggioranza per rendere valida la firma di un accordo * NOTIZIE CORRELATE * La strategia di Camusso per rientrare nella trattativa (15 gennaio 2011) Lettera della cgil alla Cisl e alla Uil Fiat, sale la tensione tra i sindacati Bonanni dice "no" alla Camusso Bloccata la richiesta della Cgil di alzare sopra il 51% la maggioranza per rendere valida la firma di un accordo Il segretario generale della Cgil nazionale Susanna Camusso (Ansa) Il segretario generale della Cgil nazionale Susanna Camusso (Ansa) MILANO - Tentativo — fallito — di riavvicinamento sul fronte sindacale. Dopo il referendum di Mirafiori, la Cgil di Susanna Camusso ha scritto alla Cisl di Raffaele Bonanni e alla Uil di Luigi Angeletti. LA MISSIVA - Nella lettera, una proposta su rappresentanza e democrazia sindacale, più la disponibilità a un incontro per far partire il confronto e la discussione. Ma, dalla Cisl, è arrivato un no: il sindacato di Bonanni ha bocciato una proposta che, si legge nella nota di risposta, "sembra più mirata alla soluzione di un problema interno di organizzazione che a trovare una base proficua per un accordo interconfederale, di cui la Cisl conferma la opportunità ed urgenza". Al centro del "no", il capitolo con cui la Cgil chiede di alzare sopra il 51% la maggioranza necessaria per rendere valida la firma di un accordo sindacale nelle vertenze più calde. Giovanni Stringa 17 gennaio 2011(ultima modifica: 18 gennaio 2011)
2011-01-17 Lettera della cgil alla Cisl e alla Uil Fiat, sale la tensione tra i sindacati Bonanni dice "no" alla Camusso Bloccata la richiesta della Cgil di alzare sopra il 51% la maggioranza per rendere valida la firma di un accordo * NOTIZIE CORRELATE * La strategia di Camusso per rientrare nella trattativa (15 gennaio 2011) Lettera della cgil alla Cisl e alla Uil Fiat, sale la tensione tra i sindacati Bonanni dice "no" alla Camusso Bloccata la richiesta della Cgil di alzare sopra il 51% la maggioranza per rendere valida la firma di un accordo Il segretario generale della Cgil nazionale Susanna Camusso (Ansa) Il segretario generale della Cgil nazionale Susanna Camusso (Ansa) MILANO - Tentativo — fallito — di riavvicinamento sul fronte sindacale. Dopo il referendum di Mirafiori, la Cgil di Susanna Camusso ha scritto alla Cisl di Raffaele Bonanni e alla Uil di Luigi Angeletti. LA MISSIVA - Nella lettera, una proposta su rappresentanza e democrazia sindacale, più la disponibilità a un incontro per far partire il confronto e la discussione. Ma, dalla Cisl, è arrivato un no: il sindacato di Bonanni ha bocciato una proposta che, si legge nella nota di risposta, "sembra più mirata alla soluzione di un problema interno di organizzazione che a trovare una base proficua per un accordo interconfederale, di cui la Cisl conferma la opportunità ed urgenza". Al centro del "no", il capitolo con cui la Cgil chiede di alzare sopra il 51% la maggioranza necessaria per rendere valida la firma di un accordo sindacale nelle vertenze più calde. Giovanni Stringa 17 gennaio 2011
Dopo Il referendum a Mirafiori Bersani: "Ora Fiat rispetti gli impegni" Camusso: "Vedremo se fare ricorso" La leader Cgil: "I veti allo sciopero possono arrivare sino alla Corte Costituzionale" Dopo Il referendum a Mirafiori Bersani: "Ora Fiat rispetti gli impegni" Camusso: "Vedremo se fare ricorso" La leader Cgil: "I veti allo sciopero possono arrivare sino alla Corte Costituzionale" Pier Luigi Bersani (Eidon) Pier Luigi Bersani (Eidon) MILANO - "Ora la Fiat rispetti i suoi impegni e investa". È l'esortazione di Pier Luigi Bersani dopo il risultato del referendum a Mirafiori sull'accordo azienda-sindacati. Il segretario del Pd chiede anche che entro un anno per la Fiat si trovino nuove regole di rappresentanza. "C'è stata una scelta precisa che va rispettata e c'è stato un dissenso. Tuttavia siamo in presenza di temi che non si possono affrontare con l'accetta. Si trovi il modo entro un anno, cioè all'avvio del nuovo meccanismo, di avere nuove regole per la partecipazione e per la rappresentanza. Non è possibile che ognuno faccia da sé come irresponsabilmente chiede il governo", ha aggiunto Bersani. "Abbiamo davanti dodici mesi in cui fissare nuove regole che ricompongano una frattura che dev'essere saldata". Secondo il segretario del Pd, "dopo il referendum di Mirafiori non dovrebbe essere difficile per ogni osservatore onesto riconoscere che il Partito democratico è la forza politica che ha letto meglio la situazione vedendone la complessità e proponendo un punto di equilibrio positivo". CAMUSSO - La partita alla Fiat di Mirafiori non è affatto chiusa. Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ospite su Rai 3 a In mezz'ora, ha detto che "valuteremo se ricorrere alla magistratura", ma questo "non basta: una clausola che impedisce a un lavoratore di partecipare a uno sciopero è un tema che sicuramente arriva sino alla Corte Costituzionale" perché "siamo di fronte a diritti che non sono disponibili né a un'impresa né a un sindacato". Comunque, prosegue, "non è sufficiente dire che ricorreremo alla magistratura" perché "non si può affidare la rappresentanza sindacale" alla magistratura. Il 46% di no al referendum di Mirafiori mi "ha stupito", perché era un "voto così condizionato, così costretto che non permetteva ai lavoratori di decidere" ma c'è stato "l'orgoglio, la capacità di reazione dei lavoratori" ha poi aggiunto il segretario generale della Cgil. Quanto all'esito, "ho pensato che saremmo stati più vicini al risultato di Pomigliano (36% no). Il risultato ha stupito me come tutti, anche se avevamo colto un po' di nervosismo dell'azienda". Redazione online 16 gennaio 2011(ultima modifica: 17 gennaio 2011)
2011-01-16 Il documento "Il coraggio di ridare dignità alla fabbrica" "In certi momenti mi sono chiesto se ne valeva la pena. Mi auguro che anche chi ha votato no comprenda la svolta" Il documento "Il coraggio di ridare dignità alla fabbrica" "In certi momenti mi sono chiesto se ne valeva la pena. Mi auguro che anche chi ha votato no comprenda la svolta" Siamo lieti che la maggioranza dei lavoratori di Mirafiori abbia compreso l'impegno della Fiat per trasformare l'impianto in una fabbrica di livello internazionale. Siamo lieti perché con il loro voto hanno dimostrato di avere fiducia in se stessi e nel loro futuro. Non hanno scelto soltanto di dire sì ad una nuova possibilità per Mirafiori, quella di lavorare e competere tra i migliori. Hanno scelto di prendere in mano il loro destino, di assumersi la responsabilità di compiere una svolta storica e di diventare gli artefici di qualcosa di nuovo e di importante. In un Paese come l'Italia, che è sempre stato legato al passato e restio al cambiamento, e il referendum di ieri in parte lo ha dimostrato, la scelta di chi ha votato sì è stata lungimirante. Rappresenta la voglia di fare che si oppone alla rassegnazione del declino. Rappresenta il coraggio di compiere un passo avanti contro l'immobilismo di chi parla soltanto o aspetta che le cose succedano. Sono sempre stato molto orgoglioso di quello che Mirafiori rappresenta per la Fiat, come custode della tradizione industriale della nostra azienda e del nostro Paese, e anche per quello che ha dimostrato di saper fare. La scelta del 2004 Mirafiori e la gente che ci lavora non si è fatta scoraggiare quando, nel 2004, erano in tanti a profetizzare la fine e la chiusura dell'impianto. Insieme abbiamo strappato lo stabilimento alla desolazione, abbiamo ridato dignità e prospettive alla fabbrica. La maggior parte delle nostre persone non si sono fatte condizionare dalle tante accuse che ci sono piovute addosso, dagli attacchi che sono stati fatti in modo strumentale sulla loro pelle, ma hanno scelto di stare dalla parte di chi si impegna, di chi intende mettere le proprie qualità e la propria passione per fare la differenza. Questa è la migliore risposta alle bugie e alle esasperazioni degli ultimi mesi. Dicendo sì all'accordo, hanno chiuso la porta agli estremismi, che non portano a nulla se non al caos, e l'hanno aperta al futuro, al privilegio di trasformare Mirafiori in una fabbrica eccellente. Esporteremo negli Usa Mi auguro che le persone che hanno votato no, messe da parte le ideologie e i preconcetti prendano coscienza dell'importanza dell'accordo che salvaguarda le prospettive di tutti i lavoratori. Il piano per questo stabilimento è molto ambizioso. La società che verrà costituita tra Fiat e Chrysler ci permetterà di installare a Mirafiori una nuova piattaforma per costruire SUV di classe superiore, sia per il marchio Jeep sia per l'Alfa Romeo, da esportare in tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti. Questo ci consentirà di raggiungere un livello di produzione molto elevato, fino a 280mila unità l'anno, aprendo anche la strada ad una possibile crescita dell'occupazione. Diritti garantiti L'accordo che rappresenta la base per realizzare tutto ciò - quell'accordo che è stato al centro di così tante polemiche - serve solo a far funzionare meglio la fabbrica, senza intaccare nessun diritto. Non penalizza i lavoratori in nessun modo e mantiene inalterate tutte le condizioni positive che sono previste non solo dal contratto collettivo ma anche da tutti i trattamenti che la Fiat nel tempo ha riconosciuto alle proprie persone. L'organizzazione del lavoro è in realtà la stessa che a Mirafiori si sta sperimentando da più di due anni e che tiene conto del grado di affaticamento dovuto al tipo di lavoro svolto. L'introduzione dei 18 turni comprende quello del sabato sera che è il più disagiato. Per questo abbiamo concordato che, pur essendo sempre retribuito, venga effettuato solo se c'è una reale necessità e che comunque, in questo caso, sia pagato come straordinario. Il pieno utilizzo dei 18 turni permetterà, inoltre, di aumentare i salari di circa 3.500 euro l'anno. Abbiamo anche tenuto conto di un'altra esigenza, relativa al lavoro straordinario. Sapendo che non sempre una persona può essere disponibile, abbiamo previsto la possibilità di sostituire fino al 20% dei lavoratori che non possono fare straordinari. Rivedere il sistema della pause, inoltre, riducendole a 30 minuti e monetizzando la differenza, ci permette di adeguarci a quello che succede nelle fabbriche del resto d'Europa e del mondo. La verità sulle malattie Per quanto riguarda la questione delle malattie, su cui si sono dette tante assurdità, l'accordo prevede semplicemente di monitorare il tasso di assenteismo, per evitare eventuali abusi. Sarà una commissione congiunta con il sindacato a valutare caso per caso il non riconoscimento dell'indennità a carico dell'azienda. La verità è che questa clausola serve soprattutto a richiamare l'attenzione sul problema, a smuovere le coscienze e il senso di responsabilità e mi auguro che non venga mai applicata. Busta paga chiara Infine, abbiamo semplificato le voci retributive, cosa che porterà maggiore chiarezza nel leggere la busta paga ed avrà anche un effetto positivo sul salario in caso di lavoro straordinario o turnazione, perché le maggiorazioni verranno applicate sulla paga base, che è più elevata rispetto agli attuali valori del minimo contrattuale. Critiche ingiuste Come la maggior parte delle nostre persone ha compreso, non c'è nulla di eccezionale nell'accordo per Mirafiori, se non l'occasione di rilanciare la fabbrica, di darle il ruolo che merita sulla scena internazionale. Le critiche che abbiamo ricevuto sono state ingiuste e spesso frustranti. Quando vedi che i tuoi sforzi vengono mistificati, a volte ti chiedi se davvero ne valga la pena. La maggioranza dei lavoratori di Mirafiori ha detto che vale sempre la pena di impegnarsi per costruire qualcosa di migliore. *amministratore delegato di Fiat e Chrysler Sergio Marchionne 16 gennaio 2011
Ospite di "in mezz'ora" La Camusso: "Valuteremo se ricorrere alla magistratura" Il segretario generale della Cgil: "I veti allo sciopero possono arrivare sino alla Corte Costituzionale" Ospite di "in mezz'ora" La Camusso: "Valuteremo se ricorrere alla magistratura" Il segretario generale della Cgil: "I veti allo sciopero possono arrivare sino alla Corte Costituzionale" Susanna Camusso (Ansa) Susanna Camusso (Ansa) MILANO - La partita alla Fiat di Mirafiori non è affatto chiusa. Anzi. Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ospite in tv di "In mezz'ora", ha detto che "valuteremo se ricorrere alla magistratura", ma questo "non basta: una clausola che impedisce a un lavoratore di partecipare a uno sciopero è un tema che sicuramente arriva sino alla Corte Costituzionale" perché "siamo di fronte a diritti che non sono disponibili nè a un'impresa nè a un sindacato". Comunque, prosegue, "non è sufficiente dire che ricorreremo alla magistratura" perché "non si può affidare la rappresentanza sindacale" alla magistratura. STUPITA DAL 46% DEI NO - Il 46% di no al referendum di Mirafiori mi "ha stupito", perché era un "voto così condizionato, così costretto che non permetteva ai lavoratori di decidere" ma c'è stato "l'orgoglio, la capacità di reazione dei lavoratori" ha poi aggiunto il segretario generale della Cgil. Quanto all'esito, "ho pensato che saremmo stati più vicini al risultato di Pomigliano (36% no). Il risultato ha stupito me come tutti, anche se avevamo colto un po' di nervosismo dell'azienda". 16 gennaio 2011
Ospite di "in mezz'ora" La Camusso: "Valuteremo se ricorrere alla magistratura" Il segretario generale della Cgil: "I veti allo sciopero possono arrivare sino alla Corte Costituzionale" Ospite di "in mezz'ora" La Camusso: "Valuteremo se ricorrere alla magistratura" Il segretario generale della Cgil: "I veti allo sciopero possono arrivare sino alla Corte Costituzionale" Susanna Camusso (Ansa) Susanna Camusso (Ansa) MILANO - La partita alla Fiat di Mirafiori non è affatto chiusa. Anzi. Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ospite in tv di "In mezz'ora", ha detto che "valuteremo se ricorrere alla magistratura", ma questo "non basta: una clausola che impedisce a un lavoratore di partecipare a uno sciopero è un tema che sicuramente arriva sino alla Corte Costituzionale" perché "siamo di fronte a diritti che non sono disponibili nè a un'impresa nè a un sindacato". Comunque, prosegue, "non è sufficiente dire che ricorreremo alla magistratura" perché "non si può affidare la rappresentanza sindacale" alla magistratura. STUPITA DAL 46% DEI NO - Il 46% di no al referendum di Mirafiori mi "ha stupito", perché era un "voto così condizionato, così costretto che non permetteva ai lavoratori di decidere" ma c'è stato "l'orgoglio, la capacità di reazione dei lavoratori" ha poi aggiunto il segretario generale della Cgil. Quanto all'esito, "ho pensato che saremmo stati più vicini al risultato di Pomigliano (36% no). Il risultato ha stupito me come tutti, anche se avevamo colto un po' di nervosismo dell'azienda". 16 gennaio 2011
L'uomo Aveva 30 anni sposato e lavorava in un supermercato di Ragusa Licenziato per 5 euro, si impicca in Sicilia Biglietto alla moglie per chiedere scusa. Il sindacalista: "Era disperato" L'uomo Aveva 30 anni sposato e lavorava in un supermercato di Ragusa Licenziato per 5 euro, si impicca in Sicilia Biglietto alla moglie per chiedere scusa. Il sindacalista: "Era disperato" RAGUSA - Sarebbe stato licenziato per cinque euro, l'equivalente di alcuni buoni sconto a disposizione che aveva cambiato invece di utilizzare, il giovane di 30 anni morto suicida dopo avere perso il posto di lavoro come commesso in un supermercato della grande distribuzione. Un provvedimento ritenuto ingiusto, oltre che sproporzionato, che aveva fatto piombare il giovane commesso nella disperazione più nera. A rivelarlo è il segretario generale della Uil di Ragusa, Giorgio Bandiera:"Era un nostro iscritto - dice il sindacalista - faceva parte del direttivo della Uiltucs, lo stavamo seguendo nella sua azione giudiziaria promossa per ottenere la revoca del licenziamento. Venerdì era stato predisposto, insieme al nostro legale, il ricorso al Giudice del Lavoro. Era stato accusato dall'azienda di aver cambiato cinque buoni-sconto di un euro, ma lui aveva respinto ogni addebito e non riusciva a darsi pace per un licenziamento che riteneva ingiusto e illegittimo". IL BIGLIETTO - L'uomo, sposato e padre di un bambino di tre anni, prima di impiccarsi nella sua casa di campagna ha lasciato un biglietto inviato alla moglie, in cui spiega i motivi del suo gesto. "Questo suicidio mi ha lasciato sgomento - aggiunge Bandiera - perché è la cartina di tornasole di un malessere generale anche in una provincia intraprendente economicamente come quella di Ragusa, dove i venti della crisi hanno cominciato a spirare forti". Erano stati gli stessi familiari del giovane a denunciare la scomparsa del giovane, dopo che si era allontanato da casa. La moglie, che temeva la tragedia, è andata nell'abitazione estiva di famiglia, a Santa Croce Camerina. Ha visto la luce di casa accesa e ha intuito cosa poteva essere accaduto. Per questo non è entrata, ma ha chiesto l'intervento della polizia. È stato l'equipaggio di una volante a trovare il corpo ormai senza vita del commesso. Accanto al cadavere un biglietto, scritto con una grafia incerta, indirizzato "A mia moglie". L'ultimo gesto di amore prima di farla finita. (fonte: Ansa) 16 gennaio 2011
FLESSIBILITA' E NUOVO WELFAREFlessibilità e nuovo welfare Il lavoro cambia (e non in peggio) FLESSIBILITA' E NUOVO WELFAREFlessibilità e nuovo welfare Il lavoro cambia (e non in peggio) Fabbrica di automobili con base a Torino, Italia. Grazie ai risultati di Mirafiori, la Fiat potrà rimanere fedele alla vocazione iscritta nel suo storico marchio. La vittoria del sì chiude un'estenuante vertenza, salvando migliaia di posti di lavoro. Ma soprattutto apre una fase del tutto nuova per le relazioni industriali e forse per l'intero modello economico-sociale del nostro Paese. Da domani inizierà il delicato percorso di attuazione dell'accordo, in cui potranno ribilanciarsi, su questioni concrete, gli interessi dei dipendenti e quelli dell'azienda. Marchionne non ha sinora scoperto tutte le carte del suo piano di rilancio. Ora dovrà farlo e dimostrare che chi ha votato sì ha fatto la scommessa vincente. A Mirafiori prenderà avvio il primo grande esperimento di accordo aziendale al di fuori del contratto nazionale. Siglandolo, i sindacati tranne la Fiom hanno "internalizzato" il vincolo della globalizzazione, riconoscendo che una grande azienda multinazionale deve poter governare la produzione in base a regole certe e a garanzie di disponibilità e impegno lavorativo. Senza queste condizioni è quasi impossibile oggi rispondere agli stimoli dei mercati. Maggiore flessibilità implica sacrifici e genera insicurezza, ma assicura occupazione e offre concrete prospettive di incrementi salariali se l'azienda va bene: questo è il succo della scommessa di Mirafiori. L'esito dipende ora dalle capacità di Marchionne e dalla qualità dei suoi progetti. Il management Fiat dovrà dar conto delle proprie scelte ai sindacati, che potranno valutarne gli effetti sui risultati d'impresa. Dopo decenni di conflitti antagonistici, le relazioni industriali italiane possono oggi imboccare il sentiero di quel sindacalismo pragmatico e partecipativo che da tempo caratterizza i Paesi germanici e scandinavi, con enormi vantaggi per i lavoratori. La strada sarà lunga, occorrerà sperimentare e imparare "come si fa". Tutti, anche gli imprenditori, dovranno cambiare approccio e modo di pensare. Ma il dado è tratto. All'interno di nuove relazioni industriali sarà possibile impostare in modo diverso anche il nesso fra globalizzazione e diritti sociali. L'apertura dei mercati e le dinamiche di delocalizzazione produttiva reale o minacciata sono compatibili con il mantenimento di adeguate tutele per i lavoratori? L'aspro confronto tra Marchionne e Fiom ha evocato l'immagine di un gioco a somma zero fra competitività e diritti, originando una vera spirale di paure e sospetti. Le tensioni fra globalizzazione e welfare non sono però inconciliabili sul punto concordano oggi moltissimi studiosi. Certo, occorre un welfare diverso dal passato: Marchionne chiede impegni "esigibili", meno assenteismo, obblighi di formazione per i cassintegrati. Ma ai lavoratori flessibili di Mirafiori serviranno più servizi anche aziendali, più garanzie di sicurezza e prevenzione, più opportunità di congedo per ragioni serie e verificabili, più sostegni per figli e famiglia. È su questi fronti che il sindacato deve impegnarsi, mentre le imprese devono convincersi che un nuovo welfare può essere un formidabile "fattore produttivo".
Dopo un decennio di riforme mancate o scarsamente efficaci, le nuove relazioni industriali potranno dare un contributo decisivo all'introduzione di politiche capaci di creare sinergie fra produzione economica e protezione sociale. Fabbrica Italia è stata sinora una metafora un po' fumosa, utilizzata per "narrazioni" contrastanti a seconda dei punti di vista. Dopo mesi di scontro, intorno a questa espressione si può adesso ricostruire una visione condivisa su come rendere questo Paese più competitivo e insieme più inclusivo. Marchionne ha lanciato la sfida della competitività, i sindacati l'hanno accettata, ma la loro scommessa riguarda anche l'inclusione e il tenore di vita dei lavoratori. A questo punto mancano solo la voce e le proposte del governo. Il quale può legittimamente scegliere di tenersi distante dalle vertenze contrattuali, ma non può certo abdicare al suo ruolo di regista del cambiamento e delle riforme, sul duplice fronte dell'efficienza e dell'equità. Maurizio Ferrera 16 gennaio 2011
I commenti alla vittoria dei sì al referendum di Mirafiori Marchionne: "Scelta coraggiosa" Camusso: voto contro fabbrica-caserma Sacconi: "Nuove relazioni industriali". Confindustria: "Ora si può investire". Bersani: "Rispettare il risultato" I commenti alla vittoria dei sì al referendum di Mirafiori Marchionne: "Scelta coraggiosa" Camusso: voto contro fabbrica-caserma Sacconi: "Nuove relazioni industriali". Confindustria: "Ora si può investire". Bersani: "Rispettare il risultato" MILANO - La vittoria complessiva dei sì (54%) al referendum sull'accordo di Mirafiori, soprattutto grazie al voto dei colletti bianchi e con uno scarto anche tra gli operai di 9 voti a favore dei sì, lascia spazio a commenti molto diversi tra chi ha sostenuto le ragioni dell'accordo e chi invece, come la Fiom-Cgil e i Cobas, lo aveva avversato. CGIL-FIOM - "Il voto di Mirafiori dimostra che non c'è la possibilità di governare la fabbrica senza il consenso dei lavoratori. Sappiano Marchionne e Confindustria che così non si governa". Lo ha detto la leader della Cgil, Susanna Camusso. " Si tratta di un voto che conferma l'esigenza di definire regole di rappresentanza e democrazia per tutti. Sarebbe bene che, a partire da Confindustria, si decida rapidamente quali siano le regole di rappresentanza e democrazia e non si continui a esercitare lesioni ai diritti dei lavoratori", ha proseguito il segretario del primo sindacato italiano. "Un risultato straordinario e inaspettato, ora bisogna riaprire la trattativa", ha detto il leader della Fiom, Maurizio Landini. "Sarebbe un atto di saggezza da parte di Fiat riaprire una trattativa vera, perché le fabbriche senza il consenso dei lavoratori non funzionano". "La maggioranza degli operai di Mirafiori ha fatto un atto di coraggio", ha commentato il presidente del comitato centrale della Fiom, Giorgio Cremaschi. "È una sconfitta politica per Marchionne. Il voto dà forza a tutti noi e andremo avanti per rovesciare l'accordo-vergogna". "Gli operai delle linee di montaggio hanno detto di no", ha aggiunto Giorgio Airaudo, segretario nazionale della Fiom responsabile dell'auto. FIAT - "I lavoratori di Mirafiori hanno dimostrato di avere fiducia in se stessi e nel loro futuro", è il commento dell'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne. "Hanno dimostrato il coraggio di compiere un passo avanti contro l'immobilismo di chi parla soltanto o aspetta che le cose succedono. La scelta di chi ha votato sì è stata lungimirante. Mi auguro che le persone che hanno votato no, messe da parte le ideologie e i preconcetti, prendano coscienza dell'importanza dell'accordo che salvaguarda le prospettive di tutti i lavoratori". Il presidente della Fiat, John Elkann, invita ad "archiviare le polemiche e le contrapposizioni" e assicura "pieno e convinto sostegno" della famiglia Agnelli "alle sfide che abbiamo davanti e che vanno affrontate in modo costruttivo". MARCEGAGLIA - Confindustria valuta in modo positivo l'esito del referendum sull'accordo per l'impianto Fiat di Mirafiori. "Con questo risultato, l'Italia può continuare ad avere un'industria dell'auto forte e competitiva a livello globale. L'azienda ha ora tutte le carte per poter dare seguito all'annunciato piano di investimenti su Mirafiori", afferma Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria. "Adesso è necessario lasciarsi alle spalle polemiche e contrapposizioni e lavorare con determinazione e concretezza per continuare ad ammodernare le relazioni industriali a vantaggio dell'intero sistema produttivo italiano". I SINDACATI - "La vittoria dei sì anche tra gli operai è un fatto inequivocabile e importante", ha commentato il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. "Nessuno può metterlo in discussione. Ora lavoriamo per sanare le divisioni". Per il leader della Uil, Luigi Angeletti, "come per tutti i veri cambiamenti, la decisione è stata sofferta. Alla fine hanno vinto le ragioni del lavoro. Il sì ci fa vedere con più ottimismo il futuro di Mirafiori e dell'industria automobilistica nel nostro Paese". Roberto Di Maulo, segretario generale Fismic, sottolinea l'importanza "della vittoria del sì di 9 voti anche tra gli operai". "Hanno vinto i lavoratori di Mirafiori", ha detto il segretario generale dell'Ugl, Giovanni Centrella. "La loro maturità e il loro senso di responsabilità hanno salvato decine di migliaia di posti di lavoro e faranno partire finalmente Fabbrica Italia". "Marchionne dovrà tirare fuori i soldi promessi e ai sindacati firmatari toccherà fare da cani da guardia della rabbia operaia e dei conflitti che l'accordo produrrà", è il commento dell'Unione sindacale di base, secondo la quale "esce rafforzata l'esigenza di uno sciopero generale da tenersi tra fine febbraio e inizio marzo". Per Francesco Scandale, segretario di Assoquadri, "è un risultato di tutti che va nella direzione di dare a migliaia di famiglie l'opportunità di un futuro più sereno. Spero che anche coloro che hanno espresso un voto contrario possano ricredersi sulla bontà di questo accordo". Piero Bernocchi, portavoce nazionale Cobas, attacca: "Il capo-banda Fiat Marchionne non può cantare vittoria. A un padronato parassitario e reazionario contro ciò che resta dei diritti dei salariati, deve rispondere un vasto fronte sociale". "È una vittoria del sindacato riformista", è il commento del presidente nazionale dell'Mcl (Movimento cristiano lavoratori), Carlo Costalli. POLEMICA A SINISTRA - Per il leader di Sel, Nichi Vendola, è "la vittoria più amara per Marchionne e per Fiom la sconfitta più gratificante. La partita non è chiusa, perché il no vince tra gli operai e il sì con i capi e i capetti". Al leader di Sel risponde Pier Luigi Bersani: "Il risultato va rispettato e va rispettato anche il disagio dei lavoratori. Ora la Fiat mantenga gli impegni e si rivolga a tutti i lavoratori", dice il segretario del Pd. "Si facciano nuove regole per la rappresentanza, la rappresentatività e la partecipazione". Per il presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli "è bene che la politica eviti di mrcare la divisione tra operai e impigati, visto che sono tutti lavoratori" LA POLITICA - Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ritiene che "ora si apre un'evoluzione nelle relazioni industriali, soprattutto nelle grandi fabbriche, che dovrebbe consentire un migliore uso degli impianti e un'effettiva crescita dei salari". "La vittoria dei sì è un segnale incoraggiante in un contesto in cui è assolutamente necessario remare tutti nella stessa direzione", spiega il leghista Roberto Cota, presidente della Regione Piemonte. "I metalmeccanici e la Fiom hanno fatto un vero miracolo: in un Paese imbarbarito dall'illegalità e dalla mancanza di principi, hanno dato a tutti una grande lezione di dignità", scrive Oliviero Diliberto, portavoce nazionale della Federazioen della sinistra. "Ancora una volta è il voto di capi e impiegati a determinare le condizioni di lavoro degli operai alla catena di montaggio, che pagheranno in prima persona per un accordo scellerato", nota Gigi Malabarba di Sinistra Critica. Il ministro dell'Interno Roberto Maroni si è detto tranquillo di fronte all'eventualità di tensioni sociali dopo il sì al referendum. Redazione online 15 gennaio 2011(ultima modifica: 16 gennaio 2011)
Più lavoro e più democrazia Il rischio di perdere il posto in un'economia in affanno è uno di quelli che la maggioranza delle persone non vuol correre. Per questo, magari senza entusiasmo, Mirafiori stando alle previsioni della vigilia si avvierebbe ad approvare l'accordo firmato da tutti i sindacati tranne la Fiom-Cgil (anche se nella notte la situazione era ancora molto incerta). Si può aprire ora una fase diversa che esige risultati tangibili da quanti ritengono quello di ieri l'esordio di una nuova Italia: la Fiat, i sindacati moderati e il governo. Ma anche una fase che suggerisce un ripensamento alla sinistra e al sindacalismo radicale rimasti in minoranza nel loro teorico insediamento sociale. Lungi dall'essere una sconfitta della democrazia, il referendum torinese ne rappresenta un passaggio aspro, sofferto e partecipato. Capita che molti votino turandosi il naso nelle situazioni difficili, e questa della Fiat lo è in sommo grado, se solo si guarda al crollo delle vendite in Europa nel 2010, più del triplo della concorrenza; se solo si pensa a come la bandiera della modernità sia ormai passata da Mirafiori al Quarto capitalismo delle multinazionali tascabili. Parlare di attentato alla Costituzione quando accordi analoghi sono stati firmati dalla stessa Fiom in grandi aziende piemontesi come la Sandretto è pura polemica. Come diritto individuale lo sciopero non è toccato. Rinunciare a proclamarlo per un periodo è una scelta contrattuale dei sindacati firmatari, magari discutibile, ma non un tradimento di classe, visti i precedenti in Italia e all'estero. Evocare gli anni 50, quando la Fiat licenziava gli attivisti "rossi" che sognavano l'Unione Sovietica in piena Guerra fredda, non aiuta a capire che cosa accade nel 2011 e che cosa può fare l'Italia per rigovernare la globalizzazione che si risolve in guadagni stellari per i pochi manager e banchieri che la sanno cavalcare e in sudore crescente a magra paga oraria invariata per chi sta alla catena di montaggio, indebolito dalla concorrenza del serbo o del polacco. L'esclusione della Fiom dalla fabbrica, possibile se questa non apporrà almeno una firma tecnica all'intesa, dipende da leggi e referendum degli anni 90 ai quali la stessa Fiom aveva partecipato. Ma non sarebbe saggio farsene scudo per non farla rientrare. Meglio sarà risolvere i problemi della rappresentanza e dell'esercizio in forma collettiva del diritto individuale di sciopero attuando gli articoli 39 e 40 della Costituzione. Ma la Carta ha anche un altro articolo disatteso, il 46, che sancisce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione dell'impresa e che, come tale, può richiamare il regime tedesco della codecisione più che il salario di produttività. Per questa via il sindacato sarebbe meno movimento e più istituzione. Avrebbe più potere, ma anche più responsabilità. In Germania, in un consiglio di sorveglianza, Sergio Marchionne dovrebbe dar conto di Fabbrica Italia assai meglio di quanto abbia fatto e il sindacato accettare, unito, la logica dell'impresa, fatta di sacrifici e di premi. Ma a imporre il modello della Mitbestimmung (la codecisione, per l'appunto) sono stati i governi, democristiani e socialdemocratici, prim'ancora dei sindacati. Massimo Mucchetti 15 gennaio 2011
2011-01-15 Altissima affluenza: 94,9% Referendum Fiat, vittoria dei "sì" Decisivo il ruolo dei colletti bianchi Nei primi reparti scrutinati prevalenza dei "no". Poi il sorpasso: alla fine "sì" al 54%. Momenti di tensione Altissima affluenza: 94,9% Referendum Fiat, vittoria dei "sì" Decisivo il ruolo dei colletti bianchi Nei primi reparti scrutinati prevalenza dei "no". Poi il sorpasso: alla fine "sì" al 54%. Momenti di tensione L'attesa dei risultati davanti ai cancelli di Mirafiori (Lapresse) L'attesa dei risultati davanti ai cancelli di Mirafiori (Lapresse) MILANO - Via libera all'intesa sul futuro dello stabilimento Fiat di Mirafiori: dopo uno scrutinio durato circa 9 ore, i voti favorevoli hanno prevalso, sia pure di strettissima misura. Queste le cifre ufficiali: al voto, iniziato col turno delle 22.00 di giovedì, hanno partecipato 5.119 lavoratori, oltre il 94,2% degli aventi diritto. E il sì ha vinto con 2.735 voti, pari al 54,05%. A votare no sono stati invece in 2.325 (45,95%), mentre le schede nulle e bianche sono state complessivamente 59. Nei primi seggi scrutinati, nei quattro del montaggio e in uno della lastratura, dove la Fiom, che si oppone all'accordo, è tradizionalmente forte, hanno prevalso i "no". Poi, nelle prime ore del mattino, la situazione si è rovesciata, grazie soprattutto al voto degli impiegati: a decidere, a mettere a segno l'allungo decisivo per il sì, è stato infatti il seggio 5, quello dei 449 impiegati. Lo spoglio è iniziato poco dopo le 21 di venerdì. E' apparso subito che il verdetto finale non avrebbe portato a nessuna delle due opzioni una larga vittoria: si è profilato un testa a testa fin dall'inizio. ORE DI SCRUTINIO - Le operazioni di scrutinio sono andate avanti per circa nove ore in un clima abbastanza tranquillo: momenti di tensione sono scoppiati quando è emersa la vittoria dei sì (superata la soglia del 50%) e prima ancora che venisse completato lo spoglio. I sostenitori in Commissione dell'intesa siglata il 23 dicembre hanno esultato per il risultato, mentre un rappresentante della Fiom ha avuto un malore. Lo spoglio è stato quindi sospeso proprio mentre mancava una manciata di voti al risultato finale. AFFLUENZA - L'affluenza ai seggi, nonostante le lunghe attese per votare, è stata altissima: 94,9%, più alta del referendum che si è svolto in dicembre a Pomigliano d'Arco. Alla chiusura dei seggi alle 19,30 avevano votato 5.154 lavoratori sui 5.431 aventi diritto. Sono stati prima stilati i verbali di voto e, con un certo ritardo, alle 21,15 è iniziato lo spoglio delle schede per poi trovare l'intoppo al seggio 8. LE REAZIONI - "Come per tutti i veri cambiamenti, la decisione è stata sofferta. Alla fine hanno vinto le ragioni del lavoro", questo il primo commento del segretario generale della Uil Luigi Angeletti al voto su Mirafiori. "Il sì all'accordo ci fa vedere con più ottimismo il futuro di Mirafiori e dell'industria automobilistica del nostro paese", ha aggiunto il leader della Uil. Con l'esito della consultazione a Mirafiori, ha detto il ministro del Welfare Maurizio Sacconi ai microfoni del Gr2, si apre un fase nuova nelle relazioni industriali: "L'esito del referendum - afferma - apre un'evoluzione nelle relazioni industriali soprattutto nelle grandi fabbriche che dovrebbe consentire un migliore uso degli impianti e effettiva crescita dei salari". Redazione online 14 gennaio 2011(ultima modifica: 15 gennaio 2011)
lanciata al massimo ha la stessa potenza di un tostapane Velocità record per un'auto a energia solare: raggiunti gli 88 km all'ora La IVy è stata progettata e costruita da docenti e studenti dell'università australiana del Nuovo Galles del Sud lanciata al massimo ha la stessa potenza di un tostapane Velocità record per un'auto a energia solare: raggiunti gli 88 km all'ora La IVy è stata progettata e costruita da docenti e studenti dell'università australiana del Nuovo Galles del Sud La Solar Racer Sunswift IV, detta anche IVy La Solar Racer Sunswift IV, detta anche IVy MILANO - I cento sono vicini. Un'auto mossa a energia solare ha raggiunto la velocità record di 88 chilometri all'ora. L'impresa è stata compiuta dalla Solar Racer Sunswift IV, detta anche IVy, che ha superato il record precedente di quasi 10 chilometri all'ora. La IVy, progettata e costruita da docenti e studenti dell'università australiana del Nuovo Galles del Sud, nel 2009 durante una gara riservata a veicoli a energia solare in Australia aveva già toccato i 103 km/h, ma l'impresa non era stata omologata. COME UN TOSTAPANE - Alimentata da celle solari al silicio, la IVy a piena velocità produce circa 1.200 watt, la stessa potenza di un tostapane. La prova ufficiale è stata condotta nella base della Marina militare a Nowra, a sud di Sydney, con i piloti professionisti Barton Mawer e Craig Davis ai comandi. La IVy normalmente usa le celle solari per caricare una batteria di 25 chili, che è stata rimossa per abbassare il peso e poter effettuare la prova del record. Redazione online 13 gennaio 2011(ultima modifica: 14 gennaio 2011)
2011-01-14 Seggi aperti fino alle 19.30, poi lo spoglio Referendum a Mirafiori, alta affluenza Sacconi: con il no situazione irreversibile Dei circa 400 lavoratori del turno notturno ha votato quasi il 98% . "Scelta difficile" * NOTIZIE CORRELATE * Camusso: non cancellare la Fiom (13 gennaio 2011 * Berlusconi e il referendum Fiat: "Con il no buoni motivi per lasciare l'Italia" (12 gennaio 2011) * Mirafiori, Fiat spiega l'accordo in fabbrica (12 gennaio 2011) * Intesa su Mirafiori, la Fiom non firma Marchionne: "Subito gli investimenti" (23 dicembre 2010) * LA SCHEDA: Mirafiori, l'accordo in pillole Seggi aperti fino alle 19.30, poi lo spoglio Referendum a Mirafiori, alta affluenza Sacconi: con il no situazione irreversibile Dei circa 400 lavoratori del turno notturno ha votato quasi il 98% . "Scelta difficile" MILANO - Per il futuro di Mirafiori è il giorno della verità. I lavoratori dello stabilimento torinese della Fiat stanno votando il referendum sull'accordo del 23 dicembre scorso, cruciale per il destino della fabbrica. Alta l'affluenza. In tutti i nove seggi allestiti dalla Commissione elettorale si registrano lunghe code, con tempi di attesa compresi tra i 10 minuti e la mezz'ora. Questo, in un clima tranquillo, non fa desistere i dipendenti dall'attendere il loro turno per esprimere la propria preferenza. Per votare tutti i lavoratori, in stragrande maggioranza operai, devono esibire il proprio tesserino aziendale. Nel turno di notte allo stabilimento, ha votato il 97,7% dei 393 lavoratori presenti. Di fronte ai cancelli di Mirafiori, il clima è tranquillo ed è ancora scarsa la presenza di delegati e attivisti sindacali a sostegno delle diverse posizioni nel referendum. Tra molte bandiere colorate dei diversi sindacati e striscioni tutti contrari all'accordo, lavorano solo le truppe televisive per le dirette delle diverse reti. A metà giornata è previsto il cambio turno dei lavoratori del mattino che stanno votando nei nove seggi allestiti per loro. SEGGI APERTI FINO ALLE 19,30- Dopo il voto dei lavoratori del turno di notte si sono aperti infatti alle 7.30 tutti e nove i seggi per il referendum interno alle carrozzerie di Mirafiori. I seggi rimarranno aperti fino alle 13. Riapriranno alle 14.30 per il turno del pomeriggio che completerà il voto dei 5.431 aventi diritto, dei quali 453 impiegati. La chiusura definitiva dei seggi è fissata per le 19.30, quando cominceranno a venire compilati i verbali in ogni seggio. Dopodiché, comincerà il conteggio delle schede. Per le scorse elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie lo spoglio ha richiesto alcune ore. In questo caso si dovrebbe trattare di un'operazione più semplice avendo da conteggiare solo i sì e i no e non le preferenze per i delegati. "SCELTA DIFFICILE" - Tutti i lavoratori che hanno votato di notte, sia coloro che hanno votato "sì", sia coloro che hanno scelto il "no", hanno parlato di na "scelta molto difficile". Cercando di evitare telecamere e fotografi, già presenti in buon numero, per andare a casa dopo otto ore di lavoro notturno, chi ha votato "no", interrogato sulla propria scelta, è apparso in genere più convinto. "Non possiamo cancellare con le nostre mani decine di anni di conquiste e di diritti, sanciti dalle leggi e anche dalla Costituzione", ha detto un giovane operaio della catena di montaggio. I giovani in realtà erano pochi all'uscita dalla fabbrica, così come le donne. Una di queste ha spiegato: "Mi manca poco alla pensione, anche se non so ancora bene quanto visto le ultime norme: ho votato sì per salvaguardare il posto di lavoro, mio e di tutti". Ma c'era anche chi motivava con decisione il proprio "sì": "Solo così, cambiando, possiamo attirare investimenti a Mirafiori e in Italia", ha commentato un operaio. CAMUSSO - "Credo che non bisogna sovraccaricare i lavoratori di Mirafiori di troppe responsabilità. Quello è un modello che non va bene per descrivere un futuro" ha sottolineato il leader della Cgil Susanna Camusso. "Penso che in realtà - ha aggiunto Camusso - dobbiamo ragionare su come si discute di occupazione qualificata e di industria solida che abbia un mercato e non scarichi sui lavoratori le condizioni". SACCONI - Sul referendum è intervenuto ancora una volta il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Se al referendum di Mirafiori vincesse il no "non è difficile prevedere una situazione sostanzialmente irreversibile il giorno dopo" ha spiegato il ministro. Senza l'investimento Fiat a Mirafiori c'è il rischio di un "progressivo declino" della produzione automobilistica in Italia ha detto Sacconi. Il ministro ha escluso che Marchionne possa decidere di smantellare gli altri siti: "Non sarebbe nemmeno in grado, volendolo, di smantellare investimenti significativi che sono stati realizzati. Tuttavia - ha però avvertito - può prodursi una fase progressiva di declino della produzione automobilistica in Italia qualora venisse meno questo investimento a Torino, che è condizione anche per il mantenimento in prossimità a quello stesso stabilimento di Mirafiori di funzioni intelligenti per l'auto, funzioni di ricerca, di stile, che costituiscono il sistema auto in quella città a differenza di luoghi eminentemente di produzione quali sono gli altri siti". "Il declino - ha detto Sacconi - sarebbe a mio avviso irreversibile per l'intera presenza. Si determina un progressivo declino a partire da Torino". Redazione online 14 gennaio 2011
La ricetta del gruppo per ripartire Il modello Mirafiori conquista Carrefour Accordo con sì di tutti i sindacati: premi a straordinario festivo, pause retribuite e salari legati alla produttività La ricetta del gruppo per ripartire Il modello Mirafiori conquista Carrefour Accordo con sì di tutti i sindacati: premi a straordinario festivo, pause retribuite e salari legati alla produttività (Epa) (Epa) MILANO - Nella vertenza-Fiat il termine-chiave è flessibilità. Nel commercio "già la si sperimenta da anni", ammette Ferruccio Fiorot, segretario nazionale Fisascat, la federazione servizi e commercio della Cisl. Marchionne chiede un maggior utilizzo degli impianti per investire in Italia? In Carrefour gli impianti sono i punti vendita e "nel nuovo accordo integrativo aziendale si premiano proprio gli straordinari domenicali e festivi", dice Paolo Andreani, segretario nazionale Uiltucs, organismo di categoria della Uil. Meno incline al parallelismo Maria Grazia Gabrielli, Filcams Cgil: "in Carrefour abbiamo ricostruito un contratto integrativo aziendale. In Fiat si chiede persino la deroga al contratto nazionale", dice. Ma "l'atteggiamento che hanno avuto i vertici del gruppo francese nel 2009 (con la disdetta unilaterale dell'integrativo aziendale, ndr.) è lo stesso della Fiat: rompere le relazioni sindacali". I confederali, ora alla prova di Mirafiori, hanno sperimentato una comunanza d'intenti per la "Fiat del commercio": Carrefour. La seconda multinazionale al mondo nella grande distribuzione è riuscita laddove il Lingotto ha diviso. Raggiungendo uno schema di accordo – ora sottoposto alla consultazione dei quasi 22mila dipendenti italiani del gruppo – che dovrebbe essere ratificato il prossimo 9 febbraio. L'ACCORDO – Al netto delle logiche differenze categoriali – industria metalmeccanica la Fiat, leader nei servizi e nel commercio, Carrefour – di core business e di modello organizzativo aziendale, i sindacati hanno accettato il piano proposto dal gruppo francese. Eccone i termini, per traslazione "simili" alle proposte dei vertici torinesi: prestazione oraria domenicale e festiva in straordinario retribuita con il 60% di maggiorazione per il periodo natalizio, bonus forfettari negli altri periodi dell'anno (per un massimo di 400 euro), un meccanismo di salario variabile per i neo-assunti (nel 2010, ndr.) legato alla produttività e con la prospettiva di un consolidamento nella retribuzione fissa nel caso la redditività dell'azienda torni ai livelli pre-crisi. E anche pause pagate (sia con un contratto part-time, sia full-time), come previsto dal precedente contratto integrativo aziendale. In altri termini maggiore produttività, minore assenteismo – "anche se nel commercio siamo lontani dai livelli di assenteismo tipici della Fiat", precisa Fiorot (Fisascat Cisl) – per un ritorno in busta paga per i dipendenti, al netto della componente variabile, sulla quale Gabrielli (Filcams Cgil), esprime qualche riserva "perché condizionata dai livelli di produttività ante-crisi". L'azienda, dal fronte suo, si è detta disponibile a tornare ad investire in Italia (come auspica Marchionne per la Fiat) e "in un momento di crisi come questo se Carrefour avesse voluto delocalizzare all'estero, ciò avrebbe significato un impoverimento per il tessuto nazionale", dice Andreani (Uiltucs). Scongiurato il rischio trasferimento "la volontà è quella di realizzare, nel biennio 2011-2012, una forte politica di investimenti proseguendo nella rimodulazione del modello commerciale", dice Francesco Quattrone, direttore risorse umane di Carrefour Italia. Per un'azienda che nel 2008 chiudeva in rosso il proprio bilancio puntare ancora sulla grande distribuzione organizzata in Italia è una scommessa. Condizionata dall'esito della consultazione. Ma i sindacati sembrano uniti e non ci dovrebbero essere sorprese. Fabio Savelli 14 gennaio 2011
Seggi aperti fino alle 19.30, poi lo spoglio Referendum a Mirafiori, alta affluenza Dei circa 400 lavoratori del turno notturno ha votato quasi il 98% . "Scelta difficile" * NOTIZIE CORRELATE * Camusso: non cancellare la Fiom (13 gennaio 2011 * Berlusconi e il referendum Fiat: "Con il no buoni motivi per lasciare l'Italia" (12 gennaio 2011) * Mirafiori, Fiat spiega l'accordo in fabbrica (12 gennaio 2011) * Intesa su Mirafiori, la Fiom non firma Marchionne: "Subito gli investimenti" (23 dicembre 2010) * LA SCHEDA: Mirafiori, l'accordo in pillole Seggi aperti fino alle 19.30, poi lo spoglio Referendum a Mirafiori, alta affluenza Dei circa 400 lavoratori del turno notturno ha votato quasi il 98% . "Scelta difficile" MILANO - Per il futuro di Mirafiori è il giorno della verità. I lavoratori dello stabilimento torinese della Fiat stanno votando il referendum sull'accordo del 23 dicembre scorso, cruciale per il destino della fabbrica. Alta l'affluenza. Nel turno di notte allo stabilimento, ha votato il 97,7% dei 393 lavoratori presenti. Di fronte ai cancelli di Mirafiori, il clima è tranquillo ed è ancora scarsa la presenza di delegati e attivisti sindacali a sostegno delle diverse posizioni nel referendum. Tra molte bandiere colorate dei diversi sindacati e striscioni tutti contrari all'accordo, lavorano solo le truppe televisive per le dirette delle diverse reti. A metà giornata è previsto il cambio turno dei lavoratori del mattino che stanno votando nei nove seggi allestiti per loro. SEGGI APERTI FINO ALLE 19,30- Dopo il voto dei lavoratori del turno di notte si sono aperti infatti alle 7.30 tutti e nove i seggi per il referendum interno alle carrozzerie di Mirafiori. I seggi rimarranno aperti fino alle 13. Riapriranno alle 14.30 per il turno del pomeriggio che completerà il voto dei 5.431 aventi diritto, dei quali 453 impiegati. La chiusura definitiva dei seggi è fissata per le 19.30, quando cominceranno a venire compilati i verbali in ogni seggio. Dopodiché, comincerà il conteggio delle schede. Per le scorse elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie lo spoglio ha richiesto alcune ore. In questo caso si dovrebbe trattare di un'operazione più semplice avendo da conteggiare solo i sì e i no e non le preferenze per i delegati. "SCELTA DIFFICILE" - Tutti i lavoratori che hanno votato di notte, sia coloro che hanno votato "sì", sia coloro che hanno scelto il "no", hanno parlato di na "scelta molto difficile". Cercando di evitare telecamere e fotografi, già presenti in buon numero, per andare a casa dopo otto ore di lavoro notturno, chi ha votato "no", interrogato sulla propria scelta, è apparso in genere più convinto. "Non possiamo cancellare con le nostre mani decine di anni di conquiste e di diritti, sanciti dalle leggi e anche dalla Costituzione", ha detto un giovane operaio della catena di montaggio. I giovani in realtà erano pochi all'uscita dalla fabbrica, così come le donne. Una di queste ha spiegato: "Mi manca poco alla pensione, anche se non so ancora bene quanto visto le ultime norme: ho votato sì per salvaguardare il posto di lavoro, mio e di tutti". Ma c'era anche chi motivava con decisione il proprio "sì": "Solo così, cambiando, possiamo attirare investimenti a Mirafiori e in Italia", ha commentato un operaio. Redazione online 14 gennaio 2011
2011-01-13 L'intesa del 23 dicembre era stata siglata da tutte le sigle sindacali, tranne la Fiom Mirafiori, via al referendum sull'accordo Camusso, non cancellare la Fiom La leader Cgil: "Se le fabbriche vengono trasformate in caserme, è un vulnus per la democrazia" * NOTIZIE CORRELATE * Berlusconi e il referendum Fiat: "Con il no buoni motivi per lasciare l'Italia" (12 gennaio 2011) * Mirafiori, Fiat spiega l'accordo in fabbrica (12 gennaio 2011) * Intesa su Mirafiori, la Fiom non firma Marchionne: "Subito gli investimenti" (23 dicembre 2010) * LA SCHEDA: Mirafiori, l'accordo in pillole L'intesa del 23 dicembre era stata siglata da tutte le sigle sindacali, tranne la Fiom Mirafiori, via al referendum sull'accordo Camusso, non cancellare la Fiom La leader Cgil: "Se le fabbriche vengono trasformate in caserme, è un vulnus per la democrazia" Una manifestazione degli operai Fiat (Reuters) Una manifestazione degli operai Fiat (Reuters) TORINO - "Comunque vadano le cose, nella fabbrica ci torneremo", è l'indicazione del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, che ha confermato l'impegno da parte anche della Fiom a rientrare nella Fiat di Mirafiori anche nel caso di sconfitta al referendum tra i lavoratori sull'accordo sottoscritto lo scorso 23 dicembre da diverse sigle sindacali ma non dalla Fiom, i metalmeccanici della Cgil. I primi a votare al referendum saranno gli operai del turno delle 22. "È l'impostazione della vertenza che rende tutto incredibile. L'idea che bisogna trasformare le fabbriche in caserme è un vulnus alla democrazia", ha aggiunto il segretario della Cgil. IL VOTO - Le urne resteranno aperte fino al pomeriggio di venerdì e in serata si conosceranno i risultati. Gli operai sono chiamati a dire la loro sul piano che prevede aumenti lordi per 3.700 euro all'anno, ma in cambio di nuove turnazioni che prevedono più notturni e più straordinari. La Fiom contesta tra l'altro le nuove norme sui permessi malattia e l'abolizione delle pause. Nelle ultime settimane il fronte del no guidato dalla Fiom e quello del sì capitanato dalle altre sigle sindacali e dalla Fiat, che mercoledì mattina ha indetto assemblee per spiegare i contenuti dell'accordo, si sono fronteggiati a colpi di volantini cercando di convincere i lavoratori a sostenere le rispettive posizioni. CAMUSSO - A chi le ha fatto osservare come quella di giovedì potrebbe essere l'ultima assemblea della Fiom a Mirafiori, Camusso ha replicato che "la Fiom esiste da 110 anni. È una grande organizzazione con migliaia di iscritti e non può venir cancellata così. Evitiamo di attribuire all'amministratore delegato della Fiat il potere di cancellare la storia e le tradizioni del nostro Paese. Vorrei non partecipare al terno al lotto sul referendum: commenti ne faremo il giorno dopo il voto. Il progetto di Fiat non va bene perché cancella la rappresentanza dei lavoratori. Noi non vogliamo che la fabbrica venga sostituita da una caserma autoritaria"". Camusso poi è tornata a polemizzare con le dichiarazioni di mercoledì di Berlusconi: "Il presidente del Consiglio fa spettacolo e ha abdicato al suo mestiere". FIOM - "Abbiamo tanti modi per stare dentro alla fabbrica anche se qualcuno pensa di vietare la nostra attività sindacale", ha detto il segretario nazionale della Fiom, Giorgio Airaudo, al termine dell'assemblea degli operari a Mirafiori replicando alle dichiarazioni di Camusso. Ariaudo dice ancora no alla "firma tecnica" all'accordo con la Fiat, come ipotizzato da Camusso, o "l'adesione critica" che consentirebbe alla Fiom di eleggere delegati sindacali, visto che l'intesa prevede che possano presentare delegati solo i sindacati firmatari dell'accordo. "Non è possibile rientrare con la firma tecnica perché il rapporto con i lavoratori si basa sul consenso che abbiamo anche in base al fatto che diciamo no a quell'accordo. Stiamo facendo iscritti anche in queste ore", ha concluso Ariaudo. Redazione online 13 gennaio 2011
2011-01-12 TORINO Mirafiori, Fiom accusa l'azienda "Pressioni sugli operai per votare sì" Confermate le date del referendum, ma si riaccende la polemica. La Fiat ferma la produzione e convoca i lavoratori a gruppi per spiegare l'accordo e sollecitare il voto favorevole. Il sindacato delle tute blu Cgil protesta. "Mistero" sul testo finale dell'intesa. Le assemblee informative di Fim, Uilm, Fismic e Ugl si terranno fuori dalla fabbrica e dell'orario di lavoro / Tensione per Vendola- Foto 1 Mirafiori, Fiom accusa l'azienda "Pressioni sugli operai per votare sì" La propaganda dei Cobas per il no al referendum davanti ai cancelli * Scontro tra Camusso e Marchionne Bersani e Bonanni: "L'ad misuri le parole" articolo Scontro tra Camusso e Marchionne Bersani e Bonanni: "L'ad misuri le parole" * Marchionne: Fiat è al 25% di Chrysler "Se a Mirafiori vince il no andiamo in Canada" articolo Marchionne: Fiat è al 25% di Chrysler "Se a Mirafiori vince il no andiamo in Canada" * Riparte Mirafiori, Fiom: "Possiamo vincere" Il Pd: "Rispettare l'esito del referendum" articolo Riparte Mirafiori, Fiom: "Possiamo vincere" Il Pd: "Rispettare l'esito del referendum" * Camusso tenta il blitz su Landini "Non è una vertenza solo vostra" articolo Camusso tenta il blitz su Landini "Non è una vertenza solo vostra" * Cgil e Fiom non rompono su Fiat Camusso: "Sostegno allo sciopero" articolo Cgil e Fiom non rompono su Fiat Camusso: "Sostegno allo sciopero" * Mirafiori, si vota il 13 e il 14 gennaio I favorevoli all'intesa: "Avremo l'80%" articolo Mirafiori, si vota il 13 e il 14 gennaio I favorevoli all'intesa: "Avremo l'80%" * Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo" articolo Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo" * Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" articolo Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" * "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom articolo "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom TORINO - La Commissione elettorale, composta di soli lavoratori indicati dalle sei diverse sigle sindacali presenti in fabbrica, ha confermato ufficialmente che il referendum sull'accordo a Mirafiori si terrà domani e venerdì. La decisione supera le divisioni nate ieri davanti alla proposta di Fim e Ugl di far slittare il voto perché troppo vicino alle assemblee della Fiom, confermate per domani. Oggi Fim precisa che l'ipotesi di rinvio era stata avanzata solo per gli stretti tempi di predisposizione del voto. Assemblee con i capi Fiat - L'ennesima giornata calda di vigilia è stata accesa dalla notizia che la Fiat aveva deciso di tenere assemblee nei reparti per spiegare a sua volta, tramite i capireparto, l'accordo del 23 dicembre, non firmato da Fiom e Cobas, e per chiedere agli operai di votare sì. L'azienda ha spiegato di aver diritto a tenere le assemblee in quanto parte firmataria dell'intesa, ma le polemiche sono scoppiate immediatamente. La polemica - "Da questa mattina - ha detto Giorgio Airaudo, responsabile Fiom auto - alle Carrozzerie di Mirafiori si sta verificando un fenomeno singolarissimo. La produzione viene fermata dall'azienda e gruppi di lavoratori vengono riuniti dalla gerarchia aziendale che spiega loro, a modo suo, i contenuti dell'accordo separato del 23 dicembre. In pratica, la Fiat sta facendo le sue assemblee". A margine dell'illustrazione dell'accordo, dice ancora Airaudo, "ci sarebbe chi si informa su come i lavoratori intendano esprimersi in occasione del referendum". Se questo fosse vero - sottolinea Airaudo - significherebbe che in Fiat il referendum non sarebbe più una consultazione che già consideriamo illegittima, ma una palese violazione dei più elementari principi di libertà e democrazia e sarebbe un'azione antisindacale". "Nel silenzio dei sindacati firmatari - accusa Airaudo - l'Azienda ha assunto non solo la guida diretta del fronte del sì, ma addirittura l'iniziativa di sostituirsi ai sindacati stessi. A questo fatto, già clamoroso, se ne aggiunge un altro gravissimo. I capi dicono ai lavoratori delle Carrozzerie che il testo dell'accordo, che è stato distribuito ai lavoratori solo dalla Fiom, l'unica sigla che non l'ha sottoscritto, non sarebbe l'ultima versione dell'accordo stesso. Questa è una bugia evidentemente diffusa a scopi propagandistici: se quel che i capi stanno dicendo fosse vero, in quale luogo segreto l'accordo sarebbe stato modificato? E i sindacati firmatari ne sono stati informati? E soprattutto: su che cosa veramente si voterà nel referendum?". Firmatari, assemblee "esterne" - Il livello della tensione che si respira in fabbrica è testimoniato dalla decisione dei sindacati firmatari dell'intesa - Fim, Uilm, Fismic e Ugl - di tenere domani le proprie assemblee informative al di fuori della fabbrica e dell'orario di lavoro. La decisione è infatti motivata, in una nota congiunta, "stante il clima di non possibile svolgimento democratico delle assemblee retribuite per svolgere un confronto e un dibattito che aiuti i lavoratori stessi a capire l'accordo e a confrontarsi". Le assemblee sono convocate dalle 10 alle 12 e dalle 14 alle 16 nei locali della parrocchia del Redentore, poco distante dallo stabilimento. Al voto in 5.431 - Tornando al referendum, il voto si terrà a partire dal turno di notte di domani, quindi verso le 22, e proseguirà con il turno del mattino di venerdì e quello successivo del pomeriggio. I lavoratori di questo turno, che inizia a metà giornata, avranno a disposizione 2-3 ore per votare, poi alle 19,30 le urne si chiuderanno e si comincerà alla vidimazione delle schede, si stenderanno i verbali e solo successivamente si procederà al conteggio dei voti. L'intero procedimento dovrebbe concludersi entro la serata e i risultati dovrebbero arrivare non prima delle 23. I votanti sulla carta sono 5.431, 453 dei quali impiegati. L'età media si aggira intorno ai 47 anni, mentre l'anzianità aziendale media supera i vent'anni. Marchionne a Ft - Intanto, in un'intervista all'edizione online del Financial Time, Sergio Marchionne ha ribadito che "Fiat non intende andare da nessuna parte" e che "solo se l'Italia non volesse Fiat, se sarà necessario l'azienda andrà altrove con la produzione del Suv prevista a Mirafiori. Sul referendum in fabbrica, l'Ad si dice fiducioso: "Spero che la maggioranza delle persone comprenda le ragioni" dell'accordo. Confindustria - Quanto a Confindustria, la presidente Emma Marcegaglia ha ribadito di essere dalla parte di Marchionne: "La Fiat vuole fare degli investimenti - ha detto - e per questo chiede la governabilità delle fabbriche, non c'è alcuna lesione dei diritti". Il presidente di Confindustria Friuli, Adriano Luci, ha aggiunto che "il modello Marchionne, soprattutto se al referendum vincerà il sì, costituirà un punto di riferimento per numerosi imprenditori. Anche perché non si tratta di una flessibilità coniugata con i licenziamenti". Bufera sulle frasi di Berlusconi - Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha polemizzato con il premier Berlusconi per le dichiarazioni di Berlino sulla vicenda Fiat: "Riteniamo positivo lo sviluppo che sta prendendo la vicenda con la possibilità di un accordo tra le forze sindacali e l'azienda", ha detto Berlusconi, aggiungendo che in mancanza di un accordo "le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri paesi". Duro il commento di Camusso: "Non conosco nessun presidente del consiglio che si augura che se ne vada il più grande gruppo industriale dal Paese. Se questa è la sua idea del Paese, è meglio che il premier se ne vada. Sta facendo una gara con l'amministratore delegato della Fiat tra chi fa più danno al nostro Paese". (12 gennaio 2011)
CONFERMATO IL REFERENDUM Mirafiori, Fiat spiega l'accordo in fabbrica Interrotta la produzione per un'ora. La Fiom protesta L'azienda: "È una nostra prerogativa" CONFERMATO IL REFERENDUM Mirafiori, Fiat spiega l'accordo in fabbrica Interrotta la produzione per un'ora. La Fiom protesta L'azienda: "È una nostra prerogativa"
TORINO - Mossa a sorpresa della Fiat. Questa mattina, all’inizio del primo turno, l’azienda ha interrotto la produzione per un’ora convocando delle assemblee (composte mediamente da una quarantina di operai, a seconda delle linee) nelle quali i capisquadra hanno spiegato ai lavoratori la versione dell’azienda sui contenuti dell’accordo. CONTROBILANCIARE - L’iniziativa potrebbe avere lo scopo di controbilanciare l’effetto delle assemblee, che si terranno giovedì, convocate dalla Fiom (contraria all’accordo), per spiegare l’interpretazione in negativo dell’accordo. I sindacati che hanno firmato l’accordo avevano scelto di non distribuire il testo dell’accordo medesimo e di non convocare alcuna assemblea. La mossa della Fiat rappresenta una mossa del tutto inedita che già sta suscitando reazioni. Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom, è indignato: "Siamo ormai ai padroni del vapore, la rappresentanza sindacale è gestita direttamente dall’azienda. È la chiara dimostrazione che la Fiat non si fida dei firmatari del sì e interviene per conto suo". "PREROGATIVE" - La Fiat ha risposto che "è nelle sue prerogative" spiegare un accordo che l'azienda ha firmato. Intanto la Commissione elettorale, composta di soli lavoratori indicati dalle diverse sigle sindacali, ha confermato ufficialmente che il referendum sull'accordo a Mirafiori si terrà domani e dopodomani. M. Ima. 12 gennaio 2011
il manager: "Non si può confondere il cambiamento con un insulto all'italia" Camusso: "Da Marchionne solo insulti" L'ad Fiat: "Voglio solo innovare" La Fiom alla Cgil: "Fare saltare l'accordo". Bersani e Bonanni: "L'ad misuri le parole" il manager: "Non si può confondere il cambiamento con un insulto all'italia" Camusso: "Da Marchionne solo insulti" L'ad Fiat: "Voglio solo innovare" La Fiom alla Cgil: "Fare saltare l'accordo". Bersani e Bonanni: "L'ad misuri le parole" Susanna Camusso (Emblema) Susanna Camusso (Emblema) MILANO - L'ad del Lingotto, Sergio Marchionne, "insulta ogni giorno il Paese": lo afferma il leader della Cgil, Susanna Camusso, nella relazione introduttiva all'assemblea nazionale delle Camere del lavoro a Chianciano Terme, in provincia di Siena, accusando la Fiat di non rendere noti i dettagli del piano 'Fabbrica Italia'. "Se Fiat può tenere nascosto il piano - ha aggiunto - è anche perchè c'è un governo che non fa il suo lavoro ma è tifoso e promotore della riduzione dei diritti". LA REPLICA DI MARCHIONNE - "Non si può confondere il cambiamento con un insulto all'Italia" ha replicato poco dopo Marchionne. "Se introdurre un nuovo modello di lavorare in Italia - ha detto Marchionne al Salone dell'Auto di Detroit - significa insulto mi assumo le mie responsabilità, ma non lo è. L'ho già detto e lo continuo a ripetere: è un messaggio totalmente coerente con la strategia industriale di questo gruppo". "Siamo assolutamente convinti - ha aggiunto - che il modo di operare industrialmente in Italia, anche sulla base della nostra esperienza a livello internazionale, debba essere rinnovato. Stiamo cercando di cambiare una serie di relazioni che storicamente hanno guidato il sistema italiano. In questo sono assolutamente colpevole, stiamo cercando di cambiarlo, di aggiornarlo e di renderlo competitivo. Non si può confondere con un insulto all'Italia. Anzi vogliamo più bene noi all'Italia in questo senso cercando di cambiarla. Il vero affetto è cercare di fare crescere le persone e farle crescere bene, stiamo cercando di farlo a livello industriale. Il fatto che sia un modo nuovo non lo metto in dubbio e nemmeno che sia dirompente perchè cambia il sistema delle relazioni storiche, ma che in questo si veda una mancanza di affetto verso l'Italia è ingiustificato. È uno sforzo sovraumano, non lo farebbe nessun altro". "CHI PERDE CI DEVE STARE" - "Io non ce l'ho né con la Camusso, né con la Fiom, né con la Cgil e nemmeno con Landini. Hanno dei punti di vista che sono completamente diversi dai nostri - ha affermato Marchionne - che non riflettono quello che vediamo noi a livello internazionale. Nessuno sta dicendo loro di cambiare punto di vista ma questo non consente loro di accusare gli altri di non voler bene all'Italia. Così non si risolve niente". Poi una battuta categorica: "A Mirafiori chi perde, anche se per un solo voto, ci deve stare". "In qualsiasi società civile quando la maggioranza esprime un'opinione, anche con il 51%, la minoranza perde e cede il diritto di gestire. Quando si perde si perde", ha affermato. "Io ho perso tantissime volte in vita mia - ha aggiunto - sono stato zitto e sono andato avanti. Non ho reclamato. Se venerdì vincerà il sì avrà vinto il sì e il discorso è chiuso. Non possiamo fare le votazioni 50.000 volte. Capisco che nessuno vuole perdere ma una volta che si è perso si è perso". LANDINI - Nella polemica a distanza Camusso-Marchionne si inserisce anche il leader della Fiom Laurizio Landini: "Chi viene nominato lì non fa il sindacalista ma il gendarme dell'impresa", ha detto Landini intervenendo all'assemblea nazionale delle Camere del lavoro promossa dalla Cgil e riferendosi all'accordo su Mirafiori. "Non è vero", sostiene Landini, che la scelta della Fiat di tornare alle Rsa nominate dai soli sindacati firmatari "è fatta per mettere fuori la Fiom e la Cgil; è una scelta di fondo perché nel momento in cui possono essere eletti i rappresentanti solo dai sindacati che ha scelto la Fiat, vuol dire che quelli stessi non hanno più diritto di esercitare un ruolo sindacale" ma quello di "gendarme dell'impresa". Poi attacca: "Bisogna far saltare l'accordo, renderlo non applicabile ed essere in grado di riconquistare i diritti che in termini sindacali significa riaprire la trattativa e considerare la vertenza ancora aperta". "Tutto il sindacato, tutta la Cgil lo capisca", aggiunge. BERSANI E RENZI - Poi è stata la volta del leader del Pd Pier Luigi Bersani, che ai microfoni del Tg3, a proposito delle ultime dichiarazioni dell'ad Fiat ha detto che "Marchionne saprà pure prendere la misura alle auto, ma misurare le parole non lo sa fare". Bersani chiede a Marchionne di spiegare come investirà i 20 miliardi promessi nel piano Fiat. Di parere diametralmente opposto al segretario è Matteo Renzi, sindaco di Firenze, che ai microfoni del TGLA7 dichiara: "Io sono dalla parte di Marchionne. Dalla parte di chi sta investendo nelle aziende quando le aziende chiudono. Dalla parte di chi prova a mettere quattrini per agganciare anche Mirafiori alla locomotiva America". "Andrò alla direzione di giovedì - aggiunge il sindaco di Firenze, leader dei "rottamatori" - ma spero che Bersani non chiacchieri di aria fritta, ma dei problemi degli italiani. Non chiacchieri dell'inciucio con Fini, ma del futuro del Pd. Il Pd è credibile - incalza - se smette di inseguire i falsi problemi. Provi concretamente a dire "ok, Berlusconi ha fallito" ma dicendo agli italiani quali sono le nostre soluzioni per ripartire". BONANNI - Stesso concesso espresso dal segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni: "Farebbe bene a stare più zitto, come farebbero bene molti esponenti della classe dirigente italiana e dire fino in fondo cosa sta accadendo in un Paese che da cinque anni non ha investimenti e quindi non c'è lavoro". Poi conferma che il referendum sull'accordo di Mirafiori si farà senza alcun rinvio dopodomani, auspicando la vittoria dei sì perché "l'investimento è importante, non solo perché salva Torino ma perché è una indicazione fortissima per gli investitori italiani e stranieri". La Fiom dovrà attenersi e rispettare le decisioni della maggioranza, ma "la verità vera - chiosa in una intervista al Tg3 Bonanni - è che non rispetta mai le decisioni della maggioranza". REFERENDUM - Invece sulla consultazione su Mirafiori di giovedì e venerdì prossimi il leader Cgil Camusso aveva precisato che "un esito del referendum con i sì non lo auspichiamo ma non lo possiamo escludere". Questo, aggiunge, "come conseguenza porta anche l'esclusione della Fiom e della Cgil dalle fabbriche. Su questo dobbiamo continuare a riflettere". Camusso ha ribadito la necessità di "sostenere e comprendere le ragioni del no. Non ci si può sottrarre dalla battaglia per il no, bisogna - prosegue il leader della Cgil riferendosi alle tute blu della Fiom - che loro sappiano che hanno il sostegno di tutta la loro organizzazione". Redazione online 11 gennaio 2011(ultima modifica: 12 gennaio 2011)
RISPOSTA A PIERO OSTELLINO Liberalizzare: le troppe leggi sono la tirannia da abbattere La proposta: una legge costituzionale che dia efficacia al principio di responsabilità dei singoli cittadini * NOTIZIE CORRELATE * Il Cavaliere e il Professore di Piero Ostellino (Corriere della Sera, 11 gennaio 2011) RISPOSTA A PIERO OSTELLINO Liberalizzare: le troppe leggi sono la tirannia da abbattere La proposta: una legge costituzionale che dia efficacia al principio di responsabilità dei singoli cittadini Cominciamo dalla liberalizzazione delle attività d’impresa. Le regole giuste sono un investimento. Sono le regole sbagliate ad essere un costo. E le regole possono essere sbagliate anche perché sono troppe. Con la globalizzazione il mondo è radicalmente cambiato e nella globalizzazione la competizione non è più solo tra imprese, ma anche tra blocchi continentali e sistemi giuridici. In linea di principio si può essere a favore o contro la competizione economica globale. Ma in concreto non si può fare finta che non ci sia. Non ci si può illudere che tutto possa continuare come prima. Nello scenario globale che si è aperto, l’Italia ha davanti a sé l’alternativa tra declino e sviluppo. Se si vuole lo sviluppo si deve cambiare, a partire dal dominio giuridico. Che effetto ha prodotto e produce sull’attività d’impresa l’attuale bulimia giuridica, la massa sconfinata e crescente di regole? Alcuni dati ne danno la cognizione (guarda le tabelle). I TRE SISTEMI - Come agire su questa massa di regole, per ridurla? Una prima tecnica è quella dell’"abrogazione". E’ questa senz’altro una buona tecnica, ma non risolve definitivamente il problema. Le uova depositate dal serpente legislativo si riproducono infatti in continuazione. E anzi, paradossalmente, tra il beneficio che dà l’abrogazione di una legge e il maleficio costituito dallo stress normativo che l’innovazione comunque causa, il saldo rischia di rimanere comunque negativo. Una seconda tecnica è quella della "delegificazione", passare cioè dalla legge al regolamento, che è come passare dalla padella nella brace. Perché i regolamenti sono pesanti come le leggi ed essendo intercambiabili non alleggeriscono ma anzi spesso appesantiscono la burocrazia. La terza tecnica è quella della "semplificazione". I processi e i metodi adottati in passato nel nostro Paese sono stati utili, ma non risolutivi. Le norme dirette a semplificare si sono infatti esse stesse strutturate come "lenzuoli" normativi, che a loro volta hanno prodotto decreti legislativi torrenziali e dunque ulteriori alluvioni di normative. LA SOLUZIONE COSTITUZIONALE - In sintesi le pratiche sopra citate hanno prodotto e possono produrre risultati buoni, ma ancora insoddisfacenti: come i tentacoli dei mostri mitologici, per ogni legge delegificata rinasceva un regolamento, per ogni norma di semplificazione rinascevano una o più norme di complicazione. In realtà il nodo di Gordio, la metafora millenaria della semplificazione, non si scioglie ma si taglia con un colpo di spada. Con una norma che dia efficacia costituzionale e definitività al principio di responsabilità, all'autocertificazione, al controllo ex post, estendendoli con la sua forza obbligatoria a tutti i livelli dell’ordinamento, superando così i problemi del complicato riparto delle competenze legislative. Alla obiezione sui tempi lunghi di una legge costituzionale si può rispondere ricordando che la Legge costituzionale istitutiva della Bicamerale D’Alema fu approvata in 4 mesi (agosto compreso). Pare corretto assumere che la legge costituzionale di cui sopra, per la sua non minore importanza (!), possa ottenere dal Parlamento uguale impegno di lavoro. FOLLIA REGOLATORIA - Non ci sono reali alternative: la cappa delle regole che pesa sull’economia, una cappa che è cresciuta a dismisura negli ultimi tre decenni ed è aggrovigliata dalla moltiplicazione delle competenze – centrali, regionali, provinciali, comunali - è ormai divenuta tanto soffocante da creare un nuovo Medioevo. Dietro la follia regolatoria c’è in specie qualcosa che in realtà va nel profondo dell’antropologia culturale: una visione dell’uomo che è o negativa o riduttiva. La visione negativa è quella della gabbia (l’homo homini lupus). Il lupo va ingabbiato: è Hobbes. Da questa filosofia sono derivati l’assioma e la contrapposizione moderna fra pubblico e privato, dove "pubblico" è stato assiomaticamente associato a "morale" e "privato" a "immorale". La visione riduttiva si basa invece sull’assunto che l’uomo non è certo "a priori" malvagio, ma è tuttavia insufficiente a sé stesso, in parte incapace di fare da solo il suo bene. Ad esso soccorre dunque la benevolenza del potere pubblico. IL NUOVO MEDIOEVO - Questi due pregiudizi hanno ormai impiantato un nuovo Medioevo. Come nel vecchio Medioevo tutta l’economia era bloccata da dazi e pedaggi d’ingresso e di uscita, alle porte delle città, nei porti, nei valichi, da status soggettivi e personali discriminatori, così oggi il nostro territorio è popolato da un’infinità di totem giuridici. E’ stato Alexis de Tocqueville, in La democrazia in America, a fare profeticamente la più efficace sintesi del processo che oggi ci troviamo, nonostante tutto, a subire: "Il sovrano estende il suo braccio sull’intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose ed uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la folla; esso non sprezza le volontà, ma le infiacchisce, le piega e le dirige; raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente di impedire che si agisca, non distrugge, ma impedisce di creare, non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi ed industriosi della quale il governo è pastore. Ho sempre creduto che questa specie di servitù regolata e tranquilla, che ho descritto, possa combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della libertà e che non sia impossibile che essa si stabilisca anche all’ombra della sovranità del popolo". VISIONE POSITIVA - Il Medioevo vero è finito, ma il nuovo Medioevo, che ci si presenta come la caricatura giuridico-democratica di quello precedente, ci fa scivolare verso il declino. Non è questa la visione giusta, se della persona si ha una visione positiva, perché si crede giusto investire sulla sua capacità di produrre ricchezza sociale ed economica, sulla sua capacità di concorrere al bene comune. Sull’uomo non si può avere un pregiudizio, ma un giudizio. Come in Sant’Agostino, che riconosceva l’esistenza di una socialità originaria, di una civitas primaria che nasce dalla socialità propria della natura umana; e che è un ordine che ha una sua bellezza propria (Agostino, De vera religione 26, 48). Per questo, si può (si deve) avere una visione positiva della persona, delle sue associazioni, della sua capacità d’intrapresa. Con questa visione si può (si deve) cambiare il metodo politico: si può (si deve) considerare il cittadino, prima che come un controllato dallo Stato, come una risorsa della collettività. Si può sostituire il controllo ex ante della pubblica amministrazione con un controllo ex post (che avviene senza ritardare l’inizio dell’attività); si può considerare il bene comune non più come monopolio esclusivo del potere pubblico, ma come un’auspicata prospettiva della responsabilità nell’agire privato. E' TEMPO DI CAMBIARE - L’articolo 41 della Costituzione italiana dispone quanto segue: "L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali". In teoria potrebbe essere formulata l’ipotesi di modificarlo radicalmente. Non credo che questa sia l’idea giusta. Nel "vecchio" articolo 41 della Costituzione ci sono infatti elementi fondamentali che assolutamente devono essere conservati. Ma è arrivato il tempo per operarne un aggiornamento. E’ arrivato il tempo di intervenire su quell’articolo, integrandolo per rimuovere tipi e forme di interpretazione che hanno riportato il Medioevo. E’ stato obiettato che l’articolo 41 della Costituzione ha in realtà sempre funzionato, perché non ha impedito nessuna legge di semplificazione. E’ vero. E’ però anche vero che non ha neppure impedito nessuna legge di complicazione! E’ per questo che con una legge costituzionale non solo va "potenziato" l’articolo 41, in raccordo con la successiva modifica dell’articolo 118 della Costituzione, ma lo si può, lo si deve riformare valorizzando i princìpi morali, sociali, liberali della responsabilità, dell’autocertificazione, del controllo ex post, contro i costi di manomorta e di immobilizzo tipici del vecchio-presente regime. Non è tempo per cercare le colpe della situazione presente. E’ tempo di cambiarla. In questo od in un altro modo che si vorrà (potrà) prospettare in libero dibattito. Giulio Tremonti 11 gennaio 2011(ultima modifica: 12 gennaio 2011)
LEADERSHIP E SCELTE ECONOMICHE Il cavaliere e il professore LEADERSHIP E SCELTE ECONOMICHE Il cavaliere e il professore Dalla rappresentazione che ne danno i media, si direbbe che il (supposto) contrasto fra Berlusconi e Tremonti si riduca alla preoccupazione del Sovrano che il suo ministro gli porti via il Trono e a quella del ministro di non farsi avanti prima del tempo. Rappresentazione buona per un titolo di giornale; inadeguata a spiegare la fase che sta attraversando il Paese. Che ha bisogno di politiche liberali — di lungo periodo, contro quelle keynesiane di breve, come metodo di governo — che non solo lo facciano uscire dalla crisi, ma ne facilitino l’ingresso nella Modernità. Giulio Tremonti è forse il successore più accreditato del Cavaliere (quando verrà il momento) perché è intelligente, internazionalmente noto e, ciò che non guasta, più... settentrionale dei (potenziali) concorrenti. Deve molto al Cavaliere e, lealmente, non lo dimentica. È anche realista; può succedere a Berlusconi solo col suo consenso, che poi vuol dire con i suoi voti, perché di propri — a parte quelli che gli assicura la Lega — non ne ha molti. In ballo non è, dunque, la successione che sarà, probabilmente, lo stesso Berlusconi a decidere quando, come e a favore di chi. Non sono in discussione neppure una maggiore propensione del capo del governo ad allargare i cordoni della borsa, per rilanciare la crescita, e il rigore del suo ministro delle Finanze che si preoccupa delle conseguenze di uno sforamento del bilancio. I soldi — a meno di non finire nelle sabbie mobili della spesa che fa esplodere il deficit — non ci sono e, senza soldi, diceva il Borbone, la guerra non si fa. Ora che il rischio di bancarotta non riguarda solo i privati, ma anche gli Stati, la finanza pubblica non è più un pozzo cui attingere senza limiti per finanziare una spesa ormai insostenibile. Ma chi governa il Paese — se lo vuole far uscire dal "virtuoso immobilismo" — dovrebbe anche sapere che il controllo della spesa pubblica non è un fine in sé, ma il mezzo per liberare la crescita economica. Senza rigore non c’è sviluppo, ma senza sviluppo si piomba nella collettivizzazione della povertà. E qui torniamo a Tremonti. È nato socialista, ma oggi è un mercantilista, un dirigista di destra, che tende a subordinare l’economia alla volontà politica. Un po’ per gusto della provocazione intellettuale anti mercatista; molto per scelta protezionista a difesa della piccola e media industria lombarda contro le insidie della globalizzazione. Potrebbe essere un vero modernizzatore se si liberasse di un certo integralismo fiscale, eredità del moralismo pauperista socialista, e delle scorie del colbertismo, ostile — a differenza del mercantilismo inglese— al liberalismo. Il Big Government e il Government spending si sostanziano nell’invasività regolatoria e fiscale. All’amico Giulio — che so cultore di buone letture — consiglio, allora, quella del Program for Economic Recovery (Programma per la ripresa economica) del 1981 di Ronald Reagan: riduzione della spesa, della tassazione sul lavoro e il capitale, dell’interposizione pubblica sulle regole dell’economia; contenimento dell’inflazione. E gli Usa ripresero a correre. Piero Ostellino 11 gennaio 2011
LA CRISI DEL CAMPIDOGLIO Alemanno: o si cambia marcia o si vota Il sindaco ai consiglieri comunali Pdl: voglio dare segnale forte. Ipotesi Storace e un big in giunta * NOTIZIE CORRELATE * Una mossa corretta, ma pericolosa di Paolo Conti (11 gen'11) * Alemanno, partono le consultazioni (11 gen'11) * Alemanno azzera la giunta (10 gennaio '11) * Giunta Alemanno verso rimpasto: in bilico 3 assessori (11 dic'10) * Parentopoli: "Parenti e poltrone" * Parentopoli, spunta il caso Acea. Alemanno: basta con questo fango (11 dic 10) * Alemanno e il rimpasto: a rischio 3 assessori (11 dic 10) * Guarda la foto degli assessori a rischio * Alemanno: pagherò se saranno accertate mie responsabilità (10 dic 10) * Camponeschi: tre 180 e 200 assunzioni facili (10 dic 10) * Parentopoli, si dimette il capo-scorta di Alemanno * Alemanno: Parentopoli una montatura (9 nov 10) * Parentopoli, scoppia il caso Ama (8 dic'10) * Atac, il club delle segretarie dei politici (6 dic'10) LA CRISI DEL CAMPIDOGLIO Alemanno: o si cambia marcia o si vota Il sindaco ai consiglieri comunali Pdl: voglio dare segnale forte. Ipotesi Storace e un big in giunta Alemanno (Eidon) Alemanno (Eidon) ROMA - Mezz’ora di confronto, con toni a volte più bruschi, altre volte più morbidi. E un avvertimento: "Non sono disposto a vivacchiare. Se è così, sono pronto ad andare a votare domani stesso". Alla fine, l’applauso dei consiglieri comunali del Pdl, tutti ad ascoltare Gianni Alemanno in una saletta — off limits per i cronisti — di via delle Vergini, dove hanno sede i gruppi del Campidoglio. Il sindaco è stato sferzante: "Voglio dare — ha detto nell’intervento — un segnale forte, un cambio di passo. Basta con gli assessori autoreferenziali, che non rispondono alla loro maggioranza". Parole che sono piaciute ai consiglieri, che spesso hanno lamentato la mancanza di coinvolgimento da parte della giunta. Ma Alemanno è andato anche oltre: "Però, anche da parte del consiglio, una cosa deve essere chiara: io non voglio farmi cuocere". E il riferimento, chiaro, è alle liti, ai veti incrociati, alla ripetuta mancanza del numero legale in aula, ai ricatti politici. Alemanno è andato giù duro: "O si cambia marcia, oppure si può anche votare. Vi ho già dimostrato di essere abbastanza pazzo...", ha detto scherzando ai consiglieri. L’altro passaggio chiave, sul convitato di pietra di questa fase politica: Nicola Zingaretti, presidente Pd della Provincia, possibile candidato a sindaco di Roma nel 2013. Alemanno ha fatto un chiaro riferimento al numero uno di Palazzo Valentini: "Non ho intenzione di scappare, ma di ricandidarmi al Comune. Dobbiamo, però, fare attenzione a Zingaretti che va in giro a fare il mezzo sindaco". In che senso? "Le iniziative della Provincia vengono tutte valorizzate, così escono solo le cose positive. Sui problemi, invece, oppure sulle sue mancanze, Zingaretti si nasconde dietro al Comune". La campagna elettorale è già partita. Sul fronte del rimpasto, ad Alemanno non basta cambiare qualche nome. L’idea che lo accarezza, è di "inserire un big, una figura che dia lustro alla giunta". Qualcuno svincolato dalla politica e che — come prima scelta — sia legato al sociale: uno come era monsignor Di Liegro, riferimento di Alemanno. Nei corridoi, si fa il nome di Gianluigi De Paolo, presidente delle Acli di Roma. Ma la giornata di martedì — iniziata con la riunione con Alfredo Pallone, Gianni Sammarco, Alfredo Antoniozzi, Marco Pomarici, Luca Gramazio, Vincenzo Piso, Marco Visconti, Mauro Cutrufo — ha segnato anche l’apertura a "La Destra". Francesco Storace (Imagoeconomica) Francesco Storace (Imagoeconomica) Francesco Storace ha incontrato sia Silvio Berlusconi che Alemanno, ed ha chiesto al premier un aiuto per entrare nella giunta del Comune: si pensa a Dario Rossin, per cui sarebbe creato l’assessorato alla Sicurezza. Su Croppi, anche Fli si divide. Il coordinatore provinciale Potito Salatto aveva polemizzato con l’assessore, Giulio Buffo (di Arcipelago nazionale, movimento nell’ambito finiano) lo difende: "Destano sorpresa le dichiarazioni di Salatto: tra l’altro Fli non ha ancora nominato i suoi coordinatori provinciali". L’eurodeputato insiste: "Croppi è idealmente finiano e concretamente alemanniano. Venerdì decidiamo se andare all’opposizione". Nel rimpasto il sindaco vuole anche cambiare metodo: "Si è ragionato — dice Pallone — di obiettivi e programmi: case, strade, traffico, cultura". Ogni assessore, conferma Alemanno, "avrà un cronoprogramma: se lo rispetta bene, altrimenti si cambierà ancora". Oggi (mercoledì, ndr), due incontri con le parti sociali: uno con le associazioni cattoliche, l’altro con Uir, Federalberghi, Federlazio e Confartigianato di Roma. Il tempo stringe: entro giovedì 13 Alemanno vuole la nuova giunta, per andare venerdì dal Papa. Ci riuscirà? Ernesto Menicucci 12 gennaio 2011
2011-01-11 il manager: "Non si può confondere il cambiamento con un insulto all'italia" Camusso: "Da Marchionne solo insulti" L'ad Fiat: "Voglio solo innovare" Accuse al Lingotto "di non rendere noti i dettagli del piano 'Fabbrica Italia'". "Questo governo riduce i diritti" il manager: "Non si può confondere il cambiamento con un insulto all'italia" Camusso: "Da Marchionne solo insulti" L'ad Fiat: "Voglio solo innovare" Accuse al Lingotto "di non rendere noti i dettagli del piano 'Fabbrica Italia'". "Questo governo riduce i diritti" Susanna Camusso (Emblema) Susanna Camusso (Emblema) MILANO - L'ad del Lingotto, Sergio Marchionne, "insulta ogni giorno il Paese": lo afferma il leader della Cgil, Susanna Camusso, nella relazione introduttiva all'assemblea nazionale delle Camere del lavoro a Chianciano Terme, in provincia di Siena, accusando la Fiat di non rendere noti i dettagli del piano 'Fabbrica Italia'. "Se Fiat può tenere nascosto il piano - ha aggiunto - è anche perchè c'è un governo che non fa il suo lavoro ma è tifoso e promotore della riduzione dei diritti". LA REPLICA DI MARCHIONNE - "Non si può confondere il cambiamento con un insulto all'Italia" ha replicato poco dopo Marchionne. "Se introdurre un nuovo modello di lavorare in Italia - ha detto Marchionne al Salone dell'Auto di Detroit - significa insulto mi assumo le mie responsabilità, ma non lo è. Aspettando il referendum Aspettando il referendum Aspettando il referendum Aspettando il referendum Aspettando il referendum Aspettando il referendum Aspettando il referendum Aspettando il referendum L'ho già detto e lo continuo a ripetere: è un messaggio totalmente coerente con la strategia industriale di questo gruppo". "Siamo assolutamente convinti - ha aggiunto - che il modo di operare industrialmente in Italia, anche sulla base della nostra esperienza a livello internazionale, debba essere rinnovato. Stiamo cercando di cambiare una serie di relazioni che storicamente hanno guidato il sistema italiano. In questo sono assolutamente colpevole, stiamo cercando di cambiarlo, di aggiornarlo e di renderlo competitivo. Non si può confondere con un insulto all'Italia. Anzi vogliamo più bene noi all'Italia in questo senso cercando di cambiarla. Il vero affetto è cercare di fare crescere le persone e farle crescere bene, stiamo cercando di farlo a livello industriale. Il fatto che sia un modo nuovo non lo metto in dubbio e nemmeno che sia dirompente perchè cambia il sistema delle relazioni storiche, ma che in questo si veda una mancanza di affetto verso l'Italia è ingiustificato. È uno sforzo sovraumano, non lo farebbe nessun altro". "Io non ce l'ho né con la Camusso, né con la Fiom, né con la Cgil e nemmeno con Landini. Hanno dei punti di vista che sono completamente diversi dai nostri - ha affermato Marchionne - che non riflettono quello che vediamo noi a livello internazionale. Nessuno sta dicendo loro di cambiare punto di vista ma questo non consente loro di accusare gli altri di non voler bene all'Italia. Così non si risolve niente". Poi una battuta categorica: "A Mirafiori chi perde, anche se per un solo voto, ci deve stare". "In qualsiasi società civile quando la maggioranza esprime un'opinione, anche con il 51%, la minoranza perde e cede il diritto di gestire. Quando si perde si perde", ha affermato. "Io ho perso tantissime volte in vita mia - ha aggiunto - sono stato zitto e sono andato avanti. Non ho reclamato. Se venerdì vincerà il sì avrà vinto il sì e il discorso è chiuso. Non possiamo fare le votazioni 50.000 volte. Capisco che nessuno vuole perdere ma una volta che si è perso si è perso". "GOVERNO RIDUCE I DIRITTI" - Nel frattempo la Camusso, sottolineava "la debolezza industriale dell'azienda" ed "il mistero che continua a circondare il piano Fabbrica Italia": "La Fiat sbaglia tempo e sbaglia risposte e riduce i diritti dei lavoratori e la loro fiducia sulle prospettive". "Questo governo è così tifoso che non ha il coraggio di vedere che quando l'amministratore delegato insulta ogni giorno il Paese non offende solo i cittadini e il Paese ma in realtà dice della qualità di governare e delle risposte che vengono date", risposte "sbagliate". "DENTRO LE FABBRICHE" - La Fiom e la Cgil devono "stare dentro le fabbriche per costruire tutele, prospettive e posizioni", altrimenti "diventiamo dipendenti non aiutati da altri, dipendenti dai tempi dei magistrati" e così "si definisce un vuoto" aveva spiegato ancora il segretario generale della Cgil intervenendo sulla esclusione del sindacato dopo l'accordo di Mirafiori ed in caso di vittoria dei sì al referendum del 13 e 14 gennaio. "Su questo dobbiamo continuare a riflettere; la domanda che poniamo alla Fiom è se questa è l'unica conclusione possibile. Noi pensiamo - aveva aggiunto Camusso - che il tema su cui ci vogliamo interrogare è come il giorno dopo" l'esito della consultazione "vediamo ed evitiamo le conseguenze di quell'accordo". "Per me il cuore della contraddizione sta nei processi produttivi e se non si riparte da lì si resta fuori, non si ricostruiscono le condizioni per ripartire e costruire un'altra storia e altre condizioni di lavoro". REFERENDUM - Sulla consultazione su Mirafiori di giovedì e venerdì prossimi il leader Cgil aveva precisato che "un esito del referendum con i sì non lo auspichiamo ma non lo possiamo escludere". Questo, aggiunge, "come conseguenza porta anche l'esclusione della Fiom e della Cgil dalle fabbriche. Su questo dobbiamo continuare a riflettere". Camusso ha ribadito la necessità di "sostenere e comprendere le ragioni del no. Non ci si può sottrarre dalla battaglia per il no, bisogna - prosegue il leader della Cgil riferendosi alle tute blu della Fiom - che loro sappiano che hanno il sostegno di tutta la loro organizzazione". Redazione online 11 gennaio 2011
due giorni fa stelle a cinque punte a torino contro il manager Scritte contro Marchionne e Bonanni Insulti all'ad Fiat e al segretario della Cisl comparsi sui muri in via Tiburtina: firmati "Militant" * NOTIZIE CORRELATE * A Torino scritte e stelle a cinque punte contro Marchionne Sideri (10 gen'11) due giorni fa stelle a cinque punte a torino contro il manager Scritte contro Marchionne e Bonanni Insulti all'ad Fiat e al segretario della Cisl comparsi sui muri in via Tiburtina: firmati "Militant" Contro il leader Cisl (Lapresse) Contro il leader Cisl (Lapresse) ROMA - Alcune scritte contro l'ad della Fiat Sergio Marchionne. e contro il segretario della Cisl Raffaele Bonanni sono comparse a Roma, su alcuni muri in via Tiburtina, fuori dal Grande raccordo anulare. Contro l'ad Fiat (Lapresse) Contro l'ad Fiat (Lapresse) FALCE E MARTELLO - "Marchionne boia", si legge in un caso; mentre contro il sindacalista è stato scritto: "Bonanni servo dei padroni". Le scritte sono di colore nero e sono firmate 'Militant' con il simbolo della falce e del martello. Due giorni fa, nel centro di Torino, erano comparse anche due stelle a cinque punte, a fianco agli slogan contro l'ad di Fiat: in quel caso, con una vernice rossa, era stato scritto: "Marchionne fottiti", su un grande manifesto pubblicitario sul cavalcavia ferroviario di corso Sommellier.(fonte Ansa). 11 gennaio 2011
2011-01-10 Conferenza stampa del segretario della Fiom Landini: Possiamo vincere" La Fiom al Pd: "Su Mirafiori si decida" Marchionne : "C'è sempre il Canada" L'ad del Lingotto: se vince il no al referendum ci sono moltissime altre alternative, tra cui Brampton Conferenza stampa del segretario della Fiom Landini: Possiamo vincere" La Fiom al Pd: "Su Mirafiori si decida" Marchionne : "C'è sempre il Canada" L'ad del Lingotto: se vince il no al referendum ci sono moltissime altre alternative, tra cui Brampton Maurizio Landini (Ansa) Maurizio Landini (Ansa) ROMA - Se a Mirafiori vincesse il no per Sergio Marchionne "ci sono moltissime alternative". "Venerdì scorso - ha detto l'amministratore delegato della Fiat al Salone dell'Auto di Detroit - ero in Canada a Brampton per lanciare il charger della Chrysler. Ci hanno invitato a investire e aumentare la capacità produttiva. C'è un grande senso di riconoscimento per gli investimenti che abbiamo fatto là. Stanno aspettando di mettere il terzo turno, trovo geniale che la gente voglia lavorare, fare anche il terzo turno. Lavorare sei giorni alla settimana è una disponibilità incredibile, in Europa questo è un problema, Brampton è una possibilità, ma ce ne sono moltissime altre dappertutto come Sterling Heights". "In Italia - ha spiegato Marchionne riferendosi a Mirafiori - per ragioni storiche ed ideologiche la gente non si riconosce in questa nuova proposta della Fiat. Io il passato lo conosco e lo capisco. La storia l'ho vissuta ma il problema deve essere adeguato alla realtà di oggi". Secondo Marchionne, la Fiat non può assumersi la responsabilità dei problemi sociali. "Il mio ruolo è più umile: io faccio vetture e cerco o di venderle - ha concluso - il problema sociale deve essere risolto da altri. Noi come Fiat possiamo solo creare le condizioni per lo sviluppo. C'è un impegno in questo senso. Comunque per risolvere un problema strutturale di povertà bisognerà pure cominciare a fare". LANDINI - La Fiom, quindi, è avvertita. In precedenza però Maurizio Landini segretario del sindacato dei metalmeccanici della Cgil aveva sottolineato che vertenza sullo stabilimento Fiat di Mirafiori "è ancora aperta" e la partita "può essere vinta e risolta positivamente". Poi, prima dell'incontro con Bersani, il segretario generale della Fiom Cgil ha fatto un augurio: "sulla vertenza Fiat il Pd prenda una posizione univoca". Landini ha poi confermato "il pieno sostegno della Cgil" sulla vertenza, a partire dall'impegno nella riuscita dello sciopero del 28 gennaio e ha ribadito che la Fiom non firmerà comunque l'accordo indipendentemente dal risultato del referendum del 13-14 gennaio. LE ALTRE AZIENDE NON IMITINO LA FIAT - "Se altre aziende tentano di fare come la Fiat devono sapere che si aprirà un conflitto senza precedenti" ha detto il segretario generale della Fiom. Landini ha poi ribadito l'importanza dello sciopero dell'intera categoria dei metalmeccanici proclamato per il 28 gennaio e ha sottolineato l'importanza della partecipazione a quello sciopero per evitare che quanto accaduto ai lavoratori della Fiat accada ad altri lavoratori. LA FIOM: "SIAMO IL SINDACATO CHE FIRMA PIU' ACCORDI" - Maurizio Landini ci tiene a ribadire un concetto: "Siamo il sindacato che firma più accordi nel Paese". Respinge così l'etichetta di sindacato che non firma gli accordi assegnato alle tute blu della Cgil. "Abbiamo firmato oltre mille accordi che hanno coinvolto circa 230 mila metalmeccanici, dalla Ferrari alla Brembo, dalla Indesit alla Lamborghini che è tedesca", aggiunge ricordando anche la firma posta sotto la ristrutturazione portata avanti alla Italtel. Non solo. "Quando i lavoratori possono votare liberamente la Fiom cresce in quelle fabbriche", dice ancora mostrando, dati alla mano, come da giugno ad oggi nei rinnovi delle rsu per le quali hanno votato complessivamente 30 mila lavoratori la Fiom sia l'unica categoria che ha aumentato voti e delegati passando dal 61,7% al 66,6%, per i primi e dal 62,7% al 70% per i secondi. La Fim, invece, in termini di voti è passata dal 21,7% al 18,3% mentre in termini di delegati è passata dal 20,6% al 17,2%. Così come la Uilm è passata dal 13,2% al 10,7% in termini di voti e dal 14,2% al 10,3% in termini di delegati. "IL PD PRENDA UNA POSIZIONE UNICA" - "Spero che il Partito democratico prenda una posizione" sulla vertenza Fiat ha detto Landini prima dell'incontro con Pierluigi Bersani. "Ci aspettiamo che ci ascolti, che rifletta e che sia rispettoso delle nostre posizioni - ha detto il sindacalista -. Ci aspettiamo che il Pd prenda una posizione univoca".Il segretario generale Susanna Camusso sarà in piazza con i metalmeccanici il 27 a Bologna poiché l'Emilia Romagna anticipa di un giorno la protesta a causa di una festività. Landini ha annunciato a sostegno della vertenza contro l'accordo sullo stabilimento di Mirafiori firmato dagli altri sindacati una sottoscrizione straordinaria e una raccolta di firme. CHRYSLER - Tutto questo mentre Marchionne, parlando sempre al Salone dell'Auto, ha annunciato che Fiat è salita al 25% di Chrysler. Marchionne ha ribadito che "esiste la possibilità di salire al 51% quest'anno in Chrysler perché esistono le risorse. Il progetto è collegato all'ipo di Chrysler" che il manager conta di realizzare nella seconda metà di quest'anno. Poi tornando al referendum di Mirafiori: "Con il 51% di voti favorevoli - ha detto il manager italo canadese - si chiude il discorso. L'investimento si fa. Se non si raggiunge il 51% salta tutto e andiamo altrove. Fiat ha alternative nel mondo, aspettiamo di vedere cosa succederà giovedì e venerdì e se il referendum non passerà ritorneremo a festeggiare a Detroit". Il presidente Jhon Elkann ha aggiunto : "Speriamo che il buon senso prevalga". NUOVE SCRITTE - Intanto, dopo quelle comparse domenica, accostate alla stella a cinque punte (non cerchiata), altre scritte sono comparse contro Marchionne, in altre zone della città. Le frasi sono comparse sui muri di Porta Palazzo, in via Nizza e nella centrale via Po. Su nessuna di esse era, però, presente la stella a 5 punte rinvenuta sul cavalcavia di corso Sommellier, mentre accanto ad alcune, come quella di via Po ("Marchionne infame"), è stata tracciata la "A", simbolo di "anarchia". Sulla vicenda sono in corso gli accertamenti della digos della polizia di Torino. Il manager del Lingotto ha commentato le nuove scritte contro di lui: "Sono di sicuro fuori posto e riflettono una mancanza di civiltà che credo non sia opportuna per l'Italia". "Siamo fiduciosi - ha aggiunto - che l'aspetto razionale prevalga. Lasciamo fuori l'ideologia politica e facciamo qualcosa di buono per l'azienda e per i lavoratori come vogliamo fare a Mirafiori". Redazione online 10 gennaio 2011
2011-01-09 ma per la digos non è detto che ci sia un reale collegamento con il terrorismo Fiat, sale la tensione sul referendum Scritta e simbolo Br contro Marchionne A Torino le offese all'ad Fiat. A Roma lunga riunione tra Fiom e Cgil. Landini: "Nessuna spaccatura" ma per la digos non è detto che ci sia un reale collegamento con il terrorismo Fiat, sale la tensione sul referendum Scritta e simbolo Br contro Marchionne A Torino le offese all'ad Fiat. A Roma lunga riunione tra Fiom e Cgil. Landini: "Nessuna spaccatura" Il manifesto di Torino con la scritta contro Marchionne (Ansa) Il manifesto di Torino con la scritta contro Marchionne (Ansa) MILANO - Sale la tensione a Torino a quattro giorni dal referendum sull' intesa per Mirafiori. La scritta "Marchionne fottiti" con la stella delle Br tracciata con vernice rossa è comparsa su un grande manifesto pubblicitario nel centro di Torino. Indaga la Digos. A Roma si è tenuta una lunga riunione delle segreterie di Fiom e Cgil presso la sede del sindacato confederale a Corso d'Italia, per cercare una linea comune da adottare in caso di un'eventuale vittoria dei "si" al referendum sul nuovo contratto per i lavoratori dello stabilimento Fiat di Mirafiori, in programma il 13 e il 14 gennaio. "Il tema non è mai stato una soluzione tecnica, ma come garantire la libertà dei lavoratori di avere un sindacato e di eleggere i propri rappresentanti" ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, al termine dell'incontro. Tra Cgil e Fiom "non c'è nessuna spaccatura" ha assicurato dal canto suo il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. "C'è stata una discussione - ha detto Landini - rimangono delle valutazioni su quello che sarà necessario fare in futuro, ma su questo continueremo a discutere". "Il 28 gennaio la segreteria nazionale della Cgil", ha detto ancora la Camusso, "parteciperà alle manifestazioni distribuite sul territorio per lo sciopero della Fiom ed è impegnata per la sua massima riuscita". Il leader della Cgil ha anche annunciato la sua presenza, insieme al segretario generale della Fiom Maurizi Landini, alla manifestazione di Bologna che verrà anticipata assieme allo sciopero in tutta l'Emilia Romagna al 27 gennaio, per ragioni di festività. "Per noi è la prima risposta per non lasciare soli i lavoratori", ha detto Landini. LA SCRITTA - Una scritta contro Marchionne con la stella a cinque punte è stata tracciata, con vernice rossa, a Torino su un grande manifesto pubblicitario nel centro cittadino, sul cavalcavia di corso Sommellier. Altre scritte sono state tracciate, sempre con vernice rossa e sempre con la stella a cinque punte, su due manifesti pubblicitari vicini al primo. "Marchionne fottiti", c'è scritto sul primo manifesto, mentre sugli altri due ci sono le scritte "Non siamo noi a dover diventare cinesi" e "ma i lavoratori cinesi a diventare come noi". Sul posto sono intervenuti gli investigatori della Digos che hanno avviato indagini. DIGOS - Secondo gli investigatori della Digos della Questura di Torino però la stella a cinque punte non può essere tradotta immediatamente con collegamenti, più o meno diretti, con presunte o sedicenti Brigate Rosse. A parere degli investigatori, si tratta di "una simbologia forte", non così "inedita" neppure negli ultimi tempi, usata comunque per "alzare il tono" e per attirare la massima attenzione. D'altronde - rilevano gli stessi investigatori - il dibattito sulla questione Fiat-Marchionne è a tinte forti anche a livello istituzionale, politico e televisivo, da non far meravigliare se alcune persone, magari anche tra i più giovani e comunque tra i cosiddetti antagonisti, cerchi di "calcare la mano". Il livello di attenzione da parte della Digos e delle forze dell'ordine nel loro complesso - hanno riferito fonti investigative - è comunque alto, soprattutto in considerazione del fatto che siamo a pochi giorni dal referendum di giovedì e venerdì prossimi sull'accordo su Mirafiori. Redazione online 09 gennaio 2011
Lavoro. Cresce il numero di chi ha perso le speranze di trovare occupazione "Scoraggiati" a quota 1,5 milioni Aumento del 14% nel terzo trimestre dell'anno. Su base annua 182mila in più * NOTIZIE CORRELATE * Disoccupazione giovanile da record al 28,9% (7 gennaio 2010) Lavoro. Cresce il numero di chi ha perso le speranze di trovare occupazione "Scoraggiati" a quota 1,5 milioni Aumento del 14% nel terzo trimestre dell'anno. Su base annua 182mila in più MILANO - Crescono gli "scoraggiati" in Italia, ovvero coloro che hanno ormai perso le speranze di trovare occupazione e rinunciano a cercare lavoro. Nel terzo trimestre del 2010 sono arrivati a quota 1 milione 478 mila, in crescita di 182 mila unità, ovvero del 14% rispetto allo stesso periodo del 2009, quando se ne contavano 1 milione 296 mila. È quanto emerge dai dati dell'Istat, che annovera sotto questa statistica coloro che dichiarano di non essere alla ricerca di un lavoro perché ritengono di non riuscire a trovarlo. "INATTIVI" - Si tratta, quindi, di una schiera di quasi un milione e mezzo di persone che fa parte del popolo degli inattivi, cioè degli oltre 15 milioni che, in età compresa tra i 15 e 64 anni, non hanno né cercano un lavoro. Fin qui si sono considerati gli scoraggiati in senso stretto: ma se a questi si aggiungono quelli in senso lato, cioè coloro che "dichiarano di non cercare lavoro perché in attesa di passate azioni di ricerca", il numero nel terzo trimestre 2010 diventa di 2 milioni 133 mila da 1 milione 844 mila del corrispondente periodo del 2009 (+15,7%). Redazione online 08 gennaio 2011
2011-01-05 gli operai dovranno approvare o respingere l'accordo tra sindacati e azienda Mirafiori, referendum il 13-14 gennaio Il risultato della consultazione tra i lavoratori della fabbrica Fiat sarà noto già in serata gli operai dovranno approvare o respingere l'accordo tra sindacati e azienda Mirafiori, referendum il 13-14 gennaio Il risultato della consultazione tra i lavoratori della fabbrica Fiat sarà noto già in serata (Ramella) (Ramella) MILANO - Tempi stretti per la consultazione sulle nuove regole valide per lo stabilimento Fiat di Mirafiori. Il referendum sull'accordo per il rilancio della fabbrica torinese si terrà infatti nelle giornate del 13-14 gennaio. È quanto si apprende da fonti sindacali, secondo le quali l'esito della votazione si potrà conoscere già nella serata di venerdì. FIOM - "È il referendum della paura" ha detto Giorgio Airaudo, responsabile del settore auto della Fiom, che non ha firmato l'accordo di Mirafiori. "La Fiat ha chiaramente premuto per anticipare il referendum - ha aggiunto Airaudo nel corso di una conferenza stampa - dispiace che i sindacati che hanno firmato l'accordo abbiano ceduto a questa pressione. Non verranno fatte le assemblee per informare i lavoratori ed il referendum sarà tra il 13 e il 14, come se si avesse fretta". Secondo Airaudo, "è grave perchè si vuol far votare i lavoratori non informandoli, ma solo sulla loro paura. Si vuole un referendum della paura - che trovo illegittimo, perchè, al di là degli annunci propagandistici, io non credo alla chiusura di Mirafiori". Redazione online 05 gennaio 2011
2011-01-04 l'ad del lingotto: "siamo capaci di produrre vetture anche senza la fiom" In Borsa decollano le due Fiat Ultimatum di Marchionne su Mirafiori Fiat Industrial ha chiuso in crescita del 3,05%, Fiat spa al 4,91%, miglior titolo del paniere l'ad del lingotto: "siamo capaci di produrre vetture anche senza la fiom" In Borsa decollano le due Fiat Ultimatum di Marchionne su Mirafiori Fiat Industrial ha chiuso in crescita del 3,05%, Fiat spa al 4,91%, miglior titolo del paniere Sergio Marchionne (Ansa) Sergio Marchionne (Ansa) MILANO - I dati sulle immatricolazioni delle auto restano negativi nel 2010 ma la Fiat, con il nuovo assetto societario, è comunque partita bene Borsa. E' stato infatti positivo il debutto in Piazza Affari di Fiat Industrial, la società scissa da Fiat spa che raggruppa le attività nei camion (Iveco), macchine agricole e movimento terra (Cnh): il titolo ha chiuso le contrattazioni del primo giorno di quotazione in crescita del 3,05% a 9 euro netti. Ancora meglio ha fatto Fiat spa, che è salito del 4,91% a 7,02 euro segnalandosi come il miglior titolo del paniere principale della Borsa di Milano. Il listino generale di Piazza Affari ha chiuso in crescita dell'1,30% e sono stati forti i titoli dell'auto in tutta Europa, spinti da Porsche, salita di circa il 15% dopo che negli Stati Uniti è stata rigettata una causa da due miliardi di dollari contro la casa tedesca. NEL 2010 IMMATRICOLAZIONI SCESE DEL 16,73% - Restano invece negativi i dati sulle immatricolazioni: nel 2010 quelle di Fiat Group Automobiles in Italia sono scese del 16,73% a 589.195 unità, contro le 707.591 unità del 2009. Nel solo mese di dicembre, invece, le vendite del gruppo torinese hanno subito una flessione del 26,43% a 38.668 immatricolazioni, contro le 52.562 del dicembre 2009. A novembre FGA aveva immatricolato 41.376 unità, subendo un calo del 26% rispetto allo stesso mese del 2009. Alla Borsa piace la Fiat "divisa" di Giacomo Ferrari L'APERTURA - Fiat Spa aveva avviato le quotazioni a Piazza Affari scambiando a 6,95 euro per azione. La parte Industrial del Gruppo del Lingotto in apertura era invece a 9,025 euro. Buoni gli scambi, con volumi per 5,3 milioni di pezzi su entrambi i titoli. Entrambi i titoli hanno subito uno stop dopo l'apertura per eccesso di volatilità, per poi riprendere le quotazioni. Ma oltre al giorno della Fiat è stato anche il giorno dell'ad del Lingotto Sergio Marchionne che nel suo discorso in Borsa ha chiarito: "Se non passa il referendum salta l'investimento di Mirafiori". MIRAFIORI - "Se il referendum di Mirafiori - ha proseguito - raggiungerà il 51% andremo avanti con il nostro progetto. La gente si deve impegnare a fare le cose. La Fiat non ha lasciato fuori nessuno - ha detto ancora Marchionne - se qualcuno ha deciso di non firmare, non significa che io abbia lasciato fuori qualcuno. La Fiat ha bisogno di libertà gestionale e non può essere condizionata da accordi che non hanno più senso". "La Fiat è capace di produrre vetture con o senza la Fiom" ha chiosato l'ad del Lingotto. FIOM - Un'affermazione quest'ultima che provocava la reazione immediata della Fiom: "La Fiat è capace di produrre vetture con o senza la Fiom... certo, anche senza la Fim e la Uilm, perchè le vetture le fanno i lavoratori": così replica il segretario generale dei metalmeccanici della Cgil, Maurizio Landini, alle parole dell'amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne. "Ma ai lavoratori si stanno limitando i diritti", aggiunge Landini, rivolgendosi quindi a Marchionne: "Pensa davvero che le sue fabbriche possano funzionare senza consenso? Pensa che l'intelligenza delle persone è a comando, è sotto ricatto? Questa è una gestione autoritaria e antidemocratica". PIANO - Ma l'ad del Lingotto non ha toccato solo i temi del rapporto con i sindacati. "È veramente offensivo il fatto che bisogna vedere i punti specifici del piano di Fabbrica Italia" ha aggiunto Marchionne a chi gli chiedeva chiarimenti sul suo progetto. "Non ho chiesto allo Stato, ai sindacati di finanziare niente - ha proseguito il manager - è la Fiat che sta andando in giro per il mondo a raccogliere i finanziamenti necessari per portare avanti il piano. Andate in giro, voi e i sindacati, a raccogliere i soldi". "Chiedere a Fiat di svelare i dettagli del piano - ha quindi rincarato Marchionne - lo trovo ridicolo. Vogliono vedere il resto degli investimenti? Ma che scherziamo?". "Sono appena tornato dal Brasile, dove ho inaugurato con l'ex presidente Lula una fabbrica a Pernambuco - ha ricordato -, non si sarebbe mai permesso qualcuno in Brasile di farsi dare i dettagli dell'investimento: non lo fa nessun altro paese del mondo. Smettiamola di comportarci da provinciali - ha poi affermato -, quando serviranno gli altri 18 miliardi del piano li metteremo". VALORIZZAZIONE - "Abbiamo il dovere di stare al passo coi tempi e di valorizzare tutte le nostre attività" ha spiegato ancora Marchionne. "Di fronte alle grandi trasformazioni in atto nel mercato - ha detto Marchionne - non potevamo più continuare a tenere insieme settori che non hanno nessuna caratteristica economica e industriale in comune. Questo è un momento molto importante per la Fiat, perchè rappresenta allo stesso tempo un punto di arrivo e un punto di partenza". Il risultato della gestione ordinaria di Fiat Industrial "aumenterà in modo significativo, con un target di 3,3 miliardi di euro nel 2014. L'ebitda industriale passerà da circa 1,4 miliardi a 4,1 miliardi nel 2014" ha aggiunto Marchionne. Il presidente di Fiat Industrial ha spiegato che la scissione del gruppo Fiat è stata decisa "per rispondere a una logica di crescita di autonomia e di efficienza. L'identità di un'azienda non sta in una ragione sociale, sta nelle persone che ci lavorano, in un preciso momento e con precisi obiettivi". CHRYSLER - Marchionne ha poi spiegato che Fiat potrebbe salire al 51% di Chrysler già nel 2011, possibilità che sarebbe più concreta con la quotazione in borsa del gruppo americano nel corso dell'anno. "Sì, ci stiamo pensando, ci pensiamo sempre anche nel 2011", ha detto Marchionne. "Se Chrysler andrà in borsa nel 2011 dovremo pensare a una accelerazione dell'opzione per l'aumento della partecipazione in Chrysler", ha aggiunto Marchionne. L'accordo siglato da Fiat prevede una opzione per salire al 51% di Chrysler da esercitare tra il 2013 e il 2016. L'intesa prevede anche che Fiat possa salire al 51% prima del periodo, sempre che il gruppo abbia pagato tutto il debito che ha con il governo americano. RAPPORTI CON CONFINDUSTRIA - L'uscita da Confindustria di Fiat, "la vedo come possibile, ma non probabile" ha detto Marchionne. "Fiat non può continuare - ha aggiunto - ad essere condizionata". Redazione online 03 gennaio 2011
2010-12-30 i 4600 dipendenti dello stabilimento fiat saranno riassunti dalla new company Pomigliano, firmato nuovo contratto Sì da parte di Fim, Uilm, Ugl metalmeccanici e Fismic. Permane il no della Fiom i 4600 dipendenti dello stabilimento fiat saranno riassunti dalla new company Pomigliano, firmato nuovo contratto Sì da parte di Fim, Uilm, Ugl metalmeccanici e Fismic. Permane il no della Fiom (Carino) (Carino) MILANO - Fim, Uilm, Ugl metalmeccanici, Fismic, l'Associazione dei quadri Fiat e il Lingotto hanno firmato il nuovo contratto di lavoro per i 4.600 dipendenti dello stabilimento di Pomigliano, che a partire da gennaio 2011 saranno riassunti dalla Newco, sulla base dell'accordo di giugno che sblocca investimenti per 700 milioni per la produzione della nuova Panda. Non ha firmato il contratto la Fiom che contesta la legittimità del nuovo accordo. IL NUOVO CONTRATTO - L'accordo recepisce gran parte della parte normativa del contratto metalmeccanici applicandola all'attività di assemblaggio di auto. I punti salienti del contratto, che recepisce le intese del 15 giugno su Pomigliano tra Fiat e sindacati (con l'esclusione della Fiom), sono un incremento salariale medio di 30 euro lordi per dodici mensilità e un nuovo inquadramento professionale con la definizione di 5 gruppi professionali e di fasce intermedie che consentirà più facilità di promozioni. Sotto il profilo della rappresentanza sindacale, come previsto anche per Mirafiori, l'accordo ribadisce l'applicazione dello statuto dei lavoratori che prevede una rappresentanza alle sigle firmatarie dell'accordo. Con il nuovo contratto, verranno assunti già da gennaio alcune decine di lavoratori, principalmente impiegati e tecnici, nella newco che produrrà la nuova Panda. Gli altri lavoratori, in capo alla Giambattista Vico Plant, rimarranno in cassa integrazione e con ore dedicate alla formazione. Il passaggio più consistente di lavoratori alla nuova società di Fiat è previsto tra maggio e giugno, mentre le riassunzioni si completeranno per la fine del 2011: nell'autunno dell'anno prossimo, infatti, è previsto l'avvio a regime della produzione della nuova Panda per la quale Fiat stima 1.200 veicoli l'anno. SACCONI - "La firma del contratto collettivo che verrà applicato ai lavoratori assunti dalla nuova società Fiat di Pomigliano - è il commento a caldo del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi - consolida l'investimento promesso, e già avviato, mentre migliora le condizioni retributive e le potenzialità di progressione reddituale e professionale dei lavoratori. Il Governo ha fatto la sua parte con la detassazione - al dieci per cento - di tutta la parte del salario che si può ricondurre alle intese per la maggiore produttività del lavoro". "Tutto ciò - prosegue Sacconi - nasce da esigenze pratiche e non da disegni ideologici. Ben venga tuttavia un'utile discontinuità nel sistema di relazioni industriali, soprattutto là ove il vecchio impianto politico-culturale fondato sull'inesorabile conflitto sociale ha prodotto bassi salari e bassa produttività. È ora il tempo di accelerare tutto ciò che, al contrario, può far crescere tanto i redditi da lavoro quanto la competitività delle imprese perchè le relazioni industriali hanno un ruolo primario nell'attrazione di investimenti. Come ha detto Vendola, si tratta di una questione "dirimente". Di fronte a queste scelte a nessuno sarà consentito di stare insieme con la Lazio e con la Roma". LA CGIL - L'intesa è invece duramente criticata dalla Cgil che per bocca del segretario generale della Fiom, Maurizio Landini spiega: "L'accordo siglato per il nuovo contratto di lavoro per lo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco è ancora un fatto gravissimo". Il segretario generale della Fiom poi aggiunge: "Fa sorridere: avevano fatto un accordo separato a giugno, ed ora ne hanno dovuto fare un altro per peggiorare ancora le condizioni. L'accordo di oggi dimostra ancora una volta che Fiat vuole cancellare il contratto e i diritti dei lavoratori". E delle sigle sindacali che hanno firmato l'intesa il leader dei metalmeccanici Cgil dice: "Fermateli, stanno facendo del male ai lavoratori". Mentre rivolgendosi anche al Lingotto aggiunge: "Non si illudano, non è con gli accordi separati che cancelleranno il più grande sindacato dei metalmeccanici". Redazione online 29 dicembre 2010(ultima modifica: 30 dicembre 2010)
approvata la proposta del segretario generale, Mirafiori, Fiom risponde con lo sciopero Otto ore fissate per il 28 gennaio. Landini: "Attacco a alla democrazia e ai diritti senza precedenti" * NOTIZIE CORRELATE * Mirafiori, la Fiom verso lo sciopero. Fassino: "Se fossi operaio voterei sì" (28 dicembre 2010) approvata la proposta del segretario generale, Mirafiori, Fiom risponde con lo sciopero Otto ore fissate per il 28 gennaio. Landini: "Attacco a alla democrazia e ai diritti senza precedenti" Maurizio Landini (foto Carino) Maurizio Landini (foto Carino) MILANO - Il Comitato centrale della Fiom ha approvato la proposta del segretario generale, Maurizio Landini, e ha proclamato otto ore di sciopero dei metalmeccaci per venerdì 28 gennaio per protestare contro l'accordo per Mirafiori avanzato dalla Fiat e firmato da altre sigle sindacali. La proposta di astenersi dal lavoro è stata approvata con 102 voti a favore e 29 astenuti. "L'obiettivo strategico della Fiat è chiaro - si legge nel documento finale - provare a cancellare in modo definitivo il sistema dei diritti individuale e collettivi nel lavoro". GLI ACCORDI SEPARATI - Al centro dell’iniziativa di protesta l’attacco ai diritti sindacali e dei lavoratori portato dagli accordi separati sul contratto e dalle intese in Fiat. Si tratta di "un attacco alla democrazia e ai diritti senza precedenti", sottolinea il leader dei metalmeccanici della Fiom, intervistato a caldo da Sky Tg24: "Credo che l'accordo confermi la gravità della situazione. Ne avevano fatto uno a giugno separato, ne hanno dovuto fare un altro per cancellare definitivamente il contratto nazionale e i diritti. Penso che sia un fatto gravissimo, che non ha precedenti nella storia delle relazioni del nostro Paese e non è assolutamente vero che la Fiat per investire in Italia ha bisogno di cancellare i diritti e i contratti. Dovrebbero capirlo tutti, è necessario fermarli perchè stanno facendo del male ai lavoratori e al nostro Paese". Redazione online 29 dicembre 2010
Riunione nella citta' partenopea con la protezione civile Letta: "A Napoli strade pulite dai rifiuti entro il 31 dicembre" Il premier telefona a un convegno del Pdl e parla di "pochi mesi per uscire dall'emergenza" * NOTIZIE CORRELATE * Berlusconi: "Napoli pulita in tre giorni" (28 ottobre 2010) * Berlusconi: "Sono certo che Napoli sarà pulita nel giro di qualche giorno" (4 dicembre 2010) Riunione nella citta' partenopea con la protezione civile Letta: "A Napoli strade pulite dai rifiuti entro il 31 dicembre" Il premier telefona a un convegno del Pdl e parla di "pochi mesi per uscire dall'emergenza" MILANO - Emergenza rifiuti a Napoli. Berlusconi nel pomeriggio parla di pochi mesi per risolvere il problema, ma in serata Gianni Letta è più ottimista: per il 31 dicembre verranno eliminati dalle strade della città ed entro 15 giorni da quelle della Provincia. Il 4 gennaio prossimo, poi, nuova riunione a Palazzo Chigi per indicare soluzioni strutturali al problema. È stata infatti questa l'intesa raggiunta nella riunione, presieduta proprio dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ed alla quale hanno partecipato il Presidente della Regione Campania, Caldoro, il Sindaco di Napoli, Russo Jervolino, i Presidenti ed i Prefetti delle Province campane, il responsabile della Protezione Civile, Gabrielli. "L'intesa è stata possibile - ha sottolineato Letta - grazie al profondo senso di responsabilità e sensibilità istituzionale di tutti i partecipanti alla riunione; a partire dalle Province campane. Ma anche grazie al consistente apporto allo smaltimento dei rifiuti proveniente da diverse regioni italiane". BERLUSCONI - "In pochi mesi riusciremo a trasformare la situazione di Napoli". Era stato questo il messaggio sull'emergenza rifiuti lanciato dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi nel pomeriggio, durante un collegamento telefonico con una iniziativa del Pdl a Napoli. Il premier ha spiegato successivamente che sull'emergenza rifiuti a Napoli "qualcuno ci ostacola". "C'è qualcuno che cerca di ostacolare con ogni mezzo il nostro operato. Altrimenti non si spiegherebbe come sorgono sempre delle difficoltà nuove" ha sottolineato Berlusconi. "Penso di tornare ad assumere direttamente la responsabilità per l'immediato sgombero ma anche per gli impianti futuri" ha detto ancora il presidente del Consiglio. FIDUCIA SUL FUTURO DEL GOVERNO - Berlusconi si è detto anche "fiducioso sul futuro dell'esecutivo". "Molti parlamentari - ha aggiunto il premier - torneranno indietro così come altri parlamentari con senso di responsabilità verranno a sostenere la maggioranza per dare a questo governo la possibilità di governare. Nonostante l'operazione di Fini abbiamo mantenuto la maggioranza e stiamo acquisendo i deputati che si trovano in disagio assoluto perchè si sono trovati su un treno guidato da Bocchino, Granata e Briguglio che li porta in un destinazione diversa: all'opposizione". PACE SOCIALE - "Abbiamo mantenuto la pace sociale che è un bene prezioso. Il prossimo anno il nostro ritmo di crescita tornerà ai livelli prima della crisi" ha poi aggiunto Berlusconi. Redazione online 29 dicembre 2010(ultima modifica: 30 dicembre 2010)© RIPRODUZIONE RISERVATA 2010-12-29 i 4600 dipendenti dello stabilimento fiat saranno riassunti dalla new company Pomigliano, firmato nuovo contratto Sì da parte di Fim, Uilm, Ugl metalmeccanici e Fismic. Permane il no della Fiom i 4600 dipendenti dello stabilimento fiat saranno riassunti dalla new company Pomigliano, firmato nuovo contratto Sì da parte di Fim, Uilm, Ugl metalmeccanici e Fismic. Permane il no della Fiom (Carino) (Carino) MILANO - Fim, Uilm, Ugl metalmeccanici, Fismic, l'Associazione dei quadri Fiat e il Lingotto hanno firmato il nuovo contratto di lavoro per i 4.600 dipendenti dello stabilimento di Pomigliano, che a partire da gennaio 2011 saranno riassunti dalla Newco, sulla base dell'accordo di giugno che sblocca investimenti per 700 milioni per la produzione della nuova Panda. Non ha firmato il contratto la Fiom che contesta la legittimità del nuovo accordo. IL NUOVO CONTRATTO - L'accordo recepisce gran parte della parte normativa del contratto metalmeccanici applicandola all'attività di assemblaggio di auto. I punti salienti del contratto, che recepisce le intese del 15 giugno su Pomigliano tra Fiat e sindacati (con l'esclusione della Fiom), sono un incremento salariale medio di 30 euro lordi per dodici mensilità e un nuovo inquadramento professionale con la definizione di 5 gruppi professionali e di fasce intermedie che consentirà più facilità di promozioni. Sotto il profilo della rappresentanza sindacale, come previsto anche per Mirafiori, l'accordo ribadisce l'applicazione dello statuto dei lavoratori che prevede una rappresentanza alle sigle firmatarie dell'accordo. Con il nuovo contratto, verranno assunti già da gennaio alcune decine di lavoratori, principalmente impiegati e tecnici, nella newco che produrrà la nuova Panda. Gli altri lavoratori, in capo alla Giambattista Vico Plant, rimarranno in cassa integrazione e con ore dedicate alla formazione. Il passaggio più consistente di lavoratori alla nuova società di Fiat è previsto tra maggio e giugno, mentre le riassunzioni si completeranno per la fine del 2011: nell'autunno dell'anno prossimo, infatti, è previsto l'avvio a regime della produzione della nuova Panda per la quale Fiat stima 1.200 veicoli l'anno. SACCONI - "La firma del contratto collettivo che verrà applicato ai lavoratori assunti dalla nuova società Fiat di Pomigliano - è il commento a caldo del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi - consolida l'investimento promesso, e già avviato, mentre migliora le condizioni retributive e le potenzialità di progressione reddituale e professionale dei lavoratori. Il Governo ha fatto la sua parte con la detassazione - al dieci per cento - di tutta la parte del salario che si può ricondurre alle intese per la maggiore produttività del lavoro". "Tutto ciò - prosegue Sacconi - nasce da esigenze pratiche e non da disegni ideologici. Ben venga tuttavia un'utile discontinuità nel sistema di relazioni industriali, soprattutto là ove il vecchio impianto politico-culturale fondato sull'inesorabile conflitto sociale ha prodotto bassi salari e bassa produttività. È ora il tempo di accelerare tutto ciò che, al contrario, può far crescere tanto i redditi da lavoro quanto la competitività delle imprese perchè le relazioni industriali hanno un ruolo primario nell'attrazione di investimenti. Come ha detto Vendola, si tratta di una questione "dirimente". Di fronte a queste scelte a nessuno sarà consentito di stare insieme con la Lazio e con la Roma". LA CGIL - L'intesa è invece duramente criticata dalla Cgil che per bocca del segretario generale della Fiom, Maurizio Landini spiega: "L'accordo siglato per il nuovo contratto di lavoro per lo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco è ancora un fatto gravissimo". Il segretario generale della Fiom poi aggiunge: "Fa sorridere: avevano fatto un accordo separato a giugno, ed ora ne hanno dovuto fare un altro per peggiorare ancora le condizioni. L'accordo di oggi dimostra ancora una volta che Fiat vuole cancellare il contratto e i diritti dei lavoratori". E delle sigle sindacali che hanno firmato l'intesa il leader dei metalmeccanici Cgil dice: "Fermateli, stanno facendo del male ai lavoratori". Mentre rivolgendosi anche al Lingotto aggiunge: "Non si illudano, non è con gli accordi separati che cancelleranno il più grande sindacato dei metalmeccanici". Redazione online 29 dicembre 2010
approvata la proposta del segretario generale, Mirafiori, Fiom risponde con lo sciopero Otto ore fissate per il 28 gennaio. Landini: "Attacco a alla democrazia e ai diritti senza precedenti" * NOTIZIE CORRELATE * Mirafiori, la Fiom verso lo sciopero. Fassino: "Se fossi operaio voterei sì" (28 dicembre 2010) approvata la proposta del segretario generale, Mirafiori, Fiom risponde con lo sciopero Otto ore fissate per il 28 gennaio. Landini: "Attacco a alla democrazia e ai diritti senza precedenti" Maurizio Landini (foto Carino) Maurizio Landini (foto Carino) MILANO - Il Comitato centrale della Fiom ha approvato la proposta del segretario generale, Maurizio Landini, e ha proclamato otto ore di sciopero dei metalmeccaci per venerdì 28 gennaio per protestare contro l'accordo per Mirafiori avanzato dalla Fiat e firmato da altre sigle sindacali. La proposta di astenersi dal lavoro è stata approvata con 102 voti a favore e 29 astenuti. "L'obiettivo strategico della Fiat è chiaro - si legge nel documento finale - provare a cancellare in modo definitivo il sistema dei diritti individuale e collettivi nel lavoro". GLI ACCORDI SEPARATI - Al centro dell’iniziativa di protesta l’attacco ai diritti sindacali e dei lavoratori portato dagli accordi separati sul contratto e dalle intese in Fiat. Si tratta di "un attacco alla democrazia e ai diritti senza precedenti", sottolinea il leader dei metalmeccanici della Fiom, intervistato a caldo da Sky Tg24: "Credo che l'accordo confermi la gravità della situazione. Ne avevano fatto uno a giugno separato, ne hanno dovuto fare un altro per cancellare definitivamente il contratto nazionale e i diritti. Penso che sia un fatto gravissimo, che non ha precedenti nella storia delle relazioni del nostro Paese e non è assolutamente vero che la Fiat per investire in Italia ha bisogno di cancellare i diritti e i contratti. Dovrebbero capirlo tutti, è necessario fermarli perchè stanno facendo del male ai lavoratori e al nostro Paese". Redazione online 29 dicembre 2010
2010-12-28 Il candidato sindaco di Torino del Pd Fassino: "Se fossi un operaio voterei sì al referendum su accordo Mirafiori" "Se vincono i no, pagheranno solo i lavoratori: la Fiat porterà altrove la produzione". Fiom verso lo sciopero Il candidato sindaco di Torino del Pd Fassino: "Se fossi un operaio voterei sì al referendum su accordo Mirafiori" "Se vincono i no, pagheranno solo i lavoratori: la Fiat porterà altrove la produzione". Fiom verso lo sciopero Piero Fassino (Fotogramma) Piero Fassino (Fotogramma) MILANO - "Se fossi un lavoratore della Fiat voterei sì al referendum sull'accordo a Mirafiori". Lo ha detto Piero Fassino, candidato sindato del Pd a Torino partecipato alla riunione congiunta delle segreterie del Partito democratico dedicata all'accordo sul futuro di Mirafiori. "Tuttavia l'azienda deve avvertire la responsabilità di compiere atti per favorire un clima più disteso", ha aggiunto l'ex segretario dei Ds. Per Fassino se vincessero i no nel referendum, "quelli che pagherebbero sarebbero solo i lavoratori, perché l'azienda potrebbe trasferire la produzione negli Stati Uniti o altrove". CHIAMPARINO - Anche l'attuale sindaco del capoluogo piemontese, Sergio Chiamparino, ha invitato a votare sì al referendum. "Lo scenario alternativo sarebbe di grande criticità per la città e per il Piemonte", ha aggiunto. "Mi auguro, sollecito e auspico che i sindacati recuperino il tema della garanzia di rappresentanze per tutti". FIOM VERSO SCIOPERO - La Fiom (il sindacato dei metalmeccanici che aderisce alla Cgil) si appresterebbe a proclamare per la fine di gennaio lo sciopero generale dei metalmeccanici. Lo riferisce una fonte sindacale citata dalla Reuters. Il comitato centrale della Fiom si riunirà mercoledì a Roma e l'annuncio formale arriverà intorno alle 14,30, quando il segretario generale Maurizio Landini terrà una conferenza stampa. Il presidente del comitato centrale Fiom, Giorgio Cremaschi, ha chiesto ai vertici della Cgil di proclamare lo sciopero generale. Anche l'Unione sindacale di base (Usb) ha preannunciato "forti mobilitazioni, fino alla effettuazione di uno sciopero generale nel mese di febbraio". Redazione online 28 dicembre 2010
L'esortazione del presidente del comitato centrale della Fiom Cremaschi alla Camusso: "Accordo Fiat da fascismo, sciopero generale" "Dal 1925 è il più grave atto antidemocratico verso mondo del lavoro" * NOTIZIE CORRELATE * Camusso, messaggio a Confindustria per "allearsi" contro Marchionne (27 dicembre 2010) L'esortazione del presidente del comitato centrale della Fiom Cremaschi alla Camusso: "Accordo Fiat da fascismo, sciopero generale" "Dal 1925 è il più grave atto antidemocratico verso mondo del lavoro" Giorgio Cremaschi (Eidon) Giorgio Cremaschi (Eidon) MILANO - L’accordo di Mirafiori "è il più grave atto antidemocratico verso il mondo del lavoro" dai tempi del fascismo. Ad affermarlo il presidente del comitato centrale della Fiom, Giorgio Cremaschi, il quale torna a chiedere al leader della Cgil, Susanna Camusso, di proclamare lo sciopero generale. IL FASCISMO - "Il 2 ottobre 1925 Mussolini, la Confindustria e i sindacati corporativi fascisti firmavano a Palazzo Vidoni un accordo che cancellava le elezioni delle commissioni interne. L’accordo di Mirafiori che cancella le elezioni delle rappresentanze aziendali è, da allora, il più grave atto antidemocratico verso il mondo del lavoro". "L’accordo - prosegue Cremaschi - abolisce la democrazia e istituisce un regime di fiduciari come durante il fascismo ed è di una gravità inaudita che Cisl e Uil abbiano potuto sottoscriverlo, è una rottura senza precedenti a cui non si potrà che rispondere con la lotta e la mobilitazione democratica per questo è convocato il comitato centrale della Fiom il 29 dicembre e da li dovrà partire una risposta in grado di fermare questo attacco. Per questo rinnovo la richiesta a Susanna Camusso di fare lo sciopero generale e di non continuare ad illudersi che la Confindustria si dissoci da Marchionne. Non è successo nel 1925 e non succederà oggi". (fonte: Apcom) 27 dicembre 2010
2010-12-27 L'obiettivo è un'intesa con gli industriali che indichi chi è titolato a firmare accordi Camusso, messaggio a Confindustria per "allearsi" contro Marchionne L'idea del segretario cgil: è interesse comune circoscrivere l'anomalia Fiat L'obiettivo è un'intesa con gli industriali che indichi chi è titolato a firmare accordi Camusso, messaggio a Confindustria per "allearsi" contro Marchionne L'idea del segretario cgil: è interesse comune circoscrivere l'anomalia Fiat Susanna Camusso Susanna Camusso ROMA - Qualche giorno di riposo nella sua Milano e poi dal 3 gennaio di nuovo a Roma per lavorare a quella che per il segretario della Cgil, Susanna Camusso, è la priorità del 2011: "Aprire in tempi rapidi un tavolo per un accordo sulle regole della rappresentanza sindacale". Una proposta che la Camusso lancia innanzitutto a Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria, perché è convinta che gli accordi Fiat di Pomigliano e di Mirafiori pongano un problema alla Fiom-Cgil che non li ha firmati, ma anche all'associazione degli imprenditori. Alla Cgil perché, come ha detto più volte il nuovo leader ai suoi collaboratori, la Fiom non può continuare a collezionare sconfitte senza cambiare linea. E alla Confindustria, perché sarebbe la prima a fare le spese di un allargamento del sistema Marchionne. Insomma, Susanna Camusso vede un interesse convergente della Cgil e della Confindustria a circoscrivere quella che sarebbe l'anomalia Fiat e a rilanciare il sistema delle relazioni industriali. L'obiettivo è un'intesa interconfederale tra sindacati e Confindustria, sul modello del pubblico impiego (quindi poi da tradurre in legge), per verificare anche nel privato chi rappresenta chi ed è titolato a firmare accordi validi per tutti. Un sistema per garantire il pluralismo e il ruolo degli iscritti, sul quale insiste in particolare la Cisl, ma anche i diritti sindacali di chi prende i voti dei lavoratori, rendendo impossibili gli accordi "per ammazzare un sindacato", come la Cgil e la Fiom giudicano quelli voluti da Marchionne con il via libera di Bonanni (Cisl) e Angeletti (Uil). Se le risposte della Confindustria alla sua proposta saranno positive, anche la pressione della Cgil per ammorbidire la Fiom diventerebbe più forte. Camusso ha convocato per il 10 gennaio l'assemblea nazionale delle Camere del Lavoro. Circa 500 fra i massimi dirigenti della Cgil arriveranno da tutti i territori a Chianciano per fare il punto e impostare il 2011. Che il segretario della Cgil vorrebbe all'insegna della ripresa di un dialogo costruttivo, al quale necessariamente dovrebbe piegarsi anche la Fiom. Se invece né Marcegaglia né Bonanni e Angeletti volessero aprire la discussione sulla rappresentanza, questo verrebbe interpretato dalla Cgil come un'ulteriore dimostrazione di un disegno volto a escluderla dal gioco. E ciò renderebbe inevitabile una reazione, rafforzando i falchi. Secondo la Camusso, si fa ancora in tempo ad evitare lo scenario peggiore. In ogni caso lei accelera. Sa che la Fiom ha convocato per mercoledì il comitato centrale che potrebbe proclamare lo sciopero generale dei metalmeccanici. Ma vorrebbe arrivare a produrre un cambiamento di clima prima della riapertura dei cancelli di Mirafiori e prima del referendum previsto per metà gennaio. Due, tre settimane al massimo per dare una prospettiva nuova al 2011. E uscire da una situazione pesante. In questi primi due mesi da leader, Susanna Camusso ha toccato con mano l'isolamento istituzionale nel quale è finita la Cgil. Rapporti con Berlusconi: inesistenti. Con i vari ministri: sporadici. Con Marcegaglia: occasionali. Con Bonanni e Angeletti: formali. Con Marchionne: zero assoluto, non si sono mai parlati, nemmeno per gli auguri. Restano i lavoratori: i 5,7 milioni di iscritti (di cui 2,9 pensionati), le migliaia di delegati nelle aziende e negli uffici e il rapporto rilanciato con i giovani proprio in questi primi due mesi di gestione Camusso. Ma tutto questo non basta, se oltre alla protesta non si porta a casa qualcosa. Enrico Marro 27 dicembre 2010
2010-12-23 LA VERTENZA Accordo su Mirafiori, sì di Cisl e Uil "Siamo pronti" . Fiat convoca i sindacati oggi a Torino. Fiom al tavolo ma dirà no LA VERTENZA Accordo su Mirafiori, sì di Cisl e Uil "Siamo pronti" . Fiat convoca i sindacati oggi a Torino. Fiom al tavolo ma dirà no Sergio Marchionne (Ansa) Sergio Marchionne (Ansa) MILANO - Si riparte stamattina. E si va verso la firma. Separata, come a Pomigliano: la Fiom preavverte che "senza una vera trattativa" dirà no. Ma la "vera trattativa" , per Fim, Uilm, Fismic e Ugl — oltre che per la Fiat — già era iniziata e già era stata a un passo dall’accordo: tre settimane fa l’intesa per Mirafiori era saltata sul nodo del contratto dei metalmeccanici, non sugli aspetti sostanziali delle proposte targate Lingotto. Su quelli le distanze non erano abissali, anzi. E dunque da quelli, oggi, si ricomincia. Con buone chance di chiudere in giornata: l’impegno garantito da tutti, azienda e sindacati, per "una soluzione positiva entro Natale" può essere mantenuto. Poi è vero che tutto, in vertenze così complesse, può sempre accadere. E a maggior ragione in un negoziato come questo, in cui la posta in gioco va oltre il caso specifico: Sergio Marchionne fa l’amministratore delegato della Fiat e il s u o o b i e t t i v o s o n o l a competitività, produttività, governabilità delle "sue" fabbriche, non altro, ma è chiaro che le riforme inseguite da Torino avrebbero (di fatto hanno già) un impatto dirompente sull’intero sistema delle relazioni industriali. Ne è una prova il braccio di ferro delle ultime settimane, pure con Confindustria, sul contratto ad hoc per l’auto. Ora che lì, con il tavolo in Federmeccanica, le resistenze sono cadute, si sono sbloccate anche le posizioni di Fim e Uilm. È stato certo necessario un lungo lavoro di ricucitura, da parte di tutti. Lo stesso Marchionne ha evitato accuratamente qualsiasi forzatura. Non ha fatto nessuna marcia indietro e nessuna concessione: ma martedì sera ha usato toni da invito, non da ultimatum, quando ha rispiegato perché alla newco con Chrysler sia "necessario un contratto collettivo specifico" , e perché la proposta del 3 dicembre sia il massimo possibile per raggiungere l’equilibrio tra "l’esigenza Fiat di u n a d e g u a t o l i v e l l o d i competitività" e la dovuta "attenzione a conservare ogni tutela prevista dalla legge per i nostri lavoratori" . Non ha avuto nemmeno bisogno di ricordare quale sarebbe l’inevitabile alternativa: dirottare sull’estero il miliardo previsto per il polo Alfa-Jeep. La morte, di fatto, diMirafiori. E non si è nemmeno sentito dire, questa volta (finora neppure dalla Fiom), che il suo è "un ricatto" . I numeri (compresi quelli sugli aumenti salariali) hanno evidentemente convinto. Così, l’altra sera, al primo spiraglio arrivato da Torino la regia delle rispettive diplomazie ha subito fatto seguire l’apertura sindacale. E ieri, al Lingotto, sono arrivate le lettere promesse da Fim, Uilm, Fismic, Ugl. Stava a loro chiedere l’incontro, sapendo peraltro a quali condizioni potrà arrivare il risultato. Stava a Fiat raccogliere, evitando l’arroganza del "prendere o lasciare" . I punti su cui l’accordo era "quasi" fatto, ma ancora da limare, riguardavano soprattutto gli orari, le pause, i giorni di malattia, le clausole di responsabilità. Ci si incontrerà, probabilmente, a metà strada. Fismic e Ugl vanno già pronte a firmare. La Fim riproporrà "alcune osservazioni": ma pare ottimista e, a sua volta, "vede" l’intesa. La Uilm è altrettanto fiduciosa: "Si può fare in giornata" . Resta la Fiom, a ripetere che "se lo schema è quello del 3 dicembre, di Pomigliano, ci dispiace ma non possiamo essere d’accordo" . La parola andrà poi comunque al referendum vincolante già annunciato dalla Uilm. E a Marchionne, questa volta, basterà "il 51% e non ce ne andremo": risposta a chi lo accusa di cercare solo alibi per mollare. Raffaella Polato 23 dicembre 2010
2010-12-22 VACANZA CONTRATTUALE L'Italia e il contratto scaduto Sono cinque milioni i dipendenti in attesa di rinnovo. Un anno fa erano solo il 10% del totale, ora sfiorano il 40% VACANZA CONTRATTUALE L'Italia e il contratto scaduto Sono cinque milioni i dipendenti in attesa di rinnovo. Un anno fa erano solo il 10% del totale, ora sfiorano il 40% MILANO – "Analisi della tensione contrattuale". È la descrizione dell'Istat, che la etichetta alla stregua di una ricerca sociologica. Ma anche "vacanza contrattuale", che suggerisce mete esotiche e ferie forzate. Ma lungi dal prendere il primo volo per le Maldive l'impatto sull'economia è reale e si esprime nella perdita di potere d'acquisto (dovuta all'inflazione crescente) e nell'incertezza di vedersi riconosciuta, in termini salariali, la propria professionalità e il proprio lavoro. LE CATEGORIE – Sono un milione e poco più nella scuola. Oltre 547mila nella sanità. Qualche migliaio in meno nelle regioni e negli enti locali. Quasi 200mila nei ministeri. Stessa cifra per il personale di trasporto-merci. Più di 420mila tra carabinieri, finanzieri, polizia di stato, personale della Difesa. Ma anche gli oltre 280mila del settore socio-assistenziale e gli impiegati nelle case di cura e gli istituti privati. Senza dimenticare gli oltre 220mila che prestano la loro opera negli studi professionali e persino poco più di 250mila addetti alle pulizie (di uffici, enti, ospedali, università). In termini complessivi sfiorano la cifra-monstre di cinque milioni di dipendenti (per 48 categorie lavorative) in attesa di rinnovo del contratto collettivo, ormai scaduto. In termini percentuali il 37,9% del personale non autonomo. A fronte di una popolazione di "garantiti" che supera di poco gli 8,1 milioni di dipendenti. LE DATE – Se fino a dicembre 2009 i soggetti titolari di contratto collettivo scaduto erano circa il 10% del monte-dipendenti, con l'inizio del 2010 sono andati a scadenza decine di accordi contrattuali, stipulati negli anni scorsi tra le associazioni delle imprese o l'Aran (per il pubblico impiego), i sindacati e il governo nella tripartizione classica. Ecco perché ora la "tensione contrattuale" è maggiore e si amplificherà entro maggio 2011, quando andranno a scadenza il 22,6% dei contratti nell'industria e l'85% nei servizi privati. RETRIBUZIONI – A parziale consolazione lo scarto retributivo orario di alcune categorie di dipendenti rispetto al 2005. È cresciuto il salario, per ora lavorativa, dell'11,7% nell'agricoltura, del 16,4% nell'industria (con punte del 18% nell'edilizia), del 12,3% nel settore dei servizi privati, del 15,2% nella pubblica amministrazione (con punte negative per le forze dell'ordine, militari e vigili del fuoco, la cui retribuzione è cresciuta di meno rispetto alla media del pubblico impiego). Percentuali che vanno depurate in termini reali, per effetto della normale della crescita dell'inflazione su base annuale, che fa da contrappeso sul potere d'acquisto. Fabio Savelli 22 dicembre 2010
2010-12-17 Sotto accusa un servizio su tre auto ritenuto "denigratorio dell'immagine della società" La Fiat punta al mega risarcimento "Venti milioni da Annozero" A tanto ammonterebbe la richiesta di risarcimento danni contro la trasmissione di Santoro * NOTIZIE CORRELATE * Fiat chiede i danni ad "Annozero" (7 dicembre 2010) Sotto accusa un servizio su tre auto ritenuto "denigratorio dell'immagine della società" La Fiat punta al mega risarcimento "Venti milioni da Annozero" A tanto ammonterebbe la richiesta di risarcimento danni contro la trasmissione di Santoro Un frame del servizio di Annozero finito nel mirino del Lingotto (IPP) Un frame del servizio di Annozero finito nel mirino del Lingotto (IPP) MILANO - Venti milioni: a tanto ammonterebbe la richiesta di risarcimento danni presentata dalla Fiat contro la trasmissione Annozero di Michele Santoro, per la puntata del 2 dicembre. In particolare, nel mirino del Lingotto erano finite le affermazioni contenute in un servizio su tre autovetture, tra le quali l'Alfa Romeo MiTo, ritenute "fortemente denigratorie e lesive dell'immagine e dell'onorabilità della società, dei suoi prodotti e dei suoi dipendenti". RICAVATO IN BENEFICENZA - In particolare, la Fiat aveva spiegato che "in modo del tutto strumentale" Annozero aveva "illustrato le prestazioni di tre autovetture, fra cui una Alfa Romeo MiTo, impegnate in un test apparentemente eseguito nella stagione autunnale, per concludere, sulla sola base dei dati relativi alla velocità, che i risultati di questa "prova" avrebbero dimostrato una asserita inferiorità tecnica complessiva dell'Alfa Romeo MiTo. Si trattava di una ripresa televisiva che è stata artificialmente collegata ad una prova comparativa condotta nella stagione primaverile, non con le stesse vetture, dal mensile Quattroruote e poi pubblicata nel numero dello scorso mese di giugno di questa rivista". "Quello che, incredibilmente, la trasmissione non ha raccontato - aveva spiegato ancora il Lingotto - è che la valutazione globale di Quattroruote, risultante dalla comparazione dei dati relativi alle prestazioni tecniche, alla sicurezza e al confort ha attribuito all'Alfa Romeo MiTo in versione Quadrifoglio (1.368 cc) una votazione superiore a quella della Citroen DS3 THP (1.598 cc) e della Mini Cooper S (1.598 cc). Fiat, anche a tutela delle migliaia di lavoratori che quotidianamente danno il loro contributo alla realizzazione di prodotti sicuri e tecnologicamente avanzati, intende pertanto intraprendere un'azione di risarcimento danni (il cui ricavato sarà interamente devoluto in beneficenza) - aveva concluso l'azienda - come forma di difesa a fronte di una condotta tanto ingiustificata quanto lesiva della verità". In quella occasione Michele Santoro si era limitato a dire: "Quando arriverà la richiesta di risarcimento danni la valuteremo e ci difenderemo nelle sedi opportune come abbiamo sempre fatto". (Fonte Ansa) 16 dicembre 2010
2010-12-10 Marcegaglia: "Da Fiat nessuna richiesta folle o lesione dei diritti" Marchionne: "Senza il sì degli operai, nessun investimento a Mirafiori" "Se non lo vogliono, e non credo, lo dicano". Bonanni: "Chiarisca se vuole investire". Fim e Uilm: "Preoccupati" * NOTIZIE CORRELATE * Marcegaglia: "Per Fiat ipotesi d'uscita a tempo da Confindustria" (9 dicembre 2010) Marcegaglia: "Da Fiat nessuna richiesta folle o lesione dei diritti" Marchionne: "Senza il sì degli operai, nessun investimento a Mirafiori" "Se non lo vogliono, e non credo, lo dicano". Bonanni: "Chiarisca se vuole investire". Fim e Uilm: "Preoccupati" Sergio Marchionne e Emma Marcegaglia (Imagoeconomica) Sergio Marchionne e Emma Marcegaglia (Imagoeconomica) Senza l'approvazione dei lavoratori, non ci sarà nessun investimento a Mirafiori. Lo ha specificato Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, a margine del consiglio per le relazioni fra Italia e Stati Uniti a New York commentando l'incontro avuto con la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, sulla nuova joint venture di Fiat e Chrysler per Mirafiori in attesa di un contratto specifico per il settore auto. "Se i lavoratori non volessero l'investimento, sarebbe un grandissimo peccato, anche perché ci sono tanti altri siti produttivi disponibili", ha aggiunto l'ad del Lingotto. Quanto alla notizia della raccolta di 2.500 firme a Mirafiori contro l'accordo, Marchionne ha detto di non crederci, ma "se è vero vuol dire che i lavoratori non vogliono l'investimento. Se quella è la risposta, allora c'è un problema più fondamentale". MARCEGAGLIA - "Non c'è nessuna richiesta folle da parte di Fiat e non c'è nessuna lesione dei diritti". È l'opinione espressa dal presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. "Confindustria, Fiat e Federmeccanica lavorano insieme da oggi per fare un contratto dell'auto. E non appena ci sarà, che rispecchierà le esigenze del Lingotto, Fiat rientrerà in Confindustria", ha aggiunto il capo del sindacato degli industriali italiani. BONANNI - A Marchionne ha replicato dall'Italia il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni a margine di un convegno della Cisl scuola: "Voglio sapere prima con certezza se si fa l’investimento. Fiat ce lo dica, noi l’aspettiamo. Lo schema del contratto può andare bene, a condizione che le regole siano dentro le linee guida della riforma contrattuale e nel perimetro associativo di chi l’ha partorito". SINDACATI - I lavoratori di Mirafiori "sono molto preoccupati che l'investimento della Fiat possa saltare e chiedono che si riprenda la trattativa per raggiungere un accordo". Così i responsabili auto nazionali della Fim, Bruno Vitali, e della Uilm, Eros Panicali. Redazione online 10 dicembre 2010
Il presidente degli industriali prima dell'incontro newyorkese con l'a.d. del gruppo Marcegaglia : "Per Fiat ipotesi d'uscita a tempo da Confindustria" "Una momentanea interruzione che potrebbe consentire a Marchionne di trovare le sue soluzioni" Il presidente degli industriali prima dell'incontro newyorkese con l'a.d. del gruppo Marcegaglia : "Per Fiat ipotesi d'uscita a tempo da Confindustria" "Una momentanea interruzione che potrebbe consentire a Marchionne di trovare le sue soluzioni" Sergio Marchionne Sergio Marchionne MILANO - Un'ipotesi di uscita temporanea da Confindustria per la Fiat. Per dare modo alle imprese di trovare tutte le soluzioni necessarie e soddisfare le proprie esigenze prima di "ritornare insieme". "Io ho delle proposte", ha detto Emma Marcegaglia a New York, dove dovrebbe avere l'atteso faccia a faccia con l'a.d. del gruppo di Torino. "Si potrebbe pensare - ha aggiunto - a un contratto dell'auto che sta fuori per un po', intanto che mettiamo a posto le cose e poi rientra". Una "momentanea interruzione", aggiunge, che potrebbe consentire a Marchionne, che "vuole rendere governabili le aziende", di trovare le sue soluzioni e a Confindustria, che "non può spaccare tutte le sue regole", di conciliare le posizioni Fiat con quelle di "tante altre imprese" che vi aderiscono. Per Marcegaglia "l'importante è aver chiaro cosa si vuole realmente - ha aggiunto -. C'è un problema di rappresentanza sindacale unitaria, per esempio, e ci sono vari altri problemi. Ma se sono chiari, la cosa si può risolvere velocemente anche se noi abbiamo delle regole. Federmeccanica ha un direttivo, siamo un'associazione democratica e il direttivo deve decidere come esprimersi". Marcegaglia è convinta che, da parte di Marchionne "ci sia la medesima volontà perché poi, alla fine, - ha osservato - anche Fiat penso abbia interesse a stare all'interno di un sistema di imprese e anche i sindacati credo abbiano interesse a che questo avvenga in una cornice di accordi. Sulla carta - ha concluso - c'è volontà da parte di entrambi". Da parte sua Marchionne, in una giornata newyorkese ricca di incontri che probabilmente si concluderà con la cena dell'American Society a margine della quale potrebbe proprio avvenire l'incontro con la numero uno degli imprenditori, è sfuggito a qualsiasi commento con i cronisti che ne hanno seguito gli spostamenti. IL GOVERNO - Poi Emma Marcegaglia è intervenuta nuovamente sulle questioni di politica interna italiana. "Vogliamo un governo che possa governare, non vogliamo un governo che non abbia una maggioranza certa per farlo", ha detto a margine di un pranzo di lavoro organizzato a New York dal Gei (Gruppo esponenti italiani). Redazione online 09 dicembre 2010
2010-12-09 RISARCIMENTO SARA' DEVOLUTO IN BENEFICENZA Fiat chiede i danni ad "Annozero" "Denigrata l'Alfa Romeo MiTo". Azione giudiziaria nei confronti della trasmissione di Santoro RISARCIMENTO SARA' DEVOLUTO IN BENEFICENZA Fiat chiede i danni ad "Annozero" "Denigrata l'Alfa Romeo MiTo". Azione giudiziaria nei confronti della trasmissione di Santoro Michele Santoro durante una puntata di "Annozero" Michele Santoro durante una puntata di "Annozero" TORINO - Fiat ha dato mandato ai propri legali per un'azione giudiziaria nei confronti dei responsabili della trasmissione televisiva Annozero per le affermazioni andate in onda nella puntata del 2 dicembre 2010 "fortemente denigratorie e lesive dell'immagine e dell'onorabilità della società, dei suoi prodotti e dei suoi dipendenti fatte a commento di una pseudo-prova comparativa", come recita una nota ufficiale del Lingotto. LA RICOSTRUZIONE - L'azienda torinese lamenta, in particolare, che "in modo del tutto strumentale Annozero abbia illustrato le prestazioni di tre autovetture, fra cui una Alfa Romeo MiTo, impegnate in un test apparentemente eseguito nella stagione autunnale, per concludere, sulla sola base dei dati relativi alla velocità, che i risultati di questa 'prova' avrebbero dimostrato una asserita inferiorità tecnica complessiva dell'Alfa Romeo MiTo". Fiat contesta il servizio effettuato dalla trasmissione di Michele Santoro perché "si trattava di una ripresa televisiva artificialmente collegata a una prova comparativa condotta nella stagione primaverile, non con le stesse vetture, dal mensile Quattroruote e poi pubblicata nel numero dello scorso mese di giugno di questa rivista". Santoro: "Tra 4 anni vedremo chi ha ragione" di Paolo Conti Fiat aggiunge che "incredibilmente la trasmissione non ha raccontato che la valutazione globale di Quattroruote, risultante dalla comparazione dei dati relativi alle prestazioni tecniche, alla sicurezza e al confort, ha attribuito all'Alfa Romeo MiTo in versione Quadrifoglio (1.368 cc) una votazione superiore a quella della Citroen DS3 THP (1.598 cc) e della Mini Cooper S (1.598 cc)". Il gruppo, "anche a tutela delle migliaia di lavoratori che quotidianamente danno il loro contributo alla realizzazione di prodotti sicuri e tecnologicamente avanzati, intende pertanto intraprendere un'azione di risarcimento danni (il cui ricavato sarà interamente devoluto in beneficenza) come forma di difesa a fronte di una condotta tanto ingiustificata".
07 dicembre 2010(ultima modifica: 08 dicembre 2010)
LA MANIFESTAZIONE Cento agenti a Villa San Martino Protesta contro i tagli alla polizia Il presidio davanti alla residenza di Arcore del premier Silvio Berlusconi. Cortei anche nel resto d'Italia LA MANIFESTAZIONE Cento agenti a Villa San Martino Protesta contro i tagli alla polizia Il presidio davanti alla residenza di Arcore del premier Silvio Berlusconi. Cortei anche nel resto d'Italia MILANO - Tutti a Villa San Martino. Un centinaio di agenti di polizia sta protestando davanti alla residenza di Arcore del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. I poliziotti, appartenenti a tutte le principali sigle sindacali della polizia, hanno organizzato un presidio per protestare contro i tagli al bilancio delle forze dell'ordine. Analoghe manifestazioni sono in corso in tutto il territorio nazionale. LA PROTESTA - I sindacati di polizia, corpo forestale dello stato, polizia penitenziaria e vigili del fuoco sono sul piede di guerra e denunciano il "vergognoso voltafaccia" del governo che, dicono, ha prima presentato un emendamento al decreto sicurezza sulla specificità delle forze di polizia e poi lo ha ritirato, "mettendo a rischio l'operatività e l'efficienza dei servizi di ordine e sicurezza pubblica". I presidi in tutta Italia precedono la manifestazione unitaria indetta per il 13 dicembre, il giorno prima della fiducia, in piazza Montecitorio alla quale aderiscono Siulp, Sap, Siap-Anfp, Silp-Cgil, Ugl-polizia, Coisp, Sappe, Sinappe, Uil-Penitenziari, Fns-Cisl, Fp-Cgil, Ugl-Polizia penitenziaria, Sapaf, Ugl-federazione nazionale corpo forestale dello Stato, Fns-Cisl, Fp-Cgil, Conapo, Confsal, Fp Cgil Vvf, Fns-Cisl, Ugl-vvf, Uil-Pa. Redazione online 09 dicembre 2010
La rottura sull' accordo ad hoc per la joint venture con Chrysler Fiat, fallisce il tavolo su Mirafiori L'azienda: non esistono le condizioni per un'intesa sul piano di rilancio dello stabilimento La rottura sull' accordo ad hoc per la joint venture con Chrysler Fiat, fallisce il tavolo su Mirafiori L'azienda: non esistono le condizioni per un'intesa sul piano di rilancio dello stabilimento Uno scorcio dello stabilimento Fiat Mirafiori, a Torino (Ansa) Uno scorcio dello stabilimento Fiat Mirafiori, a Torino (Ansa) MILANO - La trattativa sul piano per Mirafiori è finita. Almeno per ora. Al termine di una riunione ristretta con i sindacati, svoltasi presso l'Unione industriale di Torino, la Fiat "ha preso atto che non esistono le condizioni per raggiungere una intesa sul piano di rilancio dello stabilimento di Mirafiori". Mentre il Fismic ha confermato la sua disponibilità a sottoscrivere l'intesa, così come l'Ugl, la Fiom, Fim e Uil si sono riservate una decisione. L'interruzione è avvenuta su un punto nodale, spiegano le fonti, vale a dire che "la cornice contrattuale della joint venture creata per Mirafiori nell'ultimo passaggio non prevede alcun riferimento all'accordo nazionale", il che ha spinto, non solo la Fiom, ma anche le altre sigle a "dover riconsiderare" la proposta. "Si conferma che il modello Pomigliano, proposto anche per lo stabilimento di Mirafiori, punta a superare il contratto nazionale, a cancellare i diritti dei lavoratori e ad affermare in Italia un modello aziendalistico e neocorporativo" ha detto il segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini. IL FRONTE SINDACALE - "Abbiamo provato a sbloccare la situazione - ha commentato a caldo Roberto Di Maulo, segretario generale Fismic -, ma Fiom, Fim e Uilm si sono riservate di decidere assumendosi una responsabilità gravissima. L'azienda ha detto che non accetta riserve e riferirà a Marchionne che non ci sono le condizioni per concludere il negoziato. La trattativa è chiusa". Spiega invece Bruno Vitali, responsabile nazionale della Fim: "Ci siamo riservati per il contratto nazionale, che noi crediamo vada applicato anche nella joint venture per Mirafiori. Su questo le posizioni si sono irrigidite e la trattativa si è interrotta. Ora siamo sul filo del rasoio ma anche Fiat lo è perchè la partita è troppo importante per farla sfuggire in questo modo. Noi faremo le valutazioni al nostro interno ma anche la Fiat deve pensarci bene". "La prima cosa da fare ora è parlare lunedì con i lavoratori, per questo chiederemo alle altre organizzazioni di convocare subito le assemblee - ha detto invece il segretario generale della Fiom torinese, Federico Bellono -. Già alla luce di quanto emerso ieri sera era chiaro che non c'erano le condizioni, tutte le nostre richieste sono state rigettate e l'unica novità vera di oggi è stato un ulteriore peggioramento sul contratto nazionale. Il nostro giudizio, già critico, non può quindi che essere confermato e rafforzato". CONTRATTO AD HOC - A rendere complicata la trattativa è stato, dunque. il contratto ad hoc proposto dalla Fiat per la joint-venture con Chrysler. Se giovedì sera, infatti, l'azienda aveva fatto sapere che il contratto specifico per Mirafiori avrebbe fatto riferimento al contratto nazionale di categoria per quanto riguarda il fondo pensione Cometa, le ferie, i permessi retribuiti e le festività, oggi, alla ripresa del negoziato l'azienda, a quanto si apprende, avrebbe evitato qualsiasi collegamento con il contratto collettivo. Redazione online 03 dicembre 2010
2010-11-30 il numero di occupati a ottobre (dati destagionalizzati) stabile rispetto a settembre Istat, disoccupazione a livelli record A ottobre è all’8,6%, +0,3% su settembre e +0,4% sullo stesso mese del 009. È il massimo dal gennaio 2004 il numero di occupati a ottobre (dati destagionalizzati) stabile rispetto a settembre Istat, disoccupazione a livelli record A ottobre è all’8,6%, +0,3% su settembre e +0,4% sullo stesso mese del 009. È il massimo dal gennaio 2004 ROMA - A ottobre il tasso di disoccupazione vola all’8,6%, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto a settembre e di 0,4 punti rispetto allo stesso mese del 2009. È questa la stima provvisoria dell’Istat, che sottolinea che si tratta del record da gennaio del 2004, cioè da quando sono diffuse le serie storiche. Nelle serie storiche trimestrali, lo stesso tasso (+8,6%) fu registrato nel I trimestre del 2003. Il numero di occupati a ottobre (dati destagionalizzati) rimane sostanzialmente stabile rispetto a settembre e diminuisce dello 0,1% rispetto a ottobre 2009. 30 novembre 2010
2010-11-28 DUE CORTEI "O risposte o sciopero generale Basta con questo governo machista" La Camusso al debutto con la Cgil in piazza:"Ddl lavoro legge ingiusta e crudele. Gelmini ritiri riforma. Combattere evasione per abbassare tasse"". Grande partecipazione: "Ma non diamo le cifre" * NOTIZIE CORRELATE * Protesta degli studenti, occupato il Colosseo (25 nov'10) * Assalto a Palazzo Madama: un mercoledì di tensione a Roma (24 nov 10) * Guarda le immagini dell'assalto al Senato/Video1 * Guarda le immagini dell'assalto al Senato/Video2 * Guarda le immagini dell'assalto al Senato/Video3 * "Di scuola non si può morire" (23 nov 10) * Università, riparte la protesta (23 nov 10) * La manifestazione della Fiom (16 ott '10) DUE CORTEI "O risposte o sciopero generale Basta con questo governo machista" La Camusso al debutto con la Cgil in piazza:"Ddl lavoro legge ingiusta e crudele. Gelmini ritiri riforma. Combattere evasione per abbassare tasse"". Grande partecipazione: "Ma non diamo le cifre" Camusso in piazza della Repubblica (Blowup) Camusso in piazza della Repubblica (Blowup) ROMA - "Il futuro è dei giovani e del lavoro. Non è solo il titolo della manifestazione, ma il nostro impegno affinchè ognuno di noi possa stare meglio. Il paese vero ha bisogno di risposte, cerca di contrastare la crisi e difendere i diritti". Così ha iniziato il suo discorso la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, alla manifestazione nazionale del suo sindacato. Un discorso terminato con " È il Paese per cui abbiamo scioperato e continueremo a scioperare. Viva il lavoro, viva il futuro, viva la Cgil". Subito dopo Camusso che si è unita ai Modena City Ramblers nel cantare Bella ciao. I TEMI - Camusso ha esordito attaccando il ddl lavoro. "Il collegato al lavoro è una legge crudele ingiusta. Ognuno di noi, da oggi deve dire che ci sono 60 giorni - anzi 57 - per impugnare il contratto. Vogliamo dire a tutti i precari che sappiamo che è una scelta difficile: la conferma di un lavoro, seppure precario, e la volontà di chiedere giustizia. Il Parlamento ha fatto male ad approvare questa legge, qualunque legge che costringe qualcuno a decidere da solo del proprio destino limita i diritti". Camusso dal palco si è riferita senza nominarlo a Tremonti. "Forse con i libri non si mangia, ma nutrire la mente non è meno importante di nutrire il corpo: noi nelle caverne non ci vogliamo tornare". Chiama direttamente in causa invece la Gelmini: "Costruire un debito sul futuro dei ragazzi è quello che il ministro dell'Istruzione sta facendo ogni giorno. Aver tolto 'pubblica' dal nome del suo ministero, non l'autorizza a finanziare la scuola privata. E' lei che sta con i baroni, non gli studenti, dato che aumenta i contratti a termine nell'università. Gelmini non faccia appelli su YouTube, vada in Parlamento, ritiri il disegno di legge e apra un tavolo di confronto per una riforma condivisa". Forte richiamo al tema della legalità. "Combattere l'evasione per abbassare le tasse. Legalità è un punto per ripartire". Camusso dal palco (Lapresse) Camusso dal palco (Lapresse) FIAT, DEROGHE & MACHISMO - Sulla Fiat: "Abbiamo la sensazione che progressivamente la testa dell'azienda stia andando negli Stati Uniti. E' importante che a Mirafiori ci saranno produzioni, ma ora vogliamo conoscere le produzioni in tutti gli stabilimenti, dove si farà la ricerca e dove innovazione". Sui contratti: "Continueremo a dire no alle deroghe, il contratto nazionale è un diritto universale per ogni lavoratore. Il problema non è ridurre i contratti, ma far sì che guardino a tutti. A Federmeccanica e Confindustria diciamo: le deroghe sono un danno anche alle imprese. Gli appalti a ribasso e le deroghe sono la stessa cosa, ovvero concorrenza sleale e nessuna possibilità di sviluppo". Sul governo: "Questo Paese non merita questa classe politica, questo degrado, questa esibizione di machismo e virilità, questo governo dei potenti" "VITTIMA" - Il neosegretario aveva già parlato prima della partenza del corteo. "Il presidente del Consiglio deve sapere che non si può tenere sotto allarme il Paese. Se ha delle cose concrete le dica. Se no smetta di far finta di essere la vittima del mondo". Era arrivata molto presto Susanna Camusso a piazza della Repubblica, punto di partenza di uno dei due cortei della Cgil che convergeranno su San Giovanni. E il neosegretario generale della Cgil non si è tirata indietro. "Il paese non ha futuro senza una politica sul lavoro. Ma le politiche del governo mi sembrano più dettate a lanciare allarmi che non a fare cose concrete. Se la Cgil non avrà risposte dal governo, si arriverà anche allo sciopero generale". In quanto alla presenza in piazza di molti politici e di studenti che in questi giorni protestano contro il decreto Gelmini, ha aggiunto: "Questa è una manifestazione sindacale e non politica. Chi ritiene giusto partecipare è ben accolto". LE CIFRE - "I numeri ci dicevano che sarebbe stata una grande manifestazione eccola qui", ha detto Camusso, al suo debutto pubblico come segretario generale della Cgil. Già nei giorni precedenti aveva detto di aspettarsi una grande partecipazione, anticipando che il sindacato non fornirà cifre sui partecipanti, per evitare la solita guerra sui dati. Una scelta fatta anche poco più di un mese fa, il 16 ottobre, quando a scendere in Piazza San Giovanni furono i metalmeccanici della Fiom. Al momento, gli unici numeri a disposizione sono quelli relativi ai pullman ed ai treni speciali provenienti da tutta Italia: si tratta rispettivamente di oltre 2.100 pullman per circa 110-120 mila persone e 13 treni speciali, che hanno raggiunto la Capitale. Uno dei cortei Cgil (Eidon) Uno dei cortei Cgil (Eidon) IN PIAZZA - Due i cortei: uno partito alle 9.30 da piazza della Repubblica (percorso: viale Einaudi, piazza dei Cinquecento, via Cavour, piazza Esquilino, piazza di Santa Maria Maggiore, via Merulana, piazza Vittorio, via Emanuele Filiberto); l'altro da piazzale dei Partigiani (via Cave Ardeatine, piazzale Ostiense, piazza di Porta San Paolo, viale Aventino, piazza di Porta Capena, via di San Gregorio, via Celio Vibenna, via Labicana e via Merulana), è partito mezz'ora prima dell'orario previsto, visto il grande afflusso di gente. I due cortei hanno iniziato a riempire la piazza intorno alle 11, mentre a piazza della Repubblica ancora dei manifestanti attendevano di poter partire. Sul palco i comizi si sono alternati ai concerti di Casa del vento, Modena City Ramblers e di Eugenio Bennato. CAMICI BIANCHI - Lo slogan abbraccia tutti: "Il futuro è dei giovani e del lavoro". E "rimettere al centro i giovani ed il lavoro" è la richiesta della Cgil che sollecita un'agenda politica che guardi al futuro del Paese. Lavoratori, disoccupati, precari, studenti, delegazioni di politici: la lista di chi è in piazza è lunga. In piazza anche i medici che sfileranno con i camici bianchi e porteranno uno striscione con ai lati due palloni bianchi visibili in alto. "Manifestiamo per la prima volta in camice bianco - dichiara Massimo Cozza, segretario nazionale FpCgil Medici - ad una manifestazione della Cgil per il diritto al lavoro per migliaia di medici precari e per il diritto alla contrattazione". Bersani e Vendola a San Giovanni (Blowup) Bersani e Vendola a San Giovanni (Blowup) POLITICI - Per il mondo politico, numerose le delegazioni presenti. A partire da Pierluigi Bersani e Rosy Bindi per il Pd; Angelo Bonelli con i Verdi; Italia dei Valori; Rifondazione; Sinistra e Libertà. In piazza San Giovanni stretta di mano tra Pierluigi Bersani ("Nel Paese c'è una sfiducia e a volte una rabbia che non vanno bene. A queste bisogna rispondere con speranza e fiducia. Però effettivamente la situazione può dar luogo a tensioni anche pericolose") e Nichi Vendola ("L'Italia migliore è in piazza e sui tetti, quella peggiore, quella del governo, è barricata nel palazzo, perchè teme di essere cacciata"). Rosy Bindi ha commentato: "Una gran bella piazza, non mi sembra ci sia aria di complotto". Trai i manifestanti anche Antonio Di Pietro, Paolo Ferreo, Oliviero Diliberto. Applausi dal palco anche a Guglielmo Epifanmi, ex segretario Cgil e Maurizio Landini, segretario Fiom. IL MONDO DEL CINEMA - Dal palco gli interventi di giovani precari, disoccupati, pensionati una studentessa vicentina di 15 anni, Cecilia. Sul palco tra gli altri oratori è salito anche Massimo Ghini, sciarpa rossa al collo, a none del movimento Tutti a casa. "Una piazza meravigliosa, sono qui a rappresentare il mondo dell'industria culturale italiana, per cui lavorano in tutto 3,8 milioni di persone che mettono in moto 167 miliardi di euro. Solo nel comparto del cinema ci sono 300mila addetti tra diretto e indotto. Lo voglio ricordare al ministro Tremonti che dice che con la cultura non si mangia". (Eidon) (Eidon) SLOGAN E CARTELLI - "Io non sono grasso, il mio è un eccesso di bile. Grazie Silvio", si legge su un cartello. È affiancato da:"Forza Italia, l'ora è giunta", con l'immagine dello stivale d'Italia che tira un calcio a Silvio Berlusconi. Molti studenti che gridano slogan contro il decreto Gelmini. Tra gli striscioni portati dai ragazzi: "Studiare è un diritto, tagliare è un delitto", "Il tempo è scaduto, il futuro è nostro", "La Gelmini ci sta distruggendo". Un gruppo di studenti ha messo in atto una protesta in via Merulana: i ragazzi, in mobilitazione contro il ddl Gelmini, si sono seduti sul manto stradale al grido di "studiare è un diritto, tagliare un delitto". Via del Plebiscito bloccata dalla polizia Via del Plebiscito bloccata dalla polizia STUDENTI - Un altro gruppo di studenti si è fermato a protestare sotto il Campidoglio contestando il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e il ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini. I vigili urbani hanno più volte a chiudere piazza Venezia, dove proprio oggi sono partiti i lavori per installare il consueto albero di Natale al centro delle aiuole. Così i giovani che volevano fare un "blitz ironico" a Palazzo Grazioli sono stati bloccati dalla polizia e il cesto di frutta che volevano simbolicamente recapitale al premier al grido di "State alla frutta", è stato rovesciato in terra a Piazza Venezia. Gli studenti volevano consegnare della frutta con uno striscione con scritto "State alla frutta", però sono stati fermati da un ingente schieramento di forze dell'ordine in tenuta antisommossa. Il corteo si è così diretto in via dei Fori Imperiali scandendo slogan: "la cultura non si vende ci riprendiamo tutto e non paghiamo niente", "Noi non siamo la Cgil", "Contro la riforma non basta una sfilata lotta dal basso autorganizzata". TRAFFICO E SICUREZZA - Traffico paralizzato nel centro storico di Roma per la manifestazione organizzata dalla Cgil. A peggiorare la situazione del traffico il fatto che si sono formati molti piccoli cortei "spontanei" e non autorizzati, soprattutto degli studenti in varie zone del centro. In vista della manifestazione, che si è svolta in modo totalmente pacifico, il Dipartimento della Pubblica Sicurezza aveva inviato a prefetti e questori una circolare che invita a monitorare le partenze per la Capitale, potenziare il controllo del territorio e la vigilanza sugli obiettivi sensibili, predisporre servizi mirati in stazioni ferroviarie e snodi autostradali. Redazione online 27 novembre 2010
2010-11-10 Strada chiusa a un tavolo di trattative con le parti sociali e il governo Marchionne: "L'incertezza crea danni, la stabilità è essenziale" L'amministratore delegato della Fiat sulla situazione politica italiana: "Alle aziende serve tranquillità" Strada chiusa a un tavolo di trattative con le parti sociali e il governo Marchionne: "L'incertezza crea danni, la stabilità è essenziale" L'amministratore delegato della Fiat sulla situazione politica italiana: "Alle aziende serve tranquillità" Sergio Marchionne (Fotogramma) Sergio Marchionne (Fotogramma) BRUXELLES - "L'incertezza" è la situazione che "crea più danni. La stabilità è essenziale per tutto". È il commento dell'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, sulla situazione politica attuale italiana. "Abbiamo bisogno di tranquillità per gestire le aziende", ha aggiunto Marchionne, a Bruxelles per partecipare a una riunione del gruppo Cars 21 sulla competitività del settore automobilistico in Europa. TRATTATIVE - Marchionne chiude la strada anche a un tavolo di trattative con le parti sociali e il governo, ventilata nei giorni scorsi dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi: "Non so cosa dobbiamo farne. Il governo il tavolo lo faccia fare alle parti", ha detto l'ad del Lingotto. "Abbiamo raggiunto un accordo a Pomigliano, c'è la proposta di lavorare sul tavolo di Mirafiori. Il problema Fabbrica Italia va avanti a pezzi: portiamola avanti evitando di creare altri problemi". Redazione online 10 novembre 2010
2010-10-29 Secondo la Cgil chi prende 1.240 euro al mese dopo 40 anni riceverà un assegno di 508 euro Le minipensioni dei parasubordinati Avranno appena il 36% del reddito A rischio di non arrivare all'assegno sociale chi ha iniziato nel '96 Secondo la Cgil chi prende 1.240 euro al mese dopo 40 anni riceverà un assegno di 508 euro Le minipensioni dei parasubordinati Avranno appena il 36% del reddito A rischio di non arrivare all'assegno sociale chi ha iniziato nel '96 ROMA - Lo spettro è quello dell'assegno sociale, oggi pari a poco più di 400 euro, che l'Inps eroga ai bisognosi. Molti giovani lavoratori atipici, se non escono dalla trappola della precarietà, rischiano di avere questo sussidio invece della pensione. La questione della previdenza dei parasubordinati è arrivata la scorsa settimana in Parlamento e finisce oggi in piazza. L'Italia dei Valori, primo firmatario il capogruppo Felice Belisario, ha presentato in Senato un'interrogazione urgente ai ministri del Lavoro e dell'Economia, Maurizio Sacconi e Giulio Tremonti. Nella richiesta di chiarimenti al governo il partito fa riferimento ad una frase attribuita al presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua, che con una battuta avrebbe reso l'idea del problema: "Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale". Quale che sia la verità, questa mattina, invece, il Nidil-Cgil, sindacato dei lavoratori atipici, ha organizzato una iniziativa davanti all'Inps di Roma Centro, a piazza Augusto Imperatore, insieme al patronato Inca e al dipartimento giovani della stessa Cgil. A fare i conti saranno gli esperti del sindacato, spiega la confederazione guidata da Guglielmo Epifani. È evidente che, soprattutto per i collaboratori (prima co.co.co. e poi co.co.pro.) che hanno cominciato nel 1996, quando fu istituita la speciale gestione presso l'Inps, e che non riescono a trovare un posto fisso il futuro riserva una pensione da fame. Nei primi anni della gestione, infatti, ai parasubordinati senza altra copertura previdenziale pubblica si applicava un'aliquota contributiva del 10-12%, poi salita gradualmente fino al 26,72% in vigore dal primo gennaio 2010. Essendo i redditi di questa categoria di lavoratori generalmente bassi e discontinui (tra un contratto e l'altro passano mesi) è chiaro che col metodo contributivo, integralmente applicato a tutti coloro che hanno cominciato a lavorare dopo la riforma Dini, sarà difficile maturare una pensione superiore all'assegno sociale (oggi 411 euro al mese). Nel frattempo, però, il paradosso è che con i contributi che i parasubordinati versano al loro fondo Inps, in attivo di oltre 8 miliardi (perché finora incassa solo ed eroga pochissime presta) si pagano le pensioni alle categorie che non ce la farebbero con i soli versamenti dei loro iscritti, dai dirigenti d'azienda ai lavoratori degli ex fondi speciali: telefonici, elettrici, trasporti. Per fortuna le prospettive previdenziali migliorano per i parasubordinati che hanno cominciato a lavorare in questi ultimi anni (l'aliquota era per esempio salita già al 23,5% nel 2007), ma la possibilità di raggiungere una pensione dignitosa dipende fondamentalmente dal reddito percepito durante gli anni di lavoro e dalla sua continuità (e per questo le donne sono svantaggiate). In ogni caso, l'assegno sarà in proporzione sempre inferiore a quello di un lavoratore dipendente, che paga il 33% di contributi. Insomma le variabili sono troppe, spiega l'Inps, senza contare che di regola la condizione di parasubordinato non è a vita e quindi non avrebbe senso, continua l'istituto, stimare la pensione su pochi anni di contribuzione da parasubordinati. Il problema è davvero serio per chi non riesce ad uscire dalla precarietà. La crisi aggrava il fenomeno. Il vicedirettore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, in un recente intervento al convegno di Genova della Confindustria ha osservato che "solo un quarto circa dei giovani tra 25 e 34 anni occupati nel 2008 con un contratto a tempo determinato o di collaborazione aveva trovato dopo 12 mesi un lavoro a tempo indeterminato o era occupato come lavoratore autonomo, mentre oltre un quinto era transitato verso la disoccupazione o era uscito dalle forze di lavoro". Se l'Inps non fornisce previsioni sulle pensioni dei parasubordinati, altri lo fanno. Filomena Trizio, segretaria generale del Nidil-Cgil, spiega che i suoi uffici hanno elaborato due esempi. Il primo riguarda un parasubordinato che ha cominciato nel '96 e il secondo uno che comincia nel 2010. Per entrambi si ipotizza che tra un contratto e l'altro ci sia circa un mese di non lavoro all'anno, che restino in attività per 40 anni, che abbiano una retribuzione iniziale di 1.240 euro al mese e che vadano in pensione a 65 anni. Il primo, quello svantaggiato da contribuzioni iniziali più basse, avrebbe una pensione pari al 41% dell'ultimo reddito, cioè 508 euro al mese, il secondo al 48,5%, ovvero 601 euro. "Per arrivare a un tasso del 60% - dice Trizio - bisogna ipotizzare che questi collaboratori dopo i primi 5 anni diventino dipendenti". Infine, va considerato che questi lavoratori, dati i bassi compensi che mediamente ricevono, non hanno di solito le risorse per farsi una pensione complementare. Col patto sociale sottoscritto col governo Prodi, ricorda Trizio, "era stato sancito l'impegno di garantire alle carriere lavorative discontinue un tasso di sostituzione del 60%, ma con questo governo non se n'è fatto nulla". Anche secondo Maurizio Petriccioli, segretario confederale della Cisl, bisogna "rafforzare la contribuzione figurativa per i periodi non lavorati a fronte di disoccupazione, maternità e lavoro di cura familiare". Stime più favorevoli provengono invece da Progetica e dal Cerp. La prima, società di consulenza specializzata nella finanza personale, ha fatto alcune elaborazioni per il supplemento Pensioni del CorrierEconomia del 29 marzo scorso. Si ipotizzano tre parasubordinati che abbiano cominciato a lavorare a 25 anni: il primo 10 anni fa, il secondo 5 e il terzo nel 2010. Tutti e tre si prevede che arrivino a fine carriera con un retribuzione lorda di 36 mila euro. La loro pensione, secondo Progetica, oscillerà da un minimo del 36% dell'ultimo stipendio, in caso di ritiro a 63 anni, a un massimo del 62% per il giovane che comincia adesso e va in pensione a 65 anni (il 55% invece per chi ha cominciato 10 anni fa). Per le donne, che in media guadagnano un po' meno e hanno periodi di non lavoro maggiori (soprattutto in caso di maternità) le stime sono un po' più basse: tra il 36 e il 57% dell'ultima retribuzione. A conclusioni simili arriva anche uno studio del 2008 del Cerp, il centro di ricerche sulla previdenza diretto da Elsa Fornero. Il tasso di sostituzione oscillerebbe infatti il 49 e il 53% ritirandosi a 60 anni, rispettivamente dopo 35 e 40 anni di attività. Ma la ricerca del Cerp è interessante soprattutto perché giunge alla conclusione che, in media un parasubordinato perde, rispetto a un lavoratore dipendente che paga il 33% di contributi, tra l'uno e l'uno e mezzo per cento all'anno sull'importo della pensione. Enrico Marro 28 ottobre 2010(ultima modifica: 29 ottobre 2010)
2010-10-26 "non possiamo permetterci una campagna elettorale disastrosa" Marcegaglia: "Il Paese non può permettersi le elezioni anticipate" La presidente di Confindustria: "Ma la politica torni a occuparsi di problemi veri: crescita e disoccupazione" "non possiamo permetterci una campagna elettorale disastrosa" Marcegaglia: "Il Paese non può permettersi le elezioni anticipate" La presidente di Confindustria: "Ma la politica torni a occuparsi di problemi veri: crescita e disoccupazione" Emma Marcegaglia (Eidon) Emma Marcegaglia (Eidon) MILANO - "Continuo a pensare che il Paese non possa permettersi una crisi". Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, da Napoli interviene nel dibattito su possibili elezioni anticipate. "Non possiamo permetterci di andare a elezioni anticipate - prosegue - non possiamo permetterci una campagna elettorale disastrosa in un momento come questo e richiamo ancora una volta tutti a un senso di attenzione e di bene per il Paese". PROBLEMI VERI - "Approfitto per richiamare di nuovo il Paese e la politica a occuparsi di problemi veri che poniamo noi, Marchionne e i sindacati che sono crescita e disoccupazione. Questi sono i problemi veri e seri", ha detto la Marcegaglia rispondendo a Napoli a chi chiedeva cosa pensasse del dibattito in corso sulle riforme che il governo ha in cantiere e che sono continua fonte di scontro, a partire da quella della giustizia. Redazione online 26 ottobre 2010
La polemica dopo le frasi dell'amministratore delegato del lingotto Fiat, Epifani attacca Marchionne "In Germania l'avrebbero cacciato" Il leader Cgil: "Non so perché sia andato in tv" Bonanni (Cisl) chiede un incontro La polemica dopo le frasi dell'amministratore delegato del lingotto Fiat, Epifani attacca Marchionne "In Germania l'avrebbero cacciato" Il leader Cgil: "Non so perché sia andato in tv" Bonanni (Cisl) chiede un incontro Il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani (Ansa) Il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani (Ansa) MILANO - Fanno ancora discutere le dichiarazioni di Sergio Marchionne sulla Fiat ("Senza l'Italia faremmo di più"). Se il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia dichiara che l'ad del Lingotto "pone problemi veri", Guglielmo Epifani lo critica fortemente. "Cosa sarebbe successo in Germania - si chiede il leader della Cgil - se un amministratore delegato di un grande gruppo industriale avesse parlato in televisione e non davanti al suo comitato di sorveglianza? In Germania lo avrebbero cacciato" afferma Epifani nel corso del suo intervento ad una iniziativa sindacale organizzata dalla Fiom a Firenze. "Non so perché Marchionne è andato in tv, a chi parla, se alle sue controparti naturali o ai cittadini", ha aggiunto il leader sindacale. "E se parla ai cittadini, la vertenza Fiat si risolve più facilmente o più difficilmente? La ricomposizione di un tavolo con la Fiom è più facile o più difficile dopo questa esposizione mediatica? Ci si può limitare ad andare in tv? Si possono trattare così le organizzazioni sindacali?", ha aggiunto il leader della Cgil. CISL - Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, ha annunciato dal canto suo di aver chiesto che "ci sia un incontro con Marchionne che chiarisca dove si investe, su cosa si investe e cosa si chiede. Prima si fa e meglio è perché discutere e basta serve solo ad alimentare una piccionaia". I PARTITI - Molte le prese di posizione anche tra i partiti dell'opposizione. "Marchionne non ricatti gli italiani e non scarichi le responsabilità del fallimento dell'azienda sui lavoratori" afferma in una nota il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. "Osserviamo come il fenomeno Marchionne diventi vittima della propria stessa audacia intellettuale - afferma il presidente della Regione Puglia e leader di Sel, Nichi Vendola. - Le cose che ha detto sono venate da una specie di insensibilità nei confronti della Patria". Secondo Vannino Chiti (Pd), "dobbiamo fare uno sforzo per affrontare i temi posti da Marchionne, aldilà dell'elemento di provocazione e anche di non giusto riconoscimento di quanto l'Italia ha fatto per la Fiat, su cui gli sono state mosse delle giuste critiche". Redazione online 26 ottobre 2010
"pur essendo italo-canadese, ha dimostrato di essere più canadese che italiano" Marchionne, l'affondo di Fini "La Fiat grande gruppo grazie allo Stato" "Paradossale che parli così l'ad di un'azienda che si chiama Fabbrica italiana automobili Torino" "pur essendo italo-canadese, ha dimostrato di essere più canadese che italiano" Marchionne, l'affondo di Fini "La Fiat grande gruppo grazie allo Stato" "Paradossale che parli così l'ad di un'azienda che si chiama Fabbrica italiana automobili Torino" Gianfranco Fini (Ansa) Gianfranco Fini (Ansa) MILANO - Dopo le critiche che gli sono piovute addosso dai sindacati e in particolare dalla Fiom e da gran parte del mondo politico, l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne dovrà in qualche modo fare i conti con la sonora "bocciatura" arrivatagli dalla terza carica dello Stato. "Marchionne mi sembra che domenica abbia dimostrato, pur essendo italo-canadese, di essere più canadese che italiano" ha sottolineato il presidente della Camera Gianfranco Fini, esprimendo più di qualche perplessità sulle parole pronunciate domenica dall’ad durante il programma di Fabio Fazio su Raitre ("Senza l'Italia la Fiat farebbe meglio" la dichiarazione più contestata). LA FIAT DEVE TUTTO ALLO STATO ITALIANO - "Ha detto una cosa naturale per il top manager canadese. Ma è un po’ paradossale che lo dica l’amministratore delegato della Fiat, Fabbrica Italiana Automobili Torino, perché se la Fiat è un grande colosso lo deve al fatto che è stato per grandissimo tempo il contribuente italiano, lo Stato, a impedire alla Fiat di affondare", ha aggiunto Fini parlando di Marchionne a margine di un incontro con gli studenti delle scuole superiori di Rovigo. . COMPETITIVITÀ - Certo, ha aggiunto il presidente della Camera, "il nostro è un Paese che per mille ragioni ha una scarsa capacità di attrarre capitali, e competitività del lavoro". "A parte questa puntura di spillo ha aggiunto - non è un paradosso che dica a noi, alla classe dirigente, attenzione perchè non abbiamo più la capacità di competere, di stare sul mercato con una concorrenza molto marcata?". Fini, che ha parlato della competizione data dalla globalizzazione, ha concluso dicendo che "l'Italia deve sapere che non riuscirà a vincere la competizione puntando sulla quantità, deve farlo puntando sulla qualità". LE ALTRE REAZIONI - "Parla come fosse a capo di una multinazionale straniera" era stato già domenica sera il commento a caldo della Fiom alle parole di Marchionne, mentre il governo, per voce del titolare al Lavoro, Maurizio Sacconi, ha subito invitato l'amministratore delegato della Fiat a non dimenticare "che i sindacati e le istituzioni si sono già rese concretamente disponibili ai necessari cambiamenti". Le frasi dell'ad della Fiat hanno sollevato un vero e proprio polverone. "Posizioni estreme" da parte dell'azienda di Torino, è l'avvertimento del capogruppo dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, "possono dar vita a reazioni estreme da parte dei sindacati. Marchionne ha fatto il passo più lungo della gamba". Contro l'ad della Fiat si scaglia anche Antonio Di Pietro, che giudica "offensive e indegne" le affermazioni dell'amministratore delegato del Lingotto. "È noto a tutti - ha spiegato il leader Idv - che la Fiat ha sempre ricevuto denaro pubblico, così come è noto che è stata salvata, alcuni anni fa, dal sistema bancario italiano, e che la cassa integrazione attiva nelle fabbriche Fiat, da metà del 2008, è pagata dai contribuenti italiani". Per il leader Pd Pier Luigi Bersani Marchionne dovrebbe avere come modello di riferimento l’industria dell’auto in Europa piuttosto che quella cinese. "Esiste un problema dell’auto - ha detto il segretario dei democratici - ma dipende da quale è il modello che abbiamo in testa, se la Cina o la Serbia o la Germania, la Francia e la Spagna. Io dico che dobbiamo avere in testa l’Europa e per farlo serve un patto sociale". Il segretario del Pd ritiene infatti che il tema dell’efficienza sollevato da Marchionne sia "un obiettivo su cui ragionare ma servono anche prodotti e innovazione". Infine Bersani si rivolge all’esecutivo: "Se fossi nel governo vorrei vederci chiaro, non vorrei che si finisse a fare il gioco del cerino, è in gioco un pezzo di prospettiva per il paese e ognuno deve dare un contributo: l’azienda, il sindacato, il governo". Difende invece Marchionne Pier Ferdinando Casini. "Non va demonizzato - secondo il leader dei centristi -, anche se la Fiat ha ricevuto ingenti contributi dallo Stato, ha cento ragioni, come quando parla di perdita della competitività in Italia o degli stranieri che non investono nel nostro Paese. Dice cose sacrosante, non riesco a dargli torto. Bisogna rendersi conto della realtà, altrimenti la Fiat chiude le saracinesche delle fabbriche e va in Serbia". NO COMMENT DI NAPOLITANO - Non commenta invece le parole di Marchionne il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. "Cosa pensa delle dichiarazioni dell'ad della Fiat?" ha chiesto un giornalista al capo dello Stato che si trova all'Ambasciata d'Italia a Pechino. "Ottomila chilometri di distanza mi permettono di dare solo un'occhiata in fretta alle dichiarazioni di Marchionne" ha risposto Napolitano. Redazione online 25 ottobre 2010(ultima modifica: 26 ottobre 2010)
2010-10-24 Marchionne: "Senza l'Italia la Fiat potrebbe fare di più" L'ad del Lingotto: "Non un euro di utile dal nostro Paese nel 2010. Portare gli stipendi ai livelli europei" IL MESSAGGIO: "Non possiamo gestire in perdita le nostre fabbriche per sempre" Marchionne: "Senza l'Italia la Fiat potrebbe fare di più" L'ad del Lingotto: "Non un euro di utile dal nostro Paese nel 2010. Portare gli stipendi ai livelli europei" Sergio Marchionne (Calanni/Ap) Sergio Marchionne (Calanni/Ap) MILANO - "Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l'Italia". Sergio Marchionne, ospite della trasmissione Che tempo che fa condotta da Fabio Fazio e in onda domenica sera, torna ad affrontare molte delle questioni che hanno tenuto banco nelle ultime settimane. In particolare, l'amministratore delegato del Lingotto ci tiene a sottolineare il fatto che "nemmeno un euro dei 2 miliardi dell'utile operativo previsto per il 2010" arriva dal nostro Paese. "Fiat - aggiunge - non può continuare a gestire in perdita le proprie fabbriche per sempre". "Tra il 2008 e il 2009 - continua Marchionne - la Fiat è stata l'unica azienda che non ha bussato alle casse dello Stato" diversamente da quanto fatto da molte concorrenti europee. "Non voglio ricevere un grazie - spiega l'ad - ma non voglio nemmeno essere accusato di avere avuto aiuti di Stato. Gli incentivi - prosegue - sono soldi che vanno ai consumatori: aiutano parzialmente anche me, ma in Italia sette macchine comprate su dieci sono straniere". EFFICIENZA LAVORO - Marchionne elenca alcuni problemi del sistema-Italia: "Siamo al 118esimo posto su 139 per efficienza del lavoro e al 48esimo posto per la competitività del sistema industriale. Siamo fuori dall'Europa e dai Paesi a noi vicini, il sistema italiano ha perso competitività anno per anno da parecchi anni e negli ultimi 10 anni l'Italia non ha saputo reggere il passo con gli altri Paesi. Non è colpa dei lavoratori". STIPENDI EUROPEI - Tra gli obiettivi per il futuro, assicura Marchionne, c'è quello di portare lo stipendio medio dell'operaio italiano a livello di quello degli altri Paesi europei. "È un obbligo per la Fiat colmare il divario degli stipendi degli operai". Ma per fare questo, sottolinea l'ad, "non è possibile avere tre persone che bloccano un intero stabilimento", come è successo a Melfi dove "abbiamo avuto un esempio di anarchia, non di democrazia. Ma con questo sistema non si possono gestire aziende così grandi". A tal proposito, l'ad aggiunge che solo il 12% per cento degli operai del Gruppo Fiat è iscritto alla Fiom-Cgil, che quindi "non rappresenta la maggioranza". "Meno della metà dei nostri dipendenti è iscritto a una sigla sindacale" afferma. E poi: "Non abbiamo tolto il minimo livello di diritti accumulati negli anni. Se si guarda all'accordo di Pomigliano, l'unica cosa diversa è che abbiamo cercato di assegnare ai sindacati la responsabilità di quelle anomalie che vanno a impattare sulla produttività del sistema". E sulla polemica per la riduzione delle "pause" dei lavoratori delle fabbriche italiane spiega che il nuovo sistema proposto da Fiat per lo stabilimento di Melfi "è già applicato a Mirafiori. Non è niente di eccezionale, fa parte degli sforzi fatti per ridisegnare il sistema di produzione". Marchionne ammette però che "se la Fiat dovesse smettere di fare auto in Campania, avremmo un problema sociale immenso, specialmente in una zona dove la Camorra è molto attiva". "IO FACCIO IL METALMECCANICO" - "Io in politica? Scherziamo? Faccio il metalmeccanico, produco auto, camion e trattori" dice ancora l'ad del Lingotto conversando con Fazio. E a proposito della recente affermazione secondo cui in Italia sono state aperte tutte le gabbie e sono scappati tutti gli animali, Marchionne spiega: "Leggo il giornale tutti i giorni alle 6: c'è una varietà di orientamenti politici e sociali incredibile, tutti parlano e non si capisce dove va il Paese". Tuttavia in questa situazione Marchionne ritiene che "si può avere fiducia nell'Italia, credo di sì, ci sarebbero soluzioni più facili, ma credo che sia possibile costruire qui una condizione diversa, sennò non mi sarei mai impegnato". COMMENTI - Le dichiarazioni di Marchionne sono state subito commentate da vari esponenti politici e sindacali. "A Marchionne ricordiamo che l'Italia è il Paese di storico insediamento del gruppo automobilistico ove ha depositato impianti e soprattutto un grande patrimonio di esperienze e professionalita", ha detto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. "Le parole di Marchionne sono ingenerose nei confronti dell'Italia e dei lavoratori che hanno contribuito a fare grande la Fiat", replica Cesare Damiano, capogruppo in commissione Lavoro del Pd. "Le dichiarazioni di Marchionne sarebbero coerenti se la Fiat restituisse tutti soldi che ha avuto dall’Italia", ha commentato il responsabile lavoro di Italia dei valori, Maurizio Zipponi. "Quella di Marchionne non è sfiducia rispetto all'Italia, ma verso quella parte di sindacato che si dimostra antistorica e contraria alle prospettive di sviluppo economico e industriale", è il commento di Enzo Ghigo, coordinatore piemontese del Pdl. Secondo Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom, "già dodici anni fa i predecessori di Marchionne dicevano che, grazie alla globalizzazione, gli stabilimenti italiani erano pagati dai profitti brasiliani". "Marchionne deve evitare di continuare a umiliare i lavoratori e il sindacato", afferma Rocco Palombella, segretario generale della Uilm. Redazione online 24 ottobre 2010
2010-10-17 Cremaschi, Rinaldini e Landini hanno mutuato dal Pci il rigore della politica Il sindacato metalmeccanico si fa partito e la sua piazza "cattura" il segretario Cgil La Fiom segna un punto ma non è "la società": il mondo operaio è più frammentato Cremaschi, Rinaldini e Landini hanno mutuato dal Pci il rigore della politica Il sindacato metalmeccanico si fa partito e la sua piazza "cattura" il segretario Cgil La Fiom segna un punto ma non è "la società": il mondo operaio è più frammentato L'appello finale di Guglielmo Epifani allo sciopero generale è stato un autentico colpo di teatro. Tanto che subito dopo la chiusura del comizio finale è partita la guerra delle interpretazioni. Il leader uscente della Cgil, ventilando che subito dopo la nuova manifestazione del 27 novembre si potrebbe ricorrere alla mobilitazione generale, si è fatto catturare dalla Fiom e ha concesso troppo alla piazza oppure si è limitato a indicare un percorso del tutto ipotetico? Una cosa è certa: nella tradizione sindacale italiana l'espressione "sciopero generale" ha sempre avuto un suono speciale e una volta pronunciata non è mai stato facile farla dimenticare a chi l'aveva ascoltata. Poi nella situazione odierna di unità sindacale traballante quelle parole, assieme ai cartelli dei manifestanti contro Raffaele Bonanni, finiranno per ampliare il solco tra Cgil e Cisl-Uil. E rendere più difficile il compito al successore di Epifani, Susanna Camusso. Comunque, in attesa di capire gli sviluppi e di misurare con maggiore certezza il coraggio o la scaltrezza di Epifani, va detto che la Fiom ieri in piazza San Giovanni ha segnato sicuramente un punto. È riuscita, quanto meno per un giorno, a far prevalere dentro la Cgil e dentro la sinistra la sua agenda e il suo punto di vista. Non è poco. Tanto da indurre tutti a un supplemento di riflessione sull'effettiva natura dell'organizzazione dei metalmeccanici Cgil. Ebbene, se la Fiom fosse un cocktail potremmo dire che la ricetta è due terzi di politico e un terzo di sociale. In alcuni circoli intellettuali si sostiene che la Fiom sia l'unico specchio reale del Paese, il solo link esistente tra disagio e mobilitazione. Ma chi sottolinea questo schema in fondo fa un torto al gruppo dirigente dei metalmeccanici. Che invece rappresenta il primo e decisivo ingrediente politico del nostro cocktail. I Rinaldini, i Cremaschi e la new entry Landini vengono da lontano e non è certo un caso che abbiano ancora in piedi, tra i pochi in Occidente, un organismo che si chiama "Comitato centrale". Della più genuina tradizione del Pci coltivano il rigore della politica, l'analisi sferzante, il centralismo decisionale, la cura dell'organizzazione. Il tutto però nel tempo è stato abilmente contaminato con l'ingraismo, una forte "curiosità" per il sociale e per i meccanismi di trasformazione del capitalismo. Se ci pensate bene, in fondo non c'è nessuna confederazione, né tantomeno categoria sindacale che possa vantare la stessa capacità di riprodurre fedelmente quadri e apparato. Ora il fatto che Rinaldini sia formalmente fuori dalla Fiom e Cremaschi sia solo il presidente del suddetto Comitato centrale conta poco, il tessuto della loro elaborazione e della loro presenza pubblica è cosi fitto che finora ha lasciato poco spazio alle altre anime. Il secondo ingrediente di rilievo è la crisi del Pd. Tutte le volte che in passato il principale partito della sinistra, comunque si chiamasse, è stato saldamente al comando delle operazioni, la Fiom si è dovuta accontentare di un ruolo accessorio, di incarnare al massimo una tendenza. Ieri è stata evidente, invece, la capacità dei metalmeccanici rossi di farsi partito e di attrarre attorno a sé pezzi di ceto politico in cerca di gloria, da Nichi Vendola a Sergio Cofferati. Se un importante esponente del Pd un giorno elogia la Caritas in veritate, l'altro propone il fisco leggero per le partite Iva e il terzo se ne va bello e contento alla manifestazione della Fiom, la sensazione che emerge non è il rilancio del sincretismo, bensì l'apoteosi della confusione. È vero, poi, che la Fiom ha dimostrato di essere (anche) il punto di riferimento della complessa galassia dei centri sociali, ma in questo caso l'operazione è ancora più semplice. Non fa altro che riempire il vuoto creatosi con l'eclisse di Rifondazione comunista e del suo leader Fausto Bertinotti. Ma veniamo al terzo ingrediente del cocktail, la rappresentanza sociale. La Fiom è la più forte delle organizzazioni dei metalmeccanici e gode di una presenza significativa sia al Nord sia al Sud. Nell'anno di grazia 2010 anche la figura dell'operaio è segmentata ed è quasi impossibile tentare una reductio ad unum, come ai tempi di Cipputi. Nella Fiom ci sono operai di tutte le età, tute blu delle grandi fabbriche e anche delle medie. Il patriottismo di organizzazione è piuttosto sentito, mentre più sfuggenti sono i comportamenti politico-elettorali. Quanti di loro votano ancora a sinistra e quanti invece, al Nord, supportano la Lega non è possibile saperlo. Ma vale la pena ricordare che la prima indagine che attestò lo zapping degli operai di sinistra risale al '91 e partì proprio dalla Fiom lombarda. Per quanto sia insediata nel Paese reale la Fiom intercetta comunque solo una fetta del disagio reale. Parla ai lavoratori concentrati nelle fabbriche e che considerano un valore da difendere il contratto nazionale. La frantumazione del mercato del lavoro ha ovviamente creato nel frattempo innumerevoli figure, le tipologie contrattuali sono difficili persino da catalogare e negli ultimi anni abbiamo dovuto registrare una contaminazione tra lavoro dipendente e lavoro autonomo. Si pensi alle partite Iva mono-committente, che lavorano per un solo "padrone", che non hanno nessun tipo di tutela contrattuale e tantomeno di rappresentanza riconosciuta. Per loro, come è stato detto, in fondo "Pomigliano è tutti i giorni", la deroga è pane quotidiano del quale comunque non si può fare a meno. Considerazioni di questo tipo non devono valere per contrapporre un segmento del disagio a un altro (si dovrebbe anche parlare delle tute blu delle piccolissime imprese che restano fuori del radar sindacale), servono solo a scongiurare le semplificazioni di chi da oggi sosterrà che la Fiom "è la società". Non è così, si mettano il cuore in pace. Il disagio, purtroppo, ha molte altre facce. E quelle più numerose restano invisibili. Dario Di Vico 17 ottobre 2010
2010-10-16 Protesta delle tute blu in due cortei a Roma Fiom in piazza: "Sciopero generale" Epifani: "Paese abbandonato a se stesso" Cremaschi: "Centinaia di migliaia forse di più". Landini: "Mai così tanti in piazza" * NOTIZIE CORRELATE * Fiom in piazza, il corteo delle polemiche Marro (16 ott'10) * "Rischio infiltrazioni", tensione Maroni-Fiom (15 ott'10) Protesta delle tute blu in due cortei a Roma Fiom in piazza: "Sciopero generale" Epifani: "Paese abbandonato a se stesso" Cremaschi: "Centinaia di migliaia forse di più". Landini: "Mai così tanti in piazza" ROMA - "Centinaia di migliaia, forse di più" esulta dal palco alla fine Giorgio Cremaschi. Una manifestazione affollatissima e pacifica. Mentre in piazza San Giovanni è già arrivata da tempo la testa del corteo della Fiom partito da piazza della Repubblica, Via Giolitti, via Gioberti, piazza Santa Maria Maggiore e via Merulana erano ancora piene dei manifestanti che hanno aderito al corteo di protesta indetto dalla Fiom. La Fiom non ha voluto fino alla fine dare i numeri. "Contateci voi" dice il segretario generale Maurizio Landini, "ma non siamo mai stati così tanti come Fiom. E' una piazza che unisce, con uan partecipazione che non ha precedenti". Sabato 16 ottobre: è il giorno della grande manifestazione dei metalmeccanici "Sì ai diritti, no ai ricatti", lo slogan. LE PRIME FILE - Le prime file dei manifestanti arrivati a san Giovanni espongono la scritta "Democrazia e Legalità" formata da un pannello per ciascuna delle lettere. In piazza non solo le tute blu dei metalmeccanici ma anche rappresentanze di studenti, precari, del Popolo Viola e di altre associazioni impegnate nella lotta per i diritti civili. Le previsioni dicevano centomila. Ma gli organizzatori sono sicuri che in piazza a far sentire la propria voce con cori, striscioni, cartelli siano molti di più. Sono arrivati nella Capitale 7 treni speciali e 700 pullman. La manifestazione si è snodata in due diversi cortei: uno con partenza alle 13.30 da piazzale Partigiani (Piramide Cestia), l'altro con partenza da piazza della Repubblica, entrambi convergenti su piazza San Giovanni. Corteo FIOM, la diretta di Alessandra Arachi # "Erano i giorni di Roma citta' persa",canta Bianca Giovannini per concludere la manifestazione. Simbolicamente about 2 hours ago DUE CORTEI - Tute blu e piazze rosse, di bandiere e striscioni, nei due cortei. Quello partito da piazza della Repubblica ha evitato via Cavour, dove si trova la sede della Cisl, come concordato in precedenza da organizzatori e questura. "Democrazia" e "diritti", scritto a caratteri cubitali su diversi pannelli, ognuno dei quali contiene una lettera in rosso. Tante le bandiere della sigla sindacale dei metalmeccanici, Cgil e Rifondazione comunista. Alla partenza del corteo da piazzale Partigiani è stato acceso un fumogeno di color rosso ed è stato sparato un petardo. Tra i cartelli esposti dagli operai anche qualcuno contro la Cisl e il suo segretario: in uno Raffaele Bonanni viene raffigurato con sotto la scritta "infame maggiordomo", mentre in un altro è disegnato un operaio con la tessera della Cisl definita "il sindacato dei paraculi". Moltissimo gli studenti, famiglie anche bambini, immigrati, pensionati, precari. EPIFANI - In piazza della Repubblica è arrivato anche il segretario Cgil Guglielmo Epifani: "Il Paese sta rotolando, da mesi è lasciato a sé stesso. C'è una situazione sociale molto pesante che richiede un cambiamento profondo delle politiche economiche. Siamo in piazza per i diritti, il lavoro, per il contratto. Un contratto senza deroghe". Il leader Cgil ha aggiunto che il modello Pomigliano deve essere "superato con un accordo che garantisca investimenti e occupazione, ma anche diritti". Parlando della situazione del Paese, il leader della Cgil ha evidenziato che "aumentano i disoccupati, i casi di crisi aziendale, che è difficile risolvere se non c'è un impegno del governo e se le imprese approfittano della crisi per ridurre i diritti". E al Governo dice: "Ha fatto poco e male, ha diviso i sindacati: in tutta Europa i sindacati scioperano insieme, da noi in campo c'è soltanto la Cgil e questo indebolisce il fronte del movimento dei lavoratori, soprattutto in un momento di crisi, in cui è invece necessario lottare insieme". In piazza anche Nicki Vendola (ovazione e foto per lui), Paolo Ferrero, Oliviero Diliberto, Sergio Cofferati, Antonio Di Pietro, Ignazio Marino, Fassina, Orfini. TIMORI DI INFILTRAZIONI - La Fiom e il suo segretario generale Maurizio Landini e le tute blu avevamo garantito che sarebbe stata una manifestazione "bellissima, pacifica con una partecipazione straordinaria". Ma certo, la tensione degli ultimi giorni (atti di violenza contro le sedi Cisl) ha intimorito le forze dell'ordine e lo stesso ministro dell'Interno Maroni che ha confermato come l'attenzione sia su gruppetti isolati di anraco-insurrezionalisti in arrivo dal Nord Italia. LANDINI: "SERVE LO SCIOPERO GENERALE" - Diritti; democrazia; legalità; lavoro; contratto nazionale: sono le cinque parole che la Fiom ha portato in piazza per rilanciare il tema del "lavoro è un bene comune". Dice Landini: "Il lavoro deve tornare un elemento centrale, Pomigliano non può essere la norma e il contratto nazionale va difeso per tutti". Dal palco Landini dà dell'irresponsabile a Maroni per aver ventilato la possibilità di incidenti. E aggiunge: "Quando si arriva a invocare il morto, come il ministro Sacconi ha fatto, siamo di fronte a una irresponsabilità totale". E' soddisfatto dell'affluenza alla manifestazione il segretario. "Se c'è democrazia in questo Paese è perchè chi lavora e produce l'ha conquistata e l'ha estesa. Abbiamo il dovere di continuare questa battaglia e per continuare è necessario che si arrivi a proclamare lo sciopero generale". EPIFANI: "SCIOPERO SI' MA NON E' UNICA ARMA" - Quando poi tocca al segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani (al suo ultimo comizio come segretario) salire sul palco per il suo intervento a conclusione della manifestazione, dalla piazza si è immediatamente levato il grido "Sciopero, sciopero", ed è partita anche qualche raffica di fischi, durati alcuni secondi. "Questa" ha detto Epifani "è la piazza dei diritti. Un lavoro senza diritti non è un lavoro". "La Cgil non lascerà sola la Fiom" ha continuato Epifani, "perché sono battaglie nostre. Dobbiamo batterci a partire da Pomigliano un tavolo di trattativa". In quanto allo sciopero il segretario ha detto: "Si continui la battaglia anche con lo sciopero generale. In assenza di risposte continueremo le nostre iniziative anche con lo sciopero generale. È una delle armi che può essere utilizzata, anche se non l’unica". Mai fischi sono ripartiti quando Epifani si è riferito agli attacchi alle sedi Cisl: "Attenzione, capisco la rabbia, ma una sede sindacale appartiene a tutti i lavorati non ai segretari". E in conclusione ha parlato di sé: "Chiudo il mio mandato ed è un grande onore parlare davanti a questa piazza. Resterò comunque nel sindacato - ha aggiunto - in questi anni abbiamo discusso a volte anche litigato, ma siamo rimasti sempre uniti. Abbiamo bisogno di tenere unita la Cgil, questa è la nostra ricchezza". In piazza (Inside) In piazza (Inside) IN PIAZZA - A fianco delle tute blu sono sfilati anche gli studenti e le associazioni di precari della scuola per "riaffermare il lavoro, i diritti e la democrazia sostenendo attivamente i metalmeccanici nella loro lotta, che è anche la nostra e quella di tutti i lavoratori: sappiamo bene che la riduzione progressiva dei diritti dei lavoratori non permette di tutelare il lavoro, ma rappresenta sempre l’anticamera del licenziamento". La manifestazione è stata sostenuta da una ventina di associazioni e comitati, molti dei quali facenti capo al Cps, dal sindacato Usi-Ait e da diverse sigle studentesche tra cui Udu, Link, Uds, Rete e Federazione degli studenti. In piazza tra gli altri anche Italia dei Valori, Verdi, Popolo Viola, Emergency, gli operai di Termini Imerese e i tre riassunti di Pomigliano. Redazione online 16 ottobre 2010
roma - Timori per i gruppi di anarco-insurrezionalisti provenienti dal Nord Fiom in piazza, il corteo delle polemiche Maroni incontra Epifani. Il ministro: il clima non è buono. L'attacco di Bonanni ai metalmeccanici Cgil roma - Timori per i gruppi di anarco-insurrezionalisti provenienti dal Nord Fiom in piazza, il corteo delle polemiche Maroni incontra Epifani. Il ministro: il clima non è buono. L'attacco di Bonanni ai metalmeccanici Cgil ROMA - Il ministro degli Interni, Roberto Maroni, che incontra venerdì mattina il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, dopo aver visto il giorno prima i vertici della Fiom, dà il senso della situazione anomala che si è creata attorno alla manifestazione dei metalmeccanici fissata per sabato pomeriggio a Roma (in diretta dalle 14.30 su Corriere.it). Una giornata di mobilitazione decisa lo scorso luglio per protestare contro l'accordo separato alla Fiat di Pomigliano si è caricata, strada facendo, di tensioni tra i sindacati, sfociate in atti di violenza contro le sedi in particolare della Cisl (ma anche della Uil, della Confindustria e ieri dell'Ugl). Ed è diventata, man mano che si avvicinava la data del 16 ottobre, il collettore di tutti coloro che per un motivo o per l'altro vogliono scendere in piazza per manifestare l'opposizione al governo: dai partiti (una parte del Pd, l'Idv e tutte le sigle della sinistra extraparlamentare) al popolo viola, dagli studenti ai precari, dai comitati per la casa ai centri sociali, che potrebbero perfino fischiare e contestare Epifani nel comizio. Il ministro degli Interni Roberto Maroni (Ansa) Il ministro degli Interni Roberto Maroni (Ansa) Ma purtroppo i due cortei che si muoveranno da piazza della Repubblica e da piazzale dei Partigiani per confluire a piazza San Giovanni sono diventati anche il richiamo per chi si pone fuori dal sistema o contro il sistema democratico, gruppi che non si fanno scrupolo di usare la violenza. E che potrebbero così rovinare quella che, fosse solo per gli operai che a decine e decine di migliaia arriveranno a Roma con 7 treni e 700 pullman, sarebbe una bella e pacifica manifestazione sindacale. È stato lo stesso Maroni a lanciare giovedì l'allarme. L'attenzione dei servizi di intelligence è puntata su gruppetti isolati di anarco-insurrezionalisti, non più di qualche centinaio di persone, provenienti in prevalenza dalle città del Nord Italia, che potrebbero mettere in atto azioni improvvise ed eclatanti ("spaccare vetrine", ha detto Maroni) o cercare lo scontro con le forze di polizia. Che domani saranno schierate massicciamente, garantisce il Viminale. E che sono le uniche a dover garantire l'ordine pubblico mentre al servizio d'ordine del sindacato spetta assicurare il regolare svolgimento della manifestazione ma non certo fronteggiare i delinquenti. Concetti che Epifani ieri ha ribadito a Maroni: "La nostra sarà una iniziativa pacifica e non violenta, spetta al ministro vigilare sulle infiltrazioni". Purtroppo "il clima non è buono", ha ribadito Maroni. E anche venerdì la polemica tra i sindacati non si è abbassata di tono. Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, ha accusato i metalmeccanici della Cgil: "Se penso che c'è chi ha chiesto ai centri sociali, come ha fatto la Fiom, di andare in piazza, è chiaro che non sarà una manifestazione come quella che la Cisl e la Uil hanno fatto l'altra settimana". "Gli sproloqui di Bonanni - ha replicato uno dei leader della sinistra Fiom, Augustin Breda - sono dovuti alla sua caduta di consensi". "Farneticazioni", ha controreplicato la Cisl. È c'è stata polemica anche tra il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, e l'Idv. Il primo ha detto che in piazza scenderà "un'Italia radicale, buona per l'opposizione, non per governare". "L'unico a essere radicale è lui", ha ribattuto il partito di Antonio Di Pietro. Il ministro per le Politiche europee, Andrea Ronchi, invita invece a "non sottovalutare o minimizzare le parole di Bonanni e di Maroni che confermano le preoccupazioni sulla manifestazione". Enrico Marro 16 ottobre 2010
La conferma dai servizi segreti. Maroni ha incontrato Epifani al Viminale "Rischio infiltrazioni al corteo Fiom" Landini: "Non vengano i violenti" L'allarme del ministro Maroni: gruppetti stranieri potrebbero infilarsi tra i manifestanti pacifici * NOTIZIE CORRELATE * Impiegato Fiat "solidale" con i colleghi di Pomigliano: giudice ordina reintegro (13 ottobre 2010) La conferma dai servizi segreti. Maroni ha incontrato Epifani al Viminale "Rischio infiltrazioni al corteo Fiom" Landini: "Non vengano i violenti" L'allarme del ministro Maroni: gruppetti stranieri potrebbero infilarsi tra i manifestanti pacifici Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni (Ansa) Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni (Ansa) MILANO - Per affrontare i rischi di infiltrazioni di violenti nel corteo della Fiom atteso per sabato a Roma, il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha incontrato il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani al Viminale. Giovedì sera Maroni aveva incontrato anche i dirigenti della Fiom, dopo le preoccupazioni espresse dal ministro per la possibile infiltrazione di gruppi violenti nel corteo. MARONI: "RISCHI ELEVATI" - "Il rischio di infiltrazioni nel corteo della Fiom di sabato è elevato, come hanno detto anche le analisi dei nostri servizi, ma la nostra attenzione sarà massima". È quanto ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, intervenendo alla registrazione del programma Porta a Porta. "Il rischio è - ha aggiunto il ministro dell'Interno - che alcuni gruppetti, non certo le 20 o 40mila persone che sfileranno pacificamente (in diretta su Corriere Tv, ndr) staccandosi vadano a spaccare vetri. L'occasione è troppo ghiotta per l'infiltrazione nella manifestazione anche da parte di gruppetti stranieri". Un corteo della Fiom (Lapresse) Un corteo della Fiom (Lapresse) "CONFIDO NEL SINDACATO" - "Venerdì incontrerò i responsabili della Fiom - aveva tuttavia anticipato il ministro - e sono certo che, essendo questo un grande sindacato, eviteranno con il loro servizio d'ordine che gruppetti di violenti possano fare danni". Il ministro Maroni ha inoltre voluto invitare a non sottovalutare alcuni episodi avvenuti recentemente e paragonati a "ragazzate". "A Padova - ha detto il ministro Maroni - mercoledì alcuni esponenti di un centro sociale, tra l'altro invitati alla manifestazione di sabato, hanno occupato la sede di Confindustria padovana imbrattando i muri. Dobbiamo tutti prendere le distanze da episodi come questo". LANDINI - "Il discrimine è la democrazia e la non violenza, chi non le assume è bene che non venga". Così il leader delle tute blu della Cgil, Maurizio Landini, ricordando che la Fiom ha già condannato gli atti "inaccettabili" contro le sedi della Cisl. "Non abbiamo invitato nessuno alla manifestazione, abbiamo solo presentato una piattaforma sindacale alla quale molti hanno aderito", ha sostenuto. . VELTRONI: "ABBASSARE I TONI" - Anche l'ex segretario del Pd, Walter Veltroni, a sua volta presente a Porta a Porta invita ad evitare un "clima mediatico che accresca la tensione": "La Fiom è un grande sindacato - ha sottolineato l'ex sindaco di Roma -, svolgerà una grande manifestazione che sarà conclusa da un discorso del segretario generale della Cgil. Chiaro che gli episodi che si sono ripetuti (contro la Cisl, ndr) non possono avere se e ma. Ci siamo già passati in questo film. Quando ci sono episodi di intolleranza bisogna condannarli sempre e comunque". Ma, ha concluso , "stiamo anche attenti alla violenza del linguaggio, la politica italiana ha da anni un linguaggio assolutamente violento". CREMASCHI - "Non ci risulta alcun rischio di scontri alla manifestazione di sabato" risponde ai microfoni di CNRmedia Giorgio Cremaschi della Fiom sulle dichiarazioni del ministro Roberto Maroni. "Maroni sta provocando, a noi non risulta nulla, un ministro non fa una dichiarazione così poco seria - prosegue Cremaschi - è una dichiarazione provocatoria che ci aiuterà a fare una manifestazione più pacifica. Ci sarà una vastissima partecipazione, sarà una grandissima manifestazione, purtroppo in Italia c'è chi sta cercando di creare una cortina di oscuramento attraverso minacce e dichiarazioni come questa. Se il ministro sa delle cose è suo dovere riferirle agli organizzatori, altrimenti taccia". Redazione online 14 ottobre 2010(ultima modifica: 15 ottobre 2010)
XII Forum della Piccola industria a Prato Marcegaglia: "Non sono ricattabile, l'indipendenza di Confindustria è totale" L'annuncio: il portavoce Arpisella torna in azienda. Sallusti: "Mi dispiace per lui, un grande equivoco" XII Forum della Piccola industria a Prato Marcegaglia: "Non sono ricattabile, l'indipendenza di Confindustria è totale" L'annuncio: il portavoce Arpisella torna in azienda. Sallusti: "Mi dispiace per lui, un grande equivoco" Emma Marcegaglia (Ansa) Emma Marcegaglia (Ansa) MILANO - "È stata per me una grande amarezza che qualche imprenditore possa aver pensato che fossi ricattabile. Ma sappiate che nulla può farmi tremare la mano, né giornali, né intercettazioni, né verbali giudiziari". Così il numero uno di Confindustria, da Prato, è intervenuta sul recente caso Il Giornale-intercettazioni. La Marcegaglia ha anche annunciato che il suo portavoce Rinaldo Arpisella, al centro del caso Giornale, "tornerà ad occuparsi dell'azienda, che è in momento di grande espansione, e ha bisogno del suo lavoro". Arpisella lascia quindi l'impegno accanto a Emma Marcegaglia come presidente di Confindustria ma continua a lavorare per il gruppo di famiglia della leader degli industriali. La decisione è stata presa "di comune accordo". "C'è una "cortina fumogena velenosa che tenta di investire Confindustria con la sua nebbia", ha denunciato ancora la Marcegaglia, parlando di "un teatrino mediatico che mi fa abbastanza schifo", un "teatrino del veleno". Il presidente di Confindustria "non è ricattabile", ha aggiunto, sottolineando di avere "il dovere di non piegarsi". SALLUSTI: MI SPIACE PER LUI - "Mi spiace per Arpisella, non è che la cosa ci faccia piacere. Evidentemente il presidente Marcegaglia ha ritenuto opportuno, in piena autonomia, di fare questa scelta", è stato il commento del direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, all'agenzia Ansa. "È la prova - aggiunge Sallusti - non della colpevolezza di Arpisella, ma che questa storia è tutta un grande equivoco dove non ci sono reati ma solo pasticci". Il vicedirettore de Il Giornale, Nicola Porro, ha deciso invece di non commentare la notizia. "No comment", ha detto in maniera cortese ma ferma parlando al telefono al cronista dell'Ansa, da Praga dove si trova per lavoro. Porro, insieme al direttore del quotidiano milanese, è indagato di concorso in violenza privata per presunte minacce a Emma Marcegaglia. "INDIPENDENZA TOTALE" - La presidente di Confindustria, incontrando i giornalisti a margine del XII Forum della Piccola industria a Prato, è poi tornata sulla contrapposizione col quotidiano di Paolo Berlusconi: "L’indipendenza e l’autonomia di Confindustria è totale. Spero di non dover parlare più di questo tema. I temi veri del Paese sono altri". E, ha aggiunto, chi pensa che il suo giudizio sul governo possa essere influenzato da quello che scrivono i giornali "dice il falso". FIOM - In merito alla manifestazione della Fiom a Roma, la Marcegaglia, ha fatto "un richiamo a moderare i toni, perché il timore che il paese vada in una direzione di spirale di violenza è un fatto molto negativo". La numero uno di Confindustria ha ricordato che "siamo partiti con gli insulti e poi siamo arrivati al lancio di uova alle sedi della Cisl e alle irruzioni nelle sedi di Confindustria. Bisogna bloccare questo meccanismo, condannare chi fa violenza perché se non si fa questo il rischio per il Paese è forte. Siamo già in una situazione economica complessa. Aggiungere a questo un clima di conflitto sociale sarebbe molto grave". "VENDERE IMMOBILI PUBBLICI" - "Dagli ultimi rilievi sappiamo che i beni pubblici ammontano al 130% del Pil, ci sono 500 miliardi di euro in immobili di vario tipo che possono essere venduti", ha osservato tra l'altro la Marcegaglia. "Credo che sia venuto il momento di vendere alcuni di questi beni per avere i soldi da investire in ricerca, innovazione, Università". Emma Marcegaglia ha ribadito quindi l'agenda delle riforme proposta alla politica: "Per noi i punti fondamentali sono chiari: ricerca e innovazione; far partire le infrastrutture che già sono finanziate, continuare la riforma della Pubblica amministrazione; far partire il nucleare; e fare la riforma fiscale. Adesso bisogna fare la crescita, ed è ovvio che in una condizione di rigore dei conti pubblici per sostenere la crescita bisogna tagliare da altri parti". Per Confindustria "il tema è tagliare ancora la spesa pubblica corrente, e riprendere un cammino di privatizzioni che è stato totalmente abbandonato". Redazione online 16 ottobre 2010
LA MANIFESTAZIONE CONTRO LA RIFORMA DELLE PENSIONI Scioperi e blocchi in Francia, l'aeroporto Charles de Gaulle rischia di chiudere Da lunedì sera o martedì il più importante scalo di Parigi rischia di restare senza carburante LA MANIFESTAZIONE CONTRO LA RIFORMA DELLE PENSIONI Scioperi e blocchi in Francia, l'aeroporto Charles de Gaulle rischia di chiudere Da lunedì sera o martedì il più importante scalo di Parigi rischia di restare senza carburante Proteste a Parigi (Reuters) Proteste a Parigi (Reuters) PARIGI - Da lunedì sera o martedì il più importante aeroporto di Parigi rischia di restare senza carburante. Le scorte dello Charles de Gaulle sono infatti ridotte a causa dei blocchi e dello sciopero contro la riforma delle pensioni, ha riferito un portavoce del ministero dei Trasporti. L'oleodotto che rifornisce lo scalo ha però ripreso a funzionare, sia pure a intermittenza, e il portavoce ha affermato che il governo è "fiducioso" che si troverà "una soluzione" per far arrivare il cherosene necessario per garantire il regolare traffico aereo. Il capo dell'Associazione dei petrolieri (Ufip), Jean-Louis Schilansky, ha ammesso che la chiusura per sciopero di 10 delle 12 raffinerie del Paese ha creato una situazione "tesa". (Fonte Agi) 16 ottobre 2010
2010-10-14 Rilevazione Ocse In Europa dal 2008 ci sono 13, 4 milioni di disoccupati in più In Italia, in agosto il tasso era all'8,2%, 0,3% in più rispetto all'anno precedente, ma in calo rispetto a luglio Rilevazione Ocse In Europa dal 2008 ci sono 13, 4 milioni di disoccupati in più In Italia, in agosto il tasso era all'8,2%, 0,3% in più rispetto all'anno precedente, ma in calo rispetto a luglio (Ansa) (Ansa) ROMA - Nei paesi Ocse sono senza lavoro 45,5 milioni di persone, 13,4 milioni in più rispetto a luglio 2008, ovvero prima della crisi economica. Lo rileva l'Ocse riferendosi ai dati di agosto 2010. Nei paesi Ocse sono senza lavoro 45,5 milioni di persone, 13,4 milioni in più rispetto a luglio 2008, ovvero prima della crisi economica. TASSO MEDIO ALL'8,5%, IN SPAGNA AL 20,5% - Il tasso di disoccupazione medio nei paesi Ocse ad agosto era all'8,5%, con un picco in Spagna (20,5%) e nella repubblica Slovacca (14,6%), mentre i livelli più bassi si riscontrano in Corea (3,4%), in Austria (4,3%) e in Olanda (4,5%). Nell'Unione europea il tasso di disoccupazione è al 9,6% (0,4 punti percentuali in più rispetto ad agosto 2009), mentre nell'area euro è al 10,1% (0,4 punti in più rispetto ad agosto 2009). L'Italia segna un tasso di disoccupazione dell'8,2%, in calo di 0,2 punti percentuali rispetto all'8,4% registrato a luglio. Il tasso di disoccupazione medio annuo nel 2007 nei Paesi Ocse era al 5,8%, passato poi al 6,1% nel 2008 e all'8,3% nel 2009. In Italia si è passati dal 6,2% di senza lavoro nel 2007 al 6,8% nel 2008 e il 7,8% nel 2009. AREA EURO AL 10,1% - Guardando all’insieme dell’area euro la disoccupazione resta invece inchiodata al 10,1 per cento, il massimo mai toccato dal lancio della divisa unica. Dinamica stabile anche negli Usa, dove sono già disponibili i dati di settembre in cui la disoccupazione si è attestata al 9,6 per cento. 12 ottobre 2010(ultima modifica: 13 ottobre 2010)
La conferma dai servizi segreti. "Ma la nostra attenzione sarà massima" "Rischio infiltrazioni al corteo Fiom" Landini: "Ministro garantisca sicurezza" L'allarme del ministro Maroni: gruppetti stranieri potrebbero infilarsi tra i manifestanti pacifici * NOTIZIE CORRELATE * Impiegato Fiat "solidale" con i colleghi di Pomigliano: giudice ordina reintegro (13 ottobre 2010) La conferma dai servizi segreti. "Ma la nostra attenzione sarà massima" "Rischio infiltrazioni al corteo Fiom" Landini: "Ministro garantisca sicurezza" L'allarme del ministro Maroni: gruppetti stranieri potrebbero infilarsi tra i manifestanti pacifici Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni (Ansa) Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni (Ansa) MILANO - "Il rischio di infiltrazioni nel corteo della Fiom di sabato è elevato, come hanno detto anche le analisi dei nostri servizi, ma la nostra attenzione sarà massima". È quanto ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, intervenendo alla registrazione del programma Porta a Porta. "Il rischio è - ha aggiunto il ministro dell'Interno - che alcuni gruppetti, non certo le 20 o 40mila persone che sfileranno pacificamente (in diretta su Corriere Tv, ndr) staccandosi vadano a spaccare vetri. L'occasione è troppo ghiotta per l'infiltrazione nella manifestazione anche da parte di gruppetti stranieri". Un corteo della Fiom (Lapresse) Un corteo della Fiom (Lapresse) "CONFIDO NEL SINDACATO" - "Venerdì incontrerò i responsabili della Fiom - ha tuttavia sottolineato il ministro - e sono certo che, essendo questo un grande sindacato, eviteranno con il loro servizio d'ordine che gruppetti di violenti possano fare danni". Il ministro Maroni ha inoltre voluto invitare a non sottovalutare alcuni episodi avvenuti recentemente e paragonati a "ragazzate". "A Padova - ha detto il ministro Maroni - mercoledì alcuni esponenti di un centro sociale, tra l'altro invitati alla manifestazione di sabato, hanno occupato la sede di Confindustria padovana imbrattando i muri. Dobbiamo tutti prendere le distanze da episodi come questo". LANDINI - "È sbagliato e pericoloso alimentare un clima mediatico che cerca di modificare il senso e le ragioni della manifestazione del 16 ottobre", sottolinea il segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini in una nota. "Garantire la sicurezza e l'ordine pubblico nel Paese è un compito e una responsabilità istituzionale del ministero degli Interni - aggiunge -. Ciò è ancor più vero se il ministro Maroni e i servizi parlano di possibili infiltrazioni di gruppi stranieri che, com'è noto, non sono metalmeccanici, né tantomeno sono stati invitati al corteo". Sabato a Roma "la manifestazione indetta dalla Fiom - ribadisce Landini - si svolgerà in modo pacifico, democratico e non violento per il Contratto nazionale, il lavoro, i diritti, le democrazia e la legalità e siamo certi che avrà una grande partecipazione". VELTRONI: "ABBASSARE I TONI" - Anche l'ex segretario del Pd, Walter Veltroni, a sua volta presente a Porta a Porta invita ad evitare un "clima mediatico che accresca la tensione": "La Fiom è un grande sindacato - ha sottolineato l'ex sindaco di Roma -, svolgerà una grande manifestazione che sarà conclusa da un discorso del segretario generale della Cgil. Chiaro che gli episodi che si sono ripetuti (contro la Cisl, ndr) non possono avere se e ma. Ci siamo già passati in questo film. Quando ci sono episodi di intolleranza bisogna condannarli sempre e comunque". Ma, ha concluso , "stiamo anche attenti alla violenza del linguaggio, la politica italiana ha da anni un linguaggio assolutamente violento". CREMASCHI - "Non ci risulta alcun rischio di scontri alla manifestazione di sabato" risponde ai microfoni di CNRmedia Giorgio Cremaschi della Fiom sulle dichiarazioni del ministro Roberto Maroni. "Maroni sta provocando, a noi non risulta nulla, un ministro non fa una dichiarazione così poco seria - prosegue Cremaschi - è una dichiarazione provocatoria che ci aiuterà a fare una manifestazione più pacifica. Ci sarà una vastissima partecipazione, sarà una grandissima manifestazione, purtroppo in Italia c'è chi sta cercando di creare una cortina di oscuramento attraverso minacce e dichiarazioni come questa. Se il ministro sa delle cose è suo dovere riferirle agli organizzatori, altrimenti taccia". Redazione online 14 ottobre 2010 2010-10-09 Gli organizzatori: siamo in 100 mila. Bonanni: "Altre Pomigliano se serve ai lavoratori" Cisl e Uil in piazza per chiedere meno tasse Manifestazione a Roma senza la Cgil. Angeletti: "Noi vogliamo raggiungere un accordo col governo, loro no" * NOTIZIE CORRELATE * Uova e fumogeni contro la sede della Cisl (6 ottobre 2010) * Torino: Bonanni contestato alla festa del Pd e costretto a lasciare il palco (8 settembre 2010) Gli organizzatori: siamo in 100 mila. Bonanni: "Altre Pomigliano se serve ai lavoratori" Cisl e Uil in piazza per chiedere meno tasse Manifestazione a Roma senza la Cgil. Angeletti: "Noi vogliamo raggiungere un accordo col governo, loro no" Il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, e quello della Uil, Luigi Angeletti (Infophoto) Il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, e quello della Uil, Luigi Angeletti (Infophoto) ROMA - Sono oltre 100mila a manifestare con Cisl e Uil, oggi in piazza a Roma, per chiedere al governo una riforma fiscale che alleggerisca i lavoratori dipendenti e pensionati. È una Piazza del Popolo gremita, dove sventolano le bandiere bianche e verdi della Cisl e azzure della Uil. "Più sostegno per famiglie, giovani, donne e immigrati": è questo lo slogan scandito dagli striscioni dei manifestanti. L'ASSENZA DELLA CGIL - "È la prima volta che i sindacati manifestano per chiedere una riduzione delle tasse", dice arrivando il leader della Uil, Luigi Angeletti, che non avverte la mancanza della Cgil, assente dalla piazza. "Noi- dice- vogliamo fare una trattativa e un accordo con il governo sulle tasse e non mi sembra che oggi la Cgil sia in condizione di voler fare accordi". La Cisl "ricucirà con la Cgil" quando il sindacato di Guglielmo Epifani "riconoscerà che il sindacato italiano è plurale e che il sindacato riformatore è la maggioranza" ha detto invece il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. "È una piazza straordinaria - ha aggiunto , è l'Italia della responsabilità. E' il modo migliore per rifiutare i violenti e per metterli all'angolo". "Dieci, cento, mille Pomigliano - ha detto ancora il leader cislino, con riferimento agli accordi separati sullo stabilimento Fiat che hanno portato alla definitiva rottura del fronte sindacale - qualora ci saranno mille investimenti e altrettanti nuovi posti di lavoro di cui l'Italia ha bisogno". "PRIMA IL FISCO POI IL FEDERALISMO" - Quanto ai temi della manifestazione, il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, ha invitato il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, "a fermarsi" e a "non mettere i carri davanti ai buoi, perchè prima va discussa la riforma fiscale e poi va fatto il federalismo, cambiando i pesi oggi sui poveri e non sui ricchi". Per Bonanni, "la discussione va fatta a monte". Anche l'opposizione, ha aggiunto, "si faccia sentire di più: meno gossip e più attenzione alla realtà". E Angeletti: "Come può un Paese fondato sul lavoro permettere che la stragrande maggioranza dei lavoratori paghi più tasse dei datori o di coloro che hanno rendite finanziarie. È uno scandalo totale ed economico che noi vogliamo eliminare". Redazione online 09 ottobre 2010
2010-10-06 automotive news: "il lancio della nuova panda potrebbe slittare a gennaio 2012" Fiat: "Investimenti non partiranno se non ci sarà l'impegno formale dei sindacati" In gioco il cosiddetto progetto Fabbrica Italia che prevede un'impegno economico pari a 20 miliardi di euro automotive news: "il lancio della nuova panda potrebbe slittare a gennaio 2012" Fiat: "Investimenti non partiranno se non ci sarà l'impegno formale dei sindacati" In gioco il cosiddetto progetto Fabbrica Italia che prevede un'impegno economico pari a 20 miliardi di euro Sergio Marchionne (Scudieri) Sergio Marchionne (Scudieri) MILANO - Regna ancora l'incertezza sulla effettiva attuazione del piano di investimenti di Fiat in Italia. Fabbrica Italia, il progetto della Fiat che prevede investimenti per 20 miliardi di euro, "non partirà se non ci sarà l'impegno formale delle organizzazioni sindacali ad assumersi precise responsabilità del progetto". Questa la posizione della Fiat, al termine del tavolo con i sindacati. PANDA - Intanto secondo il sito di "Automotive News Europe" il lancio della nuova Panda, che dovrebbe essere prodotta nello stabilimento di Pomigliano, potrebbe slittare a gennaio 2012. La Fiat, che ha sempre indicato per il lancio della nuova vettura la seconda metà del 2011, con una produzione a regime di 270.000 unità, non commenta l'indiscrezione. L'amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne, ha spiegato nei giorni scorsi al Salone di Parigi, che non ha senso lanciare nuovi modelli in un mercato debole. "È stata una scelta precisa. Abbiamo risparmiato le cartucce in attesa della ripresa del mercato", ha detto. Redazione online 05 ottobre 2010
2010-10-01 L'ad fiat: "fabbrica italia, entro fine anno dovremo decidere" Marchionne: "Volkswagen vuole l'Alfa Romeo? Che aspetti" "Alzeremo gli obiettivi 2010 del Gruppo. Dal fondo di Abu Dhabi Mudabala ci riprenderemo il 5% della Ferrari" * NOTIZIE CORRELATE * Speciale Motori - Salone di Parigi L'ad fiat: "fabbrica italia, entro fine anno dovremo decidere" Marchionne: "Volkswagen vuole l'Alfa Romeo? Che aspetti" "Alzeremo gli obiettivi 2010 del Gruppo. Dal fondo di Abu Dhabi Mudabala ci riprenderemo il 5% della Ferrari" Sergio Marchionne (Lapresse) Sergio Marchionne (Lapresse) PARIGI - "Volkswagen vuole l'Alfa Romeo? Che aspetti. Nel nostro radar di opzioni quella non c’è". Lo ha detto l'amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne, parlando con i giornalisti presso lo stand Ferrari al Salone dell'auto di Parigi. Marchionne ha ricordato che su Alfa "abbiamo preso un impegno" e che l’alleanza con Chrysler "dà una base forte, tecnica all’Alfa. Poi se si presentano con 100 miliardi... sto scherzando". Mercoledì sera, il management di Volkswagen aveva rilanciato l’offerta per l’Alfa, dicendosi disposta ad aspettare il tempo necessario, anche due anni. "Il terzo trimestre si chiuderà per la Fiat con conti positivi superiori alle attese. Alzeremo gli obiettivi del 2010 del Gruppo", ha aggiunto l'amministratore delegato del Lingotto. LE PAROLE DI PIECH - In precedenza il presidente del consiglio di sorveglianza di Volkswagen, Ferdinand Piech, proprio su una possibile proposta di acquisizione del brand Alfa Romeo da parte della casa automobilistica tedesca aveva detto: "Osserviamo con attenzione a quello che sta facendo Fiat in Italia e all'estero. Siamo ancora interessati ad Alfa Romeo, che è uno dei brand con maggiore potenzialità di crescita e su questo argomento ne potremo riparlare tra un paio d'anni". Sollecitato sulle speculazioni riguardanti una possibile vendita di Seat per acquisire Alfa Romeo, Piech ha smentito categoricamente e ha anzi precisato: "Seat potrebbe essere per Alfa quello che Skoda è per Volkswagen". Una sottile osservazione che lascia intendere come nella possibile strategia del Gruppo vi sia un'area "emozionale e sportiva" in cui la Casa del Biscione potrebbe diventare il marchio leader e la Seat un brand satellite, che utilizza le stesse tecnologie e le stesse competenze progettuali per portare a un pubblico più vasto i valori Alfa Romeo. FERRARI - Marchionne è poi intervenuto anche sul tema Ferrari: "Ci riprenderemo il 5% della Ferrari, il nostro obiettivo è di riportare il 90% a casa. E' un impegno che ho preso quando sono entrato nel gruppo nel 2004. La vendita è stata fatta in modo affrettato. Credo sia ora di riportare Ferrari a casa: appartiene alla Fiat". Il riferimento è alla trattativa con il fondo sovrano di Abu Dhabi, Mubadala. Marchionne ha aggiunto, che per quanto riguarda la quotazione della Ferrari "è una delle cose che può succedere, ma non c'è nessun piano immediato". FABBRICA ITALIA - Il piano di investimenti del Gruppo Fiat in Italia, che è subordinato agli accordi con i sindacati, va realizzato entro l'anno ha poi spiegato Marchionne: "Se ci giochiamo un anno avremo un impatto disastroso sul piano sviluppo del prodotto e saremo costretti a guardare alternative. Stiamo arrivando ai limiti, entro fine anno dobbiamo decidere". OUTLOOK NEGATIVO - L'ad della Fiat si è poi soffermato sugli aspetti finanziari relativi alla casa automobilistica. "Probabilmente le società di rating confermeranno l'outlook negativo di Fiat. Ormai - ha aggiunto Marchionne - ho imparato una cosa con le agenzie di rating, è inutile cercare di spingere. Hanno un certo percorso e lo devono fare, fino a quando non si rendono conto che la realtà è cambiata, ma non credo che siano le prime a chiamare veramente il problema per quello che è. Con tutto il dovuto rispetto verso di loro la realtà è un'altra. Lo abbiamo vissuto sulla pelle del sistema finanziario e nel caso della Fiat"." Redazione online 30 settembre 2010
2010-09-29 Nel mese di luglio secondo i dati Istat Occupazione -1,6% nelle grandi imprese Salari lordi: +2,9% annuo, -0,9% su giugno 2010. Senato: ok al controverso ddl lavoro non firmato da Napolitano * NOTIZIE CORRELATE * Ddl lavoro, Napolitano non firma (31 marzo 2010) Nel mese di luglio secondo i dati Istat Occupazione -1,6% nelle grandi imprese Salari lordi: +2,9% annuo, -0,9% su giugno 2010. Senato: ok al controverso ddl lavoro non firmato da Napolitano ROMA - L'occupazione nelle grandi imprese a luglio è diminuita dell'1,6% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente (dato grezzo) e dello 0,1% rispetto a giugno 2010. Lo comunica l'Istat, precisando che al netto della cassa integrazione su base annua il calo è stato dello 0,7% (dato grezzo), mentre su base mensile si è registrata una variazione nulla. I comparti che evidenziano i cali tendenziali più marcati sono la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione orologi (-8,1%) e l'industria del legno, della carta e stampa (-6%). Inoltre, spiega l'Istat, nel mese di luglio l'utilizzo della cassa integrazione guadagni nelle grandi imprese è stato pari a 30,6 ore per mille ore lavorate. RETRIBUZIONI - Le retribuzioni lorde per ora lavorata nelle grandi imprese a luglio hanno registrato un aumento del 2,9% (dato grezzo) rispetto allo stesso mese del 2009, mentre sono calate dello 0,9% (dato destagionalizzato) rispetto a giugno. Ma nell'industria, la retribuzione lorda per ora lavorata è diminuita a luglio (al netto della stagionalità) del 3,5% rispetto al mese di giugno. CARABINIERI: 16% LAVORATORI IN NERO - Dal 1° gennaio al 31 agosto i carabinieri del Comando tutela del lavoro hanno arrestato 154 persone e ne hanno denunciate 5.106, nell'ambito di controlli che hanno interessato 15.116 aziende. Il bilancio è stato fornito mercoledì a margine della firma di una convenzione per la cooperazione tra i comandi provinciali dell'Arma e le direzioni provinciali del Lavoro. Complessivamente sono stati controllati 57.380 lavoratori, di cui 9.255 sono risultati in nero (pari al 16,13%); 316 i minorenni e 194 quelli occupati illecitamente. Gli extracomunitari controllati sono stati 13.522, di cui 3.966 irregolari (pari al 29,3%), 1.042 clandestini e 234 espulsi. Sul versante della sicurezza sui luoghi di lavoro, i carabinieri hanno compiuto 2.239 ispezioni, sequestrando 51 cantieri; in 602 casi sono stati sospesi i lavori; 1.758 i lavoratori in nero scoperti e sanzioni inflitte per un totale di 8 milioni e mezzo di euro. DDL LAVORO: OK DA SENATO - Il Senato ha approvato con 147 voti a favore, 104 contrari e due astenuti il ddl lavoro che contiene norme sull'arbitrato, i licenziamenti, i lavori usuranti, l'apprendistato e gli incentivi all'occupazione. Il provvedimento, in sesta lettura dopo che la legge era stata rinviata alle Camere da Napolitano per un nuovo esame sull'arbitrato, è stato modificato di nuovo e torna alla Camera. È stato cassato il testo della Camera che recepiva un emendamento del Pd secondo il quale si poteva ricorrere all'arbitrato solo per controversie già insorte. Il lavoratore dovrà scegliere se ricorrere agli arbitrati piuttosto che alla magistratura, non prima della fine del periodo di prova, ove previsto, oppure dopo 30 giorni dalla data di stipulazione del contratto, in tutti gli altri casi. Il licenziamento, anche quello invalido, dovrà essere impugnato dal lavoratore entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta. Approvato anche un emendamento che prevede lo stanziamento di 5 milioni di euro annui per i risarcimenti alle vittime dell'amianto sulle navi di Stato. Redazione online 29 settembre 2010
i cambiamenti non riguarderanno il salario. la fiom non ha recepito l'intesa Metalmeccanici: il contratto nazionale diventa flessibile, accordo sulle deroghe Federmeccanica, Film e Uilm hanno firmato l'intesa: le modifiche in caso di crisi o sviluppo aziendale i cambiamenti non riguarderanno il salario. la fiom non ha recepito l'intesa Metalmeccanici: il contratto nazionale diventa flessibile, accordo sulle deroghe Federmeccanica, Film e Uilm hanno firmato l'intesa: le modifiche in caso di crisi o sviluppo aziendale MILANO - Federmeccanica, Film e Uilm hanno raggiunto l'accordo sulle deroghe al contratto nazionale dei metalmeccanici. La possibilità di definire deroghe al contratto nazionale era prevista dal contratto stesso firmato nell'ottobre 2009 è valido per il periodo 2010-2012 (intese modificative). Il contratto del 2009 non era stato firmato dalla Fiom che quindi non ha partecipato alla trattativa sulle deroghe stesse. L'ACCORDO - L'intesa che sarà inserita con l'artico 4 bis (intese modificative del Cnl nel contratto nazionale) prevede che sia possibile definire deroghe alle norme del contratto stesso in caso di "sviluppo economico ed occupazionale" o "per contenere gli effetti economici occupazionali derivanti da situazioni di crisi aziendale". L'intesa definisce solamente quindi le condizioni nelle quali le deroghe sono possibili ma non le materie precisando che le intese modificative non potranno riguardare il salario. Sono esclusi quindi dalle deroghe i minimi tabellari, gli scatti d'anzianità e il salario accessorio oltre "ai diritti individuali derivanti da norme inderogabili di legge". Le intese saranno definite a livello aziendale e poi saranno convalidate a livello nazionale (con una sorta di silenzio assenso, ci sarà il via libera trascorsi 20 giorni dal ricevimento delle intese da parte del sindacato nazionale). Redazione online 29 settembre 2010
La decisione dello stesso giudice del lavoro che aveva annullato i licenziamenti Fiat: inammissibile il ricorso della Fiom sulle modalità di reintegro operai Melfi Il sindacato aveva contestato la riammissione di tre lavoratori senza poter tornare sulle linee produttive La decisione dello stesso giudice del lavoro che aveva annullato i licenziamenti Fiat: inammissibile il ricorso della Fiom sulle modalità di reintegro operai Melfi Il sindacato aveva contestato la riammissione di tre lavoratori senza poter tornare sulle linee produttive MELFI - Il ricorso della Fiom sulle modalità con cui la Fiat aveva attuato il reintegro dei tre operai dello stabilimento di Melfi, licenziati nel luglio scorso, è stato dichiarato "inammissibile" dallo stesso giudice del lavoro che aveva emesso il provvedimento di annullamento dei licenziamenti. L'udienza durante la quale la Fiom aveva presentato la sua istanza si è svolta il 21 settembre scorso. Il sindacato aveva contestato la decisione della Fiat di riammettere i tre licenziati permettendo loro di svolgere attività sindacale ma non di tornare a lavoro sulle linee produttive. NOTA - In una nota, i legali della Fiat hanno evidenziato che "nel dichiarare inammissibile l'istanza della Fiom, il Tribunale di Melfi ha confermato trattarsi di richiesta estranea al nostro ordinamento processuale sottolineando che la stessa costituisce 'tentativo, che oltrepassando i limiti dell'analogia, si caratterizza per essere un'iniziativa creativa e di politica legislativa, inibita all'ordine giudiziario'". (fonte: Ansa) 29 settembre 2010
2010-09-28 ma in valori assoluti il pil pro capite al nord e' quasi il doppio che al sud Istat: la crisi ha colpito di più il Nord Nel 2009 il Pil si è ridotto del 6% nel Nord-Ovest, del 5,6% nel Nord-Est, del 3,9% nel Centro e del 4,3% nel Sud ma in valori assoluti il pil pro capite al nord e' quasi il doppio che al sud Istat: la crisi ha colpito di più il Nord Nel 2009 il Pil si è ridotto del 6% nel Nord-Ovest, del 5,6% nel Nord-Est, del 3,9% nel Centro e del 4,3% nel Sud MILANO - La crisi ha colpito in proporzione più duramente al Nord che al Sud. Nel 2009 il Pil infatti si è ridotto del 6% nel Nord-Ovest, del 5,6% nel Nord-Est, del 3,9% nel Centro e del 4,3% nel Mezzogiorno, a fronte di un valore nazionale pari a -5%. Lo rende noto l'Istat nello studio "Principali aggregati dei conti economici regionali". Il Pil per abitante ai prezzi di mercato , misurato dal rapporto tra Pil nominale e numero medio di residenti nell'anno, segna una flessione del 3,7% a livello nazionale. Il calo è più contenuto nel Mezzogiorno (-2,7%) e nel Centro (-2,9%), mentre è più marcato nel Nord-Ovest (-4,6%) e nel Nord-Est (-4,5%). VALORI ASSOLUTI - In valori assoluti il Pil ai prezzi di mercato per abitante del Centro-Nord continua ad essere sensibilmente più elevato di quello del Mezzogiorno: 30.036 euro nel Nord-Ovest, 29.746 euro nel Nord-Est e 28.204 euro nel Centro, contro i 17.324 euro del Mezzogiorno. Redazione online 28 settembre 2010
epifani: "serve un intervento urgente che sgravi il lavoro dipendente" Cgil: i lavoratori dipendenti hanno perso in 10 anni 5mila euro di potere d'acquisto Rapporto del sindacato: crisi dei salari nel periodo 2000-2010, l'inflazione effettiva più alta del previsto epifani: "serve un intervento urgente che sgravi il lavoro dipendente" Cgil: i lavoratori dipendenti hanno perso in 10 anni 5mila euro di potere d'acquisto Rapporto del sindacato: crisi dei salari nel periodo 2000-2010, l'inflazione effettiva più alta del previsto Guglielmo Epifani (Ansa) Guglielmo Epifani (Ansa) MILANO - I lavoratori dipendenti italiani hanno perso negli ultimi dieci anni oltre 5 mila euro di potere d'acquisto. Lo sostiene la Cgil nel suo rapporto sulla crisi dei salari nel quale spiega che nel decennio 2000-2010 le retribuzioni hanno avuto, a causa dell'inflazione effettiva più alta di quella prevista, una perdita cumulata del potere di acquisto di 3.384 euro ai quali si aggiungono oltre 2 mila euro di mancata restituzione del fiscal drag (vale a dire dell'aumento effettivo della pressione fiscale dovuto proprio ai fenomeni inflattivi che gonfiano il reddito solo nominale erodendo il potere d'acquisto) che porta la perdita nel complesso a 5.453 euro. EPIFANI - In Italia esiste "un grande problema che riguarda l'abbassamento dei salari anche legato al prelievo fiscale" sottolinea il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, a margine della presentazione del rapporto. Epifani chiede "un intervento urgente che sgravi il lavoro dipendente" riequilibrando il peso del prelievo a favore dei salari. I salari, secondo Epifani, pagano al momento di più di altri redditi ed è necessaria una "svolta" che affronti il problema delle retribuzioni. Redazione online 27 settembre 2010
2010-09-26 sabato il senatùr aveva replicato alla marcegaglia: "È facile parlare" Montezemolo, duro attacco a Bossi "Lega corresponsabile delle non scelte" Editoriale pubblicato sul sito di Italiafutura: in sedici anni il Paese si è impoverito materialmente e civilmente * NOTIZIE CORRELATE * Marcegaglia: "Il governo deve andare avanti, ma sappia che stiamo perdendo la pazienza" (25 settembre 2010) sabato il senatùr aveva replicato alla marcegaglia: "È facile parlare" Montezemolo, duro attacco a Bossi "Lega corresponsabile delle non scelte" Editoriale pubblicato sul sito di Italiafutura: in sedici anni il Paese si è impoverito materialmente e civilmente Montezemolo (Ansa) Montezemolo (Ansa) MILANO - Duro attacco a Umberto Bossi da parte di Italiafutura, l'associazione vicina a Luca Cordero di Montezemolo. Un articolo firmato da Carlo Calenda e Andrea Romano, pubblicato sul sito dell'associazione, accusa il leader della Lega Nord di limitarsi a lanciare "proclami e provocazioni" e di non fare nulla di concreto per il Paese. "I fatti di chi produce e le parole (e gli insulti) di chi ha fallito" è il titolo dell'editoriale: la Lega viene ritenuta "corresponsabile di 16 anni di non scelte, che hanno portato il Paese a impoverirsi materialmente e civilmente". Quindi gli autori si scagliano contro "la classe politica screditata, di cui gli italiani hanno piene le tasche". Sabato il leader della Lega aveva polemizzato con la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia che si è rivolta al governo perché faccia qualcosa di concreto prima che si esaurisca la pazienza dei cittadini e delle imprese. "È facile parlare in questo che è un Paese dove molti parlano e pochi sanno cosa fare - le ha risposto indirettamente Bossi -: questo governo ha dimostrato di saper fare ed è quindi già qualcosa in mezzo a tanti parlatori". "LEGA CORRESPONSABILE" - "Ha ragione Bossi. È facile parlare e più difficile agire. Bisogna ascoltarlo quando discetta sul valore dei proclami perché si tratta di un vero esperto in materia - è la stoccata di Italiafutura -. Negli ultimi sedici anni Bossi ha costruito il successo della Lega sul lavoro di organizzazione del partito ma anche sulle provocazioni (e ultimamente anche su qualche gesto). Di fatti invece se ne sono visti ben pochi. Se non la corresponsabilità della Lega in questi sedici anni di non scelte che hanno portato il Paese a impoverirsi materialmente e civilmente. Anche sul fronte delle rivendicazioni specifiche del suo elettorato Bossi ha combinato ben poco (guardare alle promesse sul federalismo per credere). Dubitiamo infatti che i suoi elettori l'abbiano mandato in Parlamento per difendere Cosentino o Brancher Ha ragione Bossi: in Italia (e in particolare nella sua Padania immaginaria) la chiacchiera va per la maggiore e delle parole a vanvera di una classe politica screditata gli italiani ne hanno piene le tasche. In particolare quelli che lavorano e producono (e al convegno di Genova della Confindustria ce n'erano tanti). Quegli italiani che, a differenza di Bossi, tengono in piedi il paese con i fatti e non con le parole". Redazione online 26 settembre 2010
Ripartenze Quel piccolo patto di Genova figlio della lezione di Marchionne Emma Marcegaglia ha capito da tempo che il mondo dell'impresa e del lavoro, se continua a dividersi, rischia di rimanere completamente fuori dal gioco Ripartenze Quel piccolo patto di Genova figlio della lezione di Marchionne Emma Marcegaglia ha capito da tempo che il mondo dell'impresa e del lavoro, se continua a dividersi, rischia di rimanere completamente fuori dal gioco Facciamo uso dell'antropologia positiva tanto cara al ministro Maurizio Sacconi e applaudiamo dunque il "piccolo patto di Genova". L'assemblea confindustriale sulla competitività convocata nella città ligure ha prodotto un risultato tutt'altro che disprezzabile, ha riaperto il dialogo tra i grandi imprenditori e la Cgil. Giorgio Cremaschi, dall'alto della sua carica (brezneviana) di presidente del comitato centrale della Fiom, l'ha già definita "una trappola", ma in realtà a dettare la svolta è stato soprattutto il buon senso. Emma Marcegaglia ha capito da tempo che il mondo dell'impresa e del lavoro, se continua a dividersi, rischia - in questa tormentata stagione della vita politica italiana - di rimanere completamente fuori dal gioco, di condannarsi alla marginalità. Ora sembra essersene convinto anche Guglielmo Epifani e, come da tradizione, il figliol prodigo è stato accolto a braccia aperte. Siccome però non si può vivere a lungo di simboli il piccolo patto di Genova va tradotto in fatti concreti e saremmo ingenui se non vedessimo come restano ampie le distanze sia nell'analisi sia nelle proposte. Per ridurle bisognerà guardare in alto ovvero aiutare il Paese a prendere la strada della crescita e in parallelo guardare in basso, prendere come bussola gli operai e non le sigle sindacali. Perché, come ha avuto modo di sottolineare l'ex presidente Giorgio Fossa, "la crisi ha riavvicinato il lavoratore e l'imprenditore". In fabbrica c'è voglia di soluzioni, non di conflitto. Proprio per evitare ambiguità d'ogni tipo, nel momento in cui si celebra il ritorno del figliol prodigo, va reso onore al coraggio politico di Luigi Angeletti, Raffaele Bonanni e Sergio Marchionne. Per quel che riguarda i sindacalisti forse il miglior tributo è ricordare, come ha fatto Sergio Chiamparino nel suo recente libro, che nella storia sindacale italiana tante volte la Cgil è arrivata dopo. Non è una novità. Quanto al capo della Fiat anche quei borghesi che l'hanno demonizzato potranno a questo punto riconoscere d'aver sbagliato. Non è "un sovversivo", ha aiutato la Confindustria e l'intera opinione pubblica a capire che il mondo non sta ad aspettare l'Italia. E se vogliamo che le multinazionali non ci cancellino dai loro piani di investimento dobbiamo fare i conti con le nostre pigrizie. Dario Di Vico 26 settembre 2010
2010-09-25 "Vogliamo fare un patto sociale per le riforme che veda impegnati imprese e lavoratori" "Il governo deve andare avanti, ma sappia che stiamo perdendo la pazienza" Marcegaglia: "Bisogna fare subito senza tentennamenti. Il governo ascolti l'Italia che c'è qui, ma anche fuori" "Vogliamo fare un patto sociale per le riforme che veda impegnati imprese e lavoratori" "Il governo deve andare avanti, ma sappia che stiamo perdendo la pazienza" Marcegaglia: "Bisogna fare subito senza tentennamenti. Il governo ascolti l'Italia che c'è qui, ma anche fuori" Emma Marcegaglia (Eidon) Emma Marcegaglia (Eidon) MILANO - Confindustria è stufa di aspettare. E vuole dal governo risposte concrete. "Il governo deve andare avanti, deve governare, ma sappia che tutto il mondo delle imprese e i cittadini stanno esaurendo la pazienza". Lo ha detto la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, concludendo il convegno organizzato dall'associazione degli industriali di Genova. "Bisogna fare subito - ha aggiunto la Marcegaglia - senza tentennamenti. Il governo ascolti l'Italia che c'è qui, ma anche fuori, fatta di tanta gente che con grande senso responsabilità fra mille problemi continua a fare il proprio mestiere con determinazione". PATTO SOCIALE - "Vogliamo fare un patto sociale per le riforme che veda impegnati imprese e lavoratori per spronare la politica ad andare avanti" ha aggiunto la Marcegaglia. "Per questo -ha detto ancora la leader degli industriali - abbiamo invitato il prossimo 4 ottobre i sindacati e tutte le altre organizzazioni del lavoro per fare insieme un'agenda di riforme". Redazione online 25 settembre 2010
2010-09-24 L'appello del presidente di Confindustria Marcegaglia: "Entro dicembre il governo presenti un programma di riforme" "Stanziamenti a favore della ricerca e dell'innovazione, ma anche l'internazionalizzazione" * NOTIZIE CORRELATE * La Marcegaglia al governo: "La maggioranza non c'è più" (15 settembre 2010) * La Marcegaglia striglia il governo"Manca volontà di lavorare per crescita" (5 settembre 2010) L'appello del presidente di Confindustria Marcegaglia: "Entro dicembre il governo presenti un programma di riforme" "Stanziamenti a favore della ricerca e dell'innovazione, ma anche l'internazionalizzazione" Emma Marcegaglia (Epa) Emma Marcegaglia (Epa) MILANO - Il Governo elabori, entro dicembre, un programma di riforme tese a rilanciare la competitività dell'Italia. Lo ha dichiarato il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, a margine della firma del nuovo accordo tra Viale dell'Astronomia e Intesa Sanpaolo sul sostegno alle Pmi. "Il Governo dovrà da qui a dicembre mettere in piedi un progetto per le riforme per la competitività - ha affermato Marcegaglia -, noi chiederemo che ci siano anche provvedimenti e stanziamenti a favore della ricerca e dell'innovazione, ma anche l'internazionalizzazione". L'APPELLO - Il leader degli industriali ha poi fatto appello all'esecutivo perchè "utilizzi la leva fiscale per favorire la capitalizzazione e l'aumento dimensionale delle imprese". "Ci aspettiamo che il Governo faccia la sua parte su questo, lo riteniamo fondamentale - ha proseguito Marcegaglia - e siamo leader in molti settori, ma le aziende hanno ridotto i loro margini, ci sono nuovi competitori molto aggressivi che possono minare le nostre posizioni. Abbiamo un problema di produttività rispetto alla Germania che è molto più avanti di noi". (fonte: Agi) 23 settembre 2010
2010-09-20 Storica intesa siglata in germania Siemens si accorda con i sindacati: "Impossibile licenziare dipendenti" Per i 128mila lavoratori tedeschi allontanamento possibile solo con il sì dei propri rappresentanti Storica intesa siglata in germania Siemens si accorda con i sindacati: "Impossibile licenziare dipendenti" Per i 128mila lavoratori tedeschi allontanamento possibile solo con il sì dei propri rappresentanti MILANO - Siemens, una delle aziende leader nella tecnologia, offrirà ai suoi oltre 128.000 dipendenti in Germania una protezione illimitata dai licenziamenti. Lo riferisce il quotidiano Die Welt. La società di Monaco di Baviera ha stretto infatti un accordo con la IG Metall, il sindacato tedesco dei lavoratori metalmeccanici, definito storico da molti analisti, secondo il quale in futuro diverrà quasi impossibile allontanare un lavoratore. LICENZIAMENTO SOLO CON L'ACCORDO DEI SINDACATI - Punto focale del nuovo patto: la direzione aziendale potrà licenziare solo più con il consenso del consiglio di fabbrica. Plaudono lavoratori e sindacati. Un simile accordo è il sogno di milioni di lavoratori, soprattutto in questi tempi di crisi. Verrà firmato quest'oggi dai membri del consiglio d'amministrazione di Siemens AG, del consiglio di fabbrica e dalla IG Metall, il più grande sindacato del Paese, riferisce il quotidiano. Di fatto l'accordo darà al consiglio di fabbrica il diritto di veto sui licenziamenti. Ciò renderà praticamente impossibile allontanare uno dei 128 mila dipendenti in Germania, fa sapere la società senza riferire ulteriori dettagli. Sindacati e dipendenti lodano l'accordo definendolo un "modello per l'intera industria tedesca". A livello mondiale Siemens è presente in 190 Paesi e occupa circa 400.000 dipendenti. Il patto per un lavoro a tempo indeterminato si applicherà però solo ai lavoratori tedeschi. Elmar Burchia 22 settembre 2010
2010-09-19 ENTRO L'ANNO Interventi sui dipendenti con "recuperi di efficienza e esternalizzazioni" Alitalia, duemila in uscita Tagli nei piccoli aeroporti L'ad Sabelli: "Torniamo al piano Fenice, ma non sfido il sindacato". Ma la Filt Cgil parla di esuberi ENTRO L'ANNO Interventi sui dipendenti con "recuperi di efficienza e esternalizzazioni" Alitalia, duemila in uscita Tagli nei piccoli aeroporti L'ad Sabelli: "Torniamo al piano Fenice, ma non sfido il sindacato". Ma la Filt Cgil parla di esuberi Rocco Sabelli, ad della nuova Alitalia Rocco Sabelli, ad della nuova Alitalia ROMA - "Molti sognano di spezzare le reni al sindacato, non io (anche perché basta che scioperino in dieci e sono fulminato)". Rocco Sabelli, ad della nuova Alitalia, ha escluso così, qualche giorno fa, a un convegno della Fit-Cisl, di appartenere alla categoria dei "falchi", con vago riferimento alla Fiat e al cipiglio di Sergio Marchionne. Da pragmatico, il manager preferisce agire più che parlare, così, in gran silenzio (o quasi), starebbe preparando un ridimensionamento del personale Alitalia "ai livelli previsti dal piano Fenice" entro dicembre prossimo. I numeri? Oggi l'ex compagnia di bandiera conta 14 mila dipendenti rispetto ai 12.600 programmati. I dipendenti in più sarebbero circa 1.400, qualcuno dice 1.200. A questi andrebbero aggiunti i contratti dei precari da non rinnovare, nell'ordine dei 600. Insomma una sforbiciata da 1.800-2.000 unità. Un taglio che lo stesso Sabelli ha annunciato in una convention con 400 dipendenti del 2 settembre scorso, stando attento a non usare la parola "esuberi", ma parlando di ritorno ai livelli di organico del Piano Fenice tramite "recuperi di efficienza e esternalizzazioni". Parole riportate da chi era presente e pubblicate anche nero su bianco sull'Intranet aziendale in un resoconto dell'incontro, salvo essere prudentemente cancellate qualche giorno dopo. "Erano un refuso - spiegano in Alitalia - negando anche che si ritornerà a 12.600 dipendenti e sostenendo che il numero dei precari sconta una certa flessibilità fisiologica". Ma del ridimensionamento c'è traccia anche altrove: tra le slides della stessa convention, ad esempio, dove tra le azioni finalizzate a un risparmio finale di 108 milioni nel secondo semestre c'è la voce "vendita servizi manutenzione e materiali". L'azienda ammette che "alcune esternalizzazioni verranno effettuate negli scali periferici" ma i conti non tornano. In realtà si parlerebbe anche di logistica e di manutenzione, quale parte di quest'ultima è tutto da chiarire. Il settore della manutenzione resta infatti tra i più sensibili per i sindacati e non soltanto per la Filt-Cgil, che Sabelli considererebbe ormai irrecuperabile ai tavoli, ma anche per la Fit-Cisl che gli accordi li ha sempre firmati. Non per niente al convegno del sindacato di Claudio Claudiani, Sabelli ha assicurato di ritenere la manutenzione tra i settori core, come l'handling. Basterà a rassicurare il sindacato? Il tam tam in azienda è già partito: di esuberi parla chiaramente la Filt-Cgil, oggi federata con l'ex piloti dell'Anpac nell'Ipa, in una serie di comunicazioni in cui dichiara, tra l'altro, del tutto disattesi gli accordi di palazzo Chigi. Una tesi sostenuta da tempo dalla Cub che ha inoltrato diversi esposti all'ispettorato del Lavoro sostenendo che l'azienda non rispetta i criteri di anzianità e carichi familiari nelle assunzioni. Un esempio? Secondo la Cub, l'azienda avrebbe aggirato quei criteri assumendo a piacimento a tempo determinato e solo successivamente convertendolo in tempo indeterminato. "Oggi abbiamo ragione di ritenere che il ministero voglia tirarsi indietro rispetto all'obbligo di effettuare le dovute ispezioni" accusa Antonio Amoroso (Cub). Anche i piloti dell'Ipa protestano: il numero prefissato di contratti a tempo indeterminato (1.582) non sarebbe mai stato raggiunto. Tutto questo, alla vigilia di importanti rinnovi contrattuali. Ci sarà una nuova stagione di conflitti in Alitalia? Antonella Baccaro Antonella Baccaro 19 settembre 2010
2010-09-17 L'ad: "Portiamo le lancette avanti nel tempo" Fiat, via libera degli azionisti alla scissione Marchionne: "Grande giorno per l'Auto" L'assemblea approva la nascita di due gruppi: Fiat e Fiat Industrial. Elkann: "Due realtà con forti ambizioni" L'ad: "Portiamo le lancette avanti nel tempo" Fiat, via libera degli azionisti alla scissione Marchionne: "Grande giorno per l'Auto" L'assemblea approva la nascita di due gruppi: Fiat e Fiat Industrial. Elkann: "Due realtà con forti ambizioni" Elkann e Marchionne Elkann e Marchionne TORINO - L'assemblea della Fiat ha dato il via libera a maggioranza alla scissione del gruppo in due distinte società: da una parte ci sarà Fiat con il core business dell'auto (Fiat Group Automobiles, Ferrari, Maserati, Magneti Marelli, Teksid, Comau più la parte di Fiat Power Train che riguarda l'auto); dall'altra la nuova Fiat Industrial con CNH e Iveco (macchine agricole e industriali) più la parte di Power Train che si occupa dei veicoli industriali e marini. "È un'assemblea storica - ha dichiarato il presidente del Lingotto, John Elkann, chiudendo i lavori - voglio ringraziare tutte le persone che hanno lavorato perché tutto questo fosse possibile. Siamo molto orgogliosi di queste due realtà che sono forti e hanno ambizioni importanti". AVANTI NEL TEMPO - "Oggi portiamo le lancette avanti nel tempo" ha affermato dal canto suo l'amministratore delegato, Sergio Marchionne. "La nostra azienda, o meglio le nostre aziende - ha aggiunto - potranno muoversi a una velocità notevolmente più rapida di quanto non abbiano mai fatto". In particolare, ha sottolineato l'ad, "è un grandissimo giorno per l'Auto. Finalmente potrà decidere il proprio destino senza preoccuparsi delle conseguenze per Cnh. Deve avere la totale libertà di scegliere con chi andare avanti. Finalmente l'Auto è libera dalle escavatrici e dai trattori". CHRYSLER - A proposito delle prospettive future, l'ad del Lingotto ha affermato che il primo aumento dal 20% al 25% di Fiat in Chrysler potrebbe arrivare già entro quest'anno e "sarà legato al lancio della 500". "L'obiettivo è arrivare al 35% entro il 2011 - ha spiegato. - Ci stiamo lavorando e la cosa più importante è raggiungere i target". ALFA - "Continuiamo a riaffermare l'impegno per una grande Alfa" ha poi detto l'amministratore delegato della Fiat. E, a proposito dell'interesse di Volkswagen, ha aggiunto: "Non ho bussato io. Chi ha bussato ha bussato, non è stata la Fiat". FERRARI - Sull'ipotesi di una quotazione in Borsa della Ferrari, Marchionne ha risposto: "Se mi chiedete se sto preparando un progetto di Ipo per la Ferrari e se ce l'ho sulla mia scrivania, rispondo di no. Non escludo però niente". E in merito alle trattative in corso tra Fiat e il fondo sovrano di Abu Dhabi per il riacquisto del 5% di Ferrari, l'ad ha affermato: "Stiamo cercando di trovare una soluzione che dia la possibilità alla Fiat di ritornare al 90% della Ferrari, che è la nostra posizione storica". SINDACATI - Marchionne si è detto poi ottimista sulla possibilità che Federmeccanica e sindacati trovino un accordo per definire una disciplina specifica per il settore auto. E ha assicurato che il Lingotto lavorerà insieme con Confindustria e la federazione delle aziende metalmeccaniche per trovare una soluzione che eviti l'uscita della casa automobilistica torinese dal sistema confindustriale. "Sono incoraggiato da alcune cose viste negli scorsi 60 giorni - ha detto Marchionne. - C'è buona volontà, per noi il progetto "Fabbrica Italia" è troppo importante". Una volta chiusa la partita di Pomigliano, ha poi spiegato Marchionne, "parleremo dell'allocazione dei prodotti a Torino". L'ad ha criticato nuovamente le scelte "totalmente irrazionali" dei sindacati, che si rifiutano di "allinearsi con le nostre proposte". "Bisogna andare avanti stabilimento per stabilimento per creare le condizioni di governabilità" ha proseguito Marchionne, aggiungendo che "se non si creano queste condizioni non ha senso parlare di produzioni". DIRITTI E DOVERI - "Mi hanno chiesto se è giusto che venga pagato 400 volte il salario più basso di questa azienda" ha poi detto l'ad rispondendo alla domanda di un giornalista a proposito di quanto era stato detto da un rappresentante dei Cub nel corso dell'assemblea degli azionisti. "Intanto la domanda è sbagliata perché bisogna fare il calcolo su un salario medio pagato dalla Fiat in tutte le parti del mondo. E poi io chiedo: quante di queste persone sono disposte a fare questa vita qui? Mi si domandi quando è l'ultima volta che sono andati in ferie e poi ne parliamo". "Si parla sempre di diritti e mai di doveri - ha aggiunto Marchionne - io questa mattina, quando sono arrivato alle 6,30 dagli Stati Uniti, non mi sono preoccupato se i miei diritti erano stati rispettati, sono andato a lavorare". MINISTRO - L'ad ha poi risposto a una domanda sulla mancata nomina (finora) del nuovo ministro dello Sviluppo Economico. "Le scelte di come governare in questo Paese non mi appartengono, la Fiat è una multinazionale che va avanti per i fatti suoi. Se il presidente Berlusconi ritiene che sia necessario nominare un ministro dello Sviluppo economico è una scelta sua, non mia". Redazione online 16 settembre 2010
riunione degli azionisti per lo scorporo. La prospettiva della fusione e della borsa Fiat alla svolta dell'auto globale Il socio americano scenderà Entro fine anno Washington uscirà dal capitale, il Lingotto al 25% riunione degli azionisti per lo scorporo. La prospettiva della fusione e della borsa Fiat alla svolta dell'auto globale Il socio americano scenderà Entro fine anno Washington uscirà dal capitale, il Lingotto al 25% John Elkann e Sergio Marchionne John Elkann e Sergio Marchionne MILANO — La costruzione non comincia adesso. Lo scorporo è un arco portante, e una chiave di volta: ma non la prima pietra della Nuova Fiat. Quella Sergio Marchionne — e John Elkann con lui — l'ha messa molto, molto più indietro nel tempo. Rivoluzionando i piani quando la grande crisi ha terremotato il mondo, e l'auto più di qualunque altro settore. È lì, due anni fa ormai, che è stata velocemente ridisegnata l'architettura immaginata per raggiungere l'obiettivo sempre dichiarato: un Lingotto protagonista, non comprimario, di uno scacchiere globale destinato comunque a rimescolare le carte. Solo che, alla resa dei conti, quello scenario è andato di gran lunga oltre. Nei famosi due anni ha sbriciolato parecchi vecchi totem e messo a durissima prova tutti gli altri attori. Marchionne compreso. Da ex outsider lui è però stato il primo a rompere gli schemi e a lanciare la sfida (con Chrysler e nei giorni in cui nessuno neppure ci pensava, a fare shopping tra i fallimenti). Non l'ha finita, la scommessa, meno ancora può dirla vinta. Per completare la costruzione gli ci vorrà un altro bel pezzo di strada, lungo almeno fino a fine 2011. E soltanto allora si potrà dire se "il visionario" avrà avuto o no per l'ennesima volta ragione. Ma proprio perché è un disegno di medio-lungo periodo le tessere del puzzle vanno viste tutte insieme, un work in progress a tutti gli effetti, e non nel singolo frammento di quadro. Come è, in fondo, lo spin-off dell'auto da una parte, dei camion, delle macchine agricole e da costruzione, dei "grandi motori" dall'altra. Svolta epocale, certo: la Fiat mai più Fiat come l'abbiamo conosciuta per 111 anni. Messa così è però solo suggestione. La sostanza, quella vera, è un disegno che nelle operazioni societarie ha un mezzo e non il fine ultimo. Che non può non partire dall' industria: i 5,5-6 milioni di auto l'anno che Marchionne considera "taglia minima" per vincere, le economie di scala, gli sprechi produttivi da tagliare in impianti che non possono pensare di sopravvivere girando (come oggi) al 60% delle capacità, le sfide dei mercati stramaturi come quello europeo e di quelli nuovi (già non più "emergenti") come Brasile, Russia, India, Cina. Lo scorporo, in tutto ciò, avrà un ruolo fondamentale. Ma non servirà solo a valorizzare finanziariamente il vero potenziale delle singole attività. Servirà, insieme, a dare contorni netti alla "nuova" auto Fiat. Quella che dovremo abituarci a chiamare Fiat-Chrysler. Resta nello sfondo "separato" della realtà americana, per ora, l'azienda conquistata a Detroit. E si tende a dire: sono il governo e i sindacati Usa gli azionisti di maggioranza, dunque saranno loro ad avere un ruolo di primissimo piano quando — prima o poi, visto che lo spin-off anche a questo prelude — avverrà la fusione con Torino. Il "dettaglio" è che, nella tabella di marcia concordata con i partner pubblici statunitensi, mano a mano aumenterà il peso italiano e diminuirà quello stars & stripes. Il Tesoro cederà (a costo zero per il Lingotto: il suo rientro avverrà con il rimborso, "anticipato" promette Marchionne, dei prestiti concessi) il proprio 15%: Fiat salirà al 25% di Chrysler già verso fine anno, con lo sbarco degli Usa della prima 500, e al 35% nel corso del 2011. A quel punto Washington non sarà presumibilmente già più azionista, e fuori — con la quotazione in Borsa — si prepara gradualmente ad andare anche la United Auto Workers. Torino potrà salire, in prospettiva e alla completa restituzione del prestito governativo, fino al 51%. Dopodiché, sì: con la fusione il 30% di Exor si diluirà ma, ri-assicura Elkann, "resteremo sempre i maggiori azionisti" (e con già previste mosse anti-scalata). Funzionerà? Non è tutto così semplice, ovvio. Sono però due anni, appunto, che al Lingotto ci lavorano. E per il disegno finale, "una grande Fiat", passa anche il progetto Fabbrica Italia. L'altra sfida, la scommessa parallela (o tutt'uno con l'altra) del tandem di vertice torinese: si investe adesso, ancora nel pieno della crisi europea, per provare a tenere il passo dei mercati globali. "Globalità" che però non è un'opzione: è un obbligo. Che Fiat lo affronti mantenendo radici e cervello in Italia dipenderà dall'Italia, ed è un falso problema quello del costo del lavoro: per Marchionne la vera questione, gli scossoni in corso, sono le regole, la burocrazia pubblica e privata, la politica industriale. Il "patto sociale" che chiede sta qui. Senza, la risposta è prevedibile: "Il mondo è grande". Raffaella Polato 16 settembre 2010
INCONTRO CON IL SEGRETARIO CGIL A Roma i tre operai Fiat di Melfi Epifani: "Pagano un prezzo non giusto" Si conclude nella Capitale la marcia dei lavoratori siciliani licenziati e poi reintegrati: da Pomigliano a Cassino c'è un clima impossibile * NOTIZIE CORRELATE * Fiat, via libera alla scissione (16 sett'10) * Fiat di Melfi, "tre operai licenziati" Due di loro sono sindacalisti (14 luglio 2010) * Fiat, reintegrati i tre licenziati a Melfi (10 agosto 2010) * Fiat: gli operai reintegrati restino a casa (21 agosto 2010) INCONTRO CON IL SEGRETARIO CGIL A Roma i tre operai Fiat di Melfi Epifani: "Pagano un prezzo non giusto" Si conclude nella Capitale la marcia dei lavoratori siciliani licenziati e poi reintegrati: da Pomigliano a Cassino c'è un clima impossibile ROMA - Sono partiti lunedì 13 settembre da Melfi. Polo azzurra con la scritta bianca "Sata". Poi la prima tappa allo stabilimento Sofim-Iveco di Foggia. Un presidio e via, verso il nord, Pomigliano e Cassino. Per poi concludere a Roma, davanti al ministero della Giustizia, la loro "Marcia dei diritti e della democrazia", proprio nel giorno del via libera alla scissione Fiat. Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli sono i tre operai della Fiat di Melfi (Potenza) licenziati dall'azienda lo scorso luglio e poi reintegrati dal giudice del lavoro ma non riammessi alle linee di montaggio. "Non siamo parassiti. Vogliamo lavorare. Vogliamo giustizia", ma "ormai abbiamo paura di vivere in Italia. Paura perché una sentenza del tribunale non viene rispettata integralmente. Siamo preoccupati", hanno detto, aggiungendo anche che "vogliamo tornare al più presto a lavorare". Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli (Eidon) Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli (Eidon) "PREZZO NON GIUSTO" - A Roma hanno incontrato il segretario della Cgil Guglielmo Epifani e il segretario della Fiom Maurizio Landini. E nell'augurarsi che "la loro situazione vada a buon fine", il leader Cigl ha aggiunto: "Sono persone che stanno pagando un prezzo non giusto, in un clima sociale difficile e delicato interno alle relazioni industriali". "Abbiamo fatto il punto della situazione e abbiamo condiviso un assoluto impegno a far rientrare i lavoratori in fabbrica e a far rispettare le leggi in questo Paese", ha spiegato Landini al termine dell'incontro. Epifani e Camusso "hanno manifestato attenzione e solidarietà, sotto ogni punto di vista, anche sul piano umano per il dramma che questi tre lavoratori stanno vivendo", ha aggiunto il numero uno della Fiom, sottolineando che peraltro è stata un'occasione per conoscerli e parlare loro direttamente". È stato "un incontro importante, positivo. Epifani è con noi", ha affermato Barozzino. "Anche il segretario generale della Cgil è preoccupato, perché non si costruisce così il clima all'interno delle fabbriche", ha sottolineato Lamorte. Lo stabilimento Fiat a Melfi (Ansa) Lo stabilimento Fiat a Melfi (Ansa) "SCOMPARSA LA TRANQUILLITA' NELLE FABBRICHE" - Durante la loro marcia per gli stabilimenti ("per far capire a tutti che quello che stanno facendo è contro la democrazia, i diritti e la libertà, perché la legge sia uguale per tutti, non è possibile che in Italia la legge si fermi davanti ai cancelli della Fiat"), i tre operai raccontano di aver incontrato molti lavoratori: mercoledì erano a Pomigliano, davanti ai cancelli dello stabilimento 'Giambattista Vicò che, dopo il referendum sull'accordo tra Fiat e sindacati (tranne la Fiom), si prepara a ripartire con la produzione della nuova Panda. Chi c'era ha parlato di tante teste basse e pochi saluti. "A Pomigliano -hanno precisato i tre - una parte dei lavoratori ci ha manifestato visivamente la propria solidarietà. Gli altri lo hanno fatto in maniera nascosta, perchè hanno paura che quello che è successo a noi possa accadere anche a loro. Nelle fabbriche italiane c'è ormai un clima impossibile, è scomparsa la tranquillità necessaria per lavorare". Barozzino, Lamorte e Pignatelli, oltre che a Fiat e istituzioni, si rivolgono alla stampa: "Venite tutti davanti ai cancelli, fate un'inchiesta per mostrare a tutti in che condizioni si lavora in Italia. Scoprirete che il lavoratore ha perso il sorriso e non può più parlare liberamente. Marchionne è riuscito a dividerci e quello che stanno facendo è al di fuori della legge. Loro possono trasferire le fabbriche altrove, hanno un'alternativa. Noi no". Redazione online 16 settembre 2010
2010-09-14 [Esplora il significato del termine: ABBANDONATE DA TUTTI Per le partite Iva è sempre Pomigliano I malumori degli "invisibili": il confronto sul lavoro? Solo per chi ce l’ha già. E lo Statuto non arriva ABBANDONATE DA TUTTI Per le partite Iva è sempre Pomigliano I malumori degli "invisibili": il confronto sul lavoro? Solo per chi ce l’ha già. E lo Statuto non arriva Sarà solo una questione di punti di vista ma al popolo delle partite Iva tutto il battage che si è fatto e si sta facendo sul caso Pomigliano non va proprio giù. Un economista osserverebbe che si ripropone nel dibattito pubblico e sul mercato del lavoro la divaricazione (anche psicologica) tra insider e outsider, un cronista racconta i discorsi che sente fare. Che inevitabilmente battono su considerazioni ("ma alla fine quanti sono i lavoratori metalmeccanici delle grandi imprese italiane?") contrapposte a una realtà, per l’appunto, del mercato del lavoro dove abbondano le partite Iva con mono-committenza, "che lavorano di fatto per un solo padrone senza poter accampare diritti e tutele". Pomigliano o no, è evidente che mentre le nuove assunzioni avvengono tramite contratti a progetto, lavoro a tempo determinato, stage e lavoretti vari, l’attenzione dei decisori resta puntata sulle grandi fabbriche e sui conflitti più o meno ideologizzati tra Confindustria e Fiom-Cgil. I duri rubano la scena ai tanti e il patto sociale di cui si va almanaccando riguarda comunque alla fin fine una minoranza di lavoratori. È come se Cipputi si fosse preso la vendetta sui suoi nipotini e su quanti ne avevano proclamato l’estinzione. "Nel frattempo noi restiamo nell’ombra e siamo costretti a competere persino con il lavoro gratuito — denuncia Alfonso Miceli di Acta, l’associazione dei consulenti del terziario avanzato —. Le aziende fanno sempre più ricorso a stage post-curriculari di sei mesi non retribuiti. Oppure chiamano dei pensionati. È chiaro che gli spazi si chiudono e la competizione è al ribasso". La diffusione degli stage non pagati è così ampia che è nato un sito che raccoglie i giudizi dei giovani dopo l’ esperienza fatta nelle varie aziende. L’obiettivo è sconsigliare quelle che-ti-fanno-perdere-solo-tempo. Ma cosa riserva alle partite Iva l’anno di business che si è appena aperto? Quali sono le novità che ci si possono attendere a livello di mercato e di nuove norme? Sul piano delle occasioni di mercato tutti segnalano pessimisticamente il taglio delle consulenze da parte della pubblica amministrazione, mentre sul versante privato la ripartenza delle aziende ancora non si è vista. O per volere essere ottimisti, ancora non si è dispiegata. C’era, poi, molta attesa per lo Statuto dei lavori promesso dal ministro Maurizio Sacconi. È assai difficile però che nel testo governativo ci possano essere novità e ricadute per le partite Iva. A quanto si capisce, alla fine la discussione si polarizzerà inevitabilmente sulla derogabilità delle norme già vigenti, investirà poco o tanto il tema dell’articolo 18 e punterà a produrre un avviso comune governo-sindacati. Ma i protagonisti saranno, come sempre, Cgil-Cisl-Uil e il lavoro dipendente, non certo gli autonomi. È possibile che qualche norma alla fine disciplini la figura dei co.co.co. prevedendo maggiori tutele normative, il grosso della discussione però riguarderà ancora una volta il nocciolo duro degli insider. È inutile farsi illusioni. Le associazioni delle partite Iva non si stancano di sottolineare l’iniquità dei versamenti per la gestione separata dell’Inps, che sono arrivati al 26,73% del fatturato. Con il sistema degli anticipi, sostengono, si finisce per pagare in base agli anni precedenti la Grande Crisi, periodi in cui si era guadagnato di più. "Molti di noi non sono in grado di pagare e devono ricorrere a un prestito bancario oppure scoprire che a fronte del ritardato pagamento ci sono multe che arrivano al 75% dell’importo dovuto. Lo Stato ci costringe a pagare per assicurarci un futuro ma ci impedisce di sopravvivere nel presente" sottolinea polemicamente Miceli. Il contenzioso con l’Inps riguarda anche le proiezioni sull’ammontare della pensione da riscuotere a fine attività. Acta insiste perché, come si fa in Svezia, l’Inps fornisca ai contribuenti della gestione separata un range di previsioni ma pare un dialogo tra sordi e quindi nessun cambiamento in vista, almeno a breve. Anche l’Irap fa parte del cahier des doleances: i lavoratori autonomi che non dispongono di una struttura organizzata non dovrebbero pagarla ma poi le cartelle esattoriali arrivano, partono le cause con l’Agenzia delle Entrate e alla fine comunque, anche in caso di vittoria del contribuente, le spese legali non vengono recuperate. Così in tanti preferiscono rateizzare ed evitare di far causa. La novità che potrebbe maturare sul delicatissimo terreno previdenziale riguarda il ruolo delle Casse professionali già esistenti, che potrebbero ampliare il loro raggio d’azione fino alle partite Iva. È sicuramente un’ipotesi interessante, tutta però da costruire in una logica che gli esperti definiscono di "welfare di mutualità". È anche vero che il sistema delle Casse necessita — già a bocce ferme — di una verifica del funzionamento e di una riorganizzazione complessiva, forse di un accorpamento. Non si occupa delle Casse ma tenta di ridisegnare il sistema pensionistico dei lavoratori autonomi il disegno di legge bipartisan preparato da due parlamentari molto competenti, come Giuliano Cazzola (Pdl) e Tiziano Treu (Pd) e fermo nei due rami del Parlamento in attesa di una calendarizzazione. Non ci sono commenti ufficiali di parte governativa sul testo ma secondo indiscrezioni il ministro Sacconi lo considera molto oneroso per i conti pubblici. L’ex ministro Treu ha lavorato con continuità e con aggiornamenti successivi anche a uno Statuto del lavoro autonomo. Il testo finale presentato in Senato e anch’esso in attesa di essere assegnato alla commissione Lavoro di palazzo Madama, è molto apprezzato da alcune associazioni professionali come il Colap. Conferma il presidente Giuseppe Lupoi: "Posso dire che il progetto Treu è molto vicino alla nostra posizione". Uno dei punti chiave è il ruolo delle associazioni. "Vanno riconosciute ancora prima delle nuove professioni — sostiene Lupoi —. Se avvenisse il contrario avremmo creato tanti nuovi ordinicchi e noi non li vogliamo". Le professioni, del resto, sono in rapida evoluzione e quello che dieci anni fa avremmo definito "informatico", oggi cosa fa davvero? Oppure analizziamo i mestieri del web e avremo la dimostrazione di come siano poco riconducibili a singole figure come il comunicatore, il giornalista o il softwarista. Non tutte le associazioni sono però favorevoli ad accentuare il loro ruolo. Per Acta, Anna Soru mette in guardia da quello che definisce "un assetto corporativo" in cui le associazioni finiscono per intermediare funzioni prerogativa dello Stato. È giusto, invece, che le organizzazioni certifichino la qualità ma il consulente e la partita Iva che scelgono di non tesserarsi non devono essere in nessun modo penalizzati. Pur apprezzando il dibattito interno all’associazionismo c’è da dire che il vero problema appare quello dello slittamento delle soluzioni e del congelamento dei problemi. L’agenda politica non pare aver intenzione di mettere veramente al centro dell’attenzione nessuno dei progetti menzionati. Le partite Iva restano condannate all’invisibilità. Ci sono persino dubbi che le proposte di Cazzola e Treu arrivino in un tempo utile alla discussione parlamentare e le variabili politico-generali non sono certo favorevoli. La legislatura è considerata appesa a un filo e "l’ultima cosa che pensa la maggioranza è occuparsi di queste cose" accusa lo stesso Treu dal suo scranno di senatore dell’opposizione Dario Di Vico ddivico@rcs.it 14 settembre 2010] ABBANDONATE DA TUTTI Per le partite Iva è sempre Pomigliano I malumori degli "invisibili": il confronto sul lavoro? Solo per chi ce l'ha già. E lo Statuto non arriva ABBANDONATE DA TUTTI Per le partite Iva è sempre Pomigliano I malumori degli "invisibili": il confronto sul lavoro? Solo per chi ce l'ha già. E lo Statuto non arriva Sarà solo una questione di punti di vista ma al popolo delle partite Iva tutto il battage che si è fatto e si sta facendo sul caso Pomigliano non va proprio giù. Un economista osserverebbe che si ripropone nel dibattito pubblico e sul mercato del lavoro la divaricazione (anche psicologica) tra insider e outsider, un cronista racconta i discorsi che sente fare. Che inevitabilmente battono su considerazioni ("ma alla fine quanti sono i lavoratori metalmeccanici delle grandi imprese italiane?") contrapposte a una realtà, per l'appunto, del mercato del lavoro dove abbondano le partite Iva con mono-committenza, "che lavorano di fatto per un solo padrone senza poter accampare diritti e tutele". Pomigliano o no, è evidente che mentre le nuove assunzioni avvengono tramite contratti a progetto, lavoro a tempo determinato, stage e lavoretti vari, l'attenzione dei decisori resta puntata sulle grandi fabbriche e sui conflitti più o meno ideologizzati tra Confindustria e Fiom-Cgil. I duri rubano la scena ai tanti e il patto sociale di cui si va almanaccando riguarda comunque alla fin fine una minoranza di lavoratori. È come se Cipputi si fosse preso la vendetta sui suoi nipotini e su quanti ne avevano proclamato l'estinzione. "Nel frattempo noi restiamo nell'ombra e siamo costretti a competere persino con il lavoro gratuito — denuncia Alfonso Miceli di Acta, l'associazione dei consulenti del terziario avanzato —. Le aziende fanno sempre più ricorso a stage post-curriculari di sei mesi non retribuiti. Oppure chiamano dei pensionati. È chiaro che gli spazi si chiudono e la competizione è al ribasso". La diffusione degli stage non pagati è così ampia che è nato un sito che raccoglie i giudizi dei giovani dopo l' esperienza fatta nelle varie aziende. L'obiettivo è sconsigliare quelle che-ti-fanno-perdere-solo-tempo. Ma cosa riserva alle partite Iva l'anno di business che si è appena aperto? Quali sono le novità che ci si possono attendere a livello di mercato e di nuove norme? Sul piano delle occasioni di mercato tutti segnalano pessimisticamente il taglio delle consulenze da parte della pubblica amministrazione, mentre sul versante privato la ripartenza delle aziende ancora non si è vista. O per volere essere ottimisti, ancora non si è dispiegata. C'era, poi, molta attesa per lo Statuto dei lavori promesso dal ministro Maurizio Sacconi. È assai difficile però che nel testo governativo ci possano essere novità e ricadute per le partite Iva. A quanto si capisce, alla fine la discussione si polarizzerà inevitabilmente sulla derogabilità delle norme già vigenti, investirà poco o tanto il tema dell'articolo 18 e punterà a produrre un avviso comune governo-sindacati. Ma i protagonisti saranno, come sempre, Cgil-Cisl-Uil e il lavoro dipendente, non certo gli autonomi. È possibile che qualche norma alla fine disciplini la figura dei co.co.co. prevedendo maggiori tutele normative, il grosso della discussione però riguarderà ancora una volta il nocciolo duro degli insider. È inutile farsi illusioni. Le associazioni delle partite Iva non si stancano di sottolineare l'iniquità dei versamenti per la gestione separata dell'Inps, che sono arrivati al 26,73% del fatturato. Con il sistema degli anticipi, sostengono, si finisce per pagare in base agli anni precedenti la Grande Crisi, periodi in cui si era guadagnato di più. "Molti di noi non sono in grado di pagare e devono ricorrere a un prestito bancario oppure scoprire che a fronte del ritardato pagamento ci sono multe che arrivano al 75% dell'importo dovuto. Lo Stato ci costringe a pagare per assicurarci un futuro ma ci impedisce di sopravvivere nel presente" sottolinea polemicamente Miceli. Il contenzioso con l'Inps riguarda anche le proiezioni sull'ammontare della pensione da riscuotere a fine attività. Acta insiste perché, come si fa in Svezia, l'Inps fornisca ai contribuenti della gestione separata un range di previsioni ma pare un dialogo tra sordi e quindi nessun cambiamento in vista, almeno a breve. Anche l'Irap fa parte del cahier des doleances: i lavoratori autonomi che non dispongono di una struttura organizzata non dovrebbero pagarla ma poi le cartelle esattoriali arrivano, partono le cause con l'Agenzia delle Entrate e alla fine comunque, anche in caso di vittoria del contribuente, le spese legali non vengono recuperate. Così in tanti preferiscono rateizzare ed evitare di far causa. La novità che potrebbe maturare sul delicatissimo terreno previdenziale riguarda il ruolo delle Casse professionali già esistenti, che potrebbero ampliare il loro raggio d'azione fino alle partite Iva. È sicuramente un'ipotesi interessante, tutta però da costruire in una logica che gli esperti definiscono di "welfare di mutualità". È anche vero che il sistema delle Casse necessita — già a bocce ferme — di una verifica del funzionamento e di una riorganizzazione complessiva, forse di un accorpamento. Non si occupa delle Casse ma tenta di ridisegnare il sistema pensionistico dei lavoratori autonomi il disegno di legge bipartisan preparato da due parlamentari molto competenti, come Giuliano Cazzola (Pdl) e Tiziano Treu (Pd) e fermo nei due rami del Parlamento in attesa di una calendarizzazione. Non ci sono commenti ufficiali di parte governativa sul testo ma secondo indiscrezioni il ministro Sacconi lo considera molto oneroso per i conti pubblici. L'ex ministro Treu ha lavorato con continuità e con aggiornamenti successivi anche a uno Statuto del lavoro autonomo. Il testo finale presentato in Senato e anch'esso in attesa di essere assegnato alla commissione Lavoro di palazzo Madama, è molto apprezzato da alcune associazioni professionali come il Colap. Conferma il presidente Giuseppe Lupoi: "Posso dire che il progetto Treu è molto vicino alla nostra posizione". Uno dei punti chiave è il ruolo delle associazioni. "Vanno riconosciute ancora prima delle nuove professioni — sostiene Lupoi —. Se avvenisse il contrario avremmo creato tanti nuovi ordinicchi e noi non li vogliamo". Le professioni, del resto, sono in rapida evoluzione e quello che dieci anni fa avremmo definito "informatico", oggi cosa fa davvero? Oppure analizziamo i mestieri del web e avremo la dimostrazione di come siano poco riconducibili a singole figure come il comunicatore, il giornalista o il softwarista. Non tutte le associazioni sono però favorevoli ad accentuare il loro ruolo. Per Acta, Anna Soru mette in guardia da quello che definisce "un assetto corporativo" in cui le associazioni finiscono per intermediare funzioni prerogativa dello Stato. È giusto, invece, che le organizzazioni certifichino la qualità ma il consulente e la partita Iva che scelgono di non tesserarsi non devono essere in nessun modo penalizzati. Pur apprezzando il dibattito interno all'associazionismo c'è da dire che il vero problema appare quello dello slittamento delle soluzioni e del congelamento dei problemi. L'agenda politica non pare aver intenzione di mettere veramente al centro dell'attenzione nessuno dei progetti menzionati. Le partite Iva restano condannate all'invisibilità. Ci sono persino dubbi che le proposte di Cazzola e Treu arrivino in un tempo utile alla discussione parlamentare e le variabili politico-generali non sono certo favorevoli. La legislatura è considerata appesa a un filo e "l'ultima cosa che pensa la maggioranza è occuparsi di queste cose" accusa lo stesso Treu dal suo scranno di senatore dell'opposizione Dario Di Vico ddivico@rcs.it 14 settembre 2010
2010-09-11 INCIDENTE ALLA DSM, ditta farmaceutica di capua. UNA VITTIMA ANCHE A PISTOIA Bonifica di una cisterna, morti tre operai Napolitano: indignato da gravi negligenze Antonio Di Matteo, 63 anni; Giuseppe Cecere, 50; Vincenzo Russo, 43: asfissiati dalle esalazioni INCIDENTE ALLA DSM, ditta farmaceutica di capua. UNA VITTIMA ANCHE A PISTOIA Bonifica di una cisterna, morti tre operai Napolitano: indignato da gravi negligenze Antonio Di Matteo, 63 anni; Giuseppe Cecere, 50; Vincenzo Russo, 43: asfissiati dalle esalazioni ROMA - Tre operai sono morti per asfissia in un incidente sul lavoro avvenuto intorno alle 9,30 a Capua, in provincia di Caserta. Antonio Di Matteo, 63 anni, Giuseppe Cecere, 50, e Vincenzo Russo, 43, stavano lavorando alla manutenzione di una cisterna della ditta farmaceutica olandese Dsm. Due corpi sono stati recuperati subito dai soccorritori, mentre solo intorno alle 14 è stato recuperato anche il terzo. Attraverso una nota, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha fatto riferimento all'incidente di Capua e a quello di Pistoia (dove un operaio è morto schiacciato da un macchinario) esprimendo "la commossa partecipazione al dolore delle famiglie e delle comunità colpite". Il capo dello Stato, recita il comunicato, "raccoglie la diffusa indignazione per il ripetersi di incidenti mortali causati da gravi negligenze nel garantire la sicurezza dei lavoratori in operazioni di manutenzione nei silos simili a quelle che già più volte in precedenza hanno cagionato vittime". "Il Capo dello Stato - conclude la nota - confida nella rapidità e nel rigore degli accertamenti da compiere e nella definizione delle normative di garanzia da adottare e far rispettare". LAVORI DI MANUTENZIONE - Secondo quanto confermato dai pompieri che hanno prestato i primi soccorsi a Capua, quando i corpi dei tre operai deceduti sono stati estratti dalla cisterna (un silos alto sette-otto metri) il loro aspetto era cianotico, testimonianza che erano privi di ossigeno. "Non si sa se abbiamo o meno respirato fumi tossici e che cosa abbia tolto loro l’ossigeno", ha detto l’ingegnere dei Vigili del fuoco Giovanni Dedona. I tre operai della ditta Errichiello di Afragola stavano montando un ponteggio per la manutenzione ordinaria della vasca. Un'operazione quasi del tutto completata. "L’impianto era fermo da circa un mese", ha aggiunto Dedona. "Un ulteriore elemento che rende poco chiare le cause di quanto avvenuto". Il sito è stato sequestrato su disposizione del sostituto procuratore della procura di Santa Maria Capua Vetere, Donato Ceglie. Sulle salme dei tre operai sarà disposta l'autopsia. Tragedia a Capua, morti tre operai Tragedia a Capua, morti tre operai Tragedia a Capua, morti tre operai Tragedia a Capua, morti tre operai Tragedia a Capua, morti tre operai Tragedia a Capua, morti tre operai Tragedia a Capua, morti tre operai Tragedia a Capua, morti tre operai CORDOGLIO - All'esterno dell'industria chimica si sono radunati i familiari delle vittime. Sono giunti anche numerosi residenti nella zona che hanno portando la loro solidarietà ai familiari degli operai deceduti. Il governo partecipa al dolore dei congiunti e dei colleghi dei tre lavoratori, viene affermato in una nota del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. "Colpisce in particolare il fatto che ancora una volta siano vittime di infortuni gravi o mortali nel lavoro coloro che operano in appalto specificamente nei servizi di manutenzione", scrive il ministro. "Vogliamo operare per una specifica prevenzione relativa a questo tipo di infortuni convocando una riunione con le Regioni e le parti sociali per la effettiva applicazione della norma e una più accurata attività ispettiva in materia". Redazione online 11 settembre 2010
Morti sul lavoro Cisterne: i precedenti incidenti mortali Sono 25 le vittime in quattro anni in Italia Morti sul lavoro Cisterne: i precedenti incidenti mortali Sono 25 le vittime in quattro anni in Italia Sono purtroppo numerosi gli incidenti mortali avvenuti negli ultimi anni nei lavori di manutenzione e pulizia di cisterne. 25 agosto 2010: nelle campagne di san Ferdinando di Puglia, tra le province di Bari e Foggia, muore un operaio (due i feriti) per le esalazioni di gas mentre stava impermealizzando una cisterna per l'acqua piovana 12 gennaio 2010: tra Sale e Tortona (Alessandria), due operai scesi in un deposito di un distributore in disuso muoiono investiti da un flusso di gas 15 giugno 2009: a Riva Ligure (Imperia) due operai muoiono dopo essere caduti in una vasca di acque nere situata all'interno di un depuratore 26 maggio 2009: tre operai muoiono per asfissia nello spazio di pochi minuti, l'uno per salvare l'altro in una cisterna negli impianti della raffineria Saras di Sarroch (Cagliari) 11 giugno 2008: sei morti a Mineo (Catania) mentre pulivano una vasca del depuratore. Quattro erano dipendenti comunali, altri due di un azienda privata 3 marzo 2008: cinque persone muoiono a Molfetta (Bari) per le esalazioni liberatesi durante la pulitura della cisterna di un camion. Nella cisterna perdono la vita tre dipendenti e il titolare dell'azienda Truck center, un altro lavoratore muore in ospedale il giorno seguente 18 gennaio 2008: due operai addetti ai lavori di pulizia della cisterna di una nave a Porto Marghera (Venezia) muoiono asfissiati dalle esalazioni di gas 16 marzo 2007: due lavoratori muoiono a Cogollo di Tregnago (Verona) uccisi dalle esalazioni provenienti dalla cisterna in cui si erano calati per eseguire lavori di manutenzione 18 agosto 2006: due operai muoiono cadendo in una cisterna, storditi dalle esalazioni in uno stabilimento oleario di Monopoli (Bari). (fonte: Ansa) 11 settembre 2010
INCIDENTE A PESCIA Operaio muore schiacciato da macchinario per il riciclo della carta L'uomo, un romeno di 36 anni, lavorava all 3 F ecologia, una fabbrica che si occupa di rifiuti INCIDENTE A PESCIA Operaio muore schiacciato da macchinario per il riciclo della carta L'uomo, un romeno di 36 anni, lavorava all 3 F ecologia, una fabbrica che si occupa di rifiuti MILANO - Incidente mortale sul lavoro in un'azienda che opera nell'ambito del riciclo dei rifiuti, in località Calamari, a Pescia (Pistoia). La vittima è un operaio di 36 anni, Marius Birt, romeno, che abita a poca distanza dalla fabbrica. Da una prima ricostruzione sembra che l'operaio sia stato schiacciato da un macchinario. La fabbrica, la 3 F ecologia, si occupa di riciclo di rifiuti, in particolare della carta. Sul posto forze dell'ordine e ispettori dell'Asl. Redazione Online 11 settembre 2010
2010-09-10 ha parlato a Gubbio: Sacconi: "Assalto a Bonanni? La ragazza andava arrestata" Il ministro del Lavoro: "Vedo espliciti segnali di tipo violento per condizionare percorso democratico" * NOTIZIE CORRELATE * La ragazza del lancio: "Nessuno è mai morto per un fumogeno" (10 settembre 2010) * Video- Festa Pd, contestato Bonanni ha parlato a Gubbio: Sacconi: "Assalto a Bonanni? La ragazza andava arrestata" Il ministro del Lavoro: "Vedo espliciti segnali di tipo violento per condizionare percorso democratico" Il ministro Sacconi alla scuola di politica del Pdl a Gubbio (Fotogramma) Il ministro Sacconi alla scuola di politica del Pdl a Gubbio (Fotogramma) GUBBIO (PERUGIA) - Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi si dice "sorpreso" per il mancato provvedimento restrittivo nei confronti della ragazza identificata come autrice dell'aggressione al leader della Cisl Raffaele Bonanni nel corso della festa del Pd a Torino. "C'è un dolo comunque eventuale se non specifico", sottolinea il ministro parlando a margine della Scuola del Pdl di Gubbio. "Mi preoccupa che ci possa essere una sorta di violenza autorizzata quando è politica. Non posso non pensare alla sentenza perdonista nei confronti dell'aggressore di Berlusconi. I reati contro la persona - prosegue Sacconi - non possono avere inferiore dignità rispetto ai reati contro il patrimonio. In ogni caso occorre attenzione in un Paese nel quale abbiamo vissuto una stagione di terrorismo ideologico che ha praticato anche l'omicidio". L'ALLARME - "Vedo segnali di pericolo di rigurgito di tipo violento e finanche terroristico in Italia". Il ministro Sacconi ha aggiunto di immaginare "iniziative straordinariamente inferiori a quelle del passato". "Tuttavia - ha aggiunto il ministro parlando a margine della Scuola del Pdl di Gubbio - "sappiamo che sono sufficienti degli episodi isolati per condizionare un percorso democratico". Redazione online 10 settembre 2010
Autonoma - Studia psicologia, è del movimento No Tav La ragazza del lancio: "Nessuno è mai morto per un fumogeno" Figlia di un pm, 24 anni, denunciata * NOTIZIE CORRELATE * Torino: Bonanni contestato alla festa del Pd e costretto a lasciare il palco (8 settembre 2010) Autonoma - Studia psicologia, è del movimento No Tav La ragazza del lancio: "Nessuno è mai morto per un fumogeno" Figlia di un pm, 24 anni, denunciata Rubina Affronte in piazza con i No Tav Rubina Affronte in piazza con i No Tav TORINO - I ragazzi di Askatasuna, uno dei centri sociali più longevi della città, difendono a modo loro Rubina Affronte, 24 anni martedì prossimo, la ragazza che mercoledì pomeriggio stringeva in mano il fumogeno acceso finito poi sul palco della Festa democratica del Pd a un soffio dal segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni, bruciandogli il giubbotto. Rivendicano - e con loro lei, che della galassia antagonista fa parte da tempo - "le ragioni del collettivo a una protesta sacrosanta" e incuranti della definizione di "squadristi" adesso dicono: "Di giacche Bonanni se ne può comprare altre, un fumogeno non ha mai ucciso nessuno. Non piangiamo certo per un pezzo di stoffa. Contestare qualcuno è legittimo. Se poi quel qualcuno è Bonanni è giusto persino impedirgli di parlare. Chi semina vento raccoglie tempesta. E a Mirafiori e all'Iveco, gli operai oggi in cuor loro ridevano". La preoccupazione principale, sostengono, è che quello che loro derubricano a "un gesto marginale" finisca per "bypassare i perché della contestazione a semplice fatto di cronaca, quando invece la questione è tutta politica e in difesa dei precari del lavoro, schiavizzati". Marginale, il fumogeno? "Non sarebbe mai accaduto se non fossimo stati aggrediti con pugni, sedie e spintoni - è la linea comune -; la nostra era una contestazione tranquilla e democratica". Rubina Affronte, intanto, è stata denunciata per il reato di "accensione e lancio di oggetti pericolosi", che prevede l'identificazione ma non l'arresto. Dalla Digos di Torino riferiscono di averla bloccata immediatamente, in piazza Castello, subito dopo il lancio: lei ha cercato di divincolarsi, sostenuta dagli altri compagni, ma poi ha dovuto mostrare i documenti e rispondere alle domande degli agenti per una decina di minuti. Loro la conoscevano già, il suo nome è legato a "un'assidua frequentazione di Askatasuna e del Collettivo universitario Autonomia", a una passata denuncia per invasione e occupazione di edifici e a un precedente reato di violenza privata. Figlia del magistrato Sergio Affronte, che lavora a Prato, ieri ha spento il cellulare dopo aver parlato al telefono con suo papà. Del suo caso si sta occupando adesso il procuratore capo di Torino Gian Carlo Caselli. Convinta ecologista, sostenitrice della battaglia No Tav, un diploma all'Istituto d'arte, studentessa di psicologia a Torino, capolista del Collettivo autonomo della sua facoltà alle elezioni universitarie del marzo 2009, 258 amici su Facebook e l'iscrizione a gruppi pubblici contro gli sfratti, in difesa dei centri sociali e in omaggio all'antifascismo, Rubina oggi è una traccia sul web. Con i suoi commenti postati alle 2 di notte sul blog di Beppe Grillo, all'indomani del V-Day del 2007: "Grazie, grazie, grazie e ancora grazie... Ho appena visto in tv la tua grande intervista con quei venduti dei giornalisti... Mi sono commossa nel percepire che in questo 8 settembre qualcuno, anzi in moltissimi, hanno urlato facendomi liberare di un immenso vaff...!". Elsa Muschella 10 settembre 2010
2010-09-08 enrico letta ai contestatori: "Voi non avete niente a che fare con la democrazia" Torino: Bonanni contestato alla festa del Pd e costretto a lasciare il palco Fumogeni e volantini contro il segretario della Cisl che , colpito di striscio ad un fianco, non è riuscito a parlare enrico letta ai contestatori: "Voi non avete niente a che fare con la democrazia" Torino: Bonanni contestato alla festa del Pd e costretto a lasciare il palco Fumogeni e volantini contro il segretario della Cisl che , colpito di striscio ad un fianco, non è riuscito a parlare MILANO - Dopo la contestazione al presidente del Senato Renato Schifani è la volta del segretario della Cisl Raffaele Bonanni ad essere contestato alla festa del Pd in piazza Castello a Torino. Alcuni dei contestatori sono saliti sul palco e sono stati lanciati anche alcuni fumogeni. Uno di questi ha colpito di striscio ad un fianco Bonanni che, invitato ad un dibattito, è stato prima a lungo apostrofato con fischi e urla da un folto gruppo di persone, tra cui pare, alcuni esponenti dei centri sociali e poi oggetto del lancio di alcuni fumogeni. Il segretario della Cisl non è quindi riuscito a a parlare. Bonanni ha successivamente lasciato la festa del Pd. IDENTIFICATA L'AUTRICE DEL GESTO - È stata poi identificata e denunciata l'autrice del lancio di un fumogeno che avrebbe sfiorato il leader della Cisl. E' una ragazza di Firenze che vive a Torino e frequenta il centro sociale Askatasuna. Secondo le prime ricostruzioni, è emerso che nel corso dei tafferugli in piazza Castello sarebbero state lanciate alcune sedie verso i contestatori da parte di alcuni militanti della Cisl, al fine di proteggere il loro leader. Al lancio di sedie i giovani dei centri sociali avrebbero risposto con il lancio di fumogeni. LETTA - "Voi non avete niente a che fare con la democrazia. Siete il contrario di cui ha bisogno il Paese. Siete antidemocratici" ha dichiarato Enrico Letta, presente anche lui alla Festa del Pd per partecipare al dibattito proprio con Bonanni, dopo che il leader della Cisl è stato contestato ed ha dovuto abbandonare il palco. BONANNI - "Sto bene ma sono turbato per una contestazione così violenta". Così il leader della Cisl ha commentato l'aggressione. "Spero che ora tutti riflettano e abbassino i toni". BERSANI - Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, ha poi telefonato al segretario della Cisl, esprimendogli rincrescimento e solidarietà. "Si è trattato di un atto di intimidazione e di vera e propria violenza, un attacco squadrista - ha dichiarato Bersani-. È inconcepibile che una festa popolare, che vive nel pieno centro della cittá, possa essere attaccata in questo modo. Attendiamo di conoscere - ha concluso Bersani - dal ministero dell'Interno quali misure preventive e repressive siano state prese per impedire un episodio del genere". POLEMICA TRA LETTA E IL QUESTORE DI TORINO - In coda alla vicenda da segnalare anche uan polemica tra Enrico Letta e il questore di Torino. Letta, accusato dal questore di aver espresso critiche frettolose alla gestione dell'ordine pubblico ha risposto: "Per il questore sono frettolose le mie critiche alla gestione dell'ordine a Torino oggi? I fatti sono che oggi per un'ora intera, dalle 17 alle 18, la festa del PD è stata presa in ostaggio da un gruppo di violenti l'hanno occupata minacciando e picchiando gli altri partecipanti" ha dichiarato il vicesegretario del Partito Democratico. "Bonanni è stato colpito dal lancio di un bengala acceso che solo per un caso non ha trasformato il tutto in dramma. Perchè tornasse l'agibilità della festa si è dovuto aspettare che il gruppo di violenti dei centri sociali se ne andasse spontaneamente. Mi spiace, con il massimo rispetto per le forze di polizia e per il loro lavoro, questi fatti dimostrano che l'ordine pubblico oggi non è stato garantito a Torino" ha concluso Letta. Redazione online 08 settembre 2010
la replica della FIOM: 4 ore di sciopero Disdetta contratto metalmeccanici Marcegaglia: "Un atto di chiarezza" "Il vero problema è la Fiom che non accetta cambiamenti che rendono competitive le aziende" la replica della FIOM: 4 ore di sciopero Disdetta contratto metalmeccanici Marcegaglia: "Un atto di chiarezza" "Il vero problema è la Fiom che non accetta cambiamenti che rendono competitive le aziende" Emma Marcegaglia (Fotogramma) Emma Marcegaglia (Fotogramma) MILANO - "La disdetta è solo una questione tecnica", è un atto di chiarezza". Lo ha affermato il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, a proposito della disdetta del contratto del 2008 da parte di Federmeccanica. ""Sembrava che i lavoratori non avessero più un contratto. Il contratto ce l'hanno e stanno avendo gli aumenti", ha aggiunto il capo degli industriali. "Abbiamo firmato il nuovo contratto nell'ottobre 2009 con decorrenza 1° gennaio 2010, quindi per noi è questo quello valido, che è migliore rispetto al precedente", ha aggiunto. "IL PROBLEMA È LA FIOM" - "Abbiamo firmato tutti i contratti di tutti i settori anche con la Cgil, come quello del tessile, dell'alimentare e altri: quindi il problema vero è la Fiom - il sindacato dei metalmeccanici aderente alla Cgil, ndr - che non accetta nessun cambiamento che renda le aziende più competitive", ha proseguito Marcegaglia che poi ha ribadito la posizione di martedì della Federmeccanica, cioò che sulla decisione della disdetta del contratto del 2008 non ha influito la Fiat. "Abbiamo fatto la riforma degli assetti contrattuali che prevede deroghe e sanzioni nel 2009. È un'accelerazione rispetto a quanto già previsto allora. È ovvio che Fiat lo richiedesse per poter fare in modo che l’accordo di Pomigliano rientrasse nel nuovo contratto dei metalmeccanici, ma è un’operazione tecnica". LA FIOM PROCLAMA 4 ORE DI SCIOPERO - La Fiom successivamente ha proclamato quattro ore di sciopero che saranno articolate a livello territoriale, entro il 16 ottobre, giorno della manifestazione nazionale organizzata a Roma. Il comitato centrale dei metalmeccanici della Cgil ha approvato la proposta presentate del segretario generale, Maurizio Landini. Il documento ha ottenuto il 79% di voti favorevoli (92 si su 119 votanti presenti). Redazione online 08 settembre 2010
il commento Riportare la Cgil in gioco La prima sfida per la Camusso Il rischio Aventino per la Confederazione il commento Riportare la Cgil in gioco La prima sfida per la Camusso Il rischio Aventino per la Confederazione Susanna Camusso (Ansa/Benvenuti) Susanna Camusso (Ansa/Benvenuti) MILANO - Siamo dunque all’anno zero delle relazioni industriali italiane, ci stiamo lasciando dietro un altro pezzo di Novecento. Si condividano fino in fondo oppure no le sue motivazioni e la tattica che ha applicato, Sergio Marchionne ha fatto centro, è riuscito a imporci un repentino cambio di agenda. In tanti e da tanto tempo sostenevano, anche nella sinistra riformista, che non si potesse andare avanti all'infinito portandosi dietro una strumentazione sindacale ormai logora. Con una prassi dei rapporti negoziali che in molte occasioni obbedisce a vecchie ritualità e non riesce a "mordere i problemi", a determinare veri cambiamenti favorevoli ai lavoratori o alle imprese. Marchionne ha sparigliato laddove nessuno forse aveva il coraggio e la forza necessaria per farlo. La Federmeccanica ha nella sostanza accettato l'impostazione del top manager italo-canadese e in questo modo ha evitato alla stessa Confindustria di restare indietro rispetto agli eventi. Maturato lo strappo siamo però solo all’inizio dell'opera. Fortunatamente fuori dal ristretto perimetro delle grandi aziende meccaniche esistono culture ed esperienze a cui attingere. È difficile infatti spiegare a uno straniero che la Cgil accetta formule innovative e flessibili quando si tratta di lavoratori alimentaristi e invece le aborre quando devono essere applicate tra i metalmeccanici. L'unica spiegazione possibile è che sia passato una sorta di doppio standard, il primo per gli operai normali e l'altro per "i fiommini", che in nome della loro storia evidentemente si arrogano il diritto di rappresentare "la classe". Non delle tute blu in carne e ossa che magari votano per Umberto Bossi. È difficile anche spiegare loro come nel grande universo della piccola e media impresa, che rappresenta più del 90% del nostro sistema produttivo, il conflitto sia ormai un reperto archeologico e stiano avanzando nuove forme di collaborazione tra i Piccoli e i loro operai. È l'economia globale, bellezza. Costringe tutti a rimettere ordine nella gerarchia delle contraddizioni e a individuare i veri avversari. Facciamo tesoro, dunque, del pragmatismo diffuso che esiste nelle altre categorie industriali e nelle imprese minori ma non sottovalutiamo il confronto di culture che si apre nel mondo del lavoro. La Fiat e l'Indesit dei Merloni, così come gli altri gruppi che chiederanno deroghe al contratto nazionale, daranno il loro apporto di idee e proporranno le loro soluzioni di breve e di lungo periodo. Il sindacato è chiamato ad operare uno sforzo analogo, a nessuno serve che la Cisl e la Uil siano dei punching ball, occorre invece che continuino a dare il loro contributo per costruire qualcosa di nuovo, di durevole e di efficace. Questo ragionamento vale anche, e forse di più, per la Cgil, un sindacato che è leader di mercato e nel corso della sua lunga storia ha saputo fornire grandi esempi di responsabilità e lungimiranza. Siamo alla vigilia di un cambio alla testa della Cgil e per la prima volta il numero uno sarà una donna, Susanna Camusso, che conosce bene i problemi dell'industria italiana e viene dal Nord. Speriamo che non ami l'Aventino e prediliga invece la discontinuità. Dario Di Vico ddivico@rcs.it 08 settembre 2010
2010-09-07 A partire dal 1° gennaio 2012. "Nessuna spinta da parte di Fiat" Federmeccanica disdetta il contratto nazionale del 2008 "A fronte delle minacciate azioni giudiziarie della Fiom relative all'applicazione dell'accordo" A partire dal 1° gennaio 2012. "Nessuna spinta da parte di Fiat" Federmeccanica disdetta il contratto nazionale del 2008 "A fronte delle minacciate azioni giudiziarie della Fiom relative all'applicazione dell'accordo" MILANO - Il direttivo di Federmeccanica ha dato mandato al presidente, Pierluigi Ceccardi, di comunicare fin d'ora il recesso dal contratto nazionale siglato il 20 gennaio 2008. La disdetta dell'accordo come ha spiegato lo stesso Ceccardi, è avvenuta "a fronte delle minacciate azioni giudiziarie della Fiom relative all'applicazione di tale accordo" ed è comunicata "in via meramente tecnica e cautelativa allo scopo di garantire la migliore tutela delle aziende". La disdetta avviene a far data dal primo gennaio 2012. "NESSUNA SPINTA DA FIAT" - "Fiat non ha spinto per niente, l'accelerazione che abbiamo imposto è per tutelare le esigenze delle aziende metalmeccaniche e di un milione di lavoratori che dipendono da esse", ha aggiunto Ceccardi, il quale ha poi spiegato che "il consiglio direttivo ha preso in esame l'evoluzione dei rapporti sindacali nel settore dopo il rinnovo del contratto nazionale del 15 ottobre 2009 e la vicenda relativa allo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco", dal quale è emerso che "è necessario proseguire con determinazione nell'adeguamento delle relazioni industriali, sindacali e contrattuali alla domanda di maggior affidabilità e flessibilità che proviene dalle imprese per consentire loro una migliore tenuta rispetto all'urto della competizione globale". (fonte: Ansa) 07 settembre 2010
Fiom: "Così si apre lo scontro sociale". Fim e Uilm: "Non cambia nulla" Federmeccanica disdetta il contratto nazionale del 2008 "A fronte delle minacciate azioni giudiziarie della Fiom sull'applicazione dell'accordo. Nessuna spinta da Fiat" Fiom: "Così si apre lo scontro sociale". Fim e Uilm: "Non cambia nulla" Federmeccanica disdetta il contratto nazionale del 2008 "A fronte delle minacciate azioni giudiziarie della Fiom sull'applicazione dell'accordo. Nessuna spinta da Fiat" MILANO - Il direttivo di Federmeccanica ha dato mandato al presidente, Pierluigi Ceccardi, di comunicare fin d'ora il recesso dal contratto nazionale siglato il 20 gennaio 2008. La disdetta dell'accordo come ha spiegato lo stesso Ceccardi, è avvenuta "a fronte delle minacciate azioni giudiziarie della Fiom relative all'applicazione di tale accordo" ed è comunicata "in via meramente tecnica e cautelativa allo scopo di garantire la migliore tutela delle aziende". La disdetta avviene a far data dal primo gennaio 2012. "NESSUNA SPINTA DA FIAT" - "Fiat non ha spinto per niente, l'accelerazione che abbiamo imposto è per tutelare le esigenze delle aziende metalmeccaniche e di un milione di lavoratori che dipendono da esse", ha aggiunto Ceccardi, il quale ha poi spiegato che "il consiglio direttivo ha preso in esame l'evoluzione dei rapporti sindacali nel settore dopo il rinnovo del contratto nazionale del 15 ottobre 2009 e la vicenda relativa allo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco", dal quale è emerso che "è necessario proseguire con determinazione nell'adeguamento delle relazioni industriali, sindacali e contrattuali alla domanda di maggior affidabilità e flessibilità che proviene dalle imprese per consentire loro una migliore tenuta rispetto all'urto della competizione globale". Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini (Imagoeconomica) Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini (Imagoeconomica) FIOM: "SI APRE SCONTRO SOCIALE" - Immediata la replica della Fiom. La decisione della Federmeccanica "è la dimostrazione della malafede e, nello stesso tempo, della volontà di scontro frontale degli industriali", ha dichiarato Giorgio Cremaschi, presidente del comitato centrale della Fiom. "Disdettando il contratto ora, a molti mesi dalla sottoscrizione dell’accordo separato con Fim e Uilm che avrebbe dovuto rinnovare il contratto nazionale - prosegue - la Federmeccanica dimostra che aveva ragione la Fiom quando sosteneva che il contratto del 2008 era ancora in vigore. Non si può disdettare una cosa che non esiste più. Come hanno mostrato queste settimane, da Pomigliano è partito l’attacco al contratto nazionale, allo Statuto dei lavoratori, alla stessa Costituzione. Quella della Federmeccanica è una scelta eversiva senza precedenti a cui si dovrà rispondere sia sul piano legale, sia sul piano del più diffuso conflitto sociale". "Una decisione grave e irresponsabile", ha aggiunto il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. FIM E UILM - Per gli altri due sindacati, invece, la comunicazione della Federmeccanica non cambia nulla. "Abbiamo il nostro contratto rinnovato un anno fa", ha detto Rocco Palombella, segretario generale della Uilm. "La decisione è ininfluente, non modifica nessun tipo di orientamento e di percorso per quanto riguarda la mia organizzazione". Per Farina, numero uno della Fim Cisl, "il contratto del 2008 era già decaduto dal punto di vista formale e sostanziale e quindi non si tratta di alcuna novità". Redazione online 07 settembre 2010 2010-08-29 E sul caso della Fiat di Melfi: "Seguire le parole di Napolitano" "Politica cristiana? Sì, ma nei fatti" Il monito del presidente dei vescovi italiani: le parole non bastano, ogni credente sia coerente sempre con la fede * NOTIZIE CORRELATE * Fiat Melfi, la Cei con Napolitano: "Intervento nobilissimo e incisivo" (25 agosto 2010) E sul caso della Fiat di Melfi: "Seguire le parole di Napolitano" "Politica cristiana? Sì, ma nei fatti" Il monito del presidente dei vescovi italiani: le parole non bastano, ogni credente sia coerente sempre con la fede Il card. Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani (Eidon) Il card. Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani (Eidon) GENOVA - "Una nuova classe politica, cristiana nei fatti non nelle parole, è un richiamo da sempre. Fa parte della fede di ogni credente essere in modo intelligente coerente con la propria fede e presente nelle diverse responsabilità sociali, civili e politiche". Lo ha dichiarato stamani l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, a margine del 520/mo anniversario dall'apparizione della Madonna della Guardia, avvenuta il 29 agosto del 1490. "È indubbio - ha indicato il cardinale Bagnasco - che anche il mondo politico abbia bisogno sempre di presenze qualificate e coerenti; sia quelle che ci sono in questo momento, come quelle di ieri e come quelle di domani. Presenze qualificate affinchè la storia proceda". POLITICHE PER LA FAMIGLIA - "Trascurare la famiglia, ad esempio nelle sue esigenze economiche, significa sgretolare la società stessa" ha poi detto il cardinale. "Per contro - ha proseguito l'alto prelato - mettere in atto delle politiche adeguate ai reali bisogni della famiglia perchè possa avere dei figli, significa guardare lontano, assicurare un corpo sociale equilibrato. Non si finirà mai di insistere perchè le misure siano sempre più aderenti ed efficaci alla reltà della famiglia grembo della vita". "Il mondo - ha commentato Bagnasco mentre parlava della denatalità - può guardare con fiducia al futuro finchè un uomo e una donna uniranno le loro vite per sempre nel vincolo del matrimonio. La famiglia fondata sul matrimonio, e in modo tutto speciale nel sacramento, è una prova che Dio continua ad amare il mondo, che ha fiducia nell'uomo, che esiste il futuro, che l'amore e la speranza sono più forti del male". IL CASO MELFI - Bagnasco ha parlato anche del caso della fiat di Melfi e dei tre operai licenziati e poi reintegrati: "Da un parte l'auspicio che tutti facciamo è che si risolva la vertenza Fiat nel modo migliore per tutti - ha detto l'alto prelato -, dall'altra parte le parole che il Capo dello Stato ha detto mi pare siano proprio una linea di azione valida per tutti". Napolitano aveva richiamato al rispetto della sentenza dei giudici. "Il lavoro è fondamentale per costruirsi una famiglia" ha aggiunto affrontando il tema della disoccupazione. E nello specifico dell'episodi di Melfi ha detto di sperare "che attraverso un dialogo insistente e intelligente si possa arrivare a una soluzione definitiva ed equa per tutti". Redazione online 29 agosto 2010
"Battaglia per l'uninominale: potere di scelta ai cittadini" Quarantadue politici e studiosi in campo per la riforma elettorale L'appello "Battaglia per l'uninominale: potere di scelta ai cittadini" Quarantadue politici e studiosi in campo per la riforma elettorale Per ottenere finalmente anche nel nostro Paese quella stabilità e certezza delle leggi elettorali che gli standard democratici internazionali raccomandano e in qualche misura esigono, per approdare a una riforma elettorale effettiva, durevole e orientata nel senso del collegio uninominale indicato in modo nettissimo dagli italiani a grande maggioranza nel referendum del 1993, poi in larga parte disatteso dal legislatore, per adottare finalmente anche in Italia un sistema elettorale ispirato ai modelli sperimentati ormai da secoli in regimi civili - quali quelli anglosassoni - che si sono rivelati tra i più fecondi sul piano della democrazia, della sicurezza e del benessere dei propri cittadini, per dare agli elettori la piena libertà, l'effettivo pieno potere e la piena responsabilità di scegliere il governo e gli eletti, assicurando un rapporto personale efficace dell'eletto con chi lo elegge, per promuovere in questo modo, al tempo stesso, l'autonomia della società civile e la laicità dello Stato, intesa come metodo indispensabile di cooperazione per il bene comune tra persone di fedi o ideologie diverse, per ridurre il costo delle campagne elettorali e tagliare il costo - divenuto insostenibile - delle rendite che gli apparati dei partiti si assegnano quando si consente loro di assumere la funzione di tramite tra i cittadini e i parlamentari, ti invitiamo ad aderire al Comitato per l'Uninominale (www.uninominale.it) Pietro Ichino, giuslavorista nell'Università di Milano, senatore P d; Mario Baldassarri, economista, senatore Fl i; Alfredo Biondi , avvocato, già vicepresidente della Camera; Antonio Bonfiglio, sottosegretario di Stato alle Politiche agricole e foresta li, Pdl; Emma Bonino, vicepresidente del Senat o; Marco Cappato, segretario dell'Associazione Luca Coscio ni; Stefano Ceccanti, costituzionalista nell'Università "La Sapienza" di Roma, senatore Pd; Umberto Croppi, assessore alla Cultura del Comune di Rom a; Sergio D'Elia, segretario di Nessuno tocchi Cain o; Franco Debenedetti, economista, opinionist a; Benedetto Della Vedova, deputato Fli; Stefano De Luca, segretario del Partito Liberale Italiano; Michele De Lucia, tesoriere di Radicali italia ni; Giuseppe Di Federico, processualista nell'Università di Bologn a; Salvo Fleres, senatore Pd l; Jas Gawronski, giornalista, parlamentare europeo Ppe; Roberto Giachetti, deputato Pd; Maria Ida Germontani, senatrice Fli; Domenico Gramazio, senatore Pdl; Giovanni Guzzetta, professore di Istituzioni di diritto pubblico nell'Università di Tor Vergata, Roma; Ignazio Marino, chirurgo, senatore Pd; Antonio Martino, economista, deputato Pdl; Enrico Morando, senatore Pd; Magda Negri, senatrice Pd; Francesco Nucara, segretario del Partito Repubblicano Italiano , deputato Gruppo Misto; Federico Orlando, politico e giornalista, condirettore di Europa; Tullio Padovani, penalista, Scuola Superiore di Studi Universitari "Sant'Anna" di Pisa; Angelo Panebianco, politologo nell'Università di Bologna, saggista e opinionista; Marco Pannella, Partito radicale transnazionale; Gianfranco Pasquino, politologo nell'Università di Bologna; Mario Patrono, professore di diritto pubblico e comunitario nell'Università "La Sapienza" di Roma; Mario Pepe, deputato Pdl; Stefano Rolando, economista nell'Università Iulm di Milano; Nicola Rossi, economista nell'Università di Tor Vergata - Roma, senatore Pd; Michele Salvati, economista nell'Università di Milano, opinionista; Carlo Scognamiglio, economista, già presidente del Senato; Mario Staderini, segretario di Radicali italiani; Sergio Stanzani, già senatore, presidente del Partito radicale transnazionale; Marco Taradash, consigliere regionale della Toscana, Pdl; Giorgio Tonini, senatore Pd; Silvio Viale, medico, direzione Associazione Luca Coscioni; Valerio Zanone, già segretario del Partito liberale italiano 28 agosto 2010
I finiani: "Come si superano perplessità del Colle?". l'Idv: "tutto per salvare Berlusconi" Anm contro Alfano: basta perdere tempo "Il processo breve non è una priorità" Palamara: "Non risolve i problemi della giustizia". La replica del ministro: "Sanno solo difendere la casta" * NOTIZIE CORRELATE * Fondi straordinari sul processo breve (28 agosto 2010) * IL COMMENTO: Un'amnistia mascherata, di Vittorio Grevi I finiani: "Come si superano perplessità del Colle?". l'Idv: "tutto per salvare Berlusconi" Anm contro Alfano: basta perdere tempo "Il processo breve non è una priorità" Palamara: "Non risolve i problemi della giustizia". La replica del ministro: "Sanno solo difendere la casta" Luca Palamara, presidente dell'Anm (Lapresse) Luca Palamara, presidente dell'Anm (Lapresse) ROMA - "È grave e non più tollerabile che in un momento nel quale la giustizia è al collasso e si verificano allarmanti episodi di violenza e minacce si continui a perdere tempo con disegni di legge come quello sul processo breve che nulla ha a che vedere con l'esigenza di affrontare le vere priorità del sistema giustizia e con l'urgenza di contrastare più efficacemente la criminalità organizzata". Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, risponde così al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che in un'intervista al Corriere della Sera aveva parlato della necessità di arrivare ad un rapida approvazione del testo sul processo breve. I NODI SECONDO L'ANM - "Il governo - sottolinea Palamara - non può non farsi carico delle reali emergenze che oggi sono rappresentate dalla corruzione, dalla criminalità organizzata, dalla situazione carceraria, dalla carenza di mezzi e risorse, dalla necessità di informatizzare e snellire le procedure. L'Anm, che rappresenta la quasi totalità dei magistrati italiani, piaccia o non piaccia al ministro Alfano, è stata, è e sarà interlocutore ineludibile di ogni governo e, nell'interesse di tutti i cittadini, continuerà a formulare proposte serie, concrete e precise". "Se è vero - conclude il presidente dell'Anm - che il ministro Alfano vuole parlare direttamente con i capi degli uffici giudiziari, non si faccia sfuggire l'occasione di partecipare all'assemblea convocata a Reggio Calabria per il prossimo 7 settembre per sapere da loro se effettivamente la priorità è costituita dal processo breve o, invece, dalle drammatiche situazioni in cui quegli stessi uffici si trovano". Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano (Ansa) Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano (Ansa) LA REPLICA DEL MINISTRO - "Evidentemente all'Anm stanno bene le lungaggini della giustizia italiana e vogliono che nulla cambi - ha poi replicato lo stesso ministro Angelino Alfano -. Evidentemente all'Anm sta bene l'infinita durata dei processi italiani. Evidentemente l'Anm sa dire solo no e non formula proposte in grado di fare uscire la giustizia dallo stato di paralisi". "La criminalità - ha detto ancora il Guardasigilli - noi l'abbiamo combattuta e la combattiamo con le nostre leggi e nelle sedi di trincea; e per coprire i vuoti di organico, proprio nelle sedi di trincea, abbiamo approvato all'unanimità, in Parlamento, due decreti, mentre la Anm difendeva evidentemente i privilegi corporativi della casta". L'ATTACCO DELL'IDV - Dura la reazione dell'Italia dei Valori all'annuncio di Alfano: "Ora il ministro Alfano promette risorse straordinarie per la Giustizia in cambio dell'approvazione del cosiddetto processo breve, ossia la cancellazione di centomila processi - fa notare il capogruppo dell'Idv in commisisone Giustizia, il senatore Luigi Li Gotti -. Tutto pur di salvare Berlusconi assicurandogli la prescrizione dei suoi processi". E ancora: "Il "pupo" Alfano agisce per il "puparo" Berlusconi con i soldi degli italiani. La Giustizia è ridotta a un mercato, le istituzioni toccano il fondo: è semplicemente una vergogna. Le vittime dei reati, la sicurezza, le sentenze, il lavoro di anni di indagini e di dibattimento: tutto al macero". Ancor più netto il giudizio di Antonio Di Pietro: "Alfano o ci fa o è ignorante. In entrambi i casi non merita di fare il ministro della Giustizia. Infatti il processo breve che vuole Berlusconi, il suo datore di lavoro, stabilisce una riduzione dei tempi entro cui fare il processo e non prevede alcunchè per permettere agli operatori del diritto di lavorare con gli strumenti adeguati e le risorse necessarie. Insomma è una proposta truffaldina in quanto non abbrevia i tempi, ma concede solo un'immunità in breve tempo. E questo è noto anche ai finiani che si fregiano della bandiera della legalità, ma al Senato hanno dato voto favorevole alla proposta di legge. Adesso li aspettiamo alla prova dei fatti, con il voto alla Camera". "MA L'ANM NON E' UN PARTITO" - Al Pdl non è però piaciuta la presa di posizione dell'associazione che rappresenta le toghe: "Cambiano le stagioni, ma resta un'anomalia tutta italiana - è il commento del portavoce Daniele Capezzone -. L'Anm continua ad esprimersi, in questo caso attaccando ingiustamente il ministro Alfano, come se fosse un partito politico, come se toccasse all'Anm stessa definire cosa governo e Parlamento possono o non possono, debbono o non debbono fare". "Ma la riforma della giustizia si farà e andrà avanti - aggiunge - e non sarà bloccata nè dettata dall'ala più militante e politicizzata della magistratura". LE APERTURE DEI FINIANI - Dal fronte dei finiani, che più volte hanno espresso critiche al provvedimento, arrivano segnali di apertura. Il viceministro Adolfo Urso si dimostra possibilista confermando, l'appoggio di Futuro e Libertà ai cinque punti del programma che la maggioranza porterà al voto del Parlamento. Quanto al processo breve "vedremo i testi - ha detto all'Ansa - e come verrà applicato, senza che vi sia impatto sui processi". In un'intervista al Giornale, Silvano Moffa ha invece fatto notare che "la Corte dei diritti dell’uomo ha condannato ripetutamente il nostro paese per i processi lumaca". "Ma - ha aggiunto - bisogna creare le condizioni perché i processi si possano fare". Più soldi alla magistratura? ha chiesto l’intervistatore. "Esatto - è stata la replica di Moffa -. Quello che bisogna evitare è lo spacchettamento dei provvedimenti. Il processo breve sciolto dal resto verrebbe percepito come una legge ad personam". E il capogruppo Italo Bocchino: "Furono Berlusconi e Fini insieme a valutare che fosse meglio fermarsi sul processo breve a causa delle perplessità venute dal Quirinale. Noi siamo disponibili a discutere, ma il ministro Alfano ci spieghi come intende superar le perplessità emerse allora". Perplessità sull'interpretazione che ne avrebbe dato il Quirinale e che furono alla base dello stop del provvedimento alla Camera, dopo il via libera del Senato. Redazione online 28 agosto 2010(ultima modifica: 29 agosto 2010) 2010-08-28 L'intervista - L'ex amministratore delegato: bisogna imparare dal passato. L'Italia ha visto situazioni tragiche ed è riuscita a superarle "A Marchionne dico: i sindacati? Li puoi battere, non dividere" Romiti: durante le vertenze anche le tensioni vanno governate Operai e azienda? La contrapposizione di interessi ci sarà sempre L'intervista - L'ex amministratore delegato: bisogna imparare dal passato. L'Italia ha visto situazioni tragiche ed è riuscita a superarle "A Marchionne dico: i sindacati? Li puoi battere, non dividere" Romiti: durante le vertenze anche le tensioni vanno governate Operai e azienda? La contrapposizione di interessi ci sarà sempre "Sa qual è la prima cosa che mi è venuta in mente, ascoltando l'intervento di Sergio Marchionne al Meeting di Rimini?". No, dottor Romiti. Ce la dica. "Ho pensato a quando, due mesi fa, vidi Raffaele Bonanni in tv, intervistato a "In mezz'ora", su RaiTre. Lucia Annunziata gli chiese: "Scusi, lei preferisce Romiti o Marchionne?". Lui, un po' imbarazzato, rispose: Marchionne. Il giorno dopo gli telefonai. Bonanni, decisamente imbarazzato, pensava volessi lamentarmi. Invece gli dissi: "Non si preoccupi, ci mancherebbe altro che uno non possa esprimere le sue opinioni. Vorrei solo capire le ragioni per cui ha risposto in quella maniera". Bonanni, sempre più imbarazzato, disse che non si aspettava la domanda della giornalista. Chiusi la conversazione ricordandogli che i giudizi vanno dati nel lungo termine, in base ai risultati...". Dottor Romiti, da quando nel '98 lasciò la Fiat lei non ha mai parlato dei suoi successori né dell'azienda. Che cosa non le è piaciuto dell'intervento di Marchionne? "Marchionne ha fatto bene a parlare del presente e del futuro. Ma le cose di oggi esistono perché c'è stato il passato. Del passato non s'è parlato. O, meglio, si è parlato delle presenze internazionali della Fiat come di realizzazioni nuove, anche là dove si tratta di fatti acquisiti". A cosa si riferisce? "Al Brasile. Agli Stati Uniti, per quanto riguarda le macchine movimento terra e i trattori. Alla Cina. Quando arrivai, nel '74, il Brasile era sguarnito: vi si era insediata la Volkswagen. La Fiat, con Peccei, aveva puntato sull'Argentina: una tragedia. Smobilitai l'Argentina e riorganizzai ex novo la nostra presenza in Brasile, dove nacque uno dei principali stabilimenti Fiat, da cui sono sempre venuti forti utili". Ci sono altri temi su cui Marchionne non la convince? "Sì. Quando tratteggia un futuro in cui non esiste la lotta di classe. Ora, guai se mancasse non dico la lotta, ma la contrapposizione degli interessi. Sarebbe un guaio che non finisce mai. Un conto è trovare la formula per ricomporre la contrapposizione, come in Germania, con la partecipazione dei lavoratori ai risultati dell'impresa. Ma la contrapposizione degli interessi ci sarà sempre, ed è un bene che ci sia". Marchionne chiede un nuovo patto sociale. "Ecco il punto principale. Vede, la situazione che affrontammo noi nel 1980 era un po' più complicata di quella di oggi. Oggi per fortuna non scorre il sangue. Allora scorreva il sangue. Ci ammazzarono il vicedirettore della Stampa, Carlo Casalegno, e il responsabile della pianificazione, Carlo Ghiglieno. Le Br ci azzoppavano un caposquadra ogni settimana. Di fronte avevamo leader sindacali che si chiamavano Lama, Carniti, Benvenuto, Bertinotti; non voglio fare paragoni con quelli di oggi, ma diciamo che erano leader di un certo calibro. Eppure noi non ci siamo mai sognati di dividere il sindacato, o anche solo di provarci. Il sindacato lo puoi battere, non dividere. Dividere il sindacato è un errore grave, perché il sindacato escluso ti tormenterà nelle fabbriche; a maggior ragione se è il sindacato più grande. Ed è proprio quel che sta accadendo". Guardi che la Fiat ha tentato a lungo di raggiungere un accordo con la Cgil e la Fiom. "Il rapporto tra azienda e sindacato è un rapporto dialettico. È sbagliato rinunciare a parlarsi, cercare accordi separati, lasciar fuori qualcuno". Marchionne dice di essere disposto a incontrare Epifani. "Ma intanto elogia gli altri due leader sindacali, chiamandoli pure per nome, tra gli applausi. Mi pare un crinale pericoloso. Nel momento in cui sarebbe meglio placare le divisioni, le si alimenta. Mi auguro sinceramente che tutto si risolva bene per la Fiat, ma la situazione è delicata. Anche perché ogni sindacato è da sempre legato a un partito, o comunque a posizioni politiche, pro o contro il governo. Anche per questo dividere il sindacato porta sempre svantaggi". Marchionne ha ricordato di aver trovato nel 2004 una Fiat sull'orlo del fallimento. Non è forse così? "La storia della Fiat è legata a grandi cicli e a brevi periodi di gravi difficoltà. Dopo il grande ciclo di Valletta, ci furono cinque o sei anni neri. Poi c'è stato il ciclo tra il 1974 e il 1998, in cui sconfiggemmo il sindacato, battemmo le Brigate rosse, riportammo l'ordine in fabbrica. Nel '98 lasciai la Fiat in condizioni ottime. Sono seguiti sei anni di interregno, in cui morirono prima l'Avvocato e poi Umberto Agnelli, mentre si susseguivano amministratori delegati che non davano buoni frutti. Ora mi auguro davvero che si apra un nuovo ciclo virtuoso. Dico solo che la teoria della pacificazione generale e la divisione del sindacato non mi sembrano le premesse giuste. Anzi, sono le premesse che hanno creato il caso Melfi". Che idea si è fatto della vicenda dei tre operai? "Quella notte a Melfi è accaduto quel che accade da sempre in caso di sciopero. L'ostruzionismo c'è stato. Il licenziamento dei tre può anche essere legittimo, per quanto due di loro siano sindacalisti. Ma io non avrei acuito la tensione. Se il tribunale decide per il reintegro, si prepara l'appello, e intanto si rispetta la sentenza. Lo scontro va rabbonito, non eccitato". Lei andò allo scontro con i sessantuno licenziamenti del 1979. "Come si fa a paragonare la Mirafiori del 1979 con la Melfi del 2010? A Torino avevamo decine di migliaia di operai, un partito comunista fortissimo, il terrorismo nelle fabbriche. Melfi è sempre stata una fabbrica tranquilla, ideale. Le sono particolarmente affezionato perché l'ho voluta io. E ricordo ancora la gioia con cui, quando gli telefonai, reagì il sindaco, al pensiero dei concittadini che avrebbero avuto un'opportunità di lavoro. Gente particolarmente adatta: seria, affidabile. Noi decidemmo di licenziare i sessantuno dopo che le nuove cabine della verniciatura, fatte secondo le norme, vennero subito sabotate. E non tenemmo all'oscuro il sindacato, anzi, avvertii Lama, Carniti e Benvenuto. Dissi: "Vi comunico che faremo questi licenziamenti. Non chiedo il vostro assenso. Vi chiedo però di non fare causa, perché lo facciamo anche nel vostro interesse, visto che questi sono violenti: terroristi o contigui al terrorismo". Fecero causa lo stesso, e venne fuori che una buona parte dei sessantuno erano legati all'eversione armata. Altro che i tre di Melfi". Aldo Cazzullo 28 agosto 2010
2010-08-26 Dall'Ad di Fiat ringraziamenti solo a Cisl e Uil. "Ma sono pronto a incontrare Epifani" "In Italia non c'è voglia di cambiare" Marchionne: "Basta scontri operai-padroni". "Non difendibili illeciti e sabotaggi, su Melfi noi corretti" * NOTIZIE CORRELATE * Fiat Melfi, la Cei con Napolitano: "Intervento nobilissimo e incisivo" (25 agosto 2010) * Lo stop del Quirinale alla strategia del muro contro muro (26 agosto 2010) Dall'Ad di Fiat ringraziamenti solo a Cisl e Uil. "Ma sono pronto a incontrare Epifani" "In Italia non c'è voglia di cambiare" Marchionne: "Basta scontri operai-padroni". "Non difendibili illeciti e sabotaggi, su Melfi noi corretti" Sergio Marchionne durante l'intervento al meeting di Cl di Rimini Sergio Marchionne durante l'intervento al meeting di Cl di Rimini MILANO - "L'unica area del mondo in cui Fiat e in perdita e l'Italia". Lo ha evidenziato l'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, intervenendo al meeting di Comunione e Liberazione in corso a Rimini. "Trovo assurdo che la Fiat sia apprezzata e riceva complimenti ovunque fuorché in Italia - ha sottolineato il numero uno del Lingotto- . Non ci aspettiamo fanfare ma neanche fischi. La Fiat è sempre la stessa sia che si guardi all'Europa agli Stati Uniti o al Sud America". Marchionne ha poi evidenziato che "i principi della Fiat sono uguali in ogni parte del mondo, è un'azienda seria, gestita da persone serie con forti cariche e patrimonio di valori". "POCA VOGLIA DI CAMBIARE" - Per Marchionne "in Italia ci manca la voglia e abbiamo paura di cambiare". "In questi giorni - ha spiegato - c'è una contrapposizione fra due modelli: uno difende il passato e l'altro che vuole andare avanti. Se non lasciamo alle spella vecchi schemi non ci sarà spazio per vedere nuovi orizzonti". "A volte - ha poi commentato - penso che gli sforzi di Fiat in Italia non siano compresi. Non siamo più negli anni Sessanta non c'è una lotta fra capitale e lavoro, fra padroni e operi. Se l'Italia non riesca ad abbandonare questo modello di pensiero non raggiungeremo mai niente. Ora c'è bisogno di uno sforzo collettivo, un patto sociale per condividere impegni, sacrifici e consentire al Paese di andare avanti. Una occasione per costruire il paese che lasceremo alle nuove generazioni". L'INCONTRO CON EPIFANI - Quanto all'azione complessiva del gruppo, Marchionne ha rivendicato l'orgoglio Fiat, facendo notare come alcune scelte, tipo la produzione della Panda a Pomigliano, siano dettate più dal cuore che dal business. "La maggior parte delle persone ha compreso l'impegno e la sfida" ha detto l'amministratore delegato del gruppo torinese, che davanti alla platea di Cl ha ringraziato esplicitamente i segretari generali di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti senza invece citare la Cgil. In ogni caso, Marchionne si è detto "assolutamente disponibile" ad incontrare il leader della Cgil, Guglielmo Epifani: "Sono totalmente aperto anche io a parlare con Epifani: è una persona che rispetto e che ha un profilo intellettualmente onesto". LA VENDITA DELL'ALFA - Poi Marchionne ha assicurato di non avere intenzione di vendere l'Alfa. "Se ho detto che non la vendo, vuol dire che la mia risposta è no". Con Volkswagen (che secondo indiscrezioni avrebbe trattato l'acquisto) "non ci sono rapporti" in particolare: "Parliamo con loro, con i francesi, con tutti, parliamo sempre e parliamo di tutto". Quanto a possibili nuove collaborazioni industriali allo studio, Marchionne risponde: "Mi guardo sempre intorno". "DIRITTI DI TUTTI" - Il numero uno del Lingotto nel corso dell'intervento dal palco ha letto un testo scritto ed è tornato a parlare anche del caso dei tre operai dello stabilimento di Melfi prima sospesi dall'azienda poi reintegrati dal giudice ma a cui non sono state riaffidate mansioni operative. "Non è onesto usare i diritti di pochi per piegare i diritti di molti - ha detto -. Non sono difendibili gli illeciti arrivati fino al sabotaggio. Non è giusto nei confronti dell'azienda e non è giusto nei confronti di altri lavoratori". Marchionne ha fatto notare che Fiat "ha rispettato la legge e dato seguito al primo provvedimento della magistratura" e ha parlato di "enfasi mediatica che ha in parte travisato la realtà dei fatti". Inoltre ha chiesto che si instauri un "rapporto di fiducia" nei confronti dell'azienda e ha sottolineato che "dignità e diritti non possono essere patrimonio esclusivo di tre persone. Sono valori che vanno difesi e riconosciuti a tutti". L'ad si è poi detto pronto ad accogliere l'invito del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, a trovare una soluzione in merito alla vicenda. "Ho grandissimo rispetto per il presidente della Repubblica come persona e per il suo ruolo istituzionale: per la sua posizione istituzionale accetto quello che ha detto come un invito a trovare una soluzione". "VENGA IN FABBRICA" - "Non ci si poteva aspettare altro da lui - ha commentato a caldo, a Sky Tg 24, Giovanni Barozzino, uno degli operai-sindacalisti sospesi e poi reintegrati -. Abbiamo in comune qualcosa io e Marchionne: anche io sono stato a lavorare in Canada, dopo il terremoto dell'80. Ho dovuto lavorare per contribuire al mantenimento della mia famiglia, una famiglia con 6 figli. Noi siamo d'accordo con la necessità di non fare muro contro muro. L'unica lotta di classe, però, la sta facendo lui con la Fiat. Marchionne gira molto negli stabilimenti in America, venga anche a vedere cosa succede nelle sue fabbriche in Italia. Così, se non ha paura della verità, capirà come vanno veramente le cose". IL GIUDICE CONVOCA LE PARTI - Intanto proprio oggi si apprende che Emilio Minio, il giudice del lavoro di Melfi (Potenza) che il 9 agosto scorso ha depositato il provvedimento di reintegro in fabbrica dei tre lavoratori licenziati dalla Fiat, ha convocato le parti (azienda e Fiom) per il 21 settembre. La convocazione servirà a chiarire gli aspetti procedurali del decreto del giudice, che dichiarò "l'antisindacalità dei licenziamenti" dei tre operai e ordinò "la immediata reintegra dei lavoratori nel proprio posto di lavoro". Redazione online 26 agosto 2010
Il leader Cgil | "Ha ragione napolitano ma serve un segnale di distensione dal Lingotto" "Nuovi contratti se riparte il dialogo" Epifani: "Bisogna scendere da 400 a poche decine di accordi nazionali" Il leader Cgil | "Ha ragione napolitano ma serve un segnale di distensione dal Lingotto" "Nuovi contratti se riparte il dialogo" Epifani: "Bisogna scendere da 400 a poche decine di accordi nazionali" Emma Marcegaglia e Guglielmo Epifani Emma Marcegaglia e Guglielmo Epifani ROMA — Gli occhi di Guglielmo Epifani saranno oggi puntati sul meeting di Rimini, dove interverrà l’amministratore delegato della Fiat. "Se da Sergio Marchionne arrivasse un segnale di distensione, magari accogliendo le parole del presidente della Repubblica sul reintegro dei tre operai licenziati a Melfi, questo sarebbe accolto dalla Cgil e dalla Fiom, che hanno già detto di essere pronte a riprendere il dialogo", assicura il segretario generale del più grande sindacato italiano. La Fiom ha però depositato un’altra istanza al tribunale di Melfi. Ormai sembra affidarsi solo alle sentenze mentre Napolitano invita tutti a riprendere un "confronto pacato" sulle "relazioni industriali nel contesto di un’aspra competizione sul mercato globale". "Io sono d’accordo col presidente. Sono il primo ad essere contrario a questo braccio di ferro e lo dico da due mesi. Non capisco perché la Fiat insista. A chi conviene continuare con questo muro contro muro? Noi non vogliamo affidarci solo alla via giudiziaria, anche perché una volta si può aver ragione e un’altra torto, ma vogliamo fare sindacato. Si guardi a cosa accade in tante aziende manifatturiere, comprese quelle metalmeccaniche, che, proprio grazie a relazioni industriali governate anche dalla Fiom, hanno saputo cogliere i primi timidi segnali di ripresa". Insomma è colpa della Fiat? Il presidente della Confindustria dice piuttosto che bisogna cambiare le relazioni industriali e che non si può guardare a un mondo che non c’è più. "Giusto, ma per cambiare bisogna trovare un compromesso tra le esigenze delle aziende nella competizione globale e la tutela dei diritti delle persone. A Emma Marcegaglia dico: perché non si può fare come nel tessile, nella chimica, nella siderurgia e in tante singole aziende, dove si sono trovate le soluzioni per governare la crisi e migliorare la competitività senza intaccare i diritti fondamentali definiti dalle leggi e dai contratti?" Dovrebbe chiederlo alla Fiom e quindi alla Cgil che lei guida. Gli altri sindacati hanno fatto l’accordo su Pomigliano convinti che nessun diritto fondamentale sia leso e hanno vinto pure il referendum tra i lavoratori. La Fiom ha perso e i suoi scioperi hanno uno scarso seguito. "Non sfugge a nessuno che si è creato un clima di paura che indebolisce la protesta. Nonostante ciò quasi il 40% degli operai ha detto no all’accordo su Pomigliano perché un conto sono i sacrifici, e noi siamo disposti a farli, un altro i diritti". Il sindacato americano ha accettato di sospendere gli scioperi fino al 2014. "Si dimentica che lì i lavoratori hanno la maggioranza della proprietà della Chrysler e quindi anche il rapporto con Marchionne è diverso. Non mi si può proporre quel modello, dimenticando questo "piccolo" particolare". Il modello americano non va bene, quello sottoscritto nel 2009 da Confindustria, Cisl e Uil neppure: qual è il suo modello? "Quando non abbiamo firmato il nuovo modello contrattuale è perché sapevamo che avrebbe portato alla messa in discussione dei diritti e non avrebbe retto alla prova dei fatti, come dimostra proprio la vicenda di Pomigliano". Resta il fatto che il vecchio modello era inadeguato e che, come suggerisce Napolitano, servono relazioni industriali per mercati globali. La Cgil è pronta a fare questo salto? "Non c’è dubbio che noi vogliamo trovare un compromesso tra le ragioni del mercato e la condizione e i diritti dei lavoratori. Ma questo lo si fa attraverso un contratto nazionale più largo e generale e un secondo livello effettivamente più diffuso, mentre oggi si chiedono contratti più piccoli — è il caso dell’auto — e non si allarga la contrattazione aziendale e territoriale, cosa che invece in molti contratti da noi firmati siamo riusciti a raggiungere: uno per tutti quello degli edili". Che cosa significa un contratto nazionale più largo e generale? "Passare da circa 400 a qualche decina di contratti nazionali, che, in modo particolare sulle questioni degli inquadramenti e degli orari, abbiano norme meno specifiche, favorendo la gestione del secondo livello di contrattazione. Fermi restando l’universalità dei diritti fondamentali e la necessità di trovare un’intesa e poi una legge per far votare i lavoratori e misurare la effettiva rappresentanza dei sindacati". Sta proponendo di azzerare tutto, cancellare la riforma del modello contrattuale dello scorso anno e aprire una nuova trattativa? "Dico che questa è la strada del futuro, se non si vuole tornare a mille contratti di settore o di gruppo, con la relativa balcanizzazione delle normative e dei diritti o con un uso improprio delle deroghe contrattuali. E aggiungo che la vera resistenza a questa riforma viene più dalle burocrazie delle associazioni che dai processi reali". Non crede che un ostacolo sia rappresentato anche da una resistenza culturale della Cgil e in particolare della Fiom ad accettare relazioni dialoganti? Per voi la via maestra per migliorare le condizioni del lavoro resta il conflitto. "No, c’è una vulgata sulla Cgil che non corrisponde alla realtà. E mi riferisco anche a quanto ha detto il ministro Gelmini nell’intervista al Corriere ("per la Fiom e la Cgil gli imprenditori andrebbero messi tutti al rogo", ndr) e per la quale credo che andrà querelata. La Fiom ha una sua identità, una sua radicalità: da sempre ha rappresentato la sinistra del sindacato. Ma anche per i metalmeccanici il conflitto serve per arrivare all’accordo". Anche in questo caso? "Ripeto: se da Marchionne arrivasse un segnale di disponibilità, la Cgil e la Fiom lo coglierebbero e il dialogo potrebbe ripartire". Anche per arrivare a un nuovo modello di relazioni industriali condiviso da tutti, come sembra suggerire Napolitano? "Noi abbiamo sempre puntato a questo, ma non ci siamo riusciti". Anche per colpa vostra o no? "Io ho le mie idee sulle responsabilità, ma in ogni caso credo che una parte decisiva l’abbia giocata il governo, che ha puntato fin dall’inizio sulla divisione del sindacato". Enrico Marro 26 agosto 2010
la decisione della uiltrasporti. Il Pd: "Ora il governo faccia la sua parte" Tirrenia, salta lo sciopero di fine agosto Servizio in funzione il 30 e 31, la nuova data delo stop verrà decisa dopo il tavolo convocato da Matteoli la decisione della uiltrasporti. Il Pd: "Ora il governo faccia la sua parte" Tirrenia, salta lo sciopero di fine agosto Servizio in funzione il 30 e 31, la nuova data delo stop verrà decisa dopo il tavolo convocato da Matteoli (Imagoeconomica) (Imagoeconomica) MILANO - La Uiltrasporti ha deciso di differire lo sciopero del personale Tirrenia proclamato per il 30 e 31 agosto. La nuova data verrà decisa dopo il tavolo del 6 settembre convocato dal ministro, Altero Matteoli, con i sindacati. Lo comunica il segretario generale Giuseppe Caronia in una nota. "Finalmente un segnale di responsabilità", afferma Caronia a proposito della decisione del ministro dei trasporti Matteoli di non ricorrere ad un atto coercitivo. "Naturalmente non possiamo a questo punto non accogliere l'invito del Ministro a differire lo sciopero la cui eventuale effettuazione e l'eventuale data verrà decisa sulla base delle risultanze del previsto incontro del 6 settembre prossimo". "ORA IL GOVERNO FACCIA LA SUA PARTE"- La notizia è stata accolta positivamente dal Pd che chiede ora che al senso di responsabilità dei sindacati corrisponda un impegno adeguato del governo. Il capogruppo dei democratici in commissione Trasporti alla Camera, Michele Meta, ha parlato di "buona notizia che raffredda il clima consentendo a migliaia di viaggiatori di poter rientrare dalle vacanze senza disagi, aprendo spiragli di dialogo con il governo per uscire fuori dallo spaventoso caos creato sulla privatizzazione di Tirrenia". "Auspichiamo - aggiunge l'esponente del Pd - che, in vista della convocazione del tavolo con le parti sociali al Ministero dei Trasporti per il prossimo 6 settembre, il governo faccia meglio le cose che non ha fatto prima valutando con l'Ue la proroga dei termini al 30 settembre per il processo di privatizzazione rinnovando i contratti con i fornitori in scadenza e predisponendo un nuovo bando trasparente che tuteli i diritti dei viaggiatori, la continuità territoriale con le isole e la tutela dei posti di lavoro". Redazione online 26 agosto 2010
i vigili del fuoco: "incidente causato dall'asfissia" Tre uomini cadono in una cisterna a San Ferdinando di Puglia: 1 morto e 2 feriti I due operai e il proprietario del fondo agricolo stavano svolgendo lavori di impermeabilizzazione i vigili del fuoco: "incidente causato dall'asfissia" Tre uomini cadono in una cisterna a San Ferdinando di Puglia: 1 morto e 2 feriti I due operai e il proprietario del fondo agricolo stavano svolgendo lavori di impermeabilizzazione (Cautillo) (Cautillo) MILANO - Tre uomini sono caduti in una cisterna profonda sette metri nelle campagne di San Ferdinando di Puglia, tra le province di Bari e Foggia: uno di loro, Antonio Della Pietra, di 51 anni, originario di Cerignola (Foggia) è morto, gli due sono feriti e sono stati portati in ospedale, ma non sono gravi. Si tratta del carabiniere e proprietario del fondo agricolo in cui si trova la cisterna, Tommaso D'Assisti, e di suo cognato Sabino Mastrototaro, operaio di 43 anni. I due operai e il proprietario del fondo agricolo stavano svolgendo lavori di impermeabilizzazione della cisterna. LA DINAMICA - La dinamica dell'incidente ricorda quello avvenuto il 3 marzo 2008 a Molfetta in cui persero la vita 5 persone. Secondo una prima ricostruzione dei fatti uno degli operai sarebbe caduto sul fondo della cisterna e gli altri due presenti non sarebbero riusciti a tirarlo su a causa della melma. Successivamente anche loro sarebbero finiti nella cisterna, avendo forse perso conoscenza a causa delle esalazioni. I vigili del fuoco di Foggia ritengono "quasi certo" che le tre persone che si trovano all'interno siano state colpite da asfissia. "Abbiamo ricevuto l'allarme - viene spiegato dai vigili del fuoco - da alcune persone che si erano preoccupate per l'assenza dei tre e si erano recate in campagna per svolgere le prime ricerche". AL PRONTO SOCCORSO - I due feriti sono al Pronto soccorso dell’ospedale di Cerignola, e secondo i medici del pronto soccorso i "loro parametri vitali sono buoni, sono in fase di compenso, vigili e coscienti". I due, il proprietario del fondo e il cognato, erano stati rianimati dai soccorritori, dopo aver perso conoscenza forse a causa delle esalazioni, mentre stavano impermeabilizzando con il catrame la cisterna interrata. Redazione online 25 agosto 2010
il ministro dell'economia: "Dobbiamo rinunciare ad una quantità di regole inutili" "La legge sulla sicurezza sul lavoro lusso che non ci possiamo permettere" Tremonti: "Sono l'Unione europea e l'Italia che si devono adeguare al mondo" il ministro dell'economia: "Dobbiamo rinunciare ad una quantità di regole inutili" "La legge sulla sicurezza sul lavoro lusso che non ci possiamo permettere" Tremonti: "Sono l'Unione europea e l'Italia che si devono adeguare al mondo" Calderoli, Tremonti e Maroni al Berghem Fest (Ansa) Calderoli, Tremonti e Maroni al Berghem Fest (Ansa) MILANO - Una dichiarazione che farà discutere. Soprattutto in un Paese che registra una media di 3 o 4 morti sul lavoro al giorno. "Dobbiamo rinunciare ad una quantità di regole inutili, siamo in un mondo dove tutto è vietato tranne quello che è concesso dallo Stato, dobbiamo cambiare". Lo ha detto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, intervenendo al "Berghem fest" sottolineando subito dopo che "robe come la 626 (la legge sulla sicurezza sul lavoro) sono un lusso che non possiamo permetterci. Sono l'Unione europea e l'Italia che si devono adeguare al mondo". Redazione online 25 agosto 2010
2010-08-25 CONTINUA L'ODISSEA dei tre operai licenziati e poi reintegrati Fiat Melfi, la Cei con Napolitano "Intervento nobilissimo e incisivo" Monsignor Bregantini: "L'azienda sta compiendo un errore etico". I lavoratori: "Saremo qui ogni giorno" CONTINUA L'ODISSEA dei tre operai licenziati e poi reintegrati Fiat Melfi, la Cei con Napolitano "Intervento nobilissimo e incisivo" Monsignor Bregantini: "L'azienda sta compiendo un errore etico". I lavoratori: "Saremo qui ogni giorno" Da sinistra, Marco Pignatelli, Antonio Lamorte e Giovanni Barozzino Da sinistra, Marco Pignatelli, Antonio Lamorte e Giovanni Barozzino MILANO - "L'intervento del presidente Napolitano è stato nobilissimo, rapido, incisivo e lucido". È quanto ha detto all'Adnkronso mons. Giancarlo Maria Bregantini, Arcivescovo di Campobasso-Boiano e Presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, in merito alla vicenda dei tre operai della Fiat di Melfi riammessi al lavoro da una sentenza del tribunale dopo il licenziamento. Bregantini ha aggiunto: "L'azienda ha dei compiti e degli obblighi non solo di natura economica ma anche di natura personale". Per questo non basta, ha spiegato l'arcivescovo, che la Fiat dica "gli continuo a dare lo stipendio"". L'azienda, ha detto l'esponente della Cei, ha diversi compiti: "C'è l'aspetto del mantenimento - ha osservato Bregantini - e questo è dato dalla paga. Poi c'è la funzione sociale, cioè la responsabilità verso la persona e l'ambiente, quindi la dignità di fronte a Dio". Alla luce dunque della dottrina sociale della Chiesa, si può dire "che l'azienda stia compiendo un errore etico e nega i diritti della persona". GLI OPERAI - I tre lavoratori intanto ringraziano il presidente Napolitano per la risposta alla loro lettera. E intanto tornano in fabbrica. Anche se la situazione non si schioda. "Non entreremo neanche oggi in fabbrica - spiegano Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli - ma saremo qui ogni giorno, al turno delle ore 14: ci aspettiamo novità positive. Nel frattempo i legali della Fiom-Cgil hanno depositato al Tribunale di Melfi l'istanza per chiedere che il giudice "definisca le modalità di attuazione del decreto di reintegro emanato dal Giudice del lavoro del 9 agosto scorso" per i tre lavoratori della Fiat-Sata. Lo ha reso noto l'avvocato della Fiom-Cgil Lina Grosso, specificando che "adesso attendiamo una risposta dalla magistratura" Redazione online 25 agosto 2010
Il caso Melfi Chiudere l'incidente, la partita è più grande Il caso Melfi Chiudere l'incidente, la partita è più grande Sarà difficile per la Fiat non ascoltare l'invito del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Per un motivo molto concreto già sottolineato da Pietro Ichino l'altro ieri nella sua "Lettera sul lavoro" al Corriere della Sera: "L'ordinanza cautelare del giudice deve essere rispettata integralmente, anche se la si ritiene sbagliata". Si tratta di osservare "quelle regole dello Stato di diritto" richiamate dal Quirinale nella breve nota in risposta alla lettera dei tre lavoratori licenziati dalla Fiat Sata di Melfi perché accusati di aver illegittimamente bloccato la produzione. L'errore del Lingotto però non sta solo nel garantire ai tre operai il salario ma non il reinserimento al lavoro. Una vicenda importantissima per le persone coinvolte, rischia di far passare in secondo piano la questione centrale sollevata dalla Fiat in questi ultimi mesi. Può una grande azienda continuare a produrre nel nostro Paese contando sulle attuali regole di contrattazione? Si possono programmare investimenti per decine di miliardi (25 nel caso specifico) quando il quadro di norme attuali di fatto mette una società come Fiat in condizioni di svantaggio competitivo non tanto rispetto alla Cina, quanto a Paesi come la Germania o la Francia? Di questo si stava discutendo non di altro. Di questo chiede Napolitano si torni a discutere invitando la Fiat a superare il grave episodio Sergio Marchionne e Giorgio Napolitano (Ansa) Sergio Marchionne e Giorgio Napolitano (Ansa) ma aggiungendo che, nell'attesa della conclusione della vicenda giudiziaria, si possano "creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell'attività della maggiore azienda manufatturiera italiana e dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione globale". Mostrare di non comprendere quanto queste parole indichino come anche il Quirinale ritenga le questioni aperte da Sergio Marchionne tutt'altro che secondarie, vorrebbe dire non capire l'importanza della propria battaglia non solo per Fiat. È vero che i vertici del Lingotto hanno sempre dichiarato che precondizione di qualsiasi trattativa debba essere la governabilità degli stabilimenti, il fatto che gli impianti funzionino e non siano ostaggio di minoranze, per quanto possano essere consistenti come quelle organizzate dalla Fiom. Ed è probabile che l'episodio di Melfi possa essere considerato da Fiat come esemplificativo di un clima che se non fermato in tempo può degenerare. O che può originare una sorta di guerriglia giudiziaria (come sottolineato ancora da Ichino). Ma proprio per questo un singolo episodio non deve fermare un percorso che assomiglia a quello iniziato cinque anni fa: allora la Fiat si giocava la sopravvivenza e nessuno era pronto a scommetterci un euro. Eppure ha vinto. Oggi la posta è più alta, anche per il Paese. Daniele Manca 25 agosto 2010
l'analisi Lo stop del Quirinale alla strategia del muro contro muro l'analisi Lo stop del Quirinale alla strategia del muro contro muro Una sentenza non rispettata, con tre operai non riammessi alla produzione nonostante un vincolante decreto del tribunale. E altre due sentenze in arrivo, una sul ricorso della Fiat contro quel provvedimento d'urgenza e una denuncia dei lavoratori contro il proprio mancato reintegro "in linea". I tre operai di Melfi (Ansa/Vece) I tre operai di Melfi (Ansa/Vece) Era stretto tra queste decisioni dei giudici — decisioni appena prese o pendenti, appunto — il sentiero che il presidente della Repubblica ha imboccato nel rispondere alla lettera dei "cari Barozzino, Lamorte e Pignatelli", autori di un appello dallo stabilimento di Melfi. Affrontare le questioni poste dalla loro vertenza (nella quale le contrapposte ragioni di azienda e sindacato s'incrociano con l'applicazione della giustizia) imponeva un percorso insidioso per chiunque. Anche per il "primo magistrato d'Italia". Che, per il momento, non ha potuto far altro se non "rimettersi" pure lui, "proprio per rispetto di quelle regole dello Stato di diritto" cui si erano riferiti i firmatari della lettera, all'autorità giudiziaria "chiamata a intervenire". Chiedendo alle parti in causa di fare altrettanto, in particolare alla "dirigenza Fiat", che ha sollecitato ad "ascoltare" il suo "vivissimo auspicio" e a fare in modo che il "grave episodio possa essere superato", nell'attesa di "una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria". Ecco: "l'auspicio", autorevole e moralmente argomentato, era l'unica forma retorica che Giorgio Napolitano era in grado di esprimere, ieri, non potendo entrare nel merito della prova di forza in corso nella fabbrica. Tuttavia il tono preoccupato ben oltre le frasi di circostanza, il "profondo rammarico per la tensione" creatasi a Melfi "in relazione ai licenziamenti", la comprensione personale per la "lesione della dignità" dei tre operai all'idea di "percepire la retribuzione senza lavorare", sono indizi della sua nota sensibilità ai temi del lavoro... Indizi che nella missiva sembrano disseminati consapevolmente. Quasi a dimostrare vicinanza alla parte debole, senza comunque far coltivare a nessuno l'illusione che il Quirinale possa esercitare il ruolo (in questo caso assolutamente improprio) di una sorta di Cassazione. Ciò che il capo dello Stato stavolta può fare, e fa, è invitare tutti a uno scatto di responsabilità. In primo luogo gli operai e i sindacati, certo, ma anche coloro che stanno ai vertici della Fiat, la "maggiore azienda manifatturiera italiana". Un impegno con lo scopo di "creare le condizioni per un confronto pacato e serio" sul futuro dell'impresa e "dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di un'aspra competizione sul mercato globale". Il suo pensiero, insomma, potrebbe essere tradotto così: dopo le asprezze su Pomigliano e dopo quest'ultimo braccio di ferro a Melfi, non sarebbe meglio imporsi tutti un nuovo impegno di moderazione? Marzio Breda 25 agosto 2010
2010-08-24 LA LETTERA DEL PRESIDENTE Napolitano alla Fiat: "Su Melfi rimettersi alla decisione dei giudici" Il Capo dello Stato sui tre operai licenziati e poi reintegrati: "Auspico che il grave episodio sia superato" * NOTIZIE CORRELATE * Fiat, i tre operai reintegrati tornano in fabbrica. Ma per loro vietato lavorare (23 agosto 2008) * Fiat di Melfi, "tre operai licenziati" Due di loro sono sindacalisti (14 luglio 2010) * Fiat, reintegrati i tre licenziati a Melfi (10 agosto 2010) * Fiat: gli operai reintegrati restino a casa (21 agosto 2010) LA LETTERA DEL PRESIDENTE Napolitano alla Fiat: "Su Melfi rimettersi alla decisione dei giudici" Il Capo dello Stato sui tre operai licenziati e poi reintegrati: "Auspico che il grave episodio sia superato" Altero Matteoli (Ansa) Altero Matteoli (Ansa) MILANO - "Bisogna rimettersi all'autorità giudiziaria". È questa la posizione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sulla vicenda dei tre operai licenziati a Melfi, reintegrati dal giudice ma ai quali la Fiat non ha permesso di riprendere il lavoro (pur garantendo l'ingresso in fabbrica). Il Capo dello Stato, nella lettera di risposta ai tre lavoratori (qui sul sito del Quirinale), esprime "vivissimo auspicio - che spero sia ascoltato anche dalla dirigenza della FIAT - che questo grave episodio possa essere superato, nell'attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria, e in modo da creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell'attività della maggiore azienda manufatturiera italiana e dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale". LA LETTERA DEI TRE OPERAI - Il Capo dello Stato ha dunque deciso di rispondere personalmente alla lettera inviata dai tre operai della Fiat. "Ci rivolgiamo a Lei, Presidente, perchè richiami i protagonisti di questa vicenda al rispetto delle leggi - avevano scritto Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli - per farci sentire lavoratori, uomini e padri". I tre operai si erano rivolti a Napolitano "perché nel suo ruolo di massima carica dello Stato sia da garanzia del rispetto della democrazia, della Costituzione e dello Stato di diritto in modo da ripristinare e garantire il libero esercizio dei diritti sindacali nonché dei diritti costituzionalmente riconosciuti a tutti, all'interno dello stabilimento Fiat Sata di Melfi". "Ci rivolgiamo a Lei, quale massima carica dello Stato e supremo garante della Costituzione - avevano scritto ancora Barozzino, Lamorte e Pignatelli - per sottoporre alla sua attenzione una vicenda, la cui eco da diversi giorni ha raggiunto tutti gli organi della stampa nazionale, che non lede soltanto i nostri diritti di cittadini e di lavoratori ma colpisce direttamente i diritti collettivi e generali degli operai e dello stesso sindacato a cui siamo iscritti". "Signor Presidente - scrivono i tre operai - per sentirci uomini e non parassiti di questa società vogliamo guadagnarci il pane come ogni padre di famiglia e non percepire la retribuzione senza lavorare. Questo non è mai stato un nostro costume, nè come semplici operai nè come delegati sindacali aziendali, avendo sempre svolto con diligenza e professionalità il nostro lavoro. La decisione della Fiat Sata di non reintegrarci nel nostro posto di lavoro è una palese violazione dell'articolo 28 della legge 300 del 1970 e della norma penale da esso richiamata. In uno Stato di diritto non dovrebbe essere neppure consentito di dichiarare a tutti (stampa compresa) di voler disattendere un provvedimento legalmente impartito dall'autorità giudiziaria con ciò mostrando disprezzo per la Costituzione e per le leggi civili e penali del nostro ordinamento giuridico". LA RISPOSTA DI NAPOLITANO- Non si è fatta attendere la risposta di Napolitano: "Cari Barozzino, Lamorte e Pignatelli, ho letto con attenzione la lettera che avete voluto indirizzarmi e non posso che esprimere il mio profondo rammarico per la tensione creatasi alla FIAT SATA di Melfi in relazione ai licenziamenti che vi hanno colpito e, successivamente, alla mancata vostra reintegrazione nel posto di lavoro sulla base della decisione del Tribunale di Melfi". "Anche per quest'ultimo sviluppo della vicenda - ricorda il Capo dello Stato - è chiamata a intervenire, su esplicita richiesta vostra e dei vostri legali, l'Autorità Giudiziaria: e ad essa non posso che rimettermi anch'io, proprio per rispetto di quelle regole dello Stato di diritto a cui voi vi richiamate. Comprendo molto bene come consideriate lesivo della vostra dignità "percepire la retribuzione senza lavorare". Il mio vivissimo auspicio - che spero sia ascoltato anche dalla dirigenza della FIAT - è che questo grave episodio possa essere superato, nell'attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria, e in modo da creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell'attività della maggiore azienda manifatturiera italiana e dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale". MATTEOLI - Sulla decisione della Fiat era intervenuto in precedenza anche il ministro dei Trasporti Altero Matteoli. "Le sentenze vanno rispettate anche quando non fanno piacere. Se il nostro Paese è uno Stato di diritto non lo può essere a fasi alterne. Qui c'è una sentenza e la sentenza deve essere rispettata": aveva affermato Matteoli nel corso di una conferenza stampa al Meeting di Rimini. Redazione online 24 agosto 2010
i tre operai licenziati scrivono a napolitano Matteoli alla Fiat: "Le sentenze vanno rispettate, anche quando non piacciono" Il ministro dei Trasporti: "Se il nostro Paese è uno Stato di diritto non lo può essere a fasi alterne" * NOTIZIE CORRELATE * Fiat, i tre operai reintegrati tornano in fabbrica. Ma per loro vietato lavorare (23 agosto 2008) * Fiat di Melfi, "tre operai licenziati" Due di loro sono sindacalisti (14 luglio 2010) * Fiat, reintegrati i tre licenziati a Melfi (10 agosto 2010) * Fiat: gli operai reintegrati restino a casa (21 agosto 2010) i tre operai licenziati scrivono a napolitano Matteoli alla Fiat: "Le sentenze vanno rispettate, anche quando non piacciono" Il ministro dei Trasporti: "Se il nostro Paese è uno Stato di diritto non lo può essere a fasi alterne" Altero Matteoli (Ansa) Altero Matteoli (Ansa) MILANO - La decisione della Fiat di non reintegrare i tre operai licenziati a Melfi, nonostante la decisione del giudice, non piace al ministro dei Trasporti Altero Matteoli. "Le sentenze vanno rispettate anche quando non fanno piacere. Se il nostro Paese è uno Stato di diritto non lo può essere a fasi alterne. Qui c'è una sentenza e la sentenza deve essere rispettata": ha affermato Matteoli nel corso di una conferenza stampa al Meeting di Rimini. LA LETTERA DEI TRE OPERAI NAPOLITANO - Intanto, come già annunciato lunedì, i tre operai della Fiat, prima licenziati e poi reintegrati, hanno scritto una lettera al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per spiegare la loro situazione. "Ci rivolgiamo a Lei, Presidente, perchè richiami i protagonisti di questa vicenda al rispetto delle leggi - scrivono - Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli - per farci sentire lavoratori, uomini e padri". I tre operai si sono rivolti a Napolitano "perchè nel suo ruolo di massima carica dello Stato sia da garanzia del rispetto della democrazia, della Costituzione e dello Stato di diritto in modo da ripristinare e garantire il libero esercizio dei diritti sindacali nonchè dei diritti costituzionalmente riconosciuti a tutti, all'interno dello stabilimento Fiat Sata di Melfi". "Ci rivolgiamo a Lei, quale massima carica dello Stato e supremo garante della Costituzione - scrivono ancora Barozzino, Lamorte e Pignatelli - per sottoporre alla sua attenzione una vicenda, la cui eco da diversi giorni ha raggiunto tutti gli organi della stampa nazionale, che non lede soltanto i nostri diritti di cittadini e di lavoratori ma colpisce direttamente i diritti collettivi e generali degli operai e dello stesso sindacato a cui siamo iscritti". "Signor Presidente - scrivono i tre operai - per sentirci uomini e non parassiti di questa società vogliamo guadagnarci il pane come ogni padre di famiglia e non percepire la retribuzione senza lavorare. Questo non è mai stato un nostro costume, nè come semplici operai nè come delegati sindacali aziendali, avendo sempre svolto con diligenza e professionalità il nostro lavoro. La decisione della Fiat Sata di non reintegrarci nel nostro posto di lavoro è una palese violazione dell'articolo 28 della legge 300 del 1970 e della norma penale da esso richiamata. In uno Stato di diritto non dovrebbe essere neppure consentito di dichiarare a tutti (stampa compresa) di voler disattendere un provvedimento legalmente impartito dall'autorità giudiziaria con ciò mostrando disprezzo per la Costituzione e per le leggi civili e penali del nostro ordinamento giuridico". Redazione online 24 agosto 2010
2010-08-23 l'azienda: "legittime le misure adottate". la fiom: pronti alla denuncia penale Fiat, i tre operai reintegrati tornano in fabbrica. Ma per loro vietato lavorare I lavoratori licenziati sono entrati nello stabilimento. Per l'azienda però possono solo svolgere attività sindacale * NOTIZIE CORRELATE * Fiat di Melfi, "tre operai licenziati" Due di loro sono sindacalisti (14 luglio 2010) * Fiat, reintegrati i tre licenziati a Melfi (10 agosto 2010) * Fiat: gli operai reintegrati restino a casa (21 agosto 2010) l'azienda: "legittime le misure adottate". la fiom: pronti alla denuncia penale Fiat, i tre operai reintegrati tornano in fabbrica. Ma per loro vietato lavorare I lavoratori licenziati sono entrati nello stabilimento. Per l'azienda però possono solo svolgere attività sindacale MILANO - I tre operai della Fiat reintegrati dal giudice del lavoro sono entrati nello stabilimento Fiat di Melfi ma non potranno svolgere attività lavorativa. A Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli sarà impedito l’accesso alle postazioni nella catena di montaggio, ma due di loro, delegati Fiom, potranno continuare a svolgere attività sindacale all'interno della fabbrica. I tesserini magnetici degli operai sono stati riattivati. Alle 13.30 i tre lavoratori - licenziati e poi riassunti dal giudice - hanno potuto varcare i tornelli della Fiat Sata di Melfi, fra gli applausi dei colleghi, ma sono stati bloccati dalla vigilanza interna che li ha invitati a seguirli nel loro gabbiotto. La decisione di far uscire gli operai è stata presa dai legali della Fiom, dopo che un avvocato e un ufficiale giudiziario sono entrati in fabbrica, dove hanno avuto conferma che la Fiat accetterebbe la loro presenza a patto che i tre occupino una saletta e svolgano solo attività sindacale, senza tornare al lavoro sulle linee di produzione. APPELLO A NAPOLITANO - "Lancio un appello al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: non ci faccia vergognare di essere italiani": lo ha detto ai giornalisti Giovanni Barozzino appena uscito dalla fabbrica e parlando anche a nome dei suoi altri due colleghi licenziati e poi reintegrati. "Vogliamo solo il nostro lavoro, come ha deciso il giudice", ha aggiunto Barozzino parlando ai cronisti. "Non vogliamo essere confinati in una saletta sindacale - ha aggiunto - che è distante centinaia di metri dalla fabbrica dove lavorano i nostri colleghi. Dalla saletta - ha concluso Barozzino - non potremmo parlare con nessuno. Per rivendicare i nostri diritti siamo disposti a venire in fabbrica ogni giorno". FIOM - La Fiom intanto ha proclamato due ore di sciopero, che si sono tenute dalle ore 14 alle 16, e ha chiesto anch'essa l'intervento del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e "di tutte le istituzioni democratiche". Il sindacato dei metalmeccanici della Cgil chiede a Napolitano e alle altre istituzioni "di intervenire presso la magistratura e ristabilire il principio costituzionale secondo cui la legge è uguale per tutti". "Fiat ci ha detto oggi che ai tre lavoratori è concesso di entrare fino alla saletta sindacale, continuando dunque a svolgere attività sindacale, ma non hanno accesso alla linea produttiva, non ottemperando così alla sentenza del tribunale che prevede il reintegro sul posto di lavoro", ha spiegato al telefono il responsabile auto della Fiom, Enzo Masini. "Abbiamo chiesto all'ufficiale giudiziario di verbalizzarlo e faremo una denuncia penale alla Fiat", ha aggiunto Masini, accompagnando all'uscita della fabbrica i tre operai non ammessi al lavoro dopo aver incontrato i rappresentanti di Fiat alla presenza del legale Fiom. LA REPLICA DELL'AZIENDA - La replica della Fiat non si è fatta attendere. In un nota in cui l'azienda sostiene di aver "doverosamente eseguito" il provvedimento di reintegro emesso dal Tribunale di Melfi, la Fiat si dice " fiduciosa che il Tribunale di Melfi, nel giudizio di opposizione, saprà ristabilire la verità dei fatti" e ribadisce "la ferma convinzione che siano pienamente legittimi i provvedimenti adottati nei confronti dei tre lavoratori licenziati e poi reintegrati dal giudice del lavoro. SACCONI - Sulla questione è intervenuto anche il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che ha detto che non intende entrare nel merito del contenzioso giuridico sul licenziamento e la sentenza di reintegrazione dei tre operai di Melfi, anche se si dice d'accordo con il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, che ha invitato la Fiat a reintegrare i lavoratori. Pressato dai giornalisti che al Meeting di Comunione e Liberazione, gli chiedevano un parere sulla questione Melfi, Sacconi ha volutamente distinto la dimensione giudiziaria della vicenda da quella politica. Una minoranza di lavoratori, secondo Sacconi, non può impedire agli altri di lavorare. "Sulla vicenda che riguarda alcune persone e per la quale ci sono processi giudiziari in corso - sono parole del ministro - non mi esprimo. Mi stupisco di coloro che che si stupiscono della prima sentenza. Sarebbe stata una novità una sentenza diversa. Rispetto la dimensione giudiziaria di questa vicenda, poi c'è una dimensione politica e mi dispiace non aver mai sentito la Fiom pronunciarsi su questa dimensione politica. Il giudice deve esaminare se c'è stato o meno sabotaggio, io non sono in grado di dire se c'era sabotaggio in quel caso. Può una minoranza di lavoratori impedire agli altri di lavorare avvicinandosi al Carrello che alimenta la produzione e bloccando la produzione? - chiede Sacconi - può esserci un atto di questo tipo anche nell'ambito di uno sciopero regolarmente programmato? Può esserci la possibilità da parte di una minoranza di bloccare il lavoro degli altri ?" E la risposta a queste domande retoriche non può essere che negativa ma sarebbe importante che anche la Fiom si esprimesse in linea teorica - e non sul caso specifico - condannando casi in cui pochi lavoratori impediscono il lavoro di tutti. "Sarebbe importante - ha sottolineato il ministro - che anche la Fiom" dicesse che "sul piano teorico non è giusto fermare un carrello". Redazione online 23 agosto 2010
L'intervento / la sfida sui 3 operai Melfi, perché questa volta Fiat sbaglia Il nodo è il rischio di paralisi del progetto per il veto di un sindacato minoritario * NOTIZIE CORRELATE * Fiat-lavoratori, muro contro muro (22 agosto 2010) L'intervento / la sfida sui 3 operai Melfi, perché questa volta Fiat sbaglia Il nodo è il rischio di paralisi del progetto per il veto di un sindacato minoritario Caro direttore, è davvero difficile capire il comportamento della Fiat a Melfi. Questo scontro sulla reintegrazione dei tre lavoratori licenziati pone al centro del dibattito una scelta nella quale l'azienda ha probabilmente torto, perché l'ordinanza cautelare del giudice deve essere rispettata integralmente, anche se la si ritiene sbagliata. Lo scontro di Melfi distoglie invece l'attenzione dell'opinione pubblica dalle questioni assai più importanti sollevate - con piena ragione, queste - dall'amministratore delegato della Fiat, quando ha proposto al nostro Paese il suo colossale piano industriale. Nella vertenza esplosa in seno allo stabilimento lucano l'azienda può forse avere ragione sul merito della questione: non si può affatto escludere - neppure il tribunale di Melfi, nella sua ordinanza del 9 agosto scorso, lo esclude - che effettivamente i tre sindacalisti durante lo sciopero del 7 luglio abbiano operato deliberatamente per ottenere il blocco dei carrelli automatici, in modo da paralizzare l'attività dello stabilimento, nonostante che la maggioranza dei lavoratori avesse rifiutato di aderire all'agitazione. Ma già la scelta del licenziamento, in un caso in cui avrebbe potuto adottarsi anche una sospensione disciplinare, ha l'effetto di radicalizzare lo scontro; ora non si comprende davvero la necessità dell'ulteriore inasprimento conseguente alla scelta di ottemperare in modo cavilloso all'ordine provvisorio del giudice (la direzione aziendale non impedisce ai tre licenziati l'ingresso in azienda, né l'esercizio da parte loro dell'attività sindacale, ma li esonera dalla prestazione lavorativa). Le stesse Cisl e Uil, che in questa vicenda appoggiano il piano industriale di Marchionne, sono messe in difficoltà da questa scelta dell'azienda. Vero è che la Fiat probabilmente annette all'episodio del blocco dei carrelli verificatosi durante lo sciopero del 7 aprile un significato di portata più generale, vedendo in esso la prima manifestazione di una guerriglia con cui la Fiom - pur minoritaria tra i dipendenti Fiat - potrebbe proporsi di impedire l'attuazione dell'accordo sul piano industriale, approvato dalla coalizione sindacale maggioritaria. E questo è proprio il nodo cruciale della questione che Marchionne ha il merito di aver posto apertamente all'Italia: non è pensabile che una multinazionale investa miliardi su di un piano industriale se questo è esposto al rischio di essere paralizzato dal veto di un sindacato minoritario. E non soltanto dal veto della Fiom, che qui rappresenta pur sempre un quinto dei lavoratori interessati, ma anche da quello del mini-sindacato o del comitato di base che ne rappresenti, in ipotesi, l'1 per cento. Non si può dimenticare che i Cobas alla Fiat di Pomigliano hanno proclamato lo "sciopero permanente dello straordinario" fino al 2014 e che, secondo il nostro diritto sindacale attuale (caso unico in Europa) qualsiasi dipendente potrà in qualsiasi momento aderire a questo sciopero, perché il patto di tregua contenuto nell'accordo per il nuovo piano industriale non vincola i singoli lavoratori: con questo si toglie ogni certezza di efficacia a una delle clausole che costituiscono la chiave di volta della nuova organizzazione del lavoro prevista dal piano. Se a questo aggiungiamo la guerriglia giudiziaria che, nel nostro ordinamento attuale, può essere scatenata anche contro altre clausole di importanza cruciale per il piano industriale (in quanto stipulate in deroga rispetto al contratto collettivo nazionale) si comprendono le ragioni di Marchionne, quando ci chiede di adeguare il nostro sistema di relazioni industriali rispetto agli standard dell'Occidente industrializzato. La sua richiesta esplicita e ruvida scandalizza chi, nella vecchia sinistra politica e in quella sindacale, è rimasto legato a un'idea del diritto di sciopero ispirata al modello della conflittualità permanente "anni '70". Invece l'amministratore delegato della Fiat ci fa un servizio prezioso: le altre multinazionali non perdono tempo a discutere di queste cose quando decidono di starsene alla larga dal nostro Paese. Se rifiutiamo di prendere sul serio quello che Marchionne ci propone, e che è normale in quasi tutti gli altri Paesi industrializzati, chiudiamo gli occhi su una delle cause principali (non l'unica, certo, ma sicuramente una delle più importanti) dell'incapacità dell'Italia di attirare gli investimenti stranieri: in Europa solo la Grecia fa peggio di noi, su questo piano. E dimentichiamo che correggere questo nostro difetto e aprirci agli investimenti delle multinazionali costituisce la leva più efficace di cui oggi possiamo disporre per ricominciare a crescere, dopo un quarto di secolo di stagnazione, fare crescere la domanda di lavoro e le retribuzioni. Pietro Ichino 23 agosto 2010
2010-08-04 al tavolo governo-azienda-sindacati Telecom, firmato l'accordo dopo 20 ore In mobilità volontaria 3.900 lavoratori L'intesa prevede anche riconversione professionale e contratti di solidarietà per oltre duemila dipendenti * NOTIZIE CORRELATE * Telecom, da lunedì via al piano esuberi Sacconi: "Difficile il dialogo sociale" (10 luglio 2010) * Unicredit annuncia 4.700 esuberi nel prossimo triennio (4 agosto 2010) al tavolo governo-azienda-sindacati Telecom, firmato l'accordo dopo 20 ore In mobilità volontaria 3.900 lavoratori L'intesa prevede anche riconversione professionale e contratti di solidarietà per oltre duemila dipendenti ROMA - È stato firmato l'accordo sugli esuberi Telecom al tavolo governo-azienda-sindacati. L'intesa, raggiunta dopo 20 ore di negoziato ininterrotto, prevede 3.900 uscite in mobilità volontaria nel triennio. Lo ha annunciato il segretario generale della Fistel Cisl, Vito Vitale. LE CIFRE - Degli esuberi previsti dal piano di Telecom: 3.900 (3.700 sono nuove e 200 sono rimanenze del precedente accordo del 2008) verranno collocati in mobilità volontaria e l'azienda fornirà un'integrazione per l'indennità fino a circa il 90%. Per altri 1.550 lavoratori (1.100 senza requisiti previdenziali e 450 della controllata Share service center) si utilizzeranno contratti di solidarietà e formazione per il ricollocamento in azienda. Per i 470 lavoratori che restano, impiegati nel numero 1254 per le informazioni telefoniche, è stato concordato un prolungamento del contratto di solidarietà firmato nel 2009. ALTRI PUNTI - Azienda e sindacati hanno trovato anche un'intesa per risolvere il problema dei 3.400 dipendenti già in mobilità che rischiano di rimanere scoperti per la mancanza di finestre per accedere alla pensione, dopo l'introduzione in manovra della finestra mobile. Per loro si è ottenuta la copertura del 90% della retribuzione per i periodi eventualmente scoperti. I lavoratori del "1254" avranno una proroga dei contratti di solidarietà per ulteriori due anni e un piano formativo di riqualificazione nonchè un ulteriore riutilizzo del telelavoro. Per Ssc è prevista l'attivazione di circa 470 contratti di solidarietà anche questi associati ad un piano formativo e che reintegri i lavoratori in altri settori di Telecom, oltre a prevederne l'internalizzazione dei processi di attività informatiche. Per 1.300 lavoratori che non hanno protezioni sociali ed erano, per l'azienda, esuberi strutturali è previsto un importante piano formativo che al termine del quale porterà ad una riqualificazione completa dei lavoratori per un loro utilizzo in altri settori strategici per l'azienda. Per i lavoratori ex Tils, attualmente non impiegati, grazie anche ai percorsi formativi previsti per i colleghi di altri settori/aziende, c'è l'impegno di riassunzione in Hr Service. Redazione online 04 agosto 2010
i tagli nel 2011-2013 Unicredit, previsti 4700 esuberi L'annuncio durante l'incontro tra l'ad Profumo e i sindacati sul piano di riorganizzazione i tagli nel 2011-2013 Unicredit, previsti 4700 esuberi L'annuncio durante l'incontro tra l'ad Profumo e i sindacati sul piano di riorganizzazione MILANO - Unicredit prevede di tagliare 4.700 posti di lavoro nel 2011-2013. Lo comunica il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni, dopo l'incontro tra l'amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, e i sindacati, in cui si è iniziato il confronto per definire il percorso teso a raggiungere l'obiettivo di tagli del personale previsto nel piano di riorganizzazione noto come Banca Unica. "EFFETTO MARCHIONNE" - Per Sileoni Unicredit è stata "contagiata" dall'"effetto Marchionne". Secondo il sindacalista, "il Gruppo Unicredit che dà un'informativa di 4.700 esuberi da realizzare nel triennio 2011-2013, di nuovi assetti inquadramentali, di nuova mobilità territoriale e professionale, di nuove flessibilità di ingresso sul lavoro, si pone politicamente e contrattualmente fuori da quella concertazione recentemente rivendicata dal nuovo presidente dell'Abi".
04 agosto 2010
2010-07-30 La newco non sarà iscritta all'Unione industriale di napoli. Epifani: "No ai ricatti" Pomigliano: nasce Fabbrica Italia, ma la Fiat non lascia Confindustria. Per 2 mesi Il Lingotto congela la disdetta il contratto nazionale dei metalmeccanici. Incontro tra azienda e sindacati * NOTIZIE CORRELATE * Fiat, Marchionne: "La Serbia non danneggia Mirafiori", "Possibile disdetta del contratto nel 2012" (28 luglio 2010) La newco non sarà iscritta all'Unione industriale di napoli. Epifani: "No ai ricatti" Pomigliano: nasce Fabbrica Italia, ma la Fiat non lascia Confindustria. Per 2 mesi Il Lingotto congela la disdetta il contratto nazionale dei metalmeccanici. Incontro tra azienda e sindacati Un momento dell'incontro a Torino tra sindacati e Fiat (Ansa) Un momento dell'incontro a Torino tra sindacati e Fiat (Ansa) TORINO - Da fine settembre tutti i lavoratori dello stabilimento Fiat di Pomigliano saranno riassunti dalla nuova società costituita per gestire l'accordo del 15 giugno, non firmato dalla Fiom. Fabbrica Italia non sarà iscritta all'Unione industriale di Napoli, ha riferito il segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo, al termine dell'incontro in cui l'azienda ha comunicato ufficialmente ai sindacati la nascita della nuova compagnia. Della società, controllata da Fiat Partecipazioni, faranno parte anche i mille lavoratori della Ergom, azienda dell'indotto. All'incontro non ha partecipato la Fiom. "La Fiat ci ha comunicato che sono già partiti tutti gli ordini relativi all'investimento per la Panda", ha spiegato Di Maulo, "e che già ad agosto cominceranno i lavori per la ripulitura dell'area che ospiterà la linea della vettura a partire dalla lastratura". A settembre saranno definite le regole contrattuali della newco e verrà sottoposta ai 5.200 lavoratori la lettera di riassunzione, man mano che ci saranno le esigenze produttive. Quindi, per un periodo, una parte dei dipendenti continuerà a far parte di Fiat Group Automobiles per produrre l'Alfa 159. SOSPESA DISDETTA CONTRATTO - La Fiat ha intento sospeso per due mesi la decisione sulla disdetta del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici e sull'uscita da Confindustria, dopo l'incontro di mercoledì tra l'amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne, e il presidente degli industriali, Emma Marcegaglia. Lo riferiscono fonti sindacali presenti all'incontro all'Unione industriali di Torino su Fabbrica Italia e lo conferma il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che a margine di un convegno ha affermato che la Fiat "non rinuncia a essere associata a Confindustria, non cerca strade al di fuori delle relazioni industriali". Alla riunione - sempre secondo quanto riferiscono i sindacati - la Fiat ha comunicato la disdetta degli accordi sul monte ore dei permessi sindacali negli stabilimenti di Pomigliano e di Arese. "Tutto questo marchingegno è fatto per difendere l'accordo di Pomigliano. Se la Fiom aderisse all'accordo di Pomigliano, non ce ne sarebbe bisogno", ha commentato Di Maulo (Fismic). "NUOVO MODELLO CONTRATTUALE" - Il ministro Maurizio Sacconi ha anche commentato le parole di Marchionne, che aveva chiesto ai sindacati un sì o un no sul piano. "L'incontro è stato molto positivo. Marchionne ha parlato a un sindacato, perché con gli altri si è già trovata un'intesa. Si va sempre più attuando un nuovo modello contrattuale, quello non a caso non sottoscritto dalla Cgil. Un modello che ci dice che il contratto nazionale è una cornice leggera di diritti, all'interno della quale ci deve essere molta duttilità tra le parti". Sacconi ha quindi lanciato un auspicio: "Si è creata una piattaforma riformista a cui partecipano le organizzazioni sindacali e mi auguro che la Cgil voglia riflettere sulla propria autoesclusione da questa piattaforma". EPIFANI: "DA MARCHIONNE UN RICATTO" - Quanto al principale sindacato italiano, ora messo ai margini del confronto, vanno rilevate le dichiarazioni del segretario, Guglielmo Epifani, che in un'intervista all'Unità ha evidenziato che "Marchionne chiede tutto in cambio di promesse fumose". "Noi siamo pronti a discutere - ha aggiunto -, ma da lui abbiamo ascoltato parole al limite del ricatto". Ovvoero, "se non fate quello che dico io, me ne vado altrove perché la Fiat è un gruppo mondiale e posso scegliere dove fabbricare. Non ci sono cambiamenti nel suo diktat, e né oggi, bisogna sottolinearlo, ci sono certezze sui volumi produttivi e sugli investimenti del gruppo in Italia". Epifani non condivide inoltre il teorema secondo cui il rifiuto da parte della Cgil di accettare il piano di Marchionne avrebbe portato l'azienda a spostare la produzione dei nuovi modelli in Serbia. "Non è vero - sostiene Epifani -. Lo stesso Marchionne ha detto che il trasferimento è stato deciso per una questione di tempi, perché Mirafiori non sarebbe stata pronta. La verità è che Marchionne continua a promettere investimenti che restano confusi, chiede una nuova organizzazione del lavoro, nuovi ritmi, deroghe alle leggi e al contratto nazionale, ma poi non c'è la certezza di cosa produrranno le fabbriche italiane". Redazione online 29 luglio 2010(ultima modifica: 30 luglio 2010)
2010-07-29 La newco non sarà iscritta all'Unione industriale di napoli. Epifani: "No ai ricatti" Pomigliano: nasce Fabbrica Italia, ma la Fiat non lascia Confindustria. Per 2 mesi Il Lingotto congela la disdetta il contratto nazionale dei metalmeccanici. Incontro tra azienda e sindacati * NOTIZIE CORRELATE * Fiat, Marchionne: "La Serbia non danneggia Mirafiori", "Possibile disdetta del contratto nel 2012" (28 luglio 2010) La newco non sarà iscritta all'Unione industriale di napoli. Epifani: "No ai ricatti" Pomigliano: nasce Fabbrica Italia, ma la Fiat non lascia Confindustria. Per 2 mesi Il Lingotto congela la disdetta il contratto nazionale dei metalmeccanici. Incontro tra azienda e sindacati Un momento dell'incontro a Torino tra sindacati e Fiat (Ansa) Un momento dell'incontro a Torino tra sindacati e Fiat (Ansa) TORINO - Da fine settembre tutti i lavoratori dello stabilimento Fiat di Pomigliano saranno riassunti dalla nuova società costituita per gestire l'accordo del 15 giugno, non firmato dalla Fiom. Fabbrica Italia non sarà iscritta all'Unione industriale di Napoli, ha riferito il segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo, al termine dell'incontro in cui l'azienda ha comunicato ufficialmente ai sindacati la nascita della nuova compagnia. Della società, controllata da Fiat Partecipazioni, faranno parte anche i mille lavoratori della Ergom, azienda dell'indotto. All'incontro non ha partecipato la Fiom. "La Fiat ci ha comunicato che sono già partiti tutti gli ordini relativi all'investimento per la Panda", ha spiegato Di Maulo, "e che già ad agosto cominceranno i lavori per la ripulitura dell'area che ospiterà la linea della vettura a partire dalla lastratura". A settembre saranno definite le regole contrattuali della newco e verrà sottoposta ai 5.200 lavoratori la lettera di riassunzione, man mano che ci saranno le esigenze produttive. Quindi, per un periodo, una parte dei dipendenti continuerà a far parte di Fiat Group Automobiles per produrre l'Alfa 159. SOSPESA DISDETTA CONTRATTO - La Fiat ha intento sospeso per due mesi la decisione sulla disdetta del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici e sull'uscita da Confindustria, dopo l'incontro di mercoledì tra l'amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne, e il presidente degli industriali, Emma Marcegaglia. Lo riferiscono fonti sindacali presenti all'incontro all'Unione industriali di Torino su Fabbrica Italia e lo conferma il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che a margine di un convegno ha affermato che la Fiat "non rinuncia a essere associata a Confindustria, non cerca strade al di fuori delle relazioni industriali". Alla riunione - sempre secondo quanto riferiscono i sindacati - la Fiat ha comunicato la disdetta degli accordi sul monte ore dei permessi sindacali negli stabilimenti di Pomigliano e di Arese. "Tutto questo marchingegno è fatto per difendere l'accordo di Pomigliano. Se la Fiom aderisse all'accordo di Pomigliano, non ce ne sarebbe bisogno", ha commentato Di Maulo (Fismic). "NUOVO MODELLO CONTRATTUALE" - Il ministro Maurizio Sacconi ha anche commentato le parole di Marchionne, che aveva chiesto ai sindacati un sì o un no sul piano. "L'incontro è stato molto positivo. Marchionne ha parlato a un sindacato, perché con gli altri si è già trovata un'intesa. Si va sempre più attuando un nuovo modello contrattuale, quello non a caso non sottoscritto dalla Cgil. Un modello che ci dice che il contratto nazionale è una cornice leggera di diritti, all'interno della quale ci deve essere molta duttilità tra le parti". Sacconi ha quindi lanciato un auspicio: "Si è creata una piattaforma riformista a cui partecipano le organizzazioni sindacali e mi auguro che la Cgil voglia riflettere sulla propria autoesclusione da questa piattaforma". EPIFANI: "DA MARCHIONNE UN RICATTO" - Quanto al principale sindacato italiano, ora messo ai margini del confronto, vanno rilevate le dichiarazioni del segretario, Guglielmo Epifani, che in un'intervista all'Unità ha evidenziato che "Marchionne chiede tutto in cambio di promesse fumose". "Noi siamo pronti a discutere - ha aggiunto -, ma da lui abbiamo ascoltato parole al limite del ricatto". Ovvoero, "se non fate quello che dico io, me ne vado altrove perché la Fiat è un gruppo mondiale e posso scegliere dove fabbricare. Non ci sono cambiamenti nel suo diktat, e né oggi, bisogna sottolinearlo, ci sono certezze sui volumi produttivi e sugli investimenti del gruppo in Italia". Epifani non condivide inoltre il teorema secondo cui il rifiuto da parte della Cgil di accettare il piano di Marchionne avrebbe portato l'azienda a spostare la produzione dei nuovi modelli in Serbia. "Non è vero - sostiene Epifani -. Lo stesso Marchionne ha detto che il trasferimento è stato deciso per una questione di tempi, perché Mirafiori non sarebbe stata pronta. La verità è che Marchionne continua a promettere investimenti che restano confusi, chiede una nuova organizzazione del lavoro, nuovi ritmi, deroghe alle leggi e al contratto nazionale, ma poi non c'è la certezza di cosa produrranno le fabbriche italiane". Redazione online 29 luglio 2010
2010-07-28 a Torino il tavolo tra Governo, azienda, sindacati ed enti locali Fiat, Marchionne: "Serbia non danneggia Mirafiori" "Possibile la disdetta del contratto di lavoro nel 2012" Cgil, Cisl e Uil:"Non si spostino stabilimenti all'estero" * NOTIZIE CORRELATE * Marchionne, avanti dopo lo strappo. "La strategia? Solo vendere auto" (23 luglio 2010) * C'è l'accordo, la Panda andrà a Pomigliano (10 luglio 2010) a Torino il tavolo tra Governo, azienda, sindacati ed enti locali Fiat, Marchionne: "Serbia non danneggia Mirafiori" "Possibile la disdetta del contratto di lavoro nel 2012" Cgil, Cisl e Uil:"Non si spostino stabilimenti all'estero" (Infophoto) (Infophoto) TORINO - La Fiat è pronta a "disdettare il contratto alla scadenza". E poi, "il trasferimento in Serbia non danneggia Mirafiori". Parole dell' aministratore delegato Sergio Marchionne, che ha anche confermato il piano "Fabbrica Italia". "Siamo l'unica azienda - ha detto - ad investire 20 miliardi nel Paese. Le nostre non sono minacce, ma non siamo disposti a mettere a rischio la sopravvivenza dell'azienda. Dobbiamo avere garanzie che gli stabilimenti possano funzionare". Sono ore cruciali per il destino della Fiat e, di conseguenza, per la politica industriale del Paese. Queste frasi Marchionne le ha infatti pronunciate nella sala della Giunta regionale, in Piazza Castello a Torino, durante il tavolo tra Governo, azienda, sindacati ed enti locali per discutere del futuro degli investimenti del Lingotto, dopo la decisione di trasferire la produzione della monovolume in Serbia. "SERVE UN Sì O UN NO" - La questione, secondo Marchionne, è semplice: "Ci sono solo due parole che al punto in cui siamo richiedono di essere pronunciate: una è sì, l'altra è no". "Sì - spiega - vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana, no vuol dire lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui ad essere inefficiente e inadeguato a produrre utile e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro. Se si tratta solo di pretesti per lasciare le cose come stanno è bene che ognuno si assuma la propria responsabilità, sapendo che il progetto "Fabbrica Italia" non può andare avanti e che tutti i piani e gli investimenti per l'Italia verranno ridimensionati". POSSIBILE LA DISDETTA DEL CONTRATTO - La Fiat potrebbe lasciare Confindustria e disdettare il contratto di lavoro dei metalmeccanici, però solo alla sua scadenza fissata al 2012. "Si parla molto della possibilità che Fiat decida la disdetta dalla Confindustria e - ha detto Marchionne - quindi dal contratto dei metalmeccanici alla sua scadenza. Sono tutte strade praticabili, di cui si discuterà al nuovo tavolo convocato con il sindacato nazionale". Marchionne ha aggiunto che "se è necessario siamo disposti anche a seguire queste strade ma - ha concluso - non è questa la sede per entrare nei dettagli". Sì DELLA CISL - "Noi diciamo a Marchionne che per la Cisl la risposta è sì. Senza se e senza ma. E questo vale anche per l'accordo su Pomigliano" ha detto il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, rispondendo all'ultimatum dell'amministratore delegato del Lingotto. "Ma - aggiunge il leader della Cisl - vogliamo che Marchionne faccia chiarezza sul fatto che le modalità dell'investimento rimarranno nel perimetro delle regole del nuovo sistema contrattuale che abbiamo costruito". Il tavolo a Torino (Ansa) Il tavolo a Torino (Ansa) I PRESENTI - Alla riunione hanno partecipato tutti quelli che erano annunciati: il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, i leader di Cgil, Cisl e Uil, Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, i segretari generali di Fiom, Fim, Uilm, Fismic e Ugl. Presenti anche i rappresentanti delle istituzioni locali, il presidente della Regione Roberto Cota, della Provincia Antonio Saitta e il sindaco di Torino Sergio Chiamparino. ANGELETTI: "LA PRODUZIONE RESTI IN ITALIA" - Per Angeletti, leader Uil, "noi oggi vogliamo riconquistare certezza e tranquillità che la produzione resti in Italia. A Mirafiori si devono fare vetture paragonabili alla "LO" o, meglio, anche di gamma più alta". Il segretario della Cgil Epifani torna anche su Pomigliano: "La cosa migliore prima di avventurarci su strade che non si sa dove possano portare è andare al confronto con la Fiom e lavorare per trovare una mediazione". Il leader della Cisl Bonanni ha invece invitato Fiat "a non perdere di vista che "Fabbrica Italia" non deve essere fatta a ’mo’ di caserma’ ma deve essere fatta in una realtà dove c’è coesione sociale, partecipazione e serenità: chi si pone fuori da questo si pone fuori da solo". EPIFANI INSODDISFATTO: "GESTIAMO IL DISSENSO" - La Cgil non vuole conflitti permanenti ed è assolutamente interessata agli investimenti di Fiat in Italia. Lo ha detto Guglielmo Epifani. "Serve lavorare insieme a questo obiettivo senza carri armati riprendendo il confronto e gestendo l'eventuale dissenso. Non abbiamo avuto mai problemi a saturare gli impianti i Italia", ha commentato il leader Cgil. Epifani si chiede però il perché della delocalizzazione in Serbia: sarà "per convenienza economica, perché a Mirafiori non c'è un problema di gestione dell'azienda". "Nessuno vuole una conflittualità permanente - aggiunge - e il sindacato ha contribuito a salvare il gruppo. Se fosse stato riconosciuto il premio di risultato, questo sarebbe stato un segnale positivo". La Cgil chiede anche alla Fiat di "riaprire il confronto, a partire da Pomigliano, per trovare una soluzione condivisa tra tutti". A ribadire la richiesta è stato il segretario generale Guglielmo Epifani nel corso di una conferenza stampa al termine dell’incontro. Epifani si è detto "insoddisfatto" per l’esito della riunione che si è svolta nella sede della Regione Piemonte a Torino. Ma ha assicurato che "la Cgil è disponibile a fare questo passo" per trovare una soluzione condivisa per quanto riguarda tutti gli impianti italiani del Lingotto. "Ma chiediamo alla Fiat - ha proseguito il leader della Cgil - di fare un passo nella stessa direzione. Noi siamo pronti a risolvere i problemi nel rispetto dei contratti, delle leggi e della Costituzione. Per ora non ci sono state risposte. Spero che nelle prossime ore l’azienda rifletta con un’assunzione esplicita di responsabilità e buon senso". CHIAMPARINO: "PIANO INSOSTENIBILE SENZA MIRAFIORI" - Il piano industriale "sarebbe insostenibile se dovesse venire meno Mirafiori dal punto di vista sociale ed economico" ha detto il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, intervenendo al tavolo presso la sede della Regione. 28 luglio 2010
La pigrizia di un sistema La pigrizia di un sistema La tambureggiante iniziativa di Sergio Marchionne, dopo aver affrontato i temi della contrattazione sindacale e della localizzazione degli impianti, è giunta al nodo della rappresentanza. L’ipotesi di disdettare o, come sembra, di derogare al contratto è destinata ad esercitare un impatto dirompente sul sistema delle relazioni industriali e sulla stessa "costituzione economica" italiana, incardinata ancora sul binomio grande impresa-grande sindacato. È evidente che quel format non tiene più, non fotografa un Paese che ha acquistato una maggiore articolazione delle competenze e del lavoro in virtù della presenza di quattro milioni e mezzo di imprese, otto milioni di partite Iva e due milioni di professionisti. Ora però la contestazione di quel format viene anche dall’interno, è la Fiat a picconarlo, forse definitivamente. Bisognava in qualche maniera presagirlo perché la figura e il curriculum di Marchionne segnavano una evidente discontinuità con i suoi predecessori e con la grande cultura industriale torinese del secolo scorso. In linea di principio rimescolare le carte, porsi domande nuove, non può che far del bene a un sistema di regole e di valori divenuto anacronistico. Pensiamo ai bizantinismi di quei congressi sindacali che durano mesi e alla fine si concludono con l’approvazione di pasticciate e deludenti mozioni. Pensiamo anche a certi convegni confindustriali privi di indicazioni forti e retrocessi loro malgrado a test del gradimento del politico di turno. Molti di questi riti, di queste ipocrisie — e l’elenco potrebbe essere lungo — hanno fatto il loro tempo ma limitarsi a sostenere che oportet ut Marchionne eveniant, che è bene che le contraddizioni esplodano, non può bastare. Per quello che i posti di lavoro nell’auto e nell’indotto rappresentano per un’Italia affamata di occupazione c’è bisogno anche di delineare una pars construens. I modernizzatori che vogliono lasciare il segno abbattono il vecchio ma contribuiscono ad edificare il nuovo. E francamente l’idea di una società totalmente liquida, in cui i decisori scelgono di volta in volta sulle convenienze del momento, non costituisce la ricetta vincente. In fondo non deve pensarlo neanche Marchionne, se ha imbarcato nell’operazione di rilancio di Detroit il sindacato Uaw direttamente come azionista. I soggetti della rappresentanza dunque contano e, se vogliono, possono spostare anche le montagne. Se poi dalle vicende dell’auto ci spostiamo a considerare più in generale l’evoluzione della competizione globale non è pensabile che alla sfida cinese— basata su un mix formidabile fatto di capitalismo illiberale, strenua difesa degli interessi nazionali, assenza di vincoli e diritti — si possa rispondere con società atomizzate, totalmente prive di un'idea sistemica. Sarebbe un suicidio. È quindi più che legittimo chiedersi cosa c’è dietro la curva, cosa si deve attendere non solo il mondo delle tute blu ma anche l’intera industria della componentistica che— non va dimenticato — in Italia vale 3-4 volte il fatturato del solo settore automobilistico. Fortunatamente nella società italiana, complice la Grande Crisi, accanto alle pigrizie vanno registrate anche segnali di novità. La recessione ha mostrato come stia crescendo, principalmente nelle Pmi e nel Nord Est, una complicità tra aziende e lavoratori che già si è dimostrata una risorsa importante e sulla quale si può investire. Sperando che un giorno alla testa della Cgil arrivi un Lama delle piccole imprese. Conosco già l’obiezione. Il capo della Fiat un modello in verità lo sta indicando e l’obiettivo dell’operazione è creare in Italia un sindacato all’americana. Purtroppo però se per gli esseri umani i trapianti si sono dimostrati una straordinaria occasione di allungamento della vita, la stessa cosa non avviene per le società. L’innesto di una tradizione totalmente diversa assai difficilmente riesce a produrre risultati positivi, molto più spesso genera l’indistinto. Se proprio vogliamo cercare dei modelli, dei punti di riferimento, è evidente che dobbiamo guardare alla tradizione sindacale tedesca e a quel tipo di "complicità organizzata". Agli occhi di un manager globale, legato a un timing stringente di decisioni, queste potranno apparire digressioni ma le forze che più si sono battute per modernizzare, a cominciare da Cisl e Uil, hanno bisogno di capire. Alla peggio si può imparare a vivere senza la Fiat, ma non si può vivere senza sapere in quale direzione spingere. Fortunatamente nella società italiana, complice la Grande Crisi, accanto alle pigrizie vanno registrate anche segnali di novità. La recessione ha mostrato come stia crescendo, principalmente nelle Pmi e nel Nord Est, una complicità tra aziende e lavoratori che già si è dimostrata una risorsa importante e sulla quale si può investire. Sperando che un giorno alla testa della Cgil arrivi un Lama delle piccole imprese. Conosco già l’obiezione. Il capo della Fiat un modello in verità lo sta indicando e l’obiettivo dell’operazione è creare in Italia un sindacato all’americana. Purtroppo però se per gli esseri umani i trapianti si sono dimostrati una straordinaria occasione di allungamento della vita, la stessa cosa non avviene per le società. L’innesto di una tradizione totalmente diversa assai difficilmente riesce a produrre risultati positivi, molto più spesso genera l’indistinto. Se proprio vogliamo cercare dei modelli, dei punti di riferimento, è evidente che dobbiamo guardare alla tradizione sindacale tedesca e a quel tipo di "complicità organizzata". Agli occhi di un manager globale, legato a un timing stringente di decisioni, queste potranno apparire digressioni ma le forze che più si sono battute per modernizzare, a cominciare da Cisl e Uil, hanno bisogno di capire. Alla peggio si può imparare a vivere senza la Fiat, ma non si può vivere senza sapere in quale direzione spingere. Dario Di Vico 28 luglio 2010
2010-07-27 La compagnia è interamente controllata dal Lingotto. gIOVEDì L'INCONTRO COI SINDACATI Fiat, nuova società per Pomigliano Si chiama Fabbrica Italia ed è stata iscritta al Registro delle imprese di Torino. Marchionne è il presidente * NOTIZIE CORRELATE * Marchionne, avanti dopo lo strappo. "La strategia? Solo vendere auto" (23 luglio 2010) * C'è l'accordo, la Panda andrà a Pomigliano (10 luglio 2010) La compagnia è interamente controllata dal Lingotto. gIOVEDì L'INCONTRO COI SINDACATI Fiat, nuova società per Pomigliano Si chiama Fabbrica Italia ed è stata iscritta al Registro delle imprese di Torino. Marchionne è il presidente Sergio Marchionne Sergio Marchionne MILANO - Si chiama Fabbrica Italia Pomigliano ed è stata iscritta al Registro delle Imprese della Camera di Commercio di Torino il 19 luglio. È controllata al 100% da Fiat Partecipazioni, ha un capitale di 50mila euro e il presidente è Sergio Marchionne. Si tratta di un atto formale previsto dal piano di rilancio dello stabilimento e che consente di superare l'impasse creata dalla mancata firma da parte della Fiom. LO STATUTO - L'oggetto sociale della newco è "l'attività di produzione, assemblaggio e vendita di autoveicoli e loro parti. A tal fine può costruire, acquistare, vendere, prendere e dare in affitto o in locazione finanziaria, trasformare e gestire stabilimenti, immobili e aziende". Inoltre la società "può compiere le operazioni commerciali, industriali, immobiliari e finanziarie, queste ultime non nei confronti del pubblico, necessarie o utili per il conseguimento dell'oggetto sociale, ivi comprese l'assunzione e la dismissione di partecipazioni ed interessenze in enti o società, anche intervenendo alla loro costituzione". PROGETTO PANDA - La nascita di Fabbrica Italia Pomigliano è un passo preliminare per la costituzione di una nuova società, una new company in cui riassumere, con un nuovo contratto, i 5.000 lavoratori attuali della fabbrica campana. Si tratta del progetto Futura Panda a Pomigliano, per il quale la Fiat ha raggiunto un accordo con i sindacati il 15 giugno, non firmato dalla Fiom. SINDACATI CONVOCATI GIOVEDI' - La Fiat ha intanto convocato i sindacati metalmeccanici giovedì all'Unione Industriale di Torino, alle 9,30. All'ordine del giorno - secondo i sindacati - dovrebbe essere la comunicazione della disdetta degli accordi vigenti e, in particolare, del contratto nazionale di lavoro. Si parlerà inoltre di Pomigliano con i sindacati che hanno firmato l'intesa del 15 giugno. A questa seconda parte dell'incontro non dovrebbe quindi partecipare la Fiom. FIM E UILM: "CONTRATTO NAZIONALE NON SI TOCCA" - La parola d'ordine dei sindacati, su questo tema, torna a essere unitaria: il contratto nazionale non si tocca. L'ipotesi secondo cui la Fiat, dopo la nascita di Fabbrica Italia, avrebbe intenzione di uscire da Federmeccanica e disdire il contratto nazionale di lavoro che regola il rapporto con i suoi dipendenti ha messo in allarme i sindacati di categoria. Non solo la Fiom che a partire dalla vertenza su Pomigliano si è posizionata sulla linea del "no" alle richieste dell'azienda, ma anche la Fim e la Uilm che invece quell'intesa l'hanno sostenuta, negoziata e firmata. La vigilia del tavolo a Torino tra le parti diventa quindi sempre più tesa. E mentre dalle tute blu della Cgil già si grida al "più grave attacco ai diritti dei lavoratori dal 1945 a oggi", la linea dei "colleghi" resta più equilibrata ma ugualmente chiara: vanno bene le richieste contenute nell'accordo su Pomigliano, passi anche la creazione di una newco - è il senso del discorso di Fim e Uilm - ma assolutamente non si può prescindere dall'intesa che regola il lavoro di tutte le fabbriche metalmeccaniche. Comunque, secondo il leader della Uilm, Rocco Palombella la costituzione di una newco per lo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco "non significa che c’è un percorso automatico secondo il quale l’azienda deciderà di disdettare il contratto nazionale di categoria". FIOM: "SCELTE GRAVI" - Di diverso avviso la Fiom: "E’ in atto il tentativo di cancellare e superare il contratto nazionale, il diritto alla contrattazione collettiva in fabbrica". E’ quanto denuncia il segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, che all’assemblea nazionale dei delegati di Unionmeccanica-Confapi a Reggio Emilia ha sottolineato che "siamo di fronte a un’accelerazione di questo processo, si deciderà nei prossimi mesi. Non avremmo quindi nessun secondo tempo per prendere delle decisioni. Chi pensava a successive verifiche, deve fare i conti con questa accelerazione. Se viene confermata l’ipotesi della newco a Pomigliano - ha proseguito Landini - e la non applicazione del contratto dei metalmeccanici, si tratterebbe di una scelta grave e non motivata da problemi di produttività. Redazione online 27 luglio 2010
2010-07-25 Chiamparino: "Da Marchionne disponibilità senza facili ottimismi" Berlusconi: "Fiat libera di produrre dove vuole, spero non a scapito dell'Italia" "La nostra è libera economia in libero Stato" E il ministro Saccconi convoca i sindacati a Torino Chiamparino: "Da Marchionne disponibilità senza facili ottimismi" Berlusconi: "Fiat libera di produrre dove vuole, spero non a scapito dell'Italia" "La nostra è libera economia in libero Stato" E il ministro Saccconi convoca i sindacati a Torino MILANO - La Fiat è libera di produrre dove meglio crede, ma si spera che questo non vada a scapito dei lavoratori italiani. Lo ha detto Silvio Berlusconi rispondendo a una domanda nel corso della conferenza stampa con il presidente russo Dmitri Medvedev - parlando della decisione Fiat di spostare alcune produzioni in Serbia. "In una libera economia e in un libero Stato, un gruppo industriale è libero di collocare dove è più conveniente la propria produzione", ha affermato il presidente del Consiglio. "Mi auguro soltanto che questo non accada a scapito dell'Italia e degli addetti italiani a cui la Fiat offre il lavoro". CHIAMPARINO - Secondo il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, non intenderebbe "pregiudicare quella 'T' che nell'acronimo Fiat rimanda a Torino". Il sindaco lo ha detto in Consiglio comunale dopo aver parlato per telefono con Marchionne e con il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. "A Marchionne ho chiesto che si possa affrontare il nodo Mirafiori e mi è sembrato di trovare da parte sua ampia disponibilità", ha reso noto il sindaco del capoluogo piemontese. "Dico questo senza indulgere a facili ottimismi". Quanto a Sacconi "ho apprezzato molto il suo gesto", ha detto Chiamparino riferendosi al tavolo che il ministro intende aprire. "Gli ho detto che però su quel tavolo deve mettere qualcosa in più della sua disponiblità. Non possiamo, né dobbiamo fare come la Serbia, e non aggiungo altro. Ma senza politica industriale non si va da nessuna parte". SACCONI CONVOCA I SINDACATI - L'atteso intervento del governo sulla questione Fiat non si è fatto attendere. Il ministro del Welfare Sacconi ha convocato i vertici delle organizzazioni sindacali per mercoledì prossimo, 28 luglio. L'ASSIST DI BONDI - Il ministro de Beni Culturali Sandro Bondi, coordinatore del Pdl, interviene in soccorso dei vertici Fiat pressati dai sindacati sul piede di guerra:"Marchionne non deve essere lasciato solo di fronte alle sfide innovative di cui è protagonista in Italia e nel mondo. La classe politica e soprattutto i sindacati siano all'altezza di queste sfide, pena il decadimento del nostro paese". L'AVVISO DI BONANNI - "La Fiat deve fare chiarezza su tutto il progetto "Fabbrica Italia". Per questo all'amministratore delegato Marchionne diciamo: fermi le bocce, faccia luce sugli investimenti dell'azienda ed avvii una discussione aperta col sindacato, per tutti gli stabilimenti del Lingotto". E' la replica del leader della Cisl, Raffaele Bonanni, alle voci sul trasferimento della produzione in Serbia. "Occorre che la Fiat precisi il numero ed i nuovi modelli delle autovetture che intende produrre negli stabilimenti in Italia. Non aiutano in questo momento la confusione e le polemiche. Bisogna evitare di alimentare su questa delicata vicenda sindacale le strumentalizzazioni politiche che rischiano di scaricarsi sulla pelle dei lavoratori", conclude il sindacalista. Redazione online 23 luglio 2010(ultima modifica: 24 luglio 2010)
sindacati: "Qualcuno dovrebbe imparare la differenza tra democrazia e anarchia" Marchionne, avanti dopo lo strappo "La strategia? Solo vendere auto" "Siamo un'azienda, non possiamo essere vittime di altre logiche" sindacati: "Qualcuno dovrebbe imparare la differenza tra democrazia e anarchia" Marchionne, avanti dopo lo strappo "La strategia? Solo vendere auto" "Siamo un'azienda, non possiamo essere vittime di altre logiche" Sergio Marchionne Sergio Marchionne MILANO — Sta ad Auburn Hills. E tace. Ma non si dica che è perché ha in mente soltanto Chrysler. Né si pensi che, annunciando la decisione di spostare da Mirafiori alla Serbia il prossimo investimento, ha solo buttato un sasso. Si commetterebbe lo stesso errore già visto con Termini Imerese. Ci vollero mesi, ci volle il fatto compiuto prima che politica e sindacati capissero che Sergio Marchionne non bluffava, che sarebbe bastata una manciata di incentivi e via, tranquilli, la Fiat avrebbe rinunciato a chiudere l'anticompetitivo stabilimento siciliano. La doccia fu fredda allora. Rischia di essere ben più gelata oggi. La mossa serba — e quelle che ancora potrebbero seguire — comunicata l'altro ieri dal numero uno di Fiat e Chrysler non era del tutto imprevedibile. Bastava leggere le sue parole e, forse persino di più, i suoi silenzi. Si è brindato, anche in quel governo che oggi chiede ad alta voce "tavoli", all'accordo su Pomigliano come se bastasse quell'intesa a spazzare via tutte le difficoltà. Se ne è fatta — pure nell'industria e nel sindacato — una bandiera politica: per l'isolamento Fiom da un lato, per una riesumazione della "lotta di classe" dall'altro. Le questioni industriali, di competitività e sopravvivenza di un'azienda e di chi ci lavora, di sviluppo di un Paese in quel manifatturiero che ne è sempre stato l'unico concreto punto di forza non sono mai davvero finite in primo piano. E quello, invece, era "il" piano di Marchionne. Cui non piace essere tirato politicamente per la giacca. Non la porta apposta. Si è sgolato, anche dagli Usa, a dire: "La Fiat non fa politica. La Fiat fa automobili. E le deve vendere. Non può essere vittima di altre logiche". L'ha fatto ripetendo che l'arena per il Lingotto è il mondo aperto, non i salotti chiusi nelle ritualità italiane. Ci ha aggiunto che, però, poiché italiane restano le radici, qui rimane pronto a puntare 20 miliardi di investimento su 30. Senza chiedere un cent allo Stato ma a patto — e non è richiesta di ieri — che tutti facessero la loro parte. Qualcuno ha risposto. Qualcun altro no. E poiché un'altra delle cose dette subito era che Pomigliano sarebbe stata il primo tassello e perciò il test cruciale per "Fabbrica Italia", si stupisce oggi, Marchionne, che la mossa serba stupisca. Dice ancora in questi giorni: "Io mi sono messo in gioco, e nel mio impegno non è cambiato nulla". Nel senso che è ancora pronto a rispettare il progetto "Fabbrica". Però non è un mistero che, fosse stato per lui, la scommessa su Pomigliano l'avrebbe fermata subito dopo il referendum e i quattro "no" ogni dieci lavoratori. Non è un caso che abbia aspettato un mese per confermare l'accordo "separato". Si è deciso, alla fine, perché la larga maggioranza del sindacato (e "a qualcuno occorrerebbe insegnare la differenza tra democrazia e anarchia") aveva fatto la battaglia con lui: sconfessarli avrebbe voluto dire mettere una pietra tombale sulle relazioni industriali Fiat in Italia. Gli è sempre stato chiaro, però, che le minacce di "ingovernabilità delle fabbriche", tutte, avrebbero con poco potuto bloccare tutto. Perciò ha usato il pugno di ferro. Magari la causa dei tre operai licenziati a Melfi perché bloccando un carrello hanno bloccato l'intera linea la perderà. Magari dovrà reintegrare anche il dipendente di Termoli che, chiesto un permesso ("Retribuito dall'azienda", sottolinea) per curare la figlia, è stato scoperto sui giornali a manifestare contro quella stessa azienda. Ma a chiedergli se non stia esagerando, la risposta è ovvia: "Se tollero una volta ho il caos assoluto, non gestisco più niente". Ecco. Il nodo è questo. Microscioperi e microconflittualità ovunque, da settimane, e se adesso tanto il mercato non tira, quali saranno i danni — è il ragionamento — quando si tornerà a pieno ritmo? "Non posso far correre alla Fiat rischi non necessari, salterebbe tutto, lavoro per primo". E perché dovrei — continua il ragionamento — quando oltretutto produrre qui mi costa di più ma non chiedo un cent, mentre in Serbia, Polonia, Brasile, Messico, Usa alla Fiat "farebbero ponti d'oro" e a garantire la governabilità sono i sindacati stessi? E non sindacati qualsiasi: i mastini della Uaw in America, quella Solidarnosc che ha buttato giù il regime in Polonia? Alla fine, si può mettere così. Anche i 350 milioni che vanno a Kragujevac anziché a Mirafiori sono un test. Se in Italia, dice, si tratta anche duro ma si capisce quel che ha capito per esempio la Uaw, Fabbrica Italia potrà ripartire, quel che ora va in Serbia a Mirafiori potrà tornare "magari con l'Alfa". Sennò, pure Kragujevac sarà un primo tassello. Ma del "piano B" e di un'altra "Fabbrica". Fiat Mondo. Raffaella Polato 23 luglio 2010
2010-07-22 Fiat, "Fabbrica Italia" perde pezzi I fondi per Mirafiori? In Serbia Paura dell'"effetto Pomigliano", a Kragujevac l'erede di Musa, Idea e Multipla LA STRATEGIA Fiat, "Fabbrica Italia" perde pezzi I fondi per Mirafiori? In Serbia Paura dell'"effetto Pomigliano", a Kragujevac l'erede di Musa, Idea e Multipla Sergio Marchionne Sergio Marchionne DAL NOSTRO INVIATO AUBURN HILLS (Michigan) — L'impegno è ribadito, su Pomigliano il Lingotto va avanti. Ma lì si ferma, per ora, la costruzione di Fabbrica Italia. Troppi blocchi, polemiche, soprattutto troppe le minacce targate Fiom (e i relativi primi assaggi) di "ingovernabilità degli stabilimenti". Risultato: la tabella di marcia degli investimenti Fiat prosegue come da previsioni, il secondo passo scatta subito, però non da noi. Le linee della "L-0" — nome in codice dell'auto che sostituirà Musa, Idea, Multipla — erano previste a Mirafiori. Andranno in Serbia. Insieme ai 350 milioni che Sergio Marchionne avrebbe voluto impiegare a Torino e che invece, adesso, saranno "dirottati" a Kragujevac. Dove, peraltro, il Lingotto potrà contare su fondi aggiuntivi destinati al rinnovo totale degli impianti. Non un euro di "aiuto" sarebbe stato chiesto al governo italiano. Duecentocinquanta milioni saranno, per contro, messi sul piatto dalle autorità di Belgrado. Duecentocinquanta milioni che, insieme ai 400 di finanziamenti Bei ottenibili per il lancio dello stabilimento, portano il totale a quota un miliardo. Non sono però i soldi pubblici a fare la differenza. L'offerta di Belgrado e l'accessibilità alla somma Bei erano sul tavolo anche quando, per il progetto "L-0", il Lingotto aveva scritto Mirafiori alla voce impianto di produzione. Poi c'è stata la battaglia per Pomigliano. C'è stato - e c'è - l'"ostruzionismo" Fiom. E se lì non si torna indietro, "confermiamo l'impegno preso con i sindacati che vogliono garantire la produzione della Panda, faremo insieme tutto il possibile per arrivare alle 270 mila auto previste", Marchionne non è disposto a correre altri rischi sul resto. La mossa serba "non è — precisa da Auburn Hills, nell'incontro con gli analisti subito dopo il consiglio trimestrale-spin-off — un ritiro dal progetto Fabbrica Italia". Però, aggiunge, "decideremo impianto per impianto". Perché è inutile girarci intorno, il braccio di ferro con la Fiom rischia ("non per volontà nostra né degli altri sindacati") di inceppare il meccanismo. E se già a Pomigliano ci sono 700 milioni di investimenti ormai avviati, ma che potrebbero finire "bruciati" se l'accordo con Fim, Fismic, Uil e Ugl venisse vanificato da una catena di microconflitti, Marchionne vuole vedere come si evolverà la situazione. Vuole essere certo di "poter fare, tra un anno e mezzo, tutte le 270 mila Panda senza stop e senza interruzioni". Dunque: "Fino a quando la situazione non si sarà sbloccata con assoluta chiarezza", il piano da 20 miliardi di investimenti in Italia sarà deciso step by step, passo dopo passo, singolo impianto per singolo impianto. È perfettamente consapevole, Marchionne, che il tutto infuocherà il clima ancor più di quanto già non lo sia. Ma, dice, la colpa non può essere addossata al Lingotto: "La discussione si è inquinata sia in merito alle nostre intenzioni sia rispetto ai nostri obiettivi. La Fiat non può assumere rischi non necessari sui suoi progetti industriali, ne va della sopravvivenza". Per questo, lasciata passare qualche settimana, nel weekend è stata tutta la prima linea di manager torinesi (tutti in trasferta ad Auburn Hills) a decidere che di fronte al pericolo micro-conflittualità era Kragujevac, non Mirafiori, l'impianto in grado di garantire "senza problemi" la produzione di 190 mila "L-0" l'anno. Per questo Fabbrica Italia perde, intanto, la seconda tessera del puzzle e, quanto alle altre, "si vedrà di volta in volta: su Pomigliano lavoreremo con i sindacati che hanno firmato, ma il modello non è duplicabile, quello che dobbiamo fare per andare avanti è convincere tutti dell'assoluta necessità di modernizzare i rapporti industriali in Italia". Senza, possibilmente, strumentalizzazioni politiche ("l'inquinamento" cui si riferisce Marchionne). Non è un caso che la mossa serba sia stata annunciata da Auburn Hills, dal consiglio che ha approvato un utile netto inatteso e, soprattutto, l'avvio del processo di addio alla "vecchia Fiat". Senza Chrysler, come regolarmente ripete anche il presidente John Elkann, lo spin-off non sarebbe stato possibile, qui a Detroit c'è un bel pezzo del valore che la scissione potrà liberare. C'è, insieme, la prova tangibile di quanto sia davvero "multinazionale" oggi Fiat. E c'è il contro-specchio, rispetto all'Italia, di quanto possa fare una vera alleanza con chi rappresenta i lavoratori. Cita sempre la United Auto Workers, Marchionne, come esempio di "sindacato responsabile". È la Uaw, ora, a citare Marchionne. Di Pomigliano, della Fiom, delle polemiche italiane non vogliono parlare. Cynthya Holland, presidente della Uaw per lo stabilimento di Jefferson, dice semplicemente: "Abbiamo capito, un anno fa, che eravamo all'ultima spiaggia. I sacrifici li abbiamo accettati per questo. Ma in cambio abbiamo trovato una partnership vera, non di facciata, e ne siamo grati a Sergio e alla Fiat". Perché i risultati di quella partnership, sorride, li potete vedere già qui, Jefferson, Michigan, fabbrica della nuova Jeep Grand Cherokee: "Lunedì abbiamo avviato il secondo turno. Significa un quasi raddoppio dei dipendenti: 1.300 nuove assunzioni". Altre 1.700 sono arrivate nel resto del gruppo. "E, sapete? Non c'è l'azienda da una parte, il sindacato dall'altra. Siamo "uno", siamo Chrysler. E ne siamo orgogliosi". Raffaella Polato 22 luglio 2010
Conti positivi nel secondo trimestre La Fiat in utile, si "divide". E il titolo vola Marchionne: "Oltre ogni aspettativa" Piano per trasferire ad una società di nuova costituzione, Fiat Industrial S.p.A., alcuni elementi dell'attivo * NOTIZIE CORRELATE * C’è l’accordo, la Panda va a Pomigliano (10 luglio 2010) * Il commento audio: "Operazione che sposta l'asse da Torino a Detroit" * Moody's: "Possibile riduzione del rating per il debito Fiat" (21 luglio 2010) Conti positivi nel secondo trimestre La Fiat in utile, si "divide". E il titolo vola Marchionne: "Oltre ogni aspettativa" Piano per trasferire ad una società di nuova costituzione, Fiat Industrial S.p.A., alcuni elementi dell'attivo L'ad di Fiat, Sergio Marchionne (Eidon) L'ad di Fiat, Sergio Marchionne (Eidon) ROMA - La Fiat segna un passo positivo nei conti e annuncia piani radicali di riorganizzazione societaria: il via allo scorporo dell'auto dagli altri comparti. E il titolo vola a Piazza Affari: sale del 6,46% a 9,64 euro per azione. Grande la soddisfazione dell'amministratore delegato, Sergio Marchionne, secondo cui è stato un trimestre "eccezionale per il gruppo", che "ha superato quasi tutte se non tutte le attese del mercato". Non solo: il trimestre, ha rilevato l'ad, è andato "incredibilmente bene in tutti i settori", con particolare menzione per Cnh e Iveco. "Il business è in buona forma", ha aggiunto, e Fiat ha attese positive per il secondo semestre. Marchionne ha quindi sottolineato che le stime per il 2010 sono "decisamente sottostimate". I NUMERI DELL'UTILE - I conti, presentati in mattinata e approvati dal consiglio di amministrazione, parlano di un utile netto a 113 milioni di euro, contro una perdita di 179 milioni di euro nel secondo trimestre 2009, utile della gestione ordinaria più che raddoppiato a 651 milioni, ricavi in rialzo del 12,5% a 14,8 miliardi di euro. SCISSIONE PARZIALE - Il Cda del Lingotto ha anche approvato la scissione parziale proporzionale, con cui Fiat S.p.A. intende trasferire ad una società di nuova costituzione, Fiat Industrial S.p.A., alcuni elementi dell'attivo (prevalentemente partecipazioni) relativi ai business dei veicoli industriali, motori "industrial & marine", macchine agricole e per le costruzioni, oltre a debiti finanziari. "Con la scissione - spiega Fiat - queste attività saranno separate da quelle automobilistiche e dalla relativa componentistica, che includono Fiat Group Automobiles, Ferrari, Maserati, Magneti Marelli, Teksid, Comau e FPT Powertrain Technologies (attività di motori e trasmissioni per autovetture e veicoli commerciali leggeri)". Dalla data "di efficacia della scissione - prosegue Fiat - che si assume possa essere il 1 gennaio 2011, le azioni di Fiat Industrial saranno assegnate agli azionisti Fiat sulla base di un rapporto uno a uno". L'ASSEMBLEA - Si terrà presumibilmente il prossimo 16 settembre l'assemblea degli azionisti Fiat chiamati ad approvare la scissione dei business veicoli industriali, macchine agricole e per le costruzioni dall'auto. La scissione approvata, oggi, dal cda, è, infatti, soggetta all'approvazione degli azionisti e ai provvedimenti autorizzativi delle autorità regolamentari. LE BANCHE - Fiat Industrial Group ha ricevuto una "highly confident letter" firmata congiuntamente da Barclays Capital, BNP Paribas, Citi, Credit Agricole Corporate and Investment Bank, IntesaSanpaolo, Societè Generale Corporate & Investment Banking, The Royal Bank of Scotland e Unicredit Corporate Banking per un nuovo finanziamento sino a 4 miliardi di euro (che sarà reso disponibile con una combinazione di un finanziamento 'revolving' e di un finanziamento a termine) che ci si aspetta possa essere finalizzato prima della data di scissione. È quanto si legge nella nota del Lingotto. Redazione online 21 luglio 2010
2010-07-12 DOPO L'EDITORIALE DI SERGIO ROMANO SULLA CLASSE DIRIGENTE Non chiediamo aiuti, ma riforme vere La Fiat? Meglio oggi che in passato DOPO L'EDITORIALE DI SERGIO ROMANO SULLA CLASSE DIRIGENTE Non chiediamo aiuti, ma riforme vere La Fiat? Meglio oggi che in passato Caro Direttore, accolgo con piacere l’invito lanciato ieri sul Corriere da Sergio Romano nell’articolo intitolato "La debolezza e la miopia". Chiedersi "dove sono andati gli industriali e i finanzieri che avevano uno sguardo nazionale e non esitavano a esprimere pubblicamente le loro idee?" significa interrogarsi su come l’intera classe dirigente italiana possa meglio contribuire alle scelte nazionali. È una domanda che coincide anche con l’essenza stessa del mandato di presidente di Confindustria che mi è affidato. Per questo, comprendo la nostalgia di forti individualità d'altri tempi che l'ambasciatore Romano esprime, scrivendo che "il panorama industriale italiano ha perduto molti dei suoi picchi ed è fatto principalmente di piccole colline da cui è difficile guardare lontano". Ma mi sembra utile richiamare alcune considerazioni, per comprendere meglio come gli industriali italiani parlino "meno di se stessi e più dell'Italia e dell'Europa". Il mondo è cambiato. Non esiste più l'Italia della lira svalutabile, dei vincoli amministrativi sui flussi di capitale, del debito pubblico variabile indipendente. Alla globalizzazione tumultuosa, la crisi ha fatto seguire una mutazione che sarà di lunga durata, nelle gerarchie e nelle geografie produttive. Nel 2009 la Cina è leader della produzione industriale mondiale con la sua quota del 21,5%. Gli Stati Uniti dal 24,8% del 2001 sono scesi al 15%. Il Giappone si è quasi dimezzato, dal 15,1% all'8,5%. L'Italia nella peggior crisi del dopoguerra ha difeso il suo quinto posto, col 3,9%. Ma se la Germania è tra i "vecchi" Paesi avanzati l'unica a guadagnare spettacolarmente in avanzo commerciale e dei pagamenti, l'Italia è l'unica altra nazione del club alla quale è comunque riuscito di migliorare. Nella graduatoria dei manufatti sul commercio mondiale, siamo al 4,8%. Poco meglio del precrisi: ma meglio. È cambiato anche ciò che le imprese chiedono alla politica. Mi limito a un solo rilevante esempio. È preferibile la Fiat del passato, indotta dai sussidi pubblici offerti dalla politica ad aprire stabilimenti in cui la logica era di bruciare cassa pur di offrire lavoro considerato socialmente utile, in una logica assistenziale? Oppure la Fiat di oggi, che senza aiuti pubblici dice chiaro che Pomigliano non regge senza produttività comparabile a quella estera e che su questa base condivisa con i lavoratori riporta in Italia produzioni di massa già destinate alla Polonia? La risposta è libera. Ma io preferisco la Fiat di oggi. Che, da leader della manifattura nazionale, parla e agisce come migliaia di aziende italiane che si confrontano con l'aspra sfida e le grandi opportunità dei mercati globali. È cambiato, infine, anche il modo in cui la politica risponde alle sollecitazioni della società civile, imprese incluse. Il sistema maggioritario della Seconda Repubblica ha creato una leadership individuale e riconosciuta dalla pubblica opinione, nell'alternarsi di maggioranza, che mancava nella Prima, i cui governi cadevano con patologica frequenza, ma i partner politici non cambiavano mai. Leadership personale e appello diretto al mandato popolare ispirano alla politica un senso di autosufficienza. I fatti si incaricano spesso di smentirla. Ma bipolarismo e premiership generano dialettiche con la società diverse dal proporzionalismo consociativo. Da queste tre osservazioni, traggo tre risposte a Sergio Romano. Prima che con le parole, le imprese rispondono con i fatti. Attenzione a guardare solo i dati della crisi nel nostro Paese, ai 6 punti di Pil persi, ai cali di ordini e fatturato che restano a doppia cifra. Se alziamo gli occhi alle performance dei nostri concorrenti nel mondo nuovo, scopriamo che c'è un'Italia manifatturiera che è già capace di far bene come la Germania. Talora meglio. Non basta da sola a trainare l'intera Italia a ritmi tedeschi. Ma assicura da sola il 70% della crescita potenziale nazionale. L'Italia delle "piccole colline" industriali sembra aver imparato la lezione dell'internazionalizzazione meglio dei grandi gruppi del passato. Alla politica, le imprese italiane non chiedono più interventi diretti discrezionali dei governi. Ma meno svantaggi competitivi nel fisco, nella pubblica amministrazione, nell'energia, nelle infrastrutture e nei trasporti. Non "stringere qualche vite, tappare qualche buco, cambiare qualche pezzo". A giugno, nella sua Assemblea annuale, Confindustria ha consegnato al governo e al Paese "Italia 2015". Un ampio documento che indica come si debba intervenire per più ricerca e migliore scuola e università, meno tasse per impresa e lavoratori, più flessibilità nel mercato del lavoro con diversi ammortizzatori, meno deficit energetico e più nucleare, più integrazione tra le aziende con reti d'impresa e più forte patrimonializzazione, più legalità dovunque nel Paese. Due punti di crescita di Pil l'anno, un punto di spesa pubblica primaria in meno ogni anno e per cinque anni. Questo è l'interesse del Paese: crescere di più, più reddito ai lavoratori, oltre che alle imprese. Sono le posizioni che portiamo in Europa, con una presenza intensificata nella rete delle Confindustrie europee, a Bruxelles come al G10 e al G20, come nelle missioni internazionali. Infine, le riforme strutturali che chiediamo sono maturate in centinaia di incontri territoriali nei 22 mesi di crisi alle nostre spalle. La politica tanto si è accorta delle nostre proposte, che talora ha mostrato insofferenza. Come sulle tasse. O alla nostra Assemblea, quando migliaia di imprenditori hanno invocato con due minuti di applausi tagli energici ai costi della politica. Altre volte, le risposte sono invece state positive. Una settimana fa abbiamo scongiurato che nella manovra restassero norme fiscali che ledevano il diritto del contribuente al contraddittorio in contenzioso. Altro che tutela corporativa. Abbiamo difeso con successo tutele inviolabili per ogni cittadino. Quando il governo mi ha chiesto di diventare ministro delle Attività produttive, ho ringraziato ma declinato. Non credo affatto che alla fragilità di una politica spesso troppo sicura di sé la risposta giusta sia la confusione di ruoli. Il coraggio della critica non ci è mai mancato e basta guardare ai dati del nostro Centro Studi sull'evasione fiscale o all'impegno della nostra associazione contro la criminalità organizzata per riconoscere come, al di là della politica, ci siamo impegnati sui temi più rischiosi della nostra società. In ogni caso, saranno gli elettori, a tirare le somme. Ed è agli elettori, che deve chiedere consenso chi vuol cambiare le cose. Non ai salotti buoni. presidente di Confindustria Emma Marcegaglia 12 luglio 2010
UN PAESE SENZA CLASSE DIRIGENTE? La debolezza e la miopia UN PAESE SENZA CLASSE DIRIGENTE? La debolezza e la miopia Se afasia significa mutismo e incapacità di parlare, quella denunciata da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere del 7 luglio può essere straordinariamente rumorosa. Mai gli italiani sono stati altrettanto loquaci. Mentre i politici si accusano pubblicamente di errori, bugie e malefatte, i loro elettori non smettono di protestare nelle piazze, nei blog, nelle lettere che inviano ai giornali. Per molto tempo ci siamo lamentati della scarsa attenzione che la stampa internazionale riservava all’Italia. Oggi non passa giorno senza che un grande quotidiano straniero non cerchi di penetrare il labirinto delle nostre chiacchiere per spiegare ai suoi lettori l’ennesimo pasticcio confezionato nelle cucine della penisola. Questo non ci rende maggiormente decifrabili. Ci rende, se mai, ancora più imprevedibili, incomprensibili e, in ultima analisi, irrilevanti. Anziché esportare buoni film, buoni romanzi, buone opere dell’intelligenza e della cultura, esportiamo beghe, trame giudiziarie e interminabili discussioni sulle intercettazioni telefoniche. Afasia? Ripeto: non ricordo una fase altrettanto verbosa della politica nazionale. Eppure Galli della Loggia ha ragione. Quando parlano e protestano, gli italiani parlano quasi sempre di se stessi, vale a dire degli effetti che una legge o una manovra finanziaria potrebbero avere per le loro personali condizioni economiche o per quelle della corporazione — associazione di categoria, ordine professionale, famiglia politica — a cui appartengono. Non parlano dell’Italia e dell’Europa, vale a dire delle due grandi comunità da cui dipende in ultima analisi il loro futuro. Parlano sempre e soltanto di se stessi. Appare ogni tanto un libro in cui l’autore cerca di guardare un po’ più al di là del proprio naso e formula qualche considerazione d’ordine generale. Ma il tema rimane sul tavolo per due o tre settimane e scompare dal radar. Nell’orizzonte dell’attenzione nazionale c’è spazio soltanto per quello che potrebbe accaderci qui e ora. Spiace dirlo, ma questa amara riflessione vale anche per il mondo degli imprenditori. Dove sono andati gli industriali e i finanzieri che avevano uno sguardo nazionale e non esitavano a esprimere pubblicamente le loro idee? Quando Mussolini decise il ritorno della lira all’oro e fissò il cambio con la sterlina a una quota insostenibile, un grande industriale elettrico, Ettore Conti, andò al Senato per spiegare a un capo del governo accigliato ma attento che quella politica avrebbe provocato una catastrofica deflazione. Quando la crisi del 1929 arrivò in Europa, all’inizio degli anni Trenta, Alberto Beneduce e Raffaele Mattioli spiegarono a Mussolini che cosa bisognava fare per salvare le banche e le imprese. Quando fu chiamato all’Agip per liquidarla, Enrico Mattei ne fece uno strumento della politica nazionale. Quando scendeva a Roma per difendere gli interessi della Fiat, Vittorio Valletta aveva, per parafrasare De Gaulle, "una certa idea dell’Italia". Quando propose la riforma di Confindustria, Leopoldo Pirelli non pensava agli interessi di una corporazione, ma al miglior modo per rendere più efficace il ruolo degli industriali nella vita del Paese. Oscar Sinigaglia, Cesare Merzagora, Enrico Cuccia, Adriano Olivetti, Guido Carli, Gianni e Umberto Agnelli (cito a caso, con molte omissioni) pensavano naturalmente alla loro azienda o alla loro istituzione, ma avevano convinzioni forti sul Paese in cui avrebbero voluto lavorare, e non mancavano di esprimerle. Mi rendo conto che i tempi sono cambiati. Il panorama industriale ha perduto molti dei suoi picchi ed è fatto principalmente di piccole colline da cui è difficile guardare lontano. L’economia è globale e l’imprenditore assume necessariamente la nazionalità del Paese in cui gli conviene operare. Come i direttori d’orchestra e gli allenatori delle squadre di calcio, i grandi manager sono una casta cosmopolita. Il sentimento dell’orgoglio nazionale si è ovunque affievolito, e l’Italia può sembrare oggi insoddisfatta della propria unità, delusa, priva di grandi ambizioni collettive. Ma gli imprenditori sanno meglio di altre categorie che da una crisi come quella in cui siamo sprofondati (la peggiore della storia, secondo Alan Greenspan) si esce soltanto in due modi. Si può tappare qualche buco, stringere qualche vite, cambiare qualche pezzo. E si può invece cogliere l’occasione per fare quello che in altre circostanze sarebbe stato molto più difficile realizzare: cambiare la forma dello Stato, il ruolo della burocrazia, le regole dell’economia. La prima garantisce un futuro mediocre e un progressivo declino. La seconda schiude nuove prospettive, suscita nuovi entusiasmi, risveglia energie sopite, crea un clima propizio alla innovazione e alla sperimentazione. La prima non richiede un particolare coraggio, la seconda ne esige molto. Quando hanno creato le loro aziende, gli imprenditori hanno dimostrato di averlo. Ora dovrebbero smetterla di misurare ogni provvedimento con il metro del loro interesse individuale e corporativo. Comincino a dirci quali sono le riforme economiche e sociali di cui il Paese ha bisogno e soprattutto quali sacrifici siano disposti a fare perché il Paese cambi. E abbiano soprattutto il coraggio della critica, senza qualunquismi e frasi fatte. Parlino meno di se stessi e più dell’Italia. Sergio Romano 11 luglio 2010
2010-07-10 Elkann: vogliamo fare la nostra parte. Sacconi: decisione significativa per tutti C’è l’accordo, la Panda va a Pomigliano Vertice Fiat con Cisl e Uil, poi l’annuncio: il nostro piano andrà avanti Elkann: vogliamo fare la nostra parte. Sacconi: decisione significativa per tutti C’è l’accordo, la Panda va a Pomigliano Vertice Fiat con Cisl e Uil, poi l’annuncio: il nostro piano andrà avanti Operaio al lavoro nello stabilimento di Pomigliano (PhotoMasi) Operaio al lavoro nello stabilimento di Pomigliano (PhotoMasi) ROMA—Fiat produrrà la futura Panda a Pomigliano. Il gruppo torinese ieri, dopo il referendum sull’intesa che ha realizzato il 62% dei consensi tra i lavoratori, ha rotto gli indugi confermando l’accordo del 15 giugno scorso con Fim, Uil, Fismic e Ugl. Alla riunione attuativa dell’intesa, a Torino, erano presenti l’amministratore delegato, Sergio Marchionne, i segretari di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti e i segretari di categoria. Non c’era invece il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani (né tantomeno la Fiom che l’accordo non l’ha firmato), che ha giudicato "sbagliato" da parte della Fiat "scegliersi gli interlocutori al semplice scopo di farsi dare ragione". E ha affermato che tale atteggiamento "apre un problema formale nei rapporti fra Cgil e Fiat". "La decisione di procedere con gli investimenti programmati (700 milioni per Pomigliano, ndr) — ha detto il presidente Fiat, John Elkann — è un importante segnale di fiducia. Significa che crediamo nell’Italia e intendiamo fare fino in fondo la nostra parte. Molte cose stanno cambiando intorno a noi—ha proseguito — e oggi può essere l’inizio di una fase completamente diversa: il successo dipenderà da quanto ciascuno saprà essere protagonista di questo cambiamento". Proprio a questo proposito Marchionne ha inviato a tutti i dipendenti dell’azienda una lettera in cui chiede a tutti di "accettare la sfida con il resto del mondo". Marchionne avrebbe esordito nell’incontro con i sindacati lamentando "un vuoto" della politica e descrivendo maggioranza e opposizione perse dietro a tutt’altri temi. Ma per il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, l’intesa di ieri è "decisione altamente significativa per l’interesse nazionale e per quello in particolare del Mezzogiorno" anche perché "per la prima volta frutto dell’autonoma capacità delle parti sociali". Secondo Luigi Angeletti, "la Fiom ha sbagliato a non firmare perché l’intesa per la prima volta riporta una produzione in Italia, al Sud". Riferisce Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, che "Marchionne ha confessato durante l'incontro di essere stato molto combattuto in questi giorni" circa la decisione da prendere su Pomigliano. Da questo momento in poi, recita il comunicato Fiat sull’intesa, le parti "s’impegneranno per la sua applicazione con modalità che possano assicurare tutte le condizioni d i governabilità dello stabilimento ". Un riferimento forse rivolto all’ipotesi di costituire una newco, una nuova società che riassuma i lavoratori disposti a attuare l’intesa. Ipotesi che dovrebbe realizzarsi già nei prossimi 15 giorni. Antonella Baccaro 10 luglio 2010
programmati 3.700 tagli entro i prossimi 11 mesi. In tutto si arriverà a 6.822 unità Telecom, da lunedì via al piano esuberi Sacconi: "Difficile il dialogo sociale" A breve le lettere con i licenziamenti. I sindacati: "Comportamento vergognoso". Preoccupato il ministro programmati 3.700 tagli entro i prossimi 11 mesi. In tutto si arriverà a 6.822 unità Telecom, da lunedì via al piano esuberi Sacconi: "Difficile il dialogo sociale" A breve le lettere con i licenziamenti. I sindacati: "Comportamento vergognoso". Preoccupato il ministro MILANO - L'annuncio è arrivato venerdì nel pieno dello sciopero nazionale, mentre le lettere con i licenziamenti saranno sul tavolo dei sindacati lunedì. Telecom Italia comincia così le manovre per dare corso agli esuberi programmati nel piano triennale 2010-2012: in totale 6.822, di cui più della metà, 3.700, nel corso dei prossimi 11 mesi e cioè fino al 30 giugno del 2011. Una doccia fredda, sottolineano i sindacati, che viene letta dal segretario nazionale di Slc-Cgil, Alessandro Genovesi, come "un comportamento vergognoso da parte di un'azienda che ha registrato più di 1,5 miliardi di euro di guadagni netti, che ha già circa mille lavoratori in contratto di solidarietà e che continua a remunerare a peso d'oro dirigenti e manager". Genovesi chiede quindi al governo di affrontare la situazione e di convocare le parti sociali, perché "è in gioco il futuro di tutti gli oltre 50mila lavoratori di Telecom". PREOCCUPATO IL MINISTRO - Il governo, per ora, si fa sentire con il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che si dice preoccupato e in una nota sottolinea che i licenziamenti rendono "più difficile il necessario dialogo sociale". Le posizioni di sindacati e azienda che dovranno sedersi attorno ad un tavolo al ministero del Lavoro sembrano però al momento distanti. "Noi siamo disponbili alla trattativa, speriamo che ci sia la stessa volontà da parte del gruppo telefonico", afferma il segretario generale della Fistel-Cisl, Vito Antonio Vitale. E Genovesi chiede a Telecom di cambiare "la propria strategia" e di dare "garanzie di sviluppo", avvertendo che se dovesse scegliere la strada del "muro contro muro, se ne assumerà tutte le responsabilità". ESUBERI E NORME - La procedura prevista dalla legge che regola i licenziamenti collettivi dà 75 giorni ai sindacati per discutere con l'azienda e per chiedere una riduzione del numero degli esuberi o il ricorso a misure alternative come la cassa integrazione o la messa in mobilità. Intanto Telefonica, che detiene attraverso Telco oltre il 10% del capitale di Telecom Italia, è sempre più vicina all'operatore mobile brasiliano Vivo, controllato da Portugal Telecom, dopo che la Corte di Giustizia Ue ha bocciato la 'golden sharè portoghese per bloccare l'offerta del gruppo spagnolo. Il gigante guidato da Cesar Alierta ha offerto a Portugal Telecom 7,15 miliardi di euro per rilevare la quota del 50% che detiene in Brasilcel, la holding che controlla il 60% di Vivo. (fonte Ansa) 10 luglio 2010
2010-07-01 "inoltre va sciolto il nodo per Termini Imerese" Pomigliano, Fiom pronta a riaprire la trattativa: "Se Fiat rispetta le leggi" Il sindacato chiede di "eliminare dall'accordo le clausole che derogano il contratto e vanno contro la Costituzione" * NOTIZIE CORRELATE * Referendum di Pomigliano, vincono i sì ma non c'è il plebiscito: i contrari al 36% (23 giugno 2010) * Fiat, l'allarme di Marchionne: "Senza accordo non esisterà più industria" (18 giugno 2010) * Pomigliano, la Marcegaglia attacca: "Incredibile il no della Fiom" (15 giugno 2010) "inoltre va sciolto il nodo per Termini Imerese" Pomigliano, Fiom pronta a riaprire la trattativa: "Se Fiat rispetta le leggi" Il sindacato chiede di "eliminare dall'accordo le clausole che derogano il contratto e vanno contro la Costituzione" Il segretario della Fiom Landini (Fotogramma) Il segretario della Fiom Landini (Fotogramma) NAPOLI - Sullo stabilimento di Pomigliano d'Arco la Fiom è pronta a riaprire la trattativa "se la Fiat rispetta le leggi": lo ha detto il segretario generale Maurizio Landini all'assemblea del sindacato dei metalmeccanici. CLAUSOLE - "Con il contratto nazionale del lavoro la Fiat può applicare i 18 turni e io so benissimo di cosa parliamo, diversamente da molti altri che non hanno idea di cosa significa lavorare sulle catene di montaggio - ha aggiunto Landini -. Per riaprire la trattativa la Fiat deve eliminare dall'accordo le clausole che derogano il contratto e vanno contro le leggi e la Costituzione". Inoltre, la Fiat "deve sciogliere il nodo per Termini Imerese in quanto la Fiom non è disposta ad accettare licenziamenti di massa dei lavoratori, in Sicilia come in Campania". DOCUMENTO - L'assemblea della Fiom ha approvato all'unanimità il documento in cui si ribadisce il no all'accordo, "così com'è, per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco" e l'avvio di un'iniziativa itinerante che partirà da Termini Imerese per giungere a Roma alla presidenza del Consiglio dei ministri. Nel teatro Gloria di Pomigliano c'erano 1.500 persone tra delegati, operai, Rsu e segretari nazionali, regionali e provinciali. Nel documento la Fiom ha ringraziato gli operai "per non essersi piegati al ricatto della Fiat". REFERENDUM - Dopo il referendum tra i lavoratori dello stabilimento, con poco più del 60% di sì all'intesa per sbloccare l'investimento della Fiat di 700 milioni di euro e il trasferimento in Campania delle linee produttive della nuova Panda, il già perplesso gruppo dirigente del Lingotto si è ulteriormente irrigidito. Secondo indiscrezioni, sarebbe stato disposto a lasciar perdere tutto se non fosse per le pressioni del governo e dei sindacati che si erano detti favorevoli all'accordo, Cisl e Uil. E il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha ribadito più volte: "Sono fiducioso sugli investimenti". Giovedì, intervistato da Radio2, ha detto che la Panda andrà a Pomigliano "nonostante tutto", dato che una maggioranza "netta e inequivoca" ha detto sì all'accordo al referendum, che "non è stato facile". SACCONI - "Il ministro Sacconi non è super partes come dovrebbe essere - attacca Landini -. Il governo o è assente oppure, quando c'è, sostiene la Fiat e fa manovre che non stanno in piedi. Il governo faccia il suo mestiere e invece di sostenere che si vogliono agevolare i lavoratori che affronteranno a Pomigliano i turni notturni, agevoli le imprese in maniera differente. Ma non dia incentivi alle aziende senza condizioni, senza salvaguardare l'occupazione e i lavoratori così come hanno fatto in altri Paesi d'Europa". Redazione online 01 luglio 2010
2010-06-23 Sacconi: "Sono fiducioso". Bonanni: "Il lingotto rispetti l'accordo". Pomigliano, dopo il referendum resta il rebus sul futuro dello stabilimento La Fiat: "Lavoreremo con chi ha firmato. Impossibile collaborare con chi ci ostacola in modo pretestuoso". * NOTIZIE CORRELATE * VIDEO - La preoccupazione di Pomigliano (di Goffredo Buccini) Sacconi: "Sono fiducioso". Bonanni: "Il lingotto rispetti l'accordo". Pomigliano, dopo il referendum resta il rebus sul futuro dello stabilimento La Fiat: "Lavoreremo con chi ha firmato. Impossibile collaborare con chi ci ostacola in modo pretestuoso". Sergio Marchionne Sergio Marchionne MILANO - La questione Pomigliano è ancora lontana da una soluzione definitiva. Non è bastato il risultato del referendum tra i lavoratori dello stabilimento, dove una maggioranza di poco più del 60 per cento ha detto sì all'intesa con l'azienda, per sbloccare l'investimento della Fiat di 700 milioni di euro volto originariamente a permettere il trasferimento in Campania delle linee produttive della Panda. LA NOTA - Prima il no della Fiom poi la concreta dimostrazione che, a fronte di una maggioranza di sì alle nuove condizioni di lavoro proposte dall'azienda torinese, esiste una forte minoranza che non sembra disponibile ad accettare l'accordo, hanno fatto irrigidire il già perplesso gruppo dirigente del Lingotto. Che, secondo indiscrezioni, sarebbe pronto anche a lasciar perdere tutto se non fosse per le pressioni del governo e dei sindacati che si erano detti favorevoli all'accordo: Cisl e Uil avrebbero fatto notare che, dopo tutto, la maggioranza dei lavoratori aveva approvato l'intesa e che una marcia indietro dell'azienda, a questo punto, avrebbe come risultato una sconfessione della linea sindacale più aperta alla trattativa. "Non voglio nemmeno ipotizzare che Fiat cambi idea" sottolineava il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. "Non ho parlato direttamente con Marchionne, ma ho sentito l'azienda dopo l'esito e sono fiducioso sugli investimenti su Pomigliano". "Le mie informazioni - aggiungeva - sono che il risultato del referendum è stato apprezzato dal Lingotto" e "non ci sono gli elementi per dire che l'azienda cambierà idea". A ogni modo, "un'ipotesi diversa dal rispetto dell'accordo sarebbe assurda. Fiat deve rispettare l'accordo. Credo che debba farlo, non solo dopo questo travagliato percorso, ma credo che lo voglia anche fare. Non voglio nemmeno pensare a un'ipotesi diversa, non ce ne sono le ragioni e sarebbe un'ipotesi assurda e molto grave". "Ora la Fiat, senza tentennamenti, senza se e senza ma, ribadisca l'investimento" gli faceva eco il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. Rinforzava il concetto il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, secondo il quale il Lingotto a questo punto "deve rispettare gli impegni". "Mi rifiuto di pensare che Marchionne non garantirà l'accordo - diceva Bonanni a margine di una conferenza stampa a Pomigliano (guarda il video) - se si dovesse verificare un'ipotesi del genere, con la stessa forza con la quale abbiamo difeso i posti di lavoro così saremo contro un abbozzo di ripensamento". Il leader sindacale affermava che "ci sono le condizioni per fare gli investimenti e garantire Pomigliano, anzi per garantire lo stabilimento e anche altri posti di lavoro". Da qui l'appello: "Chiediamo alla Fiat di procedere perché ha potuto contare su un vasto piedistallo su cui poter costruire prospettive". Alla fine le pressioni portavano all'apertura di uno spiraglio nello scetticismo del Lingotto tanto che l'azienda automobilistica torinese rendeva pubblica una nota nella quale si leggeva che la "Fiat ha preso atto della impossibilità di trovare condivisione da parte di chi sta ostacolando, con argomentazioni dal nostro punto di vista pretestuose, il piano per il rilancio di Pomigliano. L'azienda apprezza il comportamento delle organizzazioni sindacali e dei lavoratori che hanno compreso e condiviso l'impegno e il significato dell'iniziativa di Fiat Group Automobiles per dare prospettive allo stabilimento Giambattista Vico di Pomigliano. L'azienda lavorerà con le parti sindacali che si sono assunte la responsabilità dell'accordo al fine di individuare ed attuare insieme le condizioni di governabilità necessarie per la realizzazione di progetti futuri". FIOM - Ma alla battaglia di Pomigliano, come è noto il fronte sindacale si presenta diviso. Così c'era ancora chi come la Fiom, per bocca del segretario generale Maurizio Landini, chiedeva invece al Lingotto, visti proprio gli esiti del referendum che non si era trasformato in un plebiscito a favore della Fiat, di fare un passo indietro e riaprire il negoziato. "Ci sia questa assunzione di responsabilità - affermava - perché il consenso è un punto decisivo". Landini (guarda il video) ringraziava " i lavoratori e le lavoratrici di Pomigliano perché hanno dimostrato una responsabilità e una dignità che deve essere di lezione per tutti. La Fiat voleva organizzare - continuava il sindacalista - un plebiscito con ricatto dei lavoratori. I lavoratori hanno detto che vogliono l'investimento, il lavoro ma anche i diritti e la dignità, che le questioni non sono scindibili". Per Landini a questo punto "è necessario che la Fiat rifletta con serietà perché per far funzionare la fabbrica bisogna avere il consenso attivo dei lavoratori". Insomma, "la Fiat voleva sentire la voce dei lavoratori? L'ha sentita, ora ne tenga conto".
CONFINDUSTRIA - A favore della necessità di un'intesa si schierava anche Confindustria . Con Emma Marcegaglia, che esprimeva il suo "supporto" e "apprezzamento" per la posizione espressa dal Lingotto. "Siamo soddisfatti che l’azienda voglia andare avanti con la maggioranza dei sindacati e dei lavoratori che hanno deciso di sostenere la Fiat - dichiarava la Marcegaglia - e condividere la sua iniziativa, e che continueranno a ragionare su come concretizzarla". Il presidente di Confindustria si diceva contenta del fatto che la maggioranza dei lavoratori e del sindacato comprendesser0 "la necessità di riportare Pomigliano, dopo tanti anni, in linea con la produttività non degli stabilimenti cinesi, ma degli altri italiani". Purtroppo, sottolineava con un'ultima frecciata Emma Marcegaglia, "c'è un sindacato e una parte dei lavoratori che, in base a principi astratti, non comprendono la sfida che abbiamo davanti". Redazione online 23 giugno 2010
camusso (cgil): "I sì per il lavoro e i no per non cancellare i diritti" Referendum di Pomigliano, vincono i sì ma non c'è il plebiscito: i contrari al 36% I voti favorevoli all'intesa sono stati il 62,2%, affluenza al 95%. Sacconi: "Ci sono condizioni per investimenti Fiat" camusso (cgil): "I sì per il lavoro e i no per non cancellare i diritti" Referendum di Pomigliano, vincono i sì ma non c'è il plebiscito: i contrari al 36% I voti favorevoli all'intesa sono stati il 62,2%, affluenza al 95%. Sacconi: "Ci sono condizioni per investimenti Fiat" POMIGLIANO D'ARCO - Al referendum sull'accordo per il futuro di Pomigliano d'Arco hanno vinto i sì con il 62,2%, ma i voti contrari sono al 36%, probabilmente più di quanto la Fiat si aspettasse. Al termine del lungo scrutinio delle 4.642 schede (su 4.881 votanti) i favorevoli risultano 2.888, contro i 1.673 che hanno rispedito al mittente l'intesa siglata da azienda e sindacati (Fiom esclusa) il 15 giugno. Le schede nulle sono state 59 e 22 le bianche. Si votava anche al Polo di Nola, dove è arrivato un secco no: su 273 voti 77 sono stati favorevoli e 192 contrari. Il segretario della Uilm Campania Giovanni Sgambati ha sottolineato che "la partecipazione è stata altissima, pari al 95%. In tutta la giornata si è registrato un assenteismo pari al 4%. È un risultato che non si era mai registrato prima in consultazioni del genere". SACCONI: ORA INVESTIMENTI - Soddisfatto il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, secondo cui è stata "isolata la logica del conflitto e prevale quella della collaborazione tra le parti". "La partecipazione al voto è stata straordinariamente alta. A questo punto - spiega - la Fiat non può che riconoscere che vi sono tutte le condizioni per realizzare il promesso investimento in un contesto di pace sociale. Da oggi il Paese si rivela ancora più moderno". "Ha vinto - aggiunge Sacconi - la volontà del Mezzogiorno di attrarre investimenti per consolidarsi come piattaforma produttiva per l'intero bacino del Mediterraneo. Cambiano con questo voto le relazioni industriali nelle quali si isola la logica del conflitto e prevale quella della collaborazione tra le parti nel nome del comune destino dell'impresa e del lavoro. Il baricentro dei nuovi rapporti sindacali diventano l'azienda e il territorio". Per Sacconi "a questo punto la Fiat non può che riconoscere che vi sono tutte le condizioni per realizzare il promesso investimento in un contesto di pace sociale che, sono convinto, tutti o quasi tutti sapranno garantire. Questo voto - conclude il ministro del Lavoro - è paragonabile al referendum sulla scala mobile che consolidò l'accordo di San Valentino". La lunga notte degli operai di Pomigliano in attesa dei risultati del referendum (Ansa) La lunga notte degli operai di Pomigliano in attesa dei risultati del referendum (Ansa) SINDACATI - "I lavoratori di Pomigliano hanno compreso e condiviso le ragioni del nostro accordo" ha dichiarato il segretario generale della Uil Luigi Angeletti. Anche il segretario nazionale della Fim Cisl Bruno Vitale valuta "positivamente" il risultato di Pomigliano e chiede alla Fiat chiede di procedere con l'investimento. "I due terzi dei lavoratori hanno votato per il sì. Cosa ci si deve aspettare per Pomigliano? Bisogna chiederlo a Marchionne: sarebbe un Paese strano quello in cui si fa un accordo, si vince, e poi ci si comporta come se si fosse perso". CGIL: DIRITTI - La vice segretaria generale della Cgil Susanna Camusso fa invece dei distinguo: "I sì per il lavoro e i no per non cancellare i diritti. La partecipazione al voto era prevedibile, come la prevalenza dei sì: i lavoratori di Pomigliano si sono ritrovati improvvisamente arbitri di una contesa che preme su di loro e sulle loro aspettative personali perché in quel territorio, caratterizzato da un'alta disoccupazione, uno stabilimento come quello della Fiat svolge un ruolo essenziale e non sostituibile". Secondo Camusso, "anche un voto così particolare, nella sua articolazione tra sì e no, dice che ci vuole una soluzione condivisa, come la Cgil ha sempre sostenuto. Tanto più che intese che cancellano diritti sono inefficaci in quanto illegittime. Per questo chiediamo a Fiat di confermare e avviare l'investimento e la produzione della nuova Panda a Pomigliano, di riaprire la trattativa per un'intesa condivisa da tutti". "Al governo - conclude Camusso -, che è stato ininfluente sulle scelte industriali, che ha voluto giocare una sua partita di divisione del sindacato, il voto dice che un Paese moderno difende i diritti dei lavoratori". Redazione online 23 giugno 2010
2010-06-22 Marcegaglia: "Serve responsabilità". Bersani: "la fiat mantenga gli impegni" Referendum di Pomigliano, si profila una netta vittoria del sì. Affluenza al 95% Hanno votato 4.659 lavoratori su 4.881, urne aperte dalle 8 alle 21. Tensione e accuse all'esterno dello stabilimento Marcegaglia: "Serve responsabilità". Bersani: "la fiat mantenga gli impegni" Referendum di Pomigliano, si profila una netta vittoria del sì. Affluenza al 95% Hanno votato 4.659 lavoratori su 4.881, urne aperte dalle 8 alle 21. Tensione e accuse all'esterno dello stabilimento POMIGLIANO D'ARCO - Si profila una netta vittoria del sì nel referendum sull'accordo per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco. Su cento schede scrutinate 98 sono per il sì e 2 per il no, ha fatto sapere Giuseppe Terracciano, segretario della Fim Cisl di Napoli. Hanno votato 4.659 lavoratori su 4.881. Secondo il segretario della Uilm Campania Giovanni Sgambati la partecipazione è stata "altissima, pari al 95%". "In tutta la giornata si è registrato un assenteismo pari al 4% - aggiunge -. È un risultato che non si era mai registrato prima in consultazioni del genere". IL REFERENDUM - I lavoratori erano chiamati a esprimersi sull'accordo separato tra azienda e sindacati: una scelta che potrebbe essere decisiva per il destino dello stabilimento, dei 700 milioni di investimenti per portare la produzione della Panda dalla Polonia a Pomigliano e, dunque, per il futuro lavorativo degli oltre 5mila Fiat e dei 15mila impiegati nell'indotto. L'intesa è stata siglata da Fim Cisl, Uilm Uil, Fismic e Ugl, mentre la Fiom Cgil non ha firmato contestando gli interventi che interferiscono con norme del contratto nazionale o della legislazione (assenteismo e vincoli al diritto di sciopero). LA GIORNATA - Alle 8 sono partite le votazioni e le urne si sono chiuse alle 21; quindi è iniziato lo spoglio. Gli operai hanno votato nella sala dove si pagano gli stipendi: niente cassa integrazione, per un giorno, proprio per consentire a tutti le votazioni. Il quesito cui i lavoratori dovevano rispondere con una croce sul 'sì' o sul 'no' era: "Sei favorevole all'ipotesi d'accordo del 15 giugno 2010 sul progetto 'Futura Panda' a Pomigliano?". Dieci urne erano dentro la fabbrica; un'altra nello stabilimento di Nola, dove c'è il polo della logistica. ACCUSE - Una giornata decisiva, per lo stabilimento Fiat. Quasi inevitabili i segnali di tensione e nervosismo all'esterno. Accuse reciproche vengono rivolte da una parte all'altra, perfino per interviste rilasciate alle tv. E così capita che il delegato provinciale della Fim, Michele Liberti, sindacato che ha firmato l'intesa, punti l'indice contro un esponente del Cobas ("mi hai rivolto accuse pesanti, inaccettabili") e, viceversa, il Cobas - rappresentato da Mimmo Mignano, ex operaio Fiat poi reintegrato - replichi "siete dei venduti". Parole grosse davanti allo stabilimento, il tutto mentre gli operai continuano a dire:"All'interno dello stabilimento i lavoratori sono sereni". I COMMENTI - Sulla vicenda interviene intanto Emma Marcegaglia. "L'impressione è che i lavoratori mostreranno il senso di responsabilità che serve" - afferma il presidente di Confindustria da Bruxelles - e capiranno che in un'area delicata come quella di Pomigliano dire 'no' a un investimento di 700 milioni e al ritorno della produzione dalla Polonia sarebbe problematico. Sarebbe un segnale negativo per la capacità di attrarre investimenti nel nostro Paese". Secondo lo Slai-Cobas il referendum non finirà con "un plebiscito del sì". Vittorio Granillo, della dirigenza del sindacato, ha infatti affermato che il "60% dei lavoratori voterà sì mentre il 40% dirà no all’accordo". Una percentuale che "creerà un problema serio dal momento che non ci sarà l'80-85% auspicato da Marchionne". "Se vince il sì - commenta invece il segretario del Pd, Pierluigi Bersani - la Fiat mantenga l'impegno preso con i lavoratori: il loro sì sarebbe un sì alla Fiat". Bersani spiega che il referendum "è un passaggio molto delicato. Ora ci si deve riferire a quello, ma se i lavoratori sono andati a votare, il loro sarebbe un sì alla Fiat, per cui voglio credere che anche la Fiat darà seguito all'accordo e non seguirà altre ipotesi di cui si legge in queste ore". Redazione online 22 giugno 2010
Pomigliano vota, a Torino non basta un sì Marcegaglia: non tutelare gli assenteisti. E Termini sciopera contro le frasi di Marchionne * NOTIZIE CORRELATE * Fiat: sciopero improvviso a Termini per protesta contro Marchionne * Fiat, l'allarme di Marchionne: "Senza accordo non esisterà più industria" (18 giugno 2010) * Pomigliano, la Marcegaglia attacca: "Incredibile il no della Fiom" (15 giugno 2010) * Pomigliano, accordo separato e "no" della Fiom. Il 22 si tiene il referendum (15 giugno 2010) La vertenza Pomigliano vota, a Torino non basta un sì Marcegaglia: non tutelare gli assenteisti. E Termini sciopera contro le frasi di Marchionne MILANO — Alla vigilia del referendum sull’accordo per Pomigliano d’Arco si apre un altro fronte per la Fiat a Termini Imerese. Ieri gli operai dello stabilimento siciliano destinato alla chiusura nel 2012 hanno scioperato per un’ora a causa delle parole, ritenute offensive, di Sergio Marchionne che lunedì scorso aveva accusato i lavoratori di avere incrociato le braccia solo per poter vedere Italia-Paraguay. Sergio Marchionne (Eidon) Sergio Marchionne (Eidon) "Gli operai di Termini hanno scioperato rispetto alla loro condizione e alla prospettiva dello stabilimento—ha spiegato il vicesegretario della Cgil, Susanna Camusso—. Condizioni che nulla c'entravano con la partita, e anche se per caso lo due cose avessero coinciso non si possono confondere le ragioni di uno stabilimento condannato alla chiusura con una polemica che considero un po’ gratuita". Ieri hanno scioperato anche i lavoratori delle carrozzerie di Mirafiori, per solidarietà con i colleghi di Pomigliano, dove a meno di ventiquattr’ore dal referendum il clima resta incandescente, con la Fiat che non arretra di un millimetro, forte anche del via libera di Fim, Uilm, Fismic e Ugl, e la Fiom ferma nel ribadire il no incondizionato all’accordo. L’amministratore delegato della Fiat vuole la garanzia della "praticabilità" dell'intesa firmata il 15 giugno. Praticabilità che, in sostanza, significa sterilizzare i microconflitti che potrebbero nascere in fabbrica dopo il no della Fiom. L’auspicio, condiviso da molti, resta certamente quello di una vittoria dei sì, ma ancor più importante è la "gestibilità" dell’accordo, senza la quale gli investimenti rimangono a rischio. Si tratta di "fare in modo che le parti si adattino a ciascuna dimensione aziendale reciprocamente, flessibilmente e utilmente" ha spiegato ieri il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, e "credo ha aggiunto — ci siano le condizioni per un largo consenso, senza né vinti né vincitori, se non l'unica vittoria, affidata agli investimenti e ai posti di lavoro". Che è ciò che più conta anche per l’opposizione. Enrico Letta ieri è stato netto sul suo sostegno al sì, auspicando una vittoria "in modo convinto e largo". Ma lo è stato altrettanto anche sulla posizione del Pd, che ritiene "quell'accordo un unicum. Non può essere ripetibile ". Per il vicesegretario del Pd Pomigliano è una situazione particolare e va trattata come tale. Emma Marcegaglia, che ieri ha fatto appello al "grande senso di responsabilità" dei lavoratori, chiedendo alla Fiom se "tutelare i finti malati o gli assenteisti cronici significa tutelare i lavoratori? ", ha ricordato che in ballo ci sono "700 milioni di investimento e un'azienda che porta produzione dalla Polonia all'Italia, una cosa che non succede quasi mai". Bisogna solo decidere "se si vuole uno stabilimento competitivo che dia un futuro a 5 mila lavoratori più altri 10 mila nell' indotto oppure no". La presidente di Confindustria è consapevole tuttavia che quella della Fiom è "una posizione molto problematica " che rischia di rendere ingestibile Pomigliano. Per ovviare al problema ieri è spuntata l’ipotesi di un "piano C" messo a punto dal Lingotto, che vedrebbe la Fiat creare una nuova società con le attività di Pomigliano e l’assunzione dei lavoratori uno a uno con un nuovo contratto. "Un'ipotesi intermedia— ha rivelato il segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo—già ventilata durante la trattativa che abbiamo chiesto di accantonare perché preferiamo che una vittoria schiacciante dei sì riduca il pericolo da microconflittualità". Tuttavia, ha ammesso, "se le cose non dovessero andare bene non è detto che anche noi, piuttosto che mandare la produzione della Panda in Polonia, non possiamo richiedere che sia usata questa ipotesi". Federico De Rosa 22 giugno 2010
la fiom: "questa è la nostra risposta" Fiat: sciopero improvviso a Termini Imerese per protesta contro Marchionne Agli operai non sono piaciute le parole dell'ad che aveva parlato di uno sciopero per vedere Italia-Paraguay * NOTIZIE CORRELATE * Fiat, l'allarme di Marchionne: "Senza accordo non esisterà più industria" (18 giugno 2010) * Pomigliano, la Marcegaglia attacca: "Incredibile il no della Fiom" (15 giugno 2010) * Pomigliano, accordo separato e "no" della Fiom. Il 22 si tiene il referendum (15 giugno 2010) la fiom: "questa è la nostra risposta" Fiat: sciopero improvviso a Termini Imerese per protesta contro Marchionne Agli operai non sono piaciute le parole dell'ad che aveva parlato di uno sciopero per vedere Italia-Paraguay Sergio Marchionne (Eidon) Sergio Marchionne (Eidon) MILANO - Ancora acque agitate in casa Fiat. Questa mattina c'è stato infatti uno sciopero improvviso allo stabilimento Fiat di Termini Imerese. LE RAGIONI DELLA PROTESTA - Gli operai hanno deciso di fermare la produzione per protesta contro le parole dell'amministratore delegato del Lingotto Sergio Marchionne che aveva criticato i lavoratori siciliani accusandoli di avere scioperato lunedì scorso solo per poter vedere la partita di calcio dei Mondiali Italia-Paraguay. FIOM - "Questa è la risposta a Marchionne". Così il segretario della Fiom di Palermo, Roberto Mastrosimone, commenta lo sciopero alla Fiat di Termini Imerese. "Qui c'è gente che lavora da trent'anni - aggiunge Mastrosimone - Il signor Marchionne non solo sta chiudendo lo stabilimento ma addirittura adesso cerca di screditare il lavoro degli operai. Eppure era stato proprio lui a lodare la professionalità dei lavoratori di Termini Imerese, spiegando che la scelta di chiudere dipendeva da altre cose". Redazione online 21 giugno 2010
sullo stallo in corso sull'accordo per L'IMPIANTO NEL NAPOLETANO Fiat, l'allarme di Marchionne: "Senza accordo non esisterà più industria" "A Termini Imerese hanno scioperato per la nazionale". La denuncia Fiom: "Fiaccolata sabato sera a Pomigliano. L'azienda vuole replicare la marcia dei 40mila" * NOTIZIE CORRELATE * Pomigliano, la Marcegaglia attacca: "Incredibile il no della Fiom" (15 giugno 2010) * Pomigliano, accordo separato e "no" della Fiom. Il 22 si tiene il referendum (15 giugno 2010) sullo stallo in corso sull'accordo per L'IMPIANTO NEL NAPOLETANO Fiat, l'allarme di Marchionne: "Senza accordo non esisterà più industria" "A Termini Imerese hanno scioperato per la nazionale". La denuncia Fiom: "Fiaccolata sabato sera a Pomigliano. L'azienda vuole replicare la marcia dei 40mila" Sergio Marchionne (Eidon) Sergio Marchionne (Eidon) MILANO - Da una parte l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, che lancia un avvertimento chiaro: "Senza accordo non esisterà più industria". Dall'altra la denuncia dei segretari generali della Fiom: "L'azienda sta organizzando una fiaccolata per domani sera "precettando" i lavoratori alla partecipazione". Le posizioni di azienda e metalmeccanici su Pomigliano d'Arco restano distanti. Marchionne è caustico sullo scontro sindacale e le polemiche suscitate dopo l’accordo separato per il rilancio dello stabilimento nel Napoletano. Se si continua così, sostiene l'ad del Lingotto, "l’Italia non avrà un futuro a livello manifatturiero, l’industria non esisterà più: se la vogliamo ammazzare me lo dite. Lo facciamo - aggiunge con sarcasmo - sono disposto a fare quello che vogliono gli altri". "Il problema - ha detto il numero uno del Lingotto al termine della lectio magistralis di Mario Draghi per il master honoris causa conferitogli dalla fondazione Cuoa - è che stiamo cercando di portare avanti un progetto industriale italiano che non ha equivalenti nella storia dell’Europa. Non conosco nemmeno un’azienda in Europa che è stata disposta, capace, e ha avuto il coraggio di spostare la produzione da un paese dell’Est di nuovo in Italia". "Stiamo facendo discussioni su tv e giornali - ha concluso Marchionne - su principi di ideologia che ormai non hanno più corrispondenza con la realtà. Parliamo di storie vecchie di 30-40-50 anni fa: parliamo ancora di padrone contro il lavoratore, cose che non esistono più". Poi ha aggiunto: "Non mi riconosco, come industriale, nei discorsi che vengono fatti dalla Fiom. Questa non è la Fiat che gestiamo noi, non è la Fiat che esiste, parliamo di mondi diversi: è un proprio un discorso completamente sballato". "Noi abbiamo bisogno come in America di un solo interlocutore con cui parlare e non di dodici. Anche il fatto che i nostri operai si siano divisi in gruppetti ci costringe a parlare dà fastidio e non è la cosa più efficiente", ha detto il manager italo-canadese. "Non si può andare avanti così se per portare una macchina in italia bisogna parlare con 10 persone. È una cosa incredibile, mai vista", ha aggiunto Marchionne. LO SCIOPERO PER LA NAZIONALE - Poi ha concluso: "Cerchiamo di smetterla di prenderci per i fondelli" riferendosi in particolare allo sciopero di lunedì scorso a Termini Imerese indetto perché "l'unica ragione è che stava giocando la nazionale italiana". Alla fine risponde con una battuta ad una domanda dei cronisti su una recente dichiarazione dell'ex leader della Cgil, Sergio Cofferati che ha affermato che Marchionne è peggio di Cesare Romiti. "Non conoscevo Romiti, può darsi che aveva ragione: non lo so". "LAVORATORI PRECETTATI" - I dirigenti Fiom, dal canto loro denunciano che l'azienda sta organizzando per sabato sera una fiaccolata per "precettare" i lavoratori di Pomigliano d’Arco alla partecipazione. Dicono Maurizio Mascoli e di Napoli, Massimo Brancato: "Ci giunge notizia che l’azienda, attraverso i suoi "capi", stia organizzando una marcia a favore dell’intesa separata sottoscritta il 15 giugno, a cui tutti i lavoratori sono "invitati" a partecipare. Emergono - sottolineano in una nota - le peggiori tradizioni della Fiat, che ripropone a distanza di trent’anni una marcia dei 40mila in sedicesimo". Secondo quanto denunciato dalla Fiom, inoltre, "viene impedito l’accesso allo stabilimento per i soli delegati Fiom della linea 147 (che in questi giorni non lavora), mentre non avviene altrettanto per i delegati delle altri organizzazioni sindacali". Per lunedì, inoltre, l’azienda starebbe "invitando volontariamente" i lavoratori a presentarsi in stabilimento affinché possa provvedere" a illustrare i contenuti dell’accordo sottoscritto dalle altre organizzazioni sindacali. FIOM - Il segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini invita l'azienda a riflettere "sull'opportunità di imporre a Pomigliano un referendum sotto ricatto, il cui esito è già scritto". "Quando le lavoratrici ed i lavoratori della Fiat si possono liberamente esprimere, lo fanno per contrastare l'accordo separato di Pomigliano". "Mirafiori - dice Landini - si ferma, a Melfi la Fiom torna ad essere il primo sindacato nelle elezioni delle Rsu, alla Sevel i lavoratori scioperano e firmano l'appello rivolto a Marchionne, appello che stanno firmando anche a Cassino. L'assemblea degli iscritti Fiom di Pomigliano e i Comitati direttivi dei metalmeccanici Cgil di Napoli e della Campania hanno condiviso all'unanimità il giudizio espresso dal Comitato Centrale della Fiom, quindi l'impossibilità di firmare il testo imposto dalla Fiat e l'illegittimità di un referendum che avviene sotto il ricatto dei licenziamenti e viola norme della Costituzione". "Per far funzionare meglio le imprese - sottolinea il numero uno della Fiom - sono decisivi il consenso delle lavoratrici e dei lavoratori e il confronto negoziale fondato sulla pari dignità delle parti. La decisione della Fiat di cancellare i diritti fondamentali e di costruire rapporti fondati sul ricatto, anzichè sul consenso, costruisce solo conflitto e malcontento. La Fiat ascolti la voce libera dei suoi dipendenti che, in questi giorni, si stanno esprimendo e vogliono lavoro e diritti". TERMINI IMERESE - In precedenza il segretario della Fiom di Palermo, Roberto Mastrosimone aveva lanciato il suo j'accuse ai vertici della fabbrica torinese e non solo: "Per salvare lo stabilimento di Pomigliano la Fiat ha sacrificato 2.200 lavoratori di Termini Imerese. È bene dirlo a quanti in queste ore stanno enfatizzando l'accordo per Pomigliano, penso al ministro Sacconi, al presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, al Pd, al segretario della Cisl Raffaele Bonanni, alla Fim e alla Uilm. Alcuni di questi sanno benissimo cosa c'è dietro la vicenda". Per Mastrosimone "la scelta di chiudere Termini Imerese rientra in una precisa strategia messa a punto dalla Fiat sotto le pressioni della politica e delle lobbies preoccupate per il futuro dei 15 mila lavoratori di Pomigliano, che è ovvio che andavano tutelati ma non sacrificando altri operai". "La Fiat aveva firmato un accordo con il sindacato che prevedeva la produzione a Termini Imerese della nuova Lancia Ypsilon - dice Mastrosimone, ex delegato Fiat nella fabbrica - L'investimento programmato era di 550 milioni di euro, 100 milioni furono spesi per l'acquisto di un capannone e per la formazione degli operai. All'improvviso l'ad Sergio Marchionne cambia rotta, non rispetta gli impegni. Il motivo è che per trasferire dalla Polonia a Pomigliano la Panda era necessario assegnare un'altra vettura allo stabilimento di Tichy. Quale? La Fiat ha scelto la Lancia, scrivendo la parola fine sulla storia della fabbrica di Termini Imerese". "Sacconi, Marcegaglia, Bersani lo sanno questo? - conclude -. Cosa dicono alle 2.200 famiglie di altrettanti operai che a fine 2011 non saranno più dipendenti della Fiat? Oppure vogliono continuare a raccontare la storiella che nella loro fabbrica si gireranno film per il cinema o si costruiranno le auto elettriche?". Redazione online 18 giugno 2010
Tremonti: "L'accordo è la rivincita dei riformisti" Pomigliano, la Marcegaglia attacca : "Incredibile il no della Fiom" Fim, Uilm, Fismic e Ugl hanno firmato il nuovo documento Fiat, la Fiom no. Referendum il 22 giugno * NOTIZIE CORRELATE * Pomigliano, Fiom: "Firma impossibile". Cgil: a rischio leggi e Costituzione (14 giugno 2010) * L'accordo possibile per lo stabilimento è un messaggio per gli investitori esteri di P. Ichino * Le barriere alla crescita di Francesco Giavazzi Tremonti: "L'accordo è la rivincita dei riformisti" Pomigliano, la Marcegaglia attacca : "Incredibile il no della Fiom" Fim, Uilm, Fismic e Ugl hanno firmato il nuovo documento Fiat, la Fiom no. Referendum il 22 giugno I sindacati riuniti per la firma dell'accordo su Pomigliano (Lapresse) I sindacati riuniti per la firma dell'accordo su Pomigliano (Lapresse) MILANO - Il no della Fiom all'accordo per lo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco "è incredibile". Lo ha detto la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, commentando la bocciatura dei metalmeccanici della Cgil al documento del Lingotto, che martedì ha portato all'intesa separata sul sito campano. "Secondo noi - ha spiegato Marcegaglia - è incredibile che davanti a un'azienda che va contro la storia prendendo le produzioni dalla Polonia e riportandole in Italia, e che investe 700 milioni di euro, ci sia un no". Ora "vediamo cosa succede il 22 giugno", giorno in cui si terrà il referendum allo stabilimento, "attendiamo di capire cosa vogliono fare i lavoratori". ACCORDO SEPARATO - Martedì c'era stato l'accordo separato sullo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco. Fim, Uilm, Fismic e Ugl hanno firmato il documento, integrato, presentato dal Lingotto (LEGGI). La Fiom ha confermato il suo no. Al documento la Fiat ha stato aggiunto un sedicesimo punto, relativo all'istituzione di una commissione paritetica di raffreddamento sulle sanzioni, come richiesto dalle organizzazioni sindacali che venerdì avevano già dato un primo via libera al testo. È stata inoltre stabilita la data del referendum tra i lavoratori: martedì 22 giugno. "Mi auguro che la Fiom e la Cgil non vogliano ostacolare questo percorso" ha detto il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Per il collega dell'Economia Tremonti "l'accordo su Pomigliano è la rivincita dei riformisti su tutti gli altri". LA FIOM - "È un testo irricevibile, che va oltre le questioni relative allo stabilimento, che pone problemi seri di contrasto alla Carta costituzionale per quanto riguarda il diritto di sciopero e deroga alle leggi e al contratto nazionale - aveva spiegato il responsabile del settore auto della Fiom, Enzo Masini -. I lavoratori sono messi in condizione di ricatto. E anche un referendum non è possibile sotto la minaccia di chiusura di uno stabilimento. Questo è un referendum anomalo, nel senso che viene fatto: "Vuoi lavorare o vuoi essere licenziato?"". Al momento della firma Masini si è alzato ed ha lasciato il tavolo. Del referendum "discuteremo mercoledì - aveva aggiunto -, abbiamo convocato l'assemblea degli iscritti della Fiom a Pomigliano". I punti del testo, ha inoltre sottolineato, "non sono assolutamente cambiati. Il testo è lo stesso e la minaccia di licenziare i singoli lavoratori non è cambiata, c'è tutta. È stata solo istituita una commissione paritetica". Per Masini, il negoziato non è stato "paritario". REAZIONI - Con la Fiom si era schierata l'Italia dei Valori, secondo cui è stata firmata "un'intesa che riduce drasticamente i diritti individuali e collettivi previsti dalla Costituzione e dalle leggi e mettono sotto ricatto i lavoratori di Pomigliano". Secondo il segretario del Pd Pier Luigi Bersani "si poteva arrivare, con la buona volontà di tutti, a un accordo sull'assenteismo e sulla flessibilità senza sfiorare delicate questioni giuridiche. A questo punto bisogna valutare l'esito del referendum tra i lavoratori e bisogna fare in modo, e lo dico in particolare al governo, che questa vicenda eccezionale non prenda il carattere di esemplarità". Il sindaco di Pomigliano d'Arco, Lello Russo, pensa al 22 giugno: "Dai risultati del referendum emergerà la stragrande maggioranza della classe operaia è sana, non è fatta di scioperanti a oltranza, di assenteisti, di fannulloni, ma di persone serie, lavoratori che vogliono dimostrare ai colleghi del nord che qui da noi ci sono eccellenza e produttività". Redazione online 15 giugno 2010(ultima modifica: 16 giugno 2010)
Il sindaco russo: il referendum avrà un risultato positivo Pomigliano, accordo separato e "no" della Fiom. Il 22 si tiene il referendum Il Lingotto ha aggiunto un sedicesimo punto all'intesa in cui si stabilisce il varo di una commissione paritetica NAPOLI - Accordo separato sullo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco e referendum martedì 22. Fim, Uilm, Fismic e Ugl hanno firmato il nuovo documento, integrato, presentato dal Lingotto. La Fiom ha confermato il suo no. La Fiat ha sottoposto ai sindacati dei metalmeccanici un nuovo documento in cui viene aggiunto il sedicesimo punto relativo alla istituzione di una commissione paritetica di raffreddamento sulle sanzioni, come era stato richiesto dalle organizzazioni che venerdì scorso avevano già dato un primo ok. IL SINDACO - Nei giorni più tesi della vicenda Fiat-Pomigliano fa sentire la sua voce anche il neosindaco della città, Lello Russo, che prevede un’affermazione netta del sì all’accordo e non usa mezze misure per illustrare la sua posizione: "L’amministrazione comunale di Pomigliano d’Arco è accanto agli operai ed io non riesco a comprendere la posizione della Fiom. Il referendum avrà un risultato positivo, oserei dire scontato, a favore dell’accordo, emergerà la stragrande maggioranza della classe operaia che è sana, che non è fatta di scioperanti ad oltranza, di assenteisti, di fannulloni, ma di persone serie, lavoratori che vogliono dimostrare ai colleghi del nord che qui da noi ci sono eccellenza e produttività". Russo è inevitabilmente preoccupato delle ricadute occupazionali della vicenda: "Ritengo che la produzione della nuova Panda possa incrementare l’occupazione e attrarre investimenti. Il risultato, anche quello che auspico scontato, del referendum, non può che vederci speranzosi in un’ inversione di tendenza, una stretta sui problemi che attengono alla legalità del lavoro". Carlo tarallo 15 giugno 2010 |
REPUBBLICA per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.repubblica.it/2011-07-25 Fiat Industrial ricavi in crescita Il colosso torinese ha chiuso il secondo trimestre con ricavi pari a 6,3 miliardi di euro (5,7 miliardi di euro nel secondo trimestre del 2010), in crescita del 10,6% per effetto dell'incremento dei volumi di tutti i settori Fiat Industrial ricavi in crescita Buone notizie dal pianeta Fiat: l'indebitamento netto di Fiat Industrial è sceso a 1,7 miliardi di euro (2,1 miliardi di euro al 31 marzo 2011), principalmente per effetto del forte cash flow operativo. La liquidità è salita a 3,9 miliardi di euro, in crescita di circa 400 milioni di euro rispetto al 31 marzo 2011. Tutto questo grazie al fatto che Fiat Industrial ha chiuso il secondo trimestre con ricavi pari a 6,3 miliardi di euro (5,7 miliardi di euro nel secondo trimestre del 2010), in crescita del 10,6% per effetto dell'incremento dei volumi di tutti i settori. L'utile della gestione ordinaria, pari a 530 milioni di euro, è aumentato di 184 milioni di euro (346 milioni di euro nel secondo trimestre 2010) "trainato - spiega la società -dalla significativa performance di cnh che ha realizzato un margine sui ricavi a due cifre (10,5%)". L'utile netto è salito da 130 a 239 milioni di euro. Complessivamente quindi nei primi sei mesi dell'anno, i ricavi del gruppo sono stati pari a 11,6 miliardi di euro, in aumento del 14,4% rispetto all'analogo periodo del 2010. L'utile della gestione ordinaria è stato di 807 milioni di euro (margine sui ricavi del 6,9%), con un miglioramento del 72,4% mentre l'utile netto è salito da 96 a 353 milioni di euro. Così Fiat industrial ha rivisto al rialzo gli obiettivi per l'anno con ricavi di circa 24 miliardi di euro, utile della gestione ordinaria superiore a 1,5 miliardi di euro, indebitamento netto industriale di circa 1,6 miliardi di euro e liquidità superiore ai 4 miliardi di euro circa. (25 luglio 2011)
2011-07-22 SICUREZZA Cinque morti sul lavoro in un giorno Cgil: "Peggio di un bollettino di guerra" Due vittime in Piemonte, un giovane operaio nell'Alto Adige, un dipendente dell'Unicoop di Scandicci e un agricoltore a Ruvo del monte. Bilancio tragico di una giornata in un anno che già conta 345 infortuni letali Cinque morti sul lavoro in un giorno Cgil: "Peggio di un bollettino di guerra" ROMA - Cinque morti in un giorno. E' il bilancio tragico degli incidenti sul lavoro registrato nella sola giornata di oggi in Italia. Due vittime in Piemonte, una a Scandicci (Firenze). E ancora, a Bolzano ha perso la vita un operaio di 21 e nel potentino un agricoltore di 45 anni. Secondo l'Osservatorio Indipendente di Bologna sulle morti sul lavoro, dall'inizio dell'anno ci sono stati 345 morti per infortuni professionali. Ma il numero supera i 650 se si aggiungono i lavoratori deceduti sulle strade e in itinere. Rispetto allo scorso anno,l'aumento è del 14,8%. Erano 292 i morti sul di lavoro al 21 luglio del 2010. Piemonte. Le vittime sono due operai 1, a Chivasso e Asti. L'operaio di Chivasso era un edile ed è stato travolto da una betoniera messa in moto da un collega, stamattina, mentre stava lavorando in cantiere. I soccorsi sono partiti immediamente, un elicottero del 118 lo ha trasportato in ospedale. Le condizioni dell'uomo erano disperate, e l'operaio è deceduto poco dopo l'arrivo al Cto. Paolino Pedrolo, 54 anni di Villafranca d'Asti è invece è stato trovato a terra con gravi ferite. La dinamica dell'incidente resta ancora da chiarire. In un primo tempo si è parlato di una possibile caduta da un'impalcatura, i carabinieri hanno escluso questa possibilità dopo gli accertamenti del caso. Nonostante il soccorso da parte di uno dei titolari dell'azienda, Pedrolo è deceduto in serata al Cto di Torino. Firenze. Claudio Pierini, 52 anni, era dipendente della Coop di viale Europa di Scandicci. L'incidente è accaduto questa mattina 2, nel magazzino di cosmetici della Unicoop. Secondo le ricostruzioni, Pierini era alla guida di un muletto quando, per cause ancora da accertare, ha perso il controllo del mezzo e ha impattato violentemente contro una scaffalatura. L'operaio sarebbe morto sul colpo, per le lesioni subite a seguito dell'urto contro il volante del mezzo. I colleghi e lo hanno soccorso e hanno cercato di rianimarlo, ma i tentavivi sono stati vani, così come quelli dei medici del 118 subito giunti sul posto con i carabinieri ed i vigili del fuoco. Nel pomeriggio il magazzino ha sospeso la sua attività. Rossano Rossi, segretario Cgil Firenze con delega alla sicurezza, ha dcihiarato: "Ancora una volta un lavoratore non farà ritorno a casa, una vita spezzata una famiglia distrutta, continua così questa catena di morti, che sembra impossibile spezzare e troppo simile ad un bollettino di guerra, anzi peggio". Alto Adige. Un'altra vittima nei pressi di Bolzano, all'interno di una cava di ghiaia nella zona di Laives. Un uomo di 21 anni è morto dopo aver perso il controllo del camion che stava guidando, precipitando per un centinaio di metri. L'uomo è morto all'istante. Indagini sono in corso da parte dei carabinieri sull'esatta dinamica della disgrazia. Basilicata. A Ruvo del Monte, in provincia di Potenza, un uomo di 45 anni è morto schiacciato dal trattore su cui stava lavorando, presso un'azienda agricola. Anche in questo caso, il decesso è stato istantaneo. Sul posto sono intervenuti anche i sanitari del 118, ma a nulla sono valsi i tentativi di rianimazione. Sull'episodio indagano i Carabinieri della Compagnia di Melfi che hanno interrogato le persone che erano presenti al momento dell'incidente. Sul cadavere, il medico legale ha effettuato un'ispezione esterna e poi la salma è stata restituita alla famiglia. (21 luglio 2011)
SCIOPERO Venerdì nero per i trasporti Metro chiuse e bus fermi Rischio caos nelle maggiori città italiane a causa dell'agitazione nazionale di 24 ore del trasporto pubblico. Con modalità divverse, sarà difficile spostarsi dalle 8:30 fino a fine servizio. E disagi anche per chi si sposta in treno per lo sciopero del trasporto ferroviario Venerdì nero per i trasporti Metro chiuse e bus fermi ROMA - È una giornata difficile per chi utilizza i mezzi pubblici, ma anche per quanti, abituati a muoversi in auto, devono fare i conti con l'incremento del traffico. A causa dello sciopero nazionale di 24 ore, indetto dalle organizzazioni sindacali Cub trasporti/Al Cobas, Filt-Fit-Uilt-Orsa-Ugl-Faisa-Fast, nelle maggiori città italiane si registrano disagi e ritardi nella circolazione. L'agitazione è stata indetta dai sindacati "a sostegno della vertenza per il nuovo contratto della mobilità, che interessa oltre 200 mila addetti", da tre anni in attesa di rinnovo. "In 112 giorni dallo scorso sciopero - sottolineano i sindacati - nulla è cambiato negli atteggiamenti e nei comportamenti dei datori di lavoro". Venerdì nero anche per chi si sposta in treno per lo sciopero di 24 ore, iniziato ieri sera alle 21, del trasporto ferroviario. Roma: bus e tram fermi, metro chiuse. È iniziato alle 8.30 a Roma 1 lo sciopero nazionale di 24 ore del trasporto pubblico. Metro A e B chiuse, ferme anche la Roma-Lido e la Termini-Giardinetti. Alle 11:30 l'adesione era del 70%. La ferrovia Roma-Viterbo è attiva nella tratta Flaminio-Saxa Rubra. Ridotto il servizio navetta bus tra Saxa Rubra e Montebello. Sino alle 17 fermi tram e bus dell'Atac e linee periferiche gestite da Roma Tpl. Fino alle 17 non sarà presidiata la Centrale della Mobilità; attivo il contact center per il numero verde disabili e il numero verde Tpl e il servizio informazioni bus turistici. Chiusi i box informazioni Termini e i check point Ponte Mammolo e Aurelia, e i bus turitici. Attivo fino alle 12.30 il check point Laurentino. FOTO - Stazione Termini, passeggeri a terra 2 La protesta nazionale coinvolge il personale viaggiante e interno lavoratori di Atac, Roma Servizi per la Mobilità e Roma Tpl, compresi gli addetti alla verifica dei titoli di viaggio, addetti ai parcheggi, ausiliari del traffico e lavoratori delle biglietterie. Per quanto riguarda l'Agenzia per la Mobilità, potranno esserci ripercussioni per lo sportello al pubblico di piazzale degli Archivi 40, il contact center, il numero verde per persone con disabilità 800154451, il box informazioni di Termini e Fiumicino e i check-point dei bus turistici. Lo sciopero si svolgerà nel rispetto delle fasce di garanzia. Il servizio sarà quindi garantito tra le 17 e le 20 quando è previsto che l'astensione degli autoferrotranvieri riprenda. Milano, stop alle tre linee metro ed Ecopass sospesi. Sono state chiuse, stamani, le tre linee della metropolitana di Milano. La prima parte dell'astensione dal lavoro è iniziata alle 8.45. Dalle 15 alle 18, durante la fascia di garanzia, la circolazione sulle metropolitane e sulle linee di superficie sarà regolare. Dalle 18 al termine del servizio riprenderà infine l'agitazione. Il Comune di Milano ha deciso di sospendere l'Ecopass. Inoltre oggi il Comune ha deciso di liberalizzare i turni del servizio taxi, solo per il carico in città, durante le fasce orarie interessate dall'agitazione. Lo sciopero nelle altre città. Queste le modalità dell'agitazione: Napoli 3 dalle 8.30 alle 17 e dalle 20 a fine servizio; Torino dalle 9 alle 12 e dalle 15 a fine servizio. Qui il Comune di Torino ha sospeso la Ztl. L'ordinanza di sospensione è valida solo per la giornata odierna. Venezia-Mestre dalle 9 alle 16.30 e dalle 19.30 a fine servizio; Genova 4 dalle 9,30 alle 17 e dalle 21 a termine servizio; Bari 8.30 - 12.30 e dalle 15.30 a fine servizio; Palermo dalle 8.30 alle 17.30; Cagliari dalle 9.30 alle 12.45, dalle 14.45 alle 18.30 e dalle 20 alla fine del servizio. I sindacati: "Altissima adesione". Secondo i primi dati, sono altissime le adesioni su tutto il territorio nazionale. A Roma sono ferme le due linee della metropolitana i collegamenti ferroviari concessi con Roma Pantano e Lido e l'83% dei bus con punte del 90% nella aziende private; a Milano chiuse le tre linee della metropolitana e fermi circa il 70% dei mezzi pubblici; a Torino chiusa la metropolitana e fermi circa il 90% dei bus; Genova ferma la metropolitana e le funicolari ed adesioni del 97% dei mezzi di superficie; a Venezia fermi la quasi totalità dei vaporetti ed a Mestre il 91% dei bus, a Bologna ieri adesioni del 95% nella circolazione, a Napoli circumvesuviana, metropolitane e funicolari sono ferme l'85% dei mezzi pubblici di superficie. Fermo oltre il 90% dei mezzi pubblici a Bari, l'80% dei servizi urbani a Cagliari ed il 70% a Palermo. Fino alle 21 treni a rischio. È iniziato ieri sera alle 21 e prosegue fino alla stessa ora di oggi lo sciopero del trasporto ferroviario. Fs informa che durante lo sciopero circolerà circa il 67% dei 540 treni a lunga percorrenza previsti e, nell'ambito del trasporto regionale, saranno effettuati i servizi essenziali nelle fasce a maggiore mobilità pendolare (dalle 6 alle 9 e dalle 18 alle 21 del 22 luglio). Saranno assicurati poi tutti i treni a media e lunga percorrenza elencati nella tabella A dei convogli previsti in caso di sciopero, consultabile sull'orario ufficiale: limitazioni e cancellazioni saranno possibili però anche dopo la fine dello sciopero, durante il quale sarà comunque assicurato il collegamento tra Roma e l'aeroporto di Fiumicino, con il Leonardo Express o con pullman sostitutivi. È attivo un numero verde (800 892021) per fornire assistenza. (22 luglio 2011)
2011-07-20 L'OPINIONE Gli stipendi da dimezzare di MARIO PIRANI Gli stipendi da dimezzare Silvio Berlusconi SE, COME nell'immediato dopoguerra, tornasse a funzionare un Tribunale per i profitti di regime, applicato stavolta alle dilapidazioni dei costi della politica, al primo posto fra gli imputati figurerebbe Berlusconi. È stata smentita da tempo, infatti, la voce popolare che essendo ricco di suo non si sarebbe profittato dei beni pubblici. Voce del resto falsa in nuce perché non esiste ricco che si proponga limiti all'insù all'impinguarsi dei propri beni. Il nostro lo ha ampiamente provato con le leggi ad aziendam, come la sterilizzazione del falso in bilancio, coi processi per impadronirsi della Mondadori comprando i giudici, con l'appoggio dato ad ogni parlamentare accusato di corruzione, da Cosentino a Papa. Ma sottostante ai singoli fatti, vi è un contesto di favoreggiamento generalizzato, individuabile nel tradimento dell'impegno liberale che innalzò al momento della sua scesa in campo e ribadì ad ogni elezione. Sarebbero dovute seguire a pioggia privatizzazioni e liberalizzazioni che sgravassero migliaia di enti pubblici, parapubblici, municipalizzate dalla presa dello Stato e di apparati pletorici di nomina partitica. È accaduto il contrario. Purtroppo la sinistra, pur battendosi senza sosta contro Berlusconi sui singoli fatti, si è lasciata invischiare e infettare dalla tentazione pubblicistica social-affaristica. Ora ne vive la contraddizione. "Il mio partito - ha detto Walter Veltroni - dovrebbe mettersi alla testa della riforma dei costi della politica, non subirla". Non poteva, però, dare una risposta esauriente del perché il Pd, al dunque, come è accaduto quando si è astenuto con somma e imperdonabile dabbenaggine sulla abolizione delle Province, si comporti in genere come un devoto timoroso di uscire dal solco della ortodossia partitica. Una ortodossia che ha sempre imposto il dogma dell'intangibilità dei propri privilegi, pretendendo che vengano identificati coi valori della democrazia. Fuori da quel solco scatta l'anatema contro populismo e demagogia. Di qui la tendenza alla responsabilità condivisa, a cercare tutti assieme, destra e sinistra, pasticciate e caute modifiche. Ma torniamo alla domanda sul perché il principale partito di sinistra abbia finito per far propria una così sgradevole connivenza, senza tenere, per contro, ben salda una forte e continua battaglia riformista, la cui carenza suscita una tale rabbia e delusione che a questo punto ha sfondato su Facebook con 150.000 contatti in un giorno contro i benefici castali degli inquilini del paese dei balocchi, sito a Montecitorio. Il fenomeno regressivo subito dal Pd, impone comunque non desolate battute ma una risposta impietosa, nell'ipotesi che sia ancora possibile finirla con la stanchezza organica che spegne ogni sua capacità reattiva sul terreno dei costi della politica. Alla radice vi è la perdita di ogni memoria di sé, di un partito che, malgrado il veleno dello stalinismo, era portatore di una morale pubblica che lo distingueva dagli altri per l'austerità di una militanza individualmente non compromessa neppure dall'"oro di Mosca" e dalle sovvenzioni delle coop, necessari per l'azione ma non certo per rimpinguare stipendi dei funzionari politici, parametrati orgogliosamente sul salario di un operaio metalmeccanico mentre i parlamentari versavano a Botteghe Oscure una quota massiccia dei loro emolumenti, i sindaci ricevevano indennità risibili, nulla spettava per consiglieri comunali ed altri incarichi elettivi. Certo, tutto questo comportava il risvolto negativo di sentirsi parte di una specie di "anti-Stato etico", che spinse Berlinguer alla esaltazione isolazionista del "partito diverso", ma anche permise ad Occhetto di decidere l'uscita dei propri rappresentanti dai comitati di gestione della Usl per non lasciarsi coinvolgere dalla mala gestione sanitaria. Analogo il discorso per gli eredi di La Pira e Dossetti. Tutto ciò appartiene al passato. Il Pci è scomparso, la sua eredità è andata dilapidata non solo nel tanto che doveva giustamente essere rigettato ma anche in quelle qualità cancellate dalla memoria ufficiale ma non dal ricordo, magari per storia riportata, di tanta parte dell'elettorato di sinistra che si sente doppiamente tradito, per ieri e per oggi. Quanto al Pd non ha saputo darsi un volto né trovare un'anima davvero riformista che lo ispirasse. Di qui una mancata percezione della realtà, una incapacità di conoscere e di capire passioni, sentimenti e pensieri, non pretendiamo della società italiana nel suo assieme, ma neppure di quella parte che ancora lo vota e che anche se non lo considera più una forza propulsiva lo conserva nelle sue attese come un patrimonio in gran parte inutilizzato ma ancora spendibile. A condizione che i suoi depositari si rendano conto che non possono più avallare sacrifici dolorosissimi imposti a quanti lavorano nella sanità, nella scuola, nella funzione pubblica, nelle fabbriche, ai giovani privati di futuro se questa richiesta è presentata da signori che incassano tra stipendi, vitalizi, benefici di vario ordine sui 20.000 euro al mese. Che differenza umana e capacità professionale c'è tra un professore che non supera i 1700 euro mensili e un deputato, un consigliere regionale, uno delle centinaia di migliaia di consulenti, presidenti, vice presidenti e quant'altro la fantasia amministrativa abbia suggerito? Una domanda che potrebbe scadere nella demagogia se questi sacrifici - e gli altri che seguiranno - non facessero parte di un piano di salvezza nazionale e di rientro da un debito mostruoso che obbliga al concorso di tutti. Nessuno si può rifiutare perché la Patria è in pericolo, ma questa realtà obbliga tutti a fare la loro parte, non con gesti simbolici che suonano come pubbliche offese ma con atti dirompenti che ridiano un paragone di decenza ai rappresentanti del popolo. Si tratta di proporre e affermare misure drastiche, prima delle quali deve essere il dimezzamento netto di tutti gli stipendi ed emolumenti legati alle funzioni di rappresentanza. Eguale decisione deve essere estesa a tutti gli incarichi politici di ogni ente pubblico e parapubblico. Cessazione, inoltre, di ogni benefits, collegato alla rappresentanza, se non per la alte cariche dello Stato e degli enti locali: ad esempio auto blu al ministro ma non al sottosegretario. E così via. Queste proposte e altre che potrebbero seguire non avrebbero alcuna possibilità neppure di un primo ascolto se fossero affidate alle defatiganti quanto improduttive procedure parlamentari, tanto più con conclusioni trasversali. No, solo un rivoluzionario sussulto di una sinistra baciata dal risveglio e da una volontà di salvezza potrebbe produrre lo scatto indispensabile. Anche l'arma deve assumere una valenza estrema e combattiva e consistere in una proclamazione unilaterale impegnativa: in caso di mancato accordo il Pd, a partire da Senato e Camera e scendendo per li rami, procederà da subito alla applicazione dei tagli decisi per i propri rappresentanti. I proventi mensili, fino a quando non coinvolgeranno gli altri partiti (nel qual caso servirebbero a sanare il deficit pubblico), saranno destinati a una Fondazione del Popolo di Sinistra, presieduta da uno scelto consesso di persone, sagge e specchiate, che li spartiranno secondo criteri di solidarietà sociale da stabilire. La polemica verso i refrattari dovrebbe assumere toni giacobini, senza tema di incorrere nel peccato di populismo. Reputo che simili proponimenti - così alieni al mio abituale modo di pensare - stupiranno più di un lettore. Essi derivano da una visione altamente drammatica di un possibile futuro, non esclusa una deriva di estrema destra in Italia e in altre nazioni europee, colpite da una crisi economica difficilmente governabile. Non dimentichiamo che la catastrofe degli anni Trenta, importata dagli Usa, esplose in Europa per l'effetto domino del fallimento di una banca austriaca, cui neppure l'intervento delle Banche centrali di Inghilterra e di Francia bastò a mettere argine. Regimi autoritari si stabilizzarono in quasi tutto il Continente. Sono però altresì convinto che la Storia alla lunga non insegni nulla ai posteri, tanto più a una classe sociale (come chiamarla "classe politica"?) formata da un milione e più di persone che vivono e dominano grazie a una gestione della partitocrazia fine a se stessa, priva di ogni altra professionalità, decisa a non rinunciare a ricchezza e simboli del potere. Una impresa che solo il recupero possente di una forza propulsiva può tentare. Sarà in grado la sinistra di esprimerla, gravata com'è da un inquinamento da contiguità che ne ha infiacchito risorse e fantasia? Malgrado i molti dubbi una speranza c'è. Essa scaturisce dall'insperato sussulto di ripresa comprovato dalle elezioni amministrative, dai referendum e persino dalla marea di mail di questi ultimi giorni. Il segno che più conta è che questa esplosione diffusa avviene inglobando il Pd ma superandone, ad un tempo, i limiti, le paure, le anchilosi e le divisioni paralizzanti quasi il popolo di sinistra, colpito ma non domo, stia esercitando una Opa benefica e s'impadronisca degli strumenti della politica, depurandoli anche dall'estremismo dei gruppi minori. La situazione è in equilibrio, se il Pd ne coglie l'onda, può trascinare popolo e movimenti, alleanze nuove e formazioni risorte in un moto di salvezza dell'Italia. Non è detto, però, che questo avvenga. (20 luglio 2011)
INDUSTRIA Irisbus, solo sospeso l'addio di Fiat 700 lavoratori con il fiato sospeso Il "blocco" della dismissione per pochi giorni, sperando che dai ministeri escano subito risorse per il trasporto pubblico: è il risultato del tavolo romano sul caso dello stabilimento irpino. I sindacati preoccupati: "Se il governo non investe, Industrial se ne andrà". L'ipotesi Di Risio non convince di SALVATORE MANNIRONI Irisbus, solo sospeso l'addio di Fiat 700 lavoratori con il fiato sospeso Un autobus dell'Atac a Roma: gran parte del parco mezzi dell'azienda è prodotto dalla Irisbus ROMA - Una fumata grigia che non soddisfa gli operai e preoccupa i sindacati. Tale è stato l'esito dell'incontro sulla vertenza Irisbus che stamattina a Roma ha messo di fronte le parti sociali, i dirigenti del ministero dello Sviluppo economico e i rappresentanti di Fiat Industrial. La società, nata quest'anno dalla scissione del titolo Fiat, ha annunciato dieci giorni fa l'intenzione di dismettere l'attività dello stabilimento di Valle Ufita, in provincia di Avellino, dove si producono mezzi di trasporto pubblico e che dà lavoro direttamente a 680 operai e impiegati che diventano oltre 1.200 se si considera l'indotto. Centinaia di loro hanno partecipato oggi al presidio organizzato davanti al ministero in attesa dell'incontro. Il risultato ottenuto dai sindacati al tavolo odierno è stato il blocco temporaneo, fino ad agosto, delle procedure di cessione della fabbrica in attesa di due nuove riunioni in programma nei prossimi giorni: la prima coinvolgerà anche i ministeri delle Infrastrutture-Trasporti e dell'Ambiente, nonché la Conferenza Stato-Regioni, e dovrebbe servire a individuare risorse per alimentare il fondo nazionale per il trasporto pubblico. La seconda, conseguente, dovrebbe servire a rifare il punto con Fiat Industrial. Tutte le sigle sindacali coinvolte nella vertenza - Fiom, Fim, Uilm e Ugl - restano preoccupate perché l'azienda non ha mostrato alcuna apertura e senza una svolta decisa sul piano delle risorse molto difficilmente cambierà i propri programmi. "E' chiaro che non siamo soddisfatti - dice Giovanni Sgambati, segretario della Uil Campania - ma rimandiamo una valutazione più attenta alla prossima settimana". "Il governo - aggiunge Giovanni Centrella, leader dell'Ugl - ha preso l'impegno per l'istituzione di un tavolo per trovare le risorse e costringere così la Fiat a tenere aperto lo stabilimento. Ora dobbiamo vedere se si trovano le risorse, ma la Fiat ha avuto una posizione rigida". La Cgil sposta l'attenzione sull'assenza di politiche industriali da parte del governo: "In tutta Europa gli autobus sono costruiti con stanziamenti pubblici - afferma Enzo Masini, responsabile del settore auto della Fiom - : noi chiediamo un piano nazionale dei trasporti che prenda atto che il parco circolante degli autobus italiani è il più vecchio d'Europa". I timori, dunque, restano e non smorzano la tensione accumulata dai lavoratori in due settimane nel corso delle quali in Irpinia si sono ripetute proteste, appelli alle istituzioni, scioperi e manifestazioni. La vertenza si è aperta dopo che Fiat Industrial ha preannunciato la dismissione del sito di Valle Ufita - nato negli anni Settanta nel nucleo industriale di Flumeri per la produzione di autobus e pullman - , ritenendo sufficienti per le proprie strategie di mercato nel settore autobus lo stabilimento francese di Annonay, vicino a Lione, dove resta il 65% delle produzioni del marchio Irisbus, e quello di Visokè Myto nella Repubblica Ceca. L'uscita del Lingotto arriverebbe oltretutto su uno stabilimento che da mesi ha quasi il 70% dei dipendenti in cassa integrazione e a un anno dal contrastatissimo accordo sindacale che accettava una drastica riduzione del personale (attraverso prepensionamenti, dimissioni incentivate e lunghi periodi di cassa) in cambio di nuovi investimenti in tecnologie per 8 milioni di euro. Davanti al probabile addio di Fiat Industrial, al momento l'unica prospettiva è rappresentata da Massimo Di Risio, imprenditore molisano titolare della DrGroup, azienda che ha sede a Macchia d'Isernia, opera da 25 anni nel settore della commercializzazione dell'auto e di recente ha allargato l'attività alla produzione di Suv e fuoristrada. Nell'ultimo bilancio, DrGroup - 200 dipendenti - ha dichiarato un fatturato di 250 milioni di euro e, anche attraverso una serie di partnership con aziende cinesi del settore auto, punta su prodotti (il Suv DR5, il pickup Troy e l'off road Victory) ispirati soprattutto a modelli giapponesi, adattati a gusti ed esigenze della clientela italiana ed europea. Ad allarmare i sindacati irpini, però, è il fatto che il segmento autobus sembra essere comunque marginale anche nei progetti futuri immediati di Dr Group e dunque, salvo cambi decisi di strategia, un investimento sulla Irisbus comporterebbe inevitabilmente un pesante ridimensionamento dello stabilimento di Flumeri, che oggi invece è in grado di produrre fino a mille autobus all'anno (anche se negli ultimi anni non ne ha mai prodotti più di 250), e dei suoi organici. Anche per questo gli operai restano al momento fermamente contrari alle ipotesi di cessione. (20 luglio 2011)
2011-07-04 LA MANOVRA
LODO MONDADORI Un comma pro-Berlusconi per bloccare risarcimento a Cir Prevista la sospensione delle maxicondanne in sede civile. Il Pd: "Una vergogna, lacrime e sangue per il paese, e protezione ai più ricchi". Idv e Verdi: "Ecco quali sono le vere priorità di questo governo". Palamara (Anm): "Incostituzionale". Un giudice di Cassazione: "Danni irreparabili" Un comma pro-Berlusconi per bloccare risarcimento a Cir Carlo De Benedetti ROMA - L'ultimo comma dell'articolo 37: nelle pieghe della manovra un'altra norma ad personam per il presidente del Consiglio e le sue aziende. Viene infatti deciso lo stop in appello all'esecuzione delle condanne civili che superino i dieci milioni di euro e stop in Cassazione per quelle che vanno oltre i 20 milioni, in cambio di una idonea cauzione. Due modifiche al codice di procedura civile che potrebbero influire anche sull'attesa sentenza d'appello del tribunale civile per il Lodo Mondadori, prevista per la fine di questa settimana. Fininvest in primo grado era stata condannata a risarcire con 750 milioni di euro la Cir di Carlo De Benedetti, presidente del Gruppo Editoriale L'Espresso. La bozza aggiunge infatti un comma all'articolo 283 del codice di procedura civile che parla dei provvedimenti sull'esecuzione provvisoria in appello e che prevede che il giudice dell'appello, "su istanza di parte quando sussistono gravi e fondati motivi sospende in tutto o in parte l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione". Il comma aggiuntivo che sarebbe spuntato nella manovra economica recita: "La sospensione prevista dal comma che precede è in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a dieci milioni di euro se la parte istante presta idonea cauzione". LE TAPPE DEL PROCESSO MONDADORI 1 IL TESTO PROVVISORIO DELLA FINANZIARIA 2 Pierluigi Bersani parla di insulto al Parlamento. La capogruppo del Pd in commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, attacca. "Sono senza vergogna, è scandaloso che in una finanziaria che prefigura lacrime e sangue per il paese sia contenuta una norma di classe, che consente ai più ricchi dilatare il regolare corso della giustizia e che, guarda caso, molto probabilmente farà tirare un sospiro di sollievo alle aziende del presidente Berlusconi". "Altro che partito degli onesti, anche in momenti così difficili il premier non dimentica gli interessi delle proprie imprese", ha spiegato. E aggiunge la capogruppo pd in Senato, Anna Finocchiaro: "Siamo di nuovo di fronte al conflitto di interessi e a un provvedimento da furbetti". Il parlamentare del Pd Antonio Misiani chiede che la Consob faccia accertamenti sul titolo Fininvest, in ripresa dalla scorsa settimana. 3 Interviene anche Antonio Di Pietro: "Anche le azioni criminali - afferma in una nota il leader dell'idv - hanno un limite per essere credibili, oltre il quale diventano ridicole". Secondo Di Pietro "se nel testo definitivo della manovra ci fosse una norma criminogena, volta ad assicurare a Berlusconi l'annullamento del pagamento dovuto al gruppo De Benedetti, sarebbe la dimostrazione che il governo ha perso il senso del limite e il senno. Come si può approfittare così delle istituzioni? Un giudice accorto - conclude - dovrebbe disapplicare questa disposizione perché palesemente immorale e incostituzionale". Il leader dei Verdi Angelo Bonelli parla di una manovra "ad personam". "E' davvero incredibile quello che sta succedendo in queste ore. Ecco quali sono le vere priorità di un governo che ha tagliato la spesa sociale, ha imposto i ticket sanitari, ha fatto tagli senza precedenti al trasporto pubblico e ha affrontato le rinnovabili: fermare il risarcimento per il lodo Mondadori". "La norma inserita in finanziaria per sospendere il pagamento del risarcimento di Mediaset a Cir in relazione al caso Mondadori è un grave atto del governo, sia perchè contiene un esplicito favore al premier sia perchè non ci sono i requisiti di necessità e urgenza previsti dalla Costituzione" dichiara Italo Bocchino, vice presidente di Futuro e libertà per l'Italia. Luca Palamara (Anm). "Se confermata" la norma sul lodo Mondadori "sarebbe una norma che nulla ha a che vedere con il tema dell'efficienza del processo civile, che determinerebbe una iiniqua disparità di trattemento e che sarebbe, quindi, incostituzionale". Un giudice di Cassazione: "Danni irreparabili". "Una norma di favore per i grandi debitori destinata a produrre guasti irreparabili, anche perché mette in discussione la stessa credibilità del processo civile, che trova il suo fondamento nel fatto che le sue pronunce di appello sono immediatamente esecutive". Giuseppe Maria Berruti, giudice della Prima sezione civile della Corte di Cassazione, è fortemente critico con l'Ansa sulle nuove disposizioni del codice di procedura civile che vengono introdotte con la manovra finanziaria. Ma sull'intervento che obbliga il giudice a sospendere l'esecutività delle condanne nel caso di risarcimenti superiori ai 20 milioni di euro (10 in primo grado) dietro il pagamento di una cauzione e in attesa che si pronunci in via definitiva la Cassazione,il suo giudizio è drastico:"E' una norma di favore per i grandi debitori, come le amministrazioni che non pagano i grandi appalti , le imprese altamente insolventi verso miriadi di consumatori e così via. In sostanza chi in teoria ha fatto più danno si vede mettere a disposizione straordinarie possibilità dilatorie". Sinora la sospensione "era sottoposta a condizioni stringenti che il giudice doveva esaminare per evitare guai peggiori, come l'insolvenza del debitore". Ora invece con queste nuove disposizioni congelare i mega risarcimenti diventa una strada obbligata per il giudice di appello: "E' una facilitazione per i grandi debitori, per i quali si rinvia tutto alla fine del giudizio di Cassazione, cioè alla definitività della sentenza". E non è tutto: così "si allenta una fondamentale condizione di credibilità del processo civile che è rappresentata dall'esecutività della sentenza di merito" e tutto questo accade mentre "tutto il mondo va verso un'abbreviazione dei processi e una valorizzazione addirittura delle sentenze di primo grado e mentre si sostiene che i grandi investitori esteri non vengono in Italia perchè hanno timore di non recuperare i loro crediti". Ma soprattutto per questa via "si sottopone la Corte di Cassazione a pressioni enormi perchè vada oltre il giudizio di legittimità e sconfini nel merito". (04 luglio 2011)
LA MANOVRA AL QUIRINALE Statali, bloccati aumenti Tagli agli incentivi per l'energia Nel provvedimento spunta di nuovo la riduzione del 30 % delle agevolazioni energetiche in bolletta. Confermati il blocco delle rivalutazioni delle pensioni, lo stop al turn over e agli aumenti nel pubblico impiego, la sforbiciata del 10 % ai costi della politica, il superbollo per le auto di lusso, la regolamentazione dell'uso delle auto e degli aerei "blu". Dai giochi arriveranno 1,4 miliardi di euro in tre anni. E c'è anche il provvedimento "anti-badante"
Statali, bloccati aumenti Tagli agli incentivi per l'energia Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi ROMA - Trentanove articoli e due allegati: è il testo finale del decreto contenente "disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria", la manovra economica 2011-2014 approvato dal governo giovedì scorso e oggi trasmesso al Quirinale. "Come sempre", i contenuti della manovra presentata oggi dal governo verranno "sottoposti ad una attenta e rigorosa valutazione". fa sapere il Colle. L'esame della manovra richiederà alcuni giorni, c'è perfino una confusione sui testi che sono arrivati al Colle. IL TESTO NON DEFINITIVO DELLA FINANZIARIA 1
Ecco i principali contenuti. Energie rinnovabili. "Allo scopo di ridurre il costo finale dell'energia per i consumatori e le imprese - si legge - a decorrere dal primo gennaio 2012, tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni, comunque gravanti sulle componenti tariffarie relative alle forniture di energia elettrica e del gas naturale, previsti da norme di legge o da regolamenti sono ridotti del 30 per cento rispetto a quelli applicabili alla data del 31 dicembre 2010". Questo punto è stato oggetto di un "giallo" durato tutta la giornata, visto che i ministri Prestigiacomo e Romani assicuravano che il taglio era stato tolto. Nel testo arrivato al Colle, invece, ci sarebbero, all'interno dell'articolo 35, i commi 10 e 11 che indicano proprio la riduzione. Fonti del Consiglio dei ministri, invece, assicurano che al Quirinale è stato mandato l'articolo 35 con solo 9 commi, non essendo stati approvati quelli 10 e 11 sui tagli alle rinnovabili. Superbollo per auto di lusso. Addizionale erariale di dieci euro per ogni chilowatt di potenza oltre i 225. Pensioni. Confermato il blocco delle rivalutazioni "dei trattamenti pensionistici superiore a cinque volte il trattamento minimo di pensione Inps". "Per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il predetto trattamento minimo Inps, l'indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato nella misura del 45%". Età pensionabile. Per le donne nel settore privato, si parte dal 2020 con un mese in più oltre i 60 anni per arrivare al 2032 con l'ultimo scaglione. Fissato al 2014 l'avvio per tutti della misura che aggancia l'età pensionabile alla speranza di vita. Finanziamento pubblico dei partiti. Nuovo taglio del 10 % che si cumula con i precedenti per un totale del 30 %. . Election Day. Dal 2012 le elezioni Amministrative e quelle Politiche si svolgeranno "in un'unica data nell'arco dell'anno". Se "nel medesimo anno" si svolgono anche le elezioni Europee, l'election day si terrà "nella data stabilita per le elezioni del Parlamento Europeo" Aerei e auto blu. Aerei blu solo per le 5 alte cariche dello Stato. Le "eccezioni"devono essere "specificamente autorizzate, soprattutto con riferimento agli impegni internazionali e rese pubbliche sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri, salvi i casi di segreto per ragioni di Stato". La cilindrata delle auto di servizio non può superare i 1600 cc. Fanno eccezione le auto in dotazione al Capo dello Stato ai presidenti del Senato, della Camera e della Corte Costituzionale, al Presidente del Consiglio e le auto blindate adibite ai servizi istituzionali di pubblica sicurezza. Blocco turn over e degli aumenti per gli statali. Stop alle assunzioni "in sostituzione del personale in quiescenza" nel settore pubblico. E congelamento degli aumenti salariali futuri ai dipendenti pubblici. Regime fiscale a forfait per imprese "giovani". Confermato il regime fiscale di vantaggio, con un consistente taglio del forfait agevolato, portato al 5%, per le nuove imprese aperte da neo-imprenditori, artigiani e professionisti e da coloro che perdono il lavoro. Per ottenere l'agevolazione non è previsto alcun limite d'età della persona fisica. Salario produttività. Prorogata anche per il 2012 la riduzione di tasse e contributi per il cosiddetto salario di produttività, sulla base di quanto definito da accordi o contratti aziendali. Riduzione spese per Camera, Senato, Corte Costituzionale, authority Riduzione del 20 % per gli organi di autogoverno. Per le riduzioni di spesa di Camera, Senato e Corte Costituzionale, i tagli "saranno autonomamente deliberati entro il 31 dicembre 2013". I risparmi ottenuti saranno versati al bilancio dello Stato e saranno destinati per "gli interventi straordinari per la fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali". Razionalizzazione rete carburanti. il fondo per la razionalizzazione della rete potrà essere usato (massimo per il 25%) per contributi alla chiusura degli impianti; i comuni dovranno individuare gli impianti da chiudere. Gli impianti dovranno avere obbligatoriamente un self service sempre in funzione. I gestori potranno vendere altri generi di consumo, ma non sigarette. Stangata sui depositi titoli. La tassa salirà fino a 380 euro. Arriva un aumento delle aliquote Irap per banche e assicurazioni. Lampedusa zona franca urbana. Pagamento di tasse e contributi sospeso per i lampedusani fino al 30 giugno 2012. Il decreto della manovra, inoltre, dichiara Lampedusa zona franca urbana. Norma "antibadante". Un ultrasessantenne che sposa una donna di almeno vent'anni di meno, non potrà far avere a lei la pensione di reversibilità se non dopo dieci anni dal "sì" ufficiale. Giochi. Bandi di gara per slot, scommesse e poker live, stretta sul gioco illegale e Superenalotto europeo: dovrebbe portare nelle casse dello Stato circa 1,4 miliardi in tre anni.. Nella manovra viene introdotto anche un nuovo 'Bingo a distanza' con un prelievo erariale al 10%. Deregulation negozi. Via libera, anche se in via sperimentale alla liberalizzazione degli orari di apertura e di chiusura dei negozi (compresa la possibilità di rimanere aperti la domenica e nei giorni festivi) "ubicati nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d'arte". (04 luglio 2011)
FINANZIARIA 2011-2014 La manovra arriva al Quirinale Torna il taglio alle rinnovabili Il decreto consegnato alle 12.30 al Colle. Nel provvedimento spunta di nuovo la riduzione del 30 % agli incentivi per le energie alternative. Confermati il blocco delle rivalutazioni delle pensioni, lo stop al turn over nel pubblico impiego, la sforbiciata del 10 % ai costi della politica, il superbollo per le auto di lusso, la regolamentazione dell'uso delle auto e degli aerei "blu". E c'è anche il provvedimento "anti-badante" La manovra arriva al Quirinale Torna il taglio alle rinnovabili ROMA - Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto pochi minuti fa il testo della manovra finanziaria 2011-2014 approvato giovedì dal Consiglio dei ministri. Il documento è stato immediatamente trasmesso ai tecnici del Quirinale per l'esame approfondito. Dal primo articolo sugli stipendi dei politici all'ultimo sul riordino dei giudici tributari: è composto da 39 articoli e da due allegati il testo finale del decreto contenente "disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria" . Intanto, si apprendono ulteriori particolari sui contenuti. Torna il taglio del 30 % agli incentivi per le energie rinnovabili. Secondo l'ultima bozza della manovra la norma è rientrata dopo che nei giorni scorsi è stata cancellata in seguito al pressing del ministro dello sviluppo economico, Paolo Romani, preoccupato di destabilizzare il quadro regolatorio per le aziende che investono in rinnovabili. Ma nell'ultimo testo disponibile il taglio, voluto dal ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, è rientrato: "allo scopo di ridurre il costo finale dell'energia per i consumatori e le imprese - si legge nella bozza - a decorrere dal primo gennaio 2012, tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni, comunque gravanti sulle componenti tariffarie relative alle forniture di energia elettrica e del gas naturale, previsti da norme di legge o da regolamenti sono ridotti del 30 per cento rispetto a quelli applicabili alla data del 31 dicembre 2010". E c'è anche il superbollo per le auto di lusso. Un'addizionale erariale da dieci euro per ogni chilowatt di potenza oltre i 225. "A partire dal 2011 per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta un'addizionale erariale della tassa automobilistica, pari a dieci euro per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 225 kw, da versare alle entrate dl bilancio dello Stato". Confermato anche il blocco delle rivalutazioni "dei trattamenti pensionistici superiore a cinque volte il trattamento minimo di pensione Inps". "Per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il predetto trattamento minimo Inps, l'indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato nella misura del 45%". Altrettanto confermato l'intervento 'soft' per l'aumento dell'età pensionabile delle donne nel settore privato. Si parte dal 2020 con un mese in più oltre i 60 anni per arrivare al 2032 con l'ultimo scaglione. Fissato al 2014 l'avvio della misura che aggancia l'età pensionabile alla speranza di vita. I tagli alla politica sono del 10 %. Si tratta di una decurtazione al finanziamento dei partiti politici che, cumulandosi con i precedenti, "porta ad una riduzione complessiva del 30 %". Lo prevede l'art. 6 della manovra. A decorrere dal 2012 scatta anche "l'election day". Le elezioni Amministrative e quelle Politiche si svolgeranno "in un'unica data nell'arco dell'anno". Se "nel medesimo anno" si svolgono anche le elezioni Europee, l'election day si terrà "nella data stabilita per le elezioni del Parlamento Europeo" Aerei blu solo per le 5 alte cariche dello Stato. Lo prevede l'art. 3 : "I voli di Stato devono essere limitati al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato, al Presidente del Consiglio, al Presidente della Corte Costituzionale" recita il primo comma. Il secondo comma prevede che le "eccezioni" siano "specificamente autorizzate, soprattutto con riferimento agli impegni internazionali e rese pubbliche sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri, salvi i casi di segreto per ragioni di Stato". Fissati i limiti delle auto blu. "La cilindrata delle auto di servizio non può superare i 1600 cc". Fanno eccezione le auto in dotazione al Capo dello Stato ai presidenti del Senato, della Camera e della Corte Costituzionale, al Presidente del Consiglio e "le auto blindate adibite ai servizi istituzionali di pubblica sicurezza". Le auto blu attualmente in servizio "possono essere utilizzate solo fino alla loro dismissione o rottamazione e non possono essere sostituite". Con un Dpcm sono poi disposti "modalità e limiti di utilizzo delle autovetture di servizio al fine di ridurne numero e costo" Confermata "la proroga di un anno dell'efficacia delle vigenti disposizioni in materia di limitazione delle facoltà assunzionali per le amministrazioni dello Stato", con l'esclusione di Polizia, Vigili del Fuoco, agenzie fiscali e enti pubblici non economici e confermata anche "la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni". Tagli del 20% degli stanziamenti per il Cnel, il Csm, Authority, Consob e Corte dei Conti. Nel testo finale della manovra ci sono anche le nuove norme sulla razionalizzazione della rete dei carburanti, con la possibilità di vendita di prodotti no-oil e l'estensione massiccia dei self service. Rispetto alle prime bozze, però, sparisce la possibilità di vendita di tabacchi, che viene invece sostituita con quella di 'pastigliaggi', vale a dire caramelle, merendine e dolciumi preconfezionati. L'articolo 28 della manovra conferma invece le prime indiscrezioni: ogni impianto dovrà essere dotato di self service con pagamento anticipato che dovrà funzionare anche in presenza del gestore; i distributori potranno vendere alimenti, bevande, quotidiani, periodici e, appunto, pastigliaggi; vengono introdotte differenti tipologie contrattuali per l'approvvigionamento; il fondo per la razionalizzazione della rete potrà essere usato (massimo per il 25%) per contributi alla chiusura degli impianti; i comuni dovranno individuare gli impianti da chiudere. Stangata sui depositi titoli. Il bollo che si applica alle comunicazioni relative al deposito di titoli può salire infatti fino a 380 euro se ha un ammontare complessivo a cinquantamila euro ed è gestito da una banca. L'importo varierà infatti in base al valore del "conto": dai 120 euro annuali per le comunicazioni di intermediari finanziari ai 150 per i conti inferiori ai 50 mila euro relativi a comunicazioni di depositi titoli presso banche, fino ai 380 euro annuali se si supera questa soglia. Arriva un aumento delle aliquote Irap per banche e assicurazioni. Il testo definitivo della manovra prevede per gli istituti di credito e per le altre società finanziarie si passi al 4,65% mentre per le assicurazioni l'aliquota al 5,90%. Stabilita anche la norma "antibadante". Un ultrasessantenne che sposa una donna di almeno vent'anni di meno, non potrà far avere a lei la pensione di reversibilità se non dopo dieci anni dal "sì" ufficiale. (04 luglio 2011)
2011-07-03 NAPOLITANO Il Quirinale: Non ancora ricevuto il testo della manovra Il Quirinale: Non ancora ricevuto il testo della manovra ROMA - "Si precisa che a tutt'oggi la presidenza del Consiglio non ha ancora trasmesso al Quirinale il testo del decreto legge". E' quanto scritto in una nota diffusa dalla presidenza della Repubblica in merito alla manovra varata la settimana scorsa dal governo. "Poichè molti organi di informazione continuano a ripetere che la manovra finanziaria approvato dal governo nella seduta di giovedì scorso sarebbe al vaglio della Presidenza della Repubblica già da venerdì - si legge nella nota diffusa dal Quirinale - si precisa a tutto oggi la presidenza del consiglio non ha ancora trasmesso al Quirinale il testo del decreto legge". (03 luglio 2011)
RETROSCENA Manovra, la stangata nascosta sale il ticket e salasso sui trasporti Rincari per benzina e Rc auto, a rischio treni e pedaggi. Triplicato il bollo sui titoli in banca. Secondo la Cgia, il costo pro capite delle misure varate dal governo sarà di oltre 700 euro di ROBERTO PETRINI Manovra, la stangata nascosta sale il ticket e salasso sui trasporti Già più cari carburanti e bollette ROMA - Neanche il "Generale Agosto" potrà farla dimenticare. La stangata d'estate, imperniata sul combinato disposto della manovra da 47 miliardi 1 varata giovedì scorso, gli effetti degli aumenti delle tasse locali ai quali ha aperto la strada il federalismo fiscale, e gli interventi spot come quelli sulle accise per la benzina per finanziare l'emergenza Libia e le spese per la cultura, rischia di essere dolorosa. Per la Cgia di Mestre la correzione per il solo anno in corso costerà 741 euro per ciascun italiano. la Federconsumatori, che valuta le misure in termini di perdita di potere d'acquisto, prevede un salasso di 927 euro a famiglia.
La via dolorosa è già iniziata con l'aumento delle accise sulla benzina scattate nell'ultima settimana: in tutto 6 centesimi al litro, Iva compresa, che hanno già fatto lievitare il costo del pieno. La data del 30 giugno ha anche consentito di fare il bilancio degli aumenti delle addizionali Irpef comunali, consentite dal decreto sul federalismo: 55 municipi, tra i quali Brescia e Venezia, hanno messo in campo aumenti fin da quest'anno dello 0,2 per cento. Anche le Province sono sul piede di guerra: 29, un terzo del totale, hanno approvato l'aumento dell'aliquota sulla Rc auto del 3,5 per cento, come stabilito dal federalismo, portandosi a quota 16 per cento. Si attende - a giorni - solo il decreto attuativo per far partire gli aumenti della base imponibile dell'Ipt, l'imposta sui passaggi di proprietà che potrà essere elevata del 30 per cento e sarà legata alla potenza fiscale. Ed è solo l'inizio della danza, perché i rincari potranno essere reiterati dal 1° gennaio del 2012. I tagli di 9,3 miliardi agli enti locali imposti dalla manovra saranno la miccia che renderà inevitabili gli aumenti delle tasse locali, ad esempio nei 2.500 comuni che hanno ancora l'addizionale Irpef a quota zero. Senza contare che le Regioni, negli anni topici dell'impatto della manovra potranno aumentare le addizionali Irpef fino al 3 per cento. E ancora: dal primo gennaio del prossimo anno tornerà il ticket di 10 euro sulla diagnostica e sulla specialistica, mentre i "codici bianchi" al pronto soccorso pagheranno 25 euro. Nemmeno due anni e, nel 2014, come previsto dalla manovra di giovedì scorso, scatterà la possibilità di un aumento della quota nazionale dei ticket sulla farmaceutica. Secondo le stime dell'Università di Tor Vergata, la manovra comporterà un taglio di 10 miliardi in tre anni alla sanità pubblica, innescando aumenti dei ticket e tasse regionali (500 euro all'anno a famiglia). La tassa sulle auto più potenti è stata ridimensionata, ma aumenti pendono sugli automobilisti se passerà la contrastata norma sul "pedaggiamento" dei tratti stradali Anas come il Gra e e la Salerno-Reggio. Brutte sorprese, inoltre, per i risparmiatori e coloro che hanno un dossier titoli: schivato all'ultimo momento il ritorno del fissato bollato su ogni transazione, arriva però l'aumento del bollo sui dossier titoli che viene più che triplicato e passa a 120 euro. Senza considerare che il governo nei prossimi tre anni avrà in mano una delega che gli consente di aumentare, seppure gradualmente, l'Iva: una misura che nessuno può escludere che arrivi prima dei tre anni previsti. Del resto i rincari camminano a passo veloce, da due giorni sono scattati aumenti di luce e gas: la norma che avrebbe potuto compensare i rincari e ammorbidire la bolletta energetica del 3-4 per cento con un taglio degli incentivi è scomparsa dalla manovra. Mentre si profila un nuovo rischio: le grandi aziende concessionarie di beni pubblici, come le autostrade, gli aeroporti e le ferrovie, subiranno una stretta nei bilanci sulle politiche di ammortamento e non è escluso che si vedano costrette a chiedere nuovi aumenti tariffari. (03 luglio 2011)
LA POLEMICA "Inaccettabile stretta sulle pensioni" Sindacati e opposizioni all'attacco Duri commenti di Raffaele Bonanni della Cisl, dell'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, dell'Idv, di Vendola e di Italia Futura al decreto approvato dal Consiglio dei ministri giovedì scorso. Previsto il blocco delle rivalutazioni anche per assegni mensili modesti. L'Inps precisa: "è solo e parzialmente, per la parte di emolumenti eccedente i 1428 euro" "Inaccettabile stretta sulle pensioni" Sindacati e opposizioni all'attacco ROMA - Anche Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, va giù pesante: "Devono correggere il provvedimento che blocca la rivalutazione delle pensioni". Il suo è solo l'ultimo di una serie di commenti molto negativi sollevati dall'iniziativa del Consiglio dei Ministri in fatto di previsenza. I tagli colpiranno infatti anche gli assegni di modesta entità, a partire dai 1428 euro e riguardano ben 13 milioni di italiani. "Al tempo del governo Prodi - ricorda l'ex ministro del Lavoro e deputato del Pd, Cesare Damiano - avevamo fermato per un anno l'indicizzazione delle pensioni, ma di quelle otto volte il minimo (per il 2011 è di 476 euro, ndr.). E contemporaneamente avevamo destinato risorse alle pensioni più basse attraverso l'istituzione della quattordicesima. Quindi avevamo fatto un intervento redistributivo dall'alto verso il basso". In serata, il commento di Umberto Bossi: "Le pensioni non si toccano - ha detto il leader della Lega - quelle delle donne non si toccano fin dopo il 2030". Nel decreto per risanare i conti pubblici, è stata inserita la mancata rivalutazione delle pensioni oltre i 2300 euro mensili per il 2012 e il 2013 e il tetto per quelle di fascia inferiore che sarà bloccato al 45 per cento di quanto dovuto. Inoltre è previsto l'aumento di almeno tre mesi dell'età minima pensionabile. Un intervento, secondo l'esponente del Pd, "pesante e che colpisce non le pensioni ricche, ma quelle medie. Una misura che conferma il carattere di ingiustizia sociale di questo provvedimento". "Vorrei capire dove è il rigore di questa manovra finanziaria", commenta il capogruppo dell'Italia dei Valori in Senato, Felice Belisario. "Il governo, come al solito, mantiene intatti gli interessi dei soliti privilegiati. E' un vero e proprio insulto colpire da un lato 13 milioni di pensionati, molti dei quali già stentano ad arrivare a fine mese e, dall'altro, pesare con il misurino del farmacista, dilatandoli nel tempo, i tagli dei costi della politica. Questo governo continua a prendere a schiaffi precari, pensionati e dipendenti pubblici con parole e fatti". Anche Nichi Vendola si scaglia contro il provvedimentop del governo. "La manovra Berlusconi-Tremonti candida chi dirige le amministrazioni territoriali, presidenti di regione, di province e sindaci a diventare esclusivamente dei curatori fallimentari. Guardando ad esempio l'incredibile vicenda del blocco delle pensioni si capisce che si tratta della patrimoniale sui ceti medio bassi del nostro Paese. E' la patrimoniale sui poveri". La Cgil: subito mobilitazione. La stretta sulle pensioni contenuta in manovra "è inaccettabile" e "ci opporremo anche con la mobilitazione". Il segretario confederale della Cgil, Vera Lamonica, boccia la norma che blocca al 45% la rivalutazione per gli assegni di valore compreso tra 3 e 5 volte il minimo, quelli superiori ai 1.428 Euro. "Siamo assolutamente contrari - ha sottolineato Lamonica - e ci opporremo con tutti gli strumenti della mobilitazione. E' una misura inaccettabile, iniqua e vessatoria che ancora una volta colpisce gli stessi e non le grandi ricchezze. E' il segno di una manovra che scarica su lavoratori e pensionati il costo del risanamento e non colpisce la ricchezza". Italia Futura boccia la manovra. Luca Cordero di Montezemolo si unisce al coro di critiche. E attraverso la sua associazione, Italia Futura, fa sapere: "E' il minimo sindacale, con alcune ridicole prese in giro. Sui costi della politica ad esempio, dove si annunciano misure puramente simboliche, e una buona quantità di assegni post-datati". La precisazione dell'Inps. I pensionati con redditi pensionistici lordi tra 3 e 5 volte il minimo risultano essere 3,2 milioni, quelli con redditi pensionistici oltre 5 volte il minimo risultano essere 1,2 milioni, su un totale di circa 16 milioni di pensioni erogate. Quindi la platea interessata è in tutto di 4,4 milioni. Lo precisa l'Inps in una nota spiegando che quello adottato nella manovra è un meccanismo di rivalutazione a fasce per cui tutte le pensioni sono oggetto di rivalutazione, anche se in misura progressivamente inversa rispetto all'entità della pensione. In questo modo le pensioni più basse, fino a tre volte il minimo, ovvero fino a un importo di 1.428 euro mensili, sono rivalutate al 100%. Le pensioni tra tre e cinque volte il minimo - nello scaglione tra 1.428 e 2.380 euro mensili - saranno rivalutate al 100% nella fascia fino a 1.428 e al 45% nella fascia fino a 2.380. Le pensioni oltre cinque volte il minimo - ovvero superiori a 2.380 euro mensili - saranno rivalutare al 100% nella fascia fino a 1.428 euro, al 45% nella fascia da 1.428 a 2.380, mentre il blocco della rivalutazione scatterà nella quota superiore a 2.380 euro mensili. (02 luglio 2011)
IL COMMENTO 80 miliardi di rigore senza crescita di EUGENIO SCALFARI 80 miliardi di rigore senza crescita Giulio Tremonti È SBAGLIATO sostenere che Tremonti abbia ceduto alle pressioni congiunte di Berlusconi e di Bossi rinviando il grosso della manovra (40 miliardi) al biennio 2013-14. Il calendario era stato concordato da tempo con la Commissione di Bruxelles: i conti pubblici italiani erano considerati in sicurezza fino al 2012 dopo le manovre effettuate nel biennio precedente. Ci voleva una manovra ulteriore per arrivare entro il 2013 all'eliminazione del deficit ed entro il 2014 al pareggio del bilancio. Perciò - l'ha sottolineato anche Napolitano - tutto procede secondo i ritmi prestabiliti anche se il peso della manovra si scaricherà sui primi due anni della nuova legislatura e del governo che ne sarà l'espressione. Il Presidente della Repubblica ha anche osservato che decidere oggi quello che dovrà avvenire tra due-tre anni vincola la responsabilità dell'attuale maggioranza. È un auspicio che tenta di stabilire un collegamento e una coerenza di comportamenti tra la maggioranza attuale e quella della nuova legislatura, quale che ne sarà la composizione e il colore; ma è un auspicio scritto sull'acqua perché, fermo restando il fine del pareggio del bilancio, i modi per arrivarci riguarderanno il futuro Parlamento, il futuro governo ed anche il futuro Presidente della Repubblica. Il futuro è sulle ginocchia di Giove, ammesso che Giove da qualche parte ci sia. Resta il fatto che nel quinquennio 2009-2014 le manovre decise da Tremonti, dal governo e dalla maggioranza ammontano nel complesso a 80 miliardi pagati ovviamente dai contribuenti. Bisogna a questo punto chiedersi a che cosa è servito un prelievo di risorse così imponente ed anche quali sono i ceti che ne hanno sopportato il maggior peso. Prima però di rispondere a questi due interrogativi è opportuno ricordare che, per quanto riguarda la manovra di 40 miliardi che avverrà nel biennio 2013-2014, è stata finora indicata la copertura per 18 miliardi (Sanità, sfoltimento delle detrazioni, congelamento degli organici e degli stipendi del pubblico impiego, tagli di contributi alle Regioni e ai Comuni). Per oltre 22 miliardi la copertura non è ancora nota ma dovrà esserlo prima che il decreto (ma meglio sarebbe un disegno di legge) venga trasmesso al Parlamento. È opportuno altresì ricordare che contemporaneamente al decreto (o disegno di legge) concernente la manovra Tremonti presenterà anche una legge-delega per la riforma del sistema fiscale. Si tratta di due operazioni strettamente connesse che incideranno profondamente sull'economia reale ed anche sulla formazione delle risorse e sulla loro distribuzione. Fa molto bene il Presidente della Repubblica a raccomandare condivisione politica su un fagotto di decisioni e di normative grosso come una montagna; purtroppo anche questa sua raccomandazione, come l'altra già citata, è scritta sull'acqua perché sia Tremonti sia Berlusconi sono disposti soltanto ad accettare che l'opposizione voti le loro decisioni senza tuttavia modificarle perché, come ha detto in proposito il ministro dell'Economia, "quattro deve restare quattro". E sono anche decisi - Tremonti e Berlusconi - a chiedere la fiducia se lo riterranno necessario, per cui l'esortazione di Napolitano non avrà alcun seguito. Purtroppo non avrà seguito neppure l'osservazione che il Presidente della Repubblica ha formulato dopo aver firmato il decreto sui rifiuti di Napoli. Calderoli gli ha già risposto sprezzantemente a nome della Lega. La situazione in casa leghista deve essere molto seria se Bossi e i suoi colonnelli trattano con questa disinvoltura i suggerimenti del Capo dello Stato. * * * Consideriamo ora i due interrogativi che ci siamo posti: quali sono gli obiettivi che la manovra voleva realizzare e chi ne ha sopportato il peso maggiore. Con due necessarie premesse: l'intera operazione è avvenuta nel corso della grande crisi internazionale che ha investito il mondo intero; la suddetta operazione non contempla però le manovre che nel frattempo sono state compiute dagli enti locali con le poche imposte delle quali essi autonomamente dispongono e con i debiti che hanno autonomamente contratto, da aggiungere al debito pubblico che riguarda direttamente lo Stato. Ed ecco gli obiettivi che avrebbero dovuto essere raggiunti. Un obiettivo politico che governo e maggioranza si erano posti fin dal 2001 (anzi fin dal 1994) fu la riduzione del carico fiscale. Ma questo impegno era una falsa e irrealizzabile promessa e tale si è dimostrata. Tale resterà anche quando nel 2014 la riforma fiscale sarà entrata in vigore. Bisognava migliorare i servizi, statali e locali. Ma i servizi non sono migliorati, semmai sono peggiorati. Bisognava ridurre il debito pubblico. Il debito pubblico è aumentato, attualmente viaggia al 120 per cento del Pil. Bisognava creare una rete di protezione che desse un senso al lavoro flessibile e impedisse che la flessibilità si trasformasse in precariato. Questa rete non è stata costruita. Bisognava ridurre le diseguaglianze sociali, ma le disuguaglianze sono aumentate. Bisognava accrescere la produttività e la competitività del sistema. Sono entrambe fortemente peggiorate. Bisognava bloccare la spesa corrente la quale è aumentata negli ultimi vent'anni ad un ritmo medio del 2 per cento annuo. Bisognava far crescere gli investimenti e quindi la spesa in conto capitale. È avvenuto esattamente il contrario: la spesa corrente ha continuato nel suo ritmo di crescita del 2 per cento e quella in conto capitale è praticamente vicino allo zero. Bisognava sfoltire e semplificare la burocrazia e liberalizzare le procedure che governano l'imprenditorialità. Non c'è stata alcuna semplificazione nonostante il falò di leggi abolite dal ministro Calderoli; nessuno ha mai saputo quali carte abbia bruciato quel folcloristico ministro. Sta di fatto che l'obiettivo semplificatorio viene riproposto quasi una volta al mese da alcuni anni. Se ne parla ancora nel progetto di riforma fiscale e se ne è parlato nei recenti provvedimenti sullo sviluppo. Insomma è un mantra ricorrente da vent'anni e mai realizzato. Sarebbe più serio non parlarne più. Doveva essere - la semplificazione burocratica - parte integrante del federalismo, ma anche il federalismo è rimasto allo stato larvale. Perfino i leghisti si sono ormai accorti che con questi chiari di luna il federalismo è diventato una parola vuota. * * * Tuttavia quegli 80 miliardi sono stati prelevati. Sono serviti a far diminuire il rapporto tra spese correnti e Pil al netto degli interessi sul debito, ma nel frattempo l'onere di quegli interessi è cresciuto. L'altro obiettivo di quegli 80 miliardi è come sappiamo l'azzeramento del disavanzo di bilancio. Dovrebbe avvenire entro il 2014. Incrociamo le dita. Si aggiunga che i costi della politica non saranno toccati ora ma se ne parlerà anche per essi nella prossima legislatura. Questo è il consuntivo. Nient'affatto esaltante. L'onere della manovra ha pesato finora interamente sul lavoro dipendente e sui pensionati. Nel frattempo l'evasione fiscale è fortemente aumentata. La Guardia di Finanza e l'Agenzia delle entrate hanno quest'anno recuperato 10 miliardi dall'evasione ma nel frattempo l'ammontare complessivo dell'evasione è aumentato di 30 miliardi (cifre Istat, Banca d'Italia, Ministero del Tesoro): recuperano dieci e perdono trenta. Ci siamo scordati di qualche cosa? Sì, ci siamo scordati della crescita. Sia l'Europa, sia la Bce, sia il Fondo monetario internazionale ci hanno chiesto rigore e rilancio della crescita. Il rigore c'è stato e continuerà, ma di crescita nemmeno a parlarne: non c'è stata e non si prevede che ci sarà, l'encefalogramma dello sviluppo è piatto da vent'anni e tale resterà fino al 2014. Berlusconi voleva, Bossi voleva, ma mettevano una condizione: niente mani nelle tasche. Di chi? Dei ceti abbienti. Tremonti li ha fatti contenti, la crescita aspetterà. * * * Nelle ultime ore i complimenti a Tremonti si sono sprecati. L'hanno ringraziato tutti: i ministri, il presidente del Consiglio, i dirigenti del suo partito, i giornali di famiglia, i cugini, anche quelli in quarto grado e oltre. Le autorità europee. Ma di che cosa? Il debito sovrano è sempre esposto a tutti i venti. Il rendimento dei Btp è arrivato al 5 per cento, record storico. Il differenziale dei titoli italiani rispetto al Bund tedesco viaggia oltre quota 200. Le pensioni minime sia d'anzianità che di vecchiaia sono ferme a 500 euro mensili. I redditi sotto ai 30 mila euro sono tartassati, quelli sopra ai 70 mila sono favoriti dalla riforma fiscale. Il peso delle imposte sarà spostato dalle persone ai consumi e a i servizi. Per sostenere i massicci rinnovi di titoli pubblici in scadenza, il Tesoro premerà sulle banche affinché sottoscrivano a fermo. Proprio per questo il ministro dell'Economia vuole che la Banca d'Italia diventi una "struttura servente" del Tesoro. Di che cosa dobbiamo dunque ringraziare Tremonti? Francamente non so rispondere. Mi si potrà dire che poteva andare peggio, ma anche al peggio c'è un limite e a me sembra sia stato toccato. Post scriptum. Qualche giorno fa il giornale Il Fatto quotidiano ha inventato un "disparere" tra me e il collega Massimo Giannini, vicedirettore ed editorialista del nostro giornale, a proposito delle nostre valutazioni sul ministro dell'Economia. Informo i colleghi del Fatto quotidiano che noi di Repubblica lavoriamo in squadra, fermo restando che non ci sarebbe niente di strano se ci fossero pareri diversi in un libero giornale. Nella fattispecie però quei pareri diversi non ci sono stati. Giannini ha avuto una conversazione con Tremonti e ne ha fedelmente riferito il contenuto con notizie esclusive e importanti sulla manovra. Poi ha scritto alcune considerazioni critiche su quanto il ministro gli aveva comunicato. Due giorni dopo ho scritto un articolo sulla Banca d'Italia che è stato letto, vagliato, messo in pagina e titolato da Giannini. A Repubblica noi lavoriamo così e ne siamo molto contenti. (03 luglio 2011)
2011-07-02 LA POLEMICA "Inaccettabile stretta sulle pensioni" Sindacati e opposizioni all'attacco Duri commenti di Raffaele Bonanni della Cisl, dell'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, dell'Idv, di Vendola e di Italia Futura al decreto approvato dal Consiglio dei ministri giovedì scorso. Previsto il blocco delle rivalutazioni anche per assegni mensili modesti. L'Inps precisa: "è solo e parzialmente, per la parte di emolumenti eccedente i 1428 euro" "Inaccettabile stretta sulle pensioni" Sindacati e opposizioni all'attacco ROMA - Anche Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, va giù pesante: "Devono correggere il provvedimento che blocca la rivalutazione delle pensioni". Il suo è solo l'ultimo di una serie di commenti molto negativi sollevati dall'iniziativa del Consiglio dei Ministri in fatto di previsenza. I tagli colpiranno infatti anche gli assegni di modesta entità, a partire dai 1428 euro e riguardano ben 13 milioni di italiani. "Al tempo del governo Prodi - ricorda l'ex ministro del Lavoro e deputato del Pd, Cesare Damiano - avevamo fermato per un anno l'indicizzazione delle pensioni, ma di quelle otto volte il minimo (per il 2011 è di 476 euro, ndr.). E contemporaneamente avevamo destinato risorse alle pensioni più basse attraverso l'istituzione della quattordicesima. Quindi avevamo fatto un intervento redistributivo dall'alto verso il basso". Nel decreto per risanare i conti pubblici, è stata inserita la mancata rivalutazione delle pensioni oltre i 2300 euro mensili per il 2012 e il 2013 e il tetto per quelle di fascia inferiore che sarà bloccato al 45 per cento di quanto dovuto. Inoltre è previsto l'aumento di almeno tre mesi dell'età minima pensionabile. Un intervento, secondo l'esponente del Pd, "pesante e che colpisce non le pensioni ricche, ma quelle medie. Una misura che conferma il carattere di ingiustizia sociale di questo provvedimento". "Vorrei capire dove è il rigore di questa manovra finanziaria", commenta il capogruppo dell'Italia dei Valori in Senato, Felice Belisario. "Il governo, come al solito, mantiene intatti gli interessi dei soliti privilegiati. E' un vero e proprio insulto colpire da un lato 13 milioni di pensionati, molti dei quali già stentano ad arrivare a fine mese e, dall'altro, pesare con il misurino del farmacista, dilatandoli nel tempo, i tagli dei costi della politica. Questo governo continua a prendere a schiaffi precari, pensionati e dipendenti pubblici con parole e fatti". Anche Nichi Vendola si scaglia contro il provvedimentop del governo. "La manovra Berlusconi-Tremonti candida chi dirige le amministrazioni territoriali, presidenti di regione, di province e sindaci a diventare esclusivamente dei curatori fallimentari. Guardando ad esempio l'incredibile vicenda del blocco delle pensioni si capisce che si tratta della patrimoniale sui ceti medio bassi del nostro Paese. E' la patrimoniale sui poveri". La Cgil: subito mobilitazione. La stretta sulle pensioni contenuta in manovra "è inaccettabile" e "ci opporremo anche con la mobilitazione". Il segretario confederale della Cgil, Vera Lamonica, boccia la norma che blocca al 45% la rivalutazione per gli assegni di valore compreso tra 3 e 5 volte il minimo, quelli superiori ai 1.428 Euro. "Siamo assolutamente contrari - ha sottolineato Lamonica - e ci opporremo con tutti gli strumenti della mobilitazione. E' una misura inaccettabile, iniqua e vessatoria che ancora una volta colpisce gli stessi e non le grandi ricchezze. E' il segno di una manovra che scarica su lavoratori e pensionati il costo del risanamento e non colpisce la ricchezza". Italia Futura boccia la manovra. Luca Cordero di Montezemolo si unisce al coro di critiche. E attraverso la sua associazione, Italia Futura, fa sapere: "E' il minimo sindacale, con alcune ridicole prese in giro. Sui costi della politica ad esempio, dove si annunciano misure puramente simboliche, e una buona quantità di assegni post-datati". La precisazione dell'Inps. I pensionati con redditi pensionistici lordi tra 3 e 5 volte il minimo risultano essere 3,2 milioni, quelli con redditi pensionistici oltre 5 volte il minimo risultano essere 1,2 milioni, su un totale di circa 16 milioni di pensioni erogate. Quindi la platea interessata è in tutto di 4,4 milioni. Lo precisa l'Inps in una nota spiegando che quello adottato nella manovra è un meccanismo di rivalutazione a fasce per cui tutte le pensioni sono oggetto di rivalutazione, anche se in misura progressivamente inversa rispetto all'entità della pensione. In questo modo le pensioni più basse, fino a tre volte il minimo, ovvero fino a un importo di 1.428 euro mensili, sono rivalutate al 100%. Le pensioni tra tre e cinque volte il minimo - nello scaglione tra 1.428 e 2.380 euro mensili - saranno rivalutate al 100% nella fascia fino a 1.428 e al 45% nella fascia fino a 2.380. Le pensioni oltre cinque volte il minimo - ovvero superiori a 2.380 euro mensili - saranno rivalutare al 100% nella fascia fino a 1.428 euro, al 45% nella fascia da 1.428 a 2.380, mentre il blocco della rivalutazione scatterà nella quota superiore a 2.380 euro mensili. (02 luglio 2011)
SPAZIO AZZURRO La rivolta Web nel Pdl contro superbollo e "casta" "Che aspettate a eliminare i reali privilegi?" si sfogano i "fan" del Popolo della Libertà sul sito di Spazio Azzurro. "Fare una finanziaria come questa significa perdere l'elettorato per strada: siete come la sinistra, sapete solo tassare" La rivolta Web nel Pdl contro superbollo e "casta" ROMA - Non sembra piaciuta la manovra economica, almeno nelle prime misure anticipate, ai sostenitori del Pdl frequentatori di Spazio Azzurro. Moltissimi gli sfoghi sul sito del Popolo della libertà soprattutto contro il superbollo e l'annunciata stretta sulla rivalutazione delle pensioni. E contro la 'casta' che non parteciperebbe ai sacrifici. C'è però anche un generale apprezzamento per la nomina di Angelino Alfano a segretario. "Si sentiva la mancanza del il superbollo. Ma bravi, va proprio nella direzione giusta! Dopo tanti annunci quello che avete partorito è stato il superbollo! Fate pietà!", scrive Albano. "Deluso!!!!! che aspettiamo a eliminare i reali privilegi? Tetto alle pensioni d'oro, via alle prebende delle sanguisughe, tagli ai mantenuti della politica. Forza Alfano", dice Renato. 'Casta vergogna', così si firma, rincara: "Costate troppo, tutti quanti, non volete rinunciare ai vostri privilegi ma sacrificate senza problemi gli italiani. Indecenza! Mai più il mio voto". "Fare una finanziaria come l'avete fatta, significa perdere l'elettorato per strada. Tagli ai politici e niente superbolli! Siete come la sinistra, sapete solo tassare", rimprovera Albano. Qualcuno poi se la prende con il ministro Gianfranco Rotondi. "E questi che non sanno campare con 4.000 euro al mese (Rotondi) vogliono insegnarci a stringere la cinghia? Via gli imbecilli dal Pdl", dice Alfredo. Max manda un messaggio al segretario. "Caro Alfano hai un compito gravoso, tagliare privilegi politica e tagliare tasse. Se non lo farete nel 2013 il Pdl perderà come perderà Obama a novembre 2012", ammonisce In molti attribuiscono all'immigrazione irregolare la colpa della stangata sugli italiani. "A causa dell'invasione dei poveri cristi, galeotti ed evasi tunisini, e dei subsahariani finti libici e finti profughi, ci aumentano benzina e ticket", posta un anonimo. "Ma possibile che dobbiamo mantenere milioni di clandestini, irregolari, disperati vari e ne continuino pure a sbarcare allegramente ogni giorno?", è il messaggio di qualcuno che si firma 'vergognatevi'. E da 'ultimo treno' arriva un ultimatum: "Avete un solo modo di riabilitarvi. Pensare agli italiani. Frontiere chiuse, respingimenti,stop immigrati e rimpatrio dei non autosufficienti. Ora o mai più". (02 luglio 2011)
Sanità pubblica, in tre anni un taglio di 10 miliardi di euro I cittadini potrebbero dover sborsare 500 euro in più all'anno per famiglia. Il finanziamento statale si riduce al 6,3 % del Pil nel 2014. Oggi è del 6,7 % Sanità pubblica, in tre anni un taglio di 10 miliardi di euro La sala d'attesa di un pronto soccorso ROMA - E' di 10 miliardi in tre anni il 'taglio' che la Manovra economica potrebbe apportare alla sanità pubblica. Se si vorranno mantenere i livelli di spesa attuali, quindi, i cittadini potrebbero dover sborsare 500 euro l'anno a famiglia. I calcoli sono stati fatti da Federico Spandonaro, coordinatore Ceis Sanità della facoltà di Economia dell'Università di Tor Vergata a Roma. "Per la sanità pubblica - spiega Spandonaro a quotidianosanità.it - si configura una recessione in termini reali, di dimensioni tutt'altro che banali. In pratica il finanziamento pubblico della Sanità che è stato congelato al 6,7% del Pil da alcuni anni, si ridurrebbe giungendo al 6,3% nel 2014". Ma per l'economista "appare più probabile che i cittadini debbano mettersi le mani in tasca per pagare maggiori ticket, maggior prestazioni private e, infine, per pagare con tasse regionali i disavanzi". A pagare il conto, conclude Spandonaro, "saranno certamente i cittadini del meridione e del Lazio, Regioni dove si concentrano i disavanzi e quindi dove maggiore dovrà essere il prelievo compensativo". (02 luglio 2011)
I DATI CGIA Manovre, in 10 anni sono costate 2588 euro per ogni italiano Dei 68 miliardi di euro complessivi, quasi 45 miliardi servono solo a correggere il deficit. "E nel 2012 andrà anche peggio. Agli euro già pagati fino ad oggi, si aggiungeranno altri 1580 euro per ciascuno di noi" Manovre, in 10 anni sono costate 2588 euro per ogni italiano Il ministro dell'economia, Giulio Tremonti MESTRE - "Dieci anni di manovre correttive sono costate a ciascun italiano 2.588 euro. Tenendo conto che dal 2008 le misure sviluppano i loro effetti su piu' anni, nel 2011 la dimensione economica della manovra sfiorerà i 68 miliardi di euro. Di questi, ben 44,9 mld andranno a correggere il deficit. Pertanto, ad ogni italiano questa correzione costera', per l'anno in corso, 741 euro". Sono queste le primissime considerazioni fatte dal segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, che assieme al suo Ufficio studi ha ricostruito, a partire dal 2000, gli effetti economici delle manovre correttive approvate dai vari Governi che si sono succeduti. "E' interessante notare - conclude Bortolussi - che dal 2008 le manovre correttive sono pluriennali. In pratica esplicano i loro effetti in piu' anni. Per il 2011, ad esempio, si sommano i risultati di 6 provvedimenti presi negli anni precedenti con le misure introdotte l'altro ieri dal Governo Berlusconi che avranno una dimensione economica, per l'anno in corso, di 1,5 mld di euro". Negli anni a venire, purtroppo, secondo la Cgia di Mestre, le cose tenderanno addirittura a peggiorare. Nel 2012, gravera' una manovra complessiva di 40 mld di euro, nel 2013 di 47,7 mld di euro e nel 2014 di 20 mld di euro. Pertanto, per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014, cosi' come richiesto dall'Ue, in questi 3 anni ciascun italiano dovra' "sobbarcarsi" altri 1.580 euro. (02 luglio 2011)
2011-06-16 IL CASO Brunetta e i precari, "the day after" "Sul mio FB 10mila post insulti" Il ministro della Funzione pubblica ribadisce la sua versione dell'episodio. "Mica sono così stupido da attaccare tutti gli atipici". Poi il monito: "Attenti Bersani e Camusso, chi di agguato ferisce di agguato perisce". Il segretario Cgil: "Parole insopportabili". Bonanni: "Sgradevole". Landini: "Che decadenza". Avvenire: "Destinato ad altre sberle" Brunetta e i precari, "the day after" "Sul mio FB 10mila post insulti" Renato Brunetta ROMA - Il giorno dopo le risposte in Rete alle sue offese ai precari Renato Brunetta torna a farsi sentire. E nel "day after" della tempesta in cui è andato a infilarsi definendo "l'Italia peggiore" gli atipici della pubblica amministrazione che volevano porgli domande a margine di un convegno il ministro si sforza di mostrarsi impermeabile, come già aveva fatto ieri nel "controvideo" diffuso su Youtube in cui annunciava la sua intenzione di rispondere "personalmente e civilmente" agli "amici della Rete", definiti però intanto i veri responsabili dell'attacco mediatico ai suoi danni. Video "Siete l'Italia peggiore" 1 - La precaria: "Ecco quello che gli avrei chiesto" 2 Video L'autodifesa: "Sono stato insultato" 3 - Blob 4 A Radio Radio, Brunetta racconta di aver ricevuto sul suo profilo Facebook "10mila post di insulti, minacce, addirittura pallottole. Molti legati anche alla mia statura fisica. Ma conosco bene il mercato del lavoro, la pubblica amministrazione e anche il mondo di questi finti precari - ribatte il ministro -. Sorrido anche dell'indignazione della rete". Sull'attacco ai precari, Brunetta ribadisce quanto dichiarato ieri: quel giudizio, "siete l'Italia peggiore", era rivolto solo agli interlocutori del momento e non a tutta la "categoria". "Pensa che io sia così stupido? - chiede Brunetta all'intervistatore - I precari, quelli veri, sono milioni di persone vittime di un sistema che non funziona, di regole che non funzionano, di sindacati balordi, degli errori dei padri. I veri precari sono quelli dei call center che non hanno voce, non sono i figli di papà romani. Vanno cambiate le regole dell'occupazione dei padri e fare tutti un esame di coscienza", perché "è patologico che si viva per l'eternità da atipici". A Radio 24, Brunetta premette di avere "assolutamente un buonissimo carattere", poi ripete la sua versione: "Ho dato un giudizio sulle quattro persone che erano lì, venute non per ascoltare il convegno sull'innovazione e il sottoscritto che parlava dell'Italia migliore. A loro non interessava: avevano pronti gli striscioni, non ascoltavano, solamente insultavano, quella è l'Italia peggiore e lo ribadisco. L'Italia peggiore è quella di chi non fa parlare il ministro della scuola, chi fischia in ogni occasione". Leggendo i quotidiani di oggi, il ministro si dice divertito soprattutto divertito dall'intervista a "quella cosiddetta leader" del movimento di precari. "Guadagna 1.800 euro al mese da cinque anni con contratti a termine presso un'agenzia del ministero del Lavoro - osserva Brunetta -, non mi sembra tanto precaria". Ma "chi di agguato colpisce di agguato perisce - avverte Brunetta -. La prossima volta contesteranno Camusso o Bersani, stiamo attenti a non capire l'imbarbarimento di questa fase della vita politica". Camusso: "Parole insopportabili". Il segretario generale della Cgil non sembra particolarmente impressionato dall'ultimo allarme di Brunetta e, dal palco della cerimonia inaugurale della festa per i 110 anni della Fiom, definisce "insopportabili" le parole dei "ministri che scappano di fronte alle domande dei precari della pubblica amministrazione". A proposito di Brunetta, Susanna Camusso parla del segnale di un governo che "reagisce in questo modo" perché capisce di non essere "più in grado di dare risposte ai cittadini". Il ministro Brunetta "non ha più neanche il senso dell'umorismo", dice la Camusso , ricordando che "era il ministro che aveva teorizzato che, in fondo, il lavoro pubblico si poteva cancellare. E oggi si trova di fronte al fallimento della sua ipotesi di riforma". Dalle parole ai fatti: oggi, alle ore 18, Fp-Cgil manifesterà con i precari del lavoro pubblico di fronte a Palazzo Vidoni a Roma, sede del ministero di Brunetta. Bonanni: "Brunetta sgradevole". Sui precari, il ministro Brunetta è stato "sgradevole". Durissimo anche l'aggettivo scelto dal segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. "Siamo stufi di polemiche su polemiche, siamo molto interessati alle convergenze. Chi governa lavori per le convergenze". Landini: "Decadenza". "Siamo di fronte a una decadenza notevole, perché un ministro che fa interventi di questa natura non rappresenta questo Paese". Parola del numero uno della Fiom, Maurizio Landini che osserva: "La precarietà, purtroppo, è un dramma sociale e il governo dovrebbe fare politica per dare un futuro e una prospettiva ai giovani e non per renderli precari sempre. Credo che Brunetta non stia facendo il suo mestiere e poi dovrebbe rispettare maggiormente chi paga le tasse e permette anche a lui di fare il ministro, anche se a volte non è troppo capace". Avvenire: "Destinato ad altre sberle". "Chi non sa ascoltare le persone, che non sono certo il Paese 'peggiore', oggi si candida solo a ricevere altre sberle. Metaforiche, s'intende. Ma non per questo meno pesanti". Così il quotidiano cattolico Avvenire. "Le contestazioni agli esponenti politici sono non di rado dure, in passato ve ne sono state pure di violente - scrive il quotidiano della Cei in un corsivo non firmato, quindi attribuibile alla direzione -. Ma i timori, legittimi, che possano accadere non giustificano gli insulti e le fughe sdegnate di fronte a semplici domande". Secondo Avvenire, "per un politico la capacità di ascolto è una delle prime virtù da coltivare. Per un ministro, poi, è addirittura un dovere". Per il giornale dei vescovi, comunque, "ora gli insulti che a sua volta il ministro riceve su internet sono parimenti criticabili". Ma il consiglio che rivolge a Brunetta è che "anziché insistere nell'errore, meglio scusarsi e aprirsi al confronto. Questa sì sarebbe un'Italia migliore". (16 giugno 2011)
2011-05-01 PRIMO MAGGIO Si alza il sipario sull'Unità di Italia La musica della storia sul palco Ad accogliere il pubblico di piazza San Giovanni ci saranno 72 elementi e 60 coristi dell'Orchestra Roma Sinfonietta diretta dal Maestro Morricone. Tra gli artisti Dalla e De Gregori, Paoli, Silvestri, Caparezza, Servillo e Mesolella. A presentare Neri Marcorè: "Magari canto. E per la par condicio, vedremo.." di KATIA RICCARDI Si alza il sipario sull'Unità di Italia La musica della storia sul palco Gino Paoli e il Maestro Ennio Morricone (foto di Simone Cecchetti) * Aspettando il concerto del Primo Maggio video Le prove del Concertone * Alle prove del Primo Maggio foto Le immagini del palco * Morricone: "Unisco l'Italia mischiando Verdi e Mameli" articolo Morricone: "Unisco l'Italia con Verdi e Mameli" * I maghi e le nuvole della Bandabardò "Fischiettando verso la fine del mondo" articolo I maghi e le nuvole della Bandabardò * Esclusiva Bandabardò: 'Rosa Luxembourg' video Bandabardò: 3 brani in esclusiva ROMA - Sarà la festa dei lavoratori come sempre. Ma anche una giornata per celebrare l'Unità d'Italia a partire dall'unione dei suoni che questo Paese l'hanno disegnato e continuano a segnarlo. Il Concertone si veste per l'occasione. Ci sarà perfino un sipario. E la pedana rotante del più grande palco italiano quest'anno scorrerà. Una specie di enorme tapis roulant sopra cui gli artisti si daranno il cambio, sullo sfondo dei 72 elementi e 60 coristi dell'Orchestra Roma Sinfonietta diretta dal Maestro Morricone. Il palco davanti alla piazza vuota, al prato davanti alla Basilica di San Giovanni che domenica non sarà più visibile. Calpestato dalle migliaia di persone che arriveranno da tutta Italia per assistere al concerto dedicato a "la patria, la storia, il lavoro". VIDEO 1 - FOTO 2 Un'edizione coraggiosa, la definiscono tutti, a partire dall'organizzatore Marco Godano. Perché la piazza di San Giovanni quest'anno assisterà a 14 minuti di sinfonia creata apposta dal Maestro Morricone, forse anche di più. E ascolteranno canzoni antiche, la storia, l'arte, non solo rock. Così tra i brani in scaletta ci saranno Bella ciao, Va pensiero, Te voglio bene assaje, Volare e l'Inno di Mameli e saranno celebrati Dante e Toscanini, Totò e Pasolini, Anna Magnani, Gigi Riva, don Pino Puglisi fino a Rita Levi Montalcini. Non solo set personali degli artisti invitati. Non solo presente. Ma un'onda continua di suoni e atmosfere. Nessun artista straniero, nessuna nota pagata cara e ospitata sul palco che, quest'anno più che mai, rappresenta il nostro Paese e la nostra musica. Alle prove, davanti alla piazza di San Giovanni ancora vuota, Morricone è arrivato nel pomeriggio. Ha parcheggiato la sua macchina fuori dall'entrata verso il palco. Un addetto al servizio d'ordine si è avvicinato pensando fosse qualcuno che aveva parcheggiato nel posto meno adatto. Poi ha visto Morricone uscire con la sua valigetta, e chiudere l'auto. "Maestro.. Ma lei può entrare dentro..". "No, no, va bene qui grazie molte. Mi può indicare dov'è il mixer?", ha risposto il più grande compositore italiano, 83 anni, cerimoniere d'eccezione davanti una piazza più abituata al rock. E che un atteggiamento così rock l'avrebbe molto apprezzato. Morricone dal mixer alla fine del prato, ha guardato l'Orchestra da lontano. Ne ha tastato il suono, ha capito. Sapendo perfettamente che parteciperà a una festa. "Perché se penso al futuro" aveva detto in un'intervista a Repubblica 3"io mi aspetto un'Italia migliore". "Ho pensato di mettere insieme nella prima parte della mia 'Elegia' il Va pensiero di Verdi e i Fratelli d'Italia e i due brani saranno contemporaneamente ascoltabili dal pubblico", ha spiegato. "Con qualche compromesso nell'armonizzazione - ha detto - e alcune licenze musicali. Che però non si sentono, anzi i brani restano del tutto riconoscibili. Quando l'orchestra suonerà Fratelli d'Italia, che nella mia versione rinuncia al tempo di marcetta per diventare più pensoso e riflessivo, il coro canterà 'a pensiero; viceversa, quando l'orchestra suonerà Verdi allora il coro intonerà Mameli". Un'avventura. E una scelta, spiega Morricone, ricca di significati morali, "contro l'appropriazione indebita che la Lega ha tentato negli ultimi anni". "Il canto di Verdi è un canto del Risorgimento italiano e dell'Unità d'Italia". Mentre Roma apre le porte ai fedeli di tutto il mondo che arriveranno per la beatificazione di Papa Giovanni Paolo II, Neri Marcorè - che nel 2006 proprio il pontefice aveva interpretato nel film "Papa Luciani. Il sorriso di Dio" di Giorgio Capitani -, dovrà domare e gestire il Concertone. "E' una cosa importante, è una piazza enorme. Me l'hanno raccontata quelli che l'hanno fatto prima di me. Sono emozionato, anzi, ancora no, ancora non mi rendo conto. Magari domani, magari domenica", ha detto incastrato tra una roulotte-camerino-ufficio di produzione. "Di presentarlo me l'avevano già chiesto ma non mi sentivo pronto, non so perché quest'anno ho avuto questa folgorazione per cui ho visto una grande luce che mi ha detto va...". Seriamente, per Marcorè: "La storia in questi giorni ci sta dando parecchi spunti di riflessione e quindi questo concerto può essere un ulteriore momento di riflessione collettiva e di appartenenza, un termine che si sta perdendo e allora ben vengano questi 150 anni di Unità". Emozione o meno Marcorè avrà a che fare con la par condicio ("Non nomineremo nessuno degli ultimi 15 anni, solo personaggi storici. Così evitiamo problemi"), e canterà qualche brano, perché cantare è "una passione", forse con De Angelis in Nostra signora del golpe. "Intanto per ora sono al sicuro", ha detto alla fine guardandosi intorno. E intorno c'era solo via vai di pezzi di palco. Casse, orchestrali in cerca di sedie, panini, fili da collegare, telecamere pronte a muoversi dall'alto. Chitarre elettriche e clavicembali, violini e bassi, batterie e tromboni. In giro, in movimento in una giostra meravigliosa. Gino Paoli per partecipare ha rinunciato ad altri impegni. Non aveva previsto che sarebbe arrivato a Roma per cantare Va pensiero, l'aria corale del Nabucco di Verdi alla Festa dei lavoratori insieme all'orchestra Roma Sinfonietta diretta dal Premio Oscar Morricone. E ci saranno Lucio Dalla e Francesco De Gregori a coronamento della tournée 'Work in progress' che li ha rivisti in coppia a 25 anni dal tour di 'Banana Republic'. Per Dalla è la prima volta sul palco di San Giovanni nella storia ultraventennale del Concertone. La scaletta del loro set non è ancora definita. E' il grande segreto. Ma su Viva l'Italia, De Gregori è stato possibilista: "Perché no? In tanti dei miei brani ci sono forti riferimenti al lavoro, quindi non avremo difficoltà", ha assicurato. "Insomma cosa volete che faccia? - aveva già detto De Gregori -. Dovrei fare proclami sul palco? Può essere divertente, ma non l'ho mai fatto e non lo farò questa volta. Siamo artisti consapevoli di quello che succede. Parlano le mie canzoni, e mi pare abbastanza". Per De Gregori: "Una canzone non può far rinascere il senso di appartenenza, mi pare spropositato - ha detto -. La musica è una cosa enorme, ma ha dei confini". Sarà Eugenio Finardi ad aprire le danze. E gli altri che saliranno sulla pedana mobile saranno i Subsonica, Daniele Silvestri (VIDEO 4), Caparezza, Peppe Servillo e Fausto Mesolella (canteranno con l'orchestra Te voglio bene assaje), e poi i Modena City Ramblers, la Bandabardò (LEGGI L'INTERVISTA 5), Edoardo Bennato, Lucariello, Paola Turci, Eugenio Finardi, Luca Barbarossa, Eduardo De Angelis, Enzo Avitabile (con Raiz e Cò Sang), Bandervish, Edoardo De Angelis, Chiara Civello, Erica Mou. I tre Maestri del concerto. L'Orchestra Roma Sinfonietta sarà diretta in momenti diversi da tre grandi direttori: Ennio Morricone che dirigerà la sua Elegia per l'Italia. Al Maestro Francesco Lanzillotta sarà affidata la direzione dei brani dedicati alle celebrazioni dell'Unità d'Italia Bella Ciao, l'Inno di Mameli e Te vojo bene assaje con Peppe Servillo e Fausto Mesolella. Mentre l'incontro tra la musica sinfonica e il rock di alcuni tra gli artisti di questa edizione sarà invece diretto dal Maestro Alessandro Molinari. Previsioni del tempo. Pioverà. Dicono. Nuvole pesanti sopra San Pietro e sopra San Giovanni. La conferma è arrivata dai meteorologi: "Il Lazio sarà una delle regioni più colpite domenica con rovesci e acquazzoni sparsi, e anche Roma non sarà risparmiata dalla pioggia tra mattino e pomeriggio, con schiarite in serata". Le temperature minime previste per la giornata si attestano intorno ai 12-13 gradi, le massime sui 17-19. Diretta tv. La trasmissione su Rai3 sarà diretta da Stefano Vicario e prenderà il via alle 15,15 con l'Anteprima del Concerto condotta dal cantautore Enrico Capuano. La diretta proseguirà fino alle 19 per riprendere poi il collegamento con la piazza alle 20 e concludersi alla mezzanotte. E proprio la diretta televisiva imporrà l'attenzione del conduttore e degli artisti al rispetto della par condicio vigente per l'imminente tornata elettorale. Trasporti. Per consentire lo svolgimento dell'evento sarà chiusa al traffico la zona delimitata da via Carlo Felice, piazza di Porta San Giovanni e via Emanuele Filiberto, mentre sarà consentito transitare sulle direttrici. Ecco il piano Tpl: Il servizio di trasporto pubblico. Le linee 3, 16, 360, 590, 665 saranno in servizio con fasce orarie dalle 8,30 alle 13 e dalle 16,30 alle 21; le linee 81, 85, 87, invece, inserite nel programma di intensificazione per l'evento di beatificazione di giovanni paolo ii, saranno in funzione dalle 5.30 Alle 21. Come misura di sicurezza, infine, a partire dalle 15 di domenica 1 maggio è prevista la chiusura delle stazioni "San Giovanni" e "Manzoni" della linea a della metropolitana. Le deviazioni e le limitazioni. Dalle 8,30 a fine servizio le linee diurne 3, 16, 81, 85, 87, 360, 590 di atac e la linea 218 di roma tpl dovranno cambiare itinerario, la linea diurna 665 sarà limitata. Inoltre, per consentire la pulizia dell'area di piazza san giovanni, da inizio servizio fino alle 5 di domenica 2 maggio devieranno le notturne n1, n10, n11. (30 aprile 2011)
CRONACA Primo Maggio fra le polemiche Camusso: "Divisi siamo più deboli" L'appello del segretario della Cgil. Ma Angeletti, Uil: la vera emergenza è affrontare i problemi. La Festa dei lavoratori all'insegna delle polemiche anche all'interno del sindacato. A Bologna Cgil e Cisl si spaccano. Nessun comizio o corteo a Napoli. E' guerra anche sulla questione dei negozi aperti. A Milano blitz dei centri sociali in un supermercato, per protestare contro l'apertura dei negozi. A Torino gli autonomi bloccano il corteo. Bruciate tre bandiere della Cisl e della Uil di VALERIA PINI Primo Maggio fra le polemiche Camusso: "Divisi siamo più deboli" Sindacati divisi nel giorno della Festa dei lavoratori. Nonostante l'appello del segretario della Cgil, Angela Camusso, in molte città il 1° Maggio diventa terreno di scontro."Abbiamo ascoltato il presidente della Repubblica, credo abbia assolutamente ragione: i sindacati divisi sono sindacati più deboli", ha detto il segretario generale della Cgil, dando il via della manifestazione per il Primo maggio a Marsala. "Insistiamo a dire che le differenze ci sono e non si superano facendo finta che non ci siano, ma dandosi nuove regole che permettano ai lavoratori di decidere", ha spiegato il segretario di Cgil, commentando le parole di ieri 1 del presidente della Repubblica. "I temi della crisi del paese sono tutti là, le ragioni del nostro sciopero rimangono tutte - ha aggiunto - vista la manovra finanziaria e le politiche che il governo si appresta a fare". Poco dopo è arrivata la replica del segretario della Uil Luigi Angeletti da Marsala: "Il vero problema è affrontare i veri problemi che hanno i lavoratori e la disoccupazione: questa è la vera emergenza. L'unità dei sindacati può essere utile ma non è il fine. L'appello del Capo dello Stato "va accolto in modo positivo", ha aggiunto il leader della Uil, ma è "nel trovare lavoro che si misura l'utilità dell'unità dei sindacati, non in termini astratti". Raffaele Bonanni, leader della Cisl, ha chiesto invece una riforma del fisco "con una immediata nuova legge che radicalmente cancelli la vecchia". "E' necessaria una legge che sposti i pesi del fisco da lavoratori e pensionati verso coloro che, essendo più ricchi, hanno pagato meno - ha detto Bonanni - . Vogliamo un pronunciamento chiaro da parte del governo". Per il leader della Cisl bisogna poi intervenire tagliando "spesa pubblica improduttiva, costi della politica, troppe amministrazione e troppi livelli istituzionali". Un appello anche alla politica, "perchè, come dimostra l'esperienza del Mezzogiorno, non vediamo una politica usata per costruire il bene delle comunità ma per costruire il bene della stessa politica". Un piccolo gruppo di persone, non più di tre o quattro, precari Cgil della scuola, ha contestato gli interventi dei leader di Uil e Cisl alla manifestazione del Primo Maggio a Marsala. Torino. A Torino 2 il corteo sindacale del Primo Maggio è stato interrotto poco dopo la partenza dalla presenza di una cinquantina di giovani dell'area antagonista che hanno contestato la Cisl, "il sindacato dei traditori", lanciando uova e palline di carta contro i sindacalisti. La polizia si è frapposta tra i contestatori e lo spezzone di corteo della Cisl e non si sono verificati incidenti. Bandiere della Cisl e della Uil, 3 sottratte durante il corteo, sono state bruciate da esponenti dell'area antagonista sul palco del comizio del Primo Maggio, nella centralissima piazza San Carlo, a Torino, dove si era appena concluso il comizio della segretaria torinese della Cgil, Donata Canta. Contestata anche, sempre dagli stessi manifestanti, la partecipazione al corteo del candidato a sindaco di Torino del centrodestra Michele Coppola FOTO Tensioni al corteo 4 Le bandiere bruciate 5 A Bologna e Napoli il sindacato si è spaccato, ma c'è scontro anche tra politici, commercianti e centri sociali. Anche perché quest'anno l'Italia non si ferma completamente e per molti sarà una giornata come le altre. In diverse città infatti ci saranno negozi aperti 6e questo ha scatenato per giorni aspre polemiche. Divisioni anche fra le sigle sindacali. A Bologna Cgil e Cisl festeggiano separatamente. Numerosi comunque gli incontri, le manifestazioni e i cortei che si terranno in diverse piazze. Milano. A Milano blitz dei militanti di 'San Precario' in un supermercato che ha deciso di tenere aperto nel giorno della Festa dei Lavoratori. Già da ieri i centri sociali 7 avevano lanciato un avvertimento ai commercianti e avevano lanciato un avvertimento: "Chiudete oppure ve ne pentirete". Due le manifestazioni 8 in città: quella sindacale è partita da Porta Venezia ed è finita in piazza della Scala. Fischiati i rappresentanti di Cisl e Uil. Da via Padova, invece, la protesta di immigrati e sigle comuniste. Da via Padova è partita, invece, la protesta di immigrati e sigle comuniste. Roma. A Roma blitz di un gruppo di manifestati 9davanti alla maxiboutique Zara di via del Corso. Hanno esposto un lungo striscione con la scritta "Damose da fà, semo precari". "Per ora abbiamo bloccato le attivita' di Zara, Rinascente, Tezenis, Walt Disney di via del Corso e stiamo proseguendo negli altri negozi. E' l'inizio del count down verso lo sciopero generale del 6 maggio", hanno detto gli esponenti dei movimenti romani riuniti nella sigla 'Uniti per lo sciopero', che da questa mattina stanno presidiando via del Corso per protestare contro "i negozi aperti il primo maggio". I manifestanti, qualche centinaio tra studenti, precari e immigrati, hanno iniziato il presidio alla Galleria Alberto Sordi e si stanno spostando verso Piazza del Popolo Giornata particolare nella capitale 5 10 dove proprio il 1° Maggio la città è gremita per la beatificazione di Wojtyla. Come ogni anno la Festa dei lavoratori si celebra con il maxi concerto in piazza San Giovanni. L'appuntamento è alle 16. Gli organizzatori hanno annunciato un'edizione "unica e di grande qualità". Sul palco grandi protagonisti della musica italiana: Lucio Dalla, Francesco De Gregari, i Subsonica, Gino Paoli, Edoardo Bennato, ma soprattutto si ricorderanno i 150 anni dell'Unità d'Italia. FOTO Blitz contro i negozi chiusi a Roma 11 Bologna. Sindacati divisia Bologna 6 12. Ieri il segretario della Cisl Alessandro Alberani ha celebrato con 24 ore di anticipo la festa dei lavoratori, che dopo tanti anni vede oggi la Cgil da sola in Piazza Maggiore. Napoli. Primo Maggio senza comizi e cortei a Napoli 7 13, dove si terrà invece un concerto. Colpa della spaccatura dei sindacati, divisi fino all'ultimo dopo i forti contrasti tra Cgil e Cisl, uniti soltanto per lo spettacolo programmato in piazza Dante. In una festa sulla linea della discordia, anche i commercianti hanno posizioni diverse fra loro. Negozi aperti stamattina solo al Vomero, poche le vetrine a Chiaia, shopping negato a piazza Garibaldi e via Toledo. A frenare gli entusiasmi dei negozianti c'è la crisi rifiuti e il degrado in città. Firenze. Oggi scarsa l'affluenza al corteo e al comizio dei sindacati, in piazza della Repubblica, a Firenze 14. Intervenendo alla trasmissione di Rai 3 "In 1/2 ora" il sindaco, Matteo renzi ha detto che non pensa a "rottamare" la festa del lavoro, ma, dice iche occorre "prendere atto che si può festeggiare non solo sprangando le città per motivi ideologici, come Firenze che è città turistica". Parlando della manifestazione a Firenze di Cgil, Cisl e Uil che hanno organizzato proprio per oggi uno sciopero regionale contro le aperture dei negozi il Primo maggio, Renzi ha notato che "c'erano 400 persone, un numero inferiore di quanto sono i dipendenti di Cgil Cisl e Uil". VIDEO Renzi: "In piazza 400, meno dei dipendenti sindacali" 15 Palermo. A Palermo 9 16il maltempo ha fermato le discussioni sull'apertura degli esercizi commerciali. Sono pochi i negozi che hanno deciso di alzare le saracinesche perché per la pioggia le strade sono quasi deserte. I grandi centri commerciali sono aperti, ma l'afflusso è modesto. Genova. A Genova 10 17 sono tornate in piazza le donne. "Se non ora quando", lo slogan coniato a febbraio per difendere la dignità femminile diventa il filo conduttore di una manifestazione che anima piazza Caricamento. Appuntamento della Cgil a Villa Serra di Comago. Con l'eccezione dell'area del Porto Antico, dove bar e ristoranti sono aperti per la concomitanza di Euroflora alla Fiera del Mare, negozi e locali sono chiusi 18. Musica e animazione si alterneranno al pomeriggio nell'aiuola di via Venti Settembre, dedicata all'ultimo giorno di apertura di Euroflora, mentre il museo di Palazzo Reale sarà aperto in via straordinaria fino alle 19. Parma. A Parma 19 la Cgil ha scritto una lettera aperta ai lavoratori. Le riflessioni del segretario generale di Parma del sindacato, Patrizia Maestri: "Manca una politica di sviluppo, anche nel Parmense cresce la disoccupazione". In mattinanata una manifestazione e nel pomeriggio un concerto alla Fattoria di Vigheffio dei giovani. LEGGI A Roma concertone per il Primo Maggio 20di KATIA RICCARDI 21 (01 maggio 2011)
2011-04-17 "Thyssen è un monito per le imprese" ora inchiesta-bis sui falsi testimoni Guariniello: i manager sanno cosa rischiano. Risarcimenti per 20 milioni. I legali dei dirigenti insistono: "È una condanna esageratamente punitiva" A Terni cresce il timore che dopo la condanna i tedeschi possano chiudere lo stabilimento di SARAH MARTINENGHI
"Thyssen è un monito per le imprese" ora inchiesta-bis sui falsi testimoni TORINO - C'è un messaggio "dai riverberi importanti" dietro le condanne esemplari inflitte alla Thyssen, ed è indirizzato a tutti "gli uomini d'azienda", dirigenti e consiglieri di amministrazione. "Questa sentenza può scuotere e cambiare le coscienze degli imprenditori" ha spiegato ieri il procuratore Raffaele Guariniello. "Da oggi, quando andranno in azienda, devono aver presente che sono loro i responsabili della sicurezza, e se succede qualcosa non sono più protetti da condanne "virtuali" che non verranno mai scontate: ora le condanne sono diventate "reali" e loro rischiano la galera". Ancora visibilmente emozionato per la vittoria ottenuta, il magistrato chiarisce risvolti e novità del dispositivo. "È nei consigli di amministrazione che si prendono le grandi scelte aziendali e quelle che riguardano la sicurezza: l'obbligo di valutare il rischio è del datore di lavoro, e quindi del cda, e non è delegabile. Gli imprenditori devono sapere cosa può accadere e assumersi la responsabilità delle loro scelte". Il rischio infatti, oltre al carcere, è quello di rovinare anche economicamente il futuro delle loro stesse aziende con la condanna a sanzioni amministrative pesantissime come quelle inflitte alla Thyssen.
"La seconda novità - ha aggiunto il pm - riguarda la responsabilità amministrativa dell'azienda. È la prima volta che una ditta viene condannata, e a sanzioni così forti". Oltre al risarcimento di 12 milioni e 900 mila euro dato ai familiari delle vittime, i giudici hanno infatti costretto la Thyssen a pagare nove milioni e mezzo di euro, tra parti civili e spese legali. Il conto salato dell'acciaieria supera quindi i 20 milioni di euro. Il risparmio di poco, 800 mila euro, è costato venti volte tanto, oltre a sette vite umane. "Sarebbe bastato un impianto di rilevazione fumi, anche di quelli che costano poche migliaia di euro, a evitare la tragedia - ha aggiunto il pm Laura Longo - con una procedura d'emergenza diversa, infatti, gli operai non sarebbero stati costretti a intervenire con gli estintori, si sarebbero allontanati dalla linea e non sarebbero stati investiti dalla nuvola di fuoco e olio bollente che li ha uccisi". "Noi continuiamo a ritenere infondata questa linea d'accusa, ma non siamo stati ascoltati: sembra che nessuno dei nostri argomenti sia stato preso in esame" ha commentato l'avvocato difensore della Thyssen Ezio Audisio, che ha definito la sentenza "esageratamente punitiva". Una tesi condivisa anche in Umbria. Sono proprio le pesanti condanne amministrative a creare, a Terni, timori di chiusura dell'unico stabilimento Thyssenkrupp rimasto in Italia. "Bisogna evitare che all'ingiustizia della tragedia accaduta ai sette operai e ai loro familiari se ne sommi un'altra per migliaia di lavoratori" è stato il commento del sindaco Leopoldo Di Girolamo che ha sottolineato l'importanza dell'acciaieria come "motore di sviluppo" per la città e l'intera regione. "Abbiamo paura che questa sentenza si ritorca contro di noi" hanno detto anche gli operai fuori dalla Thyssen. Nonostante la sentenza emessa, Guariniello continuerà ad indagare sull'acciaieria. La corte ha infatti disposto, in coda al dispositivo, "la trasmissione degli atti alla procura": verrà iscritto nel registro degli indagati anche l'ingegnere Berardino Queto, il consulente della difesa che aveva redatto il documento di valutazione del rischio, per omicidio colposo e omissione di cautele. Ma non solo: i pm indagheranno anche su 4 funzionari dello Spresal che avvertivano l'azienda prima dei sopralluoghi, e su una decina di falsi testimoni. Durante il processo erano stati avvicinati per raccontare in aula una versione "addolcita" sulle condizioni di lavoro dello stabilimento. (17 aprile 2011)
Poletto: "Funerali laceranti sentivo tutto il dolore della città" Il cardinale: la sicurezza sul lavoro è un dovere. Di più, è un segno della nostra civiltà. I giorni della Thyssen sono stati uno dei periodi più difficili dei miei anni da vescovo a Torino di PAOLO GRISERI Poletto: "Funerali laceranti sentivo tutto il dolore della città"
TUTELARE la sicurezza sul lavoro è un dovere. Di più, è "un segno della nostra civiltà. I giorni della Thyssen sono stati uno dei periodi più difficili dei miei anni da vescovo a Torino".Parla così il cardinale Severino Poletto, all’epoca della tragedia alla guida della diocesi della città, ricordando quel che accadde nel dicembre di tre anni fa, nell’inverno tra il 2007 e il 2008. Cardinale Poletto, perché ha definito quell’esperienza "lacerante"? "Ho presieduto tutti i funerali delle sette povere vittime. Le ricordo tutte come fosse oggi. La messa in Duomo con quattro bare, le due celebrazioni a Torino Sud, l’ultimo funerale al Santo Volto con la chiesa stracolma di operai e la madre inconsolabile davanti a me, la fine dell’ultima speranza. E’ stato lacerante perché mi sono sentito addosso il dolore di quelle famiglie e il dolore di una città intera". Che cosa si domanda un vescovo in quei casi? Quali riflessioni su quel dolore? Perché dio lo permette? "Dio non manda il dolore. Dio ci ha creati perché un giorno possiamo tornare a lui nella gioia. Non è il Signore che schiaccia un bottone e ci manda il dolore. Anche Gesù ha sofferto di fronte alla tomba dell’amico Lazzaro". La morte è un fatto naturale. Ma quando dipende dalle scelte dell’uomo non è più lacerante? "Non posso entrare nel merito della sentenza della Thyssen. E’ giusto che gli uomini giudichino secondo la giustizia umana. Ed è giusto che se la giustizia riconosce qualcuno colpevole lo condanni. Parlando in generale dico che quella tragedia ha avuto l’effetto di una frustata sulla città. Facendoci capire quanto sia importante che le imprese si preoccupino di tutelare la salute di chi lavora. Di chi tutti i giorni si reca sul posto di lavoro per guadagnare quel che serve a vivere. Purtroppo quello della Thyssen non è stato l’unico incidente. Se pensiamo a quante volte leggiamo di persone che cadono dalle impalcature, che muoiono sui posti di lavoro nei modi più diversi. Ci colpiscono meno perché sono morti singole che non attirano l’attenzione generale. Quella invece colpì non solo per il numero delle vittime ma anche per il modo in cui morirono. Abbiamo trascorso un mese nella speranza che almeno qualcuno di loro si salvasse anche se sapevamo che si trovavano in condizioni disperate. Invece sono morti tutti". Qual è l’episodio che le è rimasto più impresso di quel mese di sofferenza? "Andai a trovare l’ultimo sopravvissuto di quei ragazzi. Era in coma in una stanza sterile del Cto. Entrammo e con me c’era anche la madre. Che non resse a quella vista e svenne di fronte al figlio. Ricordo come fosse adesso quanto dolore ci fosse intorno al me in quel momento in quel luogo". Come si può dare conforto a padri e madri in quelle situazioni? "E’ molto difficile. Ricordo che in quei giorni prima dei funerali pregavo molto, anche più del solito. Pregavo per avere la forza di poter fare coraggio a quelle persone che mi sarei trovato di fronte di lì a poco. Perché non è il vescovo che dà coraggio, il vescovo è un mediatore, è il Signore che dà coraggio. Passarono pochi giorni e ritrovai quella madre di fronte a me davanti alla bara del figlio nella chiesa del Santo Volto. Così nell’omelia mi rivolsi a quella donna e cercai di confortarla dicendo che in quel momento il volto di suo figlio era trasfigurato di fronte a Dio". Che cosa rimane oggi di quella tragedia? "Quella vicenda segnò il decennio di Torino così come in senso positivo era accaduto per le Olimpiadi. Spero che da allora sia rimasta la lezione di avere maggiore attenzione alla sicurezza sul lavoro come uno dei ben primari da difendere soprattutto in una città industriale come Torino". (17 aprile 2011)
2011-04-16 FIAT Fiom contro newco di Pomigliano "Presenteremo ricorso in Tribunale" L'annuncio fatto dal leader del sindacato, Maurizio Landini, nel corso di una conferenza stampa: "Abbiamo fatto di tutto perché si potesse aprire la strada per una trattativa, ma non è stato possibile". E sull'incontro con Marchionne su ex Bertone: "Un elemento di novità" Fiom contro newco di Pomigliano "Presenteremo ricorso in Tribunale" ROMA - Battaglia legale tra Fiom e Fiat. Lunedì il sindacato depositerà presso il Tribunale del lavoro di Torino il ricorso contro la costituzione delle newco per gli stabilimenti Fiat di Pomigliano d'Arco e Mirafiori. Lo ha annunciato il leader, Maurizio Landini. Le tute blu della Cgil sostengono che le due newco sono finalizzate al trasferimento d'impresa, tuttavia violerebbero la normativa italiana in materia e le leggi europee. In secondo luogo, secondo la Fiom le newco rappresenterebbero anche un atto antisindacale in quanto delinerebbero un sistema di relazioni industriali teso a escludere i metalmeccanici della Cgil. "Fino ad oggi - ha detto Landini nel corso di una conferenza stampa - abbiamo fatto di tutto perché si potesse aprire la strada per una trattativa vera con Fiat. Eravamo già pronti con il ricorso, ma abbiamo atteso che si riaprisse il dialogo. Ma questo non è stato possibile, anche alla luce di come si sta delineando la vicenda della ex Bertone. Il ricorso che depositeremo lunedì è un atto importante. 'L'obiettivo del ricorso - ha aggiunto Landini - è di rendere nulli gli accordi di Pomigliano". Le newco previste, infatti, violerebbero - precisa il sindacato - le regole in materia di trasferibilità di impresa che implicano la trascinabilità dei diritti dei lavoratori. Landini ha aggiunto che la Fiom "si rende conto del significato che ha questa azione. Con questo, però, non diciamo che lasciamo il lavoro sindacale ai giudici. La Fiom continuerà a essere ai tavoli e a rivendicare diritti. Ma siccome dalla Fiat c'è un tentativo di frodare e aggirare il sistema legislativo, italiano ed europeo, allora ci rivolgiamo ai giudici". Tentativo di cambiare la Costituzione. Da parte della Fiat "è in atto un tentativo di cambiare la Costituzione del Paese", ha attaccato Maurizio Landini."Se passa l'idea che si esce da Confindustria e si fanno contratti individuali- spiega il segretario- siamo alla destrutturazione del sistema sindacale. Siamo di fronte a qualcosa di grave che non riguarda soltanto i lavoratori, ma la democrazia". Incontro con Marchionne su ex Bertone. La Fiom andrà all'incontro sulla vertenza per lo stabilimento Fiat di Grugliasco (ex Bertone) tra l'amministratore delegato Sergio Marchionne e i sindacati fissato per martedì mattina al Lingotto, quartiere generale della Fiat: oltre a Landini ci saranno i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil e Fismic, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni, Luigi Angeletti e Roberto Di Maulo. L'incontro, ha detto Landini, rappresenta "un elemento di novità", e ha aggiunto "andremo a questo tavolo e ascolteremo". All'incontro parteciperanno anche le categorie dei metalmeccanici. "Andremo all'incontro con Marchionne con lo spirito e le cose che abbiamo sempre detto: a partire dal piano industriale alle prospettive del gruppo", ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. "E chiederemo - ha aggiunto - di non scaricare i costi della crisi sui lavoratori". (16 aprile 2011)
FIAT Fiom contro newco di Pomigliano "Presenteremo ricorso in Tribunale" L'annuncio fatto dal leader del sindacato, Maurizio Landini, nel corso di una conferenza stampa: "Abbiamo fatto di tutto perché si potesse aprire la strada per una trattativa, ma non è stato possibile". E sull'incontro con Marchionne su ex Bertone: "Un elemento di novità" Fiom contro newco di Pomigliano "Presenteremo ricorso in Tribunale" ROMA - Battaglia legale tra Fiom e Fiat. Lunedì il sindacato depositerà presso il Tribunale del lavoro di Torino il ricorso contro la costituzione delle newco per gli stabilimenti Fiat di Pomigliano d'Arco e Mirafiori. Lo ha annunciato il leader, Maurizio Landini. Le tute blu della Cgil sostengono che le due newco sono finalizzate al trasferimento d'impresa, tuttavia violerebbero la normativa italiana in materia e le leggi europee. In secondo luogo, secondo la Fiom le newco rappresenterebbero anche un atto antisindacale in quanto delinerebbero un sistema di relazioni industriali teso a escludere i metalmeccanici della Cgil. "Fino ad oggi - ha detto Landini nel corso di una conferenza stampa - abbiamo fatto di tutto perché si potesse aprire la strada per una trattativa vera con Fiat. Eravamo già pronti con il ricorso, ma abbiamo atteso che si riaprisse il dialogo. Ma questo non è stato possibile, anche alla luce di come si sta delineando la vicenda della ex Bertone. Il ricorso che depositeremo lunedì è un atto importante. 'L'obiettivo del ricorso - ha aggiunto Landini - è di rendere nulli gli accordi di Pomigliano". Le newco previste, infatti, violerebbero - precisa il sindacato - le regole in materia di trasferibilità di impresa che implicano la trascinabilità dei diritti dei lavoratori. Landini ha aggiunto che la Fiom "si rende conto del significato che ha questa azione. Con questo, però, non diciamo che lasciamo il lavoro sindacale ai giudici. La Fiom continuerà a essere ai tavoli e a rivendicare diritti. Ma siccome dalla Fiat c'è un tentativo di frodare e aggirare il sistema legislativo, italiano ed europeo, allora ci rivolgiamo ai giudici". Tentativo di cambiare la Costituzione. Da parte della Fiat "è in atto un tentativo di cambiare la Costituzione del Paese", ha attaccato Maurizio Landini."Se passa l'idea che si esce da Confindustria e si fanno contratti individuali- spiega il segretario- siamo alla destrutturazione del sistema sindacale. Siamo di fronte a qualcosa di grave che non riguarda soltanto i lavoratori, ma la democrazia". Incontro con Marchionne su ex Bertone. La Fiom andrà all'incontro sulla vertenza per lo stabilimento Fiat di Grugliasco (ex Bertone) tra l'amministratore delegato Sergio Marchionne e i sindacati fissato per martedì mattina al Lingotto, quartiere generale della Fiat: oltre a Landini ci saranno i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil e Fismic, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni, Luigi Angeletti e Roberto Di Maulo. L'incontro, ha detto Landini, rappresenta "un elemento di novità", e ha aggiunto "andremo a questo tavolo e ascolteremo". All'incontro parteciperanno anche le categorie dei metalmeccanici. "Andremo all'incontro con Marchionne con lo spirito e le cose che abbiamo sempre detto: a partire dal piano industriale alle prospettive del gruppo", ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. "E chiederemo - ha aggiunto - di non scaricare i costi della crisi sui lavoratori". (16 aprile 2011)
IN AULA Thyssen, 16 anni e mezzo all'ad Colpevole di omicidio volontario Un verdetto che segna la storia del diritto, oltre che di una città. La ferita inferta dalla tragedia della Thyssenkrupp, il 6 dicembre 2007, non ha solamente cambiato la sensibilità nazionale nei confronti delle morti bianche, ma ha permesso alla procura di contestare per la prima volta un’accusa capace di scuotere le coscienze degli imprenditori. Risarciti anche enti locali e sindacati di PAOLO GRISERI e SARAH MARTINENGHI Thyssen, 16 anni e mezzo all'ad Colpevole di omicidio volontario La seconda corte d’assise di Torino, presieduta da Maria Iannibelli, ha condannato Harald Espenhahn, amministratore delegato della Thyssen, a 16 e sei mesi; Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafuerri a 13 anni e 6 mesi e Daniele Moroni a 10 anni e 10 mesi. I giudici hanno dunque accolto le richieste dell'accusa, aumentando la pena al solo Moroni (per il quale i pm avevano chiesto 9 anni). I giudici hanno accolto in toto le richieste dei magistrati, confermando l'accusa di omicidio volontario con dolo eventuale per l'amministratore delegato e quella di cooperazione in omicidio colposo per gli altri manager. La risposta Thyssen. Immediata la reazione dell'azienda, che in un comunicato ha definito la condanna di Herald Espenhahn "incomprensibile e inspiegabile". "Per l'ulteriore corso del procedimento - si afferma ancora nella nota - si rimanda alle dichiarazioni degli avvocati difensori". Per l'avvocato Cesare Zaccone, uno dei difensori appunto della Thyssen, "vedere cose di questo tipo è sconsolante. Faremo appello ma non credo che otterremo molto di più". L'azienda è stata condannata a un milione di euro di sanzione pecuniaria, all'esclusione da contributi e sovvenzioni pubbliche per sei mesi e al divieto di farsi pubblicità per sei mesi. La multinazionale dell'acciaio è stata chiamata in causa come persona giuridica. La sentenza, per ordine dei giudici, dovrà essere pubblicata su una serie di quotidiani e affissa nel Comune di Terni, dove c'è la principale sede italiana del gruppo. L'unico sopravvisuto. Per Antonio Boccuzzi, unico sopravvissuto al rogo è una sentenza "esemplare", in grado di fare "giurisprudenza e di essere utile per tutti gli altri processi sugli infortuni sul lavoro". "E' stata scritta una pagina importante", ha aggiunto Boccuzzi. VIDEO La lettura della sentenza FOTO Il dolore dei parenti Dopo la sentenza I risarcimenti. Per quanto riguarda le parti civili, la corte ha riconosciuto un risarcimento di un milione di euro al Comune di Torino, di 973.300 euro alla Regione Piemonte, di 500 mila euro alla Provincia di Torino e di 100 mila euro ciascuno ai sindacati Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uim-Uilm, Flm-Cub. Cento mila euro di risarcimento anche all'associazione Medicina Democratica. L’attesa. Prima di riunire il collegio in camera di consiglio per decidere la sentenza, la presidente della Corte di Assise di Torino, Maria Iannibelli, si era rivolta al pubblico chiedendo di tenere un rigoroso silenzio al momento della lettura della sentenza. La lettura è stato l'ultimo atto di un processo durato due anni e tre mesi, racchiusi in 87 udienze, per arrivare a una sentenza che segnerà la storia del diritto, oltre che di una città. La ferita inferta dalla tragedia della Thyssenkrupp, il 6 dicembre 2007, non ha solamente cambiato la sensibilità nazionale nei confronti delle morti bianche, ma ha permesso alla procura di contestare per la prima volta un'accusa capace di scuotere le coscienze degli imprenditori: l'omicidio volontario con dolo eventuale. E' su questo reato (contestato solo all'amministratore delegato Harald Espenhahn ma che ha trascinato anche tutti gli altri imputati davanti a una corte d'assise con tanto di giuria popolare), che si è concentrata l'attenzione maggiore da parte dell'accusa e della difesa fin dall'udienza preliminare. Ed è questo reato che è stato riconosciuto dalla corte d'assise. La decisione. Per i pm erano infatti state raccolte prove certe contro l'ad della Thyssen che portavano a ritenere che Espenhahn si sia "rappresentato", e "abbia accettato" il rischio che si potesse verificare un infortunio mortale, ma ciò nonostante abbia preferito una "logica del risparmio economico" rispetto alla tutela della sicurezza in uno stabilimento in fase di dismissione e abbandonato a se stesso. Una fabbrica carente sia in pulizia che in manutenzione, eppure ancora sottoposta al torchio stressante della produzione, nonostante tutte le figure di riferimento, ovvero gli operai più specializzati, fossero ormai andati via da corso Regina. Sette vite spezzate di MAURIZIO CROSETTI Basta morti bianchedi LUCIANO GALLINO Le richieste. Sedici anni e mezzo per Harald Espenhahn, accusato di omicidio volontario con dolo eventuale, 3 anni e 6 mesi per i quattro dirigenti Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, e 9 anni per Daniele Moroni, tutti accusati di omicidio colposo e omissione di cautele antinfortunistiche. Erano state queste le richieste dei pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso al termine della lunga requisitoria (durata una decina di udienze) scritta e proiettata in aula con slides. LE REAZIONI Camusso: "Il lavoro non è solo profitto"di R.MANIA Chiamparino: "Una sentenza che farà giurisprudenza" FOTO Le immagini del cimitero dove riposano gli operai TORNA ALLO SPECIALE (Hanno collaborato Stefano Parola e Valeria Pini) (16 aprile 2011)
L'INTERVISTA "Il lavoro non è solo profitto in fabbrica niente sarà più come prima" Il segretario generale della Cgil Susanna Camusso: "Per la prima volta un dirigene è condannato per omicidio volontario, quella della Thyssen è un setenza storica per la sicurezza" "Il lavoro non è solo profitto in fabbrica niente sarà più come prima" La segretaria della Cgil Susanna Camusso ROMA - "Questa sentenza dice una cosa precisa: la vita di un lavoratore non si può trasformare in profitto. Non so se sia una decisione storica, so che è la prima volta che un amministratore delegato viene condannato per omicidio volontario. Non era mai successo". Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, misura le parole di fronte alla sentenza della Corte d'Assise di Torino. Riflette su come la tragedia alla Thyssen abbia inciso sulla coscienza di tutta la società italiana, sulle resistenze che ancora ci sono di fronte al tema della sicurezza sui posti di lavoro, su come la tendenza ad abbassare il valore del lavoro possa condurre anche a consumare drammi come quello di due anni fa nello stabilimento siderurgico torinese. Cosa ha provato quando ha saputo della condanna? "La prima sensazione è stata positiva, per quanto si possa dire davanti a quella che è stata una vera strage. Ma, d'altra parte, la disattenzione alla sicurezza dei lavoratori in un impianto siderurgico non può che essere colpevole. Ricordo che subito dopo la tragedia, molti lavoratori denunciarono i tanti segnali di pericolo che c'erano stati dentro la fabbrica. E come l'azienda, avendo deciso di chiudere l'impianto, continuasse a produrre senza i necessari interventi sulla sicurezza. Ricordo, addirittura, il tentativo di fare ricadere le responsabilità sui lavoratori". Cosa significa condannare un capo azienda per omicidio volontario? "Sia chiaro, non ho nulla di personale, ma credo che sia una decisione giusta. Viene respinta l'idea che per conseguire il profitto si possano sacrificare le condizioni di sicurezza dei lavoratori". Pensa che questa sia un'idea diffusa in Italia? "C'è una tendenza secondo la quale bisogna togliere i controlli, ridurre le procedure burocratiche, deregolare. La verità che afferma la sentenza è che la responsabilità della sicurezza dei lavoratori è dell'impresa". Definirebbe storica questa sentenza? "Non lo so. Dico che è una sentenza molto importante: non si può scherzare con la vita di chi lavora". Quasi un riscatto del lavoro, per quanto attraverso una vicenda drammatica? "Sì. Un riscatto molto doloroso. Ma può essere d'aiuto per ribadire che non può esserci un profitto a prescindere". Sta dicendo che nel nostro sistema imprenditoriale ci sia questa cultura? "Io ho visto un governo molto impegnato ad alleggerire la legislazione sulla sicurezza sul lavoro. Quasi un "liberi tutti". Una deriva culturale che porta a sostenere che possa esserci un lavoro senza diritti. Questo c'è. Poi, non c'è dubbio, la crisi economica ha aumentato la pressione sui lavoratori. Non a caso sono aumentate le malattie professionali". La crisi sta mettendo più a rischio la vita dei lavoratori nelle fabbriche? "C'è chi ha usato la crisi per sostenere che prima di tutto viene il lavoro e sul resto (diritti, sicurezza, tutele) si può anche sorvolare". Perché si continua a morire sul lavoro? Solo qualche giorno fa hanno perso la vita due lavoratori alla Saras dei Moratti in un incidente molto simile a quello della Thyssen. "Perché non si fa tesoro dell'esperienza. C'è una cultura, ripeto, che gioca sulla povertà. Piuttosto penso che manchi un senso di mobilitazione civile per dire che è proprio ingiusto morire sul lavoro. Servirebbe una mobilitazione corale per dire che queste morti sono contro qualunque idea etica della società". Eppure gli ultimi dati dell'Inail indicano un calo delle morti nell'ultimo anno. "Ci andrei cauta perché vorrei capire quanto hanno inciso le ore di cassa integrazione, cioè di non lavoro". In questo contesto culturale che lei descrive, c'è una responsabilità anche del governo? "In quello che è accaduto non c'è una responsabilità diretta del governo. Ma certo questo governo è corresponsabile nell'aver creato un clima, un atteggiamento culturale, in cui si ritiene che i diritti non siano connaturati al lavoro". Cosa è cambiato in Italia dopo la tragedia alla Thyssen? "Purtroppo questo è diventato un paese che consuma qualsiasi notizia molto in fretta". (16 aprile 2011)
Thyssen, il pm: svolta epocale per la sicurezza sul lavoro (16 aprile 2011) stella votostella votostella votostella votostella voto "Una condanna non è mai una vittoria - commenta a caldo il pm Raffaeele Guariniello dopo la sentenza sul caso Thyssen - ma riconosce principi epocali per la nostra giurisprudenza che faranno fare un salto di qualità nella tutela sulla sicurezza nei luoghi di lavoro"
LA STORIA Le sette vite spezzate che hanno sconfitto l'azienda Così le ragioni delle vittime si sono imposte ai giudici nella sentenza per la tragedia della Thyssen Krupp. I magistrati hanno deciso alla fine che i tedeschi sapevano cosa accadeva in quell'impianto di MAURIZIO CROSETTI Le sette vite spezzate che hanno sconfitto l'azienda I parenti delle vitime attendono la lettura della sentenza TORINO - Antonio, ti avevano proprio ammazzato. Roberto, eri morto per niente e non per caso. Angelo, è come se ti avessero accoltellato. Bruno, ti accadde quello che succede quando ti sparano in testa. Rocco, la tua vita non se ne andò per disgrazia, ma per colpa di qualcuno. Rosario, sapevano che potevi lasciarci la pelle e non fecero nulla. Giuseppe, tu che sei stato l'ultimo, e hai resistito dentro una paurosa, infinita agonia di venticinque giorni, anche tu hai detto addio alla vita per esatta, precisa, lucida follia di chi forse poteva, doveva evitarlo ma non lo evitò. Ragazzi, ora lo dice anche un Tribunale: vi hanno assassinato, non siete solo morti di lavoro sbagliato. Le sette facce ci guardano, e sembrano ancora più piccole dentro le fotografie sui giornali come al cimitero, minuscoli visi sconfitti, ma ieri sera vincitori. Perché succede una volta ogni milione di anni che i sommersi possano vendicarsi sui salvati, e riescano a ottenere giustizia. Una volta ogni milione di anni, i morti si prendono la rivincita sui vivi. E non lo fanno solo a nome loro, che già ce ne sarebbe d'avanzo: lo fanno anche per tutti gli altri morti caduti dai ponteggi, soffocati nei silos, precipitati nelle fornaci, massacrati dal lavoro nero che, curiosamente, cambia il colore alla morte, perché la morte dei lavoratori senza diritto si chiama invece morte bianca. Una volta ogni milione di anni, i piccoli operai scomparsi nella voragine, spazzati via dal fuoco come cenere, cancellati dalla memoria comune che ormai considera solo le cose, e il loro valore materiale, e il loro prezzo sul mercato, e mai il costo umano che è stato necessario per produrle e per metterle in vetrina, una volta ogni milione di anni i piccoli operai scomparsi dall'orizzonte del lavoro e delle loro case, delle loro famiglie, ottengono quello che è semplicemente giusto. Non solo dovuto. Giusto. La chiamavano la fabbrica dei tedeschi, perché la ThyssenKrupp è una multinazionale che mette soggezione a cominciare dal nome, pieno di spigoli come un ordine urlato da un soldato cattivo dentro un film di guerra. Quel suono così sinistro, pure nella lingua bellissima di Goethe e Thomas Mann. In quella fabbrica, i morti viventi si rendono conto del loro destino, sono ciechi perché il fuoco ha bruciato gli occhi però capiscono, chiedono ai compagni accorsi di rassicurare le famiglie, in fondo stanno parlando e ragionando, mica si muore così. Ma come avrebbero mai potuto sette piccoli operai morti, bruciati lentamente come candele, consapevoli della vita che se ne scappava come lo sguardo, come la voce, come la sensibilità della corpo e delle mani, come le orecchie che più non portano alcun rumore quando stai proprio per andartene, come sarebbero riusciti a sconfiggere i capi tedeschi, e i loro soldi e i loro avvocati, e la loro enorme potenza di fuoco? Chi li avrebbe ascoltati? Chi avrebbe reso giustizia alle loro madri, ai padri, alle mogli, alle fidanzate, ai fratelli e alle sorelle, ai figli? Perché Antonio ne aveva tre, di ragazzini, Roberto due, Angelo due, Rocco due. E Bruno, Rosario, Giuseppe detto Mase erano ancora giovani ma non per desiderare di averne, e di essere padri, e di poter tornare a casa dal lavoro per incontrare gli occhi di un figlio: la massima ricchezza, forse, su questa terra. Il fuoco invece portò via tutto, il passato come il presente, ma soprattutto il futuro, i sogni, i progetti, aprire un bar, diventare camionista, perché i ragazzi della Thyssen volevano scappare, sapevano bene che quella era una bara di acciaio e cemento, non solo una fabbrica. Tre anni e mezzo di processo, e tante volte i presenti hanno chiesto giustizia, talvolta hanno anche gridato. Sembrava una folle richiesta, è stata anche una profezia. Antonio, Roberto, Angelo, Bruno, Rocco, Rosario Giuseppe. La loro morte, così come la loro breve vita è nella storia di Torino, nella storia del lavoro che a volte uccide, ma anche del lavoro da svolgere con vanto e perizia, meglio che si può, stringendo con orgoglio la chiave a stella. Quattro dei ragazzi della "linea 5" sono sepolti insieme, al cimitero Monumentale, come se ancora fossero in catena dentro la fornace. C'è una riga azzurra che separa i loculi dal resto del cimitero, un confine che dovrà servire in futuro a rendere sempre riconoscibili gli operai uccisi dal fuoco in una lontana notte di dicembre. Dalla trappola non fecero in tempo a scappare, ma qualcuno ha lavorato per loro, ha ascoltato le storie senza più voce, ha percorso il sentiero della colpa e della responsabilità, infine ha detto che sì, i tedeschi e i loro sottoposti sapevano, e corsero il rischio, e dunque uccisero. Evitarono di spendere ventimila euro per la sicurezza, tanto la fabbrica sarebbe stato presto chiusa, e sperarono in bene. Così poco, dunque, vale la vita di un uomo? Ventimila euro diviso sette? Forse. Ma poi viene il giorno in cui è un altro il conto che torna, che deve tornare. La vita, quella no, la vita non ritorna. Ma la giustizia, se è vera giustizia, lei non era mai andata via. Lei è come il ricordo di chi ti amò. (16 aprile 2011)
2011-04-15 LA SENTENZA Tar: "illegittimi" i tagli al personale Battaglia sulle graduatorie dei precari Il Tribunale amministrativo del Lazio boccia le circolari della Gelmini che hanno "eliminato" 67 mila cattedre in due anni: al momento nessuno può prevedere le conseguenze. L'Avvocatura dello Stato: impossibile impedire lo spostamento di provincia senza una legge ad hoc di SALVO INTRAVAIA Tar: "illegittimi" i tagli al personale Battaglia sulle graduatorie dei precari Il ministro Gelmini I tagli agli organici del personale scolastico sono illegittimi: lo ha stabilito una sentenza del Tar del Lazio. Intanto, la partita dell'aggiornamento delle graduatorie dei precari potrebbe trasformarsi in una battaglia politica dagli esiti imprevedibili. Quella del Tar Lazio di ieri, per il ministero dell'Istruzione, è l'ennesima bocciatura da parte della giustizia amministrativa, dopo quelle relative alle graduatorie ad esaurimento, alle classi sovraffollate e quella sulle riduzioni di orario per gli istituti tecnici e professionali, solo per citare le ultime in ordine di tempo. Questa volta, a ricorrere contro i provvedimenti del ministero sono stati un Comune (quello di Fiesole), la Flc Cgil e diversi genitori. Secondo i giudici, sono due i motivi che hanno determinato l'annullamento delle circolari ministeriali sul taglio di 67 mila cattedre negli anni scolastici 2009/2010 e 2010/2011. Il primo, riguarda lo strumento utilizzato da viale Trastevere per alleggerire gli organici del personale docente: una semplice circolare ministeriale che si appoggiava su una bozza di decreto interministeriale. Per sforbiciare 42 mila posti l'anno scorso e 25 mila quest'anno "l'amministrazione ha diramato la circolare", la numero 38/09, "allegando un mero 'schema' di decreto interministeriale, non ancora formalmente in vigore", scrivono i giudici. Il secondo motivo attiene alla procedura seguita. "In particolare - si legge nel dispositivo - lo schema di decreto, non solo sarebbe da ritenersi atto privo di attuale efficacia giuridica, ma sarebbe altresì approvato senza il 'previo parere delle Commissioni parlamentari competenti' invece espressamente prescritto dalla norma". Insomma, ancora una volta, come più volte lamentato dalle opposizioni, sarebbe stato esautorato il Parlamento. Al momento nessuno è in grado di prevedere gli effetti del provvedimento del Tar. Una cosa è certa, per effetto del taglio di 87 mila cattedre in tre anni, migliaia di supplenti hanno perso posto e stipendio e milioni di bambini e studenti italiani hanno perso decine di ore di lezione in classe. Per non parlare delle migliaia di docenti di ruolo costretti a fare le valigie, magari dopo anni di servizio nella stessa scuola, perché con la riforma Gelmini la loro materia è stata falcidiata. Ricominciando, in qualità di docente "sovranumerario", a fare il pendolare e, non più giovanissimo, a percorrere decine di chilometri per recarsi a scuola. In queste ore si fanno sempre più insistenti le voci di un prossimo decreto sull'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento dei precari con la possibilità per gli stessi di cambiare provincia. Dopo la recente sentenza della Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittime le graduatorie "di coda" inventate dalla Gelmini, arriva il parere dell'Avvocatura dello Stato richiesto da viale Trastevere, secondo il quale non è possibile impedire lo spostamento di provincia senza una norma di legge ad hoc. A questo proposito, il ministero starebbe per emanare, quindi, un decreto di aggiornamento delle graduatorie con il quale consentirà l'inserimento "a pettine" - cioè con il proprio punteggio - ma in una sola provincia. Una notizia che è attesissima da migliaia di precari meridionali, pronti a fare le valigie alla volta delle regioni del Nord, dove le cattedre a disposizione sono tantissime e le probabilità di lavorare aumentano in modo esponenziale. Ma, da tempo, l'ipotesi non piace alla Lega, che col senatore Mario Pittoni si è fatto promotore di una proposta di legge che prevede liste regionali suddivise in due sezioni: A e B. Questa volta, però, il ministero è tra l'incudine e il martello: qualche giorno fa 61 deputati, quasi tutti meridionali, hanno chiesto al ministro Gelmini di portare la questione in Parlamento. Un chiaro avvertimento al governo: con i tempi che corrono un provvedimento di legge pro-Lega potrebbe riservare brutte sorprese. (15 aprile 2011)
2011-04-14 ECONOMIA Moto Morini, la prima asta va deserta Nessuna offerta giunta al Tribunale dove oggi si mette in vendita la storica azienda di Casalecchio fallita undici mesi fa di MARCO BETTAZZI Moto Morini, la prima asta va deserta Nessuno vuole la Moto Morini. Al tribunale di Bologna non sono arrivate offerte per l'asta di oggi che mette in vendita la storica azienda motoristica di Casalecchio fallita nel maggio 2010. Il termine ultimo per il deposito era ieri alle 12 ma non sono arrivate domande né per la formula da 5,5 milioni di euro con lo stabilimento compreso né per la sola azienda a 2,6 milioni. Alle 13 di oggi i lavoratori hanno organizzato un presidio. "Non abbiamo offerte - riconosce il curatore fallimentare Piero Aicardi - ma non disperiamo, entro l'estate faremo un'altra asta e sono sicuro che questa volta andrà bene". A muovere all'ottimismo Aicardi il fatto che tre gruppi che operano nel settore motori, due stranieri e uno italiano, si sono fatti avanti ultimamente per l'acquisto e la prosecuzione dell'attività a Casalecchio ma non avrebbero ottenuto in tempo i finanziamenti necessari dalle banche per formalizzare l'offerta. Si prolunga quindi l'agonia della Morini e dei 40 dipendenti rimasti senza lavoro dal 31 marzo, al termine dell'esercizio provvisorio che ha permesso al curatore di vendere tutte le moto di magazzino e quelle rimesse in produzione incassando 2 milioni di euro, al netto degli stipendi dei lavoratori, che ora serviranno tra l'altro per pagare Tfr e contributi. E dire che dal giorno della notizia dell'asta gli interessamenti ci sono stati, circa una ventina, tra cui gruppi di Stati Uniti, Cina, Italia, Svizzera, Francia e Corea. "Il prezzo è troppo alto - dice uno di questi, il piemontese Tancredi Razzano della Icp - ma tornerò presto a Bologna, sono ancora interessato". (13 aprile 2011) 2011-04-13 CRISI Tremonti al governo: "Rigore necessario" Stop al programma di sviluppo nucleare Il consiglio dei ministri approva il Documento di programmazione e il Piano per le riforme. Il titolare dell'economia avverte: "Basta con i messaggi che creano illusioni: senza stabilità dei conti non ci sarà crescita". "Non abbiamo lasciato soli gli imprenditori", aggiunge. Ma la Marcegaglia replica: "Non saremo soli quando saranno risolti i problemi". Il Pd sul Pnr: "Un pacco per Bruxelles, manovra pesante in vista". Tremonti al governo: "Rigore necessario" Stop al programma di sviluppo nucleare Giulio Tremonti, ministro dell'economia e del Tesoro ROMA - "L'unico messaggio responsabile e nell'interesse del Paese è che non esistono i presupposti per una crescita duratura ed equa senza stabilità dei conti pubblici". Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha messo le mani avanti nella premessa al Documento economico finanzario (Def) ed al Piano nazionale delle riforme (Pnr) che il consiglio dei ministri ha approvato nella pausa della seduta alla Camera sul disegno di legge per il processo breve. Il Def contiene anche le previsioni del quadro macroeconomico fino al 2014 1, mentre il Pnr è solo un documento di indirizzo che non prevede misure concrete immediate. Una parte dei suoi contenuti, ha detto Tremonti, "può essere oggetto di un provvedimento legislativo. Ci stiamo ragionando". Nel Def si premette che i processi di riforma della governance "sono tutti allineati sul principio della prudenza e del rigore fiscale": "Non vi sono più spazi per incertezze - si legge - . La politica di rigore fiscale non è temporanea, non è la conseguenza imposta da una congiuntura economica negativa, ma è invece la politica necessaria e senza alternative per gli anni a venire". Secondo Tremonti, "devono essere quindi logica e impegno comune, tanto della politica quanto delle parti sociali a non avere e/o dare illusioni attraverso messaggi contraddittori supponendo una presunta alternativa tra rigore e crescita". Il Piano delle riforme, secondo quanto premesso nel Def, prevede 9 aree di intervento per superare i "colli di bottiglia" ovvero le 'strozzature' che impediscono la crescita: "occupazione, federalismo, consolidamento della finanza pubblica, lavoro e pensioni, mercato dei prodotti, concorrenza ed efficienza amministrativa, energia e ambiente, innovazione e capitale umano, infrastrutture e sviluppo, sostegno alle imprese". Tra l'altro, nel capitolo sulla politica energetica, è annunciata formalmente la momentanea rinuncia alla scelta nucleare. La tragedia del Giappone, è spiegato, "ha indotto il governo italiano a non procedere, per il momento, all'attuazione del programma nucleare fino a che le iniziative già avviate" a livello Ue non diano "piene garanzie sotto il profilo della sicurezza". Secondo la relazione del ministro, "l'Italia ha messo in atto un numero consistente di azioni con lo scopo di trasporre a livello nazionale le misure prioritarie indicate dalla Commissione nell'Annual Growth Survey e procedere efficacemente verso il raggiungimento dei target nazionali discendenti dalla Strategia Europa 2020", mentre "le riforme adottate appaiono perfettamente rispondenti agli obiettivi del rinnovato coordinamento delle politiche economiche derivante dal Patto Euro Plus". Dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, è poi arrivato un accenno a "Confindustria la cui solitudine come vedete è durata pochi giorni". Lo ha detto presentando, a Palazzo Chigi dopo una riunione anche con gli industriali, il decreto attuativo per le agevolazioni alle reti di imprese. Ma il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, non ha sostanzialmente confermato questo ritrovato feeling col governo: "Il ministro Tremonti ci ha annunciato che l'agevolazione fiscale per le reti di impresa è sostanzialmente realtà. Si tratta di un milione di euro per ogni impresa, che partecipa dell'utile che si fa attraverso la rete". Ma ha anche aggiunto: "Gli imprenditori non si sentiranno più soli quando saranno risolti i problemi. Quando ci saranno provvedimenti a sostegno della crescita e dello sviluppo". Il Pd boccia senza appello il Piano nazionale di riforme del governo: "Dalle anticipazioni - ha detto il segretario, Pierluigi Bersani - posso dire che le indicazioni assomigliano ad acqua fresca, un elenco di titoli da cui non viene fuori niente". Sulle riforme, aggiunge Bersani, serve una discussione parlamentare: "Questa cosa - aggiunge - non può passare inviando un pacco a Bruxelles. Se la pensano così si sbagliano di grosso e ci faremo sentire". Secondo Stefano Fassina, responsabile economico del partito, le stesse previsioni del quadro macroeconomico del Tesoro lasciano preludere a "una manovra nel corso del 2011" e a misure "significative, nell'ordine di 7-8 miliardi di euro, mezzo punto di Pil". (13 aprile 2011)
2011-04-12 LE GRADUATORIE Precari, il ministero si arrende al Tar Vittoria per tremila supplenti del sud Reinseriti "a pettine" nelle liste delle province del nord tremila insegnanti meridionali che erano stati fatti finire in coda. E ora la Gelmini inventa gli elenchi di serie B per evitare le immissioni in ruolo di SALVO INTRAVAIA Precari, il ministero si arrende al Tar Vittoria per tremila supplenti del sud VITTORIA di 3 mila precari della scuola, patrocinati dall'Anief. Dopo quasi due anni di contenzioso, il ministero dell'Istruzione ha deciso di inserire 3 mila supplenti, quasi tutti meridionali, a "pettine" nelle graduatorie provinciali dove prima si trovavano "in coda". Per ottenere quello che Marcello Pacifico, presidente dell'Anief, ha definito "una vittoria dello stato di diritto" è stata necessaria una strigliata del commissario ad acta, nominato dal Tar Lazio nel 2009 per eseguire le sentenze sull'inserimento a pettine pronunciate dai giudici amministrativi della Capitale. E adesso, quasi mille di questi precari vittoriosi potrebbero ottenere addirittura l'immissione in ruolo, sfuggita soltanto perché inseriti nella lista di serie B, inventata dalla Gelmini. Tutto inizia due anni fa, quando si aggiornano le graduatorie dei precari della scuola. Le liste provinciali "di merito" vengono congelate - non è possibile spostarsi di provincia - ma, oltre all'aggiornamento del punteggio nella propria provincia, viene data la possibilità a tutti di scegliere altre tre graduatorie, dove essere inseriti "in coda". Centinaia di precari meridionali, quelli con i punteggi più alti, decidono di rivolgersi al Tar, che a giugno del 2009 dà loro ragione. E a ottobre dello stesso anno arriva anche il pronunciamento del Consiglio di stato: le graduatorie suddivise in fasce sono incostituzionali. Ma il governo nicchia e pochi giorni dopo il Tar Lazio commissaria il ministero dell'Istruzione, nominando un dirigente del ministero della Funzione pubblica, Luciano Cannerozzi De Grazia, per l'esecuzione della precedente sentenza. Sulla vicenda, che tocca da vicino gli interessi della Lega al nord, si scatena la bagarre e il governo pensa ad una soluzione legislativa. Che arriva a fine novembre col decreto salva-precari: una norma di interpretazione autentica della precedente legge del 2006, che trasforma le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento. Ma i giudici amministrativi non ci stanno e sollevano l'eccezione di incostituzionalità della legge. A questo punto, in attesa del pronunciamento dei giudici della Consulta, il commissario ad acta si ferma. E passa più di un anno. A febbraio del 2011 arriva la sentenza della Corte costituzionale che dichiara illegittime le graduatorie di coda. Ma il 21 marzo, il direttore generale del ministero Luciano Chiappetta scrive ai provveditori agli studi (ora dirigenti degli ambiti territoriali provinciali) spiegando loro che "con riferimento ad eventuali richieste del commissario ad acta relative all'esecuzione delle ordinanze cautelari del Tar Lazio di cui al contenzioso in oggetto, si ritiene di non doversi procedere ai richiesti inserimenti in graduatoria". E lo scorso 4 aprile Cannerozzi De Grazia invia una missiva di fuoco ai provveditori agli studi ricordando loro che, essendo "venute meno le motivazioni per cui lo scrivente aveva sospeso la propria esecuzione del giudicato", occorre procedere come indicato dalla sentenza del Tar. Anche perché l'ulteriore inerzia potrebbe configurare "responsabilità di natura penale, amministrativa e contabile per l'avvenuta omissione di atti d'ufficio e per danno erariale da parte di tutti i responsabili". Così, cinque giorni fa Chiappetta fa marcia indietro: "Facendo seguito alla nota di questa direzione del 21 marzo 2011, alla luce della nota di risposta del Commissario ad acta datata 4 aprile 2011, si ritiene doversi procedere alle modifiche delle graduatorie nei termini previsti dalla medesima" "In Italia vige ancora lo stato di diritto - dichiara Pacifico - E' stato dato corso finalmente alla giustizia e merito ad un sindacato che ha sempre difeso i principi della nostra Costituzione. Ora chiediamo la stabilizzazione di tutti i precari sui posti vacanti e disponibili e lo sblocco degli scatti d'anzianità per il personale di ruolo". Ma la partita delle graduatorie non è chiusa. Il ministero non ha ancora comunicato come intenderà applicare la sentenza della Consulta al prossimo aggiornamento. Sicuramente, le graduatorie di coda verranno cancellate e, secondo i rumors ministeriali, dovrebbe restare anche l'impossibilità di trasferimento di provincia: solo aggiornamento del punteggio. E su questo punto, la palla passa alla politica. Alcuni giorni fa, sessanta deputati di tutti gli schieramenti e quasi tutti meridionali hanno chiesto al ministro Gelmini di investire della questione il Parlamento. In gioco ci sono gli interessi di migliaia di supplenti originari del sud Italia, che con il loro punteggio possono lavorare soltanto al nord, e gli interessi elettorali dei parlamentari locali, sollecitati dal proprio elettorato. Uno di loro, durante un dibattito pubblico, si è spinto a dire che su questa questione "potrebbe cadere il governo". In affetti i 60 deputati firmatari della richiesta potrebbero fare da ago della bilancia, vista la risicata maggioranza del governo alla Camera. Ma il ministro Gelmini deve fare anche i conti con le pressioni della Lega, che con il suo capogruppo in commissione Cultura alla camera, Mario Pittoni, sta per proporre una revisione complessiva del meccanismo di attribuzione delle supplenze basato su graduatorie regionali suddivise in due blocchi: A e B. Nel primo andranno di diritto tutti gli iscritti nelle attuali graduatorie provinciali ad esaurimento della regione interessata. Nel secondo si inseriranno coloro che usciranno con le nuove regole per la formazione iniziale dei docenti, partite qualche settimana fa, ma anche tutti coloro che, dalle altre regioni, "vorranno mettersi in gioco", spiega Pittoni. In sostanza, i precari meridionali che aspirassero ad una cattedra al Nord, dovranno sottoporsi ad un nuovo esame per essere ammessi ad insegnare in Padania. (12 aprile 2011)
LA CRISI Ocse, continua la ripresa Ma l'Italia perde colpi ROMA - Migliora il superindice dei paesi Ocse da 103 di gennaio a 103,2 di febbraio scorso, proseguendo lungo un trend espansivo anche per l'Eurozona (da 103,4 a 103,5) ed i Paesi del G7 (da 103,2 a 103,5). Le variazioni tendenziali sono pari a +1,8% per l'area Ocse, +1% per l'Eurozona e a +2,1% per i Sette Grandi. Il Composite leadinge indicator che "misura" la congiuntura mensilmente, ha mostrato a febbraio scorso - comunica l'Ocse - segnali di robusta espansione in Germania (da 104,8 di gennaio a 105,1 di febbraio) e in Usa (dove si porta da 102,9 a 103,2); una certa ripresa in Francia (da 102,7 a 102,9) e Canada (da 102 a 102,3). Più lento ma stabile il tasso di espansione in Gran Bretagna, dove resta a 101,8. Perde invece slancio l'attività economica in Italia dove il superindice scende da 102,2 di gennaio a 101,9 e per cui la variazione tendenziale del tasso calcolata dall'Ocse è pari a una inversione nella misura di -2,1%. Riguardo al Giappone il sisma ha determinato circostanze eccezionali che non rendono possibile l'elaborazione di stime affidabili, mentre la Cina registra una possibile moderazione dell'attività e in Russia prosegue la fase espansiva (da 105 a 105,3). Per il superindice quota 100 indica comunque un'espansione; al di sotto una recessione. (11 aprile 2011)
IMPRESE La Fiat sale al 30% di Chrysler "Stiamo realizzando i programmi" TORINO - Fiat sale dal 25 al 30% di Chrysler Group. Lo annuncia una nota il Lingotto in cui precisa che è stato raggiunto il secondo dei gradini previsti dall'accordo con la casa di Detroit. Il capitale della Chrysler è ora controllato al 59,2% dai sindacati Usa Uaw e Veba, il 30% dalla Fiat, l'8,6% dal Tesoro Usa, il 2,2% dal governo canadese. Ora il piano prevede un secondo passaggio in cui il gruppo di Detroit raggiunga di ricavi cumulativi superiori a 1,5 miliardi di dollari riferibili da al di fuori di Canada, Messico e Stati Uniti (Paesi Nafta). Questo secondo step prevede anche la sottoscrizione di tre accordi da parte della Fiat o di sue collegate con il massiccio supproto della rete di vendita della Fiat. Il Lingotto potrà aumentare ancora la quota al 35%. Appena annunciato, l'accordo non ha ricevuto un particolare apprezzamento dal mercato. A Piazza Affari il titolo accusa perdite attorno al 2%. (12 aprile 2011)
FIAT Marchionne: a giorni al 30% in Chrysler "Su Bertone accordo subito o salta tutto" L'ad annuncia: "Sulla produzione della Maserati abbiamo già le alternative all'ex carrozzeria, qui e all'estero, ma io preferirei farla in Italia". Il commento alle accuse della Marcegaglia al governo: "Gli investitori stranieri vanno incoraggiati, non maltrattati" di PAOLO GRISERI Marchionne: a giorni al 30% in Chrysler "Su Bertone accordo subito o salta tutto" Sergio Marchionne TORINO - L'acquisto di un'ulteriore quota del 5% di Chrysler, che porterà Fiat al 30%, avverrà nei "prossimi giorni". Lo ha affermato a Balocco (Vercelli) l'amministratore delegato Fiat, Sergio Marchionne, a margine della presentazione della Gamma Jeep. "Potremo chiudere anche domani. Mancano solo alcuni dettagli, non dipende da noi". Poi ha aggiunto: "Tecnicamente, dal punto di vista finanziario, potremmo essere pronti a salire al 51 per cento entro giugno di quest'anno". Un'accelerazione inattesa perché fino ad ora il manager del Lingotto aveva annunciato il raggiungimento della maggioranza a Detroit "entro fine anno". "Dipenderà anche - aveva aggiunto nelle scorse settimane - dalla convenienza del mercato e dalle esigenze del fondo dei sindacati americani". Ma Marchionne si dimostra piuttosto prudente: "Cercheremo - spiega - di raggiungere l'obiettivo entro la fine dell'anno". In ogni caso l'accelerazione sembra in grado di anticipare ai prossimi mesi anche la discussione sulla sede legale della società che nascerà dalla fusione tra i due gruppi. Ma l'attualità impone ora altre priorità. Stringono i tempi anche per decidere sull'ex Bertone 1 (oggi Officine automobilistiche Grugliasco), Marchionne ha detto: "Accordo in pochi giorni" o salterà tutto. Nell'ex stabilimento Bertone di Grugliasco, acquistato durante l'amministrazione controllata, Fiat progetta la produzione della Maserati 2, ma se non si farà l'accordo, ha detto Marchionne, "i piani alternativi li abbiamo sia in italia, sia altrove". "Preferirei fare la Maserati in italia - ha aggiunto - , sono ottimista sul fatto che la vettura si possa fare nel nostro paese". Marchionne ha detto poi di non avere altre idee "sul momento" sul futuro della ex carrozzeria e non ha voluto commentare la posizione della Fiom, sindacato maggioritario tra le Rsu: "Lascio giudicare ai dipendenti dell'ex Bertone. Sarebbe un vero peccato per loro non fare l'investimento lì, ma ognuno è libero di fare le sue scelte. Noi siamo stati di una chiarezza incredibile. Abbiamo un contratto a Mirafiori e uno a Pomigliano che sono stati votati dalla maggioranza e accettati dai nostri dipendenti. Non posso creare due Stati nella Fiat". L'ad del Lingotto ha parlato anche dello sbarco in Russia e delle strategie seguite dal gruppo dopo il fallimento delle trattative con Sollers (che ha finito per accordarsi con Ford). "Decideremo non a giorni, ma a maggio. Si sono allungati i tempi - ha detto - . I nostri sono stati in Russia, hanno parlato con il governo". Sollecitato a commentare l'atto d'accusa di Emma Marcegaglia 3 contro l'immobilismo del governo e sulle imprese "lasciate sole", Marchionne ha risposto: "Probabilmente condivido, l'ho letto sui giornali e capisco benissimo, poi non so qual è l'obiettivo. Alla Fiat quello che stiamo cercando di fare - ha aggiunto - riflette una mancanza di coesione. Nella battaglia per Pomigliano e Mirafiori siamo rimasti soli... c'è stata una parte del sindacato che, ovviamente, ci ha appoggiati. Il governo ha fatto quello che poteva, il ministro Sacconi ha fatto il massimo che poteva fare in quelle condizioni. E' il sistema che continua a costringere la Fiat a difendersi per questo piano di investimenti del Paese: lo trovo assolutamente ridicolo, non mi è mai successo nella mia vita. Lo trovo veramente strano". In questo senso, ha specificato ancora Marchionne, "siamo soli e spero che non succeda con altri investitori stranieri che vengono in Italia e cercano di investire. Cerchiamo piuttosto di incoraggiarli in maniera calorosa - ha concluso - anziché maltrattarli". Quanto all'Alfa Romeo, l'ad ha confermato che il marchio sbarcherà negli Usa nel 2012, smentendo così indiscrezioni che volevano uno slittamento di un anno. Infine una considerazione sul ventilato ingresso in politica di Luca di Montezemolo: "Montezemolo è un amico, ha fatto un miracolo in Ferrari ma quando ne parliamo io lo sconsiglio di entrare in politica. Lo dico per lui". La nomina di Gabriele Galateri alla guida di Generali? "Galateri lo conosco bene, arriva da noi. E' un torinese come me". Quanto al mercato italiano dell'auto non si annunciano miracoli: "Prevedo che aprile sarà migliore perché comincerà a confrontarsi con la crisi iniziata dodici mesi fa. Ma in numeri assoluti siamo bassi. Non vedevo queste cifre dal 1996". (11 aprile 2011)
IL DISCORSO La Marcegaglia: "Mai come oggi gli imprenditori si sentono soli" La leader di Confindustria all'attacco parla di Paese che stenta a crescere e sprona gl industriali: "Decidiamo insieme l'Italia da fare". Il 59 % degli italiani dice sì alla scesa in campo nella politica di Luca Cordero di Montezemolo. Che dice: "Emma ha ragione" La Marcegaglia: "Mai come oggi gli imprenditori si sentono soli" Emma Marcegaglia BERGAMO - In un'Europa e in un'Italia afflitte da "tante difficoltà" e che stentano a riprendere la via della crescita, gli imprenditori "mai come adesso si sentono soli". E proprio perché il "momento è straordinario" occorre "mobilitarci tutti, unire le forze senza scaricare le colpe sugli altri per dare al paese un messaggio chiaro e preciso delle cose da fare". Emma marcegaglia, numero uno degli industriali, in vista dell'assise 2011 di Confindustria a Bergamo, invita gli imprenditori a rimboccarsi le maniche, a "far sentire la propria voce" perché "dall'impresa può e deve venire un esempio per tutti". "In un paese che stenta sempre di più a crescere - ha continuato la Marcegaglia - e di fronte a nuove ondate di sconvolgimenti internazionali che mutano le fondamenta di Paesi a noi vicini come il Nord Africa e il Medio Oriente, mai come in questi momenti gli imprenditori si sentono soli". "L'Europa - ha aggiunto - si divide sul rigore tra pochi Paesi forti e molti a rischio, la lotta per la competitività sui mercati mondiali diventa sempre più aspra, con prezzi delle materie prime sempre più instabili". Dall'impresa, dice la leader di Viale dell'Astronomia può arrivare un esempio per tutti. Occorre unirsi, far sentire forte la propria voce per dare al Paese "un messaggio chiaro e preciso delle cose da fare: decidiamo insieme l'italia da fare". La Marcegaglia sprona gli imprenditori a mettere insieme "esperienze e passioni" per aiutare l'italia a rimettersi in moto. "L'italia di oggi è già un paese troppo diviso - ha affermato - dall'impresa può e deve venire un esempio per tutti, un esempio di come liberamente si possa convergere su poche scelte chiare e di priorità condivise per ridare all'impresa la capacità di crescere, la capacità di creare lavoro, coesione sociale e proiezione nel mondo. Facciamo sentire forte la nostra voce per dare al paese un messaggio chiaro e preciso delle cose da fare. Decidiamo insieme l'italia da fare". Intanto, in un sondaggio di SWG per AffariItaliani.it, la scesa in politica di Luca Cordero di Montezemolo, presidente della Ferrari, è visto di buon occhio dal 59 % degli italiani. Per il 35% del campione invece l'impegno diretto del presidente della Ferrari è un male. Non sa il 7%. Al fianco dell'ex numero uno degli industriali c'è la stragrande maggioranza (82%) degli elettori di centrosinistra mentre il 59% di quelli di Centrodestra è critico. Alla domanda quanto potrebbe raccogliere una lista capeggiata da Montezemolo qualora si presentasse alle elezioni politiche il 36% degli elettori si è detto pronto a votare per un partito da lui guidato (12% sicuramente sì ed il 24% probabilmente sì). Una percentuale superiore a quella del Popolo della Libertà e del Partito Democratico. Il 55% degli italiani, invece, non metterebbe la croce sul simbolo di una lista esclusivamente targata Montezemolo. In serata lo stesso Montezemolo commenterà le parole della presidente di Confindustria: "Condivido totalmente. Gli imprenditori non sono mai stati cosi soli e occorre riportare al centro la crescita. Le assise sono un'ottima iniziativa, brava Emma". (10 aprile 2011)
Il rombo della Maserati tra le volte della ex Bertone Ci sono altri 600 milioni di investimento su Torino da parte di Fiat: serviranno per adattare l'ex fabbrica della Bertone per produrre un nuovo modello di Maserati. Lo hanno annunciato Marchionne ed Elkann durante il vertice di palazzo Chigi di PAOLO GRISERI
Due miliardi di investimenti nell'area torinese, l'arrivo della Maserati a Grugliasco e il no, almeno per il momento, alla produzione di un motore alla Powertrain di Mirafiori. Ecco, in sintesi le novità sul futuro degli insediamenti torinesi della Fiat emerse al termine dell'incontro di ieri mattina a Palazzo Chigi. Resta però senza risposta la domanda di fondo: la Fiat manterrà il quartier generale a Mirafiori? "Una questione che non è all´ordine del giorno", aveva risposto nei giorni scorsi Marchionne in Usa. La stessa risposta che ha dato ieri a Berlusconi, Letta, Sacconi e Romani e ai vertici degli enti locali torinesi. In sostanza se ne parlerà tra qualche anno. "In un mondo in cui la sovracapacità produttiva è di 30 milioni di auto - ha osservato prudente Chiamparino - gli impegni anche solenni rischiano di essere smentiti. Bisogna lavorare giorno per giorno". Per Torino i fatti nuovi delle ultime ore sono due: l´investimento da 600 milioni alla ex Bertone di Grugliasco (che si aggiunge al miliardo e trecento milioni già annunciati per Mirafiori) e l´annuncio dell´acquisto del 50 per cento di Vm, l´azienda ferrarese che produce motori di grande cilindrata. La prima è certamente una buona notizia, la seconda potrebbe essere negativa. L´annuncio dell´investimento a Grugliasco è stato accompagnato dalla indiscrezione sull´avvio della produzione della Maserati nella fabbrica di corso Allamano. Una produzione di alta qualità che sembra rassicurare, almeno nel medio periodo, sul futuro produttivo dell´insediamento torinese. Il progetto del trasferimento di Maserati aveva suscitato proteste nei mesi scorsi a Modena, storica sede del Tridente. Ma, a parziale rassicurazione degli emiliani, la vettura destinata a Grugliasco sarebbe aggiuntiva rispetto a quelle prodotte a Modena. L´arrivo di una produzione Maserati sarebbe dovuto alle particolari caratteristiche dello stabilimento di Grugliasco che, parola di Marchionne, ha "una delle verniciature più moderne d´Europa". Quasi contemporaneo all´indiscrezione sul Tridente è l´annuncio dell´acquisto del 50 per cento di Vm, l´azienda ferrarese per la produzione dei motori di grande cilindrata. I propulsori ideali per i Suv con marchio Alfa che dovranno essere realizzati a Mirafiori. Vm già equipaggiava il marchio del Biscione negli anni scorsi. Una scelta in continuità dunque. Ma anche la conferma che il Lingotto non intende, per il momento, utilizzare le linee delle ex Meccaniche di via Settembrini per produrre un motore e chiudere così la filiera produttiva delle auto nell´area torinese. La commessa sfumata e finita a Vm era interessante: almeno 150 mila dei 250 mila Suv che usciranno dalle Carrozzerie a metà del 2012 saranno con il marchio Alfa e il motore italiano. Per ora dunque in corso Settembrini proseguirà l´attuale produzione di cambi, in attesa di tempi migliori. E´ rimasta senza risposta, com´era prevedibile, la domanda cruciale per il futuro di Torino, quella sulla permanenza a Mirafiori del quartier generale della Fiat. Sul punto, che in teoria avrebbe dovuto essere al primo posto nell´ordine del giorno della riunione di ieri, Marchionne e John Elkann non hanno fornito risposte. In realtà la questione diventerà di attualità tra un anno quando, conquistato il 51 per cento di Chrysler e quotata in borsa la casa di Detroit, i vertici del Lingotto si porranno concretamente il problema della fusione tra i due gruppi. (13 febbraio 2011)
Bertone, l'assemblea approva la piattaforma sindacale Nella sostanza il documento proposto dalla Rsu a maggioranza Fiom chiede che ci sia coerenza tra il piano industriale del 2009 e quello presentato nei giorni scorsi dalla Fiat
L'assemblea dei lavoratori della ex Bertone, oggi Officine Automobilistiche Grugliasco, ha approvato per alzata di mano la piattaforma sindacale approvata ieri a maggioranza dalle Rsu dello stabilimento che sarà portata lunedì al tavolo di trattativa tra Fiat a sindacati. La piattaforma, proposta dalle Rsu (il sindacato maggioritario è la Fiom con il 64% circa dei consensi) nella sostanza chiede che ci sia coerenza tra il piano industriale del 2009 e quello presentato nei giorni scorsi dalla Fiat. Il piano presentato nel 2009 dalla Fiat ai commissari per l'acquisto dell'ex carrozzeria di Grugliasco prevedeva due vetture su piattaforma Chrysler, quello illustrato nei giorni scorsi dalla Fiat prevede un investimento di 500 milioni di euro per la realizzazione di un modello Maserati. Nella piattaforma sindacale, sono anche contenuti alcuni punti che riguardano la organizzazione del lavoro per i quali si chiede che si tenga conto della specificità dell'ex Bertone. Contro l'approvazione, avvenuta per alzata di mano, ha preso posizione la Fismic. "Si è trattato di un'assemblea illegittima -ha detto Vincenzo Aragona- che non si è svolta in modo democratico, non si può votare una piattaforma per alzata di mano". Soddisfatto invece Vittorio De Martino della Fiom che sottolinea: "l'approvazione è un passaggio importante e decisivo per continuare un confronto con la Fiat". (25 febbraio 2011) © Riproduzione riservata
IL CASO Fini apre al contratto unico "Ma con la possibilità di licenziare" Il presidente della Camera: "Meglio fare cosìanzichè questa inaccettabile flessibilità con tante tipologie contrattuali". Nei giorni scorsi la proposta di Ichino, Montezemolo e Rossi Fini apre al contratto unico "Ma con la possibilità di licenziare" MARSALA - "Meglio un contratto di lavoro unico per le assunzioni a tempo indeterminato, anzichè questa inaccettabile flessibilità con tante tipologie contrattuali. Ma diamo la possibilità ai datori di lavoro di licenziare". Il presidente della Camera Gianfranco Fini risponde così alla domanda di uno studente a Marsala. E lo fa dopo la grande manifestazione dei precari a Roma. 1 Il presidente della Camera sposa, dunque, la ricetta del senatore democratico Pietro Ichino, di Luca Cordero di Montezemolo e dell'economista Nicola Rossi che punta a un contratto a tempo indeterminato per tutti e ad una maggiore flessibilità in uscita. Il contratto unico "dovrà essere caratterizzato da una protezione crescente per tutti i futuri dipendenti, eccezion fatta per quei casi come le sostituzioni temporanee o le punte stagionali". Insomma, occupazione "a tempo indeterminato per tutti" ma anche "nessuna inamovibilità per motivi economici e organizzativi. In caso di licenziamento - affermano i tre - trattamento complementare di disoccupazione 'alla scandinava', contribuzione figurativa per i periodi di disoccupazione, assistenza nel mercato del lavoro più efficace e controllo altrettanto efficace sulla effettiva disponibilità del lavoratore alla nuova occupazione". Nei giorni scorsi il partito di Fini aveva presentato una proposta di legge che prevede una stretta sugli stage (gratuiti solo fino a due mesi, poi andranno remunerati), un limite all'abuso dei co.co.pro e un contratto di lavoro unico a tempo indeterminato che sostituirebbe tutte le forme contrattuali subordinate e parasubordinate oggi in uso.
No della Uil: "Vecchia idea". "E' una vecchia idea" e "non mi sembra che abolire l'articolo 18 possa risolvere i problemi del precariato". Così il segretario confederale della Uil, Paolo Pirani, risponde alla proposta lanciato dal presidente della Camera. Per il sindacalista la questione della precarietà deve essere affrontata "creando nuovi posti di lavoro e facendo costare di più il lavoro flessibile", che oggi risulterebbe più conveniente per le imprese rispetto ad un contratto a tempo indeterminato. (11 aprile 2011)
2011-04-09 LA PROTESTA "Non vogliamo più aspettare" Il grido dei precari in tutta Italia Da Roma a Napoli. Poi Torino, Milano, Palermo, Firenze... In strada per denunciare ancora che "non si arriva alla fine del mese". Che non "esistono ammortizzatori sociali". E per lanciare una sfida: "Adesso ci siamo messi in movimento. Vogliamo cambiare il Paese" di CARMINE SAVIANO "Non vogliamo più aspettare" Il grido dei precari in tutta Italia Vivono come stranieri in patria. Come ospiti, e non cittadini, del Paese che dovrebbe fornire loro diritti, garanzie, prospettive per il futuro. E oggi hanno gridato, ballato e sfilato nelle strade delle città italiane per manifestare la rabbia per la loro condizione. I giovani precari hanno lanciato un messaggio chiaro, non equivocabile: "Il nostro tempo è adesso". Da Roma a Napoli. Poi Torino, Milano, Palermo e tante altre città. Una festa amara. Per denunciare ancora una volta che "non si arriva alla fine del mese". Che non "esistono ammortizzatori sociali". Che vivono "con il desiderio di avere una famiglia". E con la prospettiva di non "riuscire nemmeno ad andare in vacanza". Una generazione che si è incontrata per decidere che è tempo per un'azione comune, diffusa, incessante. "Per riprendersi il futuro e cambiare l'Italia". CRONACHE DA BOLOGNA 1 - FIRENZE 2 - GENOVA 3 - MILANO 4 -NAPOLI 5 -ROMA 6 -TORINO 7 LE FOTO 1 8 - 2 9 - 3 10 - 4 11- 5 12 - 6 13 - 7 14 15- 8 16 17 "Siamo tanti e abbiamo ragione". A Roma la street parade parte da piazza della Repubblica. In testa un camion che ospita alcuni dei promotori della manifestazione. Musica e rivendicazioni. "Portiamo in strada la nostra bellezza, la nostra conoscenza, la nostra voglia di riscatto". Poi le canzoni dell'Italia del boom economico, Il ballo del mattone, Sono bugiarda, Let's twist again. A suggerire un filo diretto con quel Paese che offriva a tutti la possibilità di realizzare i propri sogni, di mettersi alla prova. Tanti giovani, certo. Ma anche genitori, nonni, bambini. Una voce comune: "Questo paese non ci somiglia ma non abbiamo intenzione di abbandonarlo". E via così, a costruire un quadro dettagliato dell'Italia del 2011, vista con gli occhi di chi "perde ogni giorno un pezzo di dignità". "Berlusconi, il tuo tempo è scaduto". Poi l'Europa, che in tanti definiscono la "nostra terra promessa". Il modello da raggiungere. Lontano dalla retorica sulla meritocrazia di "questo governo, la cui unica politica per il precariato è eliminare i precari". E il fantasma di Silvio Berlusconi, delle sue dichiarazioni, delle ultime, insostenibili uscite, è ovunque. Commenti, critiche. E il corteo esplode quando viene letto il messaggio rivolto al premier: "Adesso siamo noi a chiedere un sacrificio al Presidente del Consiglio. Gli chiediamo di farsi da parte per raggiunti limiti d'età e per furto aggravato di presente, di futuro e di dignità a questo paese". Poi le parole rivolte al ministro Meloni: "Ci hai scritto una lettera. Dici di essere con noi. Ma non ti crediamo. Sei complice di questo governo, le colpe sono anche le tue". Street Parade. Il corteo attraversa le strade di Roma. Nichi Vendola, Susanna Camusso, Rosy Bindi si uniscono a studenti, operatori dei call center, stagisti, a tutti i precari della conoscenza. Agli agit prop e agli uomini con il megafono che aggiungono rivendicazioni a rivendicazioni. Da chi lavora presso enti pubblici a chi, con un dottorato di ricerca, "elemosina ogni giorno ciò che dovrebbe essere garantito". Ed è una street parade a tema multiplo. Agli angoli delle strade flash mob e istallazioni forniscono la raffigurazione plastica dei problemi dei precari: il diritto alla casa diventa "Chi non ha casa In Tenda", poi i cervelli in fuga, e gli operatori dello spettacolo che sventolano, in lacrime, fazzoletti bianchi per dire addio a ogni speranza. In via Labicana, con il Colosseo sullo sfondo, la città diventa il luogo da utilizzare per mettere le mani sulla cultura: poster e manifesti che raffigurano quadri di Klimt e Dalì vengono sovrapposti ai manifesti elettorali. "Vogliamo futuro". Ancora musica. Con i classici del punk, dai Ramones a Iggy Pop, utilizzati come veicolo per descrivere la condizione attuale di tanti ragazzi: "No Future". Note che accompagnano i precari fino al palco centrale, di fronte l'Arco di Costantino. Il messaggio inviato da Oscar Luigi Scalfaro strappa applausi. Poi le parole rivolte a Giorgio Napolitano, ai partiti e alle organizzazioni sindacali "affinché le loro parole e la loro vicinanza non si fermi alle dichiarazioni". Una generazione che da oggi vuole aprire uno spazio comune. Per ospitare anche altre voci di dissenso. Come quelle di alcuni ragazzi del Nord Africa. Che portano le loro storie, il senso della loro protesta. Poi le parole dell'appello, quasi recitate, pronunciate all'unisono: "Siamo le storie di precariato che leggete ogni giorno sui giornali. Vogliamo futuro. Vogliamo tutto un altro paese". Parole che grazie alla rete raggiungono subito tutti gli angoli d'Italia. Social network, YouTube. Una massa enorme a disposizione di tutti coloro che, "magari perché è costretto a non allontanarsi dal proprio posto di lavoro", oggi non hanno potuto scendere in strada. E dalle altre città italiane c'è chi si è messo subito in viaggio per arrivare qui. Da Napoli, da Bologna. Portando impressioni, storie e voglia di cambiare. Una generazione che s'incontra con la promessa di fare insieme tutta la strada necessaria per cambiare l'Italia. (09 aprile 2011)
LA BCE Trichet: Nuovi pericoli per l'economia dall'alta disoccupazione in Europa La ripresa c'è, ma non è sufficiente a garantire maggiore occupazione, ha spiegato. Il presidente della Banca centrale europea avverte: La situazione nel nord Africa e il dramma giapponese potranno produrre effetti a medio termine. Trichet: Nuovi pericoli per l'economia dall'alta disoccupazione in Europa GODOLLO (Budapest) - Salvato il Portogallo, in Europa resta grande la preoccupazione per le prospettive finanziarie ed economiche. Alla fine della due giorni di Ecofin informale al castello di Godollo, nei pressi di Budapest, il messaggio dei 27 ministri finanziari della Ue è chiaro: la crisi non è ancora alle spalle e i rischi restano elevati. Non solo per le persistenti turbolenze sul fronte dei debiti sovrani e le debolezze del sistema bancario. Ma anche per le incertezze legate a una ripresa che c'è, ma rimane fragile. "La ripresa dell'attività economica nell'Eurozona continua nel 2011, ma ci sono rischi legati alla situaizione in cui versano alcuni segmenti dei mercati finanziari e all'impatto sulla crescita sia delle crisi in Nordafrica sia del dramma giapponese", ha affermato il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, che torna a lanciare l'allarme sul fronte del mercato del avoro: "Nell'Eurozona abbiamo ancora un livello della disoccupazione inaccettabile", ha detto. Per questo per il numero uno dell'Eurotower è più che mai necessario andare avanti senza tentennamenti sulla strada del risanamento dei conti pubblici e delle riforme strutturali. L'unica via per assicurare crescita e occupazione. Per le strade di Budapest migliaia di persone - chiamate a raccolta dai sindacati europei in concomitanza con i lavori dell'Ecofin - hanno protestato proprio contro la crisi sociale, che colpisce soprattutto alcuni Paesi come la Spagna, e contro i piani di austerity varati dai governi. Ma per Trichet non si tratta di colpire i cittadini europei. "Politiche economiche e di bilancio solide e una rigorosa vigilanza sull'evoluzione di prezzi, soprattutto quelli dell'energia e delle commodity, sono la chiave per una crescita durevole e per la creazione di posti di lavoro stabili". Una ricetta - ha aggiunto - "che vale per tutti i Paesi, senza alcuna eccezione". Anche il commissario Ue agli affari economici e monetari, Olli Rehn, mette in guardia dal considerare la crisi della zona euro finita. "La ripresa dell'economia reale prosegue - ha ribadito - ma in maniera diversificata tra Paese e Paese". Il guardiano dei conti pubblici europei mette l'accento soprattutto sui rischi legati ai debiti sovrani. Anche se all'interno dell'Ecofin tutti si danno un gran da fare per smentire che, dopo il salvataggio di Lisbona, possa sorgere un problema Spagna. "Abbiamo ora aspettative migliori grazie alle riforme fatte, che dovevamo fare, e alla riduzione del deficit", ha assicurato il ministro delle finanze spagnolo, Elena Salgado. Anche il collega tedesco, Wolfgang Schauble, si è mostrato ottimista: "La Spagna non è il Portogallo", ha affermato, sottolineando come le condizioni di Madrid siano "buone". (09 aprile 2011)
2011-04-08 IL CASO Precari in piazza, attacco al governo "Basta barzellette, ci rubano il futuro" Domani a Roma e in molte città le manifestazioni promosse da "Il nostro Tempo è adesso". Molte adesioni all'appello dei ragazzi del comitato. E una polemica con Berlusconi e le sue freddure davanti a una platea di neolaureati di CARMINE SAVIANO Precari in piazza, attacco al governo "Basta barzellette, ci rubano il futuro" Sono impiegati nei call center, studenti, a paghe da fame in qualche (magari bellissimo) laboratorio. Sono il 30% della forza-lavoro giovanile (un record, triste). E hanno un unico comune denominatore: la precarietà. Domani a Roma e in tante città italiane 1 faranno sentire la loro voce in tante manifestazioni promosse dal comitato "Il nostro Tempo è adesso". Una mobilitazione per denunciare le condizioni di lavoro, e di vita, di una grande fetta di giovani italiani. Tante adesioni. E un messaggio rivolto al presidente del Consiglio dopo il suo ultimo, imbarazzante, show 2: "Davvero Berlusconi pensa che i suoi successi personali siano da prendere ad esempio per i giovani italiani? Gli chiediamo di sollevarci dalla sua presenza...". E' davvero raggelante, in effetti, guardare in successione le storie sul lavoro che i ragazzi raccontano - anche sul nostro sito 3 - e le battute dispensate dal presidente del Consiglio a una platea di neolaureati. Che nemmeno ridevano. A Silvio. Il messaggio dei precari al premier è duro, diretto. Prima i dati: "Il 30% di disoccupazione giovanile, due milioni di giovani che non studiano non lavorano e non si formano, l'esercito di lavoratori precari rimasti senza lavoro e senza reddito con la crisi economica". Poi la richiesta: "Adesso siamo noi a chiedere un sacrificio al Presidente del Consiglio. Gli chiediamo di farsi da parte per aver trascinato la nostra generazione e questo Paese in un baratro di povertà, depressione e disoccupazione". E ancora: "Gli chiediamo di farsi da parte per raggiunti limiti d'età e per furto aggravato di presente, di futuro e di dignità a questo paese". L'apprezzamento per Bagnasco. Messaggio di tutt'altro tenore per il presidente della Conferenza Episcopale Italiana. "Era ora che anche la Conferenza Episcopale Italiana, dopo le recenti dichiarazioni del Papa, si esprimesse in modo inequivocabile sull'emergenza sociale dovuta alla precarietà lavorativa per milioni di giovani". Poi ancora, il resoconto dettagliato delle cifre che raccontano, meglio di tutto, la condizione precaria: "Ormai almeno due generazioni di lavoratori sono in grande maggioranza segnati da contratti a termine, senza diritti e con retribuzioni da fame". Si tratta di "quasi un milione e mezzo di lavoratori para-subordinati, senza congedi parentali e malattia e privi di qualsiasi strumento di sostegno al reddito quando il lavoro scade, oltre due milioni i lavoratori a tempo determinato che vivono con l'ansia della scadenza". Le manifestazioni. Domani a Roma la manifestazione principale. Una street parade con partenza alle ore 15.00 da piazza della Repubblica ed arrivo al Colosseo, dove sarà allestito un palco dal quale parleranno i promotori, lavoratori precari, studenti e personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo e fra questi molti degli attori del cast del film Boris. E durante il percorso verranno effettuate azioni dimostrative simboliche, piazze tematiche, attraverso le quali saranno veicolati i temi centrali della mobilitazione. Altri appuntamenti a Napoli, Torino, Milano e Palermo. E non manca l'appoggio dei cervelli in fuga, con flash mob e sit-in a Washington e Bruxelles. (08 aprile 2011)
2011-04-05 L'ANALISI Cassa integrazione, impennata a marzo +45% sul mese, -15,8% sull'anno Secondo l'Istituto di previdenza, l'economia sembra aver superato il punto più alto della crisi, ma ci sono ancora difficoltà. L'aumento riguarda tutti i tipi di Cig, ma c'è un calo di domanda a livello tendenziale Cassa integrazione, impennata a marzo +45% sul mese, -15,8% sull'anno ROMA - Forte rimbalzo per le richieste di cassa integrazione a marzo. Secondo le rilevazioni dell'Inps, nel mese le aziende italiane hanno chiesto 102,5 milioni di ore di cassa con un aumento del 45,1% rispetto a febbraio 2011 (erano stati chiesti 70,6 milioni di ore) e un calo del 15,8% rispetto a marzo 2010 (121,8 milioni di ore chiesti). Nei primi tre mesi dell'anno sono stati chiesti e autorizzati nel complesso 233,4 milioni di ore, contro i 299,7 milioni dello stesso periodo del 2010 (-22,14%). "L'andamento è simile a quello registrato il mese scorso", commenta il presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua. "Il rimbalzo delle richieste è dovuto alla congiuntura, con un progressivo calo delle domande a livello tendenziale. La lettura dei dati segnala un andamento discontinuo dell'economia nazionale, che sembra aver superato il punto più alto della crisi, senza tuttavia aver archiviato definitivamente le difficoltà produttive e occupazionali". I dati. L'aumento delle richieste di cassa integrazione riguarda tutti e tre gli istituti della cig: le richieste ordinarie (cigo) sono passate da 19,2 milioni a febbraio a 23,2 milioni a marzo (un incremento del 21,1%), mentre le domande di cassa integrazione straordinaria (cigs) sono passate da 29,1 milioni di ore in febbraio a 42,4 milioni in marzo (+45,4%). Ancora più forte è l'aumento di domande di Cigd, cassa integrazione in deroga, passate dai 22,3 milioni di ore a febbraio ai 36,9 milioni di marzo, per uno scarto percentuale del 65,2%. Sull'anno, il confronto mostra segnali diversi: la Cigo cala del 45,8% rispetto a marzo 2010, passando da 42,9 milioni a 23,2 milioni nel marzo 2011. La Cigs diminuisce del 12,9%, da 48,6 a 42,4 milioni di ore. La cassa in deroga aumenta anche a livello tendenziale, passando da 30,9 milioni di marzo 2010 a 36,9 milioni di marzo 2011 (+21,8%). (05 aprile 2011)
2011-04-04 LA MANIFESTAZIONE I giovani contro la precarietà Sabato in piazza in tutta Italia Il 9 aprile manifestazioni nelle grandi metropoli e nei piccoli centri. Ma anche all'estero. Ci saranno i ricercatori e gli addetti dei call center. I neoimprenditori e gli operatori dello spettacolo. Chiedono più diritti e opportunità. E dicono: "E' arrivato il tempo per un'azione comune, perché ormai si è infranta l'illusione della salvezza individuale" di FEDERICO PACE I giovani contro la precarietà Sabato in piazza in tutta Italia ROMA - Il tempo è adesso. I giovani non vogliono più aspettare. Sabato 9 aprile saranno nelle piazze e nelle strade per manifestare e chiedere maggiore attenzione e più diritti. Per dire ai politici e ai decisori che è arrivato il momento di affrontare davvero la questione giovanile. Una questione che tutti riconoscono come indissolubilmente legata alla ricchezza di una nazione, ma per cui ancora nessuno, nel nostro Paese, ha fatto davvero qualcosa di rilevante. Gli appuntamenti si terranno in tutta Italia, nelle grandi metropoli e nei piccoli centri. A Roma si annuncia una street parade che andrà da piazza della Repubblica fino al Colosseo. Lungo il percorso ci saranno rappresentazioni e "scene" delle situazioni emblematiche della precarietà. A Napoli un corteo si muoverà da piazza Mancini fino a piazza del Gesù. A Milano l'evento si terrà nel primo pomeriggio alle Colonne di San Lorenzo vicino Porta Ticinese. A Torino a piazza Vittorio alle 15. A Genova l'appuntamento è invece previsto per le cinque del pomeriggio a via San Lorenzo. Ma non solo. Manifestazioni sono annunciate anche a Parma, Modena, Lecce, Catanzaro, Siracusa e Cosenza. E anche Bari, Lodi e Bergamo. Dai ricercatori ai call center. Tutto ha preso le mosse dal comitato "il nostro tempo è adesso" (www. ilnostrotempoeadesso.it) 1 e dal manifesto redatto dai quattordici promotori. Tra loro ci sono realtà, associazioni e reti sociali che rappresentano buona parte degli universi che stanno pagando a più caro prezzo le trasformazioni dei rapporti e delle condizioni del mondo del lavoro. Trasformazioni acuite ancor di più dalla crisi di questi ultmi anni. Gli interinali, gli stagisti, i ricercatori precari e quelli che non ce la fanno più a rimanere in Italia e se ne vanno all'estero per avere una chance all'altezza delle proprie competenze e ambizioni. Ci sono gli operatori dello spettacolo, quelli che lavorano nei call center, gli archeologi, i giornalisti precari e anche i giovani imprenditori. Spesso ragazzi talentuosi a cui vengono negate le occasioni e le opportunità a cui hanno diritto. La risposta dall'estero. Oltre a quelli già in calendario, in queste ore si stanno aggiungendo molti altri appuntamenti. Non solo in Italia. Il tam tam è arrivato oltre i confini nazionali e la voglia di partecipare è stata espressa anche da chi si trova lontano. Da chi conosce bene, per averlo vissuto sulla propria pelle, il mancato riconoscimento del talento. A Bruxelles, nel cuore dell'Europa, ci saraà una manifestazione. E in questi giorni si stanno prendendo accordi per simili avvenimenti anche a Londra e Washington, due delle mete più frequenti per i "cervelli" in fuga dal Belpaese. Tante, inoltre, sono state le adesioni alle manifestazioni del 9 aprile da parte di figure di rilievo. Dal sociologo Luciano Gallino all'attore Ascanio Celestini. Dallo scienziato Giorgio Parisi a Dario Fo. I diritti negati e il rischio "generazione perduta". Le questioni in ballo sono tante. I giovani chiedono il rispetto del diritto allo studio e del diritto alla casa. L'attuazione di politiche che prevedano redditi di sostegno e un welfare anche per chi ne è rimasto per troppo tempo escluso. Sentono di avere anche loro bisogno di "realizzare la propria felicità affettiva". Oltre, ovviamente, a reclamare forse il diritto più essenziale di tutti: il diritto al lavoro. Nell'ultimo Quarterly Review della Commisione europea viene sottolineato come tra i più grandi paesi membri il tasso disoccupazione giovanile sia cresciuto in particolare in Spagna, Polonia e più marcatamente in Italia e nel Regno Unito. Gli autori del rapporto hanno richiamato l'attenzione, ancora una volta, sul fatto che la mancanza di lavoro per i più giovani rimane una sfida cruciale e hanno lanciato l'allarme riguardo le preoccupazioni crescenti del potenziale rischio di una "generazione perduta". Originalità e ironia. Le iniziative di sabato nelle diverse città si annunciano originali nelle forme. D'altronde nell'avvicinamento ce se sono stati già alcuni assaggi. Il 17 marzo a Roma, in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, è stato improvvisato un flash mob alla Galleria Alberto Sordi. Qui un guardiano "maturo" davanti a una porta tricolore impediva l'ingresso ai giovani. Sempre a Roma, a Via Condotti, si è tenuto un altro flash mob, con dei ragazzi in corteo ciascuno con una sedia con la scritta "se la sedia è il benefit ce la portiamo noi". Il tutto difronte alla sede di una società romana che aveva diffuso un'offerta di stage in cui proponeva come benefit sedia e postazione internet. Nel manifesto del comitato i promotori scrivono che è arrivato il tempo per "un'azione comune, perché ormai si è infranta l'illusione della salvezza individuale. Per raccontare chi siamo e non essere raccontati, per vivere e non sopravvivere, per stare insieme e non da soli". Dopo il grande movimento che ha attraversato l'università e le scuole italiane, sembra forse arrivato per i giovani il tempo di una più decisa voglia di partecipare, di raccontarsi, anche con autoironia, e di riappropriarsi di tutto quello che, fino ad ora, gli è stato negato. (04 aprile 2011)
2011-04-01 Crolla il mercato dell'auto Mai così in basso da 15 anni A marzo le vendite fanno segnare un altro calo record, del 27,57 per cento, pari ad appena 188 mila vetture vendute. Fiat perde quote in Italia ma Chrysler vola in Usadi VINCENZO BORGOMEO Crolla il mercato dell'auto Mai così in basso da 15 anni * Dossier * Giù anche il mercato della moto * Top Ten e Tabelle (PDF) Niente da fare. Il mercato dell'auto in Italia non ne vuole sapere di riprendere quota: a marzo le nuove immatricolazioni di vetture hanno infatti sfiorato una flessione record del 30%, segnando un calo del 27,57%, pari ad appena 187.687 unità vendute, contro le 259.115 del marzo 2010 (a febbraio il calo era stato del 20,49%). Il che significa il peggiore risultato da quindici anni a questa parte. In questo contesto marzo si è chiuso per il gruppo Fiat con un calo del 31,92% e con una quota di mercato del gruppo che si posiziona così al 29,35%, 1,9 punti percentuali in meno nel confronto con marzo dell'anno scorso. Il risultato, spiegano comunque a Mirafiori, è in miglioramento rispetto allo scorso mese di febbraio quando si era ottenuta una quota del 28,4%. Ma in questo momento a Torino si beano in particolare per il buon momento di Chrysler che a marzo ha registrato negli Usa un rialzo delle immatricolazioni pari al 31% con 121.730, contro le 92.623 dello stesso periodo del 2010: il dodicesimo mese consecutivo di aumenti delle vendite, il miglior marzo dal 2008 e, in generale, il mese migliore dal maggio 2008. Ma torniamo al mercato italiano. Nello stesso periodo sono stati registrati 426.972 trasferimenti di proprietà di auto usate, con una variazione di -1,31% rispetto a marzo 2010, durante il quale furono registrati 432.647 trasferimenti di proprietà. Il volume globale delle vendite (614.659 autovetture) ha interessato per il 30,54 % auto nuove e per il 69,46% auto usate. Cosa succederà? "Da ora in poi – spiega Loris Casadei, Presidente dell’Unrae, l’Associazione che rappresenta le Case estere operanti in Italia – il confronto avverrà senza quelle distorsioni che hanno di fatto reso complesse le valutazioni di prospettiva. Quel che però appare certo è che il trend del primo trimestre del 2011 sta esprimendo anche meno delle 1.850.000 immatricolazioni da noi indicate nel dicembre dello scorso anno". Certo, ha pesato molto - e peserà ancora - la tragedia del Giappone, l’aumento del prezzo dei carburanti e la crisi più generale. Quindi è difficile parlare (o anche solo pensare...) alla ripresa. "Così si è concluso il primo trimestre del 2011 - spiega Filippo Pavan Bernacchi, Presidente di Federauto, l'associazione dei concessionari ufficiali di tutti i marchi - e ora disponiamo ora di un importante indicatore. Poiché i primi due mesi dell'anno si erano chiusi con un -20,5% circa, con marzo a -27,6% il dato trimestrale passa a -23,1%. Proiettando questi dati sull'anno otterremmo un mercato 2011 di circa 1.500.000 immatricolazioni. A parziale correzione di questa ipotesi gli analisti più accreditati prevedono che il 2011 procederà a due velocità, e quindi l'anno dovrebbe chiudersi attorno a 1.850.000 immatricolazioni". © Riproduzione riservata (01 aprile 2011
IL CASO Sciopero trasporti, traffico in tilt metro chiuse e bus introvabili Difficili gli spostamenti nelle grandi città per l'agitazione di 24 ore, numerosi disagi per chi si deve spostare. A Roma adesione al 90 per cento, a Milano 80 per cento dei mezzi fermi Sciopero trasporti, traffico in tilt metro chiuse e bus introvabili ROMA - Cancelli delle metropolitane chiusi, bus quasi introvabili e traffico intasato nelle grandi città: lo sciopero di 24 ore 1 del trasporto pubblico locale e delle ferrovie ha reso davvero difficili gli spostamenti questa mattina e creato numerosi disagi. Altissima l'adesione - in molti casi del 90% - all'astensione dal lavoro indetta da sette sigle sindacali per protesta contro i tagli al settore e il mancato rinnovo del contratto scaduto da oltre. Per quanto riguarda i mezzi pubblici anche le aziende stavolta ammettono che la partecipazione è stata elevata. Diverso il discorso per i treni, il cui stop è cominciato ieri alle 21: le ferrovie parlano di un'adesione del 23%, mentre per la Filt Cgil si è raggiunto l'85%. Più che sui numeri, la polemica è stata accesa sulle responsabilità: "Inconcepibile scaricarle sulle associazioni datoriali Asstra e Anav", ha detto Marcello Panettoni, presidente di Asstra, sostenendo che "dovrebbe essere riconosciuto lo sforzo incredibile che queste ultime stanno facendo per cercare di tenere insieme i pezzi del sistema, anche al tavolo della trattativa per il rinnovo del contratto, cercando di limitare il taglio dei servizi e del personale". Il segretario nazionale per il trasporto ferroviario della Filt Cgil, Alessandro Rocchi, replica che "l'unico sforzo incredibile è stato di rallentare la trattativa per due anni e mezzo: da sei mesi la stanno sabotando". La Cisl con il segretario confederale Annamaria Furlan chiede invece che le aziende diano una "risposta urgente riaprendo il confronto sul contratto e sui problemi del settore", ribadendo che è incomprensibile che le due associazioni si ostinino a dire di non avere margini di manovra per gli aumenti contrattuali anche "con le nuove risorse in arrivo" da Governo e Regioni. E il segretario generale della Fit-Cisl, Giovanni Luciano, chiede che "il ministro Altero Matteoli e il presidente della Conferenza Stato-Regioni Vasco Errani convochino Asstra per sbloccare una situazione che ha del grottesco". Sullo sciopero si riaccende poi la polemica fra Arenaways e Ferrovie: l'operatore privato ha affermato che Rfi "ha negato l'accesso alla rete vietandoci all'ultimo momento di operare regolarmente". Fs replica: "Accuse false". Secondo la Filt, a Roma 2 chiuse le due linee della metropolitana, le ferrovie concesse e fermi circa il 90% dei bus. A Milano 3 chiuse le tre linee della metro e fermi circa il 80% dei mezzi pubblici. A Napoli 4 adesioni oltre al 90% e ferme le funicolari e la Circumvesuviana. A Genova 5 fermi il 90% dei mezzi pubblici. A Venezia e Mestre stop al 94% di bus e vaporetti. A Bari le adesioni sono state vicine al 100%. In Sicilia stop del 90% dei mezzi pubblici, a Palermo del 100%. In Sardegna hanno scioperato in media l'80% degli addetti al trasporto urbano. Rispettate ovunque le fasce di garanzia. (01 aprile 2011)
2011-03-30 AUTO Fiat, Marchionne agli azionisti "In 4 anni il fatturato raddoppierà" L'ad conferma obiettivi, strategie e politica degli utili per l'anno in corso: "Nel 2011 almeno cento milioni di dividendi. I nuovi modelli faranno crescere la nostra quota dal secondo semestre. Troppo grande il divario di produttività fra gli stabilimenti italiani e quelli esteri" Fiat, Marchionne agli azionisti "In 4 anni il fatturato raddoppierà" L'ad di Fiat, Sergio Marchionne TORINO - "La Fiat raggiungerà nel 2014 un fatturato di 64 miliardi di euro, quasi il doppio dell'anno scorso, e potrebbe raggiungere i 100 miliardi con Chrysler". Lo ha detto Sergio Marchionne parlando all'assemblea degli azionisti, "l'ultima della Fiat come l'abbiamo conosciuta finora". L'amministratore delegato del gruppo ha definito il 2010 un anno "cruciale", con risultati "decisamente superiori agli obiettivi", ed ha ripetuto da un lato che presto la quota Fiat in Chrysler salirà al 35% con l'obiettivo di arrivare al 51% entro il 2011; dall'altro che non è in agenda alcuna ipotesi di spostamento della sede legale. "Confermiamo tutti gli obiettivi per Fiat - ha detto l'ad - che segnerà una forte crescita del business accompagnata da una robusta redditività". Per il 2011, dunque, i ricavi dovrebbero ammontare a 37 miliardi, mentre il risultato di gestione sarà compreso tra 0,9 e l'1,2 miliardi: "Prevediamo inoltre una crescita sostanziale degli investimenti, in particolare quest'anno a seguito dei progetti per Pomigliano e Mirafiori". Invariata anche la politica dei dividendi di Fiat Spa che restano "pari al 25% del risultato netto", ma "con il pagamento minimo di 100 milioni di euro". Quanto a Fiat Industrial sono attesi ricavi per circa 22 miliardi di euro quest'anno e per quasi 30 miliardi di euro nel 2014 con un tasso medio annuo di crescita dell'8% rispetto al 2010. Marchionne ha ripetuto le sue convinzioni sui livelli di produttività e il divario "evidente" tra gli stabilimenti Fiat attivi all'estero e quelli italiani, "ben al di sotto della loro capacità produttiva". Marchionne ha sottolineato che l'utilizzo della rete italiana è al 54% e scende al 37% se si considera la capacità tecnica, in confronto a percentuali del 126 e del 78% rispettivamente negli altri paesi. Marchionne ha poi detto agli azionisti che gli accordi per Pomigliano porteranno alla produzione delle Panda nel secondo o terzo trimestre di quest'anno a 250mila unità rispetto a meno di 20mila del 2010. Quanto a Mirafiori, il progetto per un suv a marchio Jeep e Alfa Romeo porterà nel terzo o quarto trimestre del prossimo anno l'avvio della produzione che si attesterà su 280mila vetture l'anno. Marchionne ha ribadito che entro l'anno cesserà la produzione a Termini Imerese. Sulle previsioni di vendita, Marchionne ha detto: "Per il 2011 ci aspettiamo un miglioramento generalizzato dei mercati ad eccezione di quelli delle autovetture in Europa la cui performance sarà influenzata dai cali previsti in Italia e Francia. Nonostante ciò - ha aggiunto l'ad - prevediamo che la nostra quota aumenti nel secondo semestre grazie al lancio di nuovi modelli". La nuova filosofia del gruppo è stata così riassunta dal presidente John Elkann: "La Fiat torna a fare automobili, solamente automobili. Per fare automobili nel mondo di oggi, dove ci sono più mercati ed esigenze superiori, è importante grande focalizzazione, su più mercati e con più prodotti". A proposito dell'intesa con Chrysler, Elkann ha ricordato il trisnonno, il senatore Giovanni Agnelli, che "nel 1906 andò per la prima volta a incontrare i costruttori e stabilì un'intesa di lavoro con la Ford". Alla fine, l'assemblea ha approvato il bilancio 2010 e la distribuzione agli azionisti di un dividendo lordo di 0,09 euro per azione ordinaria, 0,31 euro per azione privilegiata e 0,31 euro per azione di risparmio che sarà messo in pagamento a partire dal prossimo 21 aprile, con stacco cedola il 18 aprile. (30 marzo 2011)
2011-03-25 La sede del gruppo Fiat in Usa dopo la fusione con Chrysler L'intenzione dell'amministratore delegato Sergio Marchionne viene rilanciata da uno Special Report della Reuters, lungo una decina di pagine. Possibile anche la valutazione in borsa di Ferrari per circa 5 miliardi. Nel report, tra l'altro, Marchionne viene indicato come l'Elvis Presley del Lingotto di PAOLO GRISERI La sede del gruppo Fiat in Usa dopo la fusione con Chrysler Luca Cordero di Montezemolo con Sergio Marchionne
La scelta della sede legale della società che nascerà dalla fusione tra Fiat e Chrysler "dipenderà dal luogo in cui è più conveniente pagare le tasse". In un lungo servizio preparato nei giorni del Salone di Ginevra, la Reuters rivela che questo sarà il criterio di scelta e che dunque, in base a fonti riservate, la sede legale verrà trasferita oltreoceano. "Certo una doppia quotazione in borsa creerebbe dei problemi", ha dichiarato lo stesso Marchionne alla trasmissione Report che manderà in onda l’intervista nella puntata di dom,enica prossima. Dunque, tutto fa pensare che la sede andrà negli Usa creando un caso paradossale in cui una società salvata dal fallimento (la Chrysler) assorbe il suo salvatore (la Fiat). A Torino l’indiscrezione non viene commentata. Ma la Reuters insiste aggiungendo che fonti confidenziali vicine a Marchionne avrebbero dichiarato: "Se io pago il 70 per cento di tasse in Italia e solo il 30 per cento negli Usa, non è difficile immaginare dove andrò". La scelta sarebbe dunque caduta sugli Stati Uniti anche se, ricorda l’agenzia britannica, "della questione non si è parlato nel consiglio di amministrazione della Fiat". La scelta di traslocare oltreoceano la sede legale verrebbe compensata con la decisione di lasciare in Italia, a Torino, il quartier generale per l’Europa trasformando così la Fiat in una sorta di branca europea di un’azienda americana, un po’ come accade per la Opel con la Ford. Inoltre, sempre secondo le indiscrezioni della Reuters, il nuovo gruppo starebbe cercando la sede per un quartier generale asiatico. Naturalmente perché tutto questo si verifichi sarà necessario che la Fiat conquisti almeno il 51 per cento di Chrysler (oggi Torino ha il 25) e che restituisca i 7 miliardi di dollari di prestiti contratti con i governi americano e canadese al momento del fallimento pilotato. Obiettivi che secondo Marchionne sono "raggiungibili entro la fine dell’anno". Reuters riprende anche le notizie, già circolate da tempo, sull’intenzione di Fiat di vendere una quota della Ferrari portandola in borsa. La casa di Maranello secondo le più recenti valutazioni vale 5 miliardi di euro. (25 marzo 2011)
2011-03-17 IL CASO Lavoro, nel biennio della crisi globale contratti a termine al 76% degli assunti Su 14,3 milioni di nuovi rapporti di lavoro 11 milioni sono a tempo determinato di ROBERTO MANIA Lavoro, nel biennio della crisi globale contratti a termine al 76% degli assunti ROMA - La crisi ci lascia il "lavoro debole", il lavoro a tempo, il lavoro precario. Declinano i vecchi contratti standard a tempo indeterminato, con le sicurezze incorporate, e si impone il nuovo contratto con, invece, scadenza incorporata. E tanta insicurezza. Nel biennio horribilis, 2009-2010, della recessione globale il 76 per cento delle assunzioni è stato fatto utilizzando i contratti temporanei. Vuol dire più di tre assunzioni su quattro. Segno dell'instabilità del quadro economico ma forse anche della nuova via imboccata definitivamente dal mercato del lavoro. Vuol dire, molto probabilmente, che per i giovani (il cui tasso di disoccupazione è passato in meno di un decennio da circa il 23 per cento a quasi il 30 per cento) il lavoro continuerà ad essere una porta girevole, entrate e uscite. Senza stabilità. Lavoro debole, appunto. È il secondo "Rapporto Uil sulle comunicazioni obbligatorie" a offrire questa chiave interpretativa sulle dinamiche nel mercato del lavoro. Un'indagine elaborata sulla base dei dati concreti sulle assunzioni, le trasformazioni e le cessazioni dei rapporti di lavoro. Un modo per entrare dentro i canali della crisi del lavoro, distinguendo tra generazioni, tra uomini e donne, tra italiani e stranieri, tra aree geografiche e settori produttivi. E per capire anche i mutamenti tra il 2008, anno di fatto pre-crisi per il lavoro, e il biennio successivo. Tra il mese di gennaio del 2009 e quello di giugno del 2010 sono stati attivati oltre 14,3 milioni di nuovi rapporti di lavoro. Circa 3,4 milioni sono nati con "buone" tipologie contrattuali (contratti a tempo indeterminato e contratti di apprendistato) e circa 11 milioni con contratti "deboli" (a tempo determinato, collaborazioni, contratti di inserimento e altri). In percentuale è andata così: il 76,1 per cento con contratti deboli (66,3 per cento a tempo, 8,6 con collaborazioni, l'1,2 con le altre tipologie), il 20,8 per cento con contratti standard a tempo indeterminato e il 3,1 per cento attraverso l'apprendistato. Le comunicazioni obbligatorie permettono anche di distinguere tra nord, sud e centro. È il settentrione che ricorre di più alle "buone" forme contrattuali (1,6 milioni nel periodo considerato), seguito dal sud (1,1 milioni) e, infine, dalle regioni centrali con 751 mila contratti. E sono le donne che subiscono di più i contratti a termine: dei 7,1 milioni di nuovi rapporti attivati con le donne, il 78,4 per cento è avvenuto con contratti precari contro il 73,4 per cento degli uomini. La riprova di un mercato del lavoro a porte girevoli arriva dai dati relativi alle cessazioni dei contratti: il 68 per cento (pari a circa 9 milioni di contratti) riguarda quelli "deboli" (64 per cento sono i contratti a tempo determinato), a fronte di circa 4,1 milioni di cessazioni di contratti standard. In testa il nord (41,7 per cento), seguito dal sud (34 per cento) e dal centro (24,3 per cento). Ma ad essere licenziati pur avendo un contratto stabile sono soprattutto gli uomini: 6,7 milioni contro i 6,4 milioni al femminile. Un dato - secondo la Uil - "strettamente connesso al maggior utilizzo per le donne dei contratti temporanei". Tanto che, infatti, in questa tipologia di contratti, i licenziamenti delle donne costituiscono il 79,1 per cento contro il restante 69 per cento degli uomini. L'instabilità dei rapporti di lavoro si ricava anche da un altro dato impressionante: solo il 18,4 per cento dei contratti cessati hanno avuto una durata superiore a un anno. Ma cambia nel mercato del lavoro italiano anche l'apporto della manodopera straniera. Non solo in termini quantitativi ma anche sotto il profilo qualitativo. Evidentemente per la forte domanda di servizi alla persona ben il 40,6 per cento dei rapporti con lavoratori non italiani nasce attraverso un contratto a tempo indeterminato. È l'Italia invecchiata, post-industriale e dal lavoro oramai diventato debole. (17 marzo 2011)
ISTAT Inflazione vola al 2,4% a febbraio è il dato più alto dal 2008 Confermate le stime. Aumento rispetto al 2,1 di gennaio. Pesano i rincari dei servizi di trasporto, dei carburanti e dei beni alimentari. Costo della vita in crescita anche nell'Eurozona Inflazione vola al 2,4% a febbraio è il dato più alto dal 2008 ROMA - A febbraio l'inflazione è volata al 2,4% su base annua, dal 2,1% di gennaio. Si tratta del dato più alto dal novembre del 2008. Lo rileva l'Istat, rivedendo leggermente al rialzo le stime e aggiungendo che sull'aumento del costo della vita hanno pesato soprattutto i rincari dei servizi relativi ai trasporti, dei carburanti e dei beni alimentari. Sull'accelerazione dell'inflazione a febbraio pesano i prezzi dei beni energetici non regolamentati: la benzina è aumentata del 11,9% (+11,3% a gennaio) su base annua e dello 0,9% su base mensile. Il prezzo del gasolio per i mezzi di trasporto è salito del 18,1% (+15,7% a gennaio) in termini tendenziali e dell'1,2% sul piano congiunturale. Riguardo al gpl, l'indice ha registrato un rialzo annuo del 25,1% e un aumento mensile del 2,1%. Quanto al gasolio da riscaldamento, il prezzo ha segnato una crescita tendenziale del 17,2% e una incremento congiunturale dell'1,8%. Nel dettaglio, i maggiori incrementi congiunturali dei prezzi riguardano i trasporti (+0,8%), l'abitazione con acqua, elettricità e combustibili (+0,6%), i prodotti alimentari e le bevande analcoliche (+0,4%), i servizi sanitari e le spese per la salute (+0,3%). Sul piano tendenziale, i maggiori tassi di crescita interessano ancora i trasporti (+5,3%), casa, acqua, elettricità e combustibili (+4,4%) e altri beni e servizi (+3,0%). In flessione risultano i prezzi delle comunicazioni (-0,6%). Rispetto a gennaio, inoltre, calano i prezzi di spettacoli e cultura, alcolici e tabacchi. Passando alle città, Aosta (+3,8%), Bari (+2,9%) e Roma (+2,7%) sono i capoluoghi di regione in cui i prezzi registrano gli aumenti più elevati rispetto al febbraio di un anno fa. Le variazioni più moderate riguardano invece Palermo (+1,5%), Campobasso (+1,9%) e Trento (+2,0%). Anche Eurostat ha diffuso i nuovi dati che confermano l'aumento dell'inflazione in zona Euro dal 2,3% di gennaio al 2,4% di febbraio. Nell'Ue a 27 paesi, invece, l'indice è rimasto stabile a 2,8%. Un anno fa, l'inflazione era pari allo 0,8% nell'Eurozona e all'1,5% nell'Ue27. I tassi più bassi sono stati registrati in Irlanda (0,9%), Svezia (1,2%) e Francia (1,8%). Anche l'Italia - il dato è inferiore a quello rilevato dall'Istat - risulta sotto la media con 2,1%. La crescita più alta si è registrata in Romania (7,6%), Estonia (5,5% e Bulgaria (4,6%). Ad aumentare nell'Eurozona sono stati i prezzi dei trasporti (5,7%) e per la casa (4,9%), essenzialmente a causa dei rincari nel settore dell'energia, ma anche le bevande alcoliche e il tabacco (3,5%) mentre sono scesi i prezzi dell'abbigliamento (-2,6%) e delle comunicazioni (-0,4%). (16 marzo 2011)
2011-03-15 TERMINI IMERESE Fiat, A19 bloccata dagli operai nel giorno dello sciopero Fim, Fiom e Uilm hanno indetto otto ore di protesta per chiedere l'immediata apertura di un tavolo tecnico tra sindacati e ministero dello Sviluppo economico. "Per ora l'unica certezza che abbiamo è che l'azienda andrà via il 31 dicembre di quest'anno" Fiat, A19 bloccata dagli operai nel giorno dello sciopero TERMINI IMERESE (Palermo) - L'autostrada A 19 Palermo-Catania è bloccata stamattina da circa duecento operai dello stabilimento Fiat di Termini Imerese e dell' indotto. Hanno invaso la corsia in direzione Palermo e si stanno muovendo verso Termini Imerese. La manifestazione avviene nel giorno in cui Fim, Fiom e Uilm hanno indetto otto ore di sciopero per chiedere l'immediata apertura di un tavolo tecnico tra sindacati e ministero dello Sviluppo economico sull'accordo di programma quadro per la riconversione del polo industriale di Termini Imerese, siglato a Roma il 16 febbraio scorso. "Non conosciamo ancora i dettagli dei piani industriali e d'investimento - dice il segretario provinciale della Fiom, Roberto Mastrosimone - e non ci sono garanzie occupazionali per i 2.200 lavoratori della Fiat e dell'indotto. Chiediamo un incontro immediato con il ministero - aggiunge - perché per ora l'unica certezza che abbiamo è che la Fiat andrà via il 31 dicembre di quest'anno". (15 marzo 2011)
2011-03-10 LA CRISI Caro petrolio, Confindustria "Così rischia di rallentare la ripresa" Piccola risalita a febbraio della produzione industriale rispetto a gennaio, ma resta il divario con i dati pre-crisi (-17,6 %). Le preoccupazioni della Bce conseguenti allo scenario geopolitico del nord Africa Caro petrolio, Confindustria "Così rischia di rallentare la ripresa" ROMA - In Italia "si osservano segnali più decisi di accelerazione" della ripresa economica, "anche se rimane ampio il divario di crescita con le altre nazioni". Ma, indica Confindustria, in questo scenario "si sono inseriti nuovi fattori di rischio". Come "lo shock rappresentato dal rincaro delle materie prime ed in particolare del petrolio" che "rischia di rallentare sensibilmente la ripresa nei paesi avanzati". Un prezzo a 115 dollari al barile "può comportare un minor livello del Pil italiano di circa lo 0,7% in due anni a parità di altre condizioni". Lo ha spiegato il direttore generale di Viale dell'Astronomia, Giampaolo Galli, in una audizione alla Camera. I dati Confindustria per febbraio. Il centro studi di Confindustria stima in febbraio un rimbalzo della produzione industriale dell'1,7% su gennaio, quando c'è stata una contrazione dell'1,5% su dicembre, comunicata dall'istat. La distanza dal picco di attività pre-crisi (aprile 2008) è di -17,6%; il recupero dai minimi di marzo 2009 è dell'11%. C'è quindi un avvio 2011 faticoso per l'industria italiana: secondo il Centro Studi di Confindustria (Csc) l'incremento nella prima parte di quest'anno si delinea più lento di quanto atteso, "il dato negativo della produzione in gennaio compromette infatti il profilo del primo trimestre che, incluso febbraio, registra una crescita congiunturale acquisita dello 0,3%". Produzione industriale in calo a gennaio. La produzione industriale a gennaio, secondo l'Istat, torna in negativo: l'indice ha registrato un calo dell'1,5% rispetto a dicembre, mentre ha segnato un aumento dello 0,6%, considerando il dato corretto per gli effetti di calendario, rispetto a gennaio del 2010 (+3,8% il grezzo). La diminuzione arriva dopo due mesi in positivo. La Bce e i rischi di inflazione. La Banca centrale europea ribadisce le preoccupazioni per l'aumento dell'inflazione nell'Eurozona, che secondo Francoforte è "ampiamente riconducibile al rincaro delle materie prime". Nel bollettino mensile di marzo la Bce aggiunge che "i rischi per le prospettive sui prezzi sono orientati verso l'alto" e che "è fondamentale che la recente accelerazione non generi pressioni inflazionistiche generalizzate a medio termine". L'istituto di Francoforte rileva un "notevole aumento" dei prezzi petroliferi negli ultimi tre mesi. "I disordini politici in Medio oriente e in Nord Africa hanno portato a temere che fattori geopolitici potessero minacciare la sicurezza degli approvvigionamento - osserva la Bce - e questo ha esercitato ulteriori spinte al rialzo sulle quotazioni". (10 marzo 2011)
DECRETO RINNOVABILI Solare, Berlusconi non cede "Sì allo stop, ma faremo presto" Imponente manifestazione dei lavoratori e delle imprese del settore a Roma contro il provvedimento che stravolge gli incentivi. Il premier però non cede: "Tagli necessari, subito le nuove regole" di VALERIO GUALERZI Solare, Berlusconi non cede "Sì allo stop, ma faremo presto" ROMA - Nessuna marcia indietro, ma l'impegno a fare presto riducendo al minimo le incertezze. Risponde così Silvio Berlusconi alla imponente manifestazione che ha concluso oggi al teatro Quirino di Roma una settimana di mobilitazione delle associazioni di categoria e delle organizzazioni ambientaliste contro il decreto approvato giovedì scorso da Palazzo Chigi. "Gli incentivi alle energie rinnovabili devono adeguarsi all'andamento degli altri paesi europei- ha affermato il premier - Il 'boom' del settore fotovoltaico determina sulle bollette dei cittadini un aggravio che era necessario calmierare". "Chi lavora in questo settore", ha aggiunto il presidente del Consiglio, non deve "nutrire timori ingiustificati" perché "entro poche settimane il governo stabilirà il nuovo quadro di incentivi che consentirà alle aziende del settore la programmazione di investimenti per un mercato maturo di lungo periodo in vista degli obbiettivi europei per il 2020". Parole che difficilmente saranno sufficienti a placare la disperazione, la rabbia e la delusione delle oltre duemila persone che di prima mattina hanno preso d'assalto lo storico teatro del centro storico della capitale. Un appuntamento che ha dato un volto, una voce e un corpo a una campagna virtuale senza precedenti convogliata dalle pagine web di Sosrinnovabili 1. Una campagna mirata a costringere il governo a rivedere il decreto che ad appena sei mesi dal suo varo ha cancellato la riforma degli incentivi per il fotovoltaico valida sino al 2013 e ha tagliato retroattivamente quelli per l'eolico. Al sito negli ultimi giorni sono arrivate ben 45 mila email. Paolo Della Negra della Solar Omega è lapidario: "Domani si chiude". Francesco Della Torre, della Cea Automazione, entra più nel dettaglio: "Se non viene dichiarato un incentivo certo non è possibile lavorare. Cosa diciamo ai clienti? Che non sappiamo quanto sarà l'incentivo? Chi inizierà una pratica senza sapere a cosa va incontro? E nel frattempo noi cosa facciamo fare agli operai?". Raffaele Frulio se la prende con l'opposizione: "Dov'è? Perché non coglie quest'occasione per fare il suo mestiere? Forse 120.000 famiglie non valgono molto?". Lorenzo Serafin recrimina: "Ho sempre votato Berlusca, ora mi si ritorce contro". Stati d'animo raccontati questa mattina in prima persona da una lunga serie di interventi di piccoli industriali, giovani imprenditori e semplici operai o installatori di pannelli solari chiamati a raccolta da Aper, Enav, Gifi, Assosolare, Assoenergie Future e Ises. Uno spaccato esemplare della mitica "Italia che lavora", di un nuovo ceto produttivo creato quasi dal nulla dalle politiche a sostegno delle rinnovabili. Un settore che oggi, stando a diverse stime, dà occupazione a circa 150 mila persone e offre un posto di lavoro ogni nuovi tre che vengono creati nel Paese. Un "popolo" pragmatico poco disponibile ad ascoltare i politici, compresi quelli venuti al Quirino per dare la loro solidarietà come Pierluigi Bersani. "E' una vicenda drammatica - ha sottolineato il segretario del Pd - capisco l'esasperazione di aziende e lavoratori che si vedono improvvisamente messi davanti al vuoto". Il fatto è, ha aggiunto, che "abbiamo un governo che parla sempre di mercato ma che non sa come funziona, togliendo ogni certezza, ogni prospettiva stabile, a settori che stanno investendo, che hanno rapporti con banche, società di leasing". La manifestazione di Roma non è stata però solo un lungo sfogo collettivo. Le associazioni di categoria hanno presentato infatti una loro proposta di revisione del decreto Romani articolata per principi generali. I tre punti essenziali sono "certezza e velocità dei processi di autorizzazione"; un quadro normativo che ragioni sul lungo termine, immaginando uno scenario da qui al 2020 in grado di migliorare la competitivtà del settore, azzerando infine gli incentivi; lo stimolo allo "sviluppo di un'industria nazionale tramite apposite misure di supporto". (10 marzo 2011)
IL CASO Lte, a rischio l'asta da 2,4 mld per la banda larga mobile E' quanto il governo prevede di ricavare - come scritto nella Finanziaria - dalla vendita delle frequenze a 2,6 GHz. Sono dei militari, ma la Difesa vuole soldi. Se ne potrebbero liberare alcune a 800 MHz, finora in mano alle tv locali. Che però minacciano battaglia. E l'Italia accumula ritardi di ALESSANDRO LONGO Lte, a rischio l'asta da 2,4 mld per la banda larga mobile RISCHIA di saltare l'asta frequenze da cui il governo conta di ricavare 2,4 miliardi di euro. E' una brutta notizia non solo per le finanze pubbliche - quei soldi erano già messi in conto come copertura per l'attuale Legge di Stabilità 1 - ma anche per il futuro della banda larga mobile. Le frequenze per cui ci dovrebbe essere l'asta bandita dal ministero allo Sviluppo Economico, infatti, sono necessarie per dare più risorse alle reti senza fili. Principalmente all'Umts/Hspa e alla quarta generazione di banda larga mobile (l'Lte, Long term evolution). Servono quindi per consentire agli utenti di navigare più veloci su reti mobili (fino a 100 Megabit) e usare servizi internet innovativi. Il governo deve però superare molti problemi di natura politica, prima di poter realizzare l'asta. L'ultima goccia è l'assenza delle frequenze a 2.6 GHz, tra le porzioni di spettro ad oggi disponibili per l'asta: è quanto si legge nella bozza di decreto 2 di revisione del Piano nazionale di ripartizione delle frequenze. Il motivo è che quelle frequenze sono in mano alla Difesa, che è disposta a cederle allo Sviluppo Economico solo a fronte di un corrispettivo economico. E' lo stesso motivo che ha fatto ritardare per mesi l'asta per il WiMax (tecnologia banda larga senza fili). Una buona notizia per le reti mobili, invece, è che, secondo la bozza di decreto, sono stati dislocati i canali dal 61 al 69 dello spettro a 800 MHz. Sono risorse preziosissime per estendere la copertura e la capacità della banda larga mobile e finora sono state in mano alle tv locali. Già questa potrebbe essere una rivoluzione, a patto che vada in porto, nonostante i tanti bastoni tra le ruote: per la prima volta, risorse controllate dalle tv servirebbero a sostenere la banda larga. Una decisione già presa, formalmente, dai principali Paesi europei. La Germania, in particolare, ha già bandito un'asta con gli 800 MHz e i 2.6 GHz. I Paesi scandinavi hanno già fatto quella per i 2.6 GHz. Queste frequenze servono in particolare per sostenere le femtocelle, cioè celle di rete mobili personali, installabili in case e uffici per migliorare copertura e la qualità del servizio di singoli utenti. "L'assenza dei 2.6 GHz può essere determinante per le sorti dell'asta, ma mi sembra che, in senso assoluto, questa sia minacciata di più dalla polemica sugli 800 MHz", dice Antonio Sassano, docente dell'università di Roma La Sapienza e padre dell'attuale Piano Frequenze. Le tivù locali assicurano che faranno battaglia contro la perdita dei canali 61-69. Le principali associazioni di categoria, Frt e Aeranti Corallo, saranno in audizione giovedì al ministero, ma la loro posizione è già nota: reputano che il governo stia facendo "due pesi e due misure"; a loro vuole sottrarre risorse, mentre è disposto a dare altre frequenze gratis alle tv nazionali, tramite il beauty contest del digitale terrestre (una specie di asta dedicata alle emittenti e prevista nei prossimi mesi). Insomma, in un clima già acceso dalle polemiche delle tv locali, il braccio di ferro sulle 2.6 GHz, tra Difesa e Sviluppo Economico, rischia di dare davvero il colpo finale alle ambizioni miliardarie del governo. E al futuro della banda larga mobile italiana. (10 marzo 2011)
FINANZIARIA Un altro schiaffo a cultura e spettacolo congelati 27 mln dal Fus, protesta ministero I soldi bloccati dal Fondo unico dello spettacolo, già ridotto a 258 milioni di euro. Per rimediare a mancati introiti che il ministero dell'Economia aveva previsto nella legge Finanziaria. Bondi: "Siamo sgomenti e interdetti". Il Pd: "Tremonti responsabile di una catastrofe" Un altro schiaffo a cultura e spettacolo congelati 27 mln dal Fus, protesta ministero Dal governo ancora tagli al Fondo unico per lo spettacolo ROMA - Un altro brutto colpo per la cultura e gli spettacoli in Italia. Dell'attuale stanziamento del Fus, il Fondo unico per lo spettacolo, già ridotto quest'anno a 258 milioni di euro, sono stati congelati altri 27 milioni. Lo prevedono alcuni commi della Finanziaria che rinviano a provvedimenti del ministero dell'Economia riguardanti eventuali scostamenti dagli introiti preventivati dalla vendita delle frequenze del digitale terrestre alle compagnie telefoniche. Un provvedimento che non piace al ministero dei Beni culturali: "Siamo sgomenti e interdetti", si legge in una nota, "è un'amara sorpresa". I 27 milioni - secondo quanto si è appreso - non potranno comunque essere utilizzati fino alla fine dell'anno, anche qualora la vendita delle frequenze avesse buon esito. Quindi, di fatto, non potranno essere utilmente ripartiti fra le diverse voci del Fus. "Si tratta - aggiungono dal ministero dei Beni culturali - di un altro colpo alle risorse destinate alla cultura, che è difficile da spiegare e ancor più da accettare". Ad oggi dunque il Fondo unico per lo spettacolo assomma di fatto a 231 milioni di euro in tutto, detratti dei 27 milioni congelati. E' sulla base di questa cifra che la Consulta dello spettacolo (che già la settimana scorsa non si è riunita) sarà chiamata a dare il proprio parere per la ripartizione dei fondi Fus nelle diverse realtà: cinema, musica, danza e così via. Duro il commento dell'opposizione. "E' la dimostrazione definitiva della volontà di colpire una delle eccellenza del nostro Paese - afferma Matteo Orfini, responsabile Cultura e informazione della segreteria nazionale del Partito democratico - il tutto mentre il ministero dello Spettacolo è acefalo. Ci permettiamo di dare un suggerimento al governo: diano l'interim dei Beni culturali a Tremonti, così almeno uno dei principali responsabili di questa catastrode potrà rendersi conto personalmente dei danni che sta provocando". (09 marzo 2011)
E sul governo: "Il piano per uscire dalla crisi economica appare scarsamente ambizioso" "Choc petrolifero, è a rischio la ripresa" L'allarme di Confindustria: c'erano segnali positivi, ma il rincaro delle materie prime potrebbe creare ostacoli E sul governo: "Il piano per uscire dalla crisi economica appare scarsamente ambizioso" "Choc petrolifero, è a rischio la ripresa" L'allarme di Confindustria: c'erano segnali positivi, ma il rincaro delle materie prime potrebbe creare ostacoli (Ap) (Ap) ROMA - In Italia "si osservano segnali più decisi di accelerazione" della ripresa economica, "anche se rimane ampio il divario di crescita con le altre nazioni". Ma, indica Confindustria, in questo scenario "si sono inseriti nuovi fattori di rischio". Come "lo choc rappresentato dal rincaro delle materie prime ed in particolare del petrolio" che "rischia di rallentare sensibilmente la ripresa nei paesi avanzati". Lo ha spiegato il direttore generale di Viale dell'Astronomia, Giampaolo Galli, in una audizione alla Camera. Un prezzo a 115 dollari al barile, ha puntualizzato, "può comportare un minor livello del Pil italiano di circa lo 0,7% in due anni a parità di altre condizioni". GOVERNO POCO AMBIZIOSO - Il rincaro delle materie prime può avere effetti recessivi che, avverte Confindustria, "possono essere aggravati dai rialzi dei tassi di interesse annunciati dalle autorità monetarie e dal conseguente apprezzamento del cambio dell'euro". Mentre il piano presentato dal governo all'Europa, nel contesto degli obiettivi 2020 e del percorso di uscita dalla crisi, "nella sua versione provvisoria" appare "scarsamente ambizioso, specie alla luce del ritardo accumulato nell'ultimo decennio dall'Italia". In Italia serve, in un contesto europeo, "una riflessione seria e condivisa sulle strozzature che ostacolano la crescita del nostro Paese e sulle politiche che possono e devono essere messe in campo per tornare ad essere competitivi in Europa e nel mondo", sottolinea il dg di Confindustria. LO SCENARIO DELLA CRISI - Lo scenario della crisi illustrato ai parlamentari da Giampaolo Galli indica una ripresa globale che ad inizio 2011 "ha dato nuovi e ancor più convincenti segni di rafforzamento e diffusione, con il coinvolgimento delle principali economie avanzate, a cominciare da Stati Uniti e Germania". In questo contesto "anche in Italia si osservano segnali più decisi di accelerazione, soprattutto dell'industria manifatturiera, con una significativa riduzione della cassa integrazione, anche se rimane ampio il divario di crescita con le altre nazioni, divario esistente prima della crisi e che si è confermato da quando a metà 2009 la ripresa globale è cominciata". È uno scenario oggi "favorevole" nel quale "si sono inseriti nuovi fattori di rischio che si sono aggiunti a quelli più volte indicati" da Confindustria: tra i quali, ricorda Galli, l'alta disoccupazione soprattutto giovanile, le difficoltà di accesso al credito, la crisi dei debiti sovrani e l'aumento dei debiti pubblici, difficoltà nel settore immobiliare, gli squilibri commerciali a livello globale. Oggi si aggiunge "lo shock" dell'aumento delle materie prime. Ed in particolare del petrolio che, "dovuto in parte a ragioni geopolitiche", rischia di frenare la ripresa. Redazione Online 10 marzo 2011
2011-03-06 IL DOSSIER L'uragano di tagli del governo sull'istruzione Il prossimo anno saltano altre 20 mila cattedre Anche il personale non docente subirà un nuovo salasso: avrà 14 mila posti in meno. Sono state 45 mila, pari al 51% del totale, quelle eliminate nelle regioni meridionali di SALVO INTRAVAIA L'uragano di tagli del governo sull'istruzione Il prossimo anno saltano altre 20 mila cattedre ROMA - Mentre per le scuole paritarie il premier auspica un Buono-scuola, le statali vengono colpite da un autentico uragano di tagli. In tre anni di governo Berlusconi, insegnanti, alunni, dirigenti scolastici, bidelli, assistenti amministrativi, tecnici di laboratorio, supplenti e genitori hanno dovuto fare i conti con "risparmi" su tutti i capitoli: posti in organico, fondi e addirittura ore di lezione. Del resto, il buongiorno si vede dal mattino: nella prima Finanziaria, quella estiva del 2008, il governo somministrò alla scuola pubblica una vera e propria cura da cavallo: 132 mila posti in meno in un triennio e "sforbiciata" per 8 miliardi di euro netti. Meno cattedre. La maggior parte del bilancio del ministero dell'Istruzione, circa il 94 per cento del totale, se ne va in stipendi del personale. E per "risparmiare" occorre tagliare le cattedre. Nel mese di giugno del 2008 il ministro Tremonti presentò il conto alla collega, Mariastella Gelmini: 87400 cattedre in meno in tre anni (45 mila al sud, pari al 51%)). Per il prossimo anno ne dovranno eliminare 19700. Risultato: riduzione delle ore di lezione per gli alunni e disoccupazione per migliaia di precari. Bidelli, assistenti amministrativi e tecnici di laboratorio. La scure non ha risparmiato il cosiddetto personale non docente: bidelli, assistenti amministrativi e tecnici di laboratorio. L'ultima tranche di tagli prevede 14 mila posti in meno, che si aggiungono ai 30 mila già tagliati l'anno scorso e quest'anno. I supplenti. Anche nella scuola a pagare la "manovra" sono i più deboli: i supplenti. I dati dell'anno in corso non sono ancora disponibili, ma basta citare quelli degli ultimi due anni per comprendere la portata del fenomeno. In appena due anni, dal 2007/2008 al 2009/2010 quasi 25 mila supplenti con incarichi annuali hanno dovuto dire addio a stipendio e incarico. Le classi. Nonostante il numero degli alunni in Italia non sia mai diminuito, in un triennio (dal 2007/2008 al 2010/2011) le classi sono calate di 10.617 unità. Va da sé che le classi sono sempre più affollate e non mancano aule con 30 o addirittura 35 alunni stipati dentro. I fondi. Nel 1997 la scuola italiana entrò nell'era dell'Autonomia. Venne così stanziato un apposito budget che annualmente viene ripartito tra le 10 mila scuola del Paese. Anche questi trasferimenti sono stati colpiti: nel 2008 i fondi per la cosiddetta legge 440/97 sfioravano i 186 milioni. Due anni dopo si assottigliano a 127 milioni: meno 32 per cento. Ore di lezione. La riforma Gelmini della scuola elementare (ora primaria), media e superiore si basa su un enorme incisione alle ore di lezione. Alle elementari le famiglie possono scegliere quattro moduli-orario: 24, 27, 30 e 40 ore settimanali. Alla media, le ore di lezione alla settimana passano a 30. In passato, le scuole elementari e medie funzionavano con un maggior numero di ore. Ma è alle superiori - a settembre scatta il secondo anno di riforma - che le ore di lezione vengono falcidiate. La Relazione tecnica parla chiaro: per tagliare le 87 mila cattedre previste, a regime, tutti gli studenti dei licei staranno in classe per 71 mila ore di lezione in meno, quelli dei tecnici riusciranno a evitare 240 mila ore di lezione a settimana e 223 mila in meno i compagni degli istituti professionali. Inglese alla primaria. La scuola italiana non riesce a pagare 11200 insegnanti specialisti di inglese alla primaria. Per questa ragione la manovra Tremonti-Gelmini prevede la loro riconversione in insegnanti comuni. L'Inglese ai bambini dell'elementare verrà impartito da insegnanti che nel frattempo avranno seguito un corso di 400 ore. Tempo prolungato alle medie. Tre anni fa le classi con orario a Tempo prolungato (fino alle 16) rappresentavano il 29 per cento del totale. Quest'anno sono il 21 su cento. (06 marzo 2011)
2011-03-03 LA PROTESTA Cgil: sciopero generale il 6 maggio "In piazza per cambiare il Paese" La data della protesta, che sarà di 4 ore, annunciata a Modena dal segretario Susanna Camusso: "Una scelta di responsabilità, sarà una grande mobilitazione". Obiettivo: dare una scossa al governo partendo dalle emergenze del mondo del lavoro Cgil: sciopero generale il 6 maggio "In piazza per cambiare il Paese" Susanna Camusso, segretario generale della Cgil MODENA - Lo sciopero generale della Cgil sarà il 6 maggio. Lo ha annunciato il segretario generale, Susanna Camusso, parlando all'attivo dei delegati di Modena. Lo sciopero sarà di quattro ore con manifestazioni territoriali. La ragione fondamentale della protesta è dare una scossa al Paese per sollecitare un cambiamento a partire dalle emergenze del lavoro e dell'economia. "Partiamo fin da ora con una serie di iniziative - ha aggiunto - . Sarà una grande mobilitazione per tutto il paese". "La situazione che stiamo vivendo è difficile - aveva detto pochi giorni fa Camusso - . Ce ne rendiamo conto. Noi però vogliamo dare una scossa al governo partendo dai problemi del lavoro che è e rimane una emergenza dimenticata". La richiesta della giornata di sciopero generale era stata approvata dal direttivo Cgil: "Il governo sta affossando il Paese", aveva affermato Susanna Camusso, e "sulla base di questo giudizio" proclamare lo sciopero generale per la Cgil è "una scelta di responsabilità". La motivazione politica ("Nel senso alto della parola politica, se no nascono polemiche", aveva precisato Camusso) dietro la decisione del sindacato era stata rimarcata dal segretario generale anche ai microfoni di Rai 3: "Noi abbiamo annunciato lo sciopero generale perché pensiamo che questa sia l'epoca della responsabilità e che ognuno deve mettere in campo ciò che lo rappresenta e che può cambiare questo paese". "La Cgil deve essere quel filo - ha detto la Camusso parlando all'attivo dei delegati modenesi - per cui la nostra mobilitazione tiene aperta la speranza: ogni volta che l'allarghiamo abbiamo rotto un pezzetto di quell'individualismo. Un'organizzazione come la nostra deve immaginare la sua mobilitazione in un tempo lungo. Ma anche in un tempo che è ogni giorno nel rapporto su cosa può succedere col governo, sulla campagna sulla democrazia, nell'idea che sui valori della costituzione, della democrazia, della scuola chiamiamo altri insieme a noi. Non conosco nessun altro modo per farlo che andare giorno per giorno a fare assemblee e ricostruire la motivazione, provare a discutere anche con chi è iscritto a Cisl e Uil. Per questo - ha concluso Camusso - serve una straordinaria campagna di assemblee nei luoghi di lavoro in vista dello sciopero generale che sarà il 6 maggio". Nell'analisi della Cgil, lo scenario economico italiano è preoccupante perché lascia intravvedere una ripresa "senza occupazione", mentre sono drammatici i dati sulla disoccupazione giovanile quasi al 30%, "perché è stabile e non ci sono segni di cambiamento ed evoluzione positiva". La decisione dello sciopero generale era stata presa la scorsa settimana dal comitato direttivo nazionale della Cgil che aveva dato mandato alla segreteria confederale di decidere data e modalità della protesta. Il documento approvato dal direttivo riassumeva le questioni più spinose del mondo del lavoro per le quali veniva votato lo sciopero: "E' necessario rimettere al centro il tema del lavoro e dello sviluppo - si leggeva tra l'altro - , riconquistare un modello contrattuale unitario e battere la pratica degli accordi separati, riassorbire la disoccupazione, contrastare il precariato, estendere le protezioni sociali e ridare fiducia ai giovani. Serve una nuova stagione fatta di obiettivi condivisi e rispettosi della dignità del lavoro e serve definire le regole della democrazia e della rappresentanza". A fronte della proclamazione dello sciopero generale, la Funzione pubblica della Cgil ha revocato l'astensione dal lavoro già indetta per il 25 marzo con la Flc-Cgil: la protesta dei lavoratori dei settori pubblici e privati che erogano servizi di pubblica utilità "confluirà quindi nella protesta generale" e sarà di 8 ore. Lo sciopero della Cgil a dieci giorni dalle elezioni amministrative, ha commentato il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, "corrisponde alla richiesta della Fiom ed è purtroppo atto atteso e scontato in chi da tempo ha fatto la scelta, tutta politica, di supplire alla debole opposizione parlamentare". Per quanto limitata, ha aggiunto Sacconi, "l'interruzione della produzione non aiuta la ripresa". (03 marzo 2011)
LAVORO Cassa integrazione, balzo a febbraio boom per cig straordinaria e in deroga Rispetto a gennaio, le ore richieste sono cresciute del 17% e in settori come l'edilizia è negativo anche il raffronto con lo stesso mese del 2010. L'Inps: "I dati dicono che la ripresa è debole, ma costante". Le preoccupazioni dei sindacati Cassa integrazione, balzo a febbraio boom per cig straordinaria e in deroga ROMA - Ripartono le richieste di cassa integrazione a febbraio: le aziende italiane - rileva l'Inps - hanno chiesto all'Istituto di previdenza l'autorizzazione per 70,6 milioni di ore di cassa integrazione con un aumento del 17,2% rispetto a gennaio, mese nel quale si era registrata una forte frenata. Secondo l'Inps, il "rimbalzo" era atteso. Rispetto a febbraio 2010 si è registrato un calo delle ore autorizzate del 27,3% (allora furono 97,1 milioni). Complessivamente, nei primi due mesi dell'anno le ore autorizzate sono state 130,9 milioni a fronte di 178 milioni dei primi due mesi del 2010 con un calo del 26,5%. Come sempre, la lettura dei dati si offre a interpretazioni diverse. Al consueto ottimismo del presidente Inps fanno da contraltare le preoccupazioni dei sindacati: "Si tratta di una diminuzione consistente - afferma il presidente Antonio Mastrapasqua -, più di un quarto rispetto all'anno scorso, che conferma i segnali di ripresa nel mondo del lavoro. Ripresa debole forse, discontinua, ma costante: questo è quello che emerge dai numeri della cig". Per il sindacato, invece, preoccupa il fatto che la ripresa della cig a febbraio dipenda dal boom, rispetto a gennaio, della cassa straordinaria (22,4%) e della cassa in deroga (+23%) e dunque a situazioni di difficoltà protratte nel tempo e spesso più legate a reali situazioni di crisi che a esigenze contingenti di rallentamento della produzione. Nel raffronto con febbraio dello scorso anno, quando la crisi era quasi al culmine, i dati sono inevitabilmente positivi: la cassa integrazione ordinaria (cigo) diminuisce del 51% (19,2 milioni di ore contro 39,1), la cassa straordinaria (cigs) scende del 17% (da 35,1 milioni di ore a 29,1 milioni) e la cassa in deroga (cigd) scende del 2,6% (da 22,9 milioni a 22,3 del febbraio 2011). Il calo maggiore, se si guarda ai settori, ha riguardato le imprese artigiane (-51,4%), mentre nell'industria la riduzione c'è stata soprattutto nella cig ordinaria. L'edilizia e le costruzioni, dove ancora non si vedono segnali di ripresa, le richieste di cig ordinaria sono persino salite rispetto al febbraio 2010 (+19,2%). Sempre rispetto a un anno fa - il raffronto è tra i mesi di gennaio - calano anche le domande di disoccupazione e mobilità; per le prime si registrano 102mila domande il mese scorso contro le oltre 111mila del 2010 (-8,3%); per le seconde si è passati dalle 13.600 del 2010 alle 11.980 del gennaio scorso (-12,28%). "Il diminuito ricorso alla cassa integrazione - commenta il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi - indica che la ripresa si sta traducendo nella rioccupazione in primo luogo delle persone che hanno beneficiato di sostegno al reddito mantenendo il rapporto di lavoro. Ora - aggiunge - si tratta di accentuare nella dimensione regionale le attività di accompagnamento ad un altro rapporto di lavoro per coloro che si trovano in condizione di esubero strutturale e non hanno quindi speranza di rientro nella precedente occupazione". La ripresa della cig non va sottovalutata, invece, per Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil; in particolare, dice Loy, "la crescita della cassa in deroga sottolinea l'ancora ampio effetto della crisi nel sistema delle piccole e medie imprese che, in gran parte, non hanno intercettato i possibili segnali di ripresa. Resta intatto e prioritario il tema della costruzione di politiche attive, formazione e non solo, per gli oltre 300.000 Lavoratori in cassa integrazione per consentire loro un rapido rientro nel sistema produttivo", conclude Loy. "Il persistere di Situazioni di lungo utilizzo degli ammortizzatori sociali - dice invece Giorgio Santini, segretario generale aggiunto della Cisl - ed, in particolare, della cassa integrazione comporta tre urgenze fondamentali: la firma di un nuovo accordo quadro governo, regioni, parti sociali sull'utilizzo degli ammortizzatori in deroga, il varo di incentivi mirati per la stabilizzazione e le nuove assunzioni e un investimento economico e culturale, regione per regione, su formazione, politiche attive del lavoro e processi individuali e collettivi di ricollocazione". (03 marzo 2011)
2011-03-02 LAVORO Marcegaglia: "Affrontare flessibilità in uscita" Replica Camusso: "Ma l'articolo 18 non si tocca" La presidente degli industriali sposa la "linea Marchionne", per una contrattazione aziendale mirata a maggiore produttività e maggior salario. Plaude il ministro del Lavoro Sacconi, secco no del segretario generale Cgil: "Il pensiero corre all'articolo 18 e al tentativo di destrutturare lo Statuto dei lavoratori" Marcegaglia: "Affrontare flessibilità in uscita" Replica Camusso: "Ma l'articolo 18 non si tocca" Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria ROMA - Scambio di colpi tra Emma Marcegaglia e Susanna Camusso sul tema della flessibilità. In Italia, afferma la presidente di Confindustria, non esiste solo un problema di flessibilità in entrata, "forse eccessiva, con strumenti che vanno tarati". La flessibilità, per Marcegaglia, ha un corrispettivo anche in termini di uscita dal mercato del lavoro. Ed è, questo, un problema "che prima o poi va affrontato, non possiamo continuare ad eluderlo". Assieme al plauso del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, arriva a stretto giro la secca replica di Susanna Camusso: "Il pensiero corre immediatamente all'articolo 18 e al tentativo, che ha in mente Sacconi, di destrutturazione dello Statuto dei lavoratori. Questo non ha nulla a che vedere con la realtà di oggi del Paese, con i problemi che dobbiamo proporci". La presidente di Confindustria parla a margine di un convegno dedicato a contrattazione e cassa integrazione in Germania e Italia. La Germania, ricorda Marcegaglia, cresce a un ritmo del 3,6%, mentre l'Italia viaggia sull'1,3% e questo perché la crisi è stata fronteggiata in maniera diversa ma anche per differenze strutturali del sistema. L'Italia ha superato la crisi ricorrendo a un uso massiccio della Cig, "usata anche per coprire la disoccupazione", mentre in Germania "la cassa integrazione è usata per ridurre le ore di lavoro". E su questo, invita Marcegaglia, "si deve riflettere". Quanto alla cassa integrazione in deroga, "è stata utile perché con la crisi non è stato possibile riformare gli ammortizzatori sociali". Guardando al domani, per Marcegaglia la Cigd "va vista come uno strumento eccezionale per gestire la crisi, altrimenti c'è il rischio che la ripresa arrivi e si continua a usarla". Altro nodo da sciogliere, secondo la presidente degli industriali, è la deroga al contratto nazionale, che va esplorata nella logica di "sposare con la contrattazione aziendale un maggiore livello di produttività e pagare più salario". Come Confindustria, spiega Marcegaglia, "stiamo ragionando sul tema dell'opting out", ossia l'uscita temporanea di un'impresa dall'associazione alla quale è iscritta per contratti collettivi aziendali in deroga dei contratti nazionali, la strada seguita da Marchionne per gli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori. "Solo il 3% delle aziende usa l'opting out - sottolinea la presidente di Confindustria - una possibilità che in Germania c'è dal 2005. In un momento di grande discontinuità dobbiamo avere la capacità di concordare regole per raggiungere livelli più elevati di produttività e di salari". Insieme ai sindacati, come parti sociali, "dobbiamo scegliere se questo percorso lo vogliamo subire o gestire", aggiunge Marcegaglia, sottolineando: "Come Confindustria, lo vorrei gestire". Chiamata in causa, Camusso risponde alla leader degli industriali a margine del convegno su "Donne e lavoro oggi". E osserva che quando Marcegaglia chiede più flessibilità in uscita dal mercato del lavoro, "il pensiero corre immediatamente" all'articolo 18 e "ai tentativi di destrutturare lo Statuto dei lavoratori, che ha in mente Sacconi". Misure che, avverte la Camusso, "non hanno niente a che fare con la realtà di oggi e con i problemi che dobbiamo porci". Sacconi, invece, sottoscrive il richiamo della numero uno degli industriali. "Ha ragione - dichiara il ministro del Lavoro - quando sottolinea l'esigenza di completare la regolazione del mercato del lavoro e dei rapporti di lavoro. Così come fa bene, dal punto di vista del metodo, a voler cercare su ciò un'intesa con le altre parti sociali. Si tratta dello stesso esercizio di ricerca di un avviso comune che noi abbiamo sollecitato offrendo la bozza di un disegno di legge delega per un moderno Statuto dei lavori che potrebbe realizzarsi in questa legislatura". (02 marzo 2011)
L'INDAGINE Giovani, il primo stipendio è di 800 euro ma è più basso se sei donna o lavori al Sud Una ricerca di DataGiovani conferma le preoccupazioni espresse dal governatore Mario Draghi. I salari di ingresso nel mercato sono ridotti e presentano grandi discriminazioni per area geografica, per sesso e per settore Giovani, il primo stipendio è di 800 euro ma è più basso se sei donna o lavori al Sud ROMA - Per loro il tasso di disoccupazione, misurato dall'Istat a febbraio, tocca il 29,4%. Significa che al di sotto dei trent'anni quasi un giovane su tre non ha un lavoro, mentre crescono l'inattività e l'instabilità. A sottolineare quest'ultimo aspetto della disoccupazione giovanile in Italia è stato pochi giorni fa il governatore della Banca d'Italia 1: "I salari di ingresso dei giovani sul mercato del lavoro - ha detto Mario Draghi - in termini reali sono fermi da oltre un decennio su livelli al di sotto di quelli degli anni Ottanta. Si accentua la dipendenza, già elevata nel confronto internazionale, dalla ricchezza e dal reddito dei genitori, un fattore di forte iniquità sociale". Quali sono questi salari di ingresso? Li ha calcolati ed esaminati DataGiovani, un gruppo di ricerca padovano che studia la realtà giovanile italiana ed ha esaminato, per la sua analisi, i più recenti dati Istat sulle retribuzioni dei dipendenti under 30 al primo impiego, desumibili dalla rilevazione sulle forze lavoro del terzo trimestre 2010. La rilevazione è stata fatta sull'ultima retribuzione mensile netta percepita, escluse altre mensilità e voci accessorie non percepite regolarmente tutti i mesi. "Lo stipendio medio di un giovane con meno di 30 anni che si è affacciato da non più di un anno nel mercato del lavoro - afferma l'indagine - supera di poco gli 800 euro mensili, ma con differenziazioni anche consistenti se si guarda alla sua residenza, al sesso, al settore di impiego ed al titolo di studio". Così, rispetto alla media di 823 euro mensili, un giovane assunto al Nord guadagna 53 euro di più; un uomo percepisce in media quasi 150 euro più di una donna; chi lavora nell'industria arriva a prendere fino a 280 euro più di un coetaneo impiegato nel commercio, mentre il possesso di una laurea frutta almeno mille euro mensili. Nel dettaglio, il salario medio dei giovani neoassunti al Nord è in media di 876 euro, mentre nel Mezzogiorno non supera i 750 euro (quasi 130 euro di differenza, il 6%). Quanto al divario tra i sessi, i neoassunti maschi sfiorano i 900 euro mensili contro i 750 delle ragazze. Il gap, tra l'altro, tenderà ad aumentare nel corso della carriera lavorativa. Nel corso del 2010, dice la ricerca, poco più di 416mila giovani con meno di 30 anni sono passati dalla ricerca di una prima occupazione o dall'inattività alla condizione di occupato; di questi oltre tre quarti in un rapporto di dipendenza, l'11% in collaborazione e il 13% come lavoratore autonomo. (02 marzo 2011)
2011-03-01 Mercato Italia a -20,5% febbraio è ancora in rosso Nel mese scorso sono state immatricolate 160.329 nuove: è il peggior risultato dal 1995. Fiat in questo scenario ha visto le sue immatricolazioni scendere 27,09% attestandosi a 45.527 unità. Bene l'usato che cresce dell'11,5%di VINCENZO BORGOMEO Mercato Italia a -20,5% febbraio è ancora in rosso * Dossier * TABELLE (Pdf) * Fiat: obiettivo 6 milioni di auto nel 2014 Niente da fare, il mercato dell'auto in Italia non ne vuole proprio sapere di ritornare a crescere: a febbraio le immatricolazioni hanno fatto segnare un nuovo calo, pari al 20,49%. Certo, un calo atteso ("dato che, dopo la fine dell'effetto incentivi, nell'aprile scorso la domanda è crollata su livelli molto depressi e per giunta nel primo trimestre di quest'anno il confronto si fa con un periodo del 2010 ancora fortemente sostenuto dai bonus statali", spiegano al Centro Studi Promotor) ma la situazione non cambia e gli analisti prevedono numeri in rosso anche a marzo, con una vaga ripresa ad aprile. Vedremo, ma è oggettivamente difficile essere ottimisti se consideriamo che nel mese scorso sono state immatricolate appena 160.329 nuove: il peggior risultato dal 1995, quando le immatricolazioni furono 154.500. Cresce in pratica solo il mercato dell’usato che sempre a febbraio ha fatto segnare una crescita dell’11,5%, con 408.440 unità, in linea con l’incremento del 1° bimestre (+11,1%). Insomma "Mancano all'appello - come spiega Filippo Pavan Bernacchi, Presidente di Federauto, l'associazione che raggruppa i concessionari ufficiali di tutti i marchi automobilistici commercializzati in Italia - la bellezza di 41.300 vetture che rappresentano per i Concessionari un fatturato mancato di 826 milioni di euro. Di conseguenza, nelle casse dello Stato, solo considerando questo mese, entreranno 138 milioni di iva in meno, cui si dovranno aggiungere i bolli e altre tasse, tra cui quelle provinciali". Un disastro dal punto di vista economico di cui il governa probabilmente ignora la portata. E la 'nostra' Fiat? Il colosso torinese in questo scenario ha visto le sue immatricolazioni scendere 27,09% attestandosi a 45.527 unità, contro le 62.441 di febbraio 2010. A gennaio le vendite del gruppo torinese avevano subito poi una flessione del 27,76% a quota 47.918 unità. "Un calo - spiegano a Torino - parzialmente giustificato dal fatto che all'inizio del 2010 le consegne di vetture nuove erano particolarmente numerose grazie agli ultimi mesi di presenza degli incentivi alla rottamazione". In Fiat si sottolinea però come, anche se complessivamente la quota è del 28,4 per cento, in diminuzione di 2,6 punti rispetto un anno fa "va tuttavia messo in evidenza che i risultati ottenuti a febbraio sono sostanzialmente allineati a quelli degli ultimi mesi" con immatricolazioni di Fiat Group che nel primo bimestre sono state pari a quasi 94 mila vetture, il 27,4 per cento in meno rispetto al 2010. Per quanto riguarda i singoli brand a Torino si sottolinea come "a febbraio Fiat ha immatricolato quasi 32 mila vetture, il 33,9 per cento in meno rispetto a un anno fa, raggiungendo una quota del 19,95 per cento, in calo di 4,1 punti percentuali". Tuttavia i modelli di punta del marchio occupano sempre le posizioni di vertice nella classifica delle auto più vendute: in particolare "la Punto ha una quota in febbraio del 21,1 per cento nel segmento B ed è l'auto più venduta, seguita dalla Panda con il 33,7 per cento nel segmento A". © Riproduzione riservata (01 marzo 2011)
2011-02-26 ISTAT Grandi imprese, occupazione in calo dell'1,6% Crescono le retribuzioni, +1,5% rispetto a 2009 I posti di lavoro sono diminuiti soprattutto nel settore industriale e dei servizi. L'istituto di statistica rileva che si tratta del dato peggiore registrato dal 2006 Grandi imprese, occupazione in calo dell'1,6% Crescono le retribuzioni, +1,5% rispetto a 2009 ROMA - L'occupazione nelle grandi imprese nel 2010 è diminuita dell'1,6% rispetto al 2009. Lo rileva l'Istat precisando che il dato è al lordo della cassa integrazione. Al netto della cassa l'occupazione nel complesso delle imprese con oltre 500 dipendenti è diminuita dell'1%. Si tratta del dato peggiore dal 2006, anno di inizio della serie storica. Nel 2009 il calo tendenziale nel complesso era stato dell'1,5%. Nel 2010, rileva l'Istat, è diminuita soprattutto l'occupazione nelle grandi imprese industriali: nelle grandi aziende del comparto infatti l'occupazione è diminuita del 2,5% al lordo della cig mentre è scesa solo dello 0,7% al netto della cassa (molto utilizzata nel 2009). Nei servizi invece nell'intero anno l'occupazione è diminuita dell'1,2% al lordo della cassa e dell'1,3% al netto della cassa integrazione. Nel complesso delle grandi imprese si è registrato nell'anno un calo dell'1,6% dell'occupazione al lordo della cassa e dell'1% al netto della cassa. Al lordo della cassa se si considera la base di 2.1 milioni di lavoratori occupati nelle grandi aziende i posti di lavoro persi nell'anno sono circa 33.000. Nei soli servizi il calo è stato di 15.000 posti mentre nell'industria è stato di 18.000 posti. Nel solo mese di dicembre l'occupazione è aumentata nelle grandi imprese industriali su base congiunturale sia al lordo (+0,1%) sia al netto (+0,6%) della cassa integrazione. Su base tendenziale i dati restano negativi con un calo dell'1,9% al lordo della cassa integrazione e una diminuzione dello 0,8% al netto della cassa. Nei servizi l'occupazione è rimasta invariata rispetto a novembre (sia al lordo che al netto della cassa) mentre e" diminuita rispetto a dicembre 2009 (-0,6% al lordo e -0,7% al netto della cassa integrazione) Retribuzione. In aumento dell'1,5% le retribuzioni nelle grandi imprese. A dicembre, invece, rispetto a dicembre 2009 l'aumento della retribuzione lorda per dipendente è stato dello 0,9%. Per ora lavorata la retribuzione lorda ha fatto registrare a dicembre un aumento (al netto della stagionalità) dello 0,9% rispetto al mese precedente. La variazione tendenziale, misurata sull'indice grezzo, è stata di -1,6 per cento. Nella media del 2010 la retribuzione lorda per ora lavorata ha registrato un incremento dell'1,2 per cento rispetto alla media dell'anno precedente. La retribuzione lorda per dipendente per la sola componente continuativa ha registrato un aumento dell'1,9 per cento rispetto a dicembre 2009 e dell'1,7 in media annua. A dicembre, nelle grandi imprese dell'industria la retribuzione lorda per ora lavorata è aumentata (al netto della stagionalità) dello 0,9% rispetto al mese di novembre. L'indice grezzo ha registrato una diminuzione dell'1,7% rispetto a dicembre 2009 e un aumento dello 0,3% nel confronto tra la media del 2010 e quella dell'anno precedente. La variazione tendenziale della retribuzione lorda per dipendente è stata di +2,3% rispetto a dicembre 2009 e di +1,7% nel confronto tra la media del 2010 e quella del 2009. Per la sola componente continuativa, si è registrato un aumento tendenziale del 3,2% a dicembre e del 2,6% nella media dell'anno. Nelle grandi imprese dei servizi la retribuzione lorda per ora lavorata ha segnato, al netto della stagionalità, una diminuzione dello 0,4% rispetto al mese precedente. In termini tendenziali, l'indice grezzo della retribuzione lorda per ora lavorata ha registrato una diminuzione dell'1,6%. Nel confronto tra gennaio-dicembre del 2010 e il medesimo periodo dell'anno precedente vi è stata una crescita dell'1,8%. La retribuzione lorda per dipendente è aumentata, in termini tendenziali, dello 0,1% a dicembre e dell'1,4% nei dodici mesi del 2010. Per la sola componente continuativa, si sono registrati incrementi dell'1,1% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente e dell'1,3% nel confronto tra la media del 2010 e quella del 2009. Il costo del lavoro per ora lavorata nelle grandi imprese ha registrato, a dicembre, una variazione congiunturale di +0,4% (al netto della stagionalità). L'indice grezzo è diminuito dell'1,3% in termini tendenziali a dicembre ed è aumentato dell'1,2% nella media annua del 2010. Il costo del lavoro per dipendente è cresciuto dell'1,1% nel confronto tendenziale relativo al mese di dicembre e dell'1,5% in quello relativo alla media dell'anno. (25 febbraio 2011)
FINANZA La crisi non tocca casa Berlusconi 118 milioni di dividendi per il premier Conti d'oro, malgrado la recessione, per le aziende di famiglia del presidente del consiglio. Dai bilanci chiusi il 30 settembre Marina ha incassato cedole per 12 milioni di euro e Piersilvio per 5 milioni. Nelle casse delle 4 holding personali del capofamiglia circa 544 milioni di liquidi di ETTORE LIVINI La crisi non tocca casa Berlusconi 118 milioni di dividendi per il premier Silvio Berlusconi MILANO - La crisi non abita ad Arcore. Mentre l'Italia fatica a ripartire, le casseforti di casa Berlusconi - otto società familiari cui fa capo il 100% di Fininvest - archiviano l'ennesimo bilancio d'oro e girano un altro super-assegno alla dinastia del Cavaliere. Il Presidente del Consiglio si è messo in tasca in questi giorni 118 milioni di dividendi in contanti, Marina ha incassato dalla sua Holding quarta 12 milioni, Piersilvio - titolare della Holding quinta - si è accontentato di 5 milioni, mentre la Holding quattordicesima ha regalato a Barbara, Eleonora e Luigi - i figli di Veronica Lario - un assegno di 10 milioni a testa. Le cedole, tutte relative ai bilanci chiusi il 30 settembre 2010 appena depositati, sono solo la punta dell'iceberg della montagna d'oro accumulata negli anni - malgrado l'oneroso impegno in politica - dal premier. Le quattro società personali del capofamiglia (Holding prima, seconda, terza e ottava) hanno in cassa 544 milioni in contanti tra riserve disponibili e liquidità che possono in ogni momento essere girate al socio di controllo. Marina siede su un tesoretto di 98 milioni mentre Piersilvio, più parsimonioso con i dividendi, è riuscito però ad accumulare una fortuna di 213 milioni, messa da parte per i tempi più duri. Il Cavaliere, Marina e Piersilvio, malgrado le polemiche degli ultimi anni, hanno tenuto parte della liquidità investita presso la chiaccheratissima banca svizzera Arner. Mentre la liquidità del presidente del consiglio - gestita dall'omnipresente Giuseppe Spinelli - è tutta depositata sui conti Mps passati agli onori delle cronache come la cassa continua per saldare i conti delle serate del Bunga Bunga. Nemmeno gli ultimi arrivati nel capitale Fininvest, però, si possono lamentare: i tre figli di secondo letto, pur entrati da poco nel capitale della Fininvest, hanno messo assieme 339 milioni tra liquidità e riserve, più 20 milioni investiti "con risultati di tutto rispetto" (piove sempre sul bagnato) attraverso la banca d'affari Jp Morgan. (25 febbraio 2011)
DECRETO Milleproroghe Ecco cosa cambia Ripartono le ruspe in Campania, niente proroga alle graduatorie degli insegnanti e stop al riordino degli uffici della Consob. Dal primo aprile possibile acquistare giornali da chi è proprietario di network televisivi Stop al divieto di incroci tra tv e stampa, dal 31 marzo. Saltano il riordino degli uffici della Consob e i corsi per bagnini (disciplinati per decreto). Le ruspe potranno demolire le case abusive in Campania, e scompare la norma che consentiva di estendere fino al 2012 le graduatorie degli insegnanti. Cambia nella forma, ma non nella sostanza la norma sull'anatocismo, che lascia invariato il termine di prescrizione per presentare ricorso contro gli interessi alla banche. Ecco le novità del decreto: CAMPANIA: Salta la norma che bloccava le demolizioni le case abusive in Campania. La versione precedente dava un altro anno di tempo (fino al 31 dicembre 2011) ma nel maxiemendamento la proroga non trova più spazio. AUTHORITY APPALTI. Salta la misura che fissava in 7 anni la carica del presidente dell'Autorità per la vigilanza dei lavori pubblici. ETNA. viene cancellata la proroga delle concessioni agli operatori danneggiati dall'eruzione dell'Etna. GRADUATORIE INSEGNANTI. Viene abolita la norma che consentiva la proroga delle graduatorie provinciali previste dalla finanziaria 2007 fino al 31 agosto 2012. INCROCI TV-GIORNALI: La versione definitiva torna alle origini, prevedendo il blocco agli incroci fino al 31 marzo. Spetterà al governo decidere se differire la norma di un anno, o più, attraverso un Dpcm. BAGNINI. Il decreto, nella versione precedente, prevedeva la possibilità di disciplinare i corsi di formazione degli addetti al 'salvamento acquatico', attraverso un decreto ministeriale. La norma salta. ANATOCISMO. La norma lascia invariato quanto previsto dalla versione licenziata dal Senato (che fissa in 10 anni dall'ultima applicazione degli interessi trimestriali la prescrizione per presentare ricorso). E stabilisce, inoltre, che le banche non potranno riavere indietro i soldi rimborsati ai clienti. CAMPIDOGLIO. Salta la norma che consentiva alle città con più di un milione di abitanti (Roma e Milano) di non tagliare il numero dei membri del consiglio comunale. CONSOB. Salta la norma che prevedeva la riorganizzazione degli uffici della commissione per le società e la borsa. TERREMOTO ABRUZZO - VENETO. Si prevede la proroga della riscossione dei tributi al 31 dicembre 2011. Me è previsto anche lo slittamento della riscossione delle rate dei premi assicurativi al 31 ottobre 2011. La giornata della memoria per le vittime del sisma sarà il 6 aprile. Per il Veneto viene prorogata al 30 giugno la sospensione dei tributi. Inoltre le regioni colpite da calamità naturali potranno aumentare tributi e accise sui carburanti. FONDI PER ALLUVIONI. Sono previsti finanziamenti per Liguria (45 milioni), Veneto (30 milioni), Campania (20 milioni) e ai comuni della provincia di Messina (5 milioni). Stop tagliola precari. Non si applica fino a fine 2011 la 'tagliolà per impugnare i licenziamenti dei contratti a termine. 5 PER1000. In tutto 400 milioni che comprendono anche gli interventi (fino a 100 milioni) per i malati di Sla. Cinema più caro. Dal primo luglio il biglietto costerà un euro in più. Escluse le sale parrocchiali. Tre milioni a Scala e Arena Verona. Arrivano 3 milioni per la Scala e l'Arena di Verona. FONDI EDITORIA. Ripristinato in parte il taglio: 30 milioni per l'editoria e 15 milioni per radio e Tv locali. STOP A SFRATTI FINO A DICEMBRE. Riguarda le categorie disagiate. Stop fino al 31 dicembre 2011. CARTA D'IDENTITA' CON IMPRONTA. L'impronta digitale dovrà essere inserita dal 31 marzo 2011. Torna la social card. Ci sarà una fase sperimentale affidata agli enti caritativi. Fondo da 50 milioni. FOGLIO ROSA PER MOTO E MINICAR. Arriverà dal 31 marzo 2011, ma la norma potrà essere rinviata a fine anno. FONDO UNICO UNIVERSITA'. Arrivano le risorse per il Fondo unico. SANATORIA MANIFESTO 'SELVAGGIO'. Riguarda le violazioni compiute dai partiti con manifesti politici. Basterà versare 1000 euro entro il 31 maggio di quest'anno. MULTE QUOTE LATTE. Slitta di sei mesi il pagamento. Ecobonus autotrasporto. Viene prorogato (30 milioni). PIU' TEMPO PER PROPRIETARI CASE FANTASMA. C'è tempo fino al 30 aprile per sanare la situazione. BANCHE E FONDAZIONI. Si prevede la proroga (2014) del termine entro il quale le fondazioni bancarie dovranno scendere sotto il tetto dello 0,5% nelle popolari. Inoltre Per rispondere meglio ai nuovi parametri di Basilea 3 le banche potranno usare in compensazione il credito d'imposta insieme alle attività immateriali e valori d'avviamento. FONDI D'INVESTIMENTO. Si passa alla tassazione del maturato in capo ai sottoscritti delle quote. AZIONISTI PARMALAT. Agli azionisti non potrà andare più del 50% degli utili. POSTE IN BANCA MEZZOGIORNO. Poste potrà acquistare partecipazioni nella Banca per il Mezzogiorno. Si scorpora l'attività di bancoposta. (24 febbraio 2011)
BANKITALIA Draghi, allarme crescita e giovani "Stentiamo da quindici anni" Dal governatore parole preoccupate sullo sviluppo e sulle nuove generazioni: "Risorsa sprecata, i salari di ingresso sono fermi da dieci anni". "Servono riforme coraggiose per l'efficienza del sistema" Draghi, allarme crescita e giovani "Stentiamo da quindici anni" VERONA - Allarme del governatore di Bankitalia per la crescita. "Stenta da 15 anni - ha detto questa mattina al Forex di Verona - i tassi di sviluppo del nostro paese sono attorno all'1%". La domanda interna, inoltre, rimane "debole", e per tornare allo sviluppo sarebbe necessario un assetto normativo ispirato pragmaticamente all'efficienza del sistema". E ulteriore preoccupazione per i prossimi mesi arriva dalla situazione libica. "Nella nostra economia - spiega il numero uno di Palazzo Koch - un aumento del 20% del prezzo del petrolio determina una minor crescita del prodotto di mezzo punto percentuale nell'arco di tre anni". Le riforme. "Si è già cominciato - dice Draghi -, ma azioni riformatrici più coraggiose migliorerebbero le aspettative delle imprese e delle famiglie e aggiungerebbero per questa via impulsi alla crescita". L'Italia, sottolinea ancora, "dispone di grandi risorse, ha molte aziende, una grande capacità imprenditoriale, la sua gente è laboriosa e parsimoniosa". I salari dei giovani. "I salari d'ingresso dei giovani sul mercato del lavoro, in termini reali, sono fermi da oltre un decennio su livelli al di sotto di quelli degli anni Ottanta. E il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 30%. Si accentua la dipendenza, già elevata nel confronto internazionale, dalla ricchezza e dal reddito dei genitori". E' questa la spietata fotografia che il governatore scatta sulla situazione economica che riguarda le giovani generazioni. La spesa corrente e il fisco. Il contenimento della spesa corrente "dovrà proseguire anche oltre il 2012 - continua Draghi - e la sua composizione deve essere orientata a favore della crescita". E ancora: "Non vi sono altre strade per ridurre il disavanzo, visto che la pressione fiscale già supera di 3 punti quella media dell'area dell'euro. Maggiori entrate che si rendano disponibili grazie a recuperi di evasione dovranno essere usate per ridurre la pressione sui contribuenti che già pagano il dovuto". La crisi. Per il governatore il ritorno "alla piena normalità" dei mercati monetari e finanziari che "stanno recuperando funzionalita" non saraà immediato, ma "richiederà tempo". (26 febbraio 2011)
2011-02-19 CRISI Cig, forte calo a gennaio: -30% ma sono coinvolti in 360 mila Il calo nel primo mese dell'anno c'è stato, annota la Cgil sulla base delle elaborazione dell'Inps. Ma dietro questo dati ci sono ancora molti lavoratori nel processo, con un taglio di reddito di circa 650 euro ognuno. La maggior parte di loro al centro-nord Cig, forte calo a gennaio: -30% ma sono coinvolti in 360 mila ROMA - Una contrazione mensile e un dato complessivo che resta preoccupante. La cassa integrazione inizia il 2011 con un calo significativo: le 60.271.118 ore registrate a gennaio segnano un discesa sul mese precedente del 30,3% mentre sullo stesso mese dell'anno scorso la flessione è stata del 25,4%, fa sapere la Cgil. E al tempo stesso fa presente come dietro a questi numeri ci sono 360mila lavoratori coinvolti nei processi di cassa, con un taglio netto del reddito per oltre 231 milioni di euro, pari a circa 650 euro per ogni singolo lavoratore. I dati - spiega una nota - emergono dalle elaborazioni delle rilevazioni Inps da parte dell'Osservatorio Cig del dipartimento Settori produttivi della Cgil Nazionale nel rapporto di gennaio. "La crisi nel corso del 2010 è stata molto pesante per il tessuto economico e sociale", commenta il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere, secondo il quale "la ripresa economica che si è in parte registrata non riguarda l'Italia, dove è solo virtuale, perché l'occupazione è ancora ferma mentre ristagnano i consumi". Per il dirigente sindacale "il 2011 si apre con un miglioramento dei dati di cassa, segno di come qualcosa si stia muovendo, ma ciò è limitato al settore delle esportazione che è un fatto importante ma non risolutivo". Secondo Scudiere "crescono i ricavi nominali per le aziende ma non si registra una ripresa dell'occupazione perchè cresce il costo di componenti importanti mentre si va affermando sempre più una situazione fortemente divaricata nello stato economico delle aziende". L'analisi per settori evidenzia che ancora una volta la meccanica il settore in cui si è registrato il ricorso più alto allo strumento della cassa integrazione (ordinaria, straordinaria e in deroga). Secondo il rapporto della Cgil, infatti, su poco più di 60 milioni di ore di cig autorizzate a gennaio la meccanica pesa per 23.532029 di ore, coinvolgendo 140.072 lavoratori (prendendo come riferimento le posizioni di lavoro a zero ore). Segue in questa classifica il settore dell'edilizia con 5.679.935 ore di cig autorizzate per 33.809 lavoratori coinvolti e il settore del commercio con 5.289.668 ore e 31.486 lavoratori. A livello territoriale, sono le regioni del nord quelle dove si è registrato il ricorso più alto alla cassa integrazione. Dal rapporto dell'Osservatorio Cig della Cgil Nazionale si rileva che al primo posto per ore di cassa integrazione autorizzate c'è la Lombardia con 12.938.244 ore a gennaio che corrispondono a 77.013 lavoratori (prendendo in considerazione le posizioni di lavoro a zero ore). Segue il Piemonte con 7.567.937 ore per 45.047 lavoratori e il Veneto con 7.510.972 ore di cig autorizzate per 44.708 lavoratori. Prima in questa classifica tra le regioni del sud c'è la Campania con 4.575.421 ore che coinvolgono 27.235 lavoratori. Mentre per il centro è la Toscana la regione dove si registra il maggiore ricorso alla cig con 3.582.058 ore. L'analisi disaggregata per le varie tipologie di cassa, rileva che per quanto riguarda la cassa integrazione straordinaria (cigs) le ore registrate a gennaio sono 23.803.180 per un -44,9% su dicembre dello scorso anno mentre la riduzione tendenziale è più contenuta, per un -9,2%. Nel calo rilevato, come si evince dal rapporto, ci sono comunque settori che registrano forti incrementi anno su anno: l'edilizia +412,7%, il legno +311,7%, il commercio +31,4%, l'alimentare +29,6% e il chimico +8,2%. I settori dove invece si registra una riduzione delle ore, sempre anno su anno, sono: il tessile -22,8%, carta e poligrafiche -31,1%, il meccanico -25,4%, vestiario e abbigliamento -24,8%. Infine la cassa integrazione in deroga (cigd) con le sue 18.147.015 ore di gennaio diminuisce sul mese precedente del -16,8% e del -3,6% sullo stesso mese del 2010. Tra i settori con il maggiore ricorso alla cigd e con più occupazione c'è l'alimentare, che resta quello con l'aumento tendenziale più alto +555,4%, e l'edilizia +232%. Migliora il dato della piccola industria meccanica con un -9,7% a gennaio sullo stesso mese del 2010 anche se resta il settore con il volume più alto di ore (6.292.613) mentre invece peggiora il commercio, con un +5,2% di ore di cigd, che segue a ruota nel volume di ore la piccola industria meccanica per un totale di 4.426.476. Le regioni maggiormente esposte con la cigd in questo inizio d'anno sono il Veneto con 3.627.643 ore (+8,9% sul 2010), la Lombardia con 3.033.022 ore (-50,4%) e l'Emilia Romagna con 1.530.510 ore (-40,5%). (19 febbraio 2011)
LA MEDIA NAZIONALE E' DEL 17 % Fisco, alberghi, bar e ristoranti l'economia "in nero" è al 56,8 % Le elaborazioni fatte dall'Istat sono state fornite agli esperti che lavorano nella commissione per la riforma fiscale e che si occupano di "economia non osservata e flussi finanziari". Il sommerso per colf e badanti si ferma al 52,9 %. Il presidente di Federalberghi: "Dati inattendibili" Fisco, alberghi, bar e ristoranti l'economia "in nero" è al 56,8 % ROMA - Il sommerso in Italia vale tra un minimo del 16,1% e un massimo del 17,8% dell'economia. Ma non per tutte le categorie. Il record spetta al settore "alberghi e pubblici esercizi", per i quali si aggira attorno al 56,8%, che supera anche il "nero" dei servizi domestici di colf e badanti che si ferma al 52,9%. Testa a testa, invece, tra l'agricoltura (31,1% di sommerso) e il commercio (che è al 21,7%). Sono questi gli ultimi dati forniti agli esperti che lavorano nella commissione per la riforma fiscale che si occupa di "economia non osservata e flussi finanziari". Le elaborazioni, fatte dall'Istat su dati 2005, sono le più aggiornate e entrano nel dettaglio rispetto ai dati del sommerso diffusi lo scorso luglio per macrosettori. La tabella è stata elaborata tenendo conto di "correzioni" statistiche sugli introiti, i costi interni delle imprese, la dissimulazione dell'attività produttiva sul lavoro non regolare, e stime indipendenti di offerta e domanda. Emerge così che il sommerso nel settore industria tocca l'11,7%, il 21,7% nei servizi e il 31,1% nell'agricoltura. Ma la vera novità sono i dettagli. Per il comparto dell'industria il sommerso più evidente è quello delle costruzioni, che arriva al 28,4%, seguito dal tessile-abbigliamento-calzature che è al 13,7%, dagli alimentari (10,7%). Inesistente invece per l'elettricità, il gas e l'acqua (1,8%). Più evidente è l'economia in nero nel settore dei servizi. Il top è per gli alberghi e i pubblici esercizi (56,8%), ma ci sono anche i servizi domestici (52,9), seguiti da "istruzione, sanità e altri servizi"(al 36,8%), trasporti e comunicazioni (33,9%), commercio (32,1%); servizi alle imprese (21,5%). L'unico settore con un sommerso sotto le due cifre è il "credito e assicurazione" con 6,4%. "Un dato inattendibile e strumentale; messi così sono numeri al Lotto": non usa giri di parole il direttore generale di Federalberghi Alessandro Cianella per commentare i dati sull'evasione del settore "alberghi e pubblici esercizi". "L'entità presunta dell'evasione fa sorridere", osserva il rappresentante di Federalberghi. "Per legge gli alberghi hanno l'obbligo di comunicare alle forze dell'ordine informazioni sui clienti alloggiati, obbligo che è sanzionato penalmente. E sono 50 anni che gli albergatori italiani seguono questo comportamento". Il dato della Commissione per la riforma fiscale secondo Cianella "è inattendibile", nel senso che per capire meglio "servirebbe uno scorporo, visto che i dati presi in esame dall'Istat riguardano tutto il settore ricettivo che è decisamente ampio". Se il fisco "tirasse fuori gli studi di settore sarebbe meglio e si comprenderebbe che le cose non stanno così". E da ultimo si domanda: "ma se il grado di evasione è questo, ma cosa fanno le autorità preposte ai controlli?". Dello stesso parere la Fipe Confcommercio: "E' sconcertante leggere il dato emerso dalla commissione che sta lavorando sulla riforma fiscale" commenta del direttore generale , Edi Sommariva. "Se è vero che nel settore di pubblici esercizi e alberghi il lavoro nero tocca il 56,8% allora significa che sono sballati tutti i dati finora resi pubblici, a cominciare dal Pil per finire alla contabilità nazionale", afferma. "La commissione deve spiegare agli italiani e alle imprese - prosegue Sommariva - il significato di questi numeri che non ci convincono per niente. Infatti, dai dati ufficiali Inps risulta che il nostro comparto dà lavoro a 700mila dipendenti e a 300mila indipendenti. Sono cifre che ci sembrano fotografare la situazione reale. Dai dati della commissione emerge, invece, una forza lavoro di circa un milione e seicentomila persone, cioè quanto la manodopera del canale horeca (hotel, ristoranti e caffè) di Francia e Spagna messe assieme. Davvero poco credibile". (18 febbraio 2011)
IL RAPPORTO Call center, quasi 9mila posti persi e altri 13mila sono a rischio nel 2011 I dati sulla crisi dalla conferenza della Slc Cgil: "I lavoratori hanno pagato anche l'assenza del governo che ha lasciato mano libera a imprenditori-pirati". Accuse anche a Confindustria. La proposta di un osservatorio nazionale e di misure per contrastare le delocalizzazioni Call center, quasi 9mila posti persi e altri 13mila sono a rischio nel 2011 Una delle tante manifestazioni organizzate nel 2010 per la vertenza Phonemedia ROMA - Dal settembre i posti di lavoro perduti sono 8.670 ed altri 12.990 sono a rischio nel primo semestre di quest'anno. A perdere i lavoro sono stati soprattutto giovani (il 68% ha meno di 40 anni), in gran parte donne (68%), con un tasso di scolarizzazione superiore alla media (29% laureati, 54% diplomati) e residenti perlopiù nel Sud e nelle Isole (70,5%). E' il quadro della crisi dei call center e delle "vittime" mietute in Italia dall'inizio della recessione, come emerso a Roma alla terza conferenza dei lavoratori del settore, organizzata dalla Slc Cgil. All'incontro sono stati presentati i dati del quarto Rapporto sulla dinamica occupazionale nei call center in outsourcing". I numeri parlano chiaro: il settore è passato in un anno da 75mila a 67mila addetti e ora altri 13 mila sono a rischio. La crisi ha colpito più le regioni del Sud e delle Isole, ma la precarietà attuale non risparmia nessuno: secondo il rapporto, i posti in bilico attualmente sono 1.800 in Lombardia, 1.600 in Piemonte, 350 in Veneto, 700 in Liguria, 450 in Emilia Romagna, 450 in Toscana, 230 nelle Marche e 1.100 nel Lazio. Non va meglio scendendo al Sud: 700 in Abruzzo, 600 in Campania, 1.600 in Calabria: 480 in Basilicata, 1.100 in Puglia, 380 in Sardegna, e 1.450 in Sicilia. "Questo è un settore rispetto al quale da più di un anno il governo dovrebbe dare delle risposte - ha detto nel suo intervento Susanna Camusso, segretario generale Cgil - : il sottosegretario Letta aveva assunto degli impegni ad aprire un tavolo su questo settore, a occuparsi della politica industriale. Ci sono avvisi comuni e opinioni comuni tra il sindacato e le imprese, e la totale disattenzione del governo". L'analisi della situazione non poteva che partire dai costi sociali della crisi in un settore in cui l'assenza di regole definite e di controlli ha, da un lato, lasciato mano libera a speculatori, imprenditori-pirata e a operazioni oscure che spesso sono finite in fascicoli giudiziari (come nei casi Phonemedia e Omega, per citare i più clamorosi) e, dall'altro, accentuato la debolezza contrattuale e le condizioni di lavoratori che già in partenza ricevono salari tra i più bassi del settore privato (-18% rispetto alla media calcolata dall'Istat nel terziario). Le delocalizzazioni "selvagge", ha detto Camusso, sono uno dei problemi per i quali non sono arrivate risposte sufficienti dal governo che anzi, attraverso un sistema "perverso" di agevolazioni, favorisce l'apertura di nuove aziende anziché sostenere quelle già attive, con la conseguenza che gli imprenditori chiudono un call center per aprirne un altro a poche centinaia di metri (senza riassorbire il "vecchio" personale, specie quello sindacalizzato) per usufruire di nuovi incentivi. Con l'aggravante che, tra l'altro, spesso si portano appresso le commesse e una clientela formata nella gran parte dei casi da grandi aziende, spesso a partecipazione pubblica, ed enti pubblici. Alla conferenza della Slc Cgil, proprio su questo punto sono state rimarcate le responsabilità anche etiche di Confindustria per la "totale assenza di volontà da parte delle imprese committenti di definire una volta per tutte clausole sociali o capitolati di appalto-tipo"; una mancanza che finisce per scaricare sugli outsourcer la riduzione dei ricavi e sui lavoratori le conseguenze dei tagli. Nell'ampia piattaforma rivolta a governo, enti locali e organizzazioni degli imprenditori, la Slc Cgil propone fra le altre cose la creazione di un osservatorio nazionale sul settore, interventi legislativi a favore delle aziende che non delocalizzano, la determinazione di un costo medio orario nazionale, al di sotto del quale sia vietata l'assegnazione di commesse, riconoscere il settore come industriale al fine di consentire ai lavoratori l'accesso alla cassa integrazione (oggi escluso), l'obbligo per le aziende partecipate di seguire le regole degli appalti pubblici, un piano straordinario di lotta all'illegalità ed all'evasione contributiva nei call center. Il segretario della Slc Cgil, Enrico Miceli, ha preannunciato una ripresa della mobilitazione unitaria con Fistel-Cisl e Uilcom-Uil, in difesa di lavoratori che costituiscono una nuova "nicchia di povertà", minacciata dai processi di delocalizzazione "a cominciare dall'italiana Alitalia che pensa di servire nel migliore dei modi i propri clienti ricorrendo ai call center in Albania". (18 febbraio 2011)
2011-02-17 PARIGI Crescita in frenata nei Paesi Ocse l'Italia resta al di sotto della media I dati sul Pil del quarto trimestre del 2010 indicano un rallentamento della ripresa: +0,4% contro lo 0,6% della precedente rilevazione. Il Belpaese a +0,1%; si salvano solo gli Stati Uniti: + 0,8% Crescita in frenata nei Paesi Ocse l'Italia resta al di sotto della media ROMA - Rallenta la crescita economica dei Paesi Ocse nel quarto trimestre del 2010: il Pil dell'area ha messo a segno un rialzo dello 0,4% contro il +0,6% del trimestre precedente. Secondo i calcoli dell'organizzazione parigina, in Italia la ripresa rallenta, passando allo 0,1% rispetto allo 0,3% del terzo trimestre e restando al di sotto della media dei Paesi Ocse . In calo la crescita anche in Germania (0,4% contro lo 0,7% precedente), mentre la Francia resta stabile allo 0,3%. In Giappone la contrazione della crescita economica (-0,3%) è dovuta al ritiro delle misure statali di stimolo alla ripresa, mentre sul dato britannico (-0,5%) ha inciso il clima rigido che ha frenato soprattutto l'edilizia. In netta controtendenza solo gli Stati Uniti: +0,8% rispetto a +0,6% del terzo trimestre. Nell'Eurozona la crescita è stata pari allo 0,2% (0,5% nel terzo trimestre). Nel raffronto con il 2009, la crescita nel quarto trimestre nell'area Ocse si attesta al 2,7% (+3,2% nel terzo trimestre). Nel G7, invece, la crescita più alta è quella registrata in Germania (+4,0%) e la più bassa in Italia (+1,3%). Per l'intero 2010 la crescita del Pil nell'area Ocse è stata pari al 2,9% (+3,5% nel 2009). (17 febbraio 2011)
2011-02-15 ECONOMIA Fiat, Marchionne torna alla Camera "Contro di noi critiche assurde e demenziali" L'audizione dell'Ad a Montecitorio. Il numero uno della Fiat, abbandonato il maglione, veste un abito grigio, camicia azzurra e cravatta blu. "Nessuno ci può accusare guardandoci negli occhi - è l'esordio - di vivere alle spalle dello Stato o di voler abbandonare il Paese". E poi: in Fiat "non sono stati intaccati i diritti". L'annuncio: "Produrremo 34 nuovi modelli nel giro di 5 anni". La promessa: "Se riusciamo a portare l'utilizzo degli impianti dall'attuale 40% all'80%, siamo pronti ad aumentare i salari portandoli ai livelli della Germania". E alla fine nessun cedimento alla polemica diretta: "E' Fiom il problema?" gli chiedono. "Non mi metta le parole in bocca", risponde. di PAOLO GRISERI Fiat, Marchionne torna alla Camera "Contro di noi critiche assurde e demenziali"
"La sede legale" "Abbiamo progetti ambiziosi che partono dall'Italia". E' stata la prima assicurazione data da Sergio Marchionne ai deputati durante l'audizione davanti alle commissioni Attività produttive e Trasporti della Camera. Seguita da una apertura a lungo attesa: "La scelta della sede legale - ha detto infatti Marchionne - non è ancora stata presa. Essa dipende dal grado di accesso ai mercati finanziari indispensabile per gestire un business che richiede grandi investimenti e ingenti capitali; ma ha poi a che fare con la necessità di un ambito favorevole. Se si realizzeranno le condizioni base per il nostro piano, allora il nostro paese sarà nella condizione di poter mantenere la sede legale". 34 nuovi modelli Sui prodotti Marchionne ha annunciato: "Produrremo 34 nuovi modelli nel giro di 5 anni, ai quali si aggiungono 17 aggiornamenti. Due terzi dei nuovi modelli - ha detto - saranno prodotti da Fiat, 13 da Chrysler. Avremo due marchi globali, Alfa Rome e Jeep. E stiamo lavorando perchè l'Alfa possa tornare sul mercato americano entro la fine del 2012". Le gamme di Chrysler e Lancia saranno totalmente "integrate fra loro in Europa", ha anticipato il manager: tutte le auto Chrysler, cioè, saranno marchiate Lancia - ad eccezione del Regno Unito dove Lancia non è presente. "Quest'anno - l'ultimo annuncio - presenteremo sette prodotti nuovi". Entro la fine dell'anno verrà lanciata la nuova Panda, mentre nel terzo trimestre del 2012 saranno lanciati i Suv che si faranno a Mirafiori. FOTO L'insopportabile cravatta "Diritti non intaccati" "Non abbiamo mai chiesto condizioni di lavoro cinesi o giapponesi - così Marchionne respinge le critiche - ma semplicemente abbiamo chiesto di poter contare su condizioni minime di competitività. Le critiche e le accuse che abbiamo ricevuto sono state ingiuste e spesso offensive. E' assurdo e demenziale che qualcuno sia arrivato persino a denigrare i nostri prodotti e ad avanzare dubbi sulla strategia della Fiat, che invece viene capita e approvata dai mercati finanziari". I diritti insomma "non sono stati intaccati". Termini Imerese Su Termini Imerese l'Ad Fiat ha detto: "Ribadiamo la nostra disponibilità a collaborare per trovare una soluzione dopo la fine di quest'anno", quando cioè la Fiat se ne andrà, "ma solo se viene risolto il problema occupazionale e esiste la garanzia che tutti i nostri lavoratori ricevano una lettera di assunzione dalla futura proprietà". Lombardo contro Marchionne: "Qui in Sicilia non si faccia più vedere" "Sulla Fiat c'è stata troppa politica, troppa ideologia e poca conoscenza dei fatti - ha affermato fra l'altro Marchionne - io sono qui per farvi conoscere i fatti". Poi ha difeso l'integrazione con Chrysler e l'immagine di una Fiat che ha "il cuore in Italia ma la testa in più posti". "Non è solo vero che Fiat ha salvato la Chrysler - ha sostenuto - è vero anche il contrario. Tra Fiat e Chrysler c'è una combinazione ideale. La Fiat ha il suo punto di forza nei segmenti bassi, la Chrysler in quelli medi e alti. Con l' integrazione si potrà avere una gamma completa". (15 febbraio 2011)
L'INTESA Termini Imerese, il futuro dopo la Fiat auto, energia, negozi e studi per fiction L'accordo di programma da un miliardo di euro (450 pubblici): sette i progetti industriali approvati per il polo siciliano dove da fine anno il Lingotto cesserà la produzione. Domani al ministero la firma. Il governatore Lombardo: "Marchionne non si faccia più vedere" Termini Imerese, il futuro dopo la Fiat auto, energia, negozi e studi per fiction Il piazzale dello stabilimento Fiat di Termini Imerese ROMA - A fine anno cesserà di produrre Lancia Ypsilon, poi la Fiat lascerà il posto a un maxi polo industriale multiproduttivo, dove alle auto elettriche si affiancheranno studi per la produzione di fiction tv. E' questo il futuro dello stabilimento di Termini Imerese secondo quanto previsto dall'intesa raggiunta ieri tra le parti e alla firma ufficiale domani, a Roma, presso il ministero dello Sviluppo economico. L'accordo di programma coinvolge da un lato il ministero, la Fiat, la Regione Sicilia, la Provincia di Palermo e l'Area di sviluppo industriale (Asi) proprietaria delle aree. Dall'altro i sette gruppi che hanno presentato proposte per iniziative industriali nel polo siciliano della Fiat. L'investimento complessivo è di oltre un miliardo con 650 milioni di euro attesi dalle aziende private ed altri 350 dai soggetti pubblici coinvolti, mentre in termini occupazionali i posti lavoro dovrebbero diventare 3.300 dai circa 1.500 attuali della Fiat. E proprio sul ruolo della Fiat nella riconversione è nata la prima polemica. Nel corso dell'audizione di stamattina a Montecitorio 1, Sergio Marchionne ha ribadito la disponibilità dell'azienda a collaborare, ma ha chiesto come garanzia "che tutti i nostri lavoratori ricevano una lettera di assunzione dalla futura proprietà". La risposta del presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, è stata secca: "Apprendo dalla parole dell'amministratore delegato Sergio Marchionne di una presunta volontà della Fiat a collaborare per Termini Imerese - dice Lombardo -. Per il bene di questa nostra area industriale chiedo soltanto che non si faccia più vedere e sentire". I sette progetti - Tornando all'accordo di programma, due dei sette grandi investitori sono del settore automotive: la De Tomaso di Gian Mario Rossignolo (auto di lusso) e la Cape Reva di Simone Cimino (auto elettrica). Le altre cinque spaziano dall'energia (Bio Gen Termini, pannelli solari) alle serre fotovoltaiche (Ciccolella), dalla grande distribuzione (Newcoop) alla produzione di protesi mediche (Lima) fino al mondo delle fiction (Med Studios). Rimane invece in 'stand by' l'ottava proposta, giunta in ritardo, della DR Motor Company (settore auto), che potrebbe rientrare in gioco qualora, ha spiegato il ministro Paolo Romani, "laddove qualcuna delle iniziative non dovesse avere il percorso da noi immaginato". I sette citati sono i progetti approvati dopo essere stati inseriti nella lista ristretta stilata da Invitalia, advisor per l'operazione. Gli investimenti pubblici sulla riconversione del polo di Termini Imerese ammonteranno a 450 milioni di euro: 100 milioni dal Ministero dello sviluppo e 350 milioni dalla Regione Sicilia (di cui 200 milioni per la reindustrializzazione del sito e 150 per le infrastrutture). "Da una situazione di crisi ne abbiamo ricavato una straordinaria case history italiana di ristrutturazione aziendale, industriale, che dà anche alla Sicilia la possibilità di raddoppiare l'occupazione", ha commentato il ministro Romani annunciando l'intesa. Ora, ha aggiunto il ministro, "è ovvio che si deve cominciare a lavorare" e che le sette aziende in ballo "devono assumersi tutti gli oneri e tutti i rischi di impresa che ci sono comunque". I sindacati hanno espresso prudente soddisfazione per l'accordo: "Ora aspettiamo i fatti", dicono tutti, mentre la Cgil rinvia il giudizio a "quando ci sarà un piano chiaro". (15 febbraio 2011)
ISTAT Nel 2010 il Pil è cresciuto dell'1,1% Commercio estero: deficit record, -27,3 mld Nella parte finale dell'anno l'aumento è dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti, contro il +0,3% del terzo trimestre. Nel confronto con il 2009 il prodotto interno lordo è cresciuto dell'1,3%. L'11 marzo saranno rese note le stime trimestrali coerenti con i nuovi dati annuali. Tremonti: "Siamo contenti" Nel 2010 il Pil è cresciuto dell'1,1% Commercio estero: deficit record, -27,3 mld ROMA - L'Italia ha chiuso il 2010 con un Pil in aumento dell'1,1%. Ma l'anno si è chiuso con un deficit commerciale di 27,3 miliardi, cifra più alta mai registrata in termini nominali a prezzi correnti. Si tratta di un netto peggioramento rispetto ai -5,9 miliardi del 2009. Lo rende noto l'Istat precisando che nel solo mese di dicembre il disavanzo è stato pari a 2,7 miliardi di euro, mentre era stato di 138 milioni a dicembre 2009. Per quanto riguarda il Pil, i dati sono riferiti al quarto trimestre dello scorso anno in cui il prodotto interno lordo, espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2000, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è aumentato dello 0,1% rispetto al trimestre precedente (contro il +0,3% del terzo trimestre) e dell'1,3% rispetto al quarto trimestre del 2009. Il 2009 si era chiuso con una contrazione dell'economia del 5,1% (dato corretto). "Siamo contenti", ha detto il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ma "noi vogliamo e dobbiamo crescere" ed "evidentemente dobbiamo fare molto di più", ha concluso commentando i dati. Secondo quanto reso noto dall'Istat, l'aumento congiunturale del Pil nel quarto trimestre è il risultato di un aumento del valore aggiunto dell'agricoltura e dei servizi, e di una diminuzione del valore aggiunto dell'industria. Il quarto trimestre del 2010 ha avuto due giornate lavorative in meno rispetto al trimestre precedente e lo stesso numero di giornate lavorative rispetto al quarto trimestre 2009. Nello stesso periodo trimestre il Pil è aumentato in termini congiunturali dello 0,8% negli Stati Uniti ed è diminuito dello 0,5% nel Regno Unito. In termini tendenziali, il Pil è aumentato del 2,8% negli Stati Uniti e dell'1,7% nel Regno Unito. In base ai dati pubblicati oggi, la Germania è cresciuta dello 0,4% nel trimestre e la Francia dello 0,3%. La Spagna dello 0,2%, la Francia (0,3%), i Paesi Bassi e l'Austria (0,6%). Ancora col segno meno la Grecia (-1,4%), il Portogallo (-0,3%) e il Regno Unito (-0,5%). Nell'intero 2010 il Pil dell'Eurozona e della Ue-27 è cresciuto dell'1,7%. I dati diffusi oggi rappresentano una stima preliminare. La metodologia utilizzata per la stima preliminare del Pil è analoga a quella seguita per la stima completa dei conti trimestrali. La mancanza totale o parziale di alcuni indicatori alla data della stima preliminare comporta un maggiore ricorso a tecniche statistiche di integrazione. Di conseguenza, le stime preliminari trimestrali possono essere soggette a revisioni di entità superiore rispetto alle stime correnti, diffuse a 70 giorni dalla fine del trimestre. Secondo la prassi corrente, l'1 marzo 2011 saranno diffuse le nuove stime annuali (non corrette per gli effetti di calendario) dei conti economici nazionali per il periodo 2008-2010. L'11 marzo 2011 saranno rese note le stime trimestrali coerenti con i nuovi dati annuali. (15 febbraio 2011)
2011-02-13 LA POLEMICA Fiat, la Fiom all'attacco "Marchionne non ha un piano" Il segretario Landini accusa: "Quelle dell'ad su governabilità delle fabbriche e gli intoppi al progetto Italia sono solo scuse. Noi valutiamo scioperi ed azioni legali per continuare la nostra battaglia" Fiat, la Fiom all'attacco "Marchionne non ha un piano" Maurizio Landini ROMA - "La governabilità delle fabbriche, gli intoppi al progetto Fabbrica Italia, sono scuse per non dire che Marchionne non ha un vero piano industriale. Che sta investendo in Polonia e in Serbia e che c'e un depotenziamento delle attività in Italia". Lo ha detto il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, commentando l'incontro di ieri fra governo e vertici Fiat e confermando quanto scritto oggi da Repubblica. I metalmeccanici della Cgil non hanno comunque intenzione di gettare la spugna. "Si faranno scioperi, ne discuteremo. E poi c'è il diritto del lavoro: agiremo anche sul piano legale", dice Landini annunciando le battaglie che l'organizzazione intende portare avanti contro Fiat per "chiedere che si riapra una trattativa vera". "Si apre una fase di lotta - aggiunge - Chiediamo una vera trattativa, perchè finora c'è stato solo un ricatto. Marchionne deve capire che deve applicare i contratti e accettare la contrattazione. Mirafiori e Pomigliano cancellano il contratto nazionale e la contrattazione in azienda. Deve accettare una trattativa vera: in Italia lo sciopero è un diritto, così come essere pagati in caso di malattia. Con i suoi 'regolamenti' Marchionne ha cancellato la libertà dei lavoratori di organizzarsi in sindacato. Cancella 50 anni di storia sindacale e introduce un sindacato corporativo e aziendale". "Forse - continua il sindacalista - è il momento di non aver paura di far venire in Italia costruttori stranieri. E poi servirebbe un intervento pubblico, come hanno fatto in Germania con Volkswagen e Opel o come hanno fatto in Francia. Senza per altro cancellare contratti o diritti dei lavoratori". "Un Governo degno di questo nome - aggiunge - avrebbe aperto questa discussione. Mentre invece Marchionne fa quello che vuole e si fa finta di non capire". (13 febbraio 2011)
IL RETROSCENA Fiat, la verità è rimandata non sfuma l'opzione trasloco Sul quartier generale i vertici del Lingotto decideranno entro il 2014. Camusso: "L'incontro a palazzo Chigi è stato solo una passerella" di PAOLO GRISERI Fiat, la verità è rimandata non sfuma l'opzione trasloco La Fiat non risponde alla domanda di fondo: dove sarà il quartier generale del nuovo colosso che nascerà dalla fusione tra Torino e Detroit? "Decideremo entro il 2014", risponde Sergio Marchionne tranquillizzando i ministri seduti intorno al tavolo: la scadenza naturale del governo è fissata al 2013 e dunque, in ogni caso, la patata bollente passerà a qualcun altro. Aggirato in questo modo il punto numero uno all'ordine del giorno della riunione, il resto viene da se. L'ad del Lingotto ripete ai ministri il piano che già aveva annunciato ad aprile: 20 miliardi di investimenti e la produzione di 1,4 milioni di auto in Italia nel 2014. Dove verranno investiti quei 20 miliardi e con quali modelli la Fiat intende raggiungere tra tre anni una produzione che è doppia rispetto agli attuali 650 mila pezzi? "Molte cose - si è giustificato il ministro dello Sviluppo, Paolo Romani - la Fiat non ce le ha volute dire per comprensibili ragioni di riservatezza e per non dare un aiuto involontario alla concorrenza". Ma, ha garantito lo stesso ministro, "la Fiat sta investendo a Pomigliano e Mirafiori, e ora anche in Abruzzo e alla ex Bertone". Interventi che, sommati, equivalgono a un impegno leggermente superiore ai 3 miliardi. Chi si attendeva notizie nuove dal faccia a faccia Berlusconi-Marchionne è rimasto deluso. Curiosamente su questo punto si è ricreata ieri una momentanea unità tra sindacati, per il resto divisi su tutto: "Tanto rumore per nulla", commenta con citazione shakesperiana il leader del Fismic, Roberto Di Maulo. "L'incontro di palazzo Chigi è una passerella", sintetizza per la Cgil, Susanna Camusso. Nei giorni scorsi il leader della Uil, Luigi Angeletti, aveva profetizzato: "Sarà un teatrino". Ieri ha confermato: "Marchionne ha annunciato al governo impegni già presi a suo tempo con i sindacati". Una mattinata a uso e consumo degli addetti alle pubbliche relazioni? Non del tutto. Dietro la cortina fumogena degli impegni che non impegnano (dire che "l'Italia sarà strategica" non è come dire che le decisioni strategiche verranno prese in Italia) si coglie che oggi la preoccupazione principale dell'ad del Lingotto è quella che chiama "la governabilità delle fabbriche". A quella "governabilità" Marchionne subordina la realizzazione del piano di Fabbrica Italia. In sostanza i 20 miliardi arriveranno se in tutti gli stabilimenti italiani verrà applicato il modello di Pomigliano e Mirafiori: con il sindacato più critico, la Cgil, fuori dagli stabilimenti e il contratto nazionale ampiamente derogato in materia di diritto di sciopero e straordinari. Il prossimo campo di battaglia sarà lo stabilimento ex Bertone di Grugliasco, dove la Fiat intende produrre un nuovo modello di Maserati. Alla ex Bertone la Fiom ha il 65 per cento dei voti alle elezioni delle rsu: un referendum sul modello Mirafiori per la Fiat rischia di trasformarsi in una Caporetto. Così l'ad del Lingotto ha chiesto ieri ai ministri di proseguire in quell'atteggiamento favorevole alle tesi aziendali che soprattutto Maurizio Sacconi ha mostrato negli ultimi mesi. Da sola la "moral suasion" non sembra sufficiente. Serve alla Fiat la detassazione degli aumenti contrattati a livello aziendale, perché è una leva per mettere in secondo piano i contratti nazionali. E serve anche la cassa in deroga, l'unica pagata dal governo, che consente, ad esempio a Pomigliano, di far nascere la newco fuori dalle regole di Confidustria. Tutti provvedimenti che il governo ha già preso ma che non sono stati sufficienti a far scegliere l'Italia come quartier generale della società che nascerà dalla fusione tra Torino e Detroit. Per spingere in quella direzione servirebbe forse un impegno anche finanziario del governo che equilibri almeno in parte i 7,2 miliardi garantiti a Detroit da Obama e dal governo canadese. Ma ieri Giulio Tremonti è rimasto silente. La sua presenza sembrava anzi motivata dalla necessità di evitare che a qualcuno dei colleghi di governo venisse in mente di fare offerte economiche al Lingotto. "Noi non abbiamo chiesto nulla", ripetevano ieri da Torino ed è certamente vero. E' altrettanto vero che di fronte alle offerte di denaro pubblico, dall'America alla Serbia, la Fiat non si è certo tirata indietro. Ci sono ancora pochi mesi di tempo per elaborare un piano di investimenti pubblici nel settore dell'auto in grado di salvare il quartier generale dell'unica grande industria nazionale. Perché se è vero che Marchionne deciderà entro il 2014, è assi probabile che la scelta avvenga alla fine dell'anno prossimo quando il Lingotto avrà raggiunto il 51 per cento a Detroit e comincerà a pensare seriamente alla fusione tra le due sponde dell'Oceano. (13 febbraio 2011)
2011-02-12 INCONTRO COL GOVERNO Fiat, vertice a Palazzo Chigi "Crescerà la produzione di auto" I vertici dell'azienda hanno confermato l'investimento per circa 20 miliardi di euro destinati alla fabbricazione di un milione e 400 mila veicoli negli stabilimenti italiani. Sacconi: "Futuro condizionato dalla governabilità degli stabilimenti produttivi. L'azienda però non andrà a Detroit" Fiat, vertice a Palazzo Chigi "Crescerà la produzione di auto" ROMA - Due ore di vertice a Palazzo Chigi tra vertice della Fiat e governo. "Il presidente e l'amministratore delegato della Fiat, John Elkann e Sergio Marchionne, hanno confermato al Governo l'intenzione di perseguire gli obiettivi di sviluppo della multinazionale italiana, che prevede la crescita della produzione nel nostro paese da 650 mila a 1 milione e 400 mila auto, un obiettivo sostenuto da un investimento di Fiat e Fiat Industrial per circa 20 miliardi di euro". L'Ad di Fiat ha indicato al governo ed agli enti locali piemontesi che delle condizioni perché la testa del gruppo resti a Torino "se ne parlerà nel 2014". "La Fiat rimarrà a Torino, non andrà a Detroit". Ne è convinto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che conferma che "i 20 miliardi di investimento e la produzione di 1,4 milioni di auto l'anno saranno effettuati in Italia fra Fiat e Fiat Industrial". Critiche dal Pd, Italia dei Valori, Cgil e Fiom. Cuore italiano - "La Fiat - ha detto Romani - rimane con il cuore italiano. Rimane in Italia, con la volontà di investire nel paese, ma con l'obiettivo e la necessità di arrivare alla soglia critica di produzione di 6 milioni di autovetture che è poi la soglia minima delle grandi multinazionali". "L'Italia - ha poi precisato il ministro - è un punto di partenza per una grande azienda che investe e produce in tutto il mondo. C'è un certo modo di fare automobili nel mondo - ha concluso Romani - Fiat chiede di poterlo fare anche nel nostro paese". Romani ha spiegato che nell'area industriale di Termini Imerese si insedieranno "sette nuove iniziative produttive" con un forte aumento dell'occupazione complessiva rispetto al numero attuale dei dipendenti Fiat e dell'indotto, da circa 1.500 occupati a circa 3.300. Lunedì sera è previsto il tavolo al ministero con i sindacati. Ci saranno, ha indicato Romani, i segretari generali di Cisl e Uil ed il segretario confederale della Cgil Vincenzo Scudiere (e non il segretario generale Susanna Camusso). Governabilità degli stabilimenti - "Il futuro della Fiat e il suo sviluppo sono condizionati dalla governabilità degli stabilimenti. Abbiamo concordato che sono necessarie relazioni industriali costruttive per la piena utilizzazione degli impianti e il ritorno degli investimenti. Dire che il costo del lavoro vale solo il 7% è una grande stronzata, perché è strettamente legato al grado di utilizzazione degli impianti" ha sottolineato il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi che ha anche ribadito il "No" ad accordi fotocopia e ha spiegato che in vista della realizzazione di nuovi prodotti a Melfi e Cassino, dopo gli accordi di Pomigliano e Mirafiori "va risolto il problema della piena utilizzazione degli impianti attraverso la tempestiva esigibilità dell'adattamento dei moduli lavorativi". Passo avanti - "Mi sembra che oggi si sia compiuto un passo avanti". ha commentato Sergio Chiamparino, sindaco di Torino. I vertici Fiat, ha riferito ancora, "hanno confermato puntualmente il piano di investimenti per 20 miliardi entro il 2014". Resta, ha però aggiunto, "un punto aperto. Servono ulteriori passi in avanti nel governo degli stabilimenti, con una maggiore partecipazione, attraverso un percorso da costruire". Dello stesso parere è anche Piero Fassino, del Pd: "La conferma degli impegni di investimento e la crescita della produzione nel nostro Paese sono un significativo passo in avanti. E' ora necessario che azienda e sindacati si sentano impegnati nell'attuazione degli accordi senza che questo diventi causa di divisione o di conflitto. Infine alla politica bisogna chiedere di dare attuazione all'art. 46 della Costituzione in cui si prevede la partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese". Investire in Italia - Per il presidente della regione Piemonte, Roberto Cota, le parole di Marchionne sul fatto di voler continuare a investire in Italia "mi hanno rassicurato. Ma dipenderà anche da quali condizione si creeranno, il compito di un presidente di Regione è quello di restare sempre in guardia". La Uil: "Accordi confermati" - Per Luigi Angeletti, leader della Uil "Dall'incontro di oggi escono confermati gli impegni già previsti dagli accordi firmati tra l'Azienda e i sindacati". Il Pd: "Assenza di strategie industriali" - Giudizio critico, invece, quello del responsabile Economia e lavoro del Pd, Stefano Fassina: "C'è l'assenza di strategie industriali da parte del Governo. Sono stati ribaditi punti noti, ma non sono state fornite informazioni sufficienti a fugare i dubbi sulla collocazione delle funzioni direzionali strategiche. Rimane oscura l'allocazione di 18,7 miliardi di euro dei 20 prospettati da Fabbrica Italia. Dopo i referendum di Pomigliano e Mirafiori, il Governo avrebbe dovuto porre il problema del rientro delle newco Fiat nell'ambito del contratto nazionale ed offrire una qualche idea di politica industriale a sostegno dell'automotive. Nell'audizione parlamentare di martedì prossimo, il Pd farà all'A. D. di Fiat le domande che il Governo non ha voluto e saputo fare". Per l'Idv "peggio del previsto" - Anche l'Italia dei Valori non risparmia strali contro il governo e la Fiat: "L'incontro tra la Fiat e il governo è andato addirittura peggio del previsto. L'esecutivo sta assecondando l'azienda in tutte le sue decisioni, compresa quella di chiudere Termini Imerese che manderà sul lastrico oltre duemila famiglie italiane". Lo affermano il presidente dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, e il responsabile welfare e lavoro del partito, Maurizio Zipponi. La Fiom e la Cgil: "Nulla di nuovo" - Scontato il giudizio critico della Fiom: "La solita fuffa che scarica tutto sui lavoratori per nascondere scelte e problemi veri della Fiat". Lo afferma Giorgio Cremaschi, della segreteria nazionale del sindacato metalmeccanico. "Non c' è nulla di nuovo - aggiunge - tutto resta incerto come era chiaro da tempo. Fino a che si troverà di fronte una tale penosa acquiescenza del governo e degli enti locali, la Fiat farà quel che vuole e sarà sempre più americana". Anche il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, conferma che "non ci sono novità". (12 febbraio 2011)
2011-02-10 RIFORME Governo, via libera a incentivi Riforma di tre articoli della Carta Berlusconi dopo Cdm: "E' nuova fase del lavoro dell'esecutivo, l'Italia al secondo posto in Europa per solidità del sistema economico". E sul federalismo: "Porremo fiducia alla Camera". Tremonti: "Discussione costruttiva". Romani: "Cento milioni per banda larga". L'opposizione: "Fumo e propaganda" Governo, via libera a incentivi Riforma di tre articoli della Carta ROMA - Il Consiglio dei ministri ha dato via libera al disegno di legge costituzionale recante modifiche agli articoli 41, 97 e 118, comma quarto, della Carta sulla libertà di impresa (scheda 1), la pubblica amministrazione e gli enti locali, e ha approvato il decreto legislativo sugli incentivi 2. Il disegno di legge costituzionale sarebbe stato approvato ''salvo intese'', termine 'tecnico' con il quale si indica che il testo ha ricevuto il sostegno del governo, ma è suscettibile di successive modifiche. Solo avviato invece l'esame dell'annunciato disegno di legge sulla concorrenza. E' "la nuova fase del lavoro del governo: tutta tesa a provvedimenti per il rilancio dell'economia, della crescita e dello sviluppo. Non è solo un fatto italiano, ma di tutta l'Unione europea", ha commentato il premier Silvio Berlusconi in conferenza stampa a Palazzo Chigi al termine del Consiglio dei ministri. "Siamo il terzo contributore dell'Europa, e siamo al secondo posto quanto a solidità del sistema economico", ha aggiunto, spiegando che "ci saranno positivi sviluppi per la crescita dell'economia e del Paese. La crescita del Pil l'abbiamo valutata all'1,5%. Questi provvedimenti potevano essere fatti anche prima, ma tutta la nostra attenzione è stata tesa ad evitare sprechi, abbiamo fatto un grande lavoro''. Poi, sul federalismo annuncia: "In Parlamento presentiamo il federalismo con l'apposizione della fiducia alla Camera". Le modifiche agli articoli costituzionali. Nel dettaglio, con la modifica dell'articolo 41, per ciò che riguarda le attività economiche, viene "permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge". Con quella dell'articolo 97 viene affermato che "la carriera dei pubblici impiegati è regolata in modo da valorizzarne la capacità e il merito". La revisione dell'articolo 118 prevede che gli enti locali non devono solo "favorire", ma anche "garantire l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati". Stretta su conflitto d'interesse. Più trasparenza per gli incarichi dei consiglieri di banche, società creditizie o assicurazioni. Il testo del ddl annuale sulla concorrenza prevede l'obbligo per le società di "comunicare sul proprio sito internet le situazioni di conflitto di interesse in cui versano i titolari di cariche negli organi gestionali nonché i dirigenti con responsabilità strategiche in relazione agli incarichi che rivestono in società concorrenti o che controllano o sono controllate da società concorrenti". A vigilare sulla corretta applicazione delle disposizioni, deve essere l'Antitrust con la possibilità di sanzioni "da 5mila a 50mila euro". Berlusconi: "Avviato percorso non facile né breve". E' iniziata una nuova fase del lavoro del governo, ha detto il premier al termine della riunione del Consiglio dei ministri. ''Questa mattina abbiamo dato il via libera a un percorso che non è facile né breve - ha detto Berlusconi - Da ora possiamo portare avanti un lavoro non solo di riforme, possiamo non solo amministrare, ma anche governare nel senso di riformare''. Parlando del ddl costituzionale il Cavaliere ha sottolineato che con la modifica dell'articolo 41 sarà ''permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge''. Poi ha aggiunto, spiegando il basso indebitamento delle famiglie rispetto a quelle degli altri Paesi europei: "L'Italia è un Paese che ha un debito pubblico elevato, ma ha dei cittadini che, uso questo termine, sono 'ricchi'. Nonostante la fase di crisi - ha aggiunto - abbiamo saputo mantenere in ordine i conti e varare misure apprezzate dagli organismi internazionali e dalle agenzie di rating che ci hanno confermato la nostra posizione, ma dandoci come condizione quella della stabilità che è essenziale per mantenere una valutazione positiva". Tremonti: "Entro aprile piano crescita". "La nostra agenda è dettata e definita dall'Europa. E' su quello schema che dobbiamo operare, entro aprile dobbiamo presentare un documento che rappresenta il nostro piano per la crescita", ha affermato il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, nel corso della conferenza stampa. Quindi ha sottolineato che oggi "nel corso del Consiglio dei ministri c'è stata una discussione molto costruttiva da parte di tutti e contiamo di continuare il lavoro in modo informale e arrivare all'appuntamento in Europa con le carte in regola. Intendiamo lavorare insieme seriamente in modo da presentarci all'appuntamento'' con l'Europa, quando dovranno essere presentati i programmi di crescita da parte di tutti i Paesi, ''in modo serio e organizzato". "Siamo convinti - ha detto ancora - data la particolarità del caso italiano, che sia necessario sentire tutti, ma guardiamo al sostegno di enti internazionali come Fmi, Ocse e Commissione europea. Il dibattito interno è importante, ci sono esperti e scienziati, ma le sedi che contano sono quelle internazionali". Romani: "Mattinata produttiva, finanziamento 100 milioni per banda larga". ''La mattinata è stata lunga e dura, ma molto produttiva: abbiamo adottato uno schema di decreto legislativo per il riordino degli incentivi e preso una decisione sulla banda larga. E' stato deciso di fare un finanziamento di 100 milioni di fondi Fas'', ha detto il ministro dello Sviluppo Paolo Romani. Da Tremonti, ha detto Romani, anche l'impegno a che la cassa depositi e prestiti investa nel progetto di banda ultralarga a 100 megabit per portarla almeno al 50% degli italiani. Un progetto che, ha detto Romani, "vale 8,3 miliardi". La Cassa depositi e prestiti investirà sia in "equity sia con finanziamenti". "Un grande progetto infrastrutturale che si inserisce nel memorandum di intesa" su cui stanno lavorando governo e operatori. ''Siamo soddisfatti per l'approvazione dello schema di disegno legislativo relativo al riordino degli incentivi''. Durante la conferenza stampa non è stata citata l'annunciata legge per la concorrenza. Fitto: "Piano per il Sud approvato con precisa tabella di marcia". Il Consiglio dei ministri ha approvato "l'attuazione del Piano Sud con una tabella di marcia precisa". Lo annuncia il ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, a palazzo Chigi. Entro il 28 febbraio si chiuderà il confronto con le Regioni. Dall'1 marzo partiranno le delibere Cipe sui "grandi interventi nazionali e regionali". Entro il 30 aprile sarà poi sottoscritto il nuovo modello di governance previsto per la gestione delle risorse e, ha annunciato Fitto, i "finanziamenti che non hanno fatto passi avanti saranno revocati". Matteoli: "Accelerazione per il piano casa". Grazie all'approvazione del provvedimento, ci sarà "un'accelerazione per il piano casa", ha annunciato il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, al termine del Consiglio dei ministri. "Abbiamo rilanciato in maniera appropriata alcune cose ferme come il piano casa che merita un provvedimento legislativo perché le regioni hanno fatto delle leggi che non consentono ad alcune case di essere ampliate. Con l'approvazione del provvedimento di oggi si allarga questa possibilità con l'accelerazione del piano casa 1 e del piano casa 2", ha spiegato Matteoli. L'opposizione: "Solo fumo". Immediata la bocciatura dell'opposizione che parla di "fumo" e "propaganda" il cui unico scopo è coprire i guai giudiziari di Berlusconi. "Una riunione del consiglio dei ministri - commenta Marina Sereni, vicepresidente del Pd - tenuta non a caso mentre le agenzie di stampa battevano la notizia della richiesta del rito immediato. Il Parlamento è paralizzato dalla incapacità del governo di proporre e far approvare misure concrete a sostegno dell'economia e del lavoro e intanto Berlusconi annuncia per l'ennesima volta la riforma degli incentivi, per l'ennesima volta il Piano Sud, per l'ennesima volta la riforme costituzionali per rendere l'impresa più libera". "Non un'azienda, non un lavoratore - continua Sereni - non una famiglia si avvantaggeranno delle iniziative che oggi il governo dice di voler varare. E' gravissimo che si ipotizzi addirittura la modifica di uno degli articoli della prima parte della Costituzione, che certo non ha alcun riflesso concreto nel rapporto tra le imprese e la burocrazia, pur di sollevare una cortina fumogena sui gravi reati contestati al premier, sulla caduta di credibilità dell'esecutivo, sul fallimento delle politiche economiche e sociali del governo". Per il vice capogruppo dell'Idv alla Camera, Antonio Borghesi, "è evidente che il premier sta solo tentando, per l'ennesima volta, di convincere i cittadini del fatto che il governo lavora. E' altrettanto chiaro che, dopo questi due anni durante i quali il governo non ha fatto nulla per le imprese e per la crescita, si tratta solo di parole al vento, fumo che sicuramente non offuscherà la vista degli italiani, stanchi ormai di essere presi in giro". Ancora più duro il portavoce dell'Idv, Leoluca Orlando: "Sviluppo? C'è solo per la corruzione. Il governo prende in giro gli italiani perchè anche nell'Italia del boom economico c'era l'articolo 41 della Costituzione che oggi il governo dice di voler cambiare. E' solo uno specchietto per le allodole per distrarre l'opinione pubblica dal caso Ruby". Confindustria, giudizio sospeso - Bene che si parli di crescita, ma il giudizio resta sospeso sulla semplificazione perchè il pacchetto non è stato approvato. La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia lascia "in sospeso" il proprio giudizio sugli "impegni" presi dal Consiglio dei ministri. '''E' positivo che il governo si concentri sul tema della crescita - sottolinea Marcegaglia - e auspichiamo che questo continui perchè la bassa crescita nel paese è forte. La parte più interessante, però, è il pacchetto semplificazione che abbiamo chiesto e voluto, su appalti, urbanistica, paesaggistica, ma che non è stato approvato. E' stato creato un tavolo di coordinamento tra i ministri Calderoli e Brunetta. Se venisse approvato entro la settimana allora sarebbe positivo, un fatto importante". Per Marcegaglia, inoltre, per il sud non è stato deciso nulla. "In questo Cdm - dice - non si è emanato nulla di concreto per il sud, si è aperto solo un processo. Aspettiamo di vedere di cosa si tratta. Il Mezzogiorno ha un problema molto serio, abbiamo un paese duale, c'è un gap profondo, sulle infrastrutture, sulla ricerca. I fondi ci sono, sono fondi europei e l'idea che c'è nel piano sud di concentrare i soldi della nuova programmazione è corretto, ma bisogna andare a Bruxelles e chiedere la rimodulazione". La Marcegaglia ha parlato anche del PIL. "I dati positivi sull'export permettono di guardare al Pil 2011 con più fiducia, qualcosina di meglio, rispetto all'ultima stima di crescita del centro studi di Confindustria, che al momento prevede un +1%. Ma gli economisti di via dell'Astronomia non vedono una crescita all'1,5% come invece prevede il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi". Italia Futura - "Una scossa a effetto ritardato". Con un post di Nicola Rossi, il sito di Italiafutura commenta i provvedimenti varati dal Consiglio dei ministri, loda l'intenzione, ma lamenta i tempi lunghi necessari. E avanza una proposta per la Pubblica amministrazione: "ogni provvedimento normativo che prevede nuovi adempimenti contenga una stima degli oneri che ne derivano per le imprese e ne restituisca loro la metà, sotto forma di credito d'imposta. Comportando minori entrate, ogni provvedimento di questo genere dovrà avere la relativa copertura. E il ministro dell'Economia avrà una buona opportunità per cambiare nei fatti e da subito la nostra vita quotidiana.". "Se la nostra Costituzione esprimesse, in maniera esplicita, valori schiettamente liberali non potremmo far altro che rallegrarcene - afferma Rossi - Se quindi si pone mano all'art. 41, come ha fatto il Consiglio dei Ministri, per dissipare i dubbi che sorgono in particolare leggendo il comma terzo di quell'articolo, non si può far altro che condividere". Dunque "innovare sotto questo aspetto il dettato costituzionale è positivo in sè. Ma non basta: non possiamo aspettare i mesi e gli anni che una modifica costituzionale potrebbe richiedere. Proviamo allora a darci, già oggi, un obiettivo minimale: quanto meno impedire che la politica inondi la Pubblica Amministrazione di regole vuote e di irragionevoli procedure". Dunque Rossi conclude affermando: "mentre aspettiamo che la Costituzione cambi, è troppo chiedere che cambino i comportamenti quotidiani di chi dovrebbe cambiare la Costituzione?". (09 febbraio 2011)
L'ANALISI L'Istat: "La produzione industriale è tornata a crescere nel 2010" Su base annua il dato certificato dall'Istituto statistico segnala un +5,5% rispetto al 2009. Le performance migliori nei beni intermedi e strumentali L'Istat: "La produzione industriale è tornata a crescere nel 2010" ROMA - La produzione industriale nella media dell'intero 2010 è cresciuta del 5,5% su base annua, tornando a salire dopo due anni in calo, con il 2009 che aveva registrato un vero e proprio tonfo (-18,4%). Lo rileva l'Istat, evidenziando che l'indice corretto per gli effetti di calendario ha segnato un rialzo del 5,3%. Tuttavia, aggiunge l'Istituto, rimane un ampio divario rispetto ai livelli pre-crisi. Nel confronto tra la media del 2010 e quella dell'anno precedente l'Istat ha registrato, in base a dati corretti per gli effetti di calendario, aumenti del 7,6% per i beni intermedi, del 7,4% per i beni strumentali, del 2,6% per l'energia e dell'1,8% per i beni di consumo (+2,4% i beni non durevoli e -1,4% i beni durevoli). Analizzando i raggruppamenti principali di industrie, l'Istat, in base a dati destagionalizzati, ha registrato a dicembre aumenti congiunturali per l'energia (+4,7%), per i beni di consumo (+1,4% per il totale, +1,7% per i beni non durevoli, -0,1% per i beni durevoli) e per i beni intermedi (+ 1 %). L'unico calo ha riguardato i beni strumentali (-1,7%). Sul piano tendenziale, l'indice della produzione industriale corretto per gli effetti di calendario ha segnato segni positivi in tutti i raggruppamenti: +8,5% per i beni intermedi, +8,4% per l'energia, +7,5% per i beni strumentali e +0,1% per i beni di consumo (+0,3 per cento i beni durevoli, +0,1% i beni non durevoli). Guardando ai diversi settori d'attività economica, gli incrementi annui maggiori hanno interessato i settori dei macchinari e attrezzature (+12,3%), delle apparecchiature elettriche e non elettriche (+9,1%), della metallurgia e prodotti in metallo (+8,8%) e dei prodotti chimici (+6,6%). L'unica variazione negativa si è registrata per l'attività estrattiva (-1,3%) (10 febbraio 2011)
CONTI PUBBLICI La Bce avverte gli Stati dell'Unione "Risanare anche con manovre aggiuntive" Nel bollettino mensile di febbraio elaborato dagli esperti della Survey of Professional Forecasters (Spf) riviste al rialzo le stime del Pil per il 2011. In crescita nei prossimi mesi il tasso di inflazione. Riviste al ribasso le percentuali per la disoccupazione per l'anno in corso La Bce avverte gli Stati dell'Unione "Risanare anche con manovre aggiuntive" FRANCOFORTE - È "indispensabile" che i governi dell'area euro diano nel 2011 piena attuazione ai rispettivi piani di risanamento dei conti pubblici. L'esortazione arriva dalla Banca centrale europea, che chiede anche, quando necessario, che siano "prontamente applicate ulteriori misure correttive per progredire nel conseguimento della sostenibilità delle finanze pubbliche". Secondo l'istituto di Francoforte la crescita dell'eurozona prosegue "ma le incertezze restano elevate". La disoccupazione sembra essersi stabilizzata ma a livelli alti: nel 2011 il tasso sarà del 9,9%. Economia mondiale in ripresa. Prosegue la ripresa dell'economia mondiale e anche nell'Eurozona sembra ci sia una dinamica di crescita positiva, rileva la Bce nel bollettino mensile. A livello globale, dice l'Eurotower, gli ultimi indicatori disponibili "segnalano che il consolidamento della crescita osservato nell'ultimo trimestre del 2010 è proseguito agli inizi del 2011". Per quanto riguarda l'Eurozona, invece, dopo l'aumento dello 0,3% congiunturale registrato dal Pil dell'area dell'euro in termini reali nel terzo trimestre del 2010, i dati più recenti "continuano a confermare la positiva dinamica di fondo dell'attività economica dell'area". La Bce avverte comunque che "i rischi per queste prospettive economiche restano orientati lievemente verso il basso" e sono legati, tra l'altro, "alle tensioni in alcuni segmenti dei mercati finanziari e alla loro potenziale propagazione all'economia reale dell'area dell'euro" e ai "rincari del petrolio e di altre materie prime". Riviste al rialzo stime Pil. Il Pil nell'Eurozona dovrebbe crescere all'1,6% quest'anno. La stima è stata rivista al rialzo di 0,1 punti percentuali rispetto all'espansione per il 2011 riportata nella precedente indagine. La crescita attesa per il 2012 rimane invariata all'1,7%.
Inflazione ancora in salita. "Nei prossimi mesi il tasso di inflazione potrebbe registrare nuovi temporanei rialzi, collocandosi verosimilmente poco al di sopra del 2% per gran parte del 2011, per poi tornare a moderarsi al volgere dell'anno". È la previsione di Francoforte che continua a ritenere che vi siano "evidenze di pressioni al rialzo di breve periodo sull'inflazione complessiva, derivanti soprattutto dalle quotazioni dell'energia e delle materie prime e ravvisabili anche nelle fasi iniziali del processo produttivo". I previsori della Bce hanno, dunque, rivisto al rialzo le stime sull'inflazione dell'Eurozona. Le stime accreditano un tasso di inflazione all'1,9% nel 2011 e all'1,8% nel 2012, in rialzo di 0,4 punti percentuali per il 2011 e di 0,2 punti percentuali per il 2012. Disoccupazione, per il 2011 al 9,9%. Le aspettative sul tasso di disoccupazione per il 2011 sono state lievemente riviste al ribasso, di 0,1 punti percentuali, al 9,9%. Quelle per il 2012 sono invariate al 9,6 per cento. I rischi complessivi per le aspettative relative al 2011 e al 2012 sono considerati orientati verso l'alto. Le aspettative sul tasso di disoccupazione a più lungo termine (per il 2015) restano invariate all'8,3% e, anche in questo caso, i rischi complessivi per le prospettive di più lungo periodo sono ritenuti al rialzo. (10 febbraio 2011)
MILLEPROROGHE Precari, riaperti i termini per i ricorsi contro i licenziamenti Precari, riaperti i termini per i ricorsi contro i licenziamenti ROMA - Si riaprono i termini per i ricorsi del lavoro da parte dei precari. "Per tutto quest'anno non si applicherà la norma del famigerato Collegato 1 sul lavoro che fissava al 23 gennaio i nuovi termini per l'impugnazione dei licenziamenti. Finalmente si riesce a salvaguardare in questa legislatura una norma che tutela chi lavora, anzichè tagliare quelle che esistono, e questo è certamente un fatto assai positivo". Così Achille Passoni, senatore del Partito Democratico e membro della Commissione lavoro di Palazzo Madama che annuncia l'ok delle Commissioni Affari costituzionali e Bilancio all'emendamento presentato al milleproroghe. "Migliaia - sottolinea il senatore Passoni - sono stati coloro che, avuto conoscenza dell'esistenza della norma niente affatto pubblicizzata dal governo, hanno aperto vertenze entro la scadenza prevista dall'art. 32 della legge 183 del 2010, ma molti di più saranno coloro che, grazie al nostro emendamento, avranno il tempo per decidere se impugnare un licenziamento ritenuto illegittimo". "Non va dimenticato, infatti, che la tipologia precaria del contratto atipico comporta spesso una oggettiva ricattabilità del lavoratore che alla scadenza del contratto stesso spera che, dopo qualche mese, il datore di lavoro glielo rinnovi. Cosa questa che induce a non agire per vedersi stabilizzato il contratto da un giudice, ma di attendere nella speranza di un rinnovo, magari dopo qualche mese", conclude il senatore Pd. Soddisfazione della Cgil: "Un risultato molto positivo e molto Importante, frutto della caparbia mobilitazione di questi due anni contro le norme sbagliate del collegato lavoro". E' quanto afferma il segretario confederale, Fulvio Fammoni. Il dirigente sindacale ricorda: "avevamo chiesto in tutti i passaggi parlamentari l'abolizione della retroattività o perlomeno la sua non applicazione per tutto il 2011. Adesso - aggiunge Fammoni - anche il governo si è dovuto piegare, dando parere positivo all'emendamento, perché sa bene che la norma sarebbe risultata incostituzionale e perché le decine di migliaia di ricorsi presentate nei 60 giorni avevano già in gran parte vanificato la norma tagliola" (09 febbraio 2011)
2011-02-09 IL CASO Merkel prepara la svolta in fabbrica "Orario di lavoro a misura di famiglia" Governo, sindacati e imprenditori si impegnano a rivedere l'attuale sistema entro il 2013: più spazio al tempo libero. L'obiettivo è dare ai lavoratori la possibilità di occuparsi dei figli dal nostro corrispondente ANDREA TARQUINI Merkel prepara la svolta in fabbrica "Orario di lavoro a misura di famiglia" L'impianto della Volkswagen a Wolfsburg BERLINO - Non basta la forza della ripresa economica, non basta il robusto ruolo della Germania come global player, primo della classe mondiale nell'export di qualità, numero uno del welfare: bisogna ripensare il modello-paese cominciando dall'orario di lavoro. Deve diventare flessibile e offrire a chi lavora più tempo ed energia per la famiglia. Ecco la nuova sfida di Angela Merkel. Parlando a un congresso a Berlino, la cancelliera ha firmato con i vertici dell'industria e dei sindacati la Carta dell'orario di lavoro orientato sulla famiglia. Una nuova idea di riforma del sistema Germania. "Imprenditori, siate creativi su questo tema, altrimenti costringerete noi leader politici a essere creativi per tutti", ha detto Angela Merkel. Le piaghe sono da un lato "lo scandalo", ha sottolineato la cancelliera, della presenza assolutamente insufficiente, irrisoria delle donne ai piani alti del potere economico: tra il 2,2 e il 3% appena. Dall'altro i problemi demografici, comuni alle società occidentali. Nascono troppo pochi bambini, anche in Germania, perché la gente si concentra sul lavoro, non ha tempo per i figli o pensa di non averlo, né di poterseli permettere. E' inutile e sbagliato pensare di risolvere i problemi introducendo le quote rosa nel mondo economico, pensa Angela Merkel. Secondo lei ci vuole ben altro, e in quella dichiarazione programmatica la sua linea è passata. Governo, imprenditori, sindacati, si impegnano nella Charta der familienfreundlichen Arbeitszeiten a rivedere il sistema dell'orario lavorativo entro il 2013. A quella data, governo e parti sociali faranno una verifica. Il documento promette di creare nuove condizioni, una realtà flessibile che si muova caso per caso tra gli estremi del lavoro a tempo pieno con annessi straordinari visto che l'economia tira e del part-time. L'obiettivo è dare in tal modo alle famiglie "possibilità attendibili, durevoli e adeguate ai loro bisogni di occuparsi dei figli e della loro educazione". E' una nuova sfida del centrodestra moderno europeo, quello saldamente al potere a Berlino con la Merkel, a Londra con David Cameron, a Varsavia con Donald Tusk. Bisogna guardare alla realtà con altri occhi, ha detto la giovane ministro della Famiglia, Christian Schroeder, che pure è incinta e ha deciso di continuare a lavorare senza congedo. "La cultura tradizionale della priorità alla presenza alla scrivania in ufficio o alla catena di montaggio è obsoleta e dannosa", ha spiegato, "perché chi ha meno tempo per sé finisce per non lavorare bene come potrebbe". (09 febbraio 2011)
ENERGIA Confindustria: "L'efficienza vale 800 mila posti di lavoro" La presidente Marcegaglia chiede al governo cambiare la Costituzione per favorire il nucleare, di rivedere gli incentivi alle rinnovabili e di aiutare l'occupazione con il ripristino della detrazione del 55%. Replica degli ambientalisti: "Attacchi strumentali" Confindustria: "L'efficienza vale 800 mila posti di lavoro" La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ROMA - Più efficienza, meno rinnovabili e ponti d'oro al nucleare. E' questo in sintesi il messaggio che Confindustria manda al governo sulla scia delle polemiche rilanciate nei giorni scorsi prima dal Gestore dei servizi energetici e poi dall'Authority per l'energia 1 sui presunti costi eccessivi degli incentivi all'elettricità pulita e in particolare al fotovoltaico. "Siamo dell'idea che il Paese debba investire in fonti rinnovabili ma su questo tema ci deve essere una graduale riduzione degli incentivi che sono tra i più alti d'Europa", precisa la presidente degli industriali Emma Marcegaglia. Nessuna controindicazione invece per le politiche a sostegno dell'efficienza, che l'ultima Finanziaria ha deciso invece di penalizzare riducendo i vantaggi della detrazione del 55% per gli investimenti nella riconversione energetica in edilizia. "Siamo molto a favore dell'efficienza energetica che è un elemento fondamentale - ha sottolineato Marcegaglia - ma abbiamo fatto uno studio che dice che se noi avessimo mantenuto gli incentivi all'efficienza energetica che erano in piedi fino alla fine del 2010 e che sono stati cancellati oggi in parte noi avremmo potuto aggiungere lo 0,4% di Pil all'anno fino al 2020, creando 800mila nuovi posti di lavoro" senza contare che avrebbero consentito di "risparmiare 3 miliardi di bolletta energetica a fronte di un costo di 1,5 miliari di di euro all'anno". Un recente studio di Confindustria 2 ha stimato che già oggi "nel nostro paese l'industria della green economy legata all’efficienza energetica rappresenta una quota rilevante del comparto industriale con quasi 400 mila aziende e quasi 3 milioni di occupati". Oltre alle rinnovabili e all'efficienza energetica, la presidente di Confindustria ha ribadito anche la necessità di "andare avanti sul nucleare". Perché ciò sia possibile, soprattutto all'indomani della recente pronuncia della Consulta 3 a proposito del coinvolgimento delle Regioni, secondo gli industriali occorre però che il governo sia adoperi per modificare il Titolo V della Costituzione in senso "antifederalista", cioè rimettendo la competenza in materia energetica nelle mani dello Stato. Riferendosi all'annuncio di Berlusconi sulla volontà di rivedere i precetti costituzionali sulla libertà d'impresa, Marcegaglia ha chiarito che "la modifica dell'articolo 41 ovviamente è un fatto positivo", ma "aggiungerei che forse è da affiancare anche la modifica del Titolo V per far sì che le grandi opere infrastrutturali energetiche tornino a una decisione nazionale". Da registrare che sul recente attacco partito da più parti alle rinnovabili sono intervenute oggi le prinicipali associazioni ambientaliste. "Si attaccano gli incentivi alle rinnovabili - scrivono Greenpeace, Legambiente e Wwf in un comunicato congiunto - per favorire il nucleare, quando per anni i soldi sono andati per la maggior parte alle cosiddette "assimilate", cioè ai combustibili fossili e inceneritori". Per questo le tre organizzazioni "esprimono grave preoccupazione per le prese di posizione e strumentalizzazioni di questi giorni promossi dall'Autorità per l’Energia: si tratta di un attacco che mette in discussione il raggiungimento degli obiettivi europei al 2020, che sono vincolanti". (08 febbraio 2011)
2011-02-06 FIAT Gli Agnelli ormai tagliati fuori Il potere all'ad, manager a Detroit Maria Sole: il mondo cambia ma non credo all'addio a Torino. Prima l'uscita di Montezemolo, poi quella di Gabetti, quindi le voci su Ferrari di SALVATORE TROPEA Gli Agnelli ormai tagliati fuori Il potere all'ad, manager a Detroit Sergio Marchionne e John Elkann TORINO - "Non ci credo. Non sarebbe una cosa facile. Posso pensare che se le cose lo imporranno, se i mercati lo richiederanno sarà lui (Marchionne) a spostarsi negli Stati Uniti, ma non che la testa e il cuore della Fiat possano lasciare Torino e l'Italia". Maria Sole Agnelli, sorella dell'Avvocato e assieme al marito Pio Teodorani Fabbri e ai figli, secondo azionista di Fiat attraverso Exor dopo John Elkann, traduce in un convinto e ostinato messaggio di sicurezza gli umori della Famiglia all'annuncio indiretto fatto arrivare venerdì sera da Sergio Marchionne dalla West Coast americana. "Ancora in un suo recente discorso ci ha esortato a guardare fuori dalle finestre, come dire che lì era Torino e lì la nostra casa, le nostre radici. E io voglio crederci, anche se non si deve dimenticare che il mondo cambia, più in fretta di quanto noi immaginiamo". In fondo è sempre quello che ha ripetuto John Elkann, prima e dopo il suo approdo alla presidenza del Lingotto: "Non riesco a immaginare una Torino senza Fiat e una Fiat lontana da Torino". Continua a essere il suo leit motiv da quando la strategia del potente ad di Fiat e Chrysler, accentuata o meno dallo scontro con una parte del sindacato italiano, sembra sempre più orientata a conferire maggior peso all'altra sponda dell'Atlantico nei progetti dell'alleanza Torino-Detroit. La famiglia tende, come fa con pacatezza la signora Maria Sole, a non mettere in discussione questo convincimento, restando nel recinto dell'ufficialità delle dichiarazioni e delle smentite. Ma è una posizione che, col passare dei giorni, sembra dettata più da uno stato di necessità che non da una scelta fatta una volta per tutte. Nessuno degli Agnelli lo ammette e anzi tutti confermano la piena fiducia nell'operato del supermanager italo-canadese, ma si avverte una sorta di progressivo isolamento della famiglia come se fosse tagliata fuori dai piani di Marchionne e per questo confortata da risultati che diversamente non sarebbero mai arrivati. Il "tormentone americano", stemperato come ieri da smentite, continua e non tutti nella galassia Agnelli sembrano disposti a credere che ogni cosa sia destinata a restare come prima. Ci sono segnali che alimentano questi dubbi, come il trasferimento di manager da Torino e dall'Italia agli Stati Uniti: mosse che non hanno niente a che fare con le difficoltà del sistema Paese. Il fatto è che il progressivo aumento del peso decisionale di Marchionne, con l'attuale struttura di governo del gruppo soprattutto dopo la scissione di inizio 2011, difficilmente può essere contrastato dalla famiglia Agnelli ammesso essa intenda farlo. Le modifiche adottata nell'arco degli ultimi dodici mesi hanno prodotto un'interruzione della continuità storica che in passato ha consentito ad essa di influenzare le scelte dell'ad sia pure nel rispetto delle competenze. La fine della presidenza Montezemolo, anche se il sostituto è un Agnelli, ancora oggi viene vissuta da alcuni "eredi" come uno strappo rispetto a una parte della famiglia. Tanto più che con essa si è come dissolta la vecchia struttura di presidenza diluita in una concentrazione di poteri nelle mani dell'ad. Se a ciò si aggiungono le voci che vogliono la vendita di una quota di Ferrari e la messa in discussione della presidenza Montezemolo a Maranello, nonché l'uscita di scena, col pensionamento, di un uomo come Gian Luigi Gabetti per dire un uomo che era la continuità sul fronte finanziario, si capisce perché qualcuno parli di un potere di Marchionne sempre più autonomo rispetto alla famiglia. Che non lo contrasta ma accompagna le sue decisioni con fiducia, facendo di tutto per cancellare l'ombra del sospetto di una non condivisione delle scelte strategiche. Compresa quella che sta trasformando l'alleanza Fiat-Chrysler in un nuovo gruppo Chrysler-Fiat. E che fa dire a un ex manager del Lingotto: "Non capisco le ragioni di tanta sorpresa. Marchionne da tempo va dicendo a chiare lettere ciò che intende fare e che non sarà la fine della Fiat Italia ma l'inizio di una Fiat con il suo epicentro fuori da questo paese". Una scelta che, a Torino, qualcuno pensa che alla fine non dispiaccia alla famiglia Agnelli o almeno a quella parte di essa che considera da tempo chiusa una storia. (06 febbraio 2011)
FIAT Lo smacco del Lingotto L' amministratore delegato Sergio Marchionne ha annunciato che il gruppo Fiat-Chrysler, una volta che fosse interamente unificato, potrebbe stabilire la propria sede legale negli Stati Uniti. Sarebbe un fatto senza precedenti di LUCIANO GALLINO Lo smacco del Lingotto Gianni Agnelli NON si ricorda infatti un altro grande costruttore, di quelli che hanno fatto la storia dell'automobile, che abbia de-localizzato non solo il proprio braccio produttivo, ma anche la propria testa, gli enti che decidono e guidano tutto il resto di un grande gruppo nel mondo. Toyota e Volkswagen, Citroen e Renault, General Motors e Ford producono milioni di auto in paesi terzi, ma il quartiere generale, il cuore della ricerca e sviluppo, il controllo gestionale e finanziario restano ben saldi nel paese d'origine. Sarebbe un grave smacco per Torino, per il Piemonte e per tutto il Paese se Fiat cambiasse nazionalità. L'Italia resterebbe con una sola grande industria manifatturiera, la Finmeccanica, che per il 40 per cento produce armamenti, non esattamente il tipo di produzione di cui un paese possa andare fiero, anche se permette di realizzare buoni utili. Questo in un momento in cui l'industria automobilistica è dinanzi a sfide, tipo la mobilità sostenibile, che potrebbero cambiare profondamente la sua struttura produttiva ed i rapporti con altri settori che cominciano seriamente a occuparsi di uno dei maggiori temi da affrontare per evitare il suicidio delle città causa collasso del traffico. Inutile illudersi in merito a ciò che resterebbe a Torino, nel caso che la testa di Fiat Auto se ne vada a Auburn Hills o a Detroit. Il Centro Ricerche Fiat, da cui sono uscite alcune delle più importanti innovazioni degli ultimi anni, in specie, nel campo dei motori, sarebbe prima o poi destinato a seguirla, insieme con i designer, i tecnici che progettano i sistemi base di un'auto, gli esperti di autoelettronica. Quanto ai fornitori di componenti, potranno sperare di trovare nuovi clienti tra i grandi gruppi europei ed extraeuropei che continueranno a costruire milioni di auto in ambito Unione europea gestendo con mano sicura la produzione dalle loro sedi nazionali. È un esercizio sgradevole a farsi, ma dinanzi a un evento che potrebbe segnare definitivamente la discesa dell'Italia tra le potenze industriali di serie C, bisogna pure chiedersi chi sono e dove stanno i responsabili della eventuale migrazione di Fiat Auto negli Stati Uniti. Non è nemmeno un'impresa facile, perché se uno immagina di metterli materialmente fianco a fianco per affrontare tutti insieme una approfondita discussione sul caso Fiat, non basterebbe ormai un palasport. Forse per deferenza nei confronti delle grandi figure del passato, come Giovanni e Gianni Agnelli, finora se n'è parlato poco, ma sembra evidente che la fuga della Fiat dall'Italia debba non poco alla famiglia proprietaria. Che all'auto deve tutto, ma che da una decina d'anni mostra chiaramente di considerare la produzione di auto come una palla al piede. Altrimenti non si spiegherebbero i modesti investimenti in ricerca e sviluppo che sono calcolati per addetto, la metà di quelli della Volkswagen; il mancato rinnovo di stabilimenti che sono ormai i più vecchi d'Europa, e il lasciare passare di mano il maggiore designer del continente, Giugiaro, senza alzare letteralmente un dito. Accanto alla famiglia, sugli spalti del palasport dei responsabili della fuga Fiat dovrebbero esserci gli innumerevoli politici, sindacalisti, sindaci, economisti, commentatori tv che hanno salutato i piani del genere "prendere o lasciare" di Marchionne come folgoranti salti nella modernità delle relazioni industriali. Mentre si rivelano ora un goffo tentativo per recuperare sul fronte strettissimo delle condizioni di lavoro quello che si è perso sulla strada maestra dei nuovi modelli, del rinnovo radicale degli impianti, della ricerca e sviluppo. Ad onta della suddetta folla, un pò di spazio sugli spalti dei responsabili della fuga Fiat si dovrebbe ancora trovare per gli esponenti del governo che nel corso degli anni, non solo negli ultimi mesi hanno dato prova di una inettitudine totale nel concepire e attuare una politica industriale che coinvolga l'auto ma non si limiti ad essa. Come hanno saputo fare sia i maggiori paesi Ue, sia perfino alcuni dei più piccoli. Se la Fiat diventa americana, ossia se è destinata a operare come il distributore di auto Chrysler in Italia, il problema da affrontare subito è il destino di Mirafiori e delle migliaia di posti di lavoro che vi ruotano attorno. Certo, è sempre meglio montare delle jeep i cui pezzi principali (la piattaforma e il motore) sono costruiti in America che restare disoccupati. Ma Torino e l'Italia meritano sicuramente di meglio. Farebbe bene sperare, o quantomeno ridurrebbe il tasso collettivo di pessimismo attorno al destino dei lavoratori Fiat, se nel palasport dei responsabili della migrazione all'estero di questa grande azienda qualcuno provasse ancora a fare un tentativo per uscire da questo vicolo cieco prima di dover sottoscrivere la resa definitiva. (06 febbraio 2011)
SFRUTTAMENTO LAVORATIVO Primo: non sostituire i dipendenti. Le 10 regole contro gli "stage-truffa" La Cgil lancia una campagna e un sito per tutelare l'entrata nelle azienda dei giovani SFRUTTAMENTO LAVORATIVO Primo: non sostituire i dipendenti. Le 10 regole contro gli "stage-truffa" La Cgil lancia una campagna e un sito per tutelare l'entrata nelle azienda dei giovani ROMA — Un decalogo per difendersi dagli stage-truffa. E una campagna per suggerire ai più giovani come difendersi dallo sfruttamento lavorativo, perché nel 2008 soltanto 9 stagisti su 100 hanno trovato un lavoro, sia pure precario, dopo uno stage. È la campagna lanciata dal segretario della Cgil, Susanna Camusso, che prevede tra l’altro, l’istituzione di una bacheca online che ospiterà le denunce sugli stage-truffa. La Cgil chiede a governo e Regioni norme che prevedano sanzioni per chi non rispetta le regole e rafforzino i limiti su durata massima, numero di stagisti in azienda e divieto di proroga. RIMBORSO SPESE - Ma ecco, in sintesi, il decalogo: 1) Stage e tirocinio devono essere fondati su un progetto formativo, definito da una convenzione tra l’ente promotore, l’ente ospitante e lo stagista. 2) Gli stagisti devono essere inseriti in (o aver da poco concluso) percorsi formativi. 3) Lo stagista ha diritto a un Tutor. 4) Lo stagista non può sostituire personale dipendente. 5) È consentito un limite massimo di stagisti in proporzione al personale. 6) La durata di uno stage è commisurata al progetto formativo. 7) Lo stage non può essere prorogato. 8) Lo stagista deve esser messo in condizione di formarsi. 9) Allo stagista devono essere riconosciuti pari diritti rispetto ai dipendenti su servizi-mensa, buoni-pasto, trasporti, alloggio, assicurazione infortunistica e tutte le norme previste sulla salute e sicurezza. 10) Lo stagista ha diritto a un rimborso spese di 400 euro a titolo di borsa di studio. Redazione online 04 febbraio 2011(ultima modifica: 05 febbraio 2011)
2011-02-05 IL CASO Fiat, possibile trasferimento a Detroit Marchionne: "Direzione resta a Torino" "Il governo lo convochi" chiede il segretario generale Cgil Susanna Camusso dopo l'ipotesi lanciata dall'ad dell'azienda torinese di una possibile fusione con Chrysler e spostamento negli Usa. Anche Bersani chiede risposte sugli investimenti. Di Pietro: "Operazione di depauperamento industriale" Fiat, possibile trasferimento a Detroit Marchionne: "Direzione resta a Torino" L'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne MILANO - Nessuna localizzazione, "né per l'oggi né per il domani", delle funzioni direzionali e progettuali di Fiat all'estero. Lo ha assicurato l'ad di Fiat Sergio Marchionne al ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, nel corso di un colloquio telefonico, dopo l'ipotesi lanciata ieri dall'ad del Lingotto 1 di una possibile fusione tra Fiat e Chrysler con 'testa' a Detroit. "Marchionne ha spiegato il senso delle ipotesi formulate con esclusivo riferimento a futuri e possibili, ma assolutamente non decisi, assetti societari, senza alcun riferimento a una diversa localizzazione delle funzioni direzionali e progettuali della società", si legge in una nota diffusa dal Ministero. Anche dal governo, questa volta, è arrivata una sostanziale richiesta di chiarimento. All'amministratore delegato della Fiat "chiediamo la garanzia di un trasparente e continuo confronto con le istituzioni e le parti sociali", ha detto Sacconi, aggiungendo: "Una vaga ipotesi non è una decisione. E non può quindi dar luogo al solito festival delle Cassandre" ma "una cosa è certa: l'Italia tutta, nelle sue componenti istituzionali come in quelle sociali prevalenti, si è guadagnata il diritto a conservare funzioni direzionali e progettuali". L'obiettivo ribadito di fusione fra Fiat e Chrysler ha scatenato la reazione del segretario generale della Cgil. Secondo Susanna Camusso il governo dovrebbe "convocare Sergio Marchionne. Che si discuta il piano industriale", ha affermato a margine di una manifestazione di Libertà e Giustizia al Palasharp 2 a Milano, "che si discuta finalmente delle cose vere invece che di trattare male i lavoratori".
"E' tempo di fare una discussione di politica industriale e che il governo doveva chiedere delle garanzie a Fiat", continua Camusso. "Perché - ha aggiunto la numero uno del sindacato, parlando a margine della manifestazione - l'operazione ci pareva fosse il trasferimento negli Usa: mi pare che questa dichiarazione (di Marchionne, ndr) confermi tutte le preoccupazioni che avevamo". "Non possiamo che continuare a chiedere", ha aggiunto Camusso, "che il governo faccia una volta tanto il suo mestiere". Sulla stessa linea Pierluigi Bersani: "Sono stato ministro anche io. Io chiamerei Marchionne e gli direi: 'dopo averci spiegato come si organizzano i turni e le pause, vuoi dirci cosa succede sulle prospettive con la Chrysler?'". "Non vorrei - ha proseguito - che per i 150 anni dell'unità d'Italia, il regalo per Torino e l'Italia sia quello di diventare la periferia di Detroit. Perché noi non siamo mica d'accordo. Vogliamo risposte - ha concluso - sugli investimenti". Per l'Italia dei valori l'ipotesi prefigura "una gravissima operazione di depauperamento industriale per il nostro Paese. La Fiat continua a vivere di denaro pubblico e risorse finanziarie italiane, ma a differenza del passato, li sta utilizzando per spostare la testa dell'azienda in Usa e la produzione nei paesi low cost". Lo affermano, in una nota, il leader Idv Antonio Di Pietro e il responsabile welfare e lavoro del partito, Maurizio Zipponi. (05 febbraio 2011)
IL CASO Fiat, possibile trasferimento a Detroit Camusso: "Governo convochi Marchionne" "Si discuta del piano industriale invece di trattare male i lavoratori" chiede il segretario generale della Cgil dopo l'ipotesi lanciata dall'ad dell'azienda torinese di una possibile fusione con Chrysler e spostamento negli Usa. Anche Bersani chiede garanzie e risposte sugli investimenti. Di Pietro: "Operazione di depauperamento industriale" Fiat, possibile trasferimento a Detroit Camusso: "Governo convochi Marchionne" Susanna Camusso MILANO - Per il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, il governo dovrebbe "convocare Sergio Marchionne" dopo l'ipotesi lanciata ieri dall'ad del Lingotto 1 di una possibile fusione tra Fiat e Chrysler con 'testa' a Detroit. "Che si discuta il piano industriale", ha affermato a margine di una manifestazione di Libertà e Giustizia al Palasharp a Milano, "che si discuta finalemente delle cose vere invece che di trattare male i lavoratori". "E' tempo che diciamo che bisogna fare una discussione di politica industriale e che il governo doveva chiedere delle garanzie a Fiat", continua Camusso. "Perché - ha aggiunto la numero uno del sindacato, parlando a margine della manifestazione - l'operazione ci pareva fosse il trasferimento negli Usa: mi pare che questa dichiarazione (di Marchionne, ndr) confermi tutte le preoccupazioni che avevamo". "Non possiamo che continuare a chiedere", ha aggiunto Camusso, "che il governo faccia una volta tanto il suo mestiere". Sulla stessa linea Pierluigi Bersani: "Sono stato ministro anche io. Io chiamerei Marchionne e gli direi: 'dopo averci spiegato come si organizzano i turni e le pause, vuoi dirci cosa succede sulle prospettive con la Chrysler?'". "Non vorrei - ha proseguito - che per i 150 anni dell'unità d'Italia, il regalo per Torino e l'Italia sia quello di diventare la periferia di Detroit. Perché noi non siamo mica d'accordo. Vogliamo risposte - ha concluso - sugli investimenti". Per l'Italia dei valori l'ipotesi prefigura "una gravissima operazione di depauperamento industriale per il nostro Paese. La Fiat continua a vivere di denaro pubblico e risorse finanziarie italiane, ma a differenza del passato, li sta utilizzando per spostare la testa dell'azienda in Usa e la produzione nei paesi low cost". Lo affermano, in una nota, il leader Idv Antonio Di Pietro e il responsabile welfare e lavoro del partito, Maurizio Zipponi. (05 febbraio 2011)
UTO Annuncio a sorpresa di Marchionne "Fiat potrebbe trasferirsi a Detroit" Possibili in 2-3 anni la fusione con Chrysler e la sede negli Usa. L'a.d: "Mirafiori progetto fondamentale per Fabbrica Italia ma nel Bel Paese si fa troppa politica" di PAOLO GRISERI Annuncio a sorpresa di Marchionne "Fiat potrebbe trasferirsi a Detroit" TORINO - La Fiat sarà americana: "Tra due o tre anni Fiat e Chrysler potranno diventare un'unica entità che potrebbe avere sede qui" negli Stati Uniti, dice Sergio Marchionne parlando a San Francisco. Una discovery sul futuro del Lingotto che coglie totalmente di sorpresa il versante europeo dell'alleanza tra Torino e Detroit. A Torino ieri sera si tendeva a relativizzare una battuta fatta al termine di una tavola rotonda della Jd Power nella città della costa ovest. Una battuta che farà comunque discutere perché è la prima volta che Marchionne ipotizza di trasferire oltreoceano la testa della società: "Sono ancora ipotesi, stiamo studiando - ha precisato l'ad - e comunque non faremo passi fino a quando non avremo restituito i prestiti concessi dai governi di Usa e Canada". La mossa di Marchionne è comunque coerente con le sue dichiarazioni fatte nel corso delle ultime ore. Con la rappresentazione di una Chrysler dove tutto funziona come un orologio e di una Fiat dove non mancano i problemi: "Chrysler - ha detto ieri - ha superato tutti i target e nel 2011 potrebbe superare i 2 milioni di automobili, siamo molto soddisfatti". Soddisfazione che è stata palese anche dalla scelta di distribuire a tutti i dipendenti Chrysler un bonus come segno di riconoscenza "per i sacrifici sopportati". Ben diverso il giudizio che l'ad ha dato sulla situazione italiana: "Lo stabilimento di Mirafiori è un progetto fondamentale per il progetto di Fabbrica Italia, ma nel Bel Paese si fa troppa politica". Il riferimento è evidentemente alle polemiche che hanno accompagnato gli accordi di Mirafiori e Pomigliano e, in generale, alle critiche che gli atteggiamenti di Marchionne hanno suscitato in Italia negli ultimi mesi. Dunque il trasferimento della sede oltreoceano, che per ora l'ad definisce "una ipotesi", sarebbe motivato non solo da considerazioni di tipo economico ma anche dalle difficoltà di comunicazione e di immagine che l'amministratore delegato sta incontrando in Italia. Quando potrebbe avvenire il trasloco? Marchionne ha detto che "le scelte sulla governance verranno fatte dopo la fusione" e che quella fusione "non avverrà prima che siano onorati i debiti". Il calendario è presto fatto: entro fine 2011 Fiat potrebbe salire al 35 per cento di Chrysler e conquistare il 51 per cento alla fine di quest'anno o all'inizio del 2012. Poi potrà cominciare la vera e propria operazione di fusione. Così nel 2013-2014 si deciderà quale sarà il luogo in cui si prenderanno le decisioni strategiche, il quartier generale. Ma il 2014 è anche l'anno in cui si concluderà il piano presentato da Marchionne nell'aprile scorso. "Ormai gli annunci importanti Marchionne li fa quando si trova in America, e anche questo è un segnale", commenta Giorgio Airaudo della Fiom addossando "alla politica nazionale e locale la responsabilità di non aver saputo trattenere la Fiat in Italia". Per il responsabile auto della Fim, Giuseppe Farina, è invece "troppo presto per commentare una battuta piena di condizionali". Con una incertezza in più, Fabbrica Italia prosegue comunque il suo cammino. Ieri la Fiat ha annunciato che il 7 marzo inizieranno gli incontri con i sindacati per decidere le modalità di trasferimento degli attuali dipendenti di Pomigliano nella newco che produrrà la Panda. Agli incontri parteciperà anche la Fiom. (05 febbraio 2011)
2011-01-04 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Accordo separato nel pubblico impiego Cisl e Uil firmano, Cgil lascia Camusso abbandona la trattativa sui salari di produttività e accusa: "Presa in giro dei lavoratori. Non si riforma l'amministrazione con il taglio della contrattazione nazionale". Bonanni replica: "L'intesa salvaguarda interamente gli stipendi dei dipendenti pubblici" Accordo separato nel pubblico impiego Cisl e Uil firmano, Cgil lascia ROMA - Cisl e Uil hanno firmato l'accordo con il governo sul salario di produttività. La Cgil non ha siglato l'intesa e ha lasciato il tavolo. Non hanno firmato neanche Cobas e Cisal. L'accordo firmato da Cisl e Uil, "è una presa in giro dei lavoratori" e per questo la Cgil non l'ha firmato. Lo ha detto Susanna Camusso, leader Cgil, nella conferenza stampa che ha seguito l'incontro. "Il testo - ha detto Camusso - non affronta i problemi urgenti che abbiamo. La Finanziaria taglia il 50% dei lavoratori precari della pubblica amministrazione. Non si fa la riforma dell'amministrazione con il taglio della contrattazione nazionale (bloccata fino al 2013, ndr). Siamo di fronte a dei sindacati che corrono in soccorso di un governo un po' claudicante". Completamente opposta la valutazione del segretario della Cisl Raffaele Bonanni: per il quale l'accordo "salvaguarda gli stipendi dei dipendenti pubblici interamente". "Nessuno perderà un euro - ha detto Bonanni - neanche con le pagelle. Le fasce di merito non si applicheranno ai salari attuali ma alle risorse aggiuntive. Questo è il siginificato di questo accordo". "Sono molto irritato e dispiaciuto per le parole della collega Camusso. L'accordo non è una presa in giro dei lavoratori", ha poi contestato il segretario generale della Cisl, nella conferenza stampa che ha seguito l'accordo. Bonanni ha definito le affermazioni di Camusso "una caduta di stile". "Non mi sono mai permesso - ha aggiunto - di dire cose di questo genere. Eppure ho molti dubbi sulla caratura essenzialmente sindacale dei comportamenti come quelli che ci tocca sopportare. Non lancio ingiurie ma continueremo a fare il nostro lavoro sindacale e lo faremo sempre di più". Contesta il duro giudizio della leader della Cgil anche il segretario confederale della Uil Paolo Pirani, secondo il quale le accuse rivolte da Camusso agli altri sindacati "vanno respinte al mittente". "Non è manifestando solo il dissenso che si salvano le ragioni del sindacato, ma è risolvendo problemi concreti che il sindacato potrà continuare ad essere credibile in Italia", ha detto in conferenza stampa, aggiungendo: "Non comprendo le motivazioni per cui la Cgil non ha firmato un accordo che migliora le condizioni". I punti fondamentali dell'intesa sono collegati direttamente alla riforma Brunetta e riguardano i premi individuali per fasce di merito (finanziabili solo con risorse derivanti da risparmi di gestione) e il sistema delle relazioni sindacali. (04 febbraio 2011)
2011-01-01 ISTAT Sale la disoccupazione giovanile Dicembre al 29%, record del 2004 L'Istituto di statistica rileva come il dato sia l'unica nota stonata in un quadro generale più confortante: a dicembre 2010 si è fermato il calo dell'occupazione, stabile la disoccupazione. Il numero di chi cerca lavoro cala dello 0,5 % rispetto a novembre, +2,5% rispetto a un anno fa. Germania: i senza lavoro ai minimi dal 1992 Sale la disoccupazione giovanile Dicembre al 29%, record del 2004 ROMA - Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a dicembre 2010 è salito al 29%, con un aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 2,4 punti percentuali rispetto a dicembre 2009, segnando così un nuovo record negativo. Si tratta, infatti, del livello più alto dall'inizio delle serie storiche mensili, ovvero dal gennaio del 2004. Lo comunica l'Istat in base a dati destagionalizzati e a stime provvisorie. Come segnalano gli stessi tecnici dell'Istituto di statistica, il dato sulla disoccupazione giovanile è l'unico indicatore negativo in un quadro generale piuttosto confortante. "A chiusura del 2010 le condizioni del mercato del lavoro appaiono un po' più serene - rilevano gli statistici -, da autunno l'occupazione ha smesso di scendere e la disoccupazione nell'ultimo bimestre, novembre e dicembre, ha preso a calare. L'unico elemento che stona è la disoccupazione giovanile, che ancora una volta torna a scalare posizioni, segnando un nuovo record". Dalle condizioni "più serene" del mercato del lavoro deriva un tasso di disoccupazione generale, in base a dati destagionalizzati e a stime provvisorie, che a dicembre resta stabile all'8,6%, lo stesso livello già registrato a novembre (rivisto al ribasso dall'8,7%). In confronto a dicembre 2009 il tasso di disoccupazione registra un aumento di 0,2 punti percentuali. Il numero di occupati a dicembre 2010, sempre su dati destagionalizzati, risulta invariato sia rispetto a novembre 2010 sia su base annua. Il tasso di occupazione, pari al 57 per cento, risulta stabile rispetto a novembre e in riduzione di 0,1 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Il numero delle persone in cerca di occupazione risulta in diminuzione dello 0,5 per cento rispetto a novembre, e in aumento del 2,5 per cento rispetto a dicembre 2009. Il numero di inattivi di età compresa tra 15 e 64 anni a dicembre 2010 aumenta dello 0,1 per cento rispetto sia a novembre sia a dicembre 2009. Il tasso di inattività, pari al 37,6 per cento, è invariato rispetto al mese precedente e in diminuzione rispetto a dicembre 2009 (-0,1 punti percentuali). Dalla Germania la nuova conferma che la "locomotiva" ha ripreso a marciare. Il numero dei disoccupati scende ai minimi da 18 anni, dal 1992. A gennaio i senza lavoro sono diminuiti di 13.000 unità a 3.135 milioni, il livello più basso da novembre 1992, superate anche le previsioni che puntavano su un calo di 9mila unità, rispetto alla crescita, rivista, di 1.000 In dicembre. Lo ha comunicato l'Agenzia federale del Lavoro di Norimberga, precisando che il tasso di disoccupazione destagionalizzato è sceso dal 7,5% al 7,4%. Il tasso di disoccupazione non depurato dei fattori stagionali, invece, segna un rialzo considerevole: nel mese di gennaio è del 7,9%, rispetto al 7,2% segnato in dicembre e al 7,5% delle attese. (01 febbraio 2011)
GDF Nel 2010 scoperti 8.850 evasori totali e quasi 4.500 finti invalidi o poveri Il rapporto annuale della Guardia di Finanza: scovati redditi non dichiarati per quasi 50 miliardi di euro, sequestrati alla criminalità organizzata beni per oltre tre miliardi Nel 2010 scoperti 8.850 evasori totali e quasi 4.500 finti invalidi o poveri ROMA - Redditi non dichiarati per quasi 50 miliardi di euro, 8.850 evasori totali, quasi 4.500 tra falsi invalidi e finti poveri, sequestri per oltre tre miliardi alla criminalità organizzata e per oltre 110 milioni di prodotti contraffatti o pericolosi. Questi i dati principali del rapporto sull'attività della Guardia di Finanza nel 2010. Evasione fiscale. Si tratta dell'aspetto più rilevante, quello le cui cifre fanno più impressione. Sono stati scoperti redditi non dichiarati per 49,245 miliardi di euro. La somma - già resa nota dal comandante delle Fiamme Gialle 1, il generale Nino di Paolo, ai membri della Commissione Finanze della Camera in un'audizione lo scorso 26 gennaio - è cresciuta del 46% rispetto al 2009. Inoltre sono stati individuati 8.850 evasori totali (in aumento del 18% rispetto all'anno precedente): persone e aziende che pur svolgendo attività economiche non hanno mai presentato una dichiarazione dei redditi e che nel 2010 hanno evaso redditi per oltre 20 miliardi (+47% rispetto al 2009) e Iva per 2,6 miliardi. Di questi, 3.288 hanno evaso più di 77mila euro di imposte. E sempre nel 2010 gli italiani hanno anche evaso quasi 30,5 miliardi di Irap e 6,3 miliardi di Iva. 635 invece i milioni di ritenute non versate o non operate. Dei quasi 50 miliardi nascosti al fisco, 10,5 sono quelli individuati nei casi di evasione fiscale internazionale, quasi il doppio del 2009 (5,8 miliardi), realizzati trasferendo fittiziamente all'estero la residenza di persone fisiche o società, triangolazioni con paesi off-shore e omesse dichiarazioni di capitali detenuti all'estero. I soldi di questi evasori sono principalmente in Lussemburgo e in Svizzera, dove è stato individuato più del 50% degli oltre 10 miliardi evasi. Seguono il Regno Unito (7%), Panama (6%), San Marino e Liechtenstein (2%). Complessivamente, emerge dal rapporto, nel 2010 i militari della Guardia di Finanza hanno svolto 31.777 verifiche sui fenomeni di evasione, elusione e sulle frodi più gravi e diffuse, 79.872 controlli sui singoli atti di gestione e 779.863 controlli strumentali, quelli riguardanti il rilascio di scontrini e ricevute fiscali. Infine, sono 18.541 (+12% rispetto al 2009) i lavoratori utilizzati in nero da 7.822 datori di lavoro, di cui 5.508 di origine extracomunitaria. Falsi invalidi e finti poveri. Ne sono stati scoperti 4.486, tutti denunciati all'autorità giudiziaria. I truffatori hanno usufruito di aiuti dello Stato, sotto forma di borse di studio, contributi per gli affitti e altri sussidi pur non avendone alcun diritto. Tanto per fare qualche esempio, in Veneto sono stati individuati finti poveri che chiedevano un contributo per pagare l'affitto ma guidavano auto lussuose, nel centro di Firenze proprietari di appartamenti di pregio che chiedevano buoni per le mense scolastiche e per l'acquisto dei libri dei figli, in Calabria commercianti che chiedevano l'esenzione dal ticket sanitario pur possedendo 90 immobili. Beni sequestrati alla criminalità organizzata. Nel 2010 la Guardia di Finanza ha sequestrato 4.828 beni per un valore di oltre tre miliardi - il 30% in più rispetto al 2009 - e ne ha confiscati 542, per un valore di 142 milioni. Il 23% del valore dei sequestri "è riconducibile a beni ed aziende del centro-nord: un segno che è ormai normale, nel corso delle indagini patrimoniali, anche se avviate da reparti dell'Italia meridionale, ricercare i reinvestimenti condotti in qualsiasi area del Paese". Riciclaggio. Nell'ambito del contrasto agli illeciti economico-finanziari, per i reati di riciclaggio, usura, bancari, societari, fallimentari e di borsa, sono state arrestate 701 persone e ne sono state denunciate 5.977. Di queste, 1.131 sono state segnalate per riciclaggio e sono stati sequestrati loro patrimoni per 367 milioni (+21% sul 2009): nel 2010 hanno riciclato oltre 3,2 miliardi. Droga e giochi. Quanto alla lotta al traffico internazionale di stupefacenti, le indagini hanno consentito di denunciare 9.180 persone, di cui 3.135 arrestate. Sequestrate complessivamente 20,5 tonnellate di droga (+61% rispetto al 2009). Importante anche l'attività relativa alle verifiche sui giochi: i militari hanno infatti chiuso nel 2010 quasi duemila centri di raccolta di scommesse non autorizzate, anche on line (il 166% in più rispetto all'anno precedente). L'industria del falso. Oltre 110 milioni i prodotti contraffatti o pericolosi sequestrati. Nel corso delle indagini gli uomini della Gdf hanno accertato che oramai si tarocca di tutto: dai ricambi delle auto ai caschi, dai farmaci ai cosmetici, dagli oggetti di bigiotteria fino alle figurine. "Sebbene l'alta moda, l'abbigliamento e i suoi accessori si siano confermati settori in cui la contraffazione e la falsa indicazione 'made in Italy' sono ancora fortemente diffusi - si afferma nel rapporto - le operazioni condotte nel 2010 hanno evidenziato un notevole aumento dei sequestri di beni di largo consumo (+36%) e di prodotti pericolosi per la salute (+33%)". Il rapporto conferma inoltre il coinvolgimento sempre maggiore della criminalità organizzata italiana e straniera nell'industria del falso: 341 sono le persone che sono state denunciate per associazione a delinquere finalizzata alla contraffazione e 98 quelle arrestate, il 50% in più rispetto al 2009. (31 gennaio 2011)
AUTO Risultati Chrysler "oltre le aspettative" Marchionne esulta: "L'azienda è rinata" L'ad saluta con soddisfazione i risultati del 2010: "Abbiamo mantenute lo promesse". La quota di mercato negli Usa è salita al 9,2% dall'8,8% del 2009 Risultati Chrysler "oltre le aspettative" Marchionne esulta: "L'azienda è rinata" Sergio Marchionne NEW YORK - "Oltre le aspettative": così l'amministratore delegato di Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne, ha commentato i risultati della casa automobilistica americana, che prevede di archiviare il 2011 con un utile netto per 0,2-0,5 miliardi di dollari e ricavi per 55 miliardi di dollari, sottolineando che il cash flow sarà positivo per un miliardo di dollari. I risultati "conseguiti da Chrysler lo scorso anno, sia sul fronte dei prodotti sia sul fronte finanziario, hanno superato le aspettative", ha detto Marchionne. "Abbiamo mantenuto la promessa di lanciare 16 nuovi veicoli negli ultimi 12 mesi. Questi veicoli sono la testimonianza della rinascita di Chrysler. Dati i positivi commenti ricevuti, possiamo dire che quanto conseguito da Chrysler lo scorso anno, sia sul fronte dei prodotti sia su quello finanziario, hanno superato le attese. Il nostro lavoro non è finito, abbiamo ancora molto da fare per adempiere agli obiettivi del piano quinquennale". Le vendite mondiali di Chrysler, di cui Fiat controlla il 25%, sono risultate pari a 347.000 unità nel quarto trimestre, in calo del 7% rispetto alle 401.000 unità del terzo trimestre. La perfomance operativa del quarto trimestre, rispetto ai tre mesi precedenti, è dovuta a un miglioramento delle efficienze industriali e della qualità. I ricavi sono calati del 2,3% a 10,7 miliardi di dollari rispetto al terzo trimestre in quanto Chrysler ha ridotto le consegne con il lancio della produzione di 11 nuovi veicoli. Il gruppo automobilistico annuncia inoltre una perdita netta nel 2010 di 652 milioni di dollari, a fronte di 1,228 miliardi di dollari di oneri di interessi sul debito, mentre i profitti operativi si attestano a 763 milioni di dollari, in crescita rispetto al pareggio di bilancio annunciato 12 mesi fa. Il fatturato si attesta a 41,9 miliardi di dollari, in linea con le stime. Il cash flow è positivo per 1,4 miliardi di dollari, migliore di oltre 2 miliardi rispetto alle previsioni. Il totale della liquidità disponibile del gruppo sale a 9,6 miliardi di dollari, inclusi 7,3 miliardi di dollari cash. La quota di mercato negli Usa nel 2010 è salita al 9,2% dall'8,8% del 2009, mentre in Canada avanza dall'11% al 13%. Per il 2011 Chrysler si aspetta un utile netto tra i 200 e i 500 milioni di dollari, un profitto operativo di 2 miliardi di dollari, un fatturato di 55 miliardi di dollari, un cash flow di un miliardo di dollari e un Ebitda di 4,8 miliardi di dollari. (31 gennaio 2011)
2011-01-29 FIAT Sciopero Fiom, cortei e proteste in tutta Italia Landini: "C'è bisogno di sciopero generale" Secondo il sindacato alta l'adesione, soprattutto in Sicilia. Tensione a Milano, Torino, Genova e Ancona. Studenti hanno bloccato la stazione di Colleferro. Landini: "Se Confindustria fa come Fiat, conflitto senza precedenti" Sciopero Fiom, cortei e proteste in tutta Italia Landini: "C'è bisogno di sciopero generale" * link Studenti a Colleferro * Arcore: uova contro l'immagine Berlusconi video Uova contro l'immagine del premier * link La mappa della protesta * I metalmeccanici ad Arcore foto I metalmeccanici ad Arcore * Metalmeccanici a migliaia in corteo con la Fiom diretta Metalmeccanici a migliaia in corteo con la Fiom ROMA - Migliaia di lavoratori metalmeccanici sono scesi nelle piazze italiane oggi per dire no agli accordi sugli stabilimenti Fiat di Pomigliano e di Mirafiori e in difesa del contratto nazionale contro gli ''attacchi'' di Confindustria e di Federmeccanica. In contemporanea alle oltre 20 manifestazioni (18 regionali e quattro provinciali in Liguria) indette dalla Fiom, si sono tenuti anche presidi e cortei dei sindacati di base Usb che per la giornata hanno proclamato uno sciopero generale dei metalmeccanici. In alcuni casi come Torino, Pomigliano e Cassino l'Usb ha partecipato ai cortei della Fiom. Dalle piazze, come avvenuto ieri a Bologna, i lavoratori sono tornati a chiedere alla Cgil la proclamazione dello sciopero generale di tutte le categorie, in alcuni casi contestando i rappresentanti della Cgil che parlavano dal palco. Anche il segretario della Fiom, Maurizio Landini, che ha aperto il corteo di Milano e ha poi parlato dal palco, ha invocato lo sciopero generale. "Abbiamo bisogno - ha detto nella conclusione del suo discorso - che si metta in campo lo sciopero generale. So perfettamente che non è facile da costruire e che non è sufficiente. Ma se vogliamo riunificare i lavoratori non c'è che la Fiom per farlo". Landini, che ha annunciato che la prossima settimana proporrà all'assemblea dei delegati Fiom di aprire una consultazione straordinaria in tutte le fabbriche per decidere le iniziative da portare avanti, ha escluso che sullo sciopero generale ci siano attriti con il leader della Cgil Susanna Camusso mentre c'è "una discussione aperta sulla possibilità di mettere in campo uno sciopero generale". "Federmeccanica e Confindustria devono sapere - ha aggiunto il numero uno della Fiom - che se fanno quello che fa la Fiat ci sarà un conflitto che non ha precedenti nel nostro Paese. Noi vogliamo fare accordi, vogliamo che le aziende funzionino e che i diritti siano estesi, per questo offriamo un terreno di confronto''. Da Padova il segretario nazionale Fiom Giorgio Cremaschi ha invocato a sua volta lo sciopero generale: "La Fiat si sta avviando verso una deriva autoritaria e fascista che impedisce la libertà sindacale - ha detto - Serve uno sciopero contro il modello Marchionne, non vogliamo in Fiat o nella società italiana il ritorno all'Ottocento, quando i lavoratori erano soggetti al ricatto in azienda, un ricatto che subiscono tutti i lavoratori inclusi i precari". Momenti di tensione si sono registrati a Torino e Milano, dove sono stati lanciati uova e vernice, a Genova, dove sono stati dati alle fiamme alcuni cassonetti, e ad Ancona, dove l'accesso al porto è rimasto bloccato per tutta la mattinata. Ad Arcore è stato fatto il tiro al bersaglio con freccette e uova contro sagome di Berlusconi e Marchionne. A Torino è stato contestato il segretario confederale della Cgil Enrico Panini mentre a Termini Imerese, durante l'intervento del segretario confederale Serena Sorrentino i giovani in piazza hanno gridato ''Sciopero generale, sciopero generale''. Difficile la situazione alla stazione di Colleferro (Frosinone) dove circa 400 studenti partiti da Roma e diretti a Cassino per sostenere i lavoratori sono stati fatti scendere dal treno perché erano senza biglietto. I giovani, che sostenevano di aver acquistato 100 biglietti anziché 400 previo accordo con Trenitalia, per protesta hanno bloccato il traffico ferroviario. Per solidarietà nei loro confronti, alcuni operai hanno occupato la stazione di Cassino. La situazione si è sbloccata quando la Cgil ha deciso di pagare i biglietti dei ragazzi, che hanno potuto riprendere il viaggio. Trenitalia, comunque, ha annunciato una denuncia nei loro confronti per interruzione di pubblico servizio. I numeri dell'adesione. Alta, secondo i dati della Fiom, l'adesione allo sciopero. Alle meccaniche di Mirafiori la percentuale di astensione dal lavoro ha toccato l'80%. Lo sciopero era di otto ore e riguardava tutta l'Italia ad eccezione dell'Emilia-Romagna, dove l'iniziativa di lotta si è svolta ieri. A Torino, alla Powertrain, cioè alle ex meccaniche, l'unico reparto produttivo oggi in funzione a Mirafiori, ha aderito allo sciopero l'80% dei lavoratori, una percentuale altissima rispetto alla storia dello stabilimento. Tutti i dipendenti delle carrozzerie e delle presse sono in cassa integrazione. Alla Iveco (Fiat Industrial), l'adesione allo sciopero è stata del 70%. Allo stabilimento Fiat auto di Cassino (Frosinone) del 65%. Alla Fiat auto di Melfi (Potenza) ha aderito, sul primo turno, almeno il 50% dei dipendenti; una linea è ferma e l'altra funziona solo a tratti. Ancora in Piemonte, sono state registrate percentuali di sciopero al 65% alla Marcegaglia di Alessandria e al 95% alla Marcegaglia di Asti. A Terni, le adesioni allo sciopero sono state all'80% sia per ciò che riguarda i dipendenti dello stabilimento Thyssenkrupp, il più grande della regione, sia per ciò che riguarda le imprese di appalto attive nello stabilimento. (28 gennaio 2011)
2011-01-28 Diretta Metalmeccanici a migliaia in corteo con la Fiom Metalmeccanici a migliaia in corteo con la Fiom Sciopero generale proclamato dai meccanici della Cgil che contestano le norme contrattuali di Mirafiori e rivendicano gli accordi nazionali e i diritti acquisiti. In piazza anche studenti e precari. A Roma manifestazione nazionale dei sindacati di base (Aggiornato alle 14:22 del 28 gennaio 2011) 14:22 Roma: disagi in centro per corteo Fiom, ma nessun disordine 68 – Linee di bus e di tram deviate, con conseguenti disagi alla circolazione, e forze dell'ordine schierate a piazza Venezia, ma nessun disordine. È il primo bilancio 'romano' dello sciopero generale della categoria dei metalmeccanici proclamato dalla Fiom. In piazza Venezia i manifestanti sono riuniti davanti al palco allestito per i discorsi di chiusura della manifestazione e forze dell'ordine in tenuta anti sommossa presidiano l'accesso a via del Corso, che non è comunque bloccato ai pedoni 14:18 Landini: "Proporrò consultazione straordinaria" 67 – La prossima settimana è convocata l'assemblea generale dei delegati della Fiom, circa 600, e in quella sede "proporrò di aprire una consultazione straordinaria in tutte le fabbriche per decidere le iniziative da portare avanti", ha annunciato Landini. 14:12 Colleferro, Cgil paga i biglietto ferroviario a ragazzi 66 – I 400 giovani studenti fatti scendere a Colleferro da Trenitalia perché privi di biglietto potranno ripartire alla volta di Cassino dove si è svolta la manifestazione della Fiom grazie all'intervento della Cgil che ha pagato loro il biglietto. Grazie al servizio d'ordine disposto dal Questore De Matteis e alla trattativa dei funzionari, la protesta di sostegno a Cassino è stata immediatamente placata e i manifestanti sono tornati sulle passerelle in attesa dell'arrivo del treno che li riporterà verso Roma 14:03 Fiom: "In Sicilia sfiorato il 100% di adesione" 65 – Ci sono state punte del 100% in Sicilia nell'adesione allo sciopero nazionale della Fiom Cgil. Secondo dati diffusi dal sindacato, che afferma di aver portato in piazza 8.000 persone alla manifestazione regionale di Termini Imerese (Palermo), hanno scioperato il 60% degli operai alla Fincantieri di Palermo, il 100% nell'indotto della Erg di Siracusa, l'80% nell'indotto del resto del petrolchimico, il 70% alla raffineria di Milazzo, il 50% al primo turno della St Microelectronics di Catania, l'85% ai Cantieri navali di Trapani. 14:01 Da Cassino appello per sciopero generale 64 – "Altre forme di mobilitazione dovranno essere decise nella prossime settimane, anche in accordo con la Cgil, fino ad arrivare allo sciopero generale di tutti i lavoratori". L'appello arriva dalla piazza della Fiom di Cassino, per voce della segretaria nazionale Laura Pezia. "Lo sciopero di oggi non è il punto di arrivo ma l'inizio di una battaglia per riconquistare il contratto nazionale - dice Pezia - L'attacco non è solo alla Fiom e ai metalmeccanici ma a tutto il mondo del lavoro e alla dignità delle persone". 13:55 Cremaschi: "Firmare accordi senza Fiom e Cgil è vergognoso" 63 – "Non si fermano le fabbriche se non scioperano anche Cisl e Uil: chi oggi non è andato a lavorare ha ascoltato la voce della coscienza": Giorgio Cremaschi della Fiom, a Padova, ha ringraziato "le metalmeccaniche e i metalmeccanici che in tutta Italia oggi hanno sciopero come non mai: questo è un grande sciopero unitario"."Voglio dire a Cisl e Uil - ha aggiunto - che neanche negli anni '50, nella guerra fredda, è mai stato firmato un accordo che mette fuorilegge Fiom e Cgil: vi dovete vergognare". 13:50 Landini a Fim e Uilm: "Fermatevi, vogliono dividerci" 62 – "A Fim e Uilm (le organizzazioni dei metalmeccanici di Cisl e Uil, ndr) dico: fermatevi, perché vogliono dividerci". È l'appello lanciato dal segretario generale della Fiom Cgil Maurizio Landini nel corso del suo intervento. 13:46 Operai occupano stazione di Cassino per solidarietà con studenti 61 – Un gruppo di operai della Fiat di Cassino ha occupato la stazione del centro del frusinate in ''segno di solidarietà con gli studenti bloccati a Colleferro''. Insieme agli operai anche alcuni sindacalisti ed esponenti di Action. ''Protestiamo contro il blocco degli studenti a Colleferro, finche non ripartiranno noi da qui non ce ne andremo'', concludono i manifestanti. 13:42 Riaperti accessi al porto di Ancona 60 – Sono stati riaperti gli accessi al porto di Ancona bloccati per quasi tutta la mattinata dai settemila manifestanti. Dopo gli interventi sul palco di sindacalisti, operai di diverse realtà marchigiane, studenti universitari, tutti coordinati dal segretario generale Fiom, Giuseppe Ciarrocchi, la manifestazione è terminata e il corteo si è sciolto in maniera pacifica per le vie di Ancona 13:32 Roma, concluso ia piazza Venezia corteo Cobas 59 – Si è concluso a piazza Venezia il corteo dei Cobas, organizzato a Roma. Prima della fine della manifestazione, si sono alternati alcuni interventi dei sindacalisti da camion con degli altoparlanti, fermo davanti all'imbocco di via del Corso. La piazza era comunque blindata per la presenza degli agenti delle forze dell'ordine. 13:29 Cassino, lavoratori: "Persi anni di conquiste e diritti" 58 – ''Con questo accordo Marchionne e il Governo hanno buttato all'aria anni di conquiste e di diritti degli operai italiani''. Questo il grido d'allarme lanciato da Leone, un operaio romano di 52 anni che insieme a migliaia di suoi colleghi ha manifestato in piazza a Cassino sotto le bandiere della Fiom. ''Il problema è che nel Parlamento italiano non ci sono più i rappresentanti degli operai - prosegue Leone - quelli che con 1.000 euro al mese mantengono una famiglia e mandano avanti le fabbriche. A livello sindacale a difenderci è rimasta quasi solo la Fiom, a livello politico, sinceramente, non vedo nessuno''. 13:24 Cremaschi: "Fiat verso deriva autoritaria e fascista" 57 – "La Fiat si sta avviando verso una deriva autoritaria e fascista che impedisce la libertà sindacale". Lo ha detto il segretario nazionale della Fiom, Giorgio Cremaschi, a margine della manifestazione indetta da Fiom-Cgil 'Uniti contro la crisi' che si è svolta a Padova. 13:16 Landini invoca sciopero generale: "È il momento di osare" 56 – Il segretario della Fiom, Maurizio Landini, ha invocato lo sciopero generale per impedire l'estensione e l'applicazione del contratto raggiunto a Mirafiori e Pomigliano dal gruppo Fiat. "Abbiamo bisogno - ha detto nella conclusione del suo discorso dal palco di Milano - che si metta in campo lo sciopero generale. So perfettamente che non è facile da costituire e che non è sufficiente. Ma se vogliamo riunificare i lavoratori non c'è che la Fiom per farlo". Il segretario Fiom ha detto che è il momento di "osare" per difendere i diritti di tutti i lavoratori. 13:11 Ferrero (Prc): "Piazza chiede sciopero generale" 55 – ''Oggi la piazza ha espresso una volontà chiara: lo sciopero generale''. Lo ha sottolineato, Paolo Ferrero, segretario nazionale di Prc, durante il corteo della Fiom di Torino. ''L'attacco di Marchionne - ha proseguito - riguarda tutti i lavoratori e quindi ci vuole una risposta generale. La Cgil deve fare un salto di qualità non lasciando da sole le persone che hanno bisogno di un punto di riferimento''. Sul versante politico, ''è criminale - ha concluso Ferrero - mantenere le divisioni quando c'è bisogno di un punto di vista unitario''. 13:03 Genova, sacchi di immondizia contro libreria ultradestra 54 – Sacchetti di immondizia ai quali è stato appiccato il fuoco sono stati lanciati all'interno di una libreria di ultradestra 'Idee in movimento che si trova in via XX Settembre, durante il corteo della Fiom a Genova. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco che hanno spento le fiamme. Le finestre della palazzina che ospita la libreria sono state danneggiate. 13:00 Sindaco di Termini: "Oggi manifestazione di civiltà" 53 – "Oggi siamo di fronte a una grande manifestazione civiltà e libertà a fronte del disimpegno e delle mancate politiche industriali del governo", ha detto il sindaco di Termini Imerese Salvatore Burrafato 12:51 Genova, disordini e minacce a giornalisti 52 – Ancora disordini a Genova. Alcuni manifestanti hanno lanciato uova piena di vernice contro le vetrine dei negozi di via Roma e nella zona di Portello tra piazza della Nunziata e Corvetto. Alcuni giornalisti delle televisioni sono stati minacciati mentre riprendevano gli atti di vandalismo: "Vi ammazziamo - è stato detto loro -. Non riprendete, giornalisti di m...". "I diritti si tutelano con le lotte, anche quelle più dure, ma non con le minacce di morte ai giornalisti". Il segretario dell'Associazione Ligure dei Giornalisti, Marcello Zinola, commenta così in una nota quanto accaduto in coda al corteo. 12:49 Melfi (Potenza): trecento in presidio 51 – Circa trecento persone stanno partecipando stamani al presidio organizzato dalla Fiom-Cgil davanti allo stabilimento di Melfi (Potenza) della Fiat: all'iniziativa - che si sta svolgendo sotto una leggera pioggia - hanno aderito i rappresentanti di Cgil, pensionati, funzione pubblica e precari della scuola, ma anche i sindacati Failms e Cobas ed i componenti di alcuni partiti politici, fra cui Idv, Sel e Rifondazione comunista. 12:46 Cassino, slogan e proteste: "Marchionne speculatore" 50 – 'Marchionne speculatore, no ai sindacati di comodo''. Questi gli slogan urlati al megafono da alcuni sindacalisti Cub-Flm nel corso del corteo organizzato dalla Fiom a Cassino. Il corteo sta attraversano le strade della città in provincia di Frosinone fra migliaia di bandiere rosse e cori 'Bella ciao'. ''Marchionne non è un industriale - urlano alcuni sindacalisti al megafono - è uno speculatore bello e buono, alla faccia dei lavoratori che si ammalano in catena di montaggio''. 12:44 Genova, cassonetti in fiamme davanti sede Confindustria 49 – Sei cassonetti sono stati dati alle fiamme davanti alla sede di Confindustria Genova dove è passato il corteo di Fiom Cgil. Un gruppo di manifestanti ha spostato i cassonetti in piazza Verdi e li ha incendiati, alcuni giovani hanno lanciato pietre e bottiglie. La maggior parte dei manifestanti ha lasciato la zona, sul posto sono rimasti un centinaio di giovani. Alla dimostrazione hanno partecipato, con i manifestanti della Fiom, anche studenti, gruppi anarchici, giovani gravitanti intorno ai centri sociali, collettivi universitari. 12:41 Fiom: "Del 75% adesione sciopero in Lombardia" 48 – Lo sciopero di 8 ore indetto dalla Fiom Cgil ha avuto adesioni medie pari al 75% dei lavoratori delle aziende metalmeccaniche lombarde. È quanto comunica il sindacato mentre è in corso la manifestazione a Milano, che vede gran parte di piazza del Duomo occupata dai partecipanti. Nel dettaglio, l'adesione dei lavoratori della Marcegaglia di Mantova è stata pari al 70%, mentre nello stabilimento milanese del gruppo che fa capo alla presidente di Confindustria l'adesione è pari al 100%. Nelle fabbriche lombarde del gruppo Fiat si è avuta invece un'adesione media dell'80% 12:34 Colleferro, arrivano i blindati 47 – Sono arrivati quattro blindati della polizia in tenuta antisommossa alla stazione di Colleferro, dove dalle dieci di questa mattina quattrocento studenti romani - perlopiù dell'Università La Sapienza - in un primo tempo diretti al corteo Fiom di Cassino, stanno occupando otto binari bloccando il traffico ferroviario in quel tratto regionale. Trenitalia non ha accettato alcuna trattativa: era stata la Digos, alla stazione Termini di Roma, a far salire gli studenti sul treno nonostante fossero privi di biglietto. Alcuni portavoce della Sapienza hanno iniziato una raccolta di denaro e nchiesto la possibilità di un biglietto collettivo: Trenitalia si è opposta. La situazione resta tesa. 12:27 Fiom, per sindacato 8mila in corteo a Termini Imerese 46 – Sono ottomila, secondo le stime della Fiom Cgil, i metalmeccanici che hanno partecipato a Termini Imerese (Palermo) alla manifestazione regionale per lo sciopero dei metalmeccanici. 12:25 Landini: "Anche Cgil valuta sciopero generale" 45 – "Anche nella Cgil si è aperta la discussione sulla possibilità di arrivare allo sciopero generale". Lo ha affermato il segretario nazionale della Fiom, Maurizio landini, all'indomani della manifestazione di Bologna 12:24 Manifestazioni anche a Trento e Bolzano 44 – Cinquecento lavoratori hanno preso parte a Bolzano alla manifestazione indetta per protestare contro l'accordo stipulato per la Fiat. I manifestanti si sono trovati davanti allo stabilimento dell'Iveco ed hanno espresso il timore che l'accordo sia esteso anche al loro contratto. Un centinaio di lavoratori ha manifestato anche nelle vie di Trento. 12:22 Milano, tensione davanti a sede Assolombarda 43 – Lancio di petardi e fumogeni contro gli agenti in assetto antisommossa da parte di un gruppo di studenti del centro sociale Cantiere, cui si sono aggiunti alcuni lavoratori Cobas. È successo in piazza Missori nel corso del corteo studentesco parallelo a quello della Fiom, giunto nel frattempo in piazza Duomo, dopo il tentativo dei manifestanti di raggiungere la sede di Assolombarda, blindata dalle forze dell'ordine. Gli studenti si sono poi diretti verso piazza Fontana e i lavoratori si sono fermati in via Larga. 12:19 Firenze, traffico in tilt e scritte sui muri 42 – Lancio di uova e le scritte 'Cisl servi', con una stella rossa completamente colorata e 'Potere operaio', con il simbolo della falce e martello, sono state lasciate su alcuni muri nei pressi della stazione di Santa Maria Novella durante il passaggio del corteo dei Cobas per la manifestazione in corso a Firenze. Secondo gli organizzatori sono oltre 2.000 i partecipanti. Il passaggio del corteo sta creando diversi disagi al traffico: in particolare la circolazione è rimasta bloccata per oltre 20 minuti sui viali Rosselli e Belfiore in entrambi i sensi di marcia. 12:18 Genova, tensione e lancio di pietre davanti sede Confindustria 41 – Lanci di pietre, bottiglie, fumogeni e bombe carta contro la sede di Confindustria Genova, da parte di un gruppo di anarchici che si è infiltrato nelle retrovie del corteo organizzato dalla Fiom.Momenti di tensione tra anarchici e operai, che hanno ricompattato il corteo e che si stanno dirigendo verso il ponte monumentale. Al corteo, partito questa mattina dalla stazione Principe, partecipano oltre ai metalmeccanici, Rifondazione Comunista e Sel, Arci Liguria, gli studenti del Movimento no Gelmini e delegazioni Cgil di altre categorie. 12:11 Fs: "Mai promesso viaggi gratis per Cassino" 40 – Al contrario di quanto affermato da un portavoce dei manifestanti, in una dichiarazione rilasciata ad un'agenzia di stampa, le Ferrovie dello Stato rendono noto che ''non è mai stato promesso alcun viaggio gratis ai circa 400 manifestanti diretti in treno a Cassino, attualmente sprovvisti di biglietto''. Ferrovie dello Stato conferma infatti la sua posizione, sintetizzata molte volte e da anni nello slogan 'No ticket, no parti' che impone il rispetto del pagamento del biglietto a tutti i viaggiatori, in qualsiasi circostanza e qualunque sia il motivo del viaggio. I manifestanti che dalle 9.50 di questa mattina stanno occupando i binari della stazione di Colleferro, bloccando la circolazione ferroviaria sulla Roma - Cassino - Napoli, saranno denunciati per interruzione di pubblico servizio, insolvenza fraudolenta e per tutti i danni collegati. 12:09 Ancona, manifestanti bloccano il porto 39 – Settemila manifestanti del corteo della Fiom-Cgil nelle Marche sono entrati da poco nella ''zona rossa'' del Porto di Ancona, mentre due gruppi di circa 150 persone - formati uno da esponenti dei centri sociali e l'altro da operai cassaintegrati della Fincantieri - hanno bloccato i due accessi all'area portuale locale. Al momento passeggeri, mezzi e merci di due grandi navi appena giunte dalla Grecia non possono sbarcare nel porto dorico, e allo stesso tempo nessun automezzo può entrare o uscire dall'area interessata. 12:06 Stazione bloccata, Ferrovie: "Denunceremo per interruzione di pubblico servizio" 38 – "I manifestanti che dalle 9.50 di questa mattina stanno occupando i binari della stazione di Colleferro, bloccando la circolazione ferroviaria sulla Roma - Cassino - Napoli, saranno denunciati per interruzione di pubblico servizio, insolvenza fraudolenta e per tutti i danni collegati". Lo comunica, in una nota, Ferrovie dello Stato. 12:05 A Cassino 6-7 mila manifestanti 37 – Un elicottero della polizia contingenti del reparto mobile di Napoli e un imponente servizio d'ordine sta seguendo il corteo di scioperanti della Fiom-Cgil organizzato a Cassino e che ha visto arrivare nella cittadina ciociara, secondo la Questura, tra le 6 e le 7 mila persone provenienti da tutta la regione Lazio. 12:03 Torino, contestato segretario confederale Cgil Panini 36 – Il segretario confederale della Cgil Enrico Panini è stato contestato dalle tute blu in piazza a Torino durante il comizio in piazza Castello. Dai lavoratori è partito sempre più forte l'urlo 'sciopero generale tra i fischi, ma Panini ha potuto comunque concludere il suo intervento. 11:58 Milano, blindata sede di Assolombarda 35 – La sede di Assolombarda, in via Pantano a Milano, è letteralmente blindata da un ingente numero di forze dell'ordine in assetto antisommossa. Circa trecento tra studenti dei Collettivi e militanti dello Slai Cobas al termine del corteo partito da largo Cairoli, hanno raggiunto l'incrocio tra via Pantano via Larga fermandosi davanti alle camionette della polizia che sbarrano l'accesso a via Pantano. Presso la sede degli industriali lombardi sono in arrivo, inoltre, anche centinaia di giovani che si sono staccati dal corteo della Fiom che è già arrivato in piazza del Duomo dove sono in corso i comizi conclusivi 11:54 Landini: "Con Cgil discussione aperta" 34 – A proposito degli attriti tra Fiom e Cgil, dopo che ieri il segretario nazionale Susanna Camusso è stata contestata a Bologna per il mancato annuncio dello sciopero generale, il leader della Fiom, Maurizio Landini smussa le tensioni. ''Non c'è nulla di tutto questo. C'è una discussione aperta - ha sottolineato - la piazza l'ha resa esplicita e riguarda come si continua questa iniziativa''. Del resto, ha sottolineato, ''anche nella Cgil si è aperta una discussione sulla possibilità di arrivare a uno sciopero generale''. 11:51 Bombassei (Confindustria): "Sciopero Fiom non è democratico" 33 – Lo sciopero dei metalmeccanici indetto oggi Fiom non è democratico. Ne è convinto il vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei che ha partecipato questa mattina alla presentazione della F150, l'ultima nata in casa Ferrari per il GP. 11:50 Landini: "Piazze piene" 32 – "Un risultato straordinario, le piazze sono strapiene in tutta Italia e le fabbriche si sono svuotate", ha detto Maurizio Landini, segretario generale della Fiom Cgil nel corso della manifestazione di Milano.Landini ha poi sottolineato come lo sciopero abbia avuto adesioni "qui in Lombardia dall'azienda della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia a quella del presidente di Federmeccanica (Pierluigi Ceccardi, ndr)". 11:49 Arcore, dopo freccette uova su immagine premier 31 – Dopo le freccette, le immagini del premier Silvio Berlusconi, del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, dell'ad Fiat Sergio Marchionne e del ministro all'Istruzione Maria Stella Gelmini, sono state bersagliate da centinaia di uova scagliate dai manifestanti che stanno partecipando al presidio organizzato dalla CUB davanti alla villa del Cavaliere ad Arcore. 11:47 Landini: "Se Confindustria come Fiat, sarà conflitto" 30 – "Se gli industriali fanno quello che fa la Fiat, succede un conflitto che non ha precedenti nel nostro Paese". Lo ha detto il segretario nazionale della Fiom, Maurizio Landini, a margine della manifestazione a Milano, sottolineando che "allo stato attuale nessuno degli industriali ha detto che Marchionne fa male a fare quello che fa. Se ci sono differenze - ha esortato - che emergano". 11:42 Torino, presidio davanti a municipio 29 – A Torino un gruppo di partecipanti al corte, soprattutto studenti, ha raggiunto la sede del Municipio di Torino, davanti al quale ha organizzato un presidio. Gli studenti hanno portato in corteo lo striscione: 'Ci avete tolto troppo, ci riprendiamo tutto'. C'è anche lo 'squalo Sergio', lo squalo in gommapiuma già presente alla Porta 2 di Mirafiori nei giorni precedenti in referendum. Tra i manifestanti anche un finto Marchionne in gommapiuma che porta una grossa pistola su cui c'è scritto 'Uilm, Fim, Fismic, Governo' mentre altri con le catene alle caviglie portano sulle spalle dei sacchi con le scritte 'meno salario, istruzione, più carichi di lavorò. 11:36 Cofferati: "Sciopero generale è opportuno" 28 – "Credo che lo sciopero generale sia opportuno perché è evidente che c'è un tentativo in atto di far sparire il contratto nazionale e di proporre il modello di competizione per le imprese che si basa sulla rimozione delle protezioni sociali e dei diritti". Lo ha detto l'europarlamentare Sergio Cofferati che sta sfilando a Genova al fianco dei lavoratori metalmeccanici. "Quella di Marchionne è una linea sbagliata e secondo me controproducente anche per le imprese ed è giusto che la Fiom la contrasti con gli strumenti ch eha a disposizione". 11:32 Torino, blitz dei manifestanti in agenzia interinale 27 – Momenti di tensione alla manifestazione della Fiom in corso a Torino. Una parte di corteo, aperta da striscione ''Assemblea studenti lavoratori'' e che vede la presenza di alcuni appartenenti a centri sociali e all'area di Autonomia, hanno fatto irruzione in un'agenzia di lavoro interinale in via Bertola. Sono stati accesi alcuni fumogeni e su una vetrina è stato scritto: ''servi dei padroni'' 11:26 Ancona, su striscione: "Bonanni e Angeletti servi" 26 – Una grande fotografia del segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, e di quello della Uil, Luigi Angeletti, con la scritta ''Servi!'' e ''Le mosche del capitale'' apre il corteo ad Ancona a cui partecipano tute blu arrivate da tutte le Marche. Ma partecipano alla manifestazione anche centinaia di giovani dei centri sociali, sindacalisti, studenti universitari, immigrati ed anche esponenti e militanti di partito. Il corteo si dirige verso il porto 11:24 Fiom: "A Cassino 65% operai Fiat in sciopero" 25 – Secondo le stime della Fiom nello stabilimento Fiat di Cassino ha aderito allo sciopero oltre il 65% degli operai. Molti di loro questa mattina stanno manifestando in piazza Miranda da dove partirà il corteo organizzato per dire no al 'modello Marchionne'. Dalla piazza, il delegato Rsu Fiom dello stabilimento di Cassino, Pompeo Rasi, riferisce: ''Oggi, secondo le nostre stime, ha aderito allo sciopero più del 65% dei lavoratori di Cassino. Questa mattina la Fiat ha abbassato di oltre la metà gli obiettivi di produzione, spostando la cosiddetta 'impostazionè delle vetture da produrre da 460 a 230'' 11:21 Arcore, tiro a segno contro gigantografie Berlusconi e Marchionne 24 – I lavoratori della Confederazione unitaria di base hanno inscenato un fitto tiro a segno, a pochi passi dalla residenza del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ad Arcore, contro quattro gigantografie che rappresentano i volti del premier, dell'ad Fiat Sergio Marchionne, della leader di Confindustria Emma Marcegaglia e del ministro all'Istruzione Mariastella Gelmini. L'iniziativa fa parte della mobilitazione organizzata dalla Cub per lo sciopero nazionale indetto per oggi dal sindacato 11:15 Lanciano (Chieti): più di tremila persone in corteo 23 – Oltre 1.500 lavoratori partecipano a Lanciano (Chieti), sotto una fitta pioggia, alla manifestazione regionale della Fiom contro gli accordi Fiat e la paventata crisi che potrebbe investire anche la Sevel di Atessa. La manifestazione è iniziata con oltre un'ora di ritardo, a causa della pioggia battente.Secondo una prima stima le assenze ufficiali rese note dalla Sevel parlano di un assenteismo al lavoro del 55%, mentre per la Fiom l'astensione dal lavoro si aggira tra il 70 e l'80%. Alla manifestazione partecipano altri sindacati di base, partiti politici, associazioni, lavoratori delle altre aziende della Val di Sangro e decine di sindaci del comprensorio 11:12 Bari, migliaia sfilano sotto la pioggia 22 – Alcune migliaia di persone hanno partecipato a Bari alla manifestazione regionale promosso dalla Fiom. Nonostante la pioggia, il corteo, avviatosi da piazza Castello, ha percorso alcune vie del centro murattiano per concludersi in piazza della Libertà con gli interventi del coordinatore Fiom Puglia Donato Stefanelli, del segretario generale della Cgil Puglia Gianni Forte e di Massimo Brancato della Fiom Cgil nazionale. Al corteo, aperto dallo striscione "Il lavoro è un bene comune", hanno partecipato anche alcune centinaia di studenti, nonché delegazioni di altre categorie, in particolare dei precari della scuola e degli edili. 11:03 Milano, vernice, petardi, fumogeni e uova contro sede Edison 21 – Vernice rossa, petardi, fumogeni e uova sono stati lanciati contro la sede della Edison e contro diversi istituti scolastici privati e una delle sedi dell'Università Cattolica dagli studenti e dai militanti del centro sociale Cantiere che stanno sfilando nel centro di Milano. Il corteo di circa 500 persone partito da largo Cairoli alle 9.15 si sta muovendo parallelamente a quello della Fiom nel giorno dello sciopero generale dei metalmeccanici 10:56 Pisapia: "Fiom sarà sempre nelle fabbriche" 20 – "La Fiom c'è e ci sarà sempre nelle fabbriche. Il suo è un contributo importante per la dialettica sindacale". A dirlo è Giuliano Pisapia, candidato sindaco del centrosinistra a Milano, che partecipa alla manifestazione indetta dalla Fiom. Lo sciopero di oggi della Fiom, ha aggiunto, "come ogni mobilitazione che ha la finalità di chiedere più democrazia e soprattutto di uscire dalla crisi, è un momento importante di sensibilizzazione per la città e per il Paese". 10:53 Genova, migliaia a sostegno degli operai 19 – Quasi duemila persone tra operai e studenti sono scesi in piazza questa mattina a Genova per protestare contro gli accordi separati negli stabilimenti Fiat di Pomigliano e Mirafiori. Al corteo, che sta creando rallentamenti e disagi alla circolazione nel centro cittadino, partecipano anche delegazioni di lavoratori di altre categorie, pensionati, precari ed esponenti dei centri sociali. 10:48 Termini Imerese, partito il corteo 18 – È partito il corteo degli operai a Termini Imerese. Ad aprirlo è uno striscione dei lavoratori della Fiat, dove proprio oggi è scattato un nuovo periodo di cassa integrazione: le tute blu rientreranno in fabbrica il 7 febbraio, poi torneranno in cassa integrazione il 14 e il 21 febbraio e dal 28 febbraio al 4 marzo. Il corteo di lavoratori sfilerà per le strade di Termini Imerese fino a raggiungere piazza Duomo dove il segretario nazionale di Fiom per il settore auto, Enzo Masini, concluderà il comizio. A fianco dei metalmeccanici ci sono rappresentanti di altre categorie di lavoro e studenti. 10:40 Di Pietro a Cassino "per tutelare operai italiani" 17 – In piazza a Cassino "per tutelare tutti gli operai italiani da chi, pur guadagnando milioni di euro, pretende di risanare i bilanci con il loro stipendio". Lo ha detto il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro da Cassino, dove è in corso la manifestazione di protesta organizzata dalla Fiom-Cgil. "In Italia bisogna fare lotta all'evasione fiscale", ha aggiunto Di Pietro, "per risollevare le sorti della crisi e evitare inutili sperperi di denaro come le missioni in Afghanistan. Due ore in compagnia di questi operai e di questi manifestanti sperando in qualcosa di diverso". Con Di Pietro manifestano i senatori dell'Idv 10:38 Binari bloccati, studenti: "Non ci muoviamo finché non riparte il treno" 16 – "Stiamo bloccando i binari della stazione di Colleferro e non ci muoveremo da qui finché il nostro treno non ripartirà per Cassino". A parlare è Luca C. un rappresentante degli studenti dell'università La Sapienza diretti a Cassino per partecipare alla manifestazione della Fiom. "Ci sentiamo presi in giro - continua Luca - Ferrovie dello Stato e la Digos ci avevano assicurato a Termini che ci avrebbero fatto arrivare a Cassino invece a Colleferro il nostro treno si è misteriosamente fermato. Siamo circa 500 tra studenti, precari e rappresentanti dei centri sociali. Vogliono impedirci di manifestare. Rimarremo sui binari finché il nostro treno non ripartirà". 10:37 Firenze, migliaia in piazza 15 – "Che la crisi la paghino i padroni" è lo striscione che apre la manifestazione organizzata dai Cobas a Firenze: un corteo composto al momento da circa un migliaio di persone è partito da piazza San Marco per raggiungere il Polo universitario di Novoli, attraversando le strade del centro della città. "Oggi scioperiamo contro il governo e le lobby dell'economia - hanno spiegato i promotori -. Appoggiamo anche lo sciopero della Fiom". Al corteo partecipano anche tanti studenti, medi e universitari, rappresentanti dei Comitati No Tav, Lotta per la casa, esponenti dei centri sociali e precari della scuola. 10:35 Padova, treno in ritardo per biglietti No Global 14 – È partito con un forte ritardo il treno Venezia-Padova per il controllo del personale dei biglietti di circa 150 esponenti dei centri sociali del nord-est diretti alla manifestazione della Fiom a Padova, nell'ambito dell'intesa studenti-lavoratori 'Uniti contro la crisi'. Ma stavolta, ha spiega Luca Casarini, tornato dopo un periodo di assenza come portavoce dei centri sociali, tutti i disobbedienti avevano il biglietto. 10:33 Pomigliano, su striscione: "Marchionne posa i soldi" 13 – Al grido ''Posa i soldi Marchionne, posa i soldi ladro'' è partito il corteo organizzato dalla Fiom a Pomigliano D'Arco (Napoli). Al corteo, che secondo una prima stima delle forze dell'ordine conta circa duemila persone, stanno partecipando, tra gli altri, Francesca Re David, della segreteria nazionale della Fiom, Andrea Amendola, segretario generale Fiom Napoli, Michele Gravano e Giuseppe Errico della Cgil, politici ed esponenti della sinistra nonché alcuni parroci della cittadina partenopea. In testa al corteo è stato esposto uno striscione con la scritta: 'Da Pomigliano a Mirafiori il lavoro è un bene comune. Difendiamo ovunque contratto e diritti''. Alla manifestazione hanno aderito anche i Cobas, Cgil, Failms, tra gli altri. Prima della partenza alcuni manifestanti hanno fatto esplodere numerosi e forti petardi 10:32 Landini apre corteo di Milano 12 – Si muove in direzione di piazza Duomo il corteo della Fiom Cgil organizzato a Milano. In testa al corteo il segretario nazionale Maurizio Landini, che lo ha percorso tutto, salutando diversi manifestanti. Numerose le manifestazioni di stima nei confronti del sindacalista tra applausi e incitazioni a ''tenere duro''. ''Maurizio difendici'', uno dei messaggi ricorrenti. 10:29 Da tutta la Sicilia a Termini per difendere operai 11 – ''Ribadiamo oggi che i lavoratori metalmeccanici non devono e non possono rinunciare ai loro diritti. Tentare di distruggere il contratto nazionale come stanno facendo gli industriali italiani è una scelta ingiusta non solo per i lavoratori ma anche per il nostro Paese. La crisi c'è, ma va risolta attraverso il confronto e con gesti di grande solidarieta'''. Lo ha detto Enzo Masini, responsabile auto nazionale per Fiom Cgil, aprendo il corteo che si svolge a Termini Imerese in occasione dello sciopero nazionale indetto dal sindacato dei metalmeccanici. Nella città dove ha sede lo stabilmento automobilistico che la Fiat chiuderà alla fine di quest'anno, e che per questo è diventata un luogo simbolo della battaglia della Fiom, il sindacato ha chiamato a raccolta gli iscritti di tutta la Sicilia, che sono giunti con pullman appositamente organizzati. 10:28 Airaudo: "È come se in piazza ci fossero anche Fim e Uilm" 10 – "In piazza c'è una forza superiore a quella che noi rappresentiamo e che dà il polso dell'umore del Paese, è come se con noi ci fossero anche Fim e Uilm". Lo afferma Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom, che partecipa al corteo di Torino. "E' uno - osserva - sciopero che serve a unire e a dire che il Paese ha bisogno di un'alternativa. Un governo in disfacimento ha lasciato soli i lavoratori ed è gravissimo quello che ha detto ieri Sacconi secondo il quale bisogna limitare il diritto di sciopero". 10:27 Bertinotti: "Marchionne ha riportato indietro il Paese" 9 – "Marchionne, con il suo progetto, ha riportato indietro le lancette dell'orologio a prima della Costituzione italiana. La speranza per il nostro Paese ora sono i giovani". Questa la dichiarazione di Fausto Bertinotti appena arrivato in piazza a Cassino dove è in corso la manifestazione organizzata dalla Fiom e Cigl. 10:24 Roma, partito da piazza della Repubblica corteo di studenti e Cobas 8 – È partito da piazza della Repubblica a Roma il corteo di studenti e Cobas in appoggio allo sciopero generale indetto dalla Fiom in tutta Italia contro gli accordi di Mirafiori. In piazza alcune centinaia di persone tra i quali studenti medi e sindacati di base. Un'altra manifestazione, sempre nella regione, è invece in corso a Cassino in appoggio agli operai della fabbrica Fiat. 10:23 Cagliari, corteo sotto la pioggia 7 – È un lungo corteo sotto la pioggia quello dei metalmeccanici della Fiom-Cgil partito attorno alle 10 da Piazza Garibaldi a Cagliari in concomitanza con altre 21 manifestazioni organizzate dal sindacato in tutta Italia per dire no al 'modello Marchionne' di lavoro nelle fabbriche. I manifestanti - sono attese 3.000 persone da tutta la Sardegna - percorreranno le vie pedonali del centro storico fino a Piazza del Carmine, dove parlerà Fausto Durante della segreteria nazionale della Fiom. Da tutta l'isola sono in arrivo 26 pullman in particolare dalle fabbriche del Pulcis come la Portovesme Srl e Alcoa, Idea Motore del nuorese, Keller di Villacidro e delle aziende di appalto. Con gli operai sfilano anche numerosi studenti e lavoratori di altre categorie iscritti alla Cgil. 10:20 Studenti bloccano binari stazione di Colleferro 6 – Circa 400 studenti diretti a bordo di un treno alla manifestazione della Fiom a Cassino, che si svolge oggi, hanno occupato i binari della stazione di Colleferro. Lo hanno riferito gli stessi universitari. I giovani hanno spiegato che "Trenitalia aveva deciso di farci scendere perché non abbiamo il biglietto, per questo protestiamo e occupiamo la stazione fin quando non ci faranno risalire sul treno e andare a manifestare a Cassino" 10:19 Airaudo: "Fabbriche vuote e piazze piene" 5 – "Volevamo le fabbriche vuote e le piazze piene e ci siamo riusciti". Così il responsabile nazionale auto della Fiom commenta la partecipazione di migliaia di persone alla manifestazione regionale promossa a Torino nell'ambito delle otto ore di sciopero generale proclamato dai metalmeccanici della Cgil contro gli accordi siglati alla Fiat di Mirafiori e Pomigliano e per dire no alla cancellazione del contratto nazionale. 10:18 Bertinotti a Cassino 4 – Fausto Bertinotti è arrivato a Cassino dove è in corso la manifestazione di protesta organizzata dalla Fiom-Cgil. In Piazza Miranda fino a questo momento si sono raccolti circa 3.500 manifestanti arrivati da ogni parte del Lazio. 10:16 Fiom: "Alle meccaniche di Mirafiori adesione all'80%" 3 – Secondo la Fiom ha raggiunto l'80% l'adesione allo sciopero alle meccaniche di Mirafiori. "Il 25% è una percentuale da sciopero generale confederale - dice il responsabile nazionale auto della Fiom, Giorgio Airaudo, commentando i dati forniti dall'azienda - i lavoratori ci sono tutti, non ci sono tutti i sindacati. Noi li aspettiamo" 10:14 Torino, apre il corteo: "Mirafiori, l'accordo della vergogna" 2 – Migliaia di lavoratori partecipano al corteo della Fiom a Torino, partito dalla stazione di Porta Susa. Quaranta pullman sono arrivati da tutto il Piemonte. Aprono il corteo gli striscioni "Mirafiori, l'accordo della vergogna" e 'Per la libertà del lavoro', dietro al quale sfilano i metalmeccanici Fiom con pettorina gialla e casco rosso. Tra le presenze significative quelle dei lavoratori della Bertone, della De Tomaso, della Powertrain. Rilevante la presenza della Cgil Piemonte, con oltre 3.000 persone. In corteo anche i Cobas, i sindacati di base, i No Tav, la Federazione della Sinistra, gli studenti con numerosi striscioni tra i quali uno che dice "Ci avete tolto troppo, ci riprendiamo tutto". E c'è anche "lo squalo Sergio" in gommapiuma, che allude all'a. d. del Lingotto, Sergio Marchionne, e tra le cui fauci spuntano dollari e dei teschi insanguinati, realizzato dell'Assemblea studenti lavoratori. 10:13 Milano, cinquecento in strada 1 – Un corteo composto principalmente da circa 500 studenti delle medie superiori, antagonisti e militanti dell'unione sindacale di base (usb) sono partiti in corteo da piazza Cairoli a Milano per una manifestazione parallela a quella principale organizzato dalla fiom in partenza da Porta Venezia. Tra musica e slogan contro berlusconi queste diverse centinaia di studenti e lavoratori si muoveranno in corteo lungo via carducci, de amicis, missori, mazzini, orefici, cordusio per poi ritornare nel luogo dove sono partiti in largo cairoli. Questo corteo e quello della Fiom dunque non si dovrebbero incrociare. Guardato a vista dalle forze dell'ordine il corteo si sta svolgendo in maniera assolutamente ordinata e pacifica. Nella giornata dello sciopero generale indetto dalla fiom, la confederazione unitaria di base (cub) ha invece organizzato un presidio davanti alla villa di arcore del presidente del consiglio silvio berlusconi, al quale, secondo le previsioni, dovrebbero partecipare qualche centinaio di lavoratori. (28 gennaio 2011)
2011-01-19 FIAT Federmeccanica punta su contratti aziendali "Accordo sostitutivo di quello nazionale" Il direttore generale Roberto Santarelli: "Alternatività necessaria per flessibilizzazione del settore". Per il consiglio direttivo della federazione sindacale lo sciopero Fiom evidenzia "la lontananza dalla realtà economica del settore". Bonanni: "Aspettiamo tutti i 20 mld di investimenti" Federmeccanica punta su contratti aziendali "Accordo sostitutivo di quello nazionale" ROMA - Bisogna modificare la riforma del modello contrattuale del 2009 prevedendo la possibilità che "il contratto aziendale sia sostitutivo di quello nazionale". Lo ha detto all'Ansa il direttore il generale di Federmeccanica, Roberto Santarelli, spiegando che naturalmente sarà necessario avere regole "certe sulla rappresentanza". Alla domanda se questo significa la 'morte' del contratto nazionale, Santarelli ha risposto che "Federmeccanica ha 12mila aziende associate e che il contratto nazionale sarà utilizzato da almeno 11.500 aziende". "Rispetto al sistema delle deroghe stiamo facendo un ulteriore passo avanti - ha detto Santarelli - Dove ci sono le condizioni e con il consenso dei sindacati deve essere possibile prevedere l'alternatività tra il contratto aziendale e quello nazionale". Di fatto quindi, la possibile alternatività potrebbe aprire il rientro delle newco Fiat in Confindustria senza passare per la definizione di un contratto specifico per l'auto. L'alternatività tra i due contratti, secondo Santarelli, è necessaria per un'ulteriore flessibilizzazione del settore "sulla base di quello che succede nel resto del mondo. Non è la morte del contratto nazionale". Saranno probabilmente soprattutto le aziende grandi che potranno avere interesse con l'accordo con i sindacali a fare un contratto aziendale. "Dobbiamo andare avanti, non fermarci - ha aggiunto il dirigente di Federmeccanica - il contratto aziendale deve poter essere sostitutivo di quello nazionale". E' questa la linea su cui si è mosso ieri il consiglio direttivo della Federmeccanica, riunito a Milano. Il processo di flessibilizzazione e decentramento delle relazioni contrattuali, avviato con l'accordo interconfederale del 2009 e sviluppato con il contratto nazionale di categoria, "deve andare avanti, accelerandone la realizzazione". In tale prospettiva, per il consiglio direttivo, è "necessario anche prendere in considerazione l'ipotesi di integrazione dell'accordo con la previsione della possibile alternatività tra contratto specifico per determinate situazioni aziendali e contratto nazionale, fermi restando, eventualmente, alcuni contenuti minimi comuni". Lo sciopero generale. Il consiglio ha anche preso in esame la situazione delle relazioni sindacali nel settore alla luce della vicenda Fiat e ha espresso una valutazione "concordemente positiva per l'esito del referendum di Mirafiori che consente l'avvio dell'investimento nel sito, dopo quanto già convenuto per Pomigliano", si legge in una nota. Ma è sullo sciopero generale proclamato dalla Fiom per il 28 gennaio che il consiglio ha puntato il dito, parlando di "lontananza dei vertici nazionali di quell'organizzazione dalla realtà economica del settore e delle imprese impegnate in una difficile sfida per recuperare produzione e occupazione fortissimamente falcidiate dalla crisi". Invece il consiglio "riconferma e rafforza l'invito, già espresso il 7 settembre, all'apertura di un tavolo sulla rappresentanza che abbia come propria finalità quella di garantire regole certe per la stipula dei contratti, applicazione certa degli stessi, regole e procedure impegnative per tutti i soggetti circa l'esercizio del diritto di sciopero". Bonanni: "Aspettiamo tutti i 20 mld di investimenti". Sul post referendum di Mirafiori, il segretario generale della Cisl ha detto che adesso si aspetta "tutti i 20 miliardi di investimenti del piano Fabbrica Italia, più altri investimenti di chiunque li voglia fare. Bisogna fortificare il territorio, agevolando ogni sostegno, e risolvere il problema di incapacità che ha l'Italia ad attrarre gli investimenti", ha detto Raffaele Bonanni. "Il nostro obiettivo - ha aggiunto - è ottenere investimenti, senza investimenti non c'è lavoro, senza lavoro non c'è benessere. Questo è il punto semplice, ma vero, anche se molti fanno finta di non capirlo". Ma Bonanni non ha nascosto la sua preoccupazione: "Certo, siamo tutti preoccupati. Ma si troveranno le soluzioni a partire dal presidente della Repubblica". Poi ha chiesto alla Fiat "di aprire una discussione" sulla partecipazione dei lavoratori agli utili d'azienda. "E' una vecchia proposta nostra, su cui abbiamo insistito con molte aziende", ha sottolineato Bonanni, "è un elemento di democrazia economica importante". Sacconi: "Pomigliano e Mirafiori termine di riferimento". Non è invece preoccupato il ministro del Welfare Maurizio Sacconi. Secondo il quale gli accordi raggiunti per il rilancio degli stabilimenti Fiat di Pomigliano e Mirafiori possono essere un "termine di riferimento" per il contratto dell'auto sul quale torneranno a discutere Federmeccanica e sindacati dal prossimo 24 gennaio. "Con gli accordi di Mirafiori e Pomigliano avremo crescita della produttività e aumento dei salari. Questi aprono la strada a ulteriori evoluzioni delle relazioni industriali e dei rapporti tra le organizzazioni che mi auguro si possano tradurre in nuove intese tra imprese e lavoratori, che il legislatore dovrebbe recepire se le parti lo chiedono", ha ribadito Sacconi. (19 gennaio 2011)
2011-01-18 INTERVISTA "La mia sfida per la nuova Fiat salari tedeschi e azioni agli operai" Marchionne: ma l'intesa Mirafiori non si tocca e verrà estesa. "Nessun diritto intaccato, ma non si può beneficiare di un contratto se non si è contraenti" di EZIO MAURO "La mia sfida per la nuova Fiat salari tedeschi e azioni agli operai" TORINO - DOTTOR Marchionne, lei ha vinto il referendum, ma mezza fabbrica le ha votato contro. Eppure era in ballo il lavoro, il posto, il destino di Mirafiori. Si aspettava questo risultato?"Io so che il progetto della Fiat è passato, perché ha convinto la maggioranza. Questo è ciò che conta. Per il resto, chi è stato qui con me fino alle tre e mezza di notte, venerdì, sa che non ho mai dato il risultato per scontato. Anzi, le confido una cosa. Quando me ne sono andato a casa per provare a dormire (poi sono stato sveglio fino alle sei e mezza del mattino) ho lasciato sul tavolo due comunicati. Uno se prevaleva il sì. L'altro se vinceva il no". E davvero in caso di sconfitta la Fiat sarebbe andata via da Mirafiori? "Non c'è alcun dubbio. E non certo per una ridicola rivincita. Semplicemente, non avremmo avuto altra scelta". Ma si possono mettere i lucchetti ad una fabbrica per una sconfitta sindacale, e non per una legge di mercato? "Ma lei sa quanta legge di mercato ci sarebbe stata dietro quella scelta? Di cosa stiamo parlando? Non è un problema di lucchetti e tantomeno di muscoli. Cosa dovevo fare? Avrei detto venga qui chi vuole, chi è più bravo di me, usi questi spazi per far meglio. Ma io certo non mi sarei seduto a rinegoziare con il sindacato". E perché no, se magari si intravedeva la strada di un accordo? "Perché questo contratto c'è già a Pomigliano, e io non posso avere due sistemi diversi per la stessa azienda e lo stesso lavoro". E adesso che invece ha vinto, non le viene in mente di sedersi a un tavolo e allargare il consenso, recuperando quella metà di fabbrica che non ci sta, come le chiedono in molti? "Più che altro, io non capisco. Non sono un ingenuo, ma sinceramente non capisco. E' la logica del retrade, del negoziato continuo per il negoziato, non per arrivare a un risultato. Sono allibito. Mi dispiace, ma sabato mattina alle sei le urne hanno detto che il sì ha avuto la maggioranza. Il discorso è chiuso, anche se dentro quella maggioranza molti cercano il pelo nell'uovo". E' più di un pelo, e lei lo sa bene. Senza gli impiegati il sì sarebbe passato con uno scarto di appena 9 voti. Cosa vuol dire questo? "Niente. Possiamo esercitarci all'infinito, togliere i lavoratori alti, quelli bassi, quelli coi baffi. Conta il saldo, cioè il risultato, nient'altro". Ci sono due questioni dentro quel saldo. Tra i 440 impiegati, 300 sono capi, 40 sono della direzione del personale. Tra gli operai, al Montaggio e alla Lastratura, le lavorazioni in linea dove si scaricano gli effetti delle nuove condizioni di lavoro previste dall'accordo, ha vinto il no. Cosa ne pensa? "Il referendum non l'ho chiamato io (anche se avrei partecipato volentieri, spiegando ai lavoratori le ragioni dell'accordo) né sono io che ho fatto le regole. Per me Mirafiori ha deciso, e io sto al risultato, che è un risultato molto importante". Lei ha detto che è una svolta e una prova di fiducia. Che fiducia, con un lavoratore su due che dice no? "Senta, se vuole che le dica la mia valutazione non sul risultato, ma sulla campagna che lo ha preceduto, è presto fatto: la Fiom ha costruito un capolavoro mediatico, mistificando la realtà, ma ci è riuscita. Noi, che siamo presenti in tutto il mondo, con una forza di 245 mila persone, ebbene dal punto di vista culturale siamo stati una ciofeca, la più grande ciofeca, e la colpa è soltanto mia". Perché? "Perché ho sottovalutato l'impatto mediatico di questa partita, ho sottovalutato un sindacato che aveva obiettivi politici e non di rappresentanza di un interesse specifico, come invece accade negli Usa. Vede, io sono convinto che le nostre ragioni sono ottime. Ma non sono riuscito a farle diventare ragioni di tutti. Mi sembrava chiaro: io lavoratore posso fare di più se mi impegno di più, guadagnando di più. E invece ha preso spazio la tesi opposta, l'entitlement, e cioè il diritto semplicemente ad avere, senza condividere il rischio. Ma questo va bene per uno statale, non per un'azienda privata che deve lottare sul mercato". Non crede che invece a spiegare il 46 per cento di no ci sia la convinzione che l'accordo chiede di scambiare il lavoro coi diritti? "Lei deve pensare che non siamo fessi, e nemmeno arroganti. Il contratto firmato contiene tutte le protezioni costituzionali. Le dico di più: io, Sergio Marchionne, non voglio togliere nulla di ciò che fa parte dei diritti dei lavoratori. Ma guardi che qui si parla d'altro: la Fiom è scesa in guerra non per i diritti, ma per il suo ruolo di minoranza bloccante, perché qui salta l'accordo interconfederale secondo cui chi non ha firmato beneficia delle protezioni del contratto senza mai impegnarsi a rispettarlo". Si può dire in modo opposto: i lavoratori hanno il diritto di scegliersi i rappresentanti che vogliono, e non solo quelli che hanno firmato l'accordo con l'azienda, per di più nominati dai vertici sindacali e non dalla base. Cosa risponde? "Lo dica pure così, e io le dico che in qualsiasi sistema legale non puoi beneficiare di un contratto se non sei contraente, se non ti metti in gioco e non ti assumi le tue responsabilità di fronte a quelle della controparte. Insomma, non puoi andare a ufo". Ma lei cercava la rottura o ha davvero provato a trovare un accordo? "Perché avrei dovuto volere la rottura? Quel che volevo rompere era questo sistema ingessato, dove tutti sanno che noi imprese italiane siamo fuori dalla competitività, non possiamo farcela, eppure tutti fanno finta di niente. Ho tirato avanti per quasi sette anni, poi una notte ad aprile mi sono detto basta. Io metto sul piatto 20 miliardi, accetto la sfida, ma voglio che quei soldi servano, dunque voglio garantire la Fiat e chi ci lavora. Cambiamo le regole per garantire l'investimento attraverso il lavoro. E' l'unica strada. Non solo: a dire il vero è l'ultima strada". Poi? "Poi ho cominciato a parlarne, non con la politica ma con i miei e con il sindacato. Ma ho capito che eravamo sopra una torre di Babele. Io parlavo una lingua, loro un'altra. Tutti facevamo riferimento alla realtà: ma io alla realtà di oggi, così com'è nel mondo globale, la Fiom alla realtà del passato, quella che si è trascinata fin qui impantanandoci fino al collo, come Italia". Lo sa che lei si è mangiato un patrimonio trasversale di consenso, accumulato negli anni in cui ha salvato la Fiat? "Non sapevo di averlo, non ne ho visto i benefici, e in questa trattativa non mi sono accorto di avere alcun credito, in Italia. Questo mi spiace, non per me, ma perché evidentemente non sono riuscito a far capire certe cose alla mia gente". Sta dicendo che ha sbagliato? "Mi ricordo i primi 60 giorni dopo che ero arrivato qui, nel 2004: giravo tutti gli stabilimenti, e poi quando tornavo a Torino il sabato e la domenica andavo a Mirafiori, senza nessuno, per vedere quel che volevo io, le docce, gli spogliatoi, la mensa, i cessi. Cose obbrobriose, stia a sentirmi. Ho cambiato tutto: come faccio a chiedere un prodotto di qualità agli operai e a farli vivere in uno stabilimento così degradato? In più, la Fiat era tecnicamente fallita, se il fallimento significa non avere i soldi in casa per pagare i debiti. Perdevamo 2 milioni al giorno, non so se mi spiego. E invece sette anni dopo abbiamo ribaltato lo schema, l'animale è vivo, il patto che associa Fiat e lavoratori è vitale e va al di là del contratto in questione. C'era prima di me e oggi sappiamo che ci sarà dopo di me. Anzi tutta questa personalizzazione è fuorviante. Perché se Marchionne fosse il problema, basterebbe poco. Ma tolto Marchionne, il problema resta". Resta anche l'idea, in molti, che Marchionne non creda molto in Torino: è così? "Guardi, io non ho mai fatto un investimento di così pessima qualità per l'azienda come quelli di Mirafiori e di Pomigliano. Vuol dire crederci, questo, o che altro?" Vuol dirmi che l'accordo contestato dalla Fiom non soddisfa nemmeno chi lo ha scritto e firmato? "Voglio dirle che in qualsiasi parte del mondo mi avessero sottoposto un accordo con queste condizioni io mi sarei alzato e me ne sarei andato. Tra Natale e Capodanno ho inaugurato con il presidente Lula uno stabilimento a Pernabuco nel Nordeste brasiliano: bene, l'accordo è un'ira di Dio per copertura finanziaria, concessione dei terreni, condizioni fiscali, come capita anche in Serbia". E' come se lei dicesse che da noi manca lo Stato, a creare queste condizioni per l'investimento, no? "Ma lo Stato ci ha incoraggiati. E che dire del sindacato? Una parte del sindacato è mancata molto di più, perché non ha capito la scommessa, non si è messa in gioco incalzando l'azienda sullo sviluppo, come Solidarnosc che in Polonia, quando ho spostato la Panda a Pomigliano, è venuto a chiedermi il terzo turno". Il dubbio sull'impegno in Italia riguarda anche la famiglia Agnelli, lo sa? "Io non ho mai conosciuto l'Avvocato ma mi sono letto per bene la storia della Fiat. E le dico che se c'è un momento in cui la famiglia fa le cose giuste è proprio questo. Hanno varato l'aumento di capitale nel 2003 quando l'azienda era morta, l'hanno salvata con soldi propri, non dello Stato. E oggi stanno cercando di darle un futuro senza mettere i piedi nella gestione politica del Paese, ma restandone ben fuori". Lei con l'operazione Chrysler li ha liberati dal vincolo centenario con l'automobile italiana, ma anche dal vincolo di responsabilità con il Paese: è così? "No. Garantiscono la continuità di un capitale intelligente, mettendolo a rischio e affidano la responsabilità di gestione a Pinco Pallino, seguendolo e appoggiandolo. Mi lasci dire che non è un comportamento molto italiano. Tenga conto che hanno trent'anni, un arco temporale molto lungo davanti, sono cresciuti e hanno studiato fuori, come John". Anche lei è molto poco italiano: nella biografia o nelle scelte? "Questa è la cosa che mi fa incazzare di più. "Manager canadese", è l'ultima di tutta una serie che arriva a dipingermi addirittura come anti-italiano, pur di minare la mia identità di manager. Io ho il passaporto italiano, esattamente come lei. Rispetto lo Stato, il Paese e soprattutto i lavoratori, perché credo sia giusto". Ma per lei non si possono negoziare insieme produttività e tutela dei diritti acquisiti? "Sì, i diritti personali e sociali, ma non le inefficienze". Quindi lei ha firmato l'accordo per Mirafiori - che altrove non avrebbe firmato - solo perché è italiano? "Diciamo per la sfida-Italia. E badi che non voglio affatto far politica, sia chiaro, anzi credo che in questa vicenda ci sia stato un sovraccarico ideologico. Ma ecco il ragionamento che ho fatto. Fiat ha un privilegio rispetto ad altre aziende: ha un'alternativa, può produrre qui o in altri Paesi, dove vuole. Ma io sono convinto che se riusciamo a condividere l'obiettivo, possiamo cambiare l'azienda e renderla davvero competitiva. Ci sono strade più corte e più facili fuori dall'Italia. Ma io e John abbiamo deciso di prenderci la sfida, e non accettare il declino. Si può fare, dunque si deve fare". Se l'accordo è condiviso, lei dice: e quel 50 per cento di no? "Questo è il mio compito, e comincia adesso. Devo recuperarli, comunque abbiano votato, e portarli dentro il progetto. Ci sono due voti che mi preoccupano: quello di chi ha votato no su informazioni sbagliate e quello di chi ha votato sì per paura. Voglio convincerli, spiegare chi sono. E' impossibile che negli Usa dicano che gli ho salvato la pelle e qui la pelle vogliano farmela". Non crede che ci sia chi ha votato no semplicemente perché vede una compressione dei diritti legati al lavoro? "Non abbiamo compresso alcun diritto". Le pause, la rappresentanza, lo sciopero, la malattia: qui le condizioni cambiano. "Un conto è parlarne da fuori, politicamente, un conto è parlarne in fabbrica. La rappresentanza, oggi un lavoratore su due a Mirafiori sceglie di non averla non iscrivendosi a nessun sindacato. Cambiano le pause, ma abbiamo fatto un gran lavoro per rendere meno pesante il lavoro in linea, e lo faremo ancora. Il no allo sciopero riguarda solo gli straordinari, è un obbligo contrattuale. Sulla malattia interveniamo solo sui picchi di assenteismo". A Melfi, la metà dei lavoratori ha "ridotte capacità lavorative" per i lavori in linea: non crede che queste nuove condizioni che lei minimizza pesino? "Non credo, ma voglio anche dirle che noi facciamo automobili e l'auto nel mondo si fa così. Chi viene in fabbrica lo sa". Ma ha il diritto di sapere anche se l'investimento che lei promette ha un futuro: cosa risponde, con un'assenza di nuovi modelli e la quota di mercato Fiat che in Europa si riduce del 17 per cento? "Staccata la spina degli incentivi, il mercato va giù. Lo sapevamo. Aspettiamo che si svuoti il tubo, nella seconda metà del 2011, e vediamo. Per quel momento avremo la nuova Y e la nuova Panda. Sta arrivando tutta la gamma Lancia, rifatta con gli americani, la Giulietta è appena uscita, la Jeep verrà prodotta qui in 280 mila esemplari all'anno, per tutto il mondo. E grazie a Chrysler, l'Alfa arriverà in America, con una rete di 2 mila concessionari, e farà il botto". Dunque non la vende? "Fossi matto. E' roba nostra". E i veicoli industriali? "Manco di notte. E l'arroganza tedesca, gliela raccomando. Quando volevo comprare Opel, non me l'hanno data perché ero italiano..." Al lavoratore italiano cosa porta Chrysler? "La possibilità di fare sistema. Per ottenere i nuovi volumi produttivi, avrei dovuto creare nuovi stabilimenti in America. Invece utilizzo tutte le fabbriche del sistema, porto qui le lavorazioni e metto il know how Fiat a disposizione di Chrysler. Gli impianti girano, i costi si ammortizzano, la gente lavora". Ma il costo del lavoro che voi riducete con l'accordo pesa solo il 7 per cento sul costo complessivo di un'auto: lei come garantisce che sta lavorando per migliorare anche quel 93 per cento restante? "Quel 93 per cento che lei cita ha proprio a che fare con il costo di utilizzo di ogni impianto. Fatemelo migliorare e alzerò i salari. Possiamo arrivare al livello della Germania e della Francia. Io sono pronto". Anche alla partecipazione dei lavoratori agli utili? "Sì, e le dico che ci arriveremo. Voglio arrivarci. Ma prima di parteciparli, gli utili dobbiamo farli". Mi pare di capire che dopo Pomigliano e Mirafiori il nuovo contratto investirà anche Melfi e Cassino: è così? "Non c'è alternativa. Non possiamo vivere in due mondi. Io spero che, visto l'accordo alla prova, non vorranno vivere nel secondo mondo nemmeno gli operai". Cosa resterà di italiano nelle nuove auto prodotte a Mirafiori? "Il Centro Stile rimane qui, dunque il design, ma anche i progetti, le piattaforme di origine: la piattaforma della Giulietta è nata qui, è stata riadattata negli Usa adesso torna qui per fare da base ai Suv Jeep e Alfa. E la motoristica è qui". E la testa? "Bisognerà abituarsi al fatto che avremo più teste, a Torino, a Detroit, in Brasile, in Turchia, spero in Cina. E un cuore solo. Così rimarranno vive quelle quattro lettere del marchio Fiat. Vediamole. Fabbrica: produciamo ancora, vogliamo produrre di più. Italiana: siamo qui, e non vendiamo nulla. Automobili: resta il cuore del business. Torino: se ha dei dubbi, apra la mia finestra e guardi fuori". (18 gennaio 2011)
FIAT Bonanni sull'apertura di Marchionne "Partecipazione agli utili è d'obbligo" Il leader della Cisl dopo l'intervista a Repubblica: "Non si riapre la trattativa. I lavoratori hanno detto la loro". Urso (Fli): "La sfida per la nuova Fiat è una sfida del Paese". Il Financial Times: "Se passava il 'no' a rischio ambiziosi piani dell'ad e l'intera economia italiana" Bonanni sull'apertura di Marchionne "Partecipazione agli utili è d'obbligo" L'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne ROMA - Dal giudizio "estremamente positivo" del coordinatore nazionale di Futuro e Libertà Adolfo Urso alla sottolineatura del leader della Cisl Raffaele Bonanni secondo cui "la partecipazione agli utili è d'obbligo". L'intervista di Sergio Marchionne a Repubblica 1 tiene vivo il confronto politico e sindacale sul futuro di Fiat e delle relazioni industriali. Dopo la vittoria del sì al referendum di Mirafiori, l'ad del Lingotto ha delineato il percorso che intende intraprendere: l'accordo non si tocca, anzi sarà esteso, e se le cose andranno bene gli operai avranno un ritorno economico. Cisl: "Riaprire la trattativa? Lavoratori hanno detto la loro". Il leader della Cisl Raffaele Bonanni non ritiene che ci siano i presupposti per riaprire una trattativa, dato che i lavoratori hanno espresso il loro parere. "Questo non è un gioco di società. La Fiom aveva la possibilità di firmare - ha sottolineato Bonanni - Ma non firma nessun accordo, non riconosce gli altri sindacati, non riconosce l'esito del referendum, non riconosce nemmeno la propria confederazione che li invita a firme tecniche e quant'altro. Sono loro che dicono no a tutto". Non si può immaginare Mirafiori senza la Fiom, ha aggiunto, "ma neppure una Mirafiori solo con la Fiom". E poi, sulle parole di Marchionne sulla partecipazione degli operai agli utili: "Sono soddisfatto che Marchionne lo dica per la prima volta con forte chiarezza. La partecipazione è d'obbligo, non si può avanzare con l'antagonismo". Uilm: "Ora si scriva contratto per Mirafiori". Per il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, dopo il referendum, ora è necessario che Fiat e sindacati scrivano il nuovo contratto per i lavoratori della newco che arriverà a Mirafiori così come già fatto per la newco di Pomigliano. "Ora scriveremo il contratto per i lavoratori di Mirafiori - ha detto Palombella - il 13 e il 14 gennaio resteranno date indimenticabili che segneranno un cambiamento radicale di democrazia sindacale e di rapporti tra le diverse organizzazioni sindacali", ha detto Palombella criticando ancora una volta la posizione della Fiom. "Il nostro compito ora - ha concluso - sarà quello di scrivere, come abbiamo fatto per Pomigliano, il contratto per i lavoratori di Mirafiori, con le migliorie che riguarderanno i nuovi regimi degli scatti di anzianità e i nuovi inquadramenti professionali". La politica faccia la sua parte. "La sfida per la nuova Fiat è una sfida del Paese, ora può diventare un modello di partecipazione e di sviluppo", ha commentato Urso che vede nell'atteggiamento di Marchionne un segno positivo per "delineare un percorso di pieno e sostanziale coinvolgimento dei lavoratori al destino dell'impresa, anche attraverso la presa". "Apprezziamo - ha aggiunto - che l'ad della Fiat non si sia limitato solo a confermare gli investimenti programmati, ma abbia saputo andare oltre, al fine di recuperare il dissenso espresso nel referendum. È questa la strada giusta che può ricomporre le divisioni tra i lavoratori e ridare competitività strutturale all'azienda, coinvolgendo tutti nella sfida della produttività e quindi della competitività. La politica faccia adesso la sua parte realizzando un contesto legislativo che favorisca la partecipazione agli utili". Financial Times: "Con il 'no', il costo sarebbe stato altissimo". "La Fiat, e non solo la Fiat, ha avuto una ristretta via di fuga. Immaginate cosa sarebbe accaduto se i lavoratori del principale stabilimento di Mirafiori avessero bocciato venerdì la nuova offerta di contratto. Anche se la sconfitta fosse stata così di misura come è stata la vittoria (54% di sì), il costo sarebbe stato devastante", scrive il Financial Times in un editoriale intitolato "La grande vittoria di Fiat". Innanzitutto, secondo il quotidiano della City, "gli ambiziosi piani di Sergio Marchionne, sarebbero stati messi in dubbio". Con il rischio di far deragliare anche il progetto di prendere il pieno controllo di Chrysler. Inoltre, "l'intera economia italiana avrebbe sofferto", visto che "una sconfitta del management alla Fiat, il maggiore gruppo industriale del Paese, avrebbe dissuaso gli altri datori di lavoro" dall'idea di fare cambiamenti. E mentre i politici dell'Eurozona e gli obbligazionisti dovrebbero essere particolarmente alleviati dal risultato, gli unici a rimpiangere il voto possono essere i rivali di Fiat. "Ma - conclude l'Ft - considerando la posta in gioco, anche il loro disappunto sarà misto a sollievo". L'ad Fiat negli Usa. Tornerà per il Cda. L'amministratore delegato della Fiat, intanto, è di nuovo negli Stati Uniti e rientrerà a Torino per il consiglio d'amministrazione che il 27 gennaio dovrà esaminare i conti 2010. Tornato da Detroit per seguire da vicino l'esito del referendum a Mirafiori, Marchionne è ripartito nella giornata di ieri per gli Stati Uniti. Dopo referendum lavoratori di Mirafiori in fabbrica. Dopo il referendum che ha dato il via libera al piano di Sergio Marchionne, sono tornati in fabbrica questa mattina i lavoratori di Mirafiori. Ieri lo stabilimento era rimasto chiuso per cassa integrazione. La produzione sarà regolare per tre giorni, mentre venerdì sarà in funzione la sola linea della Mito.Davanti alla porta 2 di Mirafiori, ma anche agli altri cancelli delle carrozzerie, la Fiom ha distribuito volantini dal titolo "A fianco dei lavoratori che hanno avuto il coraggio di votare no, a fianco dei lavoratori che hanno dovuto votare sì". (18 gennaio 2011)
Bonanni a Torino: "Va bene la partecipazione agli utili Fiat" Dopo il referendum di Mirafiori, il segretario generale della Cisl torna sotto la Mole. E la Fiom volantina ai cancelli Il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni è a Torino per partecipare a un incontro tra delegati e rsu Fim a pochi giorni dal voto al referendum su Mirafiori. All'incontro - oltre a Bonanni, partecipano il segretario Fim, Claudio Chiarle, il segretario Cisl Torino, Nanni Tosco, e la segretaria Cisl del Piemonte, Giovanna Ventura. Una visita a sorpresa quella del leader della Cisl per commentare l'esito della consultazione. "Sono soddisfatto che Marchionne lo dica per la prima volta con forte chiarezza. La partecipazione è d'obbligo, non si può avanzare con l'antagonismo- ha detto Bonanni prima della riunione a porta chiuse- .La partecipazione responsabile e consapevole passa attraverso la divisione degli utili. La questione l'avevamo posta già noi dal primo giorno, a partire da Pomigliano perchè riteniamo che servano aziende dove si mira alla qualità e alla quantità, ad un maggior salario e a far star bene azienda e lavoratori" Intanto, queta mattina, la Fiom è tornata davanti i cancelli della porta 2 per distribuire un volantino e continuare così l'azione di protesta nei confronti dell'accordo.
(18 gennaio 2011)
2011-01-16 FIAT Chiamparino e Fassino a Marchionne "Ora rispetti gli impegni assunti" I due esponenti del Pd ricordano all'ad del gruppo automobilistico che non può più sottrarsi dal piano di investimenti prospettati. Sacconi alla Fiom: "Non si intesti tutto il no". E ancora: "L'accordo non sarà riaperto". Camusso: "Valuteremo il ricorso alla magistratura" Chiamparino e Fassino a Marchionne "Ora rispetti gli impegni assunti" Piero Fassino con Massimo Salvadori ROMA - Piero Fassino (aspirante candidato sindaco di Torino per il Pd) e l'attuale sindaco della città, Sergio Chiamparino, all'indomani del sì di Mirafiori chiedono all'ad del gruppo Fiat Sergio Marchionne di rispettare gli impegni, e di fare gli investimenti promessi. Fassino chiede inoltre a Marchionne "di farsi carico del malessere degli operai". In questa direzione vanno anche le dichiarazioni del ministro del Welfare Maurizio Sacconi, che però si rivolge anche alla Fiom, il sindacato che fino all'ultimo si è battuto per il no e che adesso rischia, per via dell'accordo proposto da Marchionne e accettato dalla maggioranza dei dipendenti, di essere estromesso dalla fabbrica. Alla Fiom Sacconi dice di "non intestarsi tutto il no". All'accordo plaude anche il presidente del Gruppo Espresso, Carlo De Benedetti 1. "Come azionista del gruppo "non posso che essere contento di questo esito", commenta Lapo Elkann. Ricorda a Marchionne gli impegni presi anche l'esponente del Pd ed ex ministro del Lavoro Cesare Damiano. Mentre il segretario della Cgil Susanna Camusso annuncia: "Valuteremo il ricorso alla magistratura sul referendum". Chiamparino: "Esito positivo". L'esito del referendum Fiat "è positivo perché apre una prospettiva strategica decisiva per Mirafiori e in generale per l'auto in Italia, per tornare a produrre vetture competitive", ha dichiarato Sergio Chiamparino, sindaco di Torino, parlando coi giornalisti a margine di "Gran Torino", appuntamento al Lingotto con cui Piero Fassino ha inaugurato ufficialmente la sua campagna elettorale, in vista delle primarie del centrosinistra, che dovranno individuare il candidato sindaco. "Ma ora Marchionne investa". Tuttavia Chiamparino ricorda a Marchionne gli impegni assunti, e così fa anche Fassino. "Naturalmente - ha detto Chiamparino - è importante che siano mantenuti gli impegni assunti da Marchionne. Mi aspettavo una percentuale di no così alta e ci sono molte mie interviste in cui lo affermavo. E' difficile chiedere alle persone di cambiare le proprie abitudini, specialmente quando si tratta di fare lavori faticosi ed impegnativi". A questo proposito, Fassino ha affermato che Marchionne ha anche il dovere di "farsi carico del malessere degli operai": non possono essere ignorati i no, che hanno sfiorato la metà dei voti, e hanno avuto la maggioranza tra gli operai, coloro ai quali sono chiesti i sacrifici più grossi in termini contrattuali e di lavoro. Damiano: "Marchionne scopra le carte". "Il voto del referendum di Mirafiori va rispettato, anche se il sì è stato dato a denti stretti, però ora la sfida va portata fino in fondo", ha detto Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro, commentando l'esito del referendum di Mirafiori a margine dell'apertura della campagna elettorale di Piero Fassino per le primarie del centrosinistra che porteranno all'individuazione del candidato sindaco di Torino. "Marchionne - ha aggiunto Damiano - ha tenuto le carte coperte sugli investimenti, ora è giusto che scopra le carte per salvaguardare l'occupazione". Sacconi: "L'accordo non sarà riaperto". "L'accordo su Mirafiori ovviamente non sarà riaperto", ha detto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, intervenendo a Sky Tg24. "Quei 'no' - ha detto il ministro - non sono un'adesione alle politiche sindacali, e non solo sindacali, della Fiom, non sono un'adesione all'ideologia del conflitto tra capitale e lavoro che in qualche modo ancora informa quell'organizzazione, sono l'espressione di quella preoccupazione diffusa tra i lavoratori di non riuscire a conciliare i tempi di lavoro con i loro tempi di non lavoro. In passato molti accordi anche nella stessa Mirafiori firmati anche dalla Fiom sono stati bocciati dai lavoratori in base a questi timori sulla loro condizione di vita. La Fiom, quindi, non si intesti tutto questo risultato, ha sposato tutto il malessere e non si è assunta la responsabilità che altre organizzazioni si sono assunte per favorire l'investimento". Camusso: "Ricorreremo alla magistratura". "Valuteremo se ricorrere alla magistratura" dopo il referendum di Mirafiori. Lo ha annunciato il leader della Cgil, Susanna Camusso, intervenendo al programma in mezz'ora in onda su Rai3. Il segretario ha aggiunto subito dopo che tuttavia "non basta" ricorrere alla magistratura. "Non si può affidare la rappresentanza sindacale al ricorso della magistratura". (16 gennaio 2011)
INDUSTRIALI De Benedetti: "Grazie Marchionne svolta storica, ha salvato la Fiat" Il presidente del Gruppo Espresso ha parlato prima della Convention con la quale Fassino ha aperto la campagna elettorale per la sua candidaduta a sindaco di Torino. "L'azienda era vicina al baratro" De Benedetti: "Grazie Marchionne svolta storica, ha salvato la Fiat" TORINO - "Credo che tutti debbano dire grazie a Marchionne che ha preso la Fiat in un momento di baratro e l'ha salvata". Sono le parole di Carlo De Benedetti, presidente del Gruppo Espresso, pronunciate prima di partecipare alla convention con la quale Piero Fassino 1 apre la campagna elettorale per la sua candidatura a sindaco di Torino. Per De Benedetti, "la Fiat sarà sempre più americana" e quella che sta vivendo il gruppo torinese è "una svolta storica inevitabile". "Non entro nel merito di cosa è accaduto - ha detto De Benedetti ai giornalisti - ma faccio una riflessione non ideologica sulla Fiat. Credo che tutti debbano dire grazie a Marchionne che ha preso la Fiat in un momento di baratro e l'ha salvata. Una cosa - ha aggiunto - non scontata quando ha cominciato". "Torino e non solo Torino - ha aggiunto De Benedetti - devono essere grati a Marchionne per il lavoro fatto. Gli va riconosciuto di aver capito che in un mondo globalizzato l'auto non aveva futuro se non avesse attivato una grande collaborazione internazionale. E' stato infatti capace di cogliere l'opportunità Chrysler che è stato un vero passo decisivo". "Questi - ha sottolineato De Benedetti - sono i fatti e non si possono considerare le conseguenze se prima non si considerano i fatti. Fra le conseguenze vi è quella che la Fiat sarà sempre più americana. Ma - si è chiesto - quali erano le alternative? Forse vedere morire la Fiat e Torino. Questa è una svolta storica inevitabile e - ha concluso - auguro a Marchionne il successo per questa avventura". (16 gennaio 2011)
IL RACCONTO Pareggio alle urne senza gli impiegati alla catena di montaggio vince il no Il messaggio degli operai: dissenso forte ma non distruttivo. Chi opera in linea sente di più il taglio delle pause e lo spostamento della mensa a fine turno di PAOLO GRISERI Pareggio alle urne senza gli impiegati alla catena di montaggio vince il no TORINO - Sergio Marchionne ha vinto ma ha perso l'egemonia tra gli operai che i sacrifici dovranno farli davvero. Con saggezza, le tute blu hanno saputo calibrare il peso del loro "no": abbastanza forte da rendere clamoroso il dissenso e non così forte da mettere a rischio la sopravvivenza della fabbrica. Ha vinto il sì, l'investimento è salvo. In catena, dove il lavoro è più duro, ha vinto il no. L'azienda è avvisata. Mano a mano che nella notte il responso del referendum si andava definendo sul grande tabellone della sede del comitato del "sì", nel seminterrato della chiesa del Redentore, si confermava una vera e propria equazione: più dure sono le condizioni di lavoro, più prevale l'opposizione al piano dell'azienda. Per misurare la durezza del lavoro c'è, da sempre, una unità di misura quasi scientifica: il vincolo. Chi lavora in linea ha una percentuale di autonomia molto limitata e dunque un vincolo molto forte: ogni mansione dura più o meno 90 secondi. L'impiegato ha un'autonomia molto alta: da quando bolla all'ingresso dell'ufficio a quando esce per tornare a casa. Il risultato del referendum è un'applicazione quasi letterale del modello scientifico: più è forte il vincolo, più vince il no. Al montaggio, la classica linea con la scocca che scorre di fronte alle postazioni operaie, il no ha stravinto: 1576 voti (oltre il 53%) contro i 1.386 ottenuti dal sì. Quasi 200 voti di vantaggio, il 10 per cento. Qui, dove c'è il vincolo maggiore, si pagheranno maggiormente gli effetti della nuova organizzazione del lavoro voluta dalla Fiat. Qui si sente la riduzione delle pause e lo spostamento della mensa a fine turno. Qui l'ipotesi dei turni di 10 ore finirebbe per avere effetti più difficili da sopportare. Quasi come alla lastratura, dove però il vincolo è meno stringente del montaggio: ci sono lavoratori che seguono l'automobile lungo la linea (il sistema chiamato "passo-passo") e che hanno dunque la possibilità di gestirsi frazioni di tempo maggiori. E infatti anche qui il "no" vince ma di misura: 423 contro 412 sì. Il consenso comincia a prevalere in verniciatura. Un tempo luogo di duri scontri con l'azienda (come accadde nel 1979 con lo sciopero dei cabinisti) è stata radicalmente trasformata: le vernici ad acqua l'hanno resa meno nociva di un tempo. Oggi la verniciatura è fatta di mansioni di preparazione e di controllo. Il livello di autonomia dal vincolo è abbastanza alto: il "sì" vince con quasi 60 voti di scarto, 255 a 196. Una parziale eccezione alla regola del vincolo è l'andamento del voto nel turno di notte: il seggio comprendeva tutte le aree dello stabilimento coinvolte in questo periodo solo marginalmente dal lavoro notturno. Spesso si tratta di lavoratori che scelgono di fare la notte fissa, "i pipistrelli", come vengono chiamati nel gergo di fabbrica. La notte fissa è considerata un privilegio perché, grazie alle indennità, aumenta significativamente la busta paga. Chi ottiene il privilegio tende ad avere maggiore riconoscenza verso l'azienda. Così i "sì" vincono in modo significativo, 262 a 111. Il discorso sugli impiegati è fin troppo facile. Il loro livello di autonomia sul lavoro è molto alto; non fanno i turni, non hanno il problema delle pause, in buon parte fanno parte del sistema gerarchico di controllo aziendale. C'è da stupirsi che ben 20 abbiano votato "no". Gli altri 421 hanno detto sì. Ma se si escludono gli impiegati dal conto, la fabbrica è divisa come una mela: 2.315 sì e 2.306 no. Oggi Marchionne sa che lungo le linee un operaio su due gli ha votato contro. (16 gennaio 2011)
L'EDITORIALE La classe operaia deve tornare in Paradiso di EUGENIO SCALFARI ANZITUTTO l'aritmetica. A Mirafiori ha votato il 94 per cento dei dipendenti, 5.136, tra i quali 441 impiegati, capireparto e capisquadra. Le tute blu, cioè gli operai veri e propri, erano dunque 4.660 in cifra tonda. I "sì" all'accordo sono stati il 54 per cento e i "no" il 46 per cento. Al netto del voto impiegatizio i "sì" hanno vinto per 9 voti, due dei quali contestati. Marchionne aveva dichiarato che per andare avanti doveva avere almeno il 51 per cento. Con il voto dei colletti bianchi lo ha avuto, ma senza quel voto no: ha avuto il 50 più nove voti (o sette), per arrivare al 51 gli mancano 41 voti. Questa è l'aritmetica, che ovviamente non dice tutto ma dice già abbastanza. Dice cioè che la situazione di Mirafiori che esce da questa votazione sarà assai difficilmente governabile tenendo soprattutto presente che una parte notevole dei "sì" ha votato di assai malavoglia e molti l'hanno esplicitamente dichiarato. Ed ora una prima domanda alla quale, oltre che Marchionne, dovrebbero rispondere i dirigenti Cisl, Uil e gli altri firmatari dell'accordo: è possibile che in queste condizioni il 49,91 per cento degli operai di Mirafiori sia privo di rappresentanza? Sulla base di un referendum del 1995 infatti - ribadito nell'accordo Fiat-Cisl-Uil ed altri - la rappresentanza è riservata soltanto ai sindacati che hanno firmato l'accordo, ma i loro delegati non saranno eletti dai dipendenti, saranno "nominati" dai sindacati firmatari. Avete capito bene? Nominati. Esattamente come avviene per i deputati nominati dai partiti con la legge elettorale chiamata "porcellum", porcheria dal suo autore, il leghista Calderoli, circondata ormai da una generale e bipartisan disistima. La "porcheria" della rappresentanza a Mirafiori che esclude anziché includere, è in regola, lo ripeto, con quanto stabilito dalle intese sindacali vigenti, ma è clamorosamente contraria al buonsenso e al ruolo di una rappresentanza effettiva. Dequalifica metà dei dipendenti al ruolo di "anime morte" reso celebre da Gogol e prassi costante nelle campagne della Russia zarista fino alla rivoluzione del 1905. Si può adottare nella Fiat del 2011? Ancora qualche numero. I lavoratori di Mirafiori iscritti alla Fiom sono seicento; quelli non iscritti a nessun sindacato sono più di duemila. Sommandoli insieme, i lavoratori che non avranno rappresentanza saranno a dir poco 2.600 su un totale di cinquemila. Se ne deduce sulla base dei numeri che la maggioranza largamente assoluta degli operai di Mirafiori non sarà rappresentata. Bonanni e Angeletti ritengono che una situazione del genere sia accettabile da veri sindacalisti, senza degradarli oggettivamente a sindacalisti "gialli"? * * * Ho scritto ripetutamente (e ancora il due gennaio) che il problema sollevato da Marchionne non è peregrino e non riguarda soltanto la Fiat. L'economia globale ha reso possibile la formidabile emersione economica di interi "continenti": Cina, India, Indonesia, Brasile, Sudafrica. Erano paesi addormentati nella loro miseria che ora irrompono terremotando l'intero pianeta e provocando un trasferimento di benessere dal vecchio mondo opulento verso un mondo nuovo di imprenditori, finanzieri, consumatori e lavoratori. Il caso Marchionne-Fiat ha messo l'economia italiana di fronte a questa realtà, ma in ordine di tempo è l'ultimo (per ora) non il primo; era stato preceduto da centinaia di altri analoghi casi riguardanti imprese di dimensioni medio-piccole messe fuori mercato dall'economia globale. Ne cito due tra le più note: Merloni e Omsa, ma l'elenco ne comprende (e ne comprenderà) moltissime altre. Il trasferimento di benessere dall'Occidente ricco ai paesi emergenti è un dato di fatto che nessuno potrà bloccare. Un altro dato di fatto riguarda gli assetti sociali e la loro auspicabile evoluzione nei paesi emergenti. Non c'è dubbio che col tempo i diritti dei lavoratori, le loro condizioni e i loro salari tenderanno ad allinearsi a quelli occidentali, ma questa evoluzione sociale richiederà un tempo molto più lungo dell'involuzione economica in atto nell'Occidente. È in corso nei paesi emergenti quello che l'economia classica definì il "risparmio forzato" e cioè l'accumulazione del capitale attraverso lo sfruttamento del lavoro. Pensare quindi di livellare fin d'ora verso l'alto i diritti e le retribuzioni dei lavoratori di quei paesi è pura illusione. Avverrà viceversa (sta avvenendo) il contrario: sono le condizioni di lavoro in Occidente che scenderanno. Un'alternativa c'è: il soccorso dello Stato alle aziende in difficoltà. E chiaro che imboccare questa strada porta verso un sistema di economia interamente sovvenzionata. È pensabile un'ipotesi di questo genere? Certamente no. Allora qual è la strada da seguire? L'ipotesi Marchionne è correggibile senza imboccare quella della sovvenzione alle aziende come sistema? * * * Sì, l'ipotesi Marchionne è correggibile anzi, deve essere corretta al più presto perché, così come si è delineata a Pomigliano e a Mirafiori, non è accettabile. Non solo perché moralmente ingiusta ma perché non è funzionalmente percorribile. Ezio Mauro, nel suo articolo di venerdì scorso su questo stesso argomento, ha segnalato che - a detta dello stesso Marchionne - il costo del lavoro dell'automobile grava per il 7 per cento sul costo totale. È evidente a tutti che non si risolve una crisi di queste proporzioni riducendo quel 7 per cento ed è altrettanto evidente che i rappresentanti dei lavoratori hanno il diritto di sapere come è composto il restante 93 per cento e quali misure vengono prese per ridurlo. Abbiamo già documentato su queste pagine (Massimo Giannini di ieri) che i salari dei lavoratori dell'auto nelle nazioni europee nostre concorrenti sono nettamente maggiori dei nostri. Dunque c'è un difetto, se non altro conoscitivo, nello schema Marchionne e c'è un altro difetto, in questo caso compensativo, che va colmato. Si toglie benessere da un lato; che cosa si dà dall'altro? Il posto di lavoro, risponde la Fiat. Errore. Il posto di lavoro è un salario che compensa il lavoro. Qui c'è un contratto che incide sul benessere complessivo. Come viene compensato? * * * Se si cambia il rapporto tra aziende e lavoratori, tra imprese e sindacati, a causa d'una rivoluzione economica di dimensioni planetarie che incide sui rapporti sociali nei paesi opulenti, la conseguenza è che non si può scaricarne tutto il peso su uno solo dei fattori di produzione. Anche l'altro fattore deve entrare in gioco, deve impegnarsi nell'innovazione dei processi e dei prodotti, deve far aumentare la propria produttività e non solo quella proveniente dal lavoro. E così come l'imprenditore e il management controllano le frazioni di minuto del rendimento dei lavoratori, altrettanto concreto e puntuale deve essere il controllo dei rappresentanti dei lavoratori sugli investimenti innovativi dell'imprenditore. Tanto più se le retribuzioni e i premi del manager dipendono dai risultati. Quali risultati? Gli incrementi del titolo in Borsa o l'attuazione di un piano industriale? I fattori in gioco non sono due ma tre: il lavoro, il management, gli azionisti. La sede è il consiglio di amministrazione. Perciò i lavoratori debbono essere rappresentati nei consigli di amministrazione, soprattutto per le imprese quotate in Borsa o al di sopra di certi livelli di fatturato e di occupazione. E debbono essere rappresentati anche in appositi organi che vigilano sull'evoluzione della produttività e sulla sua distribuzione. La soluzione adottata in proposito dalla Volkswagen è la più aderente a questo tipo di rapporti: una "governance" aziendale duale, con un consiglio di sorveglianza dove siedono anche i rappresentanti dei lavoratori e un consiglio di amministrazione che ne attua la strategia. Ma esiste ancora più pertinente, il caso Chrysler dove i lavoratori allo stato dei fatti sono proprietari dell'azienda. Infine, poiché la perdita di benessere riguarda l'intera società nazionale e l'intero Occidente, mutamenti compensativi dovrebbero anche avvenire sul recupero di una concertazione tra parti sociali e governo, che fu instaurata da Amato e poi soprattutto da Ciampi nel 1992-93 e durò con indubbi risultati fino al 2001, poi fu smantellata e infine soppressa nell'era berlusconiana. Quando si chiedono sacrifici ad una parte della società, essi vanno bilanciati con un accrescimento dei poteri di quella parte, altrimenti si provocano terremoti sociali di incalcolabili effetti. A proposito del movimento studentesco si è detto e scritto che il conflitto va molto al di là della riforma Gelmini. Il conflitto esterna un disagio profondo dei giovani che riguarda il loro futuro, il loro lavoro, la loro partecipazione alle decisioni che riguardano l'avvenire del Paese. Credo che analogo sia il modo di sentire degli operai. Il conflitto con la Fiat è un aspetto del problema ma non è il problema. Gli operai sono ancora molti milioni ma nell'opinione generale sembrano inesistenti, non hanno più luoghi appropriati nei quali esprimersi e farsi sentire, i sindacati soffrono della stessa separatezza di cui soffrono i partiti. I lavoratori, stabili o precari, dipendenti o autonomi, reclamano partecipazione e rappresentanza e questi loro diritti stanno scritti in Costituzione. Anzi, la loro formulazione sta addirittura nell'articolo numero 1 della nostra Carta fondamentale. Ecco perché penso che Marchionne sia stato involontariamente utile. Ha aiutato gli immemori a ricordarsi di quei diritti e alla necessità di attuarli Post scriptum. Un compito della massima importanza in tutta questa vicenda e nelle sue conseguenze vicine e lontane dovrebbe spettare a chi governa il Paese e "in primis" al presidente del Consiglio. Il quale invece, proprio in queste ore, è affaccendato in tutt'altre faccende: Ruby-Rubacuori e la Procura di Milano che l'ha convocato per il 21 gennaio chiedendo al Tribunale di poter procedere con il rito abbreviato perché gli indizi di prova dei quali già dispone sono tali e tanti da ritenere già chiusa la fase istruttoria salvo gli ultimi interrogatori mancanti. Non entriamo qui nel merito dei fatti, sono già stati descritti ieri su queste pagine da Giuseppe D'Avanzo con una completezza che non ha bisogno di ulteriori approfondimenti. Ma c'è un punto che merita riflessione e risposta al coro orchestrato dai sodali del premier sotto inchiesta. Costoro sostengono (e l'ha sostenuto ieri con un apposito comunicato lo stesso premier) che la Procura milanese è entrata a piedi uniti nella privatezza di persone perbene e questo sarebbe un inaccettabile sopruso che invalida l'ordine costituzionale e va severamente bloccato e punito. La riflessione è la seguente: il reato, qualsiasi reato, riguarda l'intimità e la privatezza delle persone. Una persona ne uccide un'altra, oppure la rapina, oppure la deruba, oppure la truffa, oppure la stupra. Come avvengono questi atti? Nel buio, in una casa, in una strada deserta, nell'intimità dei rapporti. Quando il magistrato inquirente ha notizia di un reato e apre un'indagine su quell'ipotesi, deve agire inevitabilmente sulla privatezza delle persone, delle famiglie, dei luoghi sospetti. Le indagini giudiziarie riguardano quei luoghi e quelle persone, ovunque abbiano operato. È bene tenere a mente questo punto che il premier disconosce e i suoi turibolanti altrettanto. Se poi la persona sospettata riveste anche ruoli pubblici, ci sono ovviamente ricadute, ma l'istruttoria e il processo si svolgono nel contesto privato dove gli atti delittuosi sono stati commessi. Chi ritiene eversivi questi modi di procedere, ritiene in realtà eversiva la giustizia e il potere giudiziario nel suo complesso. Il che è gravissimo e, questo sì, eversivo. (16 gennaio 2011)
Ragusa, licenziato per 5 euro impiegato di 30 anni si toglie la vita L'uomo si è impiccato dopo aver perso il posto. Era impiegato come commesso nella grande distribuzione. I suoi datori di lavoro l'avevano accusato di avere incassato cinque buoni sconto da un euro. Lui aveva respinto le accuse e col sindacato aveva fatto ricorso al giudice del lavoro. Il corpo è stato trovato dalla moglie nella casa al mare
Lo hanno trovato impiccato nella sua casa di campagna, dopo averlo cercato inutilmente per un giorno e una notte. Accanto al cadavere solo un biglietto indirizzato alla moglie in cui chiedeva scusa e spiegava i motivi del suo gesto. E' morto così P. C., 30 anni, sposato e padre di un figlio in tenera età, licenziato qualche settimana fa da un supermercato di Ragusa dove lavorava come commesso per avere incassato alcuni buoni sconto da cinque euro. Un provvedimento ritenuto ingiusto, oltre che sproporzionato, che aveva fatto piombare il giovane commesso nella disperazione più nera. L'ennesimo dramma della disoccupazione in una provincia un tempo ritenuta l'Eldorado della Sicilia ma dove oggi soffia forte il vento della crisi. A denunciare quanto è accaduto sono stati i dirigenti della Uil, il sindacato al quale la vittima si era rivolto dopo essere stato licenziato. "Era un nostro iscritto - dice il segretario provinciale Giorgio Bandiera - faceva parte del direttivo della Uiltucs, lo stavamo seguendo nella sua azione giudiziaria promossa per ottenere la revoca del licenziamento. Proprio ieri era stato predisposto, insieme al nostro legale, il ricorso al giudice del lavoro". Il sindacalista spiega anche i motivi del licenziamento da parte dell'azienda, una catena della grande distribuzione, definiti assolutamente risibili. "Era stato accusato di aver cambiato cinque buoni-sconto di un euro, ma lui aveva respinto ogni addebito e non riusciva a darsi pace per un licenziamento che riteneva ingiusto e illegittimo". Gli fa eco Angelo Gulizia, segretario provinciale della Uiltucs: "Il dramma del lavoro - dice - ha fatto un'altra vittima. Togliersi la vita a trent'anni è una tragedia di cui non ci saremmo mai voluti, e dovuti, occupare". Erano stati gli stessi familiari del giovane a denunciare la scomparsa del giovane, dopo che si era allontanato da casa. La moglie, che temeva la tragedia, è andata nell'abitazione estiva di famiglia, a Santa Croce Camerina. Ha visto la luce di casa accesa e ha intuito cosa poteva essere accaduto. Per questo non è entrata, ma ha chiesto l'intervento della polizia. E' stato l'equipaggio di una volante a trovare il corpo ormai senza vita del commesso. Accanto al cadavere un biglietto, scritto con una grafia incerta, indirizzato "A mia moglie". L'ultimo gesto di amore prima di farla finita. (15 gennaio 2011)
LA TRATTATIVA Mirafiori, c'è l'accordo, la Fiom non firma Marchionne: "Investimenti in tempi brevi" Intesa separata, siglata da Fim, Fismic e Uilm. Cambiano le regole su turni e pause, la nuova azienda investirà un miliardo. A gennaio il referendum. Airaudo (Cgil): "Vergogna" di ROSARIA AMATO e PAOLO GRISERI Mirafiori, c'è l'accordo, la Fiom non firma Marchionne: "Investimenti in tempi brevi" La protesta della Fiom a Mirafiori * Pomigliano, firmato l'accordo separato la Fiom risponde con 8 ore di sciopero articolo Pomigliano, firmato l'accordo separato la Fiom risponde con 8 ore di sciopero * Accordo Mirafiori, la Fiom incalza la Cgil "Svolta fascista, serve lo sciopero generale" articolo Accordo Mirafiori, la Fiom incalza la Cgil "Svolta fascista, serve lo sciopero generale" * Camusso all'attacco di Marchionne "Antidemocratico e autoritario" articolo Camusso all'attacco di Marchionne "Antidemocratico e autoritario" * Più straordinari, pause corte e meno giorni pagati di malattia articolo Più straordinari, pause corte e meno giorni pagati di malattia * Regole zero e massima flessibilità "Si torna agli anni Cinquanta" articolo Regole zero e massima flessibilità "Si torna agli anni Cinquanta" * Mirafiori, come sarà il nuovo sindacato fuori la Fiom e addio alle Rsu articolo Mirafiori, come sarà il nuovo sindacato fuori la Fiom e addio alle Rsu * Mirafiori, la "piattaforma" Marchionne tra pause ridotte e straordinari triplicati articolo Mirafiori, la "piattaforma" Marchionne tra pause ridotte e straordinari triplicati * Fiat, domani il vertice su Mirafiori Possibile l'intesa prima di Natale articolo Fiat, domani il vertice su Mirafiori Possibile l'intesa prima di Natale * Marchionne: con il 51% di sì Fiat farà l'investimento a Mirafiori articolo Marchionne: con il 51% di sì Fiat farà l'investimento a Mirafiori * Il Lingotto a stelle e strisce Diktat dei mercati a Marchionne articolo Il Lingotto a stelle e strisce Diktat dei mercati a Marchionne * Telefonata Marchionne-Marcegaglia Un vertice a New York su Mirafiori articolo Telefonata Marchionne-Marcegaglia Un vertice a New York su Mirafiori * Marchionne spiazza Cisl e Uil e rompe con Confindustria articolo Marchionne spiazza Cisl e Uil e rompe con Confindustria * Fiat, rotte le trattative su Mirafiori L'azienda: "Non ci sono margini d'intesa" articolo Fiat, rotte le trattative su Mirafiori L'azienda: "Non ci sono margini d'intesa"
TORINO - Dopo venti giorni di stallo, arriva l'accordo su Mirafiori. La Fiom, il primo sindacato nella fabbrica simbolo della Fiat, non ha firmato. "Per quanto ci riguarda, faremo partire gli investimenti previsti nel minor tempo possibile", assicura l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne. "E' un gran bel momento per tutti quelli che hanno faticato per raggiungere un'intesa, ma soprattutto per i lavoratori e per il futuro dello stabilimento. Mirafiori inizia oggi una nuova fase della sua vita". Fuori la Fiom. Il sindacato dei metalmeccanici della Cgil pagherà il prezzo più grosso dell'accordo: quando nel 2012 nascerà la newco di Mirafiori, in base all'intesa firmata oggi, la Fiom resterà fuori. La rappresentanza sindacale infatti sarà permessa solo alle sigle che hanno firmato l'accordo. Durissima la contestazione della Fiom: "Marchionne immagina un sindacato fornitore di consenso come se fosse un fornitore della componentistica e pensa di poter scegliere lui il proprio fornitore. Questo ci porta fuori dall'esperienza dei sindacati europei", denuncia il responsabile auto della Fiom Giorgio Airaudo. Sacconi soddisfatto. Soddisfatto il ministro del Welfare Maurizio Sacconi: "Come avevamo auspicato l'accordo si è realizzato prima di Natale, confermando da un lato la volontà di Fiat Chrysler di realizzare un importante investimento a Mirafiori e, dall'altro, la volontà dei sindacati riformisti di accompagnare quest'intesa con la piena utilizzazione degli impianti e una migliore remunerazione del lavoro attraverso un contratto più vantaggioso. Fermi restando i diritti di libera associazione sindacale garantiti dallo Statuto dei lavoratori, che la stessa ipotesi di Statuto dei lavori conferma, per la prima volta firmatari e non firmatari di un contratto non saranno sullo stesso piano rispetto alla controparte aziendale, perchè la firma ha un valore". L'accordo verrà votato dai lavoratori. L'accordo ora sarà sottoposto al voto dei lavoratori, probabilmente nella seconda settimana di gennaio, l'unica in cui la fabbrica non sarà svuotata dalla cassa integrazione a ripetizione. I punti chiave dell'accordo riguardano: il pieno utilizzo degli impianti sui sei giorni lavorativi, il lavoro a turni avvicendati che mantiene l'orario individuale a 40 ore settimanali, le assenze (ci sono misure contro gli assenteisti), gli straordinari, pause e mensa a fine turno. In cambio della firma da parte di Fim, Uilm, Fismic e Ugl la Fiat conferma l'investimento di un miliardo per trasformare la fabbrica simbolo del gruppo nell'avamposto europeo del gruppo Chrysler: nei piani di Marchionne, infatti, l'azienda di corso Agnelli dovrà produrrre i Suv realizzati su una piattaforma americana con i marchi Alfa-Chrysler. Le ragioni del no della Fiom. Queste, in dettaglio le ragioni per le quali la Fiom non ha firmato: "Ci sono 120 ore di straordinario obbligatorio, come a Pomigliano, - spiega Airaudo - un sistema di turnazioni che può portare il dipendente a fare sei giorni di lavoro consecutivi con 10 ore per turno. C'è poi la riduzione di giorni di malattia pagati dall'azienda, che sono tre negli altri contratti di lavoro: a Pomigliano non ne viene pagato più neanche uno, a Torino solo uno. C'è la cancellazione di dieci minuti di pausa: erano 40 minuti per 8 ore di lavoro, adesso sono 30. La mensa: l'azienda, a differenza che a Pomigliano, dove è stata spostata a fine turno, a Mirafiori si è dichiarata disponibile a tenerla all'interno del turno, ma è da vedere come si manifesterà questa disponibilità. I lavoratori, infine, firmeranno un contratto individuale con delle clausole con le quali di fatto vengono di fatto dissuasi a scioperare, altrimenti sono sanzionabili". L'accordo di Mirafiori, inoltre, conclude Airaudo, è fuori dalle regole dell'accordo interconfederale del luglio 1993, che consente a tutti i sindacati di presentare liste e avere rappresentanti nelle Rsu se ha il 5% dei lavoratori: "Così rendono impossibile la presenza dei metalmeccanici della Cgil. Siamo di fronte al tentativo di un'azione della Fiat per semplificare il pluralismo sindacale italiano, espellendo la Cgil e riducendo all'impotenza anche i sindacati consenzienti. E' una lesione alla quale pensiamo debba rispondere l'insieme della Cgil". Opposta la posizione della Uilm e della Cisl. Diametralmente opposto il commento del segretario generale della Uilm, Rocco Palombella: "Ci sarà lavoro diretto per più di diecimila addetti con ricadute per tutto il sito di Mirafiori e per l'indotto. Ora la parola passa proprio ai lavoratori, che a metà di gennaio, al loro rientro in fabbrica dovranno esprimersi sull'accordo e confermare di fatto investimento e livelli produttivi". E della Cisl: "Si tratta di un accordo utile e necessario all'economia e alla coesione sociale del territorio torinese", commenta Nanni Tosco, segretario generale Cisl Torino. (23 dicembre 2010)
Fiat, Mirafiori dice sì a Marchionne l'accordo promosso col 54% dei voti La lunga notte del referendum si è conclusa quasi all'alba. II no in vantaggio grazie agli operai delle catene di montaggio, poi la scossa decisiva dal seggio degli impiegati. Operazioni di spoglio in ritardo per un errore sulle schede che ha anche fatto rettificare l'affluenza al 94,6%. Rissa al termine dello spoglio: la Fismic esulta, ne nasce un diverbio, un rappresentante Fiom colto da malore di PAOLO GRISERI Fiat, Mirafiori dice sì a Marchionne l'accordo promosso col 54% dei voti Lavoratori di Mirafiori durante lo spoglio delle schede * link Speciale referendum * articolo Il fac-simile della scheda * diretta Lo scrutinio * Fiat, verso il verdetto Come cambierà il lavoro articolo Come cambierà il lavoro * "I lavoratori hanno avuto fiducia grazie, ora una svolta storica" articolo Marchionne: "Grazie" * Mirafiori, tute blu al voto di notte foto Mirafiori, tute blu al voto di notte * Mirafiori, vince il sì: decisivo il voto degli impiegati video Il voto degli impiegati * Mirafiori, l'attesa del verdetto ai cancelli foto L'attesa del verdetto ai cancelli * Marchionne: "Svolta storica" Cgil: "Bocciato modello autoritario" articolo Sacconi: "Al via nuova fase" * Il patto diseguale articolo Il patto diseguale TORINO - Il sì prevale di misura a Mirafiori. Al termine di una lunghissima notte di scrutinio (i seggi si son chiusi alle 19.30, i risultati finali si sono avuti dopo le 6 del mattino), i voti favorevoli all'accordo separato del 23 dicembre 1 sono stati il 54%, quelli contrari il 46%. Altissima l'adesione al referendum, che ha superato il 94,6% (circa 5.139 persone) degli aventi diritto. Tensione prima della fine dello spoglio delle schede. Quando si è avuta la certezza matematica della vittoria del sì, un esponente della Fismic ha esultato, e ne è nato un violento diverbio con alcuni rappresentanti della Fiom; uno di questi è stato colto da un malore ed è stato necessario l'intervento di un ambulanza. Un episodio che ha ulteriormente rallentato il conteggio definitivo dei voti. LO SPECIALE REFERENDUM 2 AUDIO - La cronaca 3 FOTO - Ai cancelli in attesa del verdetto 4 Il risultato è decisamente al di sotto di quello di Pomigliano, dove quest'estate i sì avevano ottenuto il 63% e i no si erano fermati al 36%. Decisivo, per la vittoria del sì a Mirafiori, l'apporto degli impiegati, che hanno votato in massa a favore dell'accordo voluto da Marchionne: su 441 voti espressi, solo 20 tra i colletti bianchi hanno respinto l'intesa, mentre 421 l'hanno approvata. Il peso degli impiegati alla fine è stato risolutivo per far pendere la bilancia a favore del sì, anche se il voto favorevole è prevalso di un soffio, solo 9 schede su oltre 4mila 500 anche tra le tute blu. Nelle aree operaie dove maggiore sarà l'effetto della rivoluzione di Marchionne, infatti, i sì e i no sono praticamente arrivati pari. Al montaggio e in lastratura la riduzione delle pause, e la nuova turnistica che potrebbe anche arrivare a prevedere dieci ore di lavoro consecutivo, sono stati bocciati dalle tute blu: al montaggio con oltre il 53% di no, mentre in lastratura la percentuale di coloro che hanno respinto l'accordo è stata leggermente inferiore. A sostegno del sì invece, oltre agli impiegati, il voto della verniciatura e di coloro che svolgono in modo continuativo il turno di notte, quello che viene considerato un privilegio concesso dall'azienda per l'aumento in busta paga determinato dalle indennità per l'orario di lavoro particolarmente disagiato. "Come per tutti i veri cambiamenti la decisione è stata sofferta. Alla fine hanno vinto le ragioni del lavoro - ha commentato il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti - il sì all'accordo ci fa vedere con più ottimismo il futuro di Mirafiori e dell'industria automobilistica nel nostro Paese". E il leader della Uilm, Rocco Palombella: "Anche i lavoratori, che hanno ritenuto di comportarsi in modo opposto, da oggi come gli altri saranno tutelati nel loro lavoro in fabbrica e in quella che sarà la loro prossima azione sindacale". Il segretario nazionale della Fiom responsabile del settore auto, Giorgio Airaudo, ha precisato che "bisogna apprezzare il grande coraggio e l'onesta di una grandissima parte dei lavoratori di Mirafiori che hanno detto di no all'accordo. Come gli operai delle linee di montaggio. Di fatto sono stati decisivi gli impiegati che a Mirafiori sono in gran parte capi e struttura gerarchica". Con la vittoria del sì "nasce lo stabilimento del futuro": questo il primo commento del segretario nazionale della Fim Cisl, Bruno Vitali, che aggiunge: "Ora festeggia Torino, sbaglia chi pensa che Marchionne va a festeggiare a Detroit. E' il primo referendum che vinciamo a Mirafiori da quindici anni, ma è il più importante". (15 gennaio 2011)
I PUNTI DEL CONTRATTO/1 La pausa mensa salvata (per ora) ma con Fiat-Chrysler si cambierà Probabilmente dal 2012 l'intermezzo per pranzare o cenare slitterà a fine turno di VERA SCHIAVAZZI La pausa mensa salvata (per ora) ma con Fiat-Chrysler si cambierà Ci si affeziona a tutto, perfino alla mensa aziendale, e c'è chi esce dal suo reparto per correre a pranzo in quell'altra, dove una leggenda di fabbrica racconta che il cibo sia migliore. Per ora, l'accordo di Mirafiori prevede che la mensa resti dov'è: dalle 11.20 alle 11.50 per chi è entrato alle 6 del mattino, dalle 18,50 per chi fa il secondo turno, al costo di 1,91 euro (meno della metà del costo effettivo) per chi passa il badge a fine coda dopo essersi servito un pasto completo (ma ci sono alchimie complicate per chi vuole il 'ridotto', e mezze porzioni per gli inappetenti). Meno del dieci per cento tra i lavoratori dello stabilimento decide per il panino portato da casa, il digiuno tout court o il vecchio baracchino (qualcuno resiste ancora, e per lui - o lei - restano le vasche d'acqua calda dove conservare il pranzo portato da casa, assai più piccole che nel passato). Quando la joint venture con la Chrysler sarà operativa (le previsioni parlano di metà 2012), però, la mensa slitterà a fine turno. Chi è entrato alle 6 del mattino avrà la scelta tra mangiare nel ristorante aziendale alle 13,30 o uscire dalla fabbrica, con la possibilità per la Fiat - però - di chiedere "in caso di necessità" di lavorare anche durante quell'ultima mezz'ora, per un totale di otto ore effettive interrotte solo da tre pause di dieci minuti (e senza mensa alla fine). L'unico precedente, quello di Pomigliano, ha spinto il gruppo Pellegrini (lo stesso che serve anche Torino) a rinunciare all'appalto, e sono in molti a prevedere che potrebbe finire così anche alle Carrozzerie. Addio vassoi gialli, tovagliette con i nuovi modelli di auto, torri di bicchieri e rubinetti d'acqua e birra analcolica, addio nastro trasportatore dove caricare il vassoio a pranzo finito, addio perfino ai cartelli che raccomandano a tutti di rispettare l'ambiente (e dunque non sprecare carta e tovaglioli) e di facilitare il lavoro degli addetti togliendo le posate dai piatti. Addio al giorno della pizza, uno dei preferiti per chi lavora a Mirafiori. E, d'altra parte, chi ha ancora voglia di mangiare dopo sette ore e mezzo di lavoro? "Attenzione - hanno già detto i medici dell'Asl che si occupano di lavoro - in questo modo i ritmi diventano più intensi e cambia l'equilibrio psicofisico delle persone". I risultati? Si scopriranno parecchio tempo dopo. (10 gennaio 2011)
I PUNTI DEL CONTRATTO/2 Come cambiano le regole sull'assenza per malattia Il punto 4 dell'intesa è sull'assenteismo che è più elevato che in altre fabbriche complice l'età media più alta di VERA SCHIAVAZZI Come cambiano le regole sull'assenza per malattia Due pagine fitte di clausole, il discusso - e complesso - punto 4 della bozza di intesa siglata per Mirafiori: sono quelle che riguardano le assenze per malattia, e che qui si chiamano 'assenteismo'. Per l'azienda infatti il problema non è quello di penalizzare chi si assenta perché è "davvero" malato, ma di abbattere il tasso generale (il 6 per cento e oltre, più elevato che in altri stabilimenti Fiat italiani anche a causa dell'età media dei dipendenti) di giornate non lavorate. Sono quindi esclusi dall'accordo i lavoratori ricoverati in ospedale, chi si sottopone alla dialisi, è malato di morbo do Cooley, tumore, epatite B o C, gravi patologie cardiache, TBC o altre forme che richiedano terapie salvavita. Una commissione paritetica (un rappresentante di ciascun sindacato che ha firmato l'accordo, e altrettanti per la Fiat) terrà sotto controllo le assenze. Il punto 4 prevede varie fasi: a luglio 2011, una prima verifica dirà se l'assenteismo è già sceso; in caso contrario, chi resterà a casa al di sotto dei cinque giorni precedenti o seguenti le feste, i weekend, le ferie non avrà diritto alla retribuzione per il primo giorno (ma soltanto se nei precedenti 12 mesi è già stato assente con le stesse modalità almeno due volte). A gennaio 2012, nuova tappa: se il tasso medio di assenze non sarà sceso sotto il 4 per cento, la Fiat non pagherà più a chi si assenta le prime due giornate, e continuerà nello stesso modo se, dopo il 2012, l'assenteismo non scenderà sotto il 3,5 per cento. Toccherà sempre alla commissione discutere caso per caso quando una particolare situazione, anche diversa dalle categorie di malati già esonerati, possa rappresentare un'eccezione. Dicono i sindacati che hanno siglato l'intesa: "E' un richiamo a tutti per diminuire le assenze, ed è comunque migliorativo rispetto all'accordo di Pomigliano, grazie anche alla creazione di una commissione e al limite massimo dei due giorni non retribuiti". Dice la Fiom, che non ha firmato: "E' inaccettabile estendere a tutti il 'sospettò che la malattia non sia reale. La salute è un diritto non negoziabile, se una persona finge la malattia commette un illecito per il quale sono già previsti controlli e sanzioni, altrimenti non può essere penalizzata". L'accordo potrà, "nel caso in cui si verifichino criticità simili", essere esteso "con analoghe iniziative" anche agli impiegati. (10 gennaio 2011)
I PUNTI DEL CONTRATTO/3 La pausa alla catena di montaggio si accorcia di dieci minuti a turno Lo prevede il punto sei dell'accordo di Natale: c'è anche un'indennità di prestazione di 18 centesimi (lordi) l'ora di VERA SCHIAVAZZI La pausa alla catena di montaggio si accorcia di dieci minuti a turno Se dieci minuti su 480 vi sembrano pochi, o addirittura trascurabili, forse è perché non avete mai lavorato su una "linea a trazione automatizzata", d'abitudine chiamata catena di montaggio. Sono proprio dieci (cinque più cinque, per due sulle tre pause che duravano quindici minuti e ora saranno ridotte di un terzo) i minuti che gli operai delle Carrozzerie di Mirafiori perderanno se verrà approvata la nuova intesa. La spiegazione comincia dal capitolo 1 di pagina 6, "organizzazione del lavoro": "Le soluzioni ergonomiche migliorative derivanti dal'applicazione del sistema Ergo-Uas (è quello che misura la produttività della fabbrica, già in vigore in via sperimentale da due anni e che diventerà definitivo dal 4 aprile, ndr) permettono, sulle linee a trazione meccanizzata con scocche in movimento continuo, un regime di tre pause di 10 minuti ciascuna, fruite in modo collettivo o individuale a scorrimento". C'è anche una nuova indennità di prestazione collegata alla presenza, 0,1877 euro lordi all'ora. Sarà di 40 minuti, invece, il totale delle pause per chi lavorerà per dieci ore sei giorni alla settimana, un turno sperimentale - anch'esso contenuto nell'accordo - che potrà essere applicato quando i turni normali di 8 ore passeranno da 15 a 18, coinvolgendo anche il sabato. La settimana lavorativa, in questo modo, inizierà alle 6 del lunedì mattina e si concluderà alle 6 della domenica, oppure partirà alle 20 della domenica per concludersi alle 16 del sabato. I riposi? Due giorni 'a scorrimentò (cioè sempre diversi) nell'arco della settimana, che diventeranno tre per chi fa il secondo turno (con la domenica compresa). Insomma, l'orario di lavoro aumenta, le pause diminuiscono (anche se di poco) e il tutto viene monetizzato, anche qui senza esagerare. Difficile dire quanto peserà - nel medio e lungo periodo - questo cambiamento che va nella stessa direzione di accordi già siglati in Germania (dove però, in passato, l'orario era stato fortemente abbattuto per affrontare il calo nella produzione di auto). Certo dieci minuti sono veramente pochi: si dovrà scegliere tra andare in bagno, fumare una sigaretta (per farlo bisogna uscire nei cortili, perché all'interno dello stabilimento è vietato), prendere un caffè al distributore più vicino. Qualcuno si è già attrezzato con un simil-sgabello (di solito una cassetta rovesciata) portato da casa. Serve a sedersi e magari a bere un po' d'acqua o mangiare uno snack, a condizione di essere stati previdenti. E serve, soprattutto alle donne, a far riposare le gambe dopo alcune ore di lavoro in piedi. (10 gennaio 2011)
I PUNTI DEL CONTRATTO/4 Come cambia il contratto La rivoluzione dei turni Potrebbero diventare 15 e, in seguito, 18. Si passerebbe dall'attuale lavoro su due turni per cinque giorni alla settimana (dalle 6 alle 14 e dalle 14 alle 22) a tre turni, notte compresa, su sei giorni di VERA SCHIAVAZZI Come cambia il contratto La rivoluzione dei turni La data non è fissata, dipenderà dall'andamento del mercato e dunque dai volumi produttivi programmati per Mirafiori. Ma, intanto, è previsto che i turni possano passare prima da dieci a quindici, poi da quindici a diciotto, cioè dall'attuale lavoro su due turni per cinque giorni alla settimana (dalle 6 alle 14 e dalle 14 alle 22) a tre turni, notte compresa, su sei giorni alla settimana. Il lavoro notturno a Mirafiori non è mai stato abolito, e fino a una quindicina di anni fa si alternava ai turni di giorno, prevalentemente su base volontaria (la maggiorazione economica prevista lo rendeva piuttosto desiderabile). Poi, la "notte" si è ridotta a poche decine di unità, mentre ora verrà reintrodotta per tutti. Quando l'aumento dei turni si renderà necessario, è scritto a pagina 21 dell'accordo, alla voce "procedure per l'applicazione degli schemi di orario", l'azienda avvierà un esame con le organizzazioni sindacali firmatarie dell'accordo e con la rappresentanza sindacale di fabbrica. Non esattamente una trattativa, perché è già previsto che i turni aumentino, ma una discussione "per illustrare le motivazioni che impongono la decisione, valutato anche il ricorso al lavoro straordinario, i tempi e le modalità di attuazione nonché gli impatti di tipo organizzativo". Al massimo quindici giorni, però, al termine del quale si applicherà "lo schema di orario indicato dall'azienda tra quelli concordati". Più remota sembra invece la possibilità di un altro schema orario, previsto dalla bozza ma definito "sperimentale", e dunque affidato a una valutazione delle parti: due turni da dieci ore per sei giorni alla settimana, durante i quali però a ciascun lavoratore toccherebbero solo 4 giorni di lavoro, con la domenica a casa e due giorni di riposo "a scorrimento". "Questa ipotesi non sembra gradita ai lavoratori - ammettono anche i sindacalisti favorevoli all'accordo, dunque riteniamo che non verrà riaperto un confronto sul punto". Il problema principale, dunque, affidato al referendum come il resto dell'accordo, riguarda le notti e i sabati. Lavorare su tre turni richiede una notevole capacità di adattamento, anche fisica, mentre il sabato libero era considerato soprattutto dalle lavoratrici madri e dagli operai più giovani un "polmone" irrinunciabile. "I più penalizzati sono quelli che hanno carichi familiari", sostiene la Fiom, "o bisogno di pi tempo per assistere bambini, anziani, malati". "Saturare gli impianti è necessario", rispondono i sindacati favorevoli al sì, "valuteremo insieme all'azienda i casi più difficili". (11 gennaio 2011)
IL COMMENTO Il patto diseguale di MASSIMO GIANNINI Il patto diseguale Un operaio della Fiat in attesa del risultato del voto * link Speciale referendum * articolo Il fac-simile della scheda * diretta Lo scrutinio * Fiat, verso il verdetto Come cambierà il lavoro articolo Come cambierà il lavoro * "I lavoratori hanno avuto fiducia grazie, ora una svolta storica" articolo Marchionne: "Grazie" * Mirafiori, tute blu al voto di notte foto Mirafiori, tute blu al voto di notte * Mirafiori, vince il sì: decisivo il voto degli impiegati video Il voto degli impiegati * Fiat, Mirafiori dice sì a Marchionne l'accordo promosso col 54% dei voti articolo Accordo promosso col 54% dei voti * Mirafiori, l'attesa del verdetto ai cancelli foto L'attesa del verdetto ai cancelli * Marchionne: "Svolta storica" Cgil: "Bocciato modello autoritario" articolo Sacconi: "Al via nuova fase" La vera sfida di Mirafiori comincia adesso. Sapremo solo a notte fonda l'esito del referendum . Ma quando il nuovo paradigma della modernità impone una riscrittura così radicale del patto tra Capitale e Lavoro, rifondandolo sullo scambio disuguale e asimmetrico tra un salario e il nulla, l'esito sembra scontato. "Vinceranno i sì, anche se in molti avrebbero preferito votare no", era la previsione della vigilia. I primi voti scrutinati danno un risultato diverso, con i sì e i no in bilico intorno al 50%. Già questo sarebbe un risultato clamoroso, che potrebbe far saltare tutti gli scenari. Con la sua consueta, lapidaria schiettezza, l'amministratore delegato del Lingotto Sergio Marchionne aveva spiegato la sua linea: se prevalgono i sì andiamo avanti con l'investimento e diamo una scossa all'Italia, se prevalgono i no ce ne torniamo a festeggiare a Detroit e ce ne andiamo a fare auto in Canada. Una posizione "win-win": io vinco comunque. La realtà è assai più complessa. In attesa di capire l'esito della consultazione, qualcosa si può dire subito. Su due punti fondamentali: i contenuti dell'accordo e sulle prospettive che si aprono. 1) Sui contenuti dell'accordo. È diseguale lo scambio sui diritti (ammesso che su questo terreno, nonostante la dura legge della globalizzazione, qualcosa si possa e si debba scambiare nelle democrazie occidentali). Ma si potrebbe dire: hai ceduto sul diritto individuale allo sciopero, hai ceduto sul "mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda", hai ceduto sui "diritti di costituzione e di assemblea delle rappresentanze sindacali aziendali". Ma in cambio hai ottenuto la versione italiana della Mitbestimmung, cioè la co-gestione conquistata da decenni dai sindacati tedeschi della Ig-Metall, presenti nei consigli di sorveglianza della Volkswagen, oppure la partecipazione all'azionariato ottenuta dai sindacati americani dell'Uaw, presenti nei consigli di amministrazione con il 63% della Chrysler. E invece non è così. È diseguale lo scambio sulle retribuzioni (ammesso che siano vere le cifre scritte dall'azienda sull'accordo separato). Si potrebbe dire: hai ceduto sulle pause ridotte, hai ceduto sui turni, hai ceduto sulle indennità di malattia. Ma in cambio hai ottenuto l'allineamento del tuo salario medio annuo (23 mila euro in Italia) a quello dei tuoi colleghi tedeschi (42 mila euro in Germania). E invece non è così. La tua pausa ridotta vale 18 centesimi l'ora, cioè un euro al giorno, cioè 32 due euro al mese, lordi e persino esclusi dal calcolo del Tfr. Il tuo straordinario possibile, 120 ore all'anno, è a discrezione dell'azienda, vale teoricamente 3.600 euro di aumento futuro, ma sconta una contraddizione attuale: l'accordo prevede "la cassa integrazione straordinaria, per crisi aziendale... per tutto il personale a partire dal 14 febbraio per la durata di un anno". Come potrai fare lo straordinario, se starai in Cig per tutto il 2011? 2) Sulle prospettive future. Resta il sospetto che fossero vere le affermazioni sfuggite a Marchionne a "Che tempo che fa", il 24 ottobre: "Senza l'Italia la Fiat potrebbe fare molto di più...". Produrre auto in Italia, per la Fiat, è un problema che neanche l'accordo su Mirafiori può risolvere. Al supermanager italo-svizzero-canadese, apolide e multipolare, il Belpaese non conviene. Per due ragioni di fondo. Non c'è convenienza "politica". Lo dicono i fatti. Finora il salvataggio e il rilancio della Fiat sono avvenuti sulla base di uno schema collaudato con gli Stati: io costruisco, salvo o rilancio le fabbriche, tu mi paghi. È avvenuto in una prima fase in Italia, finché sono andati avanti gli ecoincentivi. È accaduto in Messico, dove il Lingotto ha ottenuto un prestito statale da 500 milioni per rifare l'impianto di Toluca. È accaduto in Serbia, dove per l'impianto di Kragujevic il gruppo incassa un contributo statale di 10 mila euro per ogni assunzione. È accaduto in America, dove l'operazione Chrysler è passata attraverso il "bailout" pubblico da 17 miliardi di dollari. E sta accadendo in tutti gli altri Paesi dove la Fiat vuole essere presente, dal Canada al Brasile, dall'Argentina alla Polonia. Nel mondo i governi stanno spendendo soldi per salvare l'auto, e tra i principali stakeholder del settore ci sono proprio gli Stati. Obama ha speso 60 miliardi di dollari per le Chrysler, Ford e Gm. Sarkozy ha speso 7 miliardi per Psa-Renault. La Merkel ha speso 3 miliardi per la Opel. In Italia gli aiuti pubblici sono finiti nel 2004. Per la Fiat, dunque, lo Stato non è un interlocutore. E non lo è il governo, che non ha un euro da spendere e un "titolo" per intervenire. Ecco perché Marchionne può andarsene, se crede e quando crede, con la "benedizione" di Berlusconi, che in due anni (di cui quasi uno da ministro dello Sviluppo ad interim) non ha trovato il tempo per convocare almeno una riunione sul caso Fiat. Non c'è convenienza economica. Lo dicono i numeri. La Fiat produce all'incirca 2,1 milioni di automobili l'anno. Circa 730 mila sono in Brasile, dove lavorano 9.100 dipendenti: ogni operaio sforna 77,6 automobili. Circa 600 mila in Polonia, dove lavorano 6.100 dipendenti: 100 auto per ogni operaio. In Italia 22.080 operai producono meno di 650 mila auto: 29,4 auto per dipendente. Il tasso medio di utilizzo degli impianti, da noi, oscilla tra il 30 e il 40%, con punte bassissime a Cassino (24%) e a Pomigliano (14%), contro una media dell'80% negli impianti dei costruttori franco-tedeschi. Su queste basi, in teoria, si fonderebbero gli accordi separati a Pomigliano e Mirafiori: bisogna lavorare di più, per schiodare l'Italia dallo scandaloso 118esimo posto (su 139) nella classifica Ocse sull'efficienza del lavoro. Ma qui c'è il grande rebus e il grande limite della Dottrina Marchionne. Il grande rebus: riportare il coefficiente di utilizzo degli impianti a livelli competitivi è un impegno colossale: può bastare il "modello" di accordo sottoscritto da Fim, Uilm, Fismic e Ugl il 23 dicembre scorso? Nessuno, realisticamente, lo può credere. Non può bastare la rimodulazione dei turni su quattro diverse tipologie. Non può bastare la riduzione di 10 minuti delle pause giornaliere infra-turno. Non possono bastare le 120 ore annue di "lavoro straordinario produttivo". Non può bastare il disincentivo all'assenteismo basato sul mancato pagamento del primo giorno di malattia collegata a periodi pre o post festivi. Non può bastare nemmeno la "nuova metrica del lavoro" imposta dal famigerato metodo "Ergo-Uas", la scomposizione post-taylorista dell'ora di lavoro di ogni operaio in 100 mila unità di "tempo micronizzato" e la previsione pseudo-orwelliana di 350 operazioni effettuate dal singolo operaio in 72 secondi ciascuna. Il problema della produttività non si risolve così, senza una strategia sull'innovazione di prodotto. Produrre di più per fare che cosa? Questo è il grande limite della Dottrina Marchionne. Se con un colpo di bacchetta magica il "ceo" riuscisse a far lavorare gli impianti italiani a ritmi di produttività tedeschi o americani, e se per magia ogni operaio di Mirafiori o di Pomigliano sfornasse 100 automobili all'anno come il "collega" serbo, la Fiat non saprebbe che farne. Le vetture prodotte in più resterebbero invendute nei piazzali. La Fiat non è in affanno perché la sua offerta, sul piano dei volumi, non riesce a soddisfare la domanda. Non è in affanno per ragioni di quantità, ma di qualità. È in difficoltà perché non ha nuovi modelli, soprattutto nella gamma alta e nel segmento a più elevato contenuto ecologico e tecnologico. E perché i modelli che ha soffrono sempre di più la concorrenza straniera. Nel 2010 il calo delle immatricolazioni Fiat (meno 16,7%) è il doppio della media del mercato (-9,2). E la quota di mercato si è ridotta al 30% (era 32,7 nel 2009). Sulla carta, il rilancio di Mirafiori dovrebbe servire a colmare queste lacune. Con la produzione di "automobili e Suv di classe superiore per i marchi Jeep e Alfa Romeo". Con la possibilità di "produrre fino a più di mille auto al giorno per un totale di 250-280 mila vetture l'anno". Con l'investimento promesso che "supera il miliardo di euro, suddiviso tra Fiat e Chrysler". Questo è l'impegno del Lingotto, affidato al comunicato stampa accluso all'intesa e sottoscritto dai sindacati firmatari. Non c'è nulla, nel testo dell'accordo, che ne garantisca il rispetto. E non c'è nulla, nel misterioso piano "Fabbrica Italia" da 20 miliardi, che apra uno scenario industriale plausibile sui prossimi dieci anni. Si tratta allora di aggrapparsi disperatamente a quello che si ha, qui ed ora. E per il futuro, affidarsi a Marchionne. Una "scommessa" giocata su una "promessa". Il rischio è altissimo. Se fallisce, perdono tutti. Perdono i sindacati e la politica. Ma perde anche la Fiat. E perde anche Marchionne, anche se se ne torna a brindare a Detroit. m.giannini@repubblica.it (15 gennaio 2011)
IL RACCONTO Pareggio alle urne senza gli impiegati alla catena di montaggio vince il no Il messaggio degli operai: dissenso forte ma non distruttivo. Chi opera in linea sente di più il taglio delle pause e lo spostamento della mensa a fine turno di PAOLO GRISERI Pareggio alle urne senza gli impiegati alla catena di montaggio vince il no TORINO - Sergio Marchionne ha vinto ma ha perso l'egemonia tra gli operai che i sacrifici dovranno farli davvero. Con saggezza, le tute blu hanno saputo calibrare il peso del loro "no": abbastanza forte da rendere clamoroso il dissenso e non così forte da mettere a rischio la sopravvivenza della fabbrica. Ha vinto il sì, l'investimento è salvo. In catena, dove il lavoro è più duro, ha vinto il no. L'azienda è avvisata. Mano a mano che nella notte il responso del referendum si andava definendo sul grande tabellone della sede del comitato del "sì", nel seminterrato della chiesa del Redentore, si confermava una vera e propria equazione: più dure sono le condizioni di lavoro, più prevale l'opposizione al piano dell'azienda. Per misurare la durezza del lavoro c'è, da sempre, una unità di misura quasi scientifica: il vincolo. Chi lavora in linea ha una percentuale di autonomia molto limitata e dunque un vincolo molto forte: ogni mansione dura più o meno 90 secondi. L'impiegato ha un'autonomia molto alta: da quando bolla all'ingresso dell'ufficio a quando esce per tornare a casa. Il risultato del referendum è un'applicazione quasi letterale del modello scientifico: più è forte il vincolo, più vince il no. Al montaggio, la classica linea con la scocca che scorre di fronte alle postazioni operaie, il no ha stravinto: 1576 voti (oltre il 53%) contro i 1.386 ottenuti dal sì. Quasi 200 voti di vantaggio, il 10 per cento. Qui, dove c'è il vincolo maggiore, si pagheranno maggiormente gli effetti della nuova organizzazione del lavoro voluta dalla Fiat. Qui si sente la riduzione delle pause e lo spostamento della mensa a fine turno. Qui l'ipotesi dei turni di 10 ore finirebbe per avere effetti più difficili da sopportare. Quasi come alla lastratura, dove però il vincolo è meno stringente del montaggio: ci sono lavoratori che seguono l'automobile lungo la linea (il sistema chiamato "passo-passo") e che hanno dunque la possibilità di gestirsi frazioni di tempo maggiori. E infatti anche qui il "no" vince ma di misura: 423 contro 412 sì. Il consenso comincia a prevalere in verniciatura. Un tempo luogo di duri scontri con l'azienda (come accadde nel 1979 con lo sciopero dei cabinisti) è stata radicalmente trasformata: le vernici ad acqua l'hanno resa meno nociva di un tempo. Oggi la verniciatura è fatta di mansioni di preparazione e di controllo. Il livello di autonomia dal vincolo è abbastanza alto: il "sì" vince con quasi 60 voti di scarto, 255 a 196. Una parziale eccezione alla regola del vincolo è l'andamento del voto nel turno di notte: il seggio comprendeva tutte le aree dello stabilimento coinvolte in questo periodo solo marginalmente dal lavoro notturno. Spesso si tratta di lavoratori che scelgono di fare la notte fissa, "i pipistrelli", come vengono chiamati nel gergo di fabbrica. La notte fissa è considerata un privilegio perché, grazie alle indennità, aumenta significativamente la busta paga. Chi ottiene il privilegio tende ad avere maggiore riconoscenza verso l'azienda. Così i "sì" vincono in modo significativo, 262 a 111. Il discorso sugli impiegati è fin troppo facile. Il loro livello di autonomia sul lavoro è molto alto; non fanno i turni, non hanno il problema delle pause, in buon parte fanno parte del sistema gerarchico di controllo aziendale. C'è da stupirsi che ben 20 abbiano votato "no". Gli altri 421 hanno detto sì. Ma se si escludono gli impiegati dal conto, la fabbrica è divisa come una mela: 2.315 sì e 2.306 no. Oggi Marchionne sa che lungo le linee un operaio su due gli ha votato contro. (16 gennaio 2011)
I PUNTI DEL CONTRATTO/5 Con la newco sarà il tramonto della rappresentanza unitaria L'articolo uno dell'accordo di Natale cambia il modello di sindacato a Mirafiori. Non cambia invece il meccanismo delle trattenute per chi ha la tessera di una sigla di VERA SCHIAVAZZI Con la newco sarà il tramonto della rappresentanza unitaria Addio campagne elettorali in fabbrica, propaganda di Tizio e di Caio, voti chiesti agli amici e primati da record di questo o quel sindacalista, come è avvenuto dal 1993 ad oggi per scegliere le Rappresentanze sindacali unitarie. L'allegato sui Diritti sindacali, al suo articolo 1, parla chiarissimo, e non si limita a sancire che soltanto le organizzazioni firmatarie dell'accordo potranno scegliere i propri rappresentanti. "Le suddette Organizzazioni sindacali - dice il testo - potranno nominare per ciascuna rappresentanza sindacale aziendale un dirigente ogni 300 o frazione di 300 dipendenti e un dirigente ogni 500 o frazione di 500 oltre i 3.000 dipendenti in aggiunta al numero precedente". Una "nomina", cioè una lista bloccata, anche se dentro il fronte del sì c'è già chi parla di possibili "primarie": "E' una facoltà dei sindacati sottoporre prima ai lavoratori una rosa più ampia di nomi e poi comunicare come rappresentanti ufficiali i più votati". "E' assurdo e antidemocratico che non si consenta ai lavoratori che scelgono la Fiom di essere rappresentati. Siamo in moltissimi reparti il sindacato più forte, escluderci è un danno per tutti", si dice invece sul fronte opposto. Un fatto è certo: la Fiom non farà parte delle rappresentanze aziendali. Ciò significa non poter sedere ai tavoli di trattativa che riguardano Mirafiori e non essere interpellata su alcuni aspetti dell'accordo che entreranno in vigore soltanto in un secondo tempo e che non appaiono scontati, dalle mensa all'organizzazione degli orari. Niente Fiom neppure nella commissione paritetica che dovrà affrontare il tema assenteismo, ovvero le graduali penalizzazioni per chi fa assenze per malattie brevi e ripetute nel corso dell'anno. Sarà altrettanto difficile per i lavoratori - buona volontà sulle primarie a parte - poter scegliere tra questo o quel sindacalista, e, analogamente a quanto è già avvenuto per le elezioni politiche, saranno i vertici delle singole sigle a "premiare" i loro quadri più fedeli e affidabili, che, come accade già oggi, potranno godere di ore di permesso retribuito. Non cambia invece il meccanismo delle trattenute, che l'azienda continuerà a fare sullo stipendio di chi ha una tessera sindacale per poi versare il denaro alle organizzazioni interessate: anche in questo caso però il meccanismo dovrebbe riguardare solo chi ha firmato l'accordo. (12 gennaio 2011)
I PUNTI DEL CONTRATTO/6 Come cambierà la busta paga al tempo della newco dell'auto I più ottimisti parlano di 75 euro in più al mese, però... di VERA SCHIAVAZZI Come cambierà la busta paga al tempo della newco dell'auto Il tema è di quelli controversi: alla fine, se l'accordo verrà approvato, gli operai guadagneranno di più? E, soprattutto, quanto? I più ottimisti hanno fatto a gara a snocciolare, in questi giorni di pre-referendum, elenchi di buone notizie: 35 euro al mese in cambio dei 10 minuti di pausa giornaliera in meno (in realtà sono 32), 75 euro di aumento lordo sulla paga-base non appena a Mirafiori sbarcherà la joint venture con Chrysler. A pagina 2, nella premessa, l'argomento viene affrontato così: "altri istituti contrattuali (... quali la classificazione dei lavoratori - nell'ambito dei quali saranno identificati i ruoli... a cui sarà riconosciuto un Elemento Retributivo di Professionalità...) verranno inseriti in fase di stesura del contratto collettivo specifico". In pratica, quando (nel 2012) l'assetto societario cambierà, ogni dipendente delle attuali Carrozzerie dovrà firmare un nuovo contratto, che terrà conto della sua anzianità e posizione. In questo modo però alcune delle voci dell'attuale contratto (indennità di disagio linea, indennità di posto eccetera) diventeranno un superminimo individuale. La cifra (alcune decine di euro al mese) verrà riconosciuta a chi già la riceve, non ai nuovi assunti. Scompaiono anche i 27 euro di "premio di produzione", e non è chiaro che cosa avverrà del "premio di performance del Gruppo", circa 100 euro l'anno con conguaglio in luglio che, peraltro, nel 2010 non sono stati riconosciuti da Fiat. Ma la voce più significativa riguarda i 75 euro lordi al mese di aumento che dovrebbero toccare ai lavoratori di terzo livello quando si farà la joint venture. Alla fine, insomma, la busta paga di secondi e terzi livelli (i più diffusi) dovrebbe variare di pochi euro in più. (13 gennaio 2011)
2011-01-15 IL FATTO Fiat, Mirafiori dice sì a Marchionne l'accordo promosso col 54% dei voti La lunga notte del referendum si è conclusa quasi all'alba. II no in vantaggio grazie agli operai delle catene di montaggio, poi la scossa decisiva dal seggio degli impiegati. Operazioni di spoglio in ritardo per un errore sulle schede che ha anche fatto rettificare l'affluenza al 94,6%. Rissa al termine dello spoglio: la Fismic esulta, ne nasce un diverbio, un rappresentante Fiom colto da malore di PAOLO GRISERI Fiat, Mirafiori dice sì a Marchionne l'accordo promosso col 54% dei voti Lavoratori di Mirafiori durante lo spoglio delle schede * link Speciale referendum * articolo Il fac-simile della scheda * Fiat, verso il verdetto Come cambierà il lavoro articolo Fiat, verso il verdetto Come cambierà il lavoro * Mirafiori, tute blu al voto di notte foto Mirafiori, tute blu al voto di notte * Mirafiori, vince il sì: decisivo il voto degli impiegati video Il voto degli impiegati * Mirafiori, l'attesa del verdetto ai cancelli foto L'attesa del verdetto ai cancelli * diretta Lo scrutinio * Sacconi: "Nuove relazioni industriali" Il Pd: "Sì a denti stretti, si rifletta" articolo Sacconi: "Al via nuova fase" * articolo Il patto diseguale TORINO - Il sì prevale di misura a Mirafiori. Al termine di una lunghissima notte di scrutinio (i seggi si son chiusi alle 19.30, i risultati finali si sono avuti dopo le 6 del mattino), i voti favorevoli all'accordo separato del 23 dicembre 1 sono stati il 54%, quelli contrari il 46%. Altissima l'adesione al referendum, che ha superato il 94,6% (circa 5.139 persone) degli aventi diritto. Tensione prima della fine dello spoglio delle schede. Quando si è avuta la certezza matematica della vittoria del sì, un esponente della Fismic ha esultato, e ne è nato un violento diverbio con alcuni rappresentanti della Fiom; uno di questi è stato colto da un malore ed è stato necessario l'intervento di un ambulanza. Un episodio che ha ulteriormente rallentato il conteggio definitivo dei voti. LO SPECIALE REFERENDUM 2 AUDIO - La cronaca 3 FOTO - Ai cancelli in attesa del verdetto 4 Il risultato è decisamente al di sotto di quello di Pomigliano, dove quest'estate i sì avevano ottenuto il 63% e i no si erano fermati al 36%. Decisivo, per la vittoria del sì a Mirafiori, l'apporto degli impiegati, che hanno votato in massa a favore dell'accordo voluto da Marchionne: su 441 voti espressi, solo 20 tra i colletti bianchi hanno respinto l'intesa, mentre 421 l'hanno approvata. Il peso degli impiegati alla fine è stato risolutivo per far pendere la bilancia a favore del sì, anche se il voto favorevole è prevalso di un soffio, solo 9 schede su oltre 4mila 500 anche tra le tute blu. Nelle aree operaie dove maggiore sarà l'effetto della rivoluzione di Marchionne, infatti, i sì e i no sono praticamente arrivati pari. Al montaggio e in lastratura la riduzione delle pause, e la nuova turnistica che potrebbe anche arrivare a prevedere dieci ore di lavoro consecutivo, sono stati bocciati dalle tute blu: al montaggio con oltre il 53% di no, mentre in lastratura la percentuale di coloro che hanno respinto l'accordo è stata leggermente inferiore. A sostegno del sì invece, oltre agli impiegati, il voto della verniciatura e di coloro che svolgono in modo continuativo il turno di notte, quello che viene considerato un privilegio concesso dall'azienda per l'aumento in busta paga determinato dalle indennità per l'orario di lavoro particolarmente disagiato. "Come per tutti i veri cambiamenti la decisione è stata sofferta. Alla fine hanno vinto le ragioni del lavoro - ha commentato il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti - il sì all'accordo ci fa vedere con più ottimismo il futuro di Mirafiori e dell'industria automobilistica nel nostro Paese". E il leader della Uilm, Rocco Palombella: "Anche i lavoratori, che hanno ritenuto di comportarsi in modo opposto, da oggi come gli altri saranno tutelati nel loro lavoro in fabbrica e in quella che sarà la loro prossima azione sindacale". Il segretario nazionale della Fiom responsabile del settore auto, Giorgio Airaudo, ha precisato che "bisogna apprezzare il grande coraggio e l'onesta di una grandissima parte dei lavoratori di Mirafiori che hanno detto di no all'accordo. Come gli operai delle linee di montaggio. Di fatto sono stati decisivi gli impiegati che a Mirafiori sono in gran parte capi e struttura gerarchica". Con la vittoria del sì "nasce lo stabilimento del futuro": questo il primo commento del segretario nazionale della Fim Cisl, Bruno Vitali, che aggiunge: "Ora festeggia Torino, sbaglia chi pensa che Marchionne va a festeggiare a Detroit. E' il primo referendum che vinciamo a Mirafiori da quindici anni, ma è il più importante". (15 gennaio 2011)
Diretta Referendum Mirafiori, lo scrutinio E' in corso lo spoglio delle schede del referendum a Mirafiori. Altissima la partecipazione: ha votato il 94,6% degli aventi diritto. I no prevalgono alla catena di montaggio, ma la scelta degli impiegati ribalta il risultato (Aggiornato alle 06:11 del 15 gennaio 2011) 06:11 Seggio 1, spoglio sospeso per un malore 35 – Alle ultime battute dello spoglio del referendum, nel seggio 1, quando la vittoria del sì è diventata matematica, lo scrutinio è stato sospeso per l'esultanza dei sostenitori del sì. Nei momenti di tensione seguiti, un sindacalista della Fiom si è sentito male ed è stato necessario chiamare un'ambulanza. 06:09 La vittoria del sì è matematica 34 – Il sì al referendum sull'accordo per lo stabilimento di Mirafiori della Fiat ha vinto. Con l'inizio dello spoglio dell'ultimo seggio il vantaggio del sì è diventato irrecuperabile. Nel complesso hanno votato, secondo gli ultimi conteggi, 5.139 persone, il 94,6% degli aventi diritto. 05:58 Manca un seggio, ma il sì ha già vinto 33 – Quando manca un solo seggio alla conclusione dello spoglio e 442 schede da scrutinare il sì all'accordo è avanti con il 54,3% (2.525 voti) sul no che ha 2.120 (45,7%). A questo punto la vittoria del sì è certa. 05:52 Lastratura, al seggio 2 vincono i no 32 – Scrutinato il seggio numero 2: tra gli operai della lastratura prevale il no all'accordo con 218 voti (51,9%) contro i 202 voti del sì (48,1%). 05:25 Otto seggi su 10: il sì sale al 55% 31 – Otto seggi scrutinati su 10 e il bilancio è il seguente: i voti favorevoli all'accordo sono il 55% (2.322) mentre i contrari sono il 45% a quota 1.902. Mancano ancora i seggi 1 e 2 della lastratura e circa 800 voti, ma si profila una vittoria del sì. 05:21 Anche al seggio 3 vincono i sì 30 – Si è concluso anche lo scrutinio del seggio 3, del reparto verniciatura: i sì sono 140 (60,1%), i no 93 (39,9%). Cinque le schede bianche o nulle. 04:55 Sette seggi: sì 54,7%, no 45,3% 29 – Con sette seggi scrutinati e circa l'80% dei voti espressi, i sì all'accordo di Mirafiori raggiungono quota 2.182 (54,7%) mentre i no sono 1.810 (il 45,3%). 04:53 Alla verniciatura prevale il sì 28 – Nel seggio numero 4 (verniciatura e magazzinaggio) hanno votato sì all'accordo sul rilancio dell'impianto 113 lavoratori (52,3%), mentre hanno detto no all'intesa 103 lavoratori (47,7%). Lo rilevano fonti sindacali. 04:51 La Fim denuncia: ci bruciano le bandiere 27 – La Fim, uno dei sindacati firmatari dell'accordo, ha denunciato che davanti alla porta 2 dello stabilimento persone non identificate hanno dato fuoco alle bandiere Fim-Cisl 04:29 Dopo sei seggi, il sì sale al 54,8% 26 – Con i risultati dello scrutinio del turno di notte e dopo 6 seggi scrutinati il consenso all'accordo sul piano Marchionne per Mirafiori sale al 54,8% (2.069 voti) contro il 45,2% del no (1.707 voti). 04:24 Seggio 2, i sì oltre il 70% 25 – Nel sesto seggio scrutinato, quello in cui hanno gli operai del turno di notte, il sì ha avuto 262 voti (70,2%) contro i 111 del no (29,8%). 04:21 I sì superano il 54% 24 – A scrutinio in corso dei voti del seggio del turno di notte si rafforza il vantaggio dei sì che superano quota 2mila voti arrivando al 54,8%. 03:54 La commissione ricalcolerà il numero dei votanti 23 – La commissione elettorale del referendum, al termine delle operazioni di scrutinio, ricalcolerà il numero dei votanti. La verifica si rende necessaria per il giallo del seggio numero 8 e del numero di schede vidimate in eccesso rispetto al numero effettivo dei votanti, già scesi a 765 rispetto agli 836 iniziali. La revisione provvisoria ha già fatto abbassare il dato dell'affluenza a 94,89%. 03:52 Il sì al 53% dopo cinque scrutini 22 – Nei primi cinque seggi scrutinati, i sì all'accordo del 23 dicembre risultano in vantaggio con il 53,1% dei voti. Lo riferiscono fonti sindacali spiegando che i voti favorevoli, dopo lo scrutinio del seggio degli impiegati, sono 1.807 mentre i no sono 1.596 (al 46,9%.). 03:32 Al seggio 5 il trionfo del sì 21 – Il voto definitivo del seggio numero 5 ha visto prevalere nettamente i favorevoli all'accordo. Tra gli impiegati i sì sono stati 421, i no 20. 03:00 Gli impiegati ribaltano il risultato: sì al 51,4% 20 – Poco dopo la metà dello scrutinio del seggio numero 5, quello degli impiegati di Mirafiori, il sì passa in vantaggio sul no, con il 51,4% del totale delle schede esaminate (1.686 contro 1.591). Al momento lo spoglio del seggio conta 300 sì e 15 no, su un totale di 449 voti espressi. 02:50 Metà voti scrutinati: il sì fermo al 46,8% 19 – Dopo lo scrutinio dei 4 seggi principali e di oltre la metà dei voti, al referendum sull'accordo dello stabilimento Fiat di Mirafiori i no sono il 53,2% (1.576) e i sì sono il 46,8% (1.386). 02:48 Seggio numero 6, prevalgono i no 18 – Anche nel seggio numero 6 di Mirafiori (sempre nel reparto montaggio in cui sono molto forti Fiom e Cobas, contrari all'accordo) ha prevalso il no. Hanno votato sì all'accordo 372 lavoratori mentre 433 hanno detto no. 02:28 Errore sulle schede, cambia il dato sull' affluenza 17 – L'errore di conteggio che aveva dato origine al giallo delle 58 schede scomparse ha portato la commissione elettorale a rifare i conti dell'affluenza: hanno votato 5.154 lavoratori e non 5.213 come inizialmente comunicato. Di conseguenza, il dato sull'affluenza cambia ed è del 94,89% e non del 96,07% calcolato in precedenza. 01:44 No avanti anche al seggio numero 6 16 – A metà spoglio del seggio numero 6, al referendum sull'accordo per lo stabilimenti Fiat di Mirafiori, i no sono 273 a fronte di 215 sì. Il seggio (montaggio) con 819 votanti è l'ultimo di quelli 'grandi' da scrutinare. Lo riferiscono fonti sindacali. 01:40 Seggio n. 8, risolto il giallo delle schede 15 – Risolto il giallo delle 58 schede che mancavano all'appello durante lo scrutinio del secondo seggio (il numero 8 al montaggio): la Commissione elettorale ha accertato che erano state vidimate più schede rispetto al numero dei votanti del seggio. In realtà il totale dei voti non era 836 ma 775. Il risultato finale, dunque, viene convalidato con 361 sì e 407 no, mentre le 7 schede effettivamente mancanti sarebbero finite nel seggio numero 6. 01:18 Dopo i primi tre scrutini, il no è al 52,43% 14 – Dopo lo scrutinio dei primi tre seggi allo stabilimento di Mirafiori e 2.180 schede esaminate il no all'accordo è in vantaggio con il 52,43% e 1.143 voti contro il 47,57% dei sì (1.011 voti). Le schede bianche o nulle sono 26 (1,19%). 01:08 Il no vince anche nel terzo seggio 13 – Concluso lo scrutinio del terzo seggio, il numero 7 del reparto montaggio; i no sono stati 374, i sì 349. I voti erano in totale 732. 01:02 Possibile che siano decisivi gli impiegati 12 – Il referendum potrebbe essere deciso dal voto degli impiegati. Secondo le previsioni di alcuni operai, i no vincerebbero in tutti i seggi del montaggio (9, 8, 7 e 6), mentre alla verniciatura (seggi 3 e 4) sarebbero in maggioranza i sì e alla lastratura (seggi 1 e 2) i voti sono più o meno equivalenti. A questo punto potrebbe risultare determinante il voto del seggio 5 e dei 441 impiegati che le fonti di fabbrica ritengono essere in grandissima maggioranza a favore del sì. 00:56 Le schede sparite sono in altre urne? 11 – Secondo fonti sindascali, la possibile spiegazione del giallo delle 58 schede "scomparse" nel seggio 8 potrebbe consistere nel fatto che 4 grandi seggi (il numero 8 'congelato', il 7, il 6 e il 5) sono allestiti in un'unica grande sala e quindi i votanti potrebbero aver inserito la propria scheda non nel seggio di appartenenza, ma in un altro 00:17 Riparte lo spoglio, ma rischio invalidazione 10 – La Commissione elettorale si divide: una parte procede al riesame delle schede del seggio numero 8 e all'esame degli elenchi elettorali per risolvere il giallo delle 58 schede mancanti. Il resto va avanti con lo scrutinio del seggio 7 (sempre nel reparto montaggio). Se non si dovesse chiarire il mistero delle schede mancanti, il voto complessivo sull'accordo di Mirafiori rischia di essere invalidato. 00:06 Seggio 8: scrutinio "congelato" 9 – La commissione che sta scrutinando i voti del referendum ha momentaneamente "congelato" il risultato dello scrutinio al seggio 8 (montaggio). Secondo fonti interne alla commissione, mancherebbero all'appello 58 schede che sarebbero finite in un'altra urna. Lo scrutinio va avanti con gli altri seggi. L'ottavo seggio ha 836 votanti. 23:56 La Uilm: mancano schede all'appello 8 – Giallo sullo scrutinio del secondo seggio: secondo fonti Uilm, i no sarebbero 406, i sì 361, 11 le schede bianche o nulle, ma mancherebbero all'appello 58 schede. E' probabile che si vada al "congelamento" dello scrutinio del seggio 23:44 Secondo seggio, finale: vince il no 7 – Il no all'accordo separato del 23 dicembre ha vinto anche nel secondo seggio (reparto montaggio). Secondo fonti sindacali i no sono stati 447 e i sì 362. 23:25 Secondo seggio, sì e no si equivalgono 6 – A metà dello scrutinio delle schede del secondo seggio (il numero 8, montaggio) c'è un sostanziale testa a testa tra i sì e i no all'accordo. Secondo foni sindacali, su circa 400 schede scrutinate (su 836) sì e no si equivalgono. 23:10 No in vantaggio anche nel secondo seggio 5 – Anche nel secondo seggio, che si trova sempre nel reparto montaggio, sono in vantaggio i no all'accordo. Tra le prime 265 schede scrutinate su 836, i no sono 135 e i sì 130. Secondo fonti sindacali anche in questo settore la maggioranza degli operai è iscritta a Fiom e Cobas. 22:35 Escono gli operai: "Il clima è disteso" 4 – Escono gli operai del turno pomeridiano, pochi si fermano davanti ai microfoni, i più si dirigono verso gli autobus che li riporteranno a casa. "Il clima in fabbrica è tranquillo e disteso - dice uno degli operai più anziani - e il voto si è svolto con lunghe code, ma in tranquillità". 22:24 Primo seggio: prevale il no con il 54% 3 – Sono 362 i "no" e 300 i "sì" i risultati definitivi del primo seggio scrutinato, al montaggio delle carrozzerie: 54,6% no, 45,4% sì. I voti in totale erano 669. Sette schede non erano valide 22:17 Al montaggio in testa i no 2 – Su più di 500 schede scrutinate al reparto montaggio delle carrozzerie di Mirafiori, circa il 10% del totale dei votanti, il no è avanti con 270 voti contro i 234 raccolti dal sì. Un risultato comunque atteso in un reparto in cui sono tradizionalmente forti la Fiom e i Cobas 22:07 Primi risultati: testa a testa 1 – Su 209 schede, che fanno parte del primo seggio che ne conta in tutto 669, si contano al momento 107 "no" e 102 "sì". Sono questi i primi risultati che emergono dallo scrutinio delle schede del referendum su Mirafiori, secondo quanto riferiscono fonti sindacali (14 gennaio 2011)
IL RAPPORTO Istat: sempre più bambini poveri tra i clochard ora ci sono i licenziati La morte di Devid a Bologna non è che una punta d'iceberg di un fenomeno in preoccupante aumento. I minori italiani che vivono in condizioni di povertà sono 1.756.000. I volontari che portano cibi caldi ai senza dimora incontrano sempre più spesso mamme e papà senza lavoro di LUCA ATTANASIO Istat: sempre più bambini poveri tra i clochard ora ci sono i licenziati ROMA - Il piccolo Devid, morto di stenti ad appena 23 giorni di vita, lo scorso 5 gennaio a Bologna, in Italia ha un numero incredibile di "fratellini" che vivono in un profondo, drammatico disagio. E se giustamente un'intera nazione si ferma a riflettere commossa sulla storia straziante della famiglia Berghi, il Paese dovrebbe ugualmente meditare di fronte a dati tragici che coinvolgono i minori in tutta Italia. I numeri. Le statistiche fresche di stampa riguardanti i bambini italiani ci consegnano una fotografia impietosa dello stato sociale dei nostri piccoli. L'Istat ci dice che ben 1.756.000 minori vivono in condizione di povertà relativa, il 22% della popolazione minorenne. Mentre il rapporto della Commissione sulla povertà e l'esclusione sociale, biennio 2009/2010, dopo aver presentato il pesante dato di oltre 3 milioni di persone in povertà assoluta - il cui reddito, cioè, non raggiunge la soglia minima di sussistenza (5,2% della popolazione totale) - spiega che di queste ben 650.000 sono minori. I nuovi clochard. Insomma, il tessuto sociale italiano sta drasticamente mutando. Cambia anche la vecchia tipologia del classico clochard: i servizi sociali che si occupano dei senza fissa dimora o i volontari che distribuiscono pasti caldi o coperte si trovano sempre di più davanti a mamme, papà licenziati. E tanti bambini. Le malattie della povertà. L'allarme lo lanciano all'unisono Codacons e Istituto malattie della povertà (Inmp) San Gallicano, di Roma. "Le malattie legate alla povertà - dichiara il direttore generale dell'Inmp Aldo Morrone, specie quando interessano i minori, sono in aumento e hanno una particolare concentrazione nel sud d'Italia, dove investono il 30% delle famiglie". Unicef e Cgil, che ne hanno dibattuto al convegno "Povertà e Infanzia" tenutosi a Roma lo scorso 14 dicembre, esprimono "grande preoccupazione". Al terzultimo posto. "Registriamo dati di assoluto allarme - dichiara Stefano Taravella, vice presidente Unicef Italia. "Nel nostro paese c'è un impoverimento generale che investe gravemente la porzione di popolazione minore. La classifica che descrive il rischio di povertà per i minori di 17 anni nei 24 paesi dell'Ocse ci vede al terzultimo posto appena prima di Bulgaria e Romania". Quelle donazioni che magari abbiamo fatto anche nel recente Natale all'Unicef che si occupa di bambini, dunque, non vanno più, come immaginavamo, solo ai bambini africani o sudamericani. Da oggi sono destinate anche ai piccoli italiani. I poveri dei paesi ricchi. L'Unicef si occupa sempre di più di minori di paesi ricchi e tra questi, l'Italia fa una pessima figura. La sua Report Card dice che siamo negli ultimi 3 posti per quanto attiene alle disuguaglianze rispetto a benessere materiale, istruzione e salute. È un problema politico, innanzitutto: se cresce la disuguaglianza vuol dire che non esistono strategie efficaci di chi governa per ridurla". Eppure, esiste un Piano nazionale dell'infanzia che ogni anno il governo dovrebbe assestare e aggiornare, dati alla mano, secondo le nuove esigenze. Ma, stando a quanto dichiarato recentemente dal presidente della sezione italiana dell'Unicef Vincenzo Spadafora a Famiglia Cristiana, il Piano attende invano di essere realizzato. (14 gennaio 2011)
LA POLEMICA Flop della guerra ai fannulloni "Commissione inutile, mi dimetto" Micheli a Brunetta: troppe pressioni e burocrazia. Nella bufera l'ente di valutazione della Pubblica amministrazione, riforma a rischio di PAOLA COPPOLA Flop della guerra ai fannulloni "Commissione inutile, mi dimetto" Il ministro Renato Brunetta UNA RIFORMA storica, che l'Italia aspetta da anni, divenuta un giocattolo nelle mani della politica. Impantanata tra gli "adempimenti burocratici" che non snelliscono la pubblica amministrazione né migliorano i servizi ai cittadini. E che ora rischia di fallire. Con una lettera-denuncia al ministro Renato Brunetta si consuma l'addio di Pietro Micheli dalla Civit. La Civit è la Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche, che ha un ruolo di primo piano nell'attuazione della riforma. Micheli si è dimesso due giorni fa, torna a lavorare all'estero, uno dei 5 membri nominati a dicembre 2009, arrivato apposta dalla Gran Bretagna, dove era consulente del corrispettivo organismo inglese. Va via perché "non credo vi siano più i presupposti per lavorare", dice. E accusa: a dispetto dei risultati iniziali, i difetti nell'impianto e "i gravi difetti nel modo in cui sta essendo attuata, rischiano di far naufragare" la riforma. Nelle sue parole c'è il rammarico di chi ha trascorso 150 giorni per il Paese a parlare con dipendenti e amministratori, spiegare il testo, scrivere documenti, e oggi traccia un bilancio negativo. Ritiene che la nota "autorità anti-fannulloni" rischia di perdere la partita perché non ha margini d'azione. "La mia valutazione attuale - si legge - è che i limiti stiano prevalendo sul cambiamento e i vizi di un sistema da riformare non siano stati affrontati in modo corretto e con l'intensità di energie politiche e risorse economiche che la sfida richiede". Sotto accusa l'impianto della riforma costruita sui cardini della performance e della valutazione e i poteri della Commissione - finita nella bufera quando il presidente Antonio Martone, anche se non indagato, è rimasto coinvolto nell'inchiesta sull'eolico e la nuova P3 - , che deve indirizzare, coordinare e sovrintendere alle valutazioni dei dipendenti pubblici e garantire la trasparenza delle amministrazioni. Dopo il consenso della campagna anti-fannulloni, la riforma si è concentrata sulla "performance individuale" dei dipendenti. Premi e sanzioni ne sono stati il fulcro, ma le risorse per i primi sono state azzerate dalla legge di stabilità. L'assenteismo si è ridotto, ma "ha finito per deprimere la reputazione e il senso di appartenenza di tanti", denuncia Micheli. Che tornelli e telecamere non basteranno a rimotivare. "Per rendere la PA più efficiente e competitiva bisogna risolvere i problemi a livello organizzativo e di sistema" suggerisce l'ex membro della Civit "puntando sulla creazione di valore pubblico e la valutazione degli impatti dell'azione amministrativa". Per chiarire la sua scelta ricorda anche le difficoltà. La Commissione non ha potere ispettivo né sanzionatorio, come il National Audit Office inglese che ha un organico di 800 persone contro le 12 di quello italiano, senza sede propria ma ospitato dagli uffici dell'Aran. La commissione è indipendente solo sulla carta: "Le ingerenze della politica sono fortissime - racconta Micheli - ha un budget di 8 milioni di euro l'anno: la metà va a progetti vagliati da Brunetta e dal ministero dell'Economia". E ricorda che "oltre alle pressioni su come usarli, i fondi stanziati per il 2010 non sono ancora allocati". Ruolo e compiti si sovrappongono a quelli di altri soggetti che interagiscono con la PA, come la Ragioneria dello Stato. Non manager ma soprattutto giuristi i suoi membri, la cui indipendenza è minata dal fatto che "il governo si riserva di determinare nomine, compensi e ambiti di operatività". E nei prossimi mesi - prevede Micheli - ci sarà un fuggi-fuggi dei ministeri dalla valutazione dei dipendenti, come già è accaduto con l'autoesclusione della presidenza del Consiglio e del ministero dell'Economia. (15 gennaio 2011)
2011-01-14 FIAT Mirafiori, vota il 97,7% del notturno Berlusconi: "Sto con Marchionne" Alta la partecipazione al referendum. Fiom: "Era inevitabile, del resto è la Fiat che sta organizzando il voto, dunque non ci stupisce".Il premier si schiera con l'ad: "Vinceranno i sì" Mirafiori, vota il 97,7% del notturno Berlusconi: "Sto con Marchionne" TORINO - E' al momento alta la partecipazione al referendum a Mirafiori. Secondo fonti sindacali ha votato "la grandissima maggioranza" del turno di notte, "circa il 97,7% degli aventi diritto". Si tratta di poco meno di 200 persone, che nella prima mattinata usciranno dallo stabilimento. Sono invece circa la metà dei 5.431 lavoratori Fiat quelli che stanno votando dalle 7.30 di questa mattina. Poi toccherà al turno del pomeriggio, che completerà il voto, i cui risultati finali sono attesi per la tarda serata. Nel frattempo Sergio Marchionne è arrivato nella Sede del lingotto questa mattina presto e ne uscirà solo a tarda notte quando sarà reso noto l'esito del referendum. Chi ha già votato, sia che abbia detto sì sia che si sia espresso per il no all'accordo, parla di una "scelta molto difficile". Ma chi si è detto contrario appare, all'uscita dei cancelli, più convinto nel rispondere della propria scelta. "Non possiamo cancellare con le nostre mani decine di anni di conquiste e di diritti, sanciti dalle leggi e anche dalla Costituzione", dice un giovane operaio della catena di montaggio. Ma c'è anche chi motiva con decisione il proprio 'si': "Solo così, cambiando, possiamo attirare investimenti a Mirafiori e in Italia", commenta un operaio prendendo l'autobus che lo riporta a casa.
Fiom: "Inevitabile alta partecipazione". "Un'affluenza così elevata era inevitabile, del resto è la Fiat che sta organizzando il voto, dunque non ci stupisce". Così il responsabile auto della Fiom, Giorgio Airaudo, che aggiunge: "Discutere di percentuali non mi appassiona in modo particolare in questo caso perchè penso che questo voto non sia nè libero nè legittimo. I lavoratori hanno dimostrato molto coraggio ora voteranno secondo le loro possibilità". Berlusconi: "Sto con Marchionne, vinceranno i sì". "Appoggiamo Marchionne e le sigle sindacali che hanno forte senso di responsabilità nazionale" afferma Silvio Berlusconi. Che fa retromarcia sulle sue affermazioni dei giorni scorsi: "A Berlino non ho detto che è giusto che la Fiat vada via, ho solo detto che se dovesse vincere il no per gli imprenditori sarebbe difficile trovare motivazioni per non andare in altri Paesi". Infine la previsione sul referendum di Mirafiori: "Vincerà il sì con una percentuale elevata". Poi tocca a Bersani e al Pd: "Ancora una volta la sinistra ha perso l'occasione per dimostrare di avere una cultura socialdemocratica di tipo europeo, di dimostrare di saper comprendere che le aziende ed il lavoro devono essere organizzati in base alle esigenze del mercato e non sulla base di ideologie ampiamente condannate dalla storia. Invece di insultare, Bersani dovrebbe farsi spiegare dal sindaco di Torino, che è suo compagno di partito, che l'accordo Fiat dimostra che se mettiamo la cultura della cooperazione tra imprenditori e lavoratori al posto del conflitto sociale si possono mantenere le fabbriche in Italia, si possono conservare i posti di lavoro e nello stesso tempo aumentare le retribuzioni". I volantini con la stella a cinque punte. Volantini firmati "Movimento Comunista Rivoluzionario" con il simbolo della stella a cinque punte racchiusa in un cerchio sono stati trovati all'interno dello stabilimento di Mirafiori durante le prime battute del voto sul referendum. Lo ha riferito il segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo, spiegando che la commissione elettorale ha avvertito il servizio di sorveglianza interno della Fiat che a sua volta avrebbe informato dell'episodio la Digos. Lo stesso volantino trovato all'interno dello stabilimento è stato distribuito da un gruppo di giovani ai cancelli all'arrivo dei lavoratori per il turno delle 22. Non contiene alcun tono di minaccia e si chiude con la "solidarietà ai lavoratori per dire no all' imbroglio, ai licenziamenti, allo sfruttamento del lavoro". Il testo contiene anche un indirizzo mail "per adesioni e contatti". Già nei giorni scorsi all'esterno dello stabilimento sono stati distribuiti volantini firmati "Comunisti Combattenti Piemontesi" con i simboli della falce e martello, da un lato, e della stella a cinque punte non cerchiata, dall'altro. (14 gennaio 2011)
ECONOMIA Auto, calano le vendite in Europa Fiat in discesa del 17% ll mercato chiude il 2010 in flessione del 4,9% rispetto all'anno precedente, mentre le immatricolazioni di Fiat Group calano e la quota del gruppo scende dall'8,7% al 7,6% Auto, calano le vendite in Europa Fiat in discesa del 17% Sergio Marchionne ROMA - ll mercato dell'auto nell'Europa dei 27 più le nazioni aderenti all'Efta chiude il 2010 in flessione del 4,9% rispetto all'anno precedente, mentre le immatricolazioni di Fiat Group Automobiles scendono del 17% e la quota del gruppo scende dall'8,7% al 7,6%. In Europa, nei dodici mesi, sono state immatricolate complessivamente 13 milioni 786 mila vetture, con un calo del 4,9%, di cui 1.041.287 da parte del grupo Fiat (-17%). Quasi tutti i principali mercati europei hanno segnato il passo: i volumi di vendita sono scesi in Italia del 9,2%, in Germania del 23,4%, in Francia del 2,2%. Tra i cosiddetti "major market" ha chiuso in segno positivo la Spagna, il cui mercato è cresciuto del 3,1%. Leggermente meno negativo il risultato ottenuto in dicembre: le vendite sono state 1 milione 48 mila, il 2,7% in meno rispetto allo stesso mese del 2009. Il 2010 è stato un anno negativo anche per Fiat Group Automobiles, principalmente a causa di due fattori: il consistente calo complessivo del mercato (soprattutto in Italia) e il fatto che nel 2009 la sua gamma di vetture a basso impatto ambientale aveva beneficiato in maniera molto forte degli eco-incentivi attuati da numerose nazioni europee. Le immatricolazioni di Fiat Group Automobiles nell'anno sono state 1 milione 41 mila, il 17% in meno rispetto al 2009, con una quota del 7,6% rispetto all'8,7% di un anno fa. In uno scenario europeo caratterizzato da un calo delle immatricolazioni per FGA nei principali mercati, fa eccezione la Spagna dove Fiat Group Automobiles ha aumentato i volumi di vendita del 23%, ottenendo una quota del 3%, in crescita di mezzo punto percentuale rispetto al 2009. Vanno inoltre segnalati i positivi risultati ottenuti da FGA in alcuni mercati minori, come per esempio in Olanda (volumi a +43,5% in un mercato che cresce del 24,3%), in Belgio/Lussemburgo (FGA +22,3% e mercato +14%) e in Irlanda, dove le vendite di Fiat Goup Automobiles sono aumentate del 68,2% in un mercato cresciuto del 54,5%. In dicembre le auto vendute da FGA in Europa sono state quasi 70 mila, il 19,1% in meno rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. La quota (in calo di 1,3 punti percentuali in confronto a dicembre 2009) è stata del 6,7%, la stessa ottenuta in novembre 2010. E' naturalmente il brand Fiat a essere stato maggiormente condizionato dalla mancanza di incentivi alla rottamazione nei principali mercati europei. Nel 2010 il marchio ha venduto oltre 825 mila vetture, il 18,8% in meno rispetto al 2009. (14 gennaio 2011)
2011-01-13 IL REFERENDUM Fiat, seggi aperti a Mirafiori Camusso: "Fiom resterà comunque" Le urne si chiuderanno domani alle 18,45. Appello in tv del ministro Sacconi per votare "sì all'accordo su Mirafiori, è l'ultima possibilità". Il segretario Cgil attacca ancora Berlusconi: "Fa spettacolo e abdica suo mestiere". Bersani: "Lavoratori lasciati soli". I Consumatori: "Pronti a boicottare produzioni". Deserte le assemblee del fronte del sì Fiat, seggi aperti a Mirafiori Camusso: "Fiom resterà comunque" TORINO - Seggi aperti a Mirafiori per il referendum tra i lavoratori sull'accordo tra azienda e sindacati (esclusa la Fiom) del 23 dicembre scorso. Votano per primi gli operai del turno di notte. Poi toccherà agli addetti del primo e secondo turno; la votazione si concluderà alle 18.45. La vigilia del voto è segnata ancora dalle polemiche, dopo quelle di ieri sulle assemblee tenute dai capireparto Fiat 1 e sulle dichiarazioni di Silvio Berlusconi 2. L'ultima dichiarazione è quella del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, che si rivolge "ai lavoratori e alle lavoratrici" dalla tribuna televisiva di Matrix. "Mettano sul piatto della bilancia le negatività e le positività" dell'accordo, consiglia il ministro, "ma guardino al futuro e colgano così questa ultima possibilità". Infine, l'appello "a votare si" perché in caso di rifiuto dell'accordo "sarebbe impensabile un secoondo negoziato". Il segretario Cgil, Susanna Camusso, assicura che "comunque vadano le cose la Fiom tornerà sicuramente in fabbrica". Dopo le parole di ieri di Silvio Berlusconi che, schierandosi apertamente con Marchionne, aveva affermato che ci sono buoni motivi per Fiat per lasciare l'Italia, il leader della Cgil, aveva rivolto una dura replica 3 e oggi torna all'attacco: "Berlusconi fa spettacolo e abdica al suo mestiere". Stessa reazione del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che ritiene "vergognose" le parole del premier: "È incredibile la solitudine a cui sono stati lasciati i lavoratori e i sindacati, in un Paese in cui le stock option galoppano, l'evasione è al massimo, le riforme professionali sono state affidate agli ordini professionali - ha sottolineato Bersani -. Non possiamo affrontare questo problema della Fiat come se fossimo delle tifoserie di Inter o Milan. Ieri Berlusconi avrebbe dovuto farsi spiegare dalla Merkel come ha gestito la crisi dell'auto e della Opel. Obama ha fatto lo stesso e Sarkozy ha fatto lo stesso. Solo Berlusconi è stato con le mani conserte". LO SPECIALE SUL REFERENDUM A MIRAFIORI 4 Le assemblee informative. L'assemblea informativa convocata dai sindacati firmatari dell'intesa sul piano di rilancio di Mirafiori è andata praticamente deserta. "Quella di oggi era un po' una scommessa - spiega il segretario Fim di Torino, Claudio Chiarle commentando la mancata partecipazione-. Non è facile portare in assemblea i lavoratori al di fuori dall'orario di lavoro e fuori dallo stabilimento, ma era un'iniziativa necessaria perché le assemblee retribuite in fabbrica sono diventate luoghi di non democrazia dove gruppi di contestatori impediscono a chi vuole ascoltare di poterlo fare. Ciò che conta comunque è vincere il referendum e questo capiterà". Diversa la scelta Fiom, che ha tenuto l'assemblea in fabbrica: "C'è stata grande partecipazione - dice il segretario Maurizio Landini - serenità, voglia di capire. Sull'esito del voto non facciamo previsioni, non è un referendum libero, ma un plebiscito. La Fiom farà tutto ciò che è possibile, sul piano sindacale e giuridico, contro un modello di accordo che è inaccettabile". Critiche Fim e Uilm a Berlusconi. Anche la Fim ha criticato Berlusconi e il suo giustificare le aziende che lasciano l'Italia: "Il premier fa parte di quelli che non conoscono l'accordo - ha detto il segretario della Fim torinese, Claudio Chiarle - . Affermazioni del genere non aiutano, specie il fronte del sì". Chiarle si è detto fiducioso sull'esito del referendum, affermando che "il vero problema è che il sì rappresenta la prospettiva, il no è il declino industriale. Il risultato sarà però il punto di partenza e bisognerà riflettere su cosa fare dopo, quando comincia la fase di gestione dell'accordo". Dichiarazioni sbagliate anche secondo Eros Panicali, responsabile nazionale auto della Uilm: "Per la funzione che ricopre - dice Panicali - , un presidente del consiglio non deve tifare per una parte ma preoccuparsi per ciò che succede nel Paese. Se non passa il sì sarà dura per il Paese e il premier dovrebbe preoccuparsi di quello che potrebbe succedere in Italia". Camusso: "Fabbriche come caserme". Sul caso Fiat è tornata anche il segretario generale della Cgil: "È l'impostazione della vertenza che rende tutto un po' incredibile - dice Susanna Camusso - e soprattutto questa idea che bisogna costruire fabbriche come caserme, fatte come caserme autoritarie. Ci abbiamo messo molti anni a introdurre democrazia e libertà nei luoghi di lavoro e questo appare a noi un grande arretramento. Si sta costituendo un vulnus alla democrazia". Tornando alle dichiarazioni di Berlusconi, Camusso ha aggiunto che "in un Paese normale, un governo, di fronte a un'impresa che vuol fare investimenti avrebbe chiamato l'impresa, verificato gli investimenti. Non avendo fatto tutto ciò, invece si fa spettacolo". Alla domanda se ritenga credibile la chiusura di Mirafiori in caso di vittoria del no al referendum, Camusso ha replicato: "È una domanda che farei al presidente del Consiglio, che da tempo ha abdicato al suo mestiere". Consumatori: "Pronti a boicottare produzioni". ''Troviamo le dichiarazioni del premier sulla questione Fiat del tutto inaccettabili. Non solo perché, per quanto riguarda gli aspetti contrattuali in discussione, ha deciso di sposare interamente una sola parte in causa, come al solito, quella più potente, ma anche perché, così facendo, avalla l'ipotesi di espatrio di una produzione così importante per il nostro Paese". Così la dichiarazione congiunta di Adusbef e Federconsumatori che annunciano, "qualora si dovessero protrarre gravi iniziative di lesione di diritti costituzionalmente garantiti", di essere pronte alla denuncia, "ma anche a vere e proprie iniziative di boicottaggio di quelle produzioni''. ''Piuttosto che uscirsene con 'sparate'' degne di chi nutre disprezzo verso il nostro Paese - si legge nella nota - , sarebbe stato decisamente più produttivo ed appropriato che il capo del governo avesse agevolato, come suo compito, un confronto serio e sereno sul piano industriale, promuovendo gli investimenti necessari allo sviluppo della produzione". Bersani: "Rispettiamo il voto, governo inerte". "Seguiamo con rispetto questa consultazione che ha esiti anche drammatici. Noi teniamo molto agli investimenti, i lavoratori stanno mettendo in gioco parte delle loro condizioni in nome di quegli investimenti e quindi del loro futuro", ha detto il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, nella sua relazione alla Direzione Nazionale del partito, sottolineando che il governo ha lasciato soli i lavoratori e i sindacati. A Mirafiori da Pomigliano. "Siamo venuti a portare ai colleghi di Torino più che la nostra solidarietà la nostra condivisione. Vogliamo condividere la battaglia di Mirafiori". Così, davanti ai cancelli, gli operai dello stabilimento di Pomigliano d'Arco: "Sappiamo bene qual è la difficoltà nello scegliere - dicono - perché ci siamo già passati". Distribuito un volantino della Fiom-Cgil di Napoli dal titolo "Pomigliano-Mirafiori: no agli accordi della vergogna". La Fismic, uno dei sindacati firmatari, ha diffuso una nota in cui afferma che davanti ai cancelli non c'è "agibilità democratica" e "pertanto, a malincuore, oggi rinuncerà a distribuire ai lavoratori di Mirafiori il volantone che spiega i termini reali dell'accordo". Marchionne agli operai: "Abbiate fiducia". Marchionne da parte sua ancora ieri sera da Detroit ha ribadito "ai lavoratori di Mirafiori dico di avere fiducia nel futuro e in loro stessi. Niente altro". Cgt Mètallurgie: "Accordo inaccettabile, appoggiamo la Fiom". La proposta di Marchionne "è totalmente inaccettabile". "Appoggiamo la Fiom in questa azione contro un accordo che sferra un attacco fondamentale al diritto sindacale, alla contrattazione collettiva e alla carta sociale". Ad affermarlo è il consigliere federale della Cgt Mètallurgie, Patrick Correa, annunciando l'adesione del sindacato francese allo sciopero generale del 28 gennaio indetto dalla Fiom e alle manifestazioni che si svolgeranno in quell'occasione e il suo appoggio alla petizione della Fiom contro l'accordo che "rimette in discussione il ruolo del sindacato e del lavoratore". La Cgt guarda "con molta attenzione" a questa vicenda, che rappresenta un "cattivo segnale inviato a livello europeo". Da parte della Fiat, aggiunge Correa, "si tratta di un ricatto fatto ai lavoratori che peggiora le condizioni di lavoro e riduce il peso dei sindacati. È un cattivo segnale inviato dalla Fiat e temiamo che possa estendersi altrove, anche se la situazione sindacale in Italia non è la stessa rispetto agli altri paesi europei". In Francia e in Europa, infatti, sottolinea il sindacalista metalmeccanico della Cgt, "c'è più unità sindacale: Berlusconi e Marchionne hanno rotto questa unità sindacale in Italia". (13 gennaio 2011)
IL GIORNO DEL VOTO Fiat, dalle 22 il voto a Mirafiori Ancora polemiche su Berlusconi Le urne si chiuderanno il 14 gennaio alle 18:45. Berlusconi si schiera apertamente con Marchionne. Camusso: "Fiom tornerà comunque in fabbrica". E sul premier: "Fa spettacolo e abdica suo mestiere". Bersani: "Rispettiamo referendum, ma lavoratori lasciati soli". Consumatori: "Pronti a boicottare produzioni" Fiat, dalle 22 il voto a Mirafiori Ancora polemiche su Berlusconi TORINO - Saranno gli operai di Mirafiori del turno di notte, quello delle 22, i primi a votare da questa sera alle 22 il referendum sull'accordo del 23 dicembre scorso. Il 14 gennaio gli addetti del primo e secondo turno; la votazione si concluderà domani alle 18.45. Le urne aprono dunque nel fuoco delle polemiche. "Comunque vadano le cose la Fiom tornerà sicuramente in fabbrica", ha affermato il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. Dopo le parole di ieri di Silvio Berlusconi che, schierandosi apertamente con Marchionne, aveva affermato che ci sono buoni motivi per Fiat per lasciare l'Italia, il leader della Cgil, aveva rivolto una dura replica 1 e oggi torna all'attacco: "Berlusconi fa spettacolo e abdica al suo mestiere". Stessa reazione del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che ritiene "vergognose" le parole del premier: "È incredibile la solitudine a cui sono stati lasciati i lavoratori e i sindacati, in un Paese in cui le stock option galoppano, l'evasione è al massimo, le riforme professionali sono state affidate agli ordini professionali - ha sottolineato Bersani -. Non possiamo affrontare questo problema della Fiat come se fossimo delle tifoserie di Inter o Milan. Ieri Berlusconi avrebbe dovuto farsi spiegare dalla Merkel come ha gestito la crisi dell'auto e della Opel. Obama ha fatto lo stesso e Sarkozy ha fatto lo stesso. Solo Berlusconi è stato con le mani conserte". E, a Torino, piovono anche le accuse della Fiom all'azienda per le assemblee organizzate dai capi reparto 2: "Influenzane e schedano gli operai". Quasi deserta prima assemblea sindacati del sì. La prima informativa, che era stata convocata dai sindacati firmatari dell'intesa sul piano di rilancio di Mirafiori alle 10 nei locali della parrocchia del Redentore, è andata praticamente deserta. "Quella di oggi era un po' una scommessa - spiega il segretario Fim di Torino, Claudio Chiarle commentando la mancata partecipazione-. Non è facile portare in assemblea i lavoratori al di fuori dall'orario di lavoro e fuori dallo stabilimento, ma era un'iniziativa necessaria perché le assemblee retribuite in fabbrica sono diventate luoghi di non democrazia dove gruppi di contestatori impediscono a chi vuole ascoltare di poterlo fare per questo è necessario trovare strumenti di confronto con i lavoratori. Ciò che conta comunque è vincere il referendum e questo capiterà". Un'altra assemblea è prevista al cambio turno. Camusso: "Fabbriche come caserme, vulnus della democrazia". ''È l'impostazione della vertenza che rende tutto un po' incredibile e soprattutto questa idea che bisogna costruire fabbriche come caserme, fatte come caserme autoritarie'', ha detto la segretaria della Cgil, Susanna Camusso. "Ci abbiamo messo molti anni - ha proseguito - a introdurre democrazia e libertà nei luoghi di lavoro e questo appare a noi un grande arretramento". "Si sta costruendo un vulnus alla democrazia. Le caserme - ha detto ancora nel suo intervento alle giornate del'economia cooperativa a Milano - non sono più efficienti e anzi, se ne parliamo in questo Paese lo sono poco, perché rinunciano al contributo delle persone e alla loro partecipazione". Il leader della Cgil, poi, è tornata a parlare dell'intervento del premier di ieri: "Non me l'aspettavo perché in un Paese normale un governo, di fronte a un'impresa che vuol fare investimenti avrebbe fatto tutto diverso: avrebbe chiamato l'impresa, verificato gli investimenti. Non avendo fatto tutto ciò, invece si fa spettacolo", ha affermato Camusso. "Se si guarda la coreografia - ha proseguito il leader della Cgil - lo spettacolo lo fa il presidente del Consiglio e lo fa al fianco della presidente di quel Paese che ha detto no a Fiat perché non dava abbastanza garanzie". Alla domanda se ritenga che davvero Fiat chiuderà lo stabilimento di Mirafiori nel caso in cui dovessero vincere i "no" al referendum, Camusso ha replicato: "È una domanda che farei al presidente del Consiglio, che da tempo ha abdicato al suo mestiere". Landini (Fiom): "Referendum illegittimo. È un ricatto". Il referendum sull'accordo separato di Mirafiori è "illegittimo" poiché rischia di diventare un plebiscito in cui si può solamente dire ciò che chi comanda vuole che si dica". Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, sferra un nuovo attacco parlando a Mattino Cinque. Landini tiene a sottolineare che le trattative sullo stabilimento torinese "non ci sono state": l'ad di Fiat, Sergio Marchionne, "l'ho visto soltanto una volta e, generalmente, quando viene agli incontri legge quello che vuole e va via". E ha aggiunto: " ''Non firmeremo mai questo accordo, non apporremo nemmeno nessuna firma tecnica, perché le firme tecniche semplicemente non esistono''. Bertinotti: "Meno male che la Fiom c'è". "Meno male che la Fiom c'è: la sua capacità di vedere la regressione drammatica celata nella proposta è un investimento sul domani". Lo afferma Fausto Bertinotti, in un'intervista al Mattino, nella quale definisce l'accordo Fiat come "la cancellazione intera di più di un secolo di conquiste di civiltà del lavoro". Se vincessero i sì al referendum su Mirafioni, secondo Bertinotti, la Fiom non dovrebbe firmare l'accordo e restare fuori dall'azienda, perché "lo statuto Cgil impedisce - dice - di firmare accordi che violino i diritti di libertà dei lavoratori. E poi perché un conto è la condizione del lavoratore che, sottoposto al ricatto può decidere e lo rispetto molto di piegare la schiena, altro è il sindacato". Per l'ex presidente della Camera, "la resistenza della Fiom costituisce, per queste nuove generazioni, la possibilità di non immaginarsi senza padri". E Bersani, secondo Bertinotti, sul caso Fiat "sbaglia". "Il Pd interviene sempre in maniera politicistica - aggiunge -. Si domanda solo se una posizione può essere apprezzata o meno dal terzo polo, un atteggiamento tattico che guarda solo al consenso". Consumatori: "Premier inaccettabile, pronti a boicottare produzioni". ''Troviamo le dichiarazioni del presidente del Consiglio sulla questione Fiat del tutto inaccettabili. Non solo perché, per quanto riguarda gli aspetti contrattuali in discussione, ha deciso di sposare interamente una sola parte in causa, come al solito, quella più potente, ma anche perché, così facendo, avalla l'ipotesi di espatrio di una produzione così importante per il nostro Paese. Qualora si dovessero protrarre gravi iniziative di lesione di diritti costituzionalmente garantiti, Adusbef e Federconsumatori sono pronte a mettere in campo strumenti non solo di denuncia, ma anche vere e proprie iniziative di boicottaggio di quelle produzioni'', è quanto si legge in un comunicato congiunto delle associazione di consumatori. ''Piuttosto che uscirsene con ''sparate'' degne di chi nutre disprezzo verso il nostro Paese, sarebbe stato decisamente più produttivo ed appropriato che il capo del governo avesse agevolato, come suo compito, un confronto serio e sereno sul piano industriale, promuovendo gli investimenti necessari allo sviluppo della produzione". Bersani: "Rispettiamo il referendum, ma il Governo è inerte". "Seguiamo con rispetto questa consultazione che ha esiti anche drammatici. Noi teniamo molto agli investimenti, i lavoratori stanno mettendo in gioco parte delle loro condizioni in nome di quegli investimenti e quindi del loro futuro", ha detto il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, nella sua relazione alla Direzione Nazionale del partito, sottolineando che il governo ha lasciato soli i lavoratori e i sindacati. A Mirafiori le tute blu di Pomigliano. "Siamo partiti stamattina presto da Pomigliano per portare ai colleghi di Torino più che la nostra solidarietà la nostra condivisione. Vogliamo condividere la battaglia di Mirafiori". Così, davanti ai cancelli di Mirafiori, ha parlato uno degli operai dello stabilimento di Pomigliano d'Arco appena giunti davanti alla porta 2 dello stabilimento, a poche ore dall'inizio del referendum. Uno di loro aggiunge: "Sappiamo bene qual è la difficoltà nello scegliere perché ci siamo già passati". E davanti ai cancelli attendono i colleghi di Mirafiori che all'una e mezza usciranno dalla fabbrica per distribuire un volantino della Fiom-Cgil di Napoli dal titolo "Pomigliano-Mirafiori: no agli accordi della vergogna". L'a.d agli operai: "Abbiate fiducia". Marchionne da parte sua ancora ieri sera da Detroit ha ribadito "ai lavoratori di Mirafiori dico di avere fiducia nel futuro e in loro stessi. Niente altro". LO SPECIALE SUL REFERENDUM A MIRAFIORI 3 Il 'no' della Fiom. La Fiom Cgil, unico fra i sindacati, non ha firmato contestando le norme sui permessi malattia e l'abolizione delle pause nel testo firmato da Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Fiat. Vendola: "Governo sceso in campo invece di fare da arbitro". La vigilia del voto a Torino è stata carica di eventi fra i dibattiti organizzati dai sindacati per il sì e le iniziative del no. Ieri la fiaccolata organizzata dal sindacato è culminata in piazza Castello con migliaia di partecipanti. In mattinata ai cancelli di Mirafiori era arrivato anche Nichi Vendola 4, leader di Sel, apertamente dalla parte della Fiom a differenza dei leader del Partito democratico. Per il governatore della Puglia che poi ha tenuto una conferenza stampa assieme a Maurizio Landini, segretario nazionale della Fiom, "bisognerebbe denunciare Silvio Berlusconi per alto tradimento" perché "il governo dovrebbe essere arbitro nel gioco degli interessi sociali contrapposti e invece "è sceso in campo senza indossare l'abito dell'arbitro". (13 gennaio 2011)
2011-01-12 FIAT Bersani e Camusso contro Berlusconi "E' una vergogna, danneggia l'Italia" Dura replica della Cgil e dei partiti d'opposizione al premier. Secono lui, nel caso in cui vinca il no a Mirafiori, "le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri Paesi" Bersani e Camusso contro Berlusconi "E' una vergogna, danneggia l'Italia" Berlusconi in visita ufficiale in Germania ROMA - "Il presidente del Consiglio sta facendo una gara con l'amministratore delegato della Fiat tra chi fa più danno al nostro Paese": replica il segretario della Cgil Susanna Camusso (audio) 1 al premier Berlusconi, che, dalla Germania (dove si trova in visita ufficiale) ha affermato che, in mancanza di "esito positivo" del referendum di Mirafiori, "le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri paesi". Durissima anche la reazione del segretario del Pd Pierluigi Bersani: "E' una vergogna incredibile. Lui non se ne accorge perché è miliardario, ma noi paghiamo al premier uno stipendio, anche se a lui sembrerà misero, per occuparsi dell'Italia e per fare gli interessi dell'Italia. Non per fare andare via le aziende. E' una vergogna incredibile sentirgli dire queste cose". BERLUSCONI: VIDEO E AUDIO 2 Se il premier la pensa così, farebbe bene ad andarsene, aggiunge Camusso: "Mi piacerebbe che il mondo delle imprese e della politica oggi dicesse che, se questa è la sua idea del Paese, è meglio che se ne vada. Non conosco nessun presidente del consiglio di nessun altro paese che dice questo, che il più grande gruppo industriale di quel paese farebbe bene ad andarsene. Non conosco un presidente del consiglio di nessun altro paese che non pensi e non sappia che prima di tutto viene il lavoro del suo paese". LO SPECIALE SUL REFERENDUM A MIRAFIORI 3 "E' la logica di Bersani che fa andar via le aziende: quando la sinistra italiana parla di sindacato segue schemi vecchi di trent'anni e ormai superati in tutta Europa", replica Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e portavoce del presidente del premier Silvio Berlusconi. Secondo il governatore della Puglia, Nichi Vendola, che ha visitato lo stabilimento di Mirafiori e ha successivamente tenuto una conferenza stampa, "bisognerebbe denunciare per alto tradimento il presidente Berlusconi. E non è una battuta". Per l'Idv "Berlusconi è un irresponsabile ed oggi, sulla vicenda Fiat, ha gettato definitivamente la maschera. Cosi si capisce chi lavora per il bene del Paese e chi invece opera contro la legalità costituzionale, l'interesse dei cittadini e dei lavoratori. Un Presidente del Consiglio, che è stato latitante nella vicenda Fiat, non può permettersi il lusso di affermare che un'impresa debba abbandonare l'Italia, senza ricordare che la Fiat, per tantissimi anni, ha preso contributi statali frutto dell'enorme sacrifico degli italiani ed ha fruito di una legislazione di favore": scrive in una nota il portavoce del partito, Leoluca Orlando. (12 gennaio 2011)
Fiat aspetta il voto tra lacrime ed assemblee di Rinaldo Gianola | tutti gli articoli dell'autore Volantinaggio Mirafiori Gli autobus si fermano davanti alla porta 2 di Mirafiori, gli operai scendono e si avviano velocemente verso i cancelli per iniziare il secondo turno. Pochi hanno voglia di parlare. Ci sono televisioni, giornalisti, delegati e sindacalisti. "Ci siete tutti, mancano solo gli osservatori dell’Onu, poi tra qualche giornonon ci sarà più nessuno e saremo di nuovi soli…", osservaamaramente Antonio, quarantenne, uno dei più giovani qui dentro. Sul piazzale i sostenitori del sì e il comitato del no si scambiano qualche insulto mentre distribuiscono i volantini. Volano spintoni, accuse, poi torna la calma. Sono momenti difficili, anche drammatici. Di lato, quasi a cercare rifugio, un vecchio operaio si asciuga le lacrime con un fazzoletto a quadrotti. Ha il volto scavato, un berrettino calcato sulla testa e la tristezza infinita di una umanità sofferente che ne ha viste di tutti i colori in fabbrica e ancora non ha finito di subire ricatti, offese dal potente di turno. "Mi chiamo Agostino Antonio, sono pensionato, ho 73 anni. Sono venuto per solidarietà con gli operai, ogni tanto torno qui a incontrare i lavoratori, a scambiare due parole. Ma ora li vedo litigare e mi viene una tristezza… che brutto vedere i sindacati divisi". Vuoi continuare a leggere questo articolo? CLICCA QUI
LA CRONACA DELLA GIORNATA DI IERI Al referendum Mirafiori del 13 e 14 gennaio chi perde accetti la sconfitta. L'amministratore delegato della Fiat e Chrysler Sergio Marchionne conta di incassare il sì all'accordo (d'altronde ha avvertito che in caso di no trasferisce la fabbrica in Canada) e dichiara: "In qualsiasi società civile quando la maggioranza esprime un'opinione, la minoranza ha perso, anche con il 51%. Se vince il sì venerdì, ha il vinto il sì e il discorso è chiuso, non possiamo fare le votazioni 50mila volte, nessuno vuole perdere, ma quando ha perso ha perso. Quando si perde si perde, io ho perso tantissime volte in vita mia, sono stato zitto e sono andato avanti, non ho reclamato". Nel frattempo Bersani ribadisce che il Pd rispetterà l'esito del referendum, mentre Matteo Orfini, responsabile cultura del Democratici, chiede al partito una posizione più severa verso Marchionne. Landini alla Cgil: bisogna far saltare l'accordo Il leader della Fiom Maurizio Landini, a margine della seconda assemblea delle Camere del lavoro della Cgil a Chianciano Terme, nel tardo pomeriggio di oggi fa appello alla Cgil: "La Cgil capisca che siamo di fronte non a un brutto accordo o all'ennesimo accordo separato. Siamo di fronte a un cambio epocale e servono risposte straordinarie. Bisogna far saltare l'accordo e renderlo non applicabile. In termini sindacali bisogna far riaprire la trattativa e considerare la vertenza ancora aperta". Durante della Fiom: firmare ''L'unico modo per restare nelle fabbriche e smontare il meccanismo infernale che esclude la Fiom e' firmare l'accordo senza girarci attorno''. Così la pensa il leader della minoranza della Fiom (che fa riferimento alla maggioranza della Cgil), Fausto Durante. ''Spero che dopo il risultato del referendum nella Fiom si apra la discussione, perche' non possiamo lasciare i lavoratori di quelle fabbriche senza rappresentanti''. Bersani: rispetto voto, chiarezza investimenti Stamattina la segretaria del Partito democratica ha discusso proprio del caso Mirafiori. Dove Bersani ha ribadito le posizioni espresse nel confronto con la Fiom: rispetto del voto dei lavoratori al referendum, chiarezza sugli investimenti Fiat e modifica delle regole per la rappresentanza dei lavoratori. "C'e' una nostra proposta alle Camere, cominciamo da l^", spiega il leader democratico ai cronisti. Il Pd, inoltre, presentera' in Parlamento un atto di indirizzo per incalzare il governo a discutere di politica industriale in aula. Orfini del Pd: più severi con Marchionne Su Mirafiori, riferiscono agenzie di stampa, il responsabile Cultura del partito Matteo Orfini condivide la linea Bersani-Fassina, ma invita il Pd ad essere più netto e servero verso l'ad Fiat. "Siamo apparsi troppo critici con la Fiom, e troppo poco rispetto a un manager che sta travolgendo le relazioni industriali, prospettando una riduzione dei diritti in cambio di occupazione. E' inaccettabile. Auspico in direzione un giudizio piu' esplicito di rifiuto dell'atteggiamento di Marchionne". D'Antoni: voterei sì, non ci sarà effetto 'cascata' Tutta un'altra idea manifesta Sergio D'Antoni. L'ex segretario Cisl difende l'accordo. "Voterei si' al referendum anche perche' credo che non ci sia nessun pericolo di un effetto cascata su altri settori industriali". La riprova, osserva, e' data da contratti come quello Carrefour e del tessile. "Altro che Fiat - sottolinea D'Antoni - quei contratti sono molto peggio, eppure li ha firmati anche la Cgil. Ma siccome non si tratta della Fiat non fanno notizia". Per D'Antoni, Fiom non puo' respingere l'intesa di Mirafiori perché si tratterebbe di un ricatto: "Quando c'e' un referendum tutto diventa un ricatto perché ci si pronuncia con un si' o con un no". Comunque vada, per il capogruppo Pd alla commissione Attivita' produttive della Camera Marchionne deve incontrare il Parlamento o suoi delegati: "È inammissibile che il Parlamento sia tenuto fuori dalla vicenda Fiat che riguarda migliaia di famiglie e il futuro della politica industriale italiana. Per questo abbiamo ribadito alla presidenza della commissione Attivita' produttive della Camera la richiesta di ascoltare Marchionne. Vogliamo sapere quali sono le prospettive future dell'azienda". 12 gennaio 2011
Bersani: voto va rispettato. Renzi con Marchionne IMG Un referendum drammatico, ma che andrà rispettato. È questa l'opinione di Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, intervistato al Tg3, che però critica Marchionne per le sue parole e accusa il governo di aver lasciato soli lavoratori e sindacati. "Marchionne sa misurare le auto ma non le parole" ma il problema è anche che "il governo è scomparso nella nebbia" lasciando soli i lavoratori e i sindacati dice il segretario Pd. "C'è una discussione nel Pd ma la nostra posizione è molto chiara - assicura il segretario - quel referendum, impegnativo, difficile, anche drammatico, andrà rispettato. Il problema è che lavoratori e sindacati sono stati lasciati totalmente soli, il governo è andato nella nebbia. Servono nuove regole di partecipazione perché i contratti siano esigibili ma anche chi dissente ha diritto alla rappresentanza". Quanto all'ad della Fiat Bersani aggiunge: "Marchionne saprà prendere le misure alle auto ma alle parole no, quei venti miliardi per cosa li vuole spendere e che fine ha fatto la ricerca? Nessuno glielo chiede". Il rischio da evitare è che "tutta questa competizione e la globalizzazione non ricaschi solo su chi è alla catena di montaggio", conclude. GOVERNO NON VIVE Poi Bersani passa alla politica e all'attività dell'esecutivo: "Il governo può solo sopravvivere, non può vivere. Per due anni hanno messo 38 voti fiducia con 70 voti di maggioranza. Al prossimo voto di fiducia cosa succederà? Non si può andare avanti con questa respirazione artificiale", insiste il segretario Pd. CASINI LA SMETTA CON I VETI Deluso da Casini? "Non possiamo andare avanti misurando la pressione al governo tutti giorni. Il Pd lavora a un progetto per l'Italia su democrazia, crescita e lavoro, lo vogliamo presentare a tutte le forze di opposizione e poi ciascuno si prenderà le sue responsabilità, alla fine tireremo le somme. Si può anche pensare ad un altro decennio berlusconiano, magari con Berlusconi al Quirinale, noi pensiamo si debba andare oltre, non si può andare avanti con questi traccheggiamenti". Bersani risponde duramente al leader Udc, Pier Ferdinando Casini che al suo appello ad un patto repubblicano ha risposto aprendo uno spiraglio alla collaborazione 'responsabile' con il governo e ha imposto al Pd di scegliere tra il terzo polo oppure Vendola e Di Pietro. LE NOSTRE PROPOSTE "Saranno loro che dovranno scegliere - ribatte Bersani - noi discuteremo di cose concerete, nei prossimi giorni si vedrà chiaramente cosa abbiamo in testa. Sceglieranno loro se continuare con i veti reciproci, con cui ci teniamo Berlusconi o se ci sono altre ipotesi, ma con questi traccheggiamenti non si governano i problemi del paese". RENZI: IO STO CON MARCHIONNE Sulla vicenda Fiat interviene anche il sindaco di Firenze Renzi che senza giri di parole chiarisce la sua opinione: "Io sono dalla parte di Marchionne. Dalla parte di chi sta investendo nelle aziende quando le aziende chiudono. Dalla parte di chi prova a mettere quattrini per agganciare anche Mirafiori alla locomotiva America". Lo lo ha detto intrevistato dal TGLA7. "Andro' alla Direzione di giovedì - ha detto ancora Renzi parlando della situazione interna al Pd - ma spero che Bersani non chiacchieri di aria fritta ma dei problemi degli italiani. Non chiacchieri dell'inciucio con Fini ma del futuro del Pd. Il Pd è credibile se smette di inseguire i falsi problemi. Provi concretamente a dire 'ok, Berlusconi ha fallito' ma dicendo agli italiani quali sono le nostre soluzioni per ripartire". 11 gennaio 2011
FIAT Bersani e Camusso contro Berlusconi "E' una vergogna, danneggia l'Italia" Dura replica della Cgil e dei partiti d'opposizione al premier, che oggi ha affermato che, nel caso in cui vinca il no a Mirafiori per il piano Marchionne, "le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri Paesi" Bersani e Camusso contro Berlusconi "E' una vergogna, danneggia l'Italia" Berlusconi in visita ufficiale in Germania ROMA - "Il presidente del Consiglio sta facendo una gara con l'amministratore delegato della Fiat tra chi fa più danno al nostro Paese": è la replica del segretario della Cgil Susanna Camusso al premier Berlusconi, che, dalla Germania (dove si trova in visita ufficiale) ha affermato che, in mancanza di "esito positivo" del referendum di Mirafiori, "le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri paesi". Durissima anche la replica del segretario del Pd Pierluigi Bersani a Berlusconi: "E' una vergogna incredibile. Lui non se ne accorge perché è miliardario, ma noi paghiamo al premier uno stipendio, anche se a lui sembrerà misero, per occuparsi dell'Italia e per fare gli interessi dell'Italia. Non per fare andare via le aziende. E' una vergogna incredibile sentirgli dire queste cose". Se il premier la pensa così, farebbe bene ad andarsene, aggiunge Camusso: "Mi piacerebbe che il mondo delle imprese e della politica oggi dicesse che, se questa è la sua idea del Paese, è meglio che se ne vada. Non conosco nessun presidente del consiglio di nessun altro paese che dice questo, che il più grande gruppo industriale di quel paese farebbe bene ad andarsene. Non conosco un presidente del consiglio di nessun altro paese che non pensi e non sappia che prima di tutto viene il lavoro del suo paese". Secondo il governatore della Puglia, Nichi Vendola, che oggi ha visitato lo stabilimento di Mirafiori e ha successivamente tenuto una conferenza stampa, "bisognerebbe denunciare per alto tradimento il presidente Berlusconi. E non è una battuta". Per l'Idv "Berlusconi è un irresponsabile ed oggi, sulla vicenda Fiat, ha gettato definitivamente la maschera. Cosi si capisce chi lavora per il bene del Paese e chi invece opera contro la legalità costituzionale, l'interesse dei cittadini e dei lavoratori. Un Presidente del Consiglio, che è stato latitante nella vicenda Fiat, non può permettersi il lusso di affermare che un'impresa debba abbandonare l'Italia, senza ricordare che la Fiat, per tantissimi anni, ha preso contributi statali frutto dell'enorme sacrifico degli italiani ed ha fruito di una legislazione di favore": lo scrive in una nota il portavoce del partito, Leoluca Orlando. (12 gennaio 2011)
TORINO Mirafiori, Fiom accusa l'azienda "Pressioni sugli operai per votare sì" Confermate le date del referendum, ma si riaccende la polemica. La Fiat ferma la produzione e convoca i lavoratori a gruppi per spiegare l'accordo e sollecitare il voto favorevole. Il sindacato delle tute blu Cgil protesta. "Mistero" sul testo finale dell'intesa. Le assemblee informative di Fim, Uilm, Fismic e Ugl si terranno fuori dalla fabbrica e dell'orario di lavoro / Tensione per Vendola- Foto 1 Mirafiori, Fiom accusa l'azienda "Pressioni sugli operai per votare sì" La propaganda dei Cobas per il no al referendum davanti ai cancelli * Scontro tra Camusso e Marchionne Bersani e Bonanni: "L'ad misuri le parole" articolo Scontro tra Camusso e Marchionne Bersani e Bonanni: "L'ad misuri le parole" * Marchionne: Fiat è al 25% di Chrysler "Se a Mirafiori vince il no andiamo in Canada" articolo Marchionne: Fiat è al 25% di Chrysler "Se a Mirafiori vince il no andiamo in Canada" * Riparte Mirafiori, Fiom: "Possiamo vincere" Il Pd: "Rispettare l'esito del referendum" articolo Riparte Mirafiori, Fiom: "Possiamo vincere" Il Pd: "Rispettare l'esito del referendum" * Camusso tenta il blitz su Landini "Non è una vertenza solo vostra" articolo Camusso tenta il blitz su Landini "Non è una vertenza solo vostra" * Cgil e Fiom non rompono su Fiat Camusso: "Sostegno allo sciopero" articolo Cgil e Fiom non rompono su Fiat Camusso: "Sostegno allo sciopero" * Mirafiori, si vota il 13 e il 14 gennaio I favorevoli all'intesa: "Avremo l'80%" articolo Mirafiori, si vota il 13 e il 14 gennaio I favorevoli all'intesa: "Avremo l'80%" * Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo" articolo Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo" * Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" articolo Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" * "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom articolo "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom TORINO - La Commissione elettorale, composta di soli lavoratori indicati dalle sei diverse sigle sindacali presenti in fabbrica, ha confermato ufficialmente che il referendum sull'accordo a Mirafiori si terrà domani e venerdì. La decisione supera le divisioni nate ieri davanti alla proposta di Fim e Ugl di far slittare il voto perché troppo vicino alle assemblee della Fiom, confermate per domani. Oggi Fim precisa che l'ipotesi di rinvio era stata avanzata solo per gli stretti tempi di predisposizione del voto. Assemblee con i capi Fiat - L'ennesima giornata calda di vigilia è stata accesa dalla notizia che la Fiat aveva deciso di tenere assemblee nei reparti per spiegare a sua volta, tramite i capireparto, l'accordo del 23 dicembre, non firmato da Fiom e Cobas, e per chiedere agli operai di votare sì. L'azienda ha spiegato di aver diritto a tenere le assemblee in quanto parte firmataria dell'intesa, ma le polemiche sono scoppiate immediatamente. La polemica - "Da questa mattina - ha detto Giorgio Airaudo, responsabile Fiom auto - alle Carrozzerie di Mirafiori si sta verificando un fenomeno singolarissimo. La produzione viene fermata dall'azienda e gruppi di lavoratori vengono riuniti dalla gerarchia aziendale che spiega loro, a modo suo, i contenuti dell'accordo separato del 23 dicembre. In pratica, la Fiat sta facendo le sue assemblee". A margine dell'illustrazione dell'accordo, dice ancora Airaudo, "ci sarebbe chi si informa su come i lavoratori intendano esprimersi in occasione del referendum". Se questo fosse vero - sottolinea Airaudo - significherebbe che in Fiat il referendum non sarebbe più una consultazione che già consideriamo illegittima, ma una palese violazione dei più elementari principi di libertà e democrazia e sarebbe un'azione antisindacale". "Nel silenzio dei sindacati firmatari - accusa Airaudo - l'Azienda ha assunto non solo la guida diretta del fronte del sì, ma addirittura l'iniziativa di sostituirsi ai sindacati stessi. A questo fatto, già clamoroso, se ne aggiunge un altro gravissimo. I capi dicono ai lavoratori delle Carrozzerie che il testo dell'accordo, che è stato distribuito ai lavoratori solo dalla Fiom, l'unica sigla che non l'ha sottoscritto, non sarebbe l'ultima versione dell'accordo stesso. Questa è una bugia evidentemente diffusa a scopi propagandistici: se quel che i capi stanno dicendo fosse vero, in quale luogo segreto l'accordo sarebbe stato modificato? E i sindacati firmatari ne sono stati informati? E soprattutto: su che cosa veramente si voterà nel referendum?". Firmatari, assemblee "esterne" - Il livello della tensione che si respira in fabbrica è testimoniato dalla decisione dei sindacati firmatari dell'intesa - Fim, Uilm, Fismic e Ugl - di tenere domani le proprie assemblee informative al di fuori della fabbrica e dell'orario di lavoro. La decisione è infatti motivata, in una nota congiunta, "stante il clima di non possibile svolgimento democratico delle assemblee retribuite per svolgere un confronto e un dibattito che aiuti i lavoratori stessi a capire l'accordo e a confrontarsi". Le assemblee sono convocate dalle 10 alle 12 e dalle 14 alle 16 nei locali della parrocchia del Redentore, poco distante dallo stabilimento. Al voto in 5.431 - Tornando al referendum, il voto si terrà a partire dal turno di notte di domani, quindi verso le 22, e proseguirà con il turno del mattino di venerdì e quello successivo del pomeriggio. I lavoratori di questo turno, che inizia a metà giornata, avranno a disposizione 2-3 ore per votare, poi alle 19,30 le urne si chiuderanno e si comincerà alla vidimazione delle schede, si stenderanno i verbali e solo successivamente si procederà al conteggio dei voti. L'intero procedimento dovrebbe concludersi entro la serata e i risultati dovrebbero arrivare non prima delle 23. I votanti sulla carta sono 5.431, 453 dei quali impiegati. L'età media si aggira intorno ai 47 anni, mentre l'anzianità aziendale media supera i vent'anni. Marchionne a Ft - Intanto, in un'intervista all'edizione online del Financial Time, Sergio Marchionne ha ribadito che "Fiat non intende andare da nessuna parte" e che "solo se l'Italia non volesse Fiat, se sarà necessario l'azienda andrà altrove con la produzione del Suv prevista a Mirafiori. Sul referendum in fabbrica, l'Ad si dice fiducioso: "Spero che la maggioranza delle persone comprenda le ragioni" dell'accordo. Confindustria - Quanto a Confindustria, la presidente Emma Marcegaglia ha ribadito di essere dalla parte di Marchionne: "La Fiat vuole fare degli investimenti - ha detto - e per questo chiede la governabilità delle fabbriche, non c'è alcuna lesione dei diritti". Il presidente di Confindustria Friuli, Adriano Luci, ha aggiunto che "il modello Marchionne, soprattutto se al referendum vincerà il sì, costituirà un punto di riferimento per numerosi imprenditori. Anche perché non si tratta di una flessibilità coniugata con i licenziamenti". Bufera sulle frasi di Berlusconi - Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha polemizzato con il premier Berlusconi per le dichiarazioni di Berlino sulla vicenda Fiat: "Riteniamo positivo lo sviluppo che sta prendendo la vicenda con la possibilità di un accordo tra le forze sindacali e l'azienda", ha detto Berlusconi, aggiungendo che in mancanza di un accordo "le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri paesi". Duro il commento di Camusso: "Non conosco nessun presidente del consiglio che si augura che se ne vada il più grande gruppo industriale dal Paese. Se questa è la sua idea del Paese, è meglio che il premier se ne vada. Sta facendo una gara con l'amministratore delegato della Fiat tra chi fa più danno al nostro Paese". (12 gennaio 2011)
TORINO Mirafiori, Fiom accusa l'azienda "Pressioni sugli operai per votare sì" Confermate le date del referendum, ma si riaccende la polemica. La Fiat ferma la produzione e convoca i lavoratori a gruppi per spiegare l'accordo e sollecitare il voto favorevole. Il sindacato delle tute blu Cgil attacca: si sostituisce ai sindacati firmatari e loro stanno zitti. "Mistero" sul testo finale dell'intesa oggetto della consultazione Mirafiori, Fiom accusa l'azienda "Pressioni sugli operai per votare sì" La propaganda dei Cobas per il no al referendum davanti ai cancelli * Scontro tra Camusso e Marchionne Bersani e Bonanni: "L'ad misuri le parole" articolo Scontro tra Camusso e Marchionne Bersani e Bonanni: "L'ad misuri le parole" * Marchionne: Fiat è al 25% di Chrysler "Se a Mirafiori vince il no andiamo in Canada" articolo Marchionne: Fiat è al 25% di Chrysler "Se a Mirafiori vince il no andiamo in Canada" * Riparte Mirafiori, Fiom: "Possiamo vincere" Il Pd: "Rispettare l'esito del referendum" articolo Riparte Mirafiori, Fiom: "Possiamo vincere" Il Pd: "Rispettare l'esito del referendum" * Camusso tenta il blitz su Landini "Non è una vertenza solo vostra" articolo Camusso tenta il blitz su Landini "Non è una vertenza solo vostra" * Cgil e Fiom non rompono su Fiat Camusso: "Sostegno allo sciopero" articolo Cgil e Fiom non rompono su Fiat Camusso: "Sostegno allo sciopero" * Mirafiori, si vota il 13 e il 14 gennaio I favorevoli all'intesa: "Avremo l'80%" articolo Mirafiori, si vota il 13 e il 14 gennaio I favorevoli all'intesa: "Avremo l'80%" * Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo" articolo Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo" * Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" articolo Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" * "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom articolo "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom TORINO - La Commissione elettorale, composta di soli lavoratori indicati dalle sei diverse sigle sindacali presenti in fabbrica, ha confermato ufficialmente che il referendum sull'accordo a Mirafiori si terrà domani e venerdì. La decisione supera le divisioni nate ieri davanti alla proposta di Fim e Ugl di far slittare il voto perché troppo vicino alle assemblee della Fiom, confermate per domani. Oggi Fim precisa che l'ipotesi di rinvio era stata avanzata solo per gli stretti tempi di predisposizione del voto. Quella che si annuncia come l'ennesima giornata calda di vigilia è stata accesa presto dalla notizia che anche la Fiat aveva deciso di tenere assemblee nei reparti per spiegare a sua volta, tramite i capireparto, l'accordo del 23 dicembre, non firmato da Fiom e Cobas, e per chiedere agli operai di votare sì. L'azienda ha spiegato di aver diritto a tenere le assemblee in quanto parte firmataria dell'intesa, ma le polemiche sono scoppiate immediatamente. "Da questa mattina - ha detto Giorgio Airaudo, responsabile Fiom auto - alle Carrozzerie di Mirafiori si sta verificando un fenomeno singolarissimo. La produzione viene fermata dall'Azienda e gruppi di lavoratori vengono riuniti dalla gerarchia aziendale che spiega loro, a modo suo, i contenuti dell'accordo separato del 23 dicembre. In pratica, la Fiat sta facendo le sue assemblee". A margine dell'illustrazione dell'accordo, dice ancora Airaudo, "ci sarebbe chi si informa su come i lavoratori intendano esprimersi in occasione del referendum". Se questo fosse vero - sottolinea Airaudo- significherebbe che in Fiat il referendum non sarebbe più una consultazione che già consideriamo illegittima, ma una palese violazione dei più elementari principi di libertà e democrazia e sarebbe un'azione antisindacale". "Nel silenzio dei sindacati firmatari - accusa Airaudo - l'Azienda ha assunto non solo la guida diretta del fronte del sì, ma addirittura l'iniziativa di sostituirsi ai sindacati stessi. A questo fatto, già clamoroso, se ne aggiunge un altro gravissimo. I capi dicono ai lavoratori delle Carrozzerie che il testo dell'accordo, che è stato distribuito ai lavoratori solo dalla Fiom, l'unica sigla che non l'ha sottoscritto, non sarebbe l'ultima versione dell'accordo stesso. Questa è una bugia evidentemente diffusa a scopi propagandistici: se quel che i capi stanno dicendo fosse vero, in quale luogo segreto l'accordo sarebbe stato modificato? E i sindacati firmatari ne sono stati informati? E soprattutto: su che cosa veramente si voterà nel referendum del 13 e 14 gennaio?". Tornando al referendum, il voto si terrà a partire dal turno di notte di domani, quindi verso le 22, e proseguirà con il turno del mattino di venerdì e quello successivo del pomeriggio. I lavoratori di questo turno, che inizia a metà giornata, avranno a disposizione 2-3 ore per votare, poi le urne si chiuderanno e si comincerà alla vidimazione delle schede, si stenderanno i verbali e solo successivamente si procederà al conteggio dei voti. L'intero procedimento dovrebbe concludersi entro la serata. (12 gennaio 2011)
Referendum, date confermate nuova polemica tra Fiom e Fiat I capireparto chiedono ai dipendenti di votare. Polemica della Fiom: "L'azienda si sostituisce ai sindacati del sì" di PAOLO GRISERI
La Commissione Elettorale, composta di soli lavoratori indicati dalle diverse sigle sindacali, ha confermato ufficialmente che il referendum sull'accordo a Mirafiori si terrà domani e dopodoman. Intanto è polemica tra Fiat e Fiom. Da questa mattina i capireparto della Fiat Mirafiori stanno chiedendo infatti ai loro dipendenti di votare sì nel referendum che si svolgerà in fabbrica. "L'azienda, come firmataria dell'accordo, sta illustrando la sua posizione ai lavoratori" replica un portavoce del Lingotto. I sindacati firmatari dell'intesa avevano rinunciato nei giorni scorsi a svolgere le assemblee per spiegare alle tute blu le loro ragioni. "E' un evidente caso di subappalto sindacale", attacca Giorgio Airaudo, responsabile nazionale auto della Fiom. I metalmeccanici della Cgil terranno le loro assemblee informative a partire da questa sera. Secondo le informazioni fornite dalla Fiom, in alcuni reparti i capisquadra chiederebbero esplicitamente ai singoli lavoratori come voteranno nel referendum di venerdì, circostanza questa smentita da Fiat. "I capi - rincara Airaudo - dicono ai lavoratori delle Carrozzerie che il testo dell'accordo, che è stato distribuito ai lavoratori solo dalla Fiom, ovvero dal sindacato che non lo ha sottoscritto, non sarebbe l'ultima versione dell'accordo stesso. Questa è una patente bugia che, evidentemente, viene diffusa a scopi puramente propagandistici. Le cose non stanno come dice la Fiat, ma se quel che i capi stanno dicendo fosse vero, in quale luogo segreto l'accordo sarebbe stato modificato? E ancora: i sindacati firmatari ne sono stati informati? E soprattutto: su che cosa veramente si voterà nel referendum del 13 e 14 gennaio?". Alla Fiom replica la Fismic: "Mi sembra che in un paese civile abbia molto più diritto la Fiat ad illustrare l'accordo che ha promosso e firmato che la Fiom a dire bugie su un'intesa che non ha siglato". Così il segretario generale della Fismic Roberto Di Maulo. "Se fosse veramente incostituzionale - aggiunge - continuiamo a chiederci perché nessuno della Fiom ha impugnato presso il Tribunale di Nola dal 15 giugno ad oggi l'accordo di Pomigliano. Se fosse stato davvero illegittimo -conclude Di Maulo- i ricorsi sarebbero stati centinaia". (12 gennaio 2011)
Referendum, duello sulla data resta ancora l'ombra del rinvio La commissione elettorale si divide, Fim e Ugl per il rinvio di alcuni giorni. Poi, dopo un pomeriggio di consultazioni, Farina (Fim) conferma la data di giovedì e venerdì: "Volevamo un rinvio poi ci abbiamo ripensato". Così l'Ugl. Cremaschi: che sceneggiata, referendum indetto dalla Fiat. di PAOLO GRISERI e STEFANO PAROLA
Colpo di scena durante la riunione della commissione elettorale per il referendum di Mirafiori: mentre i rappresentanti di Fismic e Uilm sono d'accordo a svolgere la consultazione il 13 e 14 come concordato, Fim e Ugl si astengono perchè "non ci sarebbero ancora le condizioni tecniche per chiamare al voto gli operai". Uno dei timori più forti è che le urne si aprirebbero troppo a ridosso delle assemblee organizzate dalla Fiom. Fim e Ugl temono che questo particolare possa condizionare il voto delle tute blu. Dalla riunione di questa mattina si era usciti con un sostanziale stallo: a favore del voto nel fine settimana si sono espressi Fismic e Uilm (che hanno due rappresentanti a testa, come gli altri sindacati) per il rinvio hanno votato i due rappresentanti dei Cobas mentre tutti gli altri (Fim, Ugl e Fiom, che partecipa come osservatore) si sono astenuti. Nel pomeriggio, dopo un giro di consultazioni, la Fim ha deciso di tornare sui suoi passi."C'è stato uno scambio di idee per valutare l'ipotesi di un breve rinvio, spostando la data a lunedì o martedì. Una valutazione fatta anche su richiesta dei nostri rappresentanti - spiega il segretario generale Giuseppe Farina - poi è stata confermata la data inizialmente prevista". Di rinforzo il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni: si vota domani e dopodomani. Anche l'Ugl corre ai ripari con una nota ufficiale, confermando in serata la data della consultazione. Tuttavia il numero uno provinciale delle tute blu della Cisl non chiude la porta alla possibilità di un rinvio: "La commissione tornerà a riunirsi per decidere definitivamente. So come si sta lavorando e c'è bisogno di fare ancora una verifica su tutto il materiale tecnico-organizzativo. Domani si riunirà e stabilirà la data in modo definitivo". E il presidente del Comitato centrale della Fiom, Giorgio Cremaschi, chiude lapidario: "Questa scenaggiata dimostra che il referendum è indetto dalla Fiat, non dai sindacati, che si limitano a obbedire". (11 gennaio 2011)
IL SONDAGGIO Appello del popolo Cgil alla Fiom "Non restate fuori dalla fabbrica" Il mini-sondaggio di Repubblica condotto fra i rappresentanti territoriali della Cgil conferma: il sindacato e la Fiom sono separati in casa, capaci di discutere e dividersi pubblicamente coem ormai non sa fare più nessun'altra organizzazione. Il referendum di Mirafiori lascerà dunque le sue scorie. Eppure nelle divisioni c'è un tema che non intacca l'unità: non si possono scambiare i diritti con il lavoro di ROBERTO MANIA Appello del popolo Cgil alla Fiom "Non restate fuori dalla fabbrica" Il segretario della Cgil Susanna Camusso CHIANCIANO - Due sindacati, separati in casa: la Cgil e la Fiom. Capaci di discutere e dividersi pubblicamente come ormai non sa fare più nessun'altra organizzazione. Il mini-sondaggio di Repubblica condotto tra i rappresentanti territoriali della Cgil, che sono poi la spina dorsale della confederazione, conferma anche questo. Il referendum alla newco Fiat-Chrysler di Mirafiori lascerà dovunque le sue scorie. Nella Cgil lascerà una spaccatura radicale sul cosa fare dopo il voto dei cinquemila delle Carrozzerie. La linea 1 del segretario generale Susanna Camusso (se vincono i sì bisogna trovare un modo perché i delegati della Fiom siano presenti in fabbrica) è largamente prevalente, perché - dicono - non ci si può affidare solo ai tribunali. Ma non è sufficiente a piegare la Fiom di Maurizio Landini che non ha firmato né lo farà mai, e che trova sponde in alcune Camere del lavoro (Brescia e Reggio Emilia, per esempio), in settori del pubblico impiego ma non nelle altre categorie dell'industria. Eppure nelle divisioni c'è un tema che non intacca minimamente l'unità della Cgil: non si possono scambiare i diritti con il lavoro. Ritorna così, con la globalizzazione che entra per la prima volta nelle relazioni industriali italiane, il "sindacato dei diritti" pensato da Bruno Trentin negli anni Novanta. LO SPECIALE REFERENDUM 2 Le domande 1. Se dovesse vincere il sì, la Fiom dovrebbe firmare l'accordo? 2. In una fase di crisi per l'occupazione, si possono scambiare i diritti per il lavoro? 3. Si possono tutelare i lavoratori anche senza avere i propri rappresentanti all'interno della fabbrica? Graziano Gorla, 49 anni, segretario della Camera del Lavoro di Milano 1) "Se dovessero vincere i sì, la prima questione da affrontare è come evitare che i nostri iscritti abbiano la sensazione e la prospettiva che non c'è più il loro sindacato nel posto di lavoro. Dobbiamo assolutamente aprire una discussione al nostro interno prendendo atto del risultato del voto". 2) "Non c'è scambio possibile tra diritti e lavoro. O, almeno, non è possibile lo scambio che vuole Marchionne. Una cosa è intervenire sull'organizzazione del lavoro, altra è incidere sul diritto di sciopero o sulla malattia dei lavoratori". 3) "Vedo difficile svolgere l'attività sindacale fuori dalla fabbrica. E' il problema che abbiamo davanti perché non si risolvere tutto sul terreno della battaglia legale". Teresa Potenza, 45 anni, segretario generale della Camera del Lavoro di Napoli 1)"Noi abbiamo tutte le perplessità della Fiom sugli accordi per gli stabilimenti di Pomigliano e di Mirafiori. Ma se nel referendum dovessero vincere i sì bisogna firmare perché i nostri delegati non possono restare fuori dalle fabbriche". 2) "Non è possibile scambiare diritti per posti di lavoro. Si possono toccare le prestazioni di lavoro, non i diritti previsti dalla Costituzione". 3) "Mi pare davvero molto difficile pensare di difendere i lavoratori stando fuori dai luoghi di lavoro. Ma come si può pensare di tutelare gli operai quando sorge un problema sulla catena di montaggio? Le cause giudiziarie sono lunghe. Siamo in Italia...".
Manuele Marigolli, 54 anni, segretario generale della Camera del Lavoro di Prato 1) "Se vincono i sì si deve firmare l'accordo". 2) "I diritti inalienabili, come quello di sciopero, non si toccano. Dopodiché in taluni casi si possono fare arretramenti tattici. Gli scambi si fanno e si possono fare all'interno dell'organizzazione del lavoro". 3) "No, non si può fare il sindacalista solo stando fuori dai luoghi di lavoro. Si rinuncia al proprio mestiere. Non ci si può affidare solo ai magistrati. Quando un lavoratore ti sottopone un problema, che fai? Gli dici: aspetta il giudice? Non possiamo lasciare la nostra rappresentanza a Marchionne e a Cisl e Uil. Se prevarrà il sì saremo sconfitti ma non possiamo fare tutti harakiri". Mariella Maggio, 54 anni, segretario generale della Cgil Sicilia 1) "Se prevale il sì al referendum, certo non possiamo pensare di lasciare i lavoratori soli. Bisogna ricercare una soluzione perché il primo compito di un sindacalista è quello di stare con i lavoratori". 2) "E' assolutamente impossibile scambiare i diritti con il lavoro. Questa sarebbe una strada pericolosa che verrebbe presto seguita anche da altre imprese". 3) "Se resti fuori in una fase come questa è più difficile poter recuperare nei rapporti con l'azienda. Non si può restare fuori e assistere agli effetti della globalizzazione. Bisogna stare dentro questo processo e stare dentro le fabbriche. E' una sorta di "nuova resistenza"". Donata Canta, 54 anni, segretario generale della Camera del Lavoro di Torino 1) "Se vince il sì si pone un problema per la Fiom e per tutta la Cgil: come garantire a quei lavoratori una tutela. Dobbiamo discutere e decidere cosa fare". 2) "Diritti e lavoro non sono scindibili. Non c'è contrapposizione tra l'uno e gli altri: un lavoro è tale se ci sono anche i diritti. O vogliamo tornare alla schiavitù? Quando nei tessili ho contrattato i 21 turni non ho mai messo in discussioni i diritti di chi lavora. C'erano le 31 ore e mezzo pagate 40 con tre giorni di lavoro e due di riposo. Ma i diritti non sono mai stati toccati. E poi c'erano i momenti di verifica tra sindacato e aziende". 3) "La vedo molto difficile. Come si fa a ricostruire i rapporti di forza stando fuori dai processi produttivi?" Damiano Galletti, 54 anni, segretario generale della Camera del Lavoro di Brescia 1) "No, non si deve firmare perché i vincoli previsti dall´accordo non lasciano spazio alla contrattazione e un sindacato che non può contrattare non può nemmeno fare il suo mestiere". 2) "E´ uno scambio che non esiste. A Brescia, proprio la Fiom ha firmato nel 2010 centinaia di accordi di riorganizzazione senza mai mettere a repentaglio i diritti e soprattutto senza mettere in discussione il valore del contratto nazionale". 3) "Con il sindacato fuori, i lavoratori delle newco di Marchionne acquisiscono più forza se sanno che c´è chi si oppone a una strategia che avrà effetti su tutti. Bisogna contrastare quella strategia con il conflitto e con le proposte". (12 gennaio 2011)
Referendum, date confermate tafferugli tra vendoliani e Fismic Confermate le date del referendum. Ma davanti a Mirafiori, dov'è previsto il comizio di Nichi Vendola, tafferugli fra sostenitori dell'esponente Sel e la Fismic. Vendola definisce il referendum "una porcata" di PAOLO GRISERI Referendum, date confermate tafferugli tra vendoliani e Fismic Vendola ai cancelli di Mirafiori Tafferugli davanti alla porta due di Mirafiori prima dell'inizio del comizio di Nichi Vendola. Un gruppo di militanti del Fismic, con lo stesso segretario generale, Roberto Di Maulo, si è presentato con le fotocopie de "Il Giornale" che recano il titolo: "Vendola in Puglia fa come Marchionne". Ne sono seguiti momenti di forte contrapposizione fra i due gruppi, che sono stati divisi a stento dai rispettivi servizi d'ordine. Il comizio non è ancora iniziato, e per ora le due parti sono state divise.
VIDEO Tensione ai cancelli Vendola a Mirafiori
Questa mattina la Commissione Elettorale, composta di lavoratori indicati dalle diverse sigle sindacali, aveva confermato ufficialmente che il referendum sull'accordo a Mirafiori si terrà domani e dopodoman. Ma intanto era cresciuta la polemica tra Fiom e gli altri sindacati per l'intervento dei capireparto Fiat presso i lavoratori per spiegare le ragioni del Si al referendum. "E' un evidente caso di subappalto sindacale", aveva attaccato Giorgio Airaudo, responsabile nazionale auto della Fiom, mentre l'azienda smentiva che i capireparto chiedessero esplicite adesioni per il si. Alla Fiom replicava anche la Fismic: "Mi sembra che in un paese civile abbia molto più diritto la Fiat ad illustrare l'accordo che ha promosso e firmato che la Fiom a dire bugie su un'intesa che non ha siglato". Così il segretario generale Di Maulo.
(12 gennaio 2011) 2011-01-11 MIRAFIORI Referendum, la Cgil conferma il no "Da Marchionne ogni giorno insulti" Il segretario nazionale attacca l'ad del Lingotto e definisce il governo "tifoso". E alla Fiom manda a dire: "Se non stiamo dentro, le fabbriche rischiano di essere 'dipendenti' e si rischia di creare un vuoto". L'ad della Fiat: "Nessun offesa, è il cambiamento" Referendum, la Cgil conferma il no "Da Marchionne ogni giorno insulti" Susanna Camusso * Marchionne: Fiat è al 25% di Chrysler "Se a Mirafiori vince il no andiamo in Canada" articolo Marchionne: Fiat è al 25% di Chrysler "Se a Mirafiori vince il no andiamo in Canada" * Riparte Mirafiori, Fiom: "Possiamo vincere" Il Pd: "Rispettare l'esito del referendum" articolo Riparte Mirafiori, Fiom: "Possiamo vincere" Il Pd: "Rispettare l'esito del referendum" * Camusso tenta il blitz su Landini "Non è una vertenza solo vostra" articolo Camusso tenta il blitz su Landini "Non è una vertenza solo vostra" * Cgil e Fiom non rompono su Fiat Camusso: "Sostegno allo sciopero" articolo Cgil e Fiom non rompono su Fiat Camusso: "Sostegno allo sciopero" * Mirafiori, si vota il 13 e il 14 gennaio I favorevoli all'intesa: "Avremo l'80%" articolo Mirafiori, si vota il 13 e il 14 gennaio I favorevoli all'intesa: "Avremo l'80%" * Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo" articolo Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo" * Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" articolo Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" * "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom articolo "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom CHIANCIANO TERME - "Marchionne insulta ogni giorno il Paese". A pochi giorni dal referendum di Mirafiori il segretario della Cgil sferra un duro affondo contro l'amministratore delegato della Fiat 1. Durante la relazione introduttiva all'assemblea nazionale delle Camere del lavoro, Camusso punta il dito contro la Fiat accusata di non rendere noti i dettagli del piano 'Fabbrica Italia'. Immediata la replica di Marchionne: "Non si può confondere il cambiamento con un insulto all'Italia". La replica - "Se insulto significa introdurre un nuovo modello di lavoro in Italia, mi assumo le mie responsabilità. Ma non lo è. E non si può confondere questo con un insulto all'Italia: anzi, le vogliamo più bene noi - spiega Marchionne - cercando di cambiarla. Il vero affetto è cercare di far crescere le persone e di farle crescere bene. Stiamo cercando di farlo nel nostro mondo, a livello industriale, e ciò non va confuso con un insulto". Marchionne ha risposto anche all'accusa di non aver dato dettagli sul piano industriale: "La signora Camusso vada a guardare il piano industriale della Volkswagen - ha detto Marchionne - , che arriva fino al 2018, e mi spieghi quanti dettagli ci sono. Non c'è una pagina con una riga sugli investimenti. Noi perlomeno lo abbiamo quantificato e abbiamo dato anche uno spazio temporale". ''Qui in America c'è da festeggiare perchè c'è un'industia che si sta riprendendo, che si è rimessa in piedi un pezzo alla volta, si è rimboccata le maniche. Perchè non riusciamo ad accettare la stessa sfida in Italia? - ripete Marchionne 2- Se ci buttano fuori dall'Italia perchè non ci vogliono devo andare in un altro posto a fare la vettura. La cosa è di una chiarezza incredibile". Attacco al governo. Camusso se la prende anche con l'esecutivo: "Se Fiat può tenere nascosto il piano è anche perché c'è un governo che non fa il suo lavoro ma è tifoso e promotore della riduzione dei diritti. E' cosi tifoso che fa finta di non vedere che quando l'ad insulta il nostro paese, non offende solo i cittadini, ma giudica anche della qualità di governare e delle risposte che vengono date". SPECIALE REFERENDUM 3 "Il nostro giudizio sulla Fiat - continua il segretario nazionale - non può che partire dalla debolezza industriale di quella azienda e che continua a dimostrare. A differenza di qualche tempo fa in molti cominciano a interrogarsi sulle ragioni economiche di quel gruppo e sulla distonia tra annunci, quote di mercato perse e l'assenza di modelli presentati nel mercato". Il quesito del referendum. "Sei favorevole all'accordo del 23 dicembre 2010?". Sarà questo il quesito che i circa 5.400 lavoratori delle carrozzerie dello stabilimento Mirafiori della Fiat troveranno nelle schede del referendum. I seggi elettorali - secondo quanto si apprende - saranno nove. No al referendum. Anche per questo, il segretario confederale conferma il sostegno al "no" nel referendum su Mirafiori: "Non ci si può sottrarre dal sostenere le ragioni del no: Rsu Fiat e Fiom sappiano con certezza che hanno il sostegno di tutta la loro organizzazione". Il perchè lo spiega poco dopo: "L'accordo ad escludendum di Mirafiori pone altre domande: la clausola di responsabilità individuale significa una limitazione della libertà di sciopero dei lavoratori e come tale è materia indisponibile alle parti sociali e a qualunque accordo. La Fiat lo nega, ma il fatto che continui a negarlo ci conferma l'idea che forse abbiamo ragione noi. L'accordo ad escludendum non è uguale al primo di Pomigliano, che poneva in modo molto indiretto il tema della presenza della rappresentanza sindacale e della libertà di scelta dei rappresentanti. Questo tema è diventato esplicito a miriafiori e con il contratto di primo livello di pomigliano. C'è una lesione del diritto di parità dei lavoratori nella possibilità di eleggere i propri rappresentanti. Questo è il cuore delle ragioni del nostro no a quell'accordo". Messaggio alla Fiom. Poi, però, Camusso rilancia il suo distinguo dalla Fiom. "Se non restiamo dentro le fabbriche rischiano di essere 'dipendenti' e di creare un vuoto. Su questo dobbiamo continuare a riflettere; la domanda che poniamo alla Fiom è se questa è l'unica conclusione possibile. Noi pensiamo che il tema su cui ci vogliamo interrogare è come il giorno dopo l'esito della consultazione vediamo ed evitiamo le conseguenze di quell'accordo. Per me il cuore della contraddizione sta nei processi produttivi e se non si riparte da lì si resta fuori, non si ricostruiscono le condizioni per ripartire e costruire un'altra storia e altre condizioni di lavoro". Crisi economica. Severo il giudizio sul ministro dell'Economia, Giulio Tremonti: "Ha scoperto nella calza della Befana, scopra che la crisi c'è ancora e che aver difeso solo il sistema bancario rischi di farci avere delle condizioni peggiori e più gravi del 2008". Per il leader della Cgil le energenze sono "l'occupazione e il lavoro". I dati sulla disoccupazione, prosegue Camusso, ci dicono che "siamo di fronte a una cosa che abbiamo temuto e visto verificare, cioè che i costi della crisi pesano sulle spalle dei cittadini. Il governo non ha voluto nè gestire nè contrastare la crisi". "I tagli dell'ultima manovra del governo - aggiunge - sono davvero drastici nel 2011 e il 2012, in ragione di quei tagli lineari, potrebbe essere ancora peggio". (11 gennaio 2011)
AUTO Marchionne: Fiat è al 25% di Chrysler "Se a Mirafiori vince il no andiamo in Canada" Il manager torna anche sulla vicenda Mirafiori: "Se il referendum non passerà ritorneremo a festeggiare a Detroit". E il presidente Elkann smentisce possibili cessioni e si dice interessato ai camion Volkswagen Marchionne: Fiat è al 25% di Chrysler "Se a Mirafiori vince il no andiamo in Canada" L'ad di Fiat Sergio Marchionne * Referendum, la Cgil conferma il no "Da Marchionne ogni giorno insulti" articolo Referendum, la Cgil conferma il no "Da Marchionne ogni giorno insulti" * Riparte Mirafiori, Fiom: "Possiamo vincere" Il Pd: "Rispettare l'esito del referendum" articolo Riparte Mirafiori, Fiom: "Possiamo vincere" Il Pd: "Rispettare l'esito del referendum" * Camusso tenta il blitz su Landini "Non è una vertenza solo vostra" articolo Camusso tenta il blitz su Landini "Non è una vertenza solo vostra" * Cgil e Fiom non rompono su Fiat Camusso: "Sostegno allo sciopero" articolo Cgil e Fiom non rompono su Fiat Camusso: "Sostegno allo sciopero" * Mirafiori, si vota il 13 e il 14 gennaio I favorevoli all'intesa: "Avremo l'80%" articolo Mirafiori, si vota il 13 e il 14 gennaio I favorevoli all'intesa: "Avremo l'80%" * Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo" articolo Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo" * Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" articolo Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" * "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom articolo "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom DETROIT - La Fiat è salita dal 20 al 25% di Chrysler. Lo ha annunciato oggi l'amministratore delegato Sergio Marchionne parlando al Salone dell'Auto di Detroit. "E ci sono le condizioni per salire al 51% entro l'anno", ha chiarito il manager. "Fiat - ha aggiunto - ha le risorse finanziarie per farlo anche adesso se necessario". Marchionne ha precisato quindi che Fiat ha potuto salire al 25% di Chrysler "perché è stata adempiuta la prima condizione con la tecnologia Fiat certificata negli Usa". L'ad dell'azienda automobilistica è tornato anche a parlare delle vicende italiane, ribadendo che se al referendum di Mirafiori ci sarà il 51% di sì "il discorso si chiude, l'investimento si fa". Ma "se non si raggiunge il 51% salta tutto e andiamo altrove. Fiat ha alternative nel mondo. Venerdì scorso ero in Canada a Brampton per lanciare il charger della Chrysler. Ci hanno invitato a investire e aumentare la capacità produttiva. C'è un grande senso di riconoscimento per gli investimenti che abbiamo fatto là. Stanno aspettando di mettere il terzo turno, trovo geniale che la gente voglia lavorare, fare anche il terzo turno. Lavorare sei giorni alla settimana è una disponibilità incredibile, in Europa questo è un problema, Brampton è una possibilità, ma ce ne sono moltissime altre dappertutto, come Sterling Heights" (un sobborgo di Detroit, ndr). "Aspettiamo di vedere cosa succederà giovedì e venerdì - ha aggiunto Marchionne - e se il referendum non passerà ritorneremo a festeggiare a Detroit. Non voglio entrare in polemica con Landini perché non risolviamo niente, ma è impossibile discutere con qualcuno che considera qualsiasi cosa che facciamo illegittima. Considerano illegittimo finanche il referendum voluto dai sindacati. E' un'iniziativa partita da loro e adesso persino quella è considerata illegittima. E' sempre colpa della Fiat. Ci sarà pure qualcosa di legittimo". Quanto a un possibile sbarco di Alfa Romeo negli Usa, Marchionne ha spiegato che avverrà "probabilmente nel 2012". "La Giulia è in effetti la vettura più idonea - ha aggiunto - perché realizzata su piattaforma americana, ma il nostro obiettivo è di portare tutta la gamma Alfa in America, inclusa la macchina che dovrebbe essere prodotta a Mirafiori". "Sono cauto ma ottimista sul futuro", ha poi rivelato l'ad in un'intervista all'emittente Cnbc, spiegando di essere convinto che l'industria automobilistica "è tornata". Marchionne ha anche ribadito l'intenzione di restituire gli aiuti ricevuti dai governi americano e canadese entro il 2011. "Abbiamo un debito di gratitudine nei confronti di molte persone", ha sottolineato. Il manager Fiat ha commentato anche le scritte con la stella a cinque punte 1 comparse a Torino sul suo conto. "Sono fuori posto - ha detto - Non è questione di un mio coinvolgimento personale, ma riflettono la mancanza di civiltà". "Una mancanza di civiltà - ha proseguito - che non è opportuna per l'Italia e per nessun altro Paese: siamo fiduciosi che prevalga l'aspetto razionale e l'ideologia politica resti fuori dalla fabbrica. Noi vogliamo fare qualcosa di buono non solo per l'azienda ma soprattutto per i lavoratori". Sulle strategie future di Fiat è intervenuto a Detroit anche il presidente John Elkann, affermando che non c'è "nessuna intenzione di vendere pezzi del gruppo, ci teniamo stretto tutto". "Anche se ci offrono un sacco di soldi, abbiamo investito troppo", ha aggiunto Elkann. Anzi, ha detto successivamente, "se Volkswagen volesse vendere le sue attività nei camion, Fiat Industrial sarebbe un potenziale acquirente". Una battuta anche sul referendum in programma a Mirafiori. "Sono fiducioso che prevalga il buon senso", ha detto. A illustrare i dettagli della scalata di Fiat a Chrysler è invece un comunicato diffuso in contemporanea dal Lingotto. "Come descritto nell'accordo operativo del 10 giugno 2009 - si legge nella nota - Chrysler Group ha emesso una lettera d'impegno irrevocabile nei confronti del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti con la quale la società dichiara di aver ricevuto le necessarie autorizzazioni regolamentari e che inizierà la produzione commerciale del motore Fire (Fully Integrated Robotized Engine) nel suo stabilimento di Dundee (Michigan, USA). Di conseguenza - recita ancora il comunicato - la quota di partecipazione di Fiat è automaticamente aumentata come previsto nell'accordo operativo". Con l'aumento del peso del Lingotto, l'azionariato della casa di Detroit vede i sindacati americani Uaw Veba detenere il 63,5% del capitale, il Tesoro Usa il 9,2% e il governo canadese il 2,3%. Fiat, ricorda sempre il comunicato, potrà ulteriormente aumentare la propria quota in Chrysler sino al 35%, in tranche del 5%, attraverso il raggiungimento di due ulteriori 'performance events'. Il primo evento si riferisce all'aumento dei ricavi e delle vendite al di fuori dell'area NAFTA. Il secondo riguarda la produzione commerciale negli Stati Uniti di una autovettura basata su una piattaforma Fiat con prestazioni di almeno 40 miglia per gallone. Intanto la prima applicazione sul mercato nord americano del motore 1.4 Fire con tecnologia MultiAir sarà sulla nuova Fiat 500, la cui distribuzione da parte di Chrysler Group inizierà a breve attraverso i nuovi concessionari. (10 gennaio 2011)
POLIS Di M. Giannini Caro Marchionne, non sarà mai una festa Caro Marchionne, non sarà mai una festa Sergio Marchionne a Los Angeles
Il "Marchionne show" a Detroit resterà negli annali dell’imprenditoria italiana. Alla vigilia del referendum su Mirafiori, l’amministratore delegato della Fiat ha ripetuto molte cose che aveva già detto. A partire dal fatto che, se l’accordo passerà con almeno il 51 per cento, il Lingotto andrà avanti con i suoi investimenti, mentre se vinceranno i no allora "si chiude", il gruppo se ne va a produrre altrove. La logica è sempre la stessa: tecnicamente ricattatoria. Con tutto il rispetto, non saprei trovare altre definizioni.
Ma stavolta c’è di più. Il "ceo" italo-svizzero-canadese ha condito questo avvertimento con una chiosa che mi ha colpito. Nel confermare che se il referendum non passa la Fiat chiuderà Mirafiori e procederà alla delocalizzazione dell’impianto in Serbia o chissà dove, Marchionne ha aggiunto: "E ce ne torneremo a festeggiare a Detroit". Questo è davvero incomprensibile. Intanto, non si capisce l’opportunità "politica" di infiammare gli animi fino a questo punto, a poche ore dal voto degli operai che dovrà decidere del loro destino di lavoratori, di individui, in molti casi di padri e di madri di famiglia. Ma poi, davvero, non si capisce cosa ci sarebbe da "festeggiare". È una "festa", se una grande azienda di automobili italiana decide di chiudere un impianto che esiste da un secolo, e che rappresenta un pezzo di storia non solo industriale, ma anche sociale di questo Paese? È una "festa", se scompare dal nostro tessuto produttivo un luogo fisico, e anche simbolico, attraverso il quale sono passate centinaia di migliaia di donne e di uomini che, migrando molto spesso da un Sud povero e disperato, hanno trovato proprio a Mirafiori non solo il sacrificio, ma anche il riscatto? È una "festa", se si getta al macero un "bene collettivo" come quello stabilimento, dove tra gli Anni Cinquanta e Sessanta si sono formate e forgiate generazioni di italiani che hanno conosciuto l’affrancamento dal bisogno, la sapienza e la dignità del lavoro, e hanno accumulato quel patrimonio di diritti che sempre il lavoro porta con sé, e che trasforma un operaio alla catena di montaggio in un "cittadino" della polis Comunque si giudichi l’accordo voluto dal Lingotto e il piano "Fabbrica Italia", l’operato di Marchionne e la resistenza della Fiom, questa non è, non può essere e non sarà mai una "festa". Se diventasse realtà, la chiusura di Mirafiori sarebbe un dramma per tutti. Non solo per i sindacati e per i lavoratori, ma anche per il governo, per l’opposizione, per l’Italia. Evidentemente dev’essere difficile capirlo al di là dell’Atlantico, nella lontana Auburn Hill: ma sarebbe una tragica sconfitta soprattutto per la Fiat. (10 gennaio 2011)
2011-01-10 AUTO Annuncio di Marchionne a Detroit "Fiat salita al 25% di Chrysler" Il manager torna anche sulla vicenda Mirafiori: "Senza ok al referendum festeggiamo negli Usa". E il presidente Elkann smentisce possibili cessioni: "Ci teniamo stretto tutto, anche se ci offrono un sacco di soldi" Annuncio di Marchionne a Detroit "Fiat salita al 25% di Chrysler" L'ad di Fiat Sergio Marchionne DETROIT - La Fiat è salita dal 20 al 25% di Chrysler. Lo ha annunciato oggi l'amministratore delegato Sergio Marchionne parlando al Salone dell'Auto di Detroit. "E ci sono le condizioni per salire al 51% entro l'anno", ha chiarito il manager. "Fiat - ha aggiunto - ha le risorse finanziarie per farlo anche adesso se necessario". Marchionne ha precisato quindi che Fiat ha potuto salire al 25% di Chrysler "perché è stata adempiuta la prima condizione con la tecnologia Fiat certificata negli Usa". L'ad dell'azienda automobilistica è tornato anche a parlare delle vicende italiane, ribadendo che se al referendum di Mirafiori ci sarà il 51% di sì "il discorso si chiude, l'investimento si fa. Se non si raggiunge il 51% salta tutto e andiamo altrove. Fiat ha alternative nel mondo, aspettiamo di vedere cosa succederà giovedì e venerdì e se il referendum non passerà ritorneremo a festeggiare a Detroit". "Non voglio entrare in polemica con Landini - ha aggiunto - perché non risolviamo niente, ma è impossibile discutere con qualcuno che considera qualsiasi cosa che facciamo illegittima". "Considerano illegittimo - ha insistito - finanche il referendum voluto dai sindacati. E' un'iniziativa partita da loro e adesso persino quella è considerata illegittima. E' sempre colpa della Fiat. Ci sarà pure qualcosa di legittimo". Quanto a un possibile sbarco di Alfa Romeo negli Usa, Marchionne ha spiegato che avverrà "probabilmente nel 2012". "La Giulia è in effetti la vettura più idonea - ha aggiunto - perché realizzata su piattaforma americana, ma il nostro obiettivo è di portare tutta la gamma Alfa in America, inclusa la macchina che dovrebbe essere prodotta a Mirafiori". "Sono cauto ma ottimista sul futuro", ha poi rivelato l'ad in un'intervista all'emittente Cnbc, spiegando di essere convinto che l'industria automobilistica "è tornata". Marchionne ha anche ribadito l'intenzione di restituire gli aiuti ricevuti dai governi americano e canadese entro il 2011. "Abbiamo un debito di gratitudine nei confronti di molte persone", ha sottolineato. Il manager Fiat ha commentato anche le scritte comparse a Torino sul suo conto. "Sono fuori posto - ha detto - Non è questione di un mio coinvolgimento personale, ma riflettono la mancanza di civiltà". "Una mancanza di civiltà - ha proseguito - che non è opportuna per l'Italia e per nessun altro paese: siamo fiduciosi che prevalga l'aspetto razionale e l'ideologia politica resti fuori dalla fabbrica. Noi vogliamo fare qualcosa di buono non solo per l'azienda ma soprattutto per i lavoratori". Sulle strategie future di Fiat è intervenuto a Detroit anche il presidente John Elkann, affermando che non c'è "nessuna intenzione di vendere pezzi del Gruppo, ci teniamo stretto tutto". "Anche se ci offrono un sacco di soldi, abbiamo investito troppo", ha aggiunto Elkann. Una battuta anche sul referendum in programma a Mirafiori. "Sono fiducioso che prevalga il buon senso", ha detto. A illustrare i dettagli della scalata di Fiat a Chrysler è invece un comunicato diffuso in contemporanea dal Lingotto. "Come descritto nell'accordo operativo del 10 giugno 2009 - si legge nella nota - Chrysler Group ha emesso una lettera d'impegno irrevocabile nei confronti del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti con la quale la società dichiara di aver ricevuto le necessarie autorizzazioni regolamentari e che inizierà la produzione commerciale del motore Fire (Fully Integrated Robotized Engine) nel suo stabilimento di Dundee (Michigan, USA). Di conseguenza - recita ancora il comunicato - la quota di partecipazione di Fiat è automaticamente aumentata come previsto nell'accordo operativo". Con l'aumento del peso del Lingotto, l'azionariato della casa di Detroit vede i sindacati americani Uaw Veba detenere il 63,5% del capitale, il Tesoro Usa il 9,2% e il governo canadese il 2,3%. Fiat, ricorda sempre il comunicato, potrà ulteriormente aumentare la propria quota in Chrysler sino al 35%, in tranche del 5%, attraverso il raggiungimento di due ulteriori 'performance events'. Il primo evento si riferisce all'aumento dei ricavi e delle vendite al di fuori dell'area NAFTA. Il secondo riguarda la produzione commerciale negli Stati Uniti di una autovettura basata su una piattaforma Fiat con prestazioni di almeno 40 miglia per gallone. Intanto la prima applicazione sul mercato nord americano del motore 1.4 Fire con tecnologia MultiAir sarà sulla nuova Fiat 500, la cui distribuzione da parte di Chrysler Group inizierà a breve attraverso i nuovi concessionari. (10 gennaio 2011)
FIAT Riparte Mirafiori, volantini ai cancelli Fiom: "Possiamo vincere la partita" Dopo tre settimane di cassa integrazione, da oggi a mercoledì torneranno nello stabilimento tutti i 5.500 operai. Il referendum sul futuro dello stabilimento è fissato per giovedì e venerdì. Cisl: "L'accordo darà diritto a posti di lavoro, prospettiva, più salario". Cgil: "Sì a sciopero generale" Riparte Mirafiori, volantini ai cancelli Fiom: "Possiamo vincere la partita" Operai Fiat al cancello di Mirafiori * Camusso tenta il blitz su Landini "Non è una vertenza solo vostra" articolo Camusso tenta il blitz su Landini "Non è una vertenza solo vostra" * Cgil e Fiom non rompono su Fiat Camusso: "Sostegno allo sciopero" articolo Cgil e Fiom non rompono su Fiat Camusso: "Sostegno allo sciopero" * Mirafiori, si vota il 13 e il 14 gennaio I favorevoli all'intesa: "Avremo l'80%" articolo Mirafiori, si vota il 13 e il 14 gennaio I favorevoli all'intesa: "Avremo l'80%" * Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo" articolo Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo" * Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" articolo Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" * "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom articolo "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom TORINO - A pochi giorni dal referendum sul futuro dello stabilimento, fissato per giovedì e venerdì, oggi è ripartita la produzione a Mirafiori, dopo tre settimane di cassa integrazione. Da mercoledì saranno nello stabilimento tutti i 5.500 operai. I primi a rientrare questa mattina sono stati gli operai dell'Alfa Mito (300 con il primo turno, alle 6; altri 500 negli altri due turni della giornata). Ai cancelli hanno trovato tre diversi volantini: quello del 'fronte del sì' all'accordo del 23 dicembre di Fim, Uilm, Fismic e Ugl ("Mirafiori c'è, ora dipende da te"), quello della Fiom, presente con il 'camper metalmeccanico alla porta 2, che ha distribuito l'intero testo dell'accordo (70 pagine) con un commento, e quello dei Cobas ("Siamo tutti Mirafiori, nessuna resa"). "La Fiom ha deciso di distribuire l'intero accordo - ha spiegato Federico Bellono, segretario generale delle tute blu torinesi della Cgil - perché noi, a differenza degli altri sindacati, abbiamo deciso di fare le assemblee domani e mercoledì e quindi abbiamo deciso di privilegiare l'aspetto informativo". Sempre dal fronte Fiom, Cremaschi rilancia la dura opposizione al protocollo. "Se al referendum dovessero vincere i sì, ci rivolgeremo alla magistratura". Il presidente del comitato centrale dei metalmeccanici Cgil lo ha detto all'agenzia radiofonica Area, sottolineando che "che il contrasto all'accordo sarà sul piano sindacale ma anche su quello giuridico legale". Ma il segretario del sindacato Maurizio Landini rilancia: "Possiamo ancora vincere la partita, quell'accordo non lo firmeremo mai". Il capo dei metalmeccanici della Cgil ha poi aggiunto: "E' falso che diciamo sempre di no. Siamo il sindacato che sigla più accordi". "I lavoratori - ha sottolineato invece Vincenzo Aragona, segretario della Fismic Piemonte - sono consapevoli di come votare il 13 e il 14: sceglieranno il sì per tutelare l'investimento, l'occupazione, i diritti". Il volantinaggio proseguirà anche al cambio turno delle 14 e a quello delle 22. Davanti alla porta 2 di Mirafiori oggi pomeriggio è atteso il segretario generale Fismic, Roberto Di Maulo. L'intesa tra Cgil e Fiom sulla linea da adottare per l'accordo sullo stabilimento di Mirafiori ancora non c'è. Ieri, dopo una riunione fiume delle segreterie 1, il leader della Fiom, Maurizio Landini, ha assicurato che "non c'è nessuna spaccatura" con la Cgil, ribadendo però che in caso di vittoria dei sì la Fiom non apporrà alcuna firma tecnica. "Il tema - ha sottolineato anche il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso - non è mai stato una soluzione tecnica, ma come garantire la libertà dei lavoratori di avere un sindacato e di eleggere i propri rappresentanti". Perché, ha continuato, "continuamo a giudicare negativo" l'accordo di Mirafiori, "i lavoratori dovrebbero votare no". E ha confermato l'appoggio alla Fiom per lo sciopero 2 generale indetto per il 28 gennaio: "la Cigl - ha precisato Camusso - è impegnata con la Fiom per la massima riuscita" dell'agitazione. Diverso il parere del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni secondo il quale "dal mese di giugno la Fiom sta tentando di creare confusione nelle fabbriche con scioperi mal riusciti". Per Bonanni se il sindacato dei metalmeccanici della Cgil "fosse maggioritario, e non lo è, avrebbe spinto la Fiat ad andarsene dall'Italia". Ma i diritti dei lavoratori "sono stati salvaguardati", ha rassicurato il leader della Cisl parlando a Mattino Cinque su Canale5. Secondo Bonanni l'accordo per Mirafiori dà diritto a "posti di lavoro, prospettiva, più salario. L'azienda stava chiudendo, che ci sia stato un manager come Marchionne che ha voluto saper ricostruire le condizioni di base dell'azienda e ha avuto la capacità di allearsi con la Chrysler e darsi un piano che incoraggia i mercati a finanziare un piano industriale per noi importante". Bonanni ha aggiunto che "quando si parla di flessibilità si fa confusione. Marchionne ci ha chiesto una sola cosa: non meno salario, non taglio di alcuni diritti, ma solo di permettere una organizzazione del lavoro in grado di sfruttare al 100 per cento gli impianti. I dipendenti lavoreranno 8 ore come prima ma in tre turni giornalieri, è tutto lì". (10 gennaio 2011)
2011-01-09 ECONOMIA Cgil e Fiom non rompono su Fiat Camusso: "Sostegno allo sciopero" Una riunione fiume sull'accordo separato per Mirafiori. Landini: "Continueremo a discutere". La Camusso garantisce l'impegno Cgil per la riuscita dello sciopero generale indetto dai metalmeccanici. Landini faccia a faccia con Bombassei in tv. "Firma tecnica non esiste". Bonanni: "Se vince il no, ritiro la firma" Cgil e Fiom non rompono su Fiat Camusso: "Sostegno allo sciopero" Maurizio Landini ROMA - Tra Cgil e Fiom "non c'è nessuna spaccatura. C'è stata una discussione, rimangono delle valutazioni su quello che sarà necessario fare in futuro, ma su questo continueremo a discutere". Lo assicura il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, al termine del vertice. Da parte sua, il segretario generale Susanna Camusso dichiara che il 28 gennaio la Cgil parteciperà allo sciopero generale indetto dalla Fiom dopo la sigla separata dell'accordo sullo stabilimento Fiat di Mirafiori. "La Cgil è impegnata con la Fiom per la massima riuscita dello sciopero" aggiunge la Camusso, che sarà presente alla manifestazione che si terrà a Bologna il 27 gennaio, data anticipata per la festività del 28 in Emilia Romagna. "Il tema - aggiunge il segretario generale Cgil - non è mai stato una soluzione tecnica, ma come garantire la libertà dei lavoratori di avere un sindacato e di eleggere i propri rappresentanti". "La valutazione con la segreteria della Fiom - prosegue Camusso - parte dalla considerazione che si continua a sostenere un piano industriale che non conosciamo, sia per quanto riguarda gli investimenti che la certezza della permanenza in Italia". Il segretario della Cgil evidenzia quindi le responsabilità del governo, che ha rivestito "il ruolo di tifoso e non di soggetto che si domanda che ruolo avere a sostegno dello sviluppo economico e industriale del Paese". Per Camusso, l'accordo di Mirafiori "non toglie alcun dubbio sulle prospettive industriali. E' un accordo che continuiamo a giudicare negativo, a cui i lavoratori dovrebbero votare no". Perché, secondo Camusso, viola due principi: la libertà dei lavoratori di scioperare e di organizzarsi sindacalmente. "La discussione continuerà dopo il referendum per trovare le iniziative più giuste". Sulle possibili conseguenze di una vittoria del "no" al referendum sull'accordo separato allo stabilimento di Mirafiori parla anche il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni. "Non sono un grullo come qualcuno che si è messo a fare cifre (sulle possibili percentuali di vittoria del sì) - dice Bonanni intervenendo a 'In Onda' su La7 -. Spero vinca il sì, mi affido al buon senso di chi andrà a votare. Se ce la fa il sì io sarò contento, se ce la fa il no strapperò l'accordo, toglierò la mia firma da quell'accordo. Io consiglio di sostenere il sì, perché ci interessa l'investimento". Un referendum a cui, secondo Bonanni, senza la Fiom non si sarebbe mai arrivati. "Da Pomigliano ha iniziato una escalation continua di scioperi malriusciti, uno ogni venti giorni - spiega il segetario Cisl -. Questo ha irrigidito il rapporto con l'azienda. La Fiom ha surriscaldato così tanto l'ambiente che siamo arrivati al referendum di Mirafiori. Alcuni della Fiom perseguono obiettivi politici, non sindacali". Cgil e Fiom si ritrovano così, al termine di una riunione fiume focalizzata sulla strategia da adottare nel caso vincano i sì al referendum sull'accordo per il rilancio di Mirafiori, che le tute blu della confederazione non hanno sottoscritto. Sebbene la Camusso neghi che il tema del confronto con Fiom ruotasse intorno alla possibilità della "firma tecnica" all'accordo separato, era questa una possibilità profilata dalla Cgil alla Fiom, per assicurare alla categoria una rappresentanza sindacale, altrimenti esclusa dal contratto aziendale. Ipotesi che Landini aveva respinto prima ci cominciare, a poche ore dall'incontro tra le segreterie di Cgil e Fiom 1, intervenendo in tv alla trasmissione In mezz'ora con al fianco il vicepresidente di Confindustria, e membro del Cda di Fiat Industrial, Alberto Bombassei. "La firma tecnica non esiste: gli accordi si firmano o non si firmano", così Maurizio Landini mette in chiaro la posizione dei metalmeccanici che dirige. "'C'è uno statuto che impedisce di firmare accordi del genere. L'incontro con la Cgil lo abbiamo chiesto noi visto che anche la Cgil considera grave l'atteggiamento della Fiat. Si deve dunque valutare l'accordo e decidere le azioni da mettere in campo in risposta. La nostra posizione è molto precisa ed è anche appoggiata da una lettera arrivata oggi dei 27 delegati della rsu della Fiom", taglia corto Landini. Che sferra un attacco all'ad della Fiat: "In Italia si vota solo quando lo decide Marchionne, sotto ricatto. La democrazia funziona solo quando lo dice Marchionne e la gente non può dire di no". Parole che provocano la reazione di Bombassei: "'Il referendum non è un ricatto e non lo decide Marchionne, ma i sindacati che hanno sottoscritto l'accordo e che per questo vanno rispettati anche dalla Fiom". Controreplica di Landini: "Ci deve essere pari dignità tra lavoro e imprese votare sì all'accordo di Mirafiori è come se si dicesse ai cittadini di Torino di uscire dall'Italia in tempi in cui si celebrano invece i 150 dell'Unità. E' il contratto nazionale che fa l'unità del Paese". L'unica apertura del leader dei metalmeccanici della Fiom quando si dice disponibile "a riaprire le trattative per riconquistare un contratto nazionale degno di questo nome. Ci deve essere pari dignità tra lavoro e impresa perchè in un sistema democratico o c'è una mediazione tra due interessi o non c'è. E' il contratto nazionale che fa l'unità del paese: quello aziendale invece la rompe. Non solo. I contratti nazionali servono anche alle imprese per far sì che la competitività non si giochi sui diritti e sui salari". Bombassei, invece, difende le mosse di Marchionne. "La parola deroga non significa che il contratto è peggiorativo, può anche essere migliorativo. In questo caso non c'è nessuna violazione dei diritti dei lavoratori". All'accusa di Landini che Fiat sugli accordi di fabbrica è uscita da Confindustria, Bombassei replica che "non è corretto dire che Fiat è uscita da Confindustria, in realtà, vista la riorganizzazione, non è entrata, perché sono nate due NewCo. E' una scelta tecnica, ci auguriamo sia temporanea e strumentale". (09 gennaio 2011)
IL CASO Contro Marchionne una stella a cinque punte Una scritta con la vernice rossa contro l'amministratore delegato della Fiat. E il lugubre simbolo delle Brigate rosse, una stella a cinque punte. La minaccia è apparsa su un grande manifesto pubblicitario nel centro di Torino, sul cavalcavia di corso Sommellier. Per gli investigatori è solo una "simbologia forte" Contro Marchionne una stella a cinque punte Una scritta contro Marchionne con la stella a cinque punte è stata tracciata, con vernice rossa, oggi, a Torino su un grande manifesto pubblicitario nel centro cittadino, sul cavalcavia di corso Sommellier. Altre scritte sono state tracciate, sempre con vernice rossa e sempre con la stella a cinque punte, su due manifesti pubblicitari vicini al primo. "Marchionne fottiti", c'è scritto sul primo manifesto, mentre sugli altri due ci sono le scritte "Non siamo noi a dover diventare cinesi" e "ma i lavoratori cinesi a diventare come noi". GUARDA le immagini Sul posto sono intervenuti gli investigatori della Digos che però tendono a escludere collegamenti, più o meno diretti, con presunte o sedicenti Brigate Rosse. Secondo gli investigatori, si tratta di "una simbologia forte", non così "inedita" neppure negli ultimi tempi, usata comunque per "alzare il tono" e per attirare la massima attenzione. D'altronde - rilevano - il dibattito sulla questione Fiat-Marchionne è a tinte forti anche a livello istituzionale, politico e televisivo, da non far meravigliare se alcune persone, magari anche tra i più giovani e comunque tra i cosiddetti antagonisti, cerchi di "calcare la mano". Il livello di attenzione da parte della Digos e delle forze dell'ordine nel loro complesso - hanno riferito fonti investigative - è comunque alto, soprattutto in considerazione de fatto che siamo a pochi giorni dal referendum di giovedì e venerdì prossimi sull'accordo su Mirafiori. Le reazioni Immediate le reazioni dopo l'episodio. Cgil e Fiom hanno espresso "la loro netta disapprovazione" per le scritte anti-Marchionne e hanno tenuto a ricordare "la loro netta condanna di ogni forma di violenza e di ogni forma di critica e di battaglia politica antidemocratica". Secondo i sindacati, riuniti nella sede della Cgil per l'incontro tra le due segreterie, con le scritte sui manifesti si ripete "un antico copione, come in un brutto déjà vu". "Il momento è troppo delicato per dare spazio a provocazioni di qualsiasi natura e da qualsiasi parte provengano", continuano i sindacati. Alla vigilia del referendum di Mirafiori, Cgil e Fiom invitano quindi tutti i lavoratori che saranno coinvolti nella scelta e l'opinione pubblica in generale "a non cadere in trappole mediatiche o peggio folcloristiche". Sull'episodio sono intervenuti anche esponenti del mondo politico. Il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, ha espresso "solidarietà a Sergio Marchionne" e ha detto che le scritte comparse sono "un atto grave che induce a non abbassare la guardia". "Spero anche che tutti si responsabilizzino. Non bisogna lasciare spazio alle strumentalizzazioni - ha aggiunto Cota - . Oggi abbiamo bisogno di unità d'intenti per il rilancio del nostro sistema produttivo". "Quanto accaduto oggi a Torino è un atto gravissimo che deve essere condannato con forza", ha detto Cesare Damiano, capogruppo del Pd in commissione lavoro. "La sinistra italiana non riesce a schiodarsi dai fantasmi degli anni '70 quando impiegò qualche anno prima di riconoscere che le brigate rosse erano rosse e terroristi assassini. Oggi ripete gli stessi errori - ha detto in una nota il vice presidente dei deputati del Pdl, Osvaldo Napoli - Non si può accusare marchionne di organizzare un referendum 'ricatto', o di fare 'un'estorsione' ai lavoratori e poi sorprendersi per le minacce che arrivano all'ad di Fiat e la ricomparsa della stella a cinque punte". (09 gennaio 2011)
Lavoro, un'altra fuga a Milano Ceva Logistics lascia None Dopo Tecnimont, nuovo allarme per l'occupazione: la società di logistica che lavora per conto della Fiat ha annunciato il trasferimento dei cento dipendenti ad Assago. L'ira del sindacato di STEFANO PAROLA
LA LETTERA è arrivata ai primi 35 lavoratori pochi giorni fa. Scritta in un linguaggio molto cortese, quasi amichevole. Solo che il contenuto era all’incirca questo: "Caro dipendente, dal 31 gennaio la sua sede di lavoro non è più a None, bensì ad Assago, in provincia di Milano". Tecnicamente si chiama "trasferimento collettivo" e riguarda in totale circa cento persone occupate alla Ceva Logistics, l’azienda che si fa viaggiare i componenti necessari ad assemblare le automobili Fiat. Sono impiegati, tecnici e ingegneri, che lavorano quasi tutti nella cittadina della cintura, ma anche nelle altre due sedi di Rivalta e di Rivoli. Per loro quelle lettere sono il classico fulmine a ciel sereno, perché l’azienda non aveva dato alcun segno di volerli spostare. Anzi, l’incontro sindacale in cui le parti sociali dovranno discutere dell’eventuale trasferimento è fissato per il 14 gennaio all’Unione industriale. Eppure la Ceva ha deciso di inviare le comunicazioni comunque. Causando l’inevitabile irritazione dei sindacati: "La consultazione sindacale – sottolinea il funzionario della Fiom-Cgil, Antonio Citriniti – è prevista dalla legge, non si può inviare le lettere prima ancora di aprire la trattativa. Bisogna prima verificare quali sono le motivazioni e occorre trovare un modo per non recare danno alle persone". Anche perché metà della forza lavoro della Ceva di None è composta da donne, in buona parte mamme. Che difficilmente possono accettare un trasferimento a 175 chilometri di distanza. E che soprattutto non ne capiscono il motivo: "Sulle lettere inviate – racconta una lavoratrice – non si fa menzione delle cause. Sappiamo per vie traverse che la riorganizzazione è dovuta a un grosso investimento che l’azienda ha fatto su un sistema di gestione satellitare che ha la sua torre di controllo proprio a Milano. Una torre che, in realtà, fino a sei mesi fa doveva essere costruita a Torino". Invece Milano colpisce ancora. Proprio come è accaduto a giugno dell’anno scorso ai 350 addetti (in prevalenza ingegneri) della Maire-Tecnimont, per i quali l’azienda di progettazione ha richiesto il trasferimento dalla sede torinese di corso Ferrucci al quartier generale meneghino. Un fenomeno preoccupante secondo la Fiom: "Torino – denuncia Citriniti – si sta svuotando non solo di posti di lavoro ma di pezzi di storia industriale in favore del capoluogo lombardo. Anche per questo chiediamo alla Ceva di ritirare le prime 35 lettere inviate e di attendere l’incontro del 14 gennaio". Per la multinazionale della logistica sarebbe il proseguimento di un processo di abbandono del Piemonte iniziato già lo scorso anno. La Ceva aveva infatti in gestione la movimentazione di tutte le merci della Fiat. Ma a dicembre 2009 il Lingotto ha deciso di invertire la rotta delle esternalizzazioni iniziate negli anni 90 e di riprendersi, a partire dal 1 gennaio 2011, circa 2.900 tra carrellisti e addetti che lavorano nei suoi stabilimenti italiani. Ma non i 100 impiegati di None. Il motivo? Secondo voci che circolano negli ultimi tempi, il costruttore automobilistico sarebbe pronto a gestire la logistica delle merci in ingresso da solo, utilizzando i propri dipendenti. Dunque, un’altra grana per la Torino dell’industria, che scoppia all’interno del "recinto" Fiat, per di più in un ambito molto delicato per la produzione come quello dell’approvvigionamento dei componenti. E che scoppia proprio il giorno prima del rientro in fabbrica dei 2.070 operai e dei 169 impiegati e quadri che alle carrozzerie di Mirafiori si occupano della Alfa Mito, ossia alla vigilia delle uniche due settimane di gennaio in cui lo stabilimento di corso Agnelli non sarà chiuso per cassa integrazione. (08 gennaio 2011)
ECONOMIA Fiat, Landini avverte la Cgil "Impossibile firmare quell'accordo" Il lader della Fiom vedrà oggi il segretario nazionale Susanna Camusso. "Referendum? In Italia si vota solo quando decide Marchionne". Bombassei: "La parola deroga non significa che il contratto è peggiorativo. Mi auguro che il Lingotto rientri in Confindustria" Fiat, Landini avverte la Cgil "Impossibile firmare quell'accordo" Maurizio Landini ROMA - "La firma tecnica non esiste: gli accordi si firmano o non si firmano. A poche ore dall'incontro tra le segreterie di Cgil e Fiom 1per fare il punto delle azioni da intraprendere nell'eventualità che passi il referendum su Mirafiori, il leader delle tute blu della confederazione di Corso Italia, Maurizio Landini, mette in chiaro la posizione dei metalmeccanici che dirige. Lo fa nel corso della trasmissione In mezz'ora con al fianco il vice presidente di Confindustria e membro del Cda di Fiat Industrial, Alberto Bombassei. "'C'è uno statuto che impedisce di firmare accordi del genere. L'incontro con la Cgil lo abbiamo chiesto noi visto che anche la Cgil considera grave l'atteggiamento della Fiat. Si deve dunque valutare l'accordo e decidere le azioni da mettere in campo in risposta. La nostra posizione è molto precisa ed è anche appoggiata da una lettera arrivata oggi dei 27 delegati della rsu della Fiom", taglia corto Landini. Che sferra un attacco all'ad della Fiat: "In Italia si vota solo quando lo decide Marchionne, sotto ricatto. La democrazia funziona solo quando lo dice Marchionne e la gente non può dire di no". Parole che provocano la reazione di Bombassei: "'Il referendum non è un ricatto e non lo decide Marchionne, ma i sindacati che hanno sottoscritto l'accordo e che per questo vanno rispettati anche dalla Fiom". Controreplica di Landini: "Ci deve essere pari dignità tra lavoro e imprese votare sì all'accordo di Mirafiori è come se si dicesse ai cittadini di Torino di uscire dall'Italia in tempi in cui si celebrano invece i 150 dell'Unità. E' il contratto nazionale che fa l'unità del Paese". L'unica apertura del leader dei metalmeccanici della Fiom quando si dice disponibile "a riaprire le trattative per riconquistare un contratto nazionale degno di questo nome. Ci deve essere pari dignità tra lavoro e impresa perchè in un sistema democratico o c'è una mediazione tra due interessi o non c'è. E' il contratto nazionale che fa l'unità del paese: quello aziendale invece la rompe. Non solo. I contratti nazionali servono anche alle imprese per far sì che la competitività non si giochi sui diritti e sui salari". Bombassei, invece, difende le mosse di Marchionne. "La parola deroga non significa che il contratto è peggiorativo, può anche essere migliorativo. In questo caso non c'è nessuna violazione dei diritti dei lavoratori". All'accusa di Landini che Fiat sugli accordi di fabbrica è uscita da Confindustria, Bombassei replica che "non è corretto dire che Fiat è uscita da Confindustria, in realtà, vista la riorganizzazione, non è entrata, perché sono nate due NewCo. E' una scelta tecnica, ci auguriamo sia temporanea e strumentale". (09 gennaio 2011)
FIAT "La strategia di Marchionne impoverisce la democrazia" Parla il sindacalista Peter Olney: negli Usa subito lo stesso ricatto. La localizzazione degli stabilimenti dipende anche dalla politica industriale: la Cina la fa, l'Occidente non più dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI "La strategia di Marchionne impoverisce la democrazia" Sergio Marchionne in un impianto Chrysler ROMA - "Sergio Marchionne recita in Italia un copione già scritto qui negli Stati Uniti. Alla Fiat si riproduce l'attacco ai sindacati che da anni è in atto nelle imprese americane. Guai a sottovalutarne la gravità: la rappresentanza dei lavoratori, l'organizzazione sindacale, sono l'ultimo baluardo contro l'imbarbarimento della società e l'impoverimento della democrazia. Anche i referendum di fabbrica sotto un clima d'intimidazione, li conosciamo bene". Peter Olney è uno dei maggiori leader sindacali americani. Dirige la Unione più potente della West Coast, Ilwu, organizza categorie che vanno dai portuali ai dipendenti dei trasporti e della logistica. E' anche un teorico con una visione globale, una sorta di Bruno Trentin americano: da giovane studiò anche Scienze politiche all'università di Firenze e ha insegnato all'università di Berkeley. La posta in gioco nel caso Fiat gli è familiare. In Italia Marchionne sembra a suo modo un "rivoluzionario", che osa sfidare tabù consolidati, lei invece lo considera come "déjà vu"? "Il chief executive di Fiat-Chrysler non fa che ripetere tutte le mosse dei top manager di General Motors, Ford. Il ricatto ai lavoratori usa un linguaggio a cui siamo abituati: gli operai vengono descritti come dinosauri, relitti di un'era al tramonto, costretti ad accettare i diktat dall'alto perché altrimenti poco competitivi, quindi condannati a perdere il posto. In quanto ai referendum sotto ricatto, di recente se n'è tenuto uno alla fabbrica della Nissan nel Tennessee, per decidere proprio sulla questione della rappresentanza sindacale. Dopo una campagna di pressioni, minacce, intimidazioni da parte dell'azienda, i lavoratori hanno finito per piegare la testa e votare contro il sindacato. Oggi il sindacato americano riparte proprio da questo: vogliamo imporre un codice di condotta, che impedisca alle aziende di impaurire i lavoratori manipolando le consultazioni referendarie". Tra i metalmeccanici americani il sindacato ha perso terreno paurosamente. In che misura paga l'effetto delle delocalizzazioni? "Noi le delocalizzazioni le abbiamo addirittura in casa. La minaccia più concreta non è il trasferimento di fabbriche all'estero, ma in quegli Stati Usa del Sud dove viene impiegata solo manodopera non sindacalizzata, a condizioni nettamente peggiori. Tra il 1993 e il 2008 il Michigan, culla storica dell'industria automobilistica, ha perso 83.000 metalmeccanici. Nello stesso periodo il Tennessee ne ha guadagnati 91.000. Toyota, Hyundai, Volkswagen hanno scelto gli Stati della "cintura nera meridionale", South Carolina, Mississippi, Tennessee, per tagliar fuori il sindacato. United Auto Workers, la confederazione dei metalmeccanici, è scesa da un milione di iscritti 30 anni fa a 400.000 oggi. Nell'ultima recessione l'Uaw ha dovuto accettare salari dimezzati, da 30 a 14 dollari orari per i nuovi assunti. E' il modello che Marchionne sta importando da voi". Ma la dottrina Marchionne ha dalla sua una sorta di ineluttabilità. Con la globalizzazione, è insostenibile la sopravvivenza di fabbriche che non reggono i confronti internazionali. Chi fa l'interesse degli azionisti prima o poi dovrà chiuderle e trasferire la produzione altrove. "Se io ho studiato nelle stesse Business School dei top manager, è anche perché ero stanco di subire l'egemonia culturale di queste analisi. Le decisioni sulla localizzazione degli stabilimenti sono nella realtà più complesse di quanto vogliano farci credere. Soprattutto in settori ad alta intensità di capitale, con tecnologie sempre più sofisticate, i differenziali salariali non sono il criterio decisivo. Entrano in gioco altri fattori: l'accesso ai mercati nazionali, la disponibilità di infrastrutture, la qualità dei centri di ricerca e design. Infine una parola passata di moda: le politiche industriali dei governi. In Occidente parlarne oggi sembra una follìa? Però il governo cinese la politica industriale la fa, eccome". Al di là del settore metalmeccanico, quanto è grave il declino del sindacato in America? Con quali conseguenze politiche? "Nel 1955 le Unions organizzavano il 35% della manodopera delle imprese private, oggi siamo appena al 7%. I sindacati sono anzitutto un fattore di redistribuzione, così è caduto ogni argine alle diseguaglianze sociali. Nel 1955 un chief executive guadagnava 25 volte più del suo operaio, oggi guadagna 450 volte il salario operaio. Conseguenze politiche: nel 2008 Barack Obama ha avuto uno scarto del 18% in più tra i lavoratori sindacalizzati. L'appartenenza sindacale, con quel che significa in termini di diritti di cittadinanza, porta con sé una visione del mondo, un sistema di valori. Senza sindacato la società diventa una clessidra: in alto si concentra il potere, in basso c'è un vasto esercito di lavoratori impoveriti e impotenti, viene a mancare un centro". (09 gennaio 2011)
2011-01-08 Fiat, domani l'incontro tra Fiom e Cgil Landini: "Non firmiamo l'accordo" Tra giovedì e venerdì i dipendenti votano per decidere del futuro dello stabilimento di Mirafiori. Volantinaggio per il "sì". Cremaschi: con la confederazione "siamo arrivati al dunque, alla sostanza delle questioni. Penso che si possano tutelare meglio i lavoratori se resta fuori da quell'intesa" Fiat, domani l'incontro tra Fiom e Cgil Landini: "Non firmiamo l'accordo" Il segretario della Fiom, Maurizio Landini ROMA - Settimana decisiva per il futuro dello stabilimento Fiat di Mirafiori. Tra giovedì e venerdì 1, infatti, i lavoratori delle carrozzerie dello stabilimento piemontese (circa 5.400) saranno chiamati a esprimersi sull'intesa siglata 2 il 23 dicembre (da Fim, Uilm, Fismic e Ugl ma non dalla Fiom 3 e dai Cobas) per il rilancio del'impianto. Un accordo che piace al governo ma che ha spaccato i sindacati e creato divisioni anche tra la Cgil e la Fiom. E proprio le segreterie del più grande sindacato italiano e della sua ala metalmeccanica si vedranno domani. Sul tavolo l'atteggiamento da tenere nel caso di un risultato positivo della consultazione. La Cgil ritiene che in caso di vittoria dei sì la Fiom dovrebbe apporre sull'accordo una firma tecnica mentre le tute blu ritengono che il referendum sia illegittimo e il segretario generale Fiom, Maurizio Landini, ha ribadito oggi che il sindacato non firmerà l'accordo comunque: "Non firmiamo, la partita è appena iniziata". Una via d'uscita deve però essere trovata, perché la Cgil non sembra accettare l'idea che la Fiom resti fuori dalla discussione. Anche se il presidente del comitato centrale della Fiom, Giorgio Cremaschi, insiste: con la Cgil "siamo arrivati al dunque, alla sostanza delle questioni. La firma tecnica non esiste. Se si legge bene il testo dell'accordo per Mirafiori si capisce che tecnicamente non è praticabile. Penso che la Fiom possa tutelare meglio i lavoratori se resta fuori da quell'intesa". Si muove anche l'altro fronte sindacale. Domani a Torino si terrà un volantinaggio nelle vie dello shopping a sostegno delle ragioni dei sindacati firmatari dell'intesa. Poi lunedì toccherà ai cancelli dello stabilimento. "Mirafiori c'è per un futuro di lavoro - si legge nel documento - Più salario e più occupazione, il lavoro a Mirafiori significa garantire altri 50 mila posti di lavoro a Torino, nell'indotto non solo metalmeccanico, ma anche nella gomma-plastica, nei servizi, nell'informatica, nel commercio". In evidenza le frasi: "Diamo un futuro a Mirafiori e ai nostri figli", "vota e fai votare sì"', "senza lavoro non hai diritti". Polemica a Castelfranco Veneto. Accusa Marchionne di perseguire una "retrocessione nei diritti" dei lavoratori un prete-operaio di Castelfranco Veneto, don Claudio Miglioranza, che nell'omelia della messa del 2 gennaio scorso ha attaccato l'amministratore delegato Fiat, rimarcando che il manager guadagna "quanto 6.400 dei suoi dipendenti". Una riflessione, riporta la 'Tribuna di Treviso' 4, partita dalle parole del Vangelo, che però il sacerdote ha voluto mettere a confronto con i problemi attuali, quelli della gente comune. L'omelia non è però piaciuta a un imprenditore, Giorgio Vigni, che ha chiesto spiegazioni con una lettera al vescovo di Treviso, Agostino Gardin. (08 gennaio 2011)
2011-01-05 FIAT Referendum sull'accordo Mirafiori si vota il 13 e il 14 gennaio Già venerdì sera si conoscerà il verdetto degli operai sul piano di rilancio per lo stabilimento e sull'accordo firmato da Cisl e Uil con il no della Fiom. I primi ad esprimersi saranno i lavoratori del turno di notte di giovedì. La Fiom ribadisce: "E' il referendum della paura e del ricatto: o voti sì o perdi il lavoro". Le sigle firmatarie chiedono a Chiamparino di fare da garante sul voto Referendum sull'accordo Mirafiori si vota il 13 e il 14 gennaio L'ingresso dello stabilimento di Mirafiori * Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo" articolo Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo" * Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" articolo Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" * "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom articolo "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom ROMA - La data è stata decisa: il referendum sull'accordo per il rilancio dello stabilimento di Mirafiori si terrà il 13 e 14 gennaio. Lo si apprende da fonti sindacali, secondo le quali l'esito della votazione si potrà conoscere già nella serata di venerdì. I primi a votare sull'accordo raggiunto il 23 dicembre 1, non firmato dalla Fiom, saranno i lavoratori del turno di notte di giovedì 13, che comincia alle 22 e si chiude alle 6.00 di venerdì. Poi sarà la volta dei lavoratori del primo, dalle 6.00 alle 14.00, e del secondo, dalle 14.00 alle 22.00, di venerdì. Con tutta probabilità le urne si chiuderanno comunque prima delle 22.00 di venerdì e i risultati dovrebbero arrivare già in tarda serata. Nello stabilimento di Mirafiori sono occupate circa 5.000 persone e in quella settimana dovrebbero essere tutte al lavoro: non è prevista infatti cassa integrazione. E' il "referendum della paura", attacca Giorgio Airaudo, responsabile del settore auto della Fiom. E aggiunge: "La Fiat ha chiaramente premuto per anticipare il referendum. Dispiace che i sindacati che hanno firmato l'accordo abbiano ceduto a questa pressione. Non verranno fatte le assemblee per informare i lavoratori e il referendum sarà tra il 13 e il 14, come se si avesse fretta". Secondo Airaudo, "è grave perché si vuol far votare i lavoratori non informandoli, ma solo sulla loro paura". Lo trovo illegittimo, aggiunge, perché, al di là degli annunci propagandistici, "io non credo alla chiusura di Mirafiori". La Fiom però non chiederà ai lavoratori di disertare le urne, "per evitare l'istinto vendicativo della 'vecchia Fiat' e perché - ha detto ancora Airaudo - non bisogna perdere lo strumento democratico". L'invito al dialogo costruttivo rivolto ieri dal presidente Giorgio Napolitano 2, in merito alla vicenda Fiat è un appello che la Fiom fa da tempo, ribadisce il segretario generale Maurizio Landini, a margine di un attivo del sindacato a Napoli. "Bisognerebbe riaprire una trattativa vera perché è quello che non c'è stato, lo dimostra - ha detto - anche l'ultima posizione assunta da Marchionne. Da questo punto di vista, l'appello che arriva da chi è non solo il capo dello Stato ma anche da una persona che in questi anni ha dimostrato di avere molto a cuore i problemi della difesa e della applicazione della nostra costituzione merita ascolto". Da Giuseppe Farina, segretario generale di Fim Cisl, arriva un invito alla Fiom: "Tenga conto del risultato del referendum - dice Farina - , e in caso di affermazione dei sì, sottoscriva l'intesa; esattamente come farà la Fim che nel caso contrario ritirerà la firma dall'accordo, in quanto il referendum è uno strumento democratico decisionale e le scelte della maggioranza vincolano anche la minoranza. Altrimenti - aggiunge - chiamare al voto i lavoratori è perfettamente inutile". Fiom, per bocca del leader Maurizio Landini, continua invece a escludere ogni possibilità di firma anche tecnica e a ritenere il referendum illegittimo e fondato su un ricatto: vota sì o perdi il lavoro. E si fa sentire anche l'Associazione nazionale partigiani che chiede "condizioni di lavoro rispettose della dignità personale e delle esigenze materiali dell’individuo, libera rappresentanza sindacale". Principi che "devono guidare l’agire di coloro che in questi giorni hanno la responsabilità di decidere il futuro di migliaia di lavoratori: governo, Fiat, forze sindacali. Ogni passo che tenda a sovvertirli rischia di sovvertire lo stesso impianto democratico del Paese, che ad oggi ha sempre garantito stabilità e civile convivenza". "Chiamparino garante" - Le organizzazioni sindacali che hanno firmato l'accordo per Mirafiori, intanto, chiedono al sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, di fare da garante della consultazione con la propria presenza allo scrutinio. La richiesta è stata formulata oggi a Torino durante una conferenza stampa congiunta di Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Associazione Capi e Quadri, che si è svolta a Torino. "Serve - hanno detto i rappresentanti delle varie sigle - un garante autorevole per evitare che qualcuno parli di brogli elettorali". Cofferati: In piazza con la Fiom. La proposta della Camusso di firma tecnica all'accordo per il rilancio Mirafiori è resa impossibile da "un articolo dello statuto della Cgil ripreso poi dallo stesso statuto della Fiom: vieta esplicitamente all'organizzazione di presentare piattaforme o di firmare accordi lesivi dei diritti delle persone, i diritti sanciti dal contratto e dalla legge". E' netto il giudizio di Sergio Cofferati, ex segretario generale della Cgil e attuale eurodeputato del Pd, che sentito da 'MicroMega' 3 rimanda boccia la proposta della Camusso e annuncia il suo sostegno allo sciopero del 28 gennaio della Fiom. (05 gennaio 201
2011-01-04 NAPOLI Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo" Il presidente auspica il confronto e sottolinea la necessità che venga affrontato il nodo della rappresentanza sindacale. La Fiom alla Cgil: "Nessuna firma tecnica sull'accordo di MIrafiori". L'Idv aderisce allo sciopero del 28. Fiat spa corre in Borsa Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo" Susanna Camusso e Maurizio Landini * Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" articolo Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" * "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom articolo "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom NAPOLI - "C'è un rapporto difficile, un confronto che è diventato molto duro. Mi auguro che nelle relazioni industriali, oggetto di contenzioso alla Fiat, si trovi di nuovo un modulo più costruttivo di discussione". Così il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha risposto ai giornalisti sul fatto che il piano Marchionne sia stato ben accolto dai mercati ma sia molto discusso dai lavoratori. Secondo Napolitano "ci deve essere confronto", ma "tutte le parti in causa debbono riconoscere l'essenzialità di questo impegno ad aumentare la produttività del lavoro ai fini della competitività internazionale della nostra economia". Il rapporto tra lavoratori e vertici della Fiat in questo momento, dice Napolitano, "è difficile, un confronto che è diventato molto duro. Credo", aggiunge il capo dello Stato, "che nessuno possa negare che esiste un problema di bassa produttività nel lavoro. Però non è una questione legata esclusivamente al rendimento lavorativo delle maestranze. La produttività dipende in larga misura anche dall'innovazione tecnologica, dalle scelte di organizzazione del lavoro, e quindi ci deve essere un confronto e si deve assumere questo obiettivo. Tutte le parti in causa debbono riconoscere l'essenzialità di questo impegno ad aumentare la produttività del lavoro ai fini di competitività internazionale della nostra economia. Poi, il modo di affrontare questo problema, soprattutto il punto delle modifiche che ne possono derivare nelle relazioni industriali sono oggetto di contenzioso. Mi auguro che si trovi di nuovo un modulo più costruttivo di discussione". Il presidente ha anche commentato le dichiarazioni rilasciate dal ministro Sacconi a Repubblica sull'accordo inteconfederale del 1993: "Il ministro del lavoro dice nell'accordo del '93 erano sanciti diritti che bisogna fare salvi. Mi pare che questo sia un aspetto importante - ha detto Napolitano - . Per quanto siano cambiate le cose e si possa vedere quanto dell'accordo del '93 rimanga valido, però vi sono dei punti importanti che riguardano senza dubbio il diritto di rappresentanza, tutta una materia che ormai va affrontata". Fiom e Cgil divise - Intanto il caso Mirafiori resta una ferita aperta tra la Fiom e la Cgil. Maurizio Landini, segretario generale della federazione dei metalmeccanici, ha escluso nuovamente qualsiasi firma tecnica in caso di vittoria dei sì al referendum sull'accordo, come aveva ipotizzato dal segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, per salvare la rappresentanza Fiom nello stabilimento torinese: "Gli accordi si firmano o non si firmano - ha detto Landini in una conferenza stampa con Antonio Di Pietro - ; inoltre lo statuto della Cgil vieta di firmare accordi che sottraggono diritti ai lavoratori". Landini ha spiegato poi che l'incontro in programma domenica con i vertici della Cgil non riguarderà soltanto la questione Fiat, ma servirà a "mettere a punto iniziative complessive perchè gli accordi di Mirafiori e Pomigliano mettono in discussione l'esistenza l'esistenza stessa del sindacato confederale". Referendum il 13 e il 14 - Quanto al referendum sull'accordo sottoscritto da Fim e Uilm, con ogni probabilità si terrà giovedì 13 e venerdì 14 gennaio. Le date saranno ufficializzate stasera. Dal voto dei circa 5.800 lavoratori di Mirafiori sull'intesa, secondo le parole dell'ad Sergio Marchionne, dipenderà il rilancio dello stabilimento torinese in joint venture con Chrysler. Lunedì prossimo, le sigle firmatarie dell'intesa distribuiranno un volantino davanti ai cancelli della fabbrica per spiegare i contenuti dell'accordo. L'Idv sciopera - Di Pietro ha annunciato la partecipazione dell'Italia dei valori allo sciopero del 28 gennaio, accanto alla Fiom. "Chiediamo un tavolo unico in cui il governo chieda alla Fiat di mantenere la produzione in Italia anche offrendo incentivi e sgravi - ha detto Di Pietro - , ma dall'altra parte chieda all'azienda un passo indietro sull'attacco ai diritti costituzionali e fondamentali dei lavoratori". Poco più tardi è arrivata la frenata dal presidente dei deputati Idv, Massimo Donadi: "L'Italia dei valori - ammonisce Donadi - non può sposare acriticamente le posizioni della Fiom. Il prossimo esecutivo sarà l'occasione giusta per aprire un confronto sulla nostra posizione riguardo alla vicenda" Fiat. Fiat in Borsa - Intanto, in una giornata positiva per tutte le Borse europee, a Piazza Affari sono ancora protagonisti i titoli delo spin off del Lingotto, soprattutto Fiat spa che al giro di boa della giornata è arrivata a guadagnare oltre il 7%, mentre Fiat Industrial ed Exor segnano un leggero calo. (04 gennaio 2011)
"Ostentata prepotenza Fiat" l'appello di 19 intellettuali Un gruppo di docenti universitari denuncia in un appello pro Fiom "il carattere ricattatorio di Marchionne". Tra i firmatari: Revelli, D'Orsi, Vattimo e Cottino
Di fronte all’ostentata dimostrazione di prepotenza offerta in questi giorni dalla Fiat e di fronte ai contenuti dell’accordo da essa imposto per lo stabilimento di Mirafiori, riteniamo di non poter tacere. Non può essere taciuto il carattere esplicitamente ricattatorio, da vero e proprio Diktat, che pone i lavoratori, già duramente provati dalla crisi e dalla cassa integrazione, con salari tra i più bassi d’Europa, nella condizione di dover scegliere tra la messa a rischio del proprio posto e la rinuncia a una parte significativa dei propri diritti; tra la sopravvivenza e la difesa di condizioni umane di lavoro; tra il mantenimento del proprio reddito e la conservazione della propria dignità. E’ un’alternativa inaccettabile in una società che pretenda di rimanere civile e in un Paese che voglia continuare a definirsi democratico. Non può essere taciuto, d’altra parte, lo strappo – un vero e proprio scardinamento – che tale accordo introdurrebbe nell’intero sistema delle relazioni industriali in Italia, la sua aperta contraddizione con ampia parte del dettato costituzionale, a cominciare da quell’articolo 1 che proclama la nostra democrazia repubblicana "fondata sul lavoro" – cioè sul ruolo centrale del lavoro e della persona del lavoratore. Non può essere taciuta, infine, l’assoluta gravità della scelta FIAT di risolvere il proprio rapporto con la Confindustria, al fine di liberarsi dai vincoli stabiliti in sede di contrattazione nazionale, e di porre in essere un’odiosa forma di discriminazione sindacale in quella delicata e cruciale sfera che è costituita dalla rappresentanza nei luoghi di lavoro. L’esclusione della FIOM, l’organizzazione sindacale maggioritaria tra i lavoratori metalmeccanici torinesi, dagli organismi rappresentativi di fabbrica costituirebbe un’inaccettabile discriminazione, una prova di pesante arroganza aziendale e di preoccupante cecità imprenditoriale, a nostro parere intollerabili. Pur consapevoli della drammaticità delle scelte individuali, di chi è posto dinanzi a un brutale aut aut, e rispettosi di esse, esprimiamo il nostro sostegno e solidarietà a chi non ha rinunciato a difendere i diritti e le libertà conquistate a prezzo di duri sacrifici. Maria Vittoria Ballestrero Michelangelo Bovero Piera Campanella Alessandro Casiccia Amedeo Cottino Gastone Cottino Bruno Contini Giovanni De Luna Lucia Delogu Mario Dogliani Angelo D’Orsi Angela Fedi Riccardo Guastini Ugo Mattei Ernesto Muggia Marco Revelli Marcella Sarale Giuseppe Sergi Gianni Vattimo (04 gennaio 2011)
Cassa integrazione, un anno record l'Inps conferma: 1,2 miliardi di ore Rispetto al 2009, la crescita è stata del 31,7%. I segnali di ripresa dell'economia si notano dal calo deciso della cig ordinaria nel mese di dicembre, ma nel complesso pesa il boom della cig straordinaria e l'aumento di quella in deroga Cassa integrazione, un anno record l'Inps conferma: 1,2 miliardi di ore ROMA - Boom di ore di cassa integrazione nel 2010: le imprese italiane ne hanno chieste 1,2 miliardi, con un aumento rispetto al 2009 del 31,7% (erano state 914 milioni). Lo certifica l'Inps, confermando i calcoli della Cgil 1, precisando poi che il consumo effettivo delle ore nel corso dell'anno è stato simile a quello del 2009 poiché il "tiraggio" è stato di circa il 50% a fronte di un 70% nel 2009. Secondo l'Inps, a dicembre 2010 le ore di cassa integrazione autorizzate sono state 86,5 milioni, con un calo del 16,4% rispetto al dicembre 2009 e del 4,7% rispetto al mese precedente. Nel dicembre 2009 le ore autorizzate erano state oltre 103,4 milioni0. La flessione, afferma l'Inps, si manifesta in maniera particolarmente accentuata per quanto riguarda la cassa integrazione ordinaria (cigo). Nel dicembre 2009 erano state autorizzate 51,7 milioni di ore, contro i 21,4 milioni di dicembre 2010 (-58,5%), con un lieve aumento delle ore autorizzate rispetto a novembre 2010 (+3%). Sostanzialmente stabile il numero delle domande di disoccupazione e di mobilità. In questo caso i dati si fermano al mese di novembre: le 120mila domande di disoccupazione del novembre 2010 confermano quelle dello stesso periodo dello scorso anno, mentre le domande di mobilità sono passate da circa 6.800 nel novembre 2009 a meno di 6.000 nel mese scorso (-17,3%). "I dati della cig di dicembre confermano quella diminuzione delle richieste di autorizzazione manifestatasi già in novembre - sostiene il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua - ; molti osservatori attendevano proprio dal mese di dicembre un segnale che aiutasse a interpretare la tendenza del mese di novembre. Si tratta del quarto mese in cui si registra una flessione congiunturale delle autorizzazioni e per il secondo mese consecutivo si mostra invece addirittura un calo tendenziale delle autorizzazioni. Mi pare che la fine del 2010 fornisca dati interessanti per chi cerca segnali di reazione positiva da parte del mercato e del mercato del lavoro in particolare". Il maggior decremento negli interventi ordinari (-63,4% rispetto al dicembre dell'anno precedente) si registra nell'industria. La forte diminuzione è confermata anche su base annuale: -46,2% rispetto al 2009, mentre nell'edilizia si evidenzia una sostanziale stabilità tra le ore autorizzate nel dicembre 2010 e quelle autorizzate nello stesso mese dell'anno precedente (-1,7%). Ma se per la cassa integrazione ordinaria si può parlare dati positivi, la lunga coda della crisi si rivela nella cassa integrazione straordinaria (cigs), cresciuta a dicembre 2010 del 40,9% rispetto a un anno prima: le ore autorizzate sono state 43,2 milioni. E sono aumentati, su base annua, anche gli interventi in deroga (cigd), che hanno visto un incremento del 3,7%, mentre tra dicembre e novembre 2010 hanno registrato una flessione pari al 29,6%, passando da 31 milioni di ore autorizzate in novembre a 21,8 di dicembre. (04 gennaio 2011)
IL CASO Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" Nel giorno dello sdoppiamento del titolo, la Spa chiude a 7,02 euro e l'Industrial a 9. L'ad: "Fuori da Confindustria? Possibile ma non probabile. Ridicolo chiedere i dettagli del piano Italia". Poi l'ultimatum: "Se vincono i no salta Mirafiori". Landini: "Un ricatto, vuole un modello che non c'era neanche nel 1800" Fiat, la Borsa premia lo spin-off Marchionne: "Avanti senza la Fiom" MILANO - Nel giorno dell'esordio della doppia Fiat in Borsa, Sergio Marchionne lancia una serie di ruvidi attacchi contro la Fiom e i "provinciali" che gli chiedono conto del tanto annunciato (ma mai definito nei dettagli) "piano Italia" firmato dal manager del Lingotto. Una serie di affondi che salvano solo il governo Berlusconi che, assicura l'ad di Fiat, "ci ha appoggiati". Dura la replica del leader della Fiom Maurizio Landini, che parla di "ricatto" e di "modello che non c'era neanche nel 1800". Esordio in Borsa. Al termine di una giornata di grandi manovre, Fiat Industrial ha chiuso le contrattazioni del primo giorno di quotazione in crescita del 3,05% a 9 euro netti. Ancora meglio ha fatto Fiat spa, che è salito del 4,91% a 7,02 euro segnalandosi come il miglior titolo del paniere principale della Borsa di Milano. La somma dei valori dei due titoli (16 euro), entrambi quotati sul Ftse mib (Italcementi ha lasciato il posto a Fiat Industrial sul paniere principale), è superiore di oltre 50 centesimi rispetto alla chiusura di venerdì scorso (15,43 euro), ma inferiore alle attese di alcuni analisti che prevedevano un prezzo di 7,6 euro per le Spa e di 9,2 per le Industrial, per un totale di 16,8 euro. Il listino generale di Piazza Affari ha chiuso in crescita dell'1,30% 1. In rialzo tutti i mercati europei, grazie ai titoli dell'auto, spinti da Porsche, salita di circa il 15% dopo che negli Stati Uniti è stata rigettata una causa da due miliardi di dollari contro la casa tedesca. Piazza Affari. La doppia quotazione di Fiat Spa e Fiat Industrial in Piazza Affari rappresenta "una giornata storica per il gruppo e per Borsa Italiana" per Raffaele Jerusalmi, ad di Borsa Italiana, in apertura della seduta. "Ci aspettiamo un grande interesse per questa scissione - ha aggiunto - e siamo molto ottimisti". Marchionne. "Abbiamo il dovere di stare al passo con i tempi e di valorizzare tutte le nostre attività - ha detto da parte sua Marchionne, che per l'occasione è andata a Piazza Affari - Di fronte alle grandi trasformazioni in atto nel mercato non potevamo più continuare a tenere insieme settori che non hanno nessuna caratteristica economica e industriale in comune. Questo è un momento molto importante per la Fiat, perché rappresenta allo stesso tempo un punto di arrivo e un punto di partenza". Secondo l'ad del Lingotto l'operazione di scissione permetterà a Fiat e a Fiat Industrial di "focalizzarsi ognuna sul proprio business con obiettivi chiaramente identificati e riconoscibili dal mercato". Inoltre, continua Marchionne, la scissione "permetterà di avere un profilo ben definito e di dimostrare appieno il valore che altrimenti rischierebbe di rimanere in parte inespresso. E le lascia libere di seguire ognuna la propria strada in autonomia". L'ad su Mirafiori. Riguardo all'intesa firmata dai sindacati (con l'eccezione della Fiom) per lo stabilimentro di Mirafiori, Marchionne è stato categorico: "Se al referendum vincono i no, non faremo alcun investimento. A Mirafiori "Fiat non ha lasciato fuori nessuno. Se qualcuno ha deciso di non firmare non significa che io abbia lasciato fuori qualcuno: la Fiat ha bisogno di libertà gestionale". E ancora: "La Fiat è capace di produrre vetture con o senza la Fiom". Niente dettagli sul "piano fabbrica Italia", e promozione a pieni voti per l'esecutivo: "'Ho trovato molto incoraggiante l'atteggiamento del governo, che ci ha dato tutto l'appoggio necessario per portare avanti il discorso riconoscendo in quello che sta facendo Fiat una cosa buona per il Paese" E sul piano Italia: "Non facciamo i provinciali. Ridicolo chiederne i dettagli". La replica di Landini. "Siamo ai ricatti - ha commentato il leader della Fiom - o si fa quello che dico io, o me ne vado via. Il punto vero è capire se lui vuole fare davvero questo investimento". L'ad del Lingotto - ha aggiunto Landini in un'intervista al Tg3 - vuol far ricadere la responsabilità sui lavoratori se "non accettano di sparire, di non avere più diritti, di non avere più le pause, di essere licenziati, di non essere pagati se si ammalano, di non aver diritto a scegliere il sindacato che ritengono più opportuno". "Lui - ha concluso - vorrebbe portare in Italia un modello che non c'era neanche nel 1800". Marchionne sugli Usa e Confindustria. Fiat potrebbe aumentare la propria partecipazione nel capitale di Chrysler salendo fino al 51% già nel 2011 se il gruppo di Detroit nel frattempo approderà in borsa. "E' possibile - ha detto il manager italo canadese - che si salga sopra il 50% di Chrysler se Chrysler decide di andare in Borsa nel 2011. Possibile ma non probabile". Infine un accenno ai rapporti con Confindustria: "L'uscita della Fiat dall'associzione degli industriali? La vedo come possibile, ma non probabile. Fiat non può continuare ad essere condizionata". Fiom: "Urgente incontro con Cgil". La segreteria nazionale della Fiom-Cgil, riunita oggi, dal canto suo ha richiesto urgentemente "un incontro con la segreteria nazionale della Cgil, al fine di respingere il disegno messo in atto dalla Fiat". L'incontro dovrebbe servire a definire una via d'uscita dall'empasse tra le rappresentanze sindacali, evitando contrapposizioni tra la linea intransigente di Landini e quella più "realista" della Camusso in caso di esito positivo del referendum a Mirafiori. (03 gennaio 2011)
L'INTERVISTA Sacconi: "L'accordo del 1993 è morto ma i diritti non sono stati svenduti" Il ministro; "Per tutelare i lavoratori c'è la legge, basta ideologie. L'intesa realizzata da Marchionne non è né di destra né di sinistra ma rientra nei doveri di un buon manager". "I nuovi patti sanciscono la fine di un controllo sociale rigido sull'organizzazione del lavoro" di ROBERTO MANIA Sacconi: "L'accordo del 1993 è morto ma i diritti non sono stati svenduti" ROMA - "L'accordo del 1993 è morto", dice Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro, guardando alla svolta impressa nelle relazioni industriali da Sergio Marchionne. L'ad della Fiat ha fatto cadere l'ultimo tassello, quello della rappresentanza sindacale, "perché - aggiunge Sacconi - quell'intesa, già debole in partenza, è stata svuotata autonomamente dalla maggioranza delle parti sociali e sostituita con il nuovo sistema di contrattazione nel 2009". Marchionne considera "offensivo" chiedergli conto del progetto Fabbrica Italia. Ma non è legittimo voler conoscere, visti gli interessi coinvolti, le prospettive del nostro più grande gruppo industriale? Sono sufficienti le parole di Marchionne? "Il progetto Fabbrica Italia è stato declinato da Marchionne in più sedi, anche istituzionali, ed è evidente che esso rappresenti un "work in progress" con gli andamenti del mercato. Ma ha una caratteristica come premessa: saturare tutti gli impianti produttivi al netto di quelli di Termini Imerese e di Imola. Viene confermata la validità e la vitalità degli stabilimenti attraverso un sistema di relazioni industriali che ne consente la piena utilizzazione. Penso che Marchionne ritenga offensivo quel sospetto continuo circa le sue buone intenzioni nel momento in cui i fatti si sono finora incaricati di renderle credibili. C'è un'Italia dalla bocca storta a cui danno fastidio i fatti anche quando due più due fa quattro. È un'Italia che non può sorprendersi di essere minoritaria perché i più avvertono il dovere di essere ottimisti, quanto meno della volontà". Anche a scapito dei diritti dei lavoratori? "Questo è davvero offensivo per tutti coloro che si sono assunti le responsabilità in questa vicenda. Ma si può davvero pensare che Cisl, Uil, Ugl e Fismic abbiano fatto un accordo svendendo i diritti dei lavoratori? Bisogna avere rispetto per le reciproche posizioni. I diritti sono regolati dalle leggi. I contratti li possono promuovere o sostenere con le tutele". Però a Pomigliano e Mirafiori non si potrà scioperare proprio contro questi accordi. "Non è vero. La vera novità di questi accordi è che finisce il tempo del rigido controllo sociale della produzione". Cosa vuol dire? "Significa che i cambiamenti nell'organizzazione del lavoro e della produzione sono imposti dall'andamento del mercato. Questo nell'interesse dell'azienda e dei lavoratori". Ma questa non è la fine del sindacato? "Questa è la fine di un controllo sociale rigido sull'organizzazione del lavoro e della produzione". Cioè l'impresa che vince sui lavoratori? "È la vittoria di entrambi perché il sindacato moderno non ha problemi a mettere in gioco la maggiore flessibilità organizzativa dell'azienda in cambio di occupazione e salario. Non ci sono più interessi divergenti, gli interessi sono condivisi. E devono esserlo le fatiche come i risultati. Questa è la fuoriuscita dall'ideologia che ha realizzato la bassa produttività e i bassi salari. Che ora devono crescere con la maggiore produttività e la minore tassazione voluta dal governo". È moderno il fatto che i lavoratori iscritti alla Fiom non avranno più i propri rappresentanti sindacali a Mirafiori? Le sembra democratico che i rappresentanti non siano scelti dai lavoratori ma indicati dai sindacati che hanno firmato? "Ciascuno continuerà iscriversi al sindacato che vorrà e a scegliere i propri rappresentanti. Le modalità di funzionamento di una democrazia possono essere diverse e oggi sono ampiamente garantite dallo Statuto dei lavoratori. Chi firma un accordo può anche stabilire canali di comunicazione privilegiati, ma questo non impedisce agli altri di organizzarsi dentro e fuori i luoghi di lavoro". La Fiom resterà fuori. Non è la stessa cosa. "Resta la libertà di associazione sindacale. Poi, auspico che in futuro si trovi un nuovo accordo sulla rappresentanza sindacale". Perché si ostina a non intervenire con una legge sulla rappresentanza? L'unità sindacale non c'è più. Non spetta alla politica assumersi la responsabilità di affrontare un tema che riguarda la democrazia? "Perché quello della legge sarebbe un atto sgradito a tutti tranne che alla Cgil. Poi verrei meno a una mia dichiarata convinzione di sussidiarietà verso le parti sociali nella loro duttile capacità di adattarsi reciprocamente". Marchionne, per i valori che esprime e per il modo con il quale li manifesta, è un uomo di destra? "Credo che Marchionne considererebbe offensiva anche questa domanda. È una domanda da mondo antico. Non è né di destra né di sinistra realizzare un investimento, raccogliere sul mercato le risorse, garantire reddito e occupazione ai lavoratori e un ritorno agli azionisti. È il dovere di un buon manager in ogni latitudine geografica e politica". (04 gennaio 2011)
Mercato auto, crollo record Meno 22 per cento a dicembre La difficoltà ormai appare cronica. Il 2010 è stato il peggiore degli ultimi 14 anni. E per il 2011 le stime sono ancora negative: gli ordini sono scesi del 40 per cento. La Fiat perde quote di mercatodi VINCENZO BORGOMEO Mercato auto, crollo record Meno 22 per cento a dicembre * Dossier * LE TABELLE (PDF) Sempre più giù: il mercato dell'auto continua a lanciare segnali preoccupanti. Nel solo mese di dicembre il calo delle vendite in Italia è stato del 21,7%, con 130.319 nuove immatricolazioni, contro le 166.461del dicembre 2009. Un trend già annunciato, ma che a questo punto appare infinito visto che a novembre le immatricolazioni avevano registrato in Italia un calo del 21,13% a 145.198 unità. La situazione insomma è pesante, molto più di quanto non appaia perché alla fine il 2010 chiude con una flessione del 9,2%, a fronte di 1.960.282 nuove immatricolazioni, contro i 2.159.464 registrati nel 2009. Una perdita tutto sommato accettabile, ma in realtà mascherata: nei primi mesi dell'anno la coda degli incentivi ha falsato i dati di vendita, "contando" nel 2010 vendite in realtà fatte nel 2009. Nel 2010 così si sono ufficialmente vendute 1.960.282 auto, non certo poche. La realtà però è ben diversa. "La vera cartina di tornasole dello stato di salute del mercato è infatti bilancio degli ordini - spiegano all'Unrae, l'associazione costruttori esteri - e qui si parla di una contrazione di oltre il 40% rispetto al dicembre dell'anno precedente". Come finirà? Facile prevederlo: il bilancio dei contratti raccolti nell'intero anno è di circa 1.775.000 ordini, questo significa che c'è una perdita netta di un quarto degli ordini raccolti nel 2009 (-25%). Facile prevedere come finirà... "I dati riferiti agli ordini confermano la fase di debolezza della domanda - commenta infatti Gianni Filipponi, direttore Generale dell'Unrae - è caratterizzata da un inevaso di fine anno di circa 200.000 unità, molto inferiore a quello che storicamente si registra a conclusione di anno. Ovviamente, ciò fa prevedere un avvio del 2011 non molto diverso rispetto alla parte finale dell'anno appena concluso. Questo, unitamente alle contenute aspettative di crescita per il 2011, già riviste al ribasso dal Centro Studi Confindustria, ci induce a confermare la nostra previsione di 1.850.000 immatricolazioni per l'anno appena iniziato". Così si scopre che - secondo un calcolo del Centro Studi Promotor, il 2010 è il peggiore dall’inizio della crisi ed è anche il peggiore degli ultimi 14 anni, ma "in mancanza del sostegno degli incentivi nel primo trimestre sarebbe stato ancora più negativo in quanto le immatricolazioni si sarebbero attestate intorno a quota 1.840.000". E la Fiat? Ovviamente è negativo anche il risultato di Fiat Group Automobiles, e non potrebbe essere altrimenti visto che un terzo del mercato è appannaggio delle auto del colosso torinese: in tutto il 2010 FGA ha immatricolato oltre 589 mila vetture rispetto alle 707 mila dell'anno precedente, con un calo dei volumi pari al 16,7 per cento. La quota del 2010 è stata del 30,1 per cento, 2,7 punti percentuali meno del 2009. Per quanto invece riguarda i dati di dicembre, FGA ha immatricolato quasi 39 mila vetture - il 26,4 per cento in meno in confronto al 2009 - ottenendo una quota del 29,7 per cento, 1,9 punti percentuali in meno rispetto a dicembre 2009. Se però si confronta il risultato di dicembre con quello dei mesi precedenti, viene messo in evidenza un positivo trend di crescita: infatti, in novembre la quota era stata del 28,5 per cento e in ottobre del 27,5 per cento. Un buon segnale - si spera - per il futuro.
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IL COMMENTO Così rischiamo di minare le radici della democrazia Le centinaia di lavoratori che occupano la fabbrica senza macchine perché sono state spedite all'estero, fanno lo sciopero della fame, bloccano l'autostrada. Democrazia è la possibilità di avere voce nelle decisioni che toccano la propria vita, partecipare in qualche misura ad esse, poter discutere del proprio destino; magari per accettarlo, alla fine, anche se ingrato di LUCIANO GALLINO Così rischiamo di minare le radici della democrazia I lavoratori della Eaton di Massa "QUI c'è un problema serio di rapporto tra il capitale e la democrazia". Non lo ha detto uno dei soliti sindacalisti che, a quanto si legge, ostacolano la modernizzazione produttiva. Ma il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, in un'assemblea con i lavoratori della Eaton di Massa svoltasi poco prima di Natale. Trecento persone che dopo due anni di cassa integrazione hanno ricevuto a metà ottobre 2010 altrettante lettere di licenziamento. Forse perché l'azienda era invecchiata, le sue tecnologie superate, i prodotti rifiutati dal mercato? Niente affatto. La Eaton produceva componenti avanzati per motori d'auto, venduti ai maggiori costruttori europei, con buoni margini di utile. Ma è successo che nell'Ohio, sede dell'azienda madre, qualcuno ha fatto due calcoli e ha scoperto che in Polonia si possono produrre gli stessi componenti a un costo inferiore. Si sa, laggiù costa tutto meno: il lavoro, i terreni, i servizi. Quindi il management ha deciso di chiudere lo stabilimento di Massa e spostare la produzione in quel paese. Gli azionisti apprezzeranno. È un'azione di chiara razionalità economica, si dirà. Che c'entra la democrazia? La risposta sta in quelle centinaia di lavoratori che occupano la loro fabbrica senza macchine perché sono state spedite all'estero, che fanno lo sciopero della fame, bloccano per qualche ora l'autostrada. Democrazia è la possibilità di avere voce nelle decisioni che toccano la propria vita, partecipare in qualche misura ad esse, poter discutere del proprio destino; magari per accettarlo, alla fine, anche se ingrato. A modo loro, quei lavoratori ripropongono un detto che ebbe peso agli esordi stessi della democrazia: siamo tanti, non contiamo niente, vorremmo contare qualcosa. Ci ricordano pure che c'è qualcosa di profondamente distorto in un sistema economico e politico che separa il lavoro dalla persona. Il primo è considerato una merce che un'impresa ha pieno diritto di comprare al prezzo che le conviene, o buttare da parte perché non serve più. La seconda è un essere umano che ha una storia, sentimenti, rapporti familiari, desideri, amicizie, un senso di dignità. È possibile, dobbiamo chiederci, che dinanzi al rischio di restare senza lavoro, che significa anche perdere gran parte dell'identità di persona perché la società intera è stata costruita attorno all'idea di lavoro retribuito, nessuno in pratica abbia il diritto riconosciuto di discutere se ci sono soluzioni possibili, altre strade meno impervie, di affermare che una razionalità economica che non lascia nessuna voce agli interessati al di fuori degli azionisti è una forma di irrazionalità che sta minando alle radici la democrazia? Bisogna dire che nel caso particolare della Eaton il comune e la regione, insieme con i sindacalisti e un certo numero di politici, sono stati ad ascoltare la voce dei lavoratori. Hanno formulato controproposte alla casa madre, hanno messo sul tavolo capitali per mantenere anche in altre forme la produzione industriale nell'area. Finora le risposte della società dell'Ohio, per la quale lo stabilimento di Massa, Italia, è forse solo un paio di pixel sullo schermo dei computer centrali, sono state in prevalenza negative. Si può sperare vi sia ancora qualche margine per ottenere ulteriori sostegni al reddito, e recuperare un'attività produttiva che ridia prospettive di occupazione stabile agli ex dipendenti. Ma l'occupazione da parte degli operai della fabbrica svuotata delle sue macchine pone la politica, e tutti noi, dinanzi a una questione che il prosieguo della Grande Crisi farà diventare sempre più impellente. C'è un problema generale di rapporto tra capitale e democrazia, che non si risolverà anche se qui e là si porrà rimedio a problemi locali. (04 gennaio 2011)
2011-01-01 FIAT "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom Il leader delle tute blu torna sugli accordi separati per Pomigliano e Mirafiori. E al Pd manda a dire: "Non avete capito la portata di quanto è accaduto, stanno cercando di cancellare il sindacato più rappresentativo" "Ma quale isolamento, è solo propaganda" Landini rivendica la battaglia della Fiom Il segretario della Fiom Maurizio Landini ROMA - Il 2011 sarà un anno di aspro confronto e di battaglie sindacali, non certo di isolamento e marginalità. Ne è convinto il leader della Fiom Maurizio Landini che in un'intervista all'agenzia Agi torna sugli accordi separati per gli stabilimenti di Mirafiori e Pomigliano. "La Fiom non è isolata - dice il segretario dei metalmeccanici della Cgil - Un sindacato è isolato quando non rappresenta più i lavoratori. Ma noi stiamo aumentando gli iscritti e i delegati che abbiamo nelle fabbriche". Landini spiega nuovamente l'interpretazione data dalla Fiom alle ultime scelte della Fiat. Un giudizio talmente negativo da spazzare via anche le obiezioni e le critiche mosse dal Pd all'oltranzismo delle tute blu. "Sarebbe utile - spiega il sindacalista - che le forze politiche valutassero fino in fondo la portata di quello che è avvenuto. Nella storia della nostra Repubblica non è mai successo che si facciano degli accordi con i quali si cancella il contratto nazionale e la presenza dei sindacati rappresentativi. La Fiom, nel settore metalmeccanico e anche alla Fiat, è il sindacato maggiormente rappresentativo come iscritti e come voti. Che si arrivi a un accordo in cui le persone che lavorano non hanno nemmeno più il diritto di eleggere i propri delegati, credo che sia di una gravità senza precedenti". La vera posta in gioco, secondo Landini, è che "siamo di fronte a un tentativo di cancellare un sindacato con un accordo separato". Quanto alle preoccupazioni per una possibile nuova fase di tensione nelle fabbriche, il sindacalista risponde: "L'unico modo per ricostruire un percorso unitario è mettere nelle condizioni le persone che lavorano - iscritte o non iscritte - di poter decidere sulla loro condizione. La democrazia è oggi lo strumento che serve. Dovrebbe preoccupare il governo e chi fa politica il fatto che la maggioranza dei cittadini o non va a votare o pensa che siano tutti uguali. Questo dovrebbe essere un punto di riflessione: forse non è la gente che non ha capito, ma c'è qualcosa che non funziona". Secondo Landini "l'elemento della democrazia sui luoghi di lavoro e fuori sarebbe davvero la vera scommessa su cui lavorare per recuperare una coesione sociale. Il conflitto si evita se si accetta che la contrattazione tra le parti è una mediazione di interessi". Nella riflessione del leader Fiom non mancano poi nuove, forti, recriminazioni verso Fim e Uilm, le sigle metalmeccaniche di Cisl e Uil che gli accordi di Mirafiori e Pomigliano li hanno invece sottoscritti. "Stanno cambiando la loro natura - dice Landini respingendo anche le critiche di chi accusa il suo sindacato di fare politica e non accordi per i lavoratori - E' propaganda che si fa per coprire le scelte gravissime della Fiat. Trovo che sindacati confederali con la storia che hanno, e che assieme a noi in questo Paese negli anni passati hanno contribuito a conquistare il contratto e dei diritti, hanno ceduto a un ricatto e stanno cambiando la loro natura. Questo è un elemento sbagliato e preoccupante". Per Landini "dicendo sempre di sì alla Fiat non solo non si fa il bene dei lavoratori, ma nemmeno il bene del Paese e dell'azienda". "Noi - aggiunge - non firmeremo mai degli accordi che cancellano altri sindacati, perché queste divisioni servono solo alle imprese. Noi siamo un sindacato, quello che firma più accordi di tutti. Fare sindacato non vuol dire semplicemente dire di sì. Abbiamo un'idea alta del sindacato e della sua autonomia dalle imprese, dai partiti e dai governi. Il sindacato deve costruire un suo punto di vista insieme ai lavoratori e confrontarsi alla pari con tutti. La politica mi sembra che la stia facendo qualcun'altro". La partita con la Fiat per il segretario della Fiom comunque è ancora aperta. "Che possa andare avanti" nel suo progetto anche senza la Fiom "non è certo". "Vediamo dove va e fin dove arriva. Io ho l'impressione che voglia andare negli Stati Uniti e dovrebbero essere preoccupati tutti quelli che pensano che con questi accordi si è mantenuta la Fiat in Italia e che si sono fatti grandi passi in avanti". Sui programmi di politica industriale in questi mesi non si è discusso affatto, sottolinea: "Si sbandierano 20 miliardi di investimenti, ma per adesso conosciamo solo quello che vogliono fare con 1,7 miliardi dal 2012 e nel frattempo la cassa integrazione aumenterà, i nuovi modelli sono in ritardo e i concorrenti sono più avanti proprio su questo terreno". La prima risposta messa in campo dalle tute blu della Cgil è lo sciopero generale di 8 ore del 28 gennaio. "Non credo che sarà sufficiente, ma - spiega ancora Landini - non è rivolto solo alla Fiat. E' rivolto anche al resto delle imprese metalmeccaniche italiane che deve decidere cosa vuol fare: se vuole seguire la linea della Fiat, che è un atto di rottura con la storia della nostra Costituzione e contro le regole democratiche, oppure no". (01 gennaio 2011)
2010-12-30 IL RETROSCENA Con le newco del Lingotto arriva il Big Bang sindacale Cremaschi: Cisl e Uil vergognose. La replica: istiga violenza. Accornero: "Il principio di esclusione sancisce la fine di un sistema di rappresentanza" di ROBERTO MANIA Con le newco del Lingotto arriva il Big Bang sindacale Un'assemblea della Fiom Eccola la "conventio ad excludendum" sindacale. Arriva a Pomigliano e a Mirafiori, alle newco, come si dice, modellate da Sergio Marchionne secondo i dettami dell'impresa globale, senza più bandiera e territori. Ma anche senza più conflitto perché chi non condivide - appunto - è fuori, senza rappresentanti, senza diritti sindacali. Normalizzazione. Non era mai successo che un accordo firmato solo da alcuni sindacati servisse anche ad escludere un altro sindacato, nel caso specifico la Fiom che pure resta l'organizzazione con più iscritti tra i metalmeccanici. Sindacati contro sindacati. "E' la fine di un sistema di rappresentanza. E' davvero un terremoto, un'esplosione", sostiene Aris Accornero, sociologo dell'industria alla Sapienza di Roma. E per tanti versi è una terra incognita quella che attende Cgil, Cisl e Uil, ma pure la stessa Confindustria alla quale le due newco non sono per ora iscritte. Dopo la concertazione, va in soffitta anche il modello di rappresentanza sindacale pensato nel 1993, che consentiva a tutti, senza per forza dover firmare i contratti ma raccogliendo almeno il 5 per cento delle firme tra i lavoratori, di concorrere alle elezioni per le Rsu (le rappresentanze sindacali unitarie). Senza l'adesione alla Confindustria, la Fiat-Chrysler non è tenuta al rispetto di questa norma e dunque si affida a una rigida interpretazione dell'articolo 19 del vecchio Statuto dei lavoratori del 1970: chi non firma i contratti collettivi non ha diritto a rappresentanti sindacali. La Fiom - "kafkianamente", dice Accornero - fatta fuori proprio dallo Statuto. Possibile, ma non scontato, perché già Gino Giugni, padre dello Statuto, aveva sottolineato la differenza tra noi, dove si è rappresentativi nel contesto complessivo, e proprio gli Usa dove conta invece solo la singola unità aziendale. Noi non siamo l'America che vuole Marchionne. Così è facile prevedere che lo scontro si trasferirà anche nelle aule dei tribunali. Perché nemmeno i Cobas nei trasporti o nella stessa Fiat, o la Cisnal, sindacato della destra divenuto Ugl, sono mai stati esclusi. Ancora Accornero: "Il principio dell'esclusione è una novità per i sindacati". Quella nel pianeta Fiat, dunque, rappresenta una radicale - storica - frattura tra i grandi sindacati italiani. Rottura tutta sindacale, dove la politica fa da contorno, talvolta balbettando formule stereotipate, ma nulla di più. Non si ripete né lo scontro dell'84 sulla scala mobile dove fu soprattutto la politica, con il decreto di San Valentino del governo Craxi, a dettare le divisioni, né quello più recente del 2002 sul "Patto per l'Italia" dove Berlusconi, d'intesa con la Confindustria di Antonio D'Amato, tentò di isolare la Cgil di Sergio Cofferati asserragliata a difesa dell'articolo 18 che protegge i licenziamenti senza giusta causa. I contorni del campo disegnato da Marchionne sono oggi tutti sindacali: l'organizzazione del lavoro, i turni, le pause, gli straordinari, lo sciopero ma soprattutto la rappresentatività sindacale. E forse proprio per questo le accuse reciproche tra le sigle sindacali sono gravi, violente. Non c'è più l'unità d'azione tra Cgil, Cisl e Uil ma nemmeno una normale competizione. Non ci sono più le regole. Il presidente del Comitato centrale della Fiom, Giorgio Cremaschi, che solo qualche mese fa ha scritto "Il regime dei padroni. Da Berlusconi a Marchionne", è andato giù durissimo. Lui rappresentante dell'ala estrema della Fiom, quella del conflitto sociale permanente, di un sindacato-movimento che affida alla Fiom il ruolo di una sorta di "partito del lavoro" dopo la diaspora degli eredi del Pci: "Angeletti e Bonanni sono la vergogna del sindacalismo italiano. Sono fuori dalla cultura democratica sindacale dell'Italia costituzionale. Per noi non contano più niente". Espressioni, anche queste, senza precedenti che Maurizio Landini, segretario della Fiom, non ha pronunciato ma dalle quali non ha nemmeno preso le distanze. Perché Landini di fatto le condivide. Sono entrambi eredi di Claudio Sabattini, che fu "travolto" nell'80 dalla sconfitta proprio alla Fiat dopo i 35 giorni di occupazione di Mirafiori, e poi risalì fino a raggiungere il vertice della Fiom, teorizzando "l'indipendenza" dei metalmeccanici anche dalla Cgil. "Quella di Cremaschi è istigazione alla violenza", secondo il numero due della Cisl, Giorgio Santini. E Paolo Pirani, segretario confederale della Uil, con tessera del Pd: "La Fiom si configura come un movimento politico di antagonismo sociale con precise interlocuzioni nazionali verso le fasce più estreme dei centri sociali e con precisi collegamenti internazionali verso i movimenti del radicalismo ecologista e della cosiddetta resistenza palestinese". Parole da anni Settanta, da anni di piombo. Sindacati contro sindacati. Ma pure nella Fiom si consuma una battaglia difficile. La minoranza guidata da Fausto Durante e sostenuta anche dal segretario generale Susanna Camusso si è astenuta ieri sulla decisione dello sciopero. Poi ha proposto la "firma tecnica" all'accordo per Mirafiori se nel referendum tra i lavoratori dovessero prevalere i "sì". Landini resiste. E la Camusso punta ad un accordo in tempi brevi sulla rappresentanza sindacale. Perché questa volta c'è un destino parallelo tra Cgil e Confindustria. (30 dicembre 2010)
IL COMMENTO Il sistema Marchionne di MASSIMO GIANNINI Nel Paese degli opposti estremismi, il caso Fiat è diventato un paradigma della Modernità. Sedicenti leader sindacali lo usano con poca prudenza: una clava da brandire contro i "padroni", rispolverando un conflitto di classe irripetibile e rievocando un clima di fascismo improponibile. Ma sedicenti pensatori liberali lo usano con poca conoscenza: una pietra angolare del riformismo, da lanciare contro tutti i conservatorismi. Pomigliano e Mirafiori si impongono nel discorso pubblico come luoghi-simbolo di ogni cambiamento, non solo industriale. Secondo questa chiave di lettura, conservatrici sono quelle migliaia di operai che non si adattano all'idea di veder ridotto il perimetro dei diritti e peggiorato il modo della produzione. Conservatrici sono quelle casamatte della sinistra sindacale che non si rassegnano alla dura legge del mercato globale. Conservatrici sono quelle trincee della sinistra politica che non scorgono nella trasformazione post-fordista della fabbrica l'opportunità di riscrivere il proprio decalogo di valori. Conservatrici sono persino quelle frange della rappresentanza confindustriale, con modelli di relazioni solide nel settore pubblico delle public utilities e collaudate nel settore privato delle piccole imprese, che non capiscono la chance irripetibile offerta dalle vertenze-pilota aperte dal Lingotto. Chi non accetta la "dottrina Marchionne" è dalla parte sbagliata della Storia. Quasi a prescindere. E così, per sconfiggere l'ideologia delle vecchie sacche di resistenza corporativa, si adotta un'ideologia uguale e contraria: quella delle nuove avanguardie della "modernizzazione progressiva". Questa impostazione del problema Fiat deflagra in modo potente, e patente, con l'ennesima firma separata prima sugli accordi per Mirafiori e ora sulla riapertura di Pomigliano. Pochi ragionano sui contenuti degli accordi. Molti si preoccupano di giudicare i torti della Fiom che ancora una volta si è sfilata dal tavolo. La si può raccontare come si vuole. Ma in questa vicenda ci sono due dati di fatto, oggettivi e incontrovertibili. Il primo dato: l'accordo di Pomigliano doveva essere un'eccezione non più ripetibile. Si è visto ora a Mirafiori che invece quell'eccezione, dal punto di vista della Fiat, deve diventare la regola. Chi ci sta bene, chi non ci sta è fuori da tutto, dalla rappresentanza e dunque dall'azienda. Il secondo dato: questo accordo è obiettivamente peggiorativo della condizione di lavoro degli operai e della funzione di diritto del sindacato. Si può anche sostenere che non c'erano alternative, e che firmare era la sola opzione consentita, per evitare che la Fiat smobilitasse. Tuttavia chi oggi parla di "svolta storica" abbia il buon senso di riconoscere che si è trattato di una firma su un accordo-capestro basato su un ricatto. Legittimo, per un'impresa privata. Ma pur sempre ricatto. Per questo c'è poco da brindare di fronte al passo compiuto dal nostro sistema di relazioni industriali verso la "terra incognita" indicata da Marchionne. Per questo fanno male i modernizzatori, che inneggiano agli accordi separati di Mirafiori e Pomigliano come se si trattasse degli accordi di San Valentino dell'84 (quelli sì, davvero storici) che troncarono il circolo vizioso del "salario variabile indipendente" e salvarono l'Italia dalla vera tassa occulta che falcidia gli stipendi, cioè l'inflazione. La verità è che in questa partita quasi tutti i giocatori usano carte false o fingono di avere carte che non possiedono. Il giocatore che non ha carte da giocare è il governo. Berlusconi non è Craxi, e Sacconi non è Visentini. Questo governo non è stato capace di mettere in campo uno straccio di proposta, né sulle misure per la competitività del sistema né sulla legge per la rappresentanza: ha saputo solo gettare benzina ideologica sul fuoco delle polemiche. Il giocatore che non ha carte da giocare è anche il Pd, che sa solo dividersi e non sa capire che l'unico metro per misurare il suo tasso di riformismo sta nel proporre un'agenda alternativa e innovativa per la crescita del Paese, un progetto per l'occupazione, per la produzione del reddito e per la sua redistribuzione. E sta nel riconoscere i diritti, uguali e universali, nel difenderli dove e quando serve, rinunciando a tutto il resto. Il giocatore che usa carte false è il sindacato. La Fiom ha le sue colpe, per non aver saputo accettare il confronto con solide controproposte e non aver voluto prendere di petto il drammatico problema dell'assenteismo nelle fabbriche. La Cgil ha le sue ambiguità, per non aver potuto ricondurre a unità la sua dialettica interna, ancora dominata da una logora "centralità metalmeccanica". Ma Cisl e Uil che si gridano "vittoria" spacciano carte false. Bonanni e Angeletti porteranno a lungo sulla coscienza una gestione gregaria dei rapporti con la politica e con la Fiat, e un accordo che per la prima volta riconosce il principio che chi non accetta i suoi contenuti non ha più diritto di rappresentanza sui luoghi di lavoro. C'è poco da festeggiare, quando peggiorano le condizioni di lavoro e si comprimono gli spazi del diritto, a meno che non ci si accontenti di monetizzare tutto questo con 30 euro lordi di aumento mensile. Il giocatore che bluffa, infine, è Sergio Marchionne. Ha il grande merito di aver salvato la Fiat quando il gruppo era a un passo dalla bancarotta, e di aver lanciato il gruppo da una proiezione domestica a una dimensione finalmente sovranazionale, grazie all'accordo con Chrysler. Ma ora il "ceo" col golfino e senza patria, l'inafferrabile manager italo-svizzero-canadese che vive "tra le nuvole" (come il George Clooney dell'omonimo film) in transito perenne tra il Lingotto e Auburn Hill, ha il dovere della chiarezza. Verso il Paese e verso i lavoratori. C'è una questione di merito. Nessuno ha ancora capito cosa ci sia nel piano-monstre Fabbrica Italia: quali e dove siano indirizzati i nuovi investimenti, quali e quanti siano i nuovi modelli di auto che il gruppo ha in programmazione, dove e come saranno prodotti. Nessuno ha ancora capito di cosa parla l'azienda quando esalta, giustamente, la via obbligata del recupero di produttività. Con le condizioni pessime nelle quali versa il Sistema-Paese, c'è davvero qualcuno pronto a credere che questa sfida gigantesca si vince riducendo le pause di 10 minuti al giorno, o aumentando gli straordinari di 80 ore l'anno? E' vero che in Germania e in Francia le pause sono già da tempo minori che in Italia. Ma solo un cieco può non vedere che Volkswagen e Renault hanno livelli di produttività giapponesi, macinano utili e aumentano quote di mercato grazie all'innovazione di prodotto e di processo, prima ancora che all'incremento dei tempi di produzione. C'è poi una questione di metodo. Dove porta questa volontà pervicace e quasi feroce di mettere fuori gioco la Cgil, con piattaforme divisive che servono solo a spaccare il fronte confederale? Dove porta questa necessità di disdettare il contratto dei meccanici e di uscire da Confindustria? Si dice che Marchionne punti a un modello di relazioni industriali all'americana, dove il parametro è Detroit e non più Torino. Probabilmente è così. Ma questo tradisce una volta di più i contenuti veri del Lodo Fiat-Chrysler. Non è la prima che ha comprato la seconda, com'è sembrato all'inizio. Ma in prospettiva sarà la seconda ad aver comprato la prima, nello schema classico del "reverse take-over". Uno schema che non prevede compromessi. Il modello è il capitalismo compassionevole degli Stati Uniti, non più il Welfare universale della Vecchia Europa. Se vi sta bene è così, altrimenti il Lingotto se ne va. Questa è la vera posta in palio del caso Fiat. Alla faccia della Modernità. m.gianninir@epubblica. it (30 dicembre 2010)
2010-12-29 VEDI il CONFRONTO delle PAUSE ORARI AZIENDE AUTOMOBIL. EUIL CASO Fiat, ore decisive per Pomigliano Su Mirafiori sinistra divisa Dopo l'intesa raggiunta su Mirafiori, l'azienda e i sindacati (esclusa la Fiom) si sono ritrovate per discutere del nuovo contratto di lavoro. Di Pietro: "A Mirafiori violata la Costituzione". Vendola: "Bavaglio per chi non si allinea". E il Pd? Fassino: "Fossi un operaio voterei sì" Fiat, ore decisive per Pomigliano Su Mirafiori sinistra divisa ROMA - "Ci sono novità e miglioramenti importanti rispetto al contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici". Il segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo, commenta così l'esito del primo incontro tra Fiat e sindacati, a Roma, sul nuovo contratto di lavoro per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco. Il tavolo è aggiornato alle 11. "L'intento - dice Di Maulo - è di chiudere domani in serata". Dopo l'intesa raggiunta su Mirafiori 1, l'azienda e i sindacati (esclusa la Fiom che non ha sottoscritto l'accordo di giugno 2) si sono ritrovati oggi per discutere del nuovo contratto di lavoro: verranno riassunti i 4.600 lavoratori dello stabilimento che produrrà la nuova Panda. Sul nuovo testo potrebbe essere trovata un'intesa entro la fine dell'anno. Una volta definito il contratto della newco, la Fiat darà il via alle assunzioni dal 2011. Il tavolo dovrà concordare anche i parametri per salario, orario e scatti d'anzianità. Per domani, intanto, è stata convocata la riunione di un comitato straordinario della Fiom. Che si preannuncia calda. Ieri, Giorgio Cremaschi ha sollecitato la Cgil 3 a indire uno sciopero generale. Oggi il coordinatore nazionale dell'area di minoranza della Cgil, Gianni Rinaldini, ha chiesto "la convocazione urgente e straordinaria del direttivo nazionale". E domano il leader dei metalmeccanici della Cgil, Maurizio Landini, che oggi ha riunito la segreteria, porterà le sue proposte ad un Comitato centrale riunito di urgenza dopo l'accordo per Mirafiori, che impone una accelerazione verso sciopero di categoria e richiesta alla Cgil per uno sciopero generale. Nel frattempo il governo, per bocca del ministro per lo Sviluppo economico Paolo Romani, fa sapere "di non volere intervenire: "La Fiat questa crisi se la può tranquillamente risolvere da sola. L'intesa di Mirafiori è un'opportunità e non un rischio". Sulle regole della rappresentanza sindacale, altro tema delicato della trattativa, interviene il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni: "Il pluralismo va bene se si fonda sulla regola che una volta discusso, accertata un'opinione a maggioranza, anche chi dissente a quel punto la sostiene e la riconosce". Proprio alle parole di Bonanni fa riferimento Cesare Damiano, (ex ministro del Lavoro, ora parlamentare del Pd), che chiede di ripartire dal documento unitario firmato nel 2008 da tutti i sindacati, chiedendo a Confindustria "di battere un colpo". Che l'esclusione della Fiom sia un atto dagli effetti pesanti, lo si capisce anche dalle parole del presidente di Federmeccanica, Pierluigi Ceccardi, che chiede che venga aperto "un tavolo sulla rappresentanza". Perché "un conto è concludere un contratto senza la firma della Fiom, un altro è gestire le relazioni industriali in azienda senza una organizzazione che rappresenta una parte cospicua dei lavoratori". Chi invece attacca frontalmente gli accordi raggiunti in Fiat è il leader di Sel Nichi Vendola: "Si vuole mettere il bavaglio a tutti coloro che non si allineano, imponendo l'eliminazione del sindacato che è renitente alla leva di Marchionne. Chi non è d'accordo non ha più diritto ad esistere nei luoghi di rappresentanza dei lavoratori". Duro anche Antonio Di Pietro: "'Noi dell'Italia del Valori - dice riferendosi in particolare all'intesa su Mirafiori - pensiamo che quell'accordo ponga prima di tutto un enorme problema di legittimità costituzionale. Sulla Costituzione repubblicana non si può discutere. Va rispettata senza se e senza ma. Invece, è proprio la Costituzione repubblicana che viene negata e cancellata quando si dice che d'ora in poi non varrà più la reale rappresentanza dei sindacati ma solo il loro aver firmato o meno un accordo". Diviso il Pd. Con l'ex popolare Beppe Fioroni che commenta positivamente l'accordo: "Nella crisi ci vuole coraggio, conservare significa recedere e perdere tutto". Diametralmente opposto il giudizio del senatore Vincenzo Vita, esponente della sinistra del partito: "Il giudizio su tale vicenda deve essere forte e netto da parte del Pd perche è uno di quei casi in cui ambiguità e incertezze minano dalle fondamenta la natura stessa di un partito riformista". Per Stefano Fassina, responsabile economico del Partito democratico, serve "un'intesa quadro tra le parti sociali e poi una legge quadro che garantiscano l'esigibilità degli accordi da parte delle aziende ma garantiscano la rappresentanza anche a chi è contrario". Sia l'attuale sindaco di Torino, Piero Chiamparino, sia Piero Fassino (che il Pd candida come successore), entrambi torinesi, invitano a votare si' al referendum: "Se non venisse approvato a pagare sarebbero solo infatti i lavoratori perchè l'azienda trasferirebbe altrove le proprie produzioni". Infine l'ex leader della Cisl Franco Marini dice che se fosse capitato a lui avrebbe detto "sì" all' intesa e aggiunge che "si è perso anche troppo tempo". (28 dicembre 2010)
IL CASO Fiat, ore decisive per Pomigliano Su Mirafiori sinistra divisa Dopo l'intesa raggiunta su Mirafiori, l'azienda e i sindacati (esclusa la Fiom) si sono ritrovate per discutere del nuovo contratto di lavoro. Di Pietro: "A Mirafiori violata la Costituzione". Vendola: "Bavaglio per chi non si allinea". E il Pd? Fassino: "Fossi un operaio voterei sì" Fiat, ore decisive per Pomigliano Su Mirafiori sinistra divisa ROMA - "Ci sono novità e miglioramenti importanti rispetto al contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici". Il segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo, commenta così l'esito del primo incontro tra Fiat e sindacati, a Roma, sul nuovo contratto di lavoro per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco. Il tavolo è aggiornato alle 11. "L'intento - dice Di Maulo - è di chiudere domani in serata". Dopo l'intesa raggiunta su Mirafiori 1, l'azienda e i sindacati (esclusa la Fiom che non ha sottoscritto l'accordo di giugno 2) si sono ritrovati oggi per discutere del nuovo contratto di lavoro: verranno riassunti i 4.600 lavoratori dello stabilimento che produrrà la nuova Panda. Sul nuovo testo potrebbe essere trovata un'intesa entro la fine dell'anno. Una volta definito il contratto della newco, la Fiat darà il via alle assunzioni dal 2011. Il tavolo dovrà concordare anche i parametri per salario, orario e scatti d'anzianità. Per domani, intanto, è stata convocata la riunione di un comitato straordinario della Fiom. Che si preannuncia calda. Ieri, Giorgio Cremaschi ha sollecitato la Cgil 3 a indire uno sciopero generale. Oggi il coordinatore nazionale dell'area di minoranza della Cgil, Gianni Rinaldini, ha chiesto "la convocazione urgente e straordinaria del direttivo nazionale". E domano il leader dei metalmeccanici della Cgil, Maurizio Landini, che oggi ha riunito la segreteria, porterà le sue proposte ad un Comitato centrale riunito di urgenza dopo l'accordo per Mirafiori, che impone una accelerazione verso sciopero di categoria e richiesta alla Cgil per uno sciopero generale. Nel frattempo il governo, per bocca del ministro per lo Sviluppo economico Paolo Romani, fa sapere "di non volere intervenire: "La Fiat questa crisi se la può tranquillamente risolvere da sola. L'intesa di Mirafiori è un'opportunità e non un rischio". Sulle regole della rappresentanza sindacale, altro tema delicato della trattativa, interviene il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni: "Il pluralismo va bene se si fonda sulla regola che una volta discusso, accertata un'opinione a maggioranza, anche chi dissente a quel punto la sostiene e la riconosce". Proprio alle parole di Bonanni fa riferimento Cesare Damiano, (ex ministro del Lavoro, ora parlamentare del Pd), che chiede di ripartire dal documento unitario firmato nel 2008 da tutti i sindacati, chiedendo a Confindustria "di battere un colpo". Che l'esclusione della Fiom sia un atto dagli effetti pesanti, lo si capisce anche dalle parole del presidente di Federmeccanica, Pierluigi Ceccardi, che chiede che venga aperto "un tavolo sulla rappresentanza". Perché "un conto è concludere un contratto senza la firma della Fiom, un altro è gestire le relazioni industriali in azienda senza una organizzazione che rappresenta una parte cospicua dei lavoratori". Chi invece attacca frontalmente gli accordi raggiunti in Fiat è il leader di Sel Nichi Vendola: "Si vuole mettere il bavaglio a tutti coloro che non si allineano, imponendo l'eliminazione del sindacato che è renitente alla leva di Marchionne. Chi non è d'accordo non ha più diritto ad esistere nei luoghi di rappresentanza dei lavoratori". Duro anche Antonio Di Pietro: "'Noi dell'Italia del Valori - dice riferendosi in particolare all'intesa su Mirafiori - pensiamo che quell'accordo ponga prima di tutto un enorme problema di legittimità costituzionale. Sulla Costituzione repubblicana non si può discutere. Va rispettata senza se e senza ma. Invece, è proprio la Costituzione repubblicana che viene negata e cancellata quando si dice che d'ora in poi non varrà più la reale rappresentanza dei sindacati ma solo il loro aver firmato o meno un accordo". Diviso il Pd. Con l'ex popolare Beppe Fioroni che commenta positivamente l'accordo: "Nella crisi ci vuole coraggio, conservare significa recedere e perdere tutto". Diametralmente opposto il giudizio del senatore Vincenzo Vita, esponente della sinistra del partito: "Il giudizio su tale vicenda deve essere forte e netto da parte del Pd perche è uno di quei casi in cui ambiguità e incertezze minano dalle fondamenta la natura stessa di un partito riformista". Per Stefano Fassina, responsabile economico del Partito democratico, serve "un'intesa quadro tra le parti sociali e poi una legge quadro che garantiscano l'esigibilità degli accordi da parte delle aziende ma garantiscano la rappresentanza anche a chi è contrario". Sia l'attuale sindaco di Torino, Piero Chiamparino, sia Piero Fassino (che il Pd candida come successore), entrambi torinesi, invitano a votare si' al referendum: "Se non venisse approvato a pagare sarebbero solo infatti i lavoratori perchè l'azienda trasferirebbe altrove le proprie produzioni". Infine l'ex leader della Cisl Franco Marini dice che se fosse capitato a lui avrebbe detto "sì" all' intesa e aggiunge che "si è perso anche troppo tempo". (28 dicembre 2010)
IL DOSSIER In Europa la pausa breve non è tabù solo in Spagna stop oltre i 40 minuti Il minimo nell'impianto Renault di Saudouville: 1.000 secondi. A Tichy, dove si costruisce la 500, il riposo è limitato a soli 25 minuti. In Polonia e in Brasile la settimana lavorativa è per legge di 48 ore e si lavora il sabato di PAOLO GRISERI In Europa la pausa breve non è tabù solo in Spagna stop oltre i 40 minuti Pause, straordinari, democrazia sindacale. I temi che fanno discutere l'Italia dopo la spaccatura tra sindacati a Pomigliano e Mirafiori sono gli stessi che agitano la discussione all'estero. La globalizzazione frulla norme e tradizioni molto diverse tra loro mettendole in concorrenza e sullo stesso piano a migliaia di chilometri di distanza. Dire straordinario è semplice ma ingannevole. In Polonia e in Brasile, tanto per rimanere nel pianeta Fiat, la settimana lavorativa è per legge di 48 ore mentre in Italia è di 40. Questo significa che tutta la discussione sui sabati di straordinario che ha attraversato l'estate italiana, in quei due paesi non avrebbe avuto senso semplicemente perché il lavoro al sabato fa parte della normalità. Analoghe considerazioni valgono per il contratto nazionale di lavoro, quello che la Fiat intende abbandonare nelle sue fabbriche. Il sistema dei due livelli contrattuali (uno nazionale uguale per tutti e uno aziendale) è tipico dell'Europa (con l'eccezione della Gran Bretagna). Ma di fronte alla crisi, segnalano gli studi dell'Unione europea, i contratti nazionali tendono a perdere peso anche in paesi come Italia, Germania e Spagna dove per cultura i contratti aziendali hanno sempre avuto minore importanza. La contrattazione nel territorio o azienda per azienda sta prendendo piede proprio perché nella crisi ogni impresa cerca di trovare la sua soluzione. Vincono modelli come quello brasiliano dove ogni territorio ha regole diverse o quello inglese dove il contratto nazionale non è mai esistito. Il sistema dei diritti sindacali è molto diverso da paese a paese. In Europa prevale il modello del pluralismo sindacale: in ogni azienda le organizzazioni dei lavoratori sono più d'una e contano in base alla rappresentanza effettiva che hanno tra i dipendenti. Negli Stati Uniti non è così: Bon King, leader del sindacato Uaw, è l'unico titolato a trattare con la Chrysler perché negli Usa per essere presenti in fabbrica è necessario superare le elezioni che si svolgono tra sindacati diversi: chi vince rappresenta tutti. Questo spiega lo stupore di Marchionne in Italia: "Non capisco perché devo trattare con tutti questi sindacati". Infine la questione dello stress. I sindacati italiani hanno contestato la richiesta della Fiat di ridurre le pause da 40 a 30 minuti per turno. Ma le tabelle che pubblichiamo dimostrano che nella stragrande maggioranza degli stabilimenti europei le pause sono intorno ai 30 minuti o più basse. Fa eccezione lo stabilimento della Nissan di Barcellona che prevede 45 minuti di pausa per turno. All'opposto lo stabilimento Renault di Sandouville, in Normandia, dove la pausa è di soli 17 minuti. Curiosamente Nissan e Renault fanno parte dello stesso gruppo industriale. Tra i costruttori con stabilimenti in Europa solo la Fiat prevede la pausa mensa di mezz'ora all'interno del turno di lavoro. Gli altri costruttori invece escludono la mensa dal calcolo delle ore lavorate. Anche all'interno del sistema Fiat ci sono differenze notevoli. Non solo sui salari: quello netto di un operaio brasiliano è di 565 euro al mese mentre il polacco arriva a 700 e l'italiano a 1.200 (tutti molto lontani dai tedeschi che portano a casa 1.700 euro netti). La differenza è anche sulle pause: a Tichy, dove si costruisce la 500, la pausa dura solo 25 minuti. (29 dicembre 2010)
L'ANALISI Le regole dimenticate di TITO BOERI DA POMIGLIANO a Mirafiori si ripete il copione. La politica si schiera a favore o contro Marchionne. Si parla di accordi storici, di svolte epocali oppure vengono invocati diritti fondamentali calpestati e violazioni della Costituzione. Sono tutte parole fuorvianti, pericolose perché di mezzo ci sono i posti di lavoro e i redditi di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie. Il nodo vero è sempre quello delle regole della rappresentanza. Ed è perciò ancora più grave che non si sia cercato in tutti questi mesi di porvi rimedio. La responsabilità ricade in eguale misura sul governo, che continua a ignorare il problema e punta in ogni occasione a dividere il sindacato, e sui vertici sindacali, giunti ai limiti dell'incomunicabilità. È un lusso che non ci possiamo permettere in uno dei momenti più critici della storia economica del paese. Da quando il sindacato è diviso, le organizzazioni dei lavoratori non sono più nelle condizioni di garantire il rispetto degli accordi presi. Una minoranza può sempre intervenire dopo che l'accordo è stato siglato e impedirne l'attuazione, mettendo in atto una serie di scioperi e di azioni dimostrative che possono gravemente compromettere se non far fallire un investimento attuato coerentemente con i contenuti dell'accordo. Finché questo problema non verrà risolto, non solo avremo continue tensioni e interferenze della politica nelle vicende sindacali, ma soprattutto faremo fatica ad attrarre capitali esteri da noi. Per convincere un investitore a puntare sul nostro Paese bisogna metterlo in condizione di avere di fronte interlocutori in grado di prendere impegni cogenti circa il rispetto degli accordi sottoscritti. L'investitore sa bene che il potere contrattuale del sindacato aumenterà dopo che l'investimento è stato attuato. A quel punto non sarà più possibile dirottare le risorse altrove, cosa invece possibile prima, quando l'accordo è stato preso. Di qui il timore che il contraente voglia rimettere tutto in discussione, ottenendo condizioni più favorevoli dopo che l'investimento è stato realizzato. Per attrarre grandi imprese da noi bisogna perciò tutelarle circa il rispetto degli impegni presi dalle organizzazioni dei lavoratori. Queste garanzie possono essere fornite da un sindacato unito oppure da una legge sulle rappresentanze sindacali che attribuisca al sindacato maggiormente rappresentativo in azienda, ai delegati eletti dai lavoratori, l'autorità di sottoscrivere accordi vincolanti per tutti. I lavoratori dovranno rispettarne i contenuti. Se poi l'accordo si è rivelato per loro insoddisfacente, sceglieranno altri rappresentanti alla prossima tornata elettorale. Esistono diversi disegni di legge che recepiscono questi principi e che da almeno 15 anni attendono di essere discussi in Parlamento. Del problema se ne parla peraltro fin dai tempi di Nenni. L'accordo sottoscritto a Mirafiori, in assenza di queste regole, riconosce come rappresentanze dei lavoratori solo le organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto l'intesa. È una scelta chiaramente inaccettabile. Esimi giuristi hanno sottolineato come questo comma dell'accordo Mirafiori sia coerente con l'articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori che garantisce diritto di rappresentanza solo alle organizzazioni che abbiano stipulato almeno un contratto in quell'azienda. Trattandosi di una newco, ed essendo questo il primo e unico contratto stipulato, l'interpretazione alla lettera dell'articolo 19 implica che la Fiom che non firma non avrebbe diritto a costituire la rappresentanza sindacale in azienda. Ma chi volesse costruire un sistema di relazioni industriali su questo principio di esclusione condanna il Paese alla conflittualità permanente. Non deve essere il datore di lavoro a decidere quali sono le rappresentanze dei lavoratori. Non possono che essere i lavoratori, con il loro voto, a scegliere chi li rappresenta. Bene perciò che si apra al più presto quel tavolo sulla rappresentanza proposto da Susanna Camusso su queste colonne lunedì. Significative le aperture mostrate nei confronti di questa proposta dal presidente degli industriali metalmeccanici, Pierluigi Ceccardi, e dal segretario della Cisl, Raffaele Bonanni. Quest'ultimo ha rimarcato che le norme sulle rappresentanze dovranno essere decise dai sindacati e non dal Parlamento. Ma il costo dell'incapacità di trovare un accordo su queste norme lo pagano anche molti non iscritti al sindacato e molti giovani che non hanno ancora iniziato a lavorare. Stupisce perciò la sponda offerta a Bonanni dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che dovrebbe rappresentare gli interessi di tutti i cittadini: "Un intervento del Governo in materia sarebbe autoritario". Un governo che vuole davvero attrarre investimenti dall'estero e che ambisce alla coesione sociale darebbe alle parti sociali un termine di tempo rapportato alle difficoltà attuali dell'economia italiana, diciamo un mese. Se queste in quel lasso di tempo non avranno trovato un accordo, sarà il Parlamento a legiferare in autonomia. La legge sulle rappresentanze offrirebbe anche alla Fiom, sin qui il sindacato maggioritario fra i metalmeccanici, l'opportunità di rientrare in gioco. L'accordo di Mirafiori sulla carta non glielo consente, anche se dovesse cambiare idea. Il testo infatti prevede che "l'adesione al presente accordo di terze parti è condizionato all'assenso di tutte le parti firmatarie". Un sindacato non può restare perennemente all'opposizione. Può farlo un partito politico, a vocazione minoritaria. Ma non certo un sindacato. (29 dicembre 2010)
IL CASO Fiat, via al tavolo per Pomigliano Vendola: "Bavaglio per chi non si allinea" Dopo l'intesa raggiunta su Mirafiori, l'azienda e i sindacati (non la Fiom che non ha sottoscritto l'accordo) si ritrovano attorno a un tavolo per discutere del nuovo contratto di lavoro. Di Pietro: "A Mirafiori violata la Costituzione". E il Pd si divide Fiat, via al tavolo per Pomigliano Vendola: "Bavaglio per chi non si allinea" ROMA - Giornata importante per il futuro dello stabilimento Fiat di Pomigliano. Dopo l'intesa raggiunta su Mirafiori 1, l'azienda e i sindacati (non la Fiom che non ha sottoscritto l'accordo di giugno sulla fabbrica campana 2) si ritrovano attorno a un tavolo per discutere del nuovo contratto di lavoro con il quale verranno riassunti i 4.600 lavoratori dello stabilimento che produrrà la nuova Panda. Sul nuovo testo potrebbe essere trovata un'intesa già domani, o comunque entro la fine dell'anno. Una volta definito il contratto della newco, la Fiat darà il via alle assunzioni dal 2011. Il tavolo dovrà concordare anche i parametri per salario, orario e scatti d'anzianità. Fonti presenti al confronto parlano di clima "abbastanza sereno". Per domani, intanto, è stata convocata la riunione di un comitato straordinario della Fiom. E proprio ieri, Giorgio Cremaschi ha sollecitato la Cgil 3 a indire uno sciopero generale. Mentre oggi il coordinatore nazionale dell'area di minoranza della Cgil, Gianni Rinaldini, formalmente la convocazione urgente e straordinaria del direttivo nazionale". Una posizione criticata non solo dalle altre sigle sindacali ma anche dal governo (per il ministro del Welfare Maurizio Sacconi non si può chiamare "scellerato" un patto che "consente un investimento ingente e aumenti salariali"). Per il ministro per lo Sviluppo economico Paolo Romani, "il governo non intende intervenire, la Fiat se la può tranquillamente risolvere da sola, come se la sta risolvendo".
E sulla rappresentanza sindacale, altro tema delicato della trattativa, interviene il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni: "Il pluralismo va bene se si fonda sulla regola che una volta discusso, accertata un'opinione a maggioranza, anche chi dissente a quel punto la sostiene e la riconosce". Ma che l'esclusione della Fiom sia un atto dagli effetti pesanti, lo si capisce anche dalle parole del presidente di Federmeccanica, Pierluigi Ceccardi, che chiede che venga aperto "un tavolo sulla rappresentanza". Perché "un conto è concludere un contratto senza la firma della Fiom, un altro è gestire le relazioni industriali in azienda senza una organizzazione che rappresenta una parte cospicua dei lavoratori". Chi invece attacca frontalmente gli accordi raggiunti in Fiat è il leader di Sel Nichi Vendola: "Si vuole mettere il bavaglio a tutti coloro che non si allineano, imponendo l'eliminazione del sindacato che è renitente alla leva di Marchionne. Chi non è d'accordo non ha più diritto ad esistere nei luoghi di rappresentanza dei lavoratori". Duro anche Antonio Di Pietro: "'Noi dell'Italia del Valori - dice riferendosi in particolare all'intesa su Mirafiori - pensiamo che quell'accordo ponga prima di tutto un enorme problema di legittimità costituzionale. Sulla Costituzione repubblicana non si può discutere. Va rispettata senza se e senza ma. Invece, è proprio la Costituzione repubblicana che viene negata e cancellata quando si dice che d'ora in poi non varrà più la reale rappresentanza dei sindacati ma solo il loro aver firmato o meno un accordo". Diviso il Pd. Con l'ex popolare Beppe Fioroni che commenta positivamente l'accordo: "Nella crisi ci vuole coraggio, conservare significa recedere e perdere tutto". Diametralmente opposto il giudizio del senatore Vincenzo Vita, esponente della sinistra del partito: "Il giudizio su tale vicenda deve essere forte e netto da parte del Pd perche è uno di quei casi in cui ambiguità e incertezze minano dalle fondamenta la natura stessa di un partito riformista". Per Stefano Fassina, responsabile economico del Partito democratico, serve "un'intesa quadro tra le parti sociali e poi una legge quadro che garantiscano l'esigibilità degli accordi da parte delle aziende ma garantiscano la rappresentanza anche a chi è contrario". (28 dicembre 2010)
PUBBLICO IMPIEGO Blocco stipendi, l'allarme della Cgil "I lavoratori perderanno 1.600 euro" Il calcolo sulla perdita del potere d'acquisto tiene conto dello stop al rinnovo contrattuale e del mancato incremento in base all'indice dell'inflazione. La Cisl frena: "All'estero è andata anche peggio" Blocco stipendi, l'allarme della Cgil "I lavoratori perderanno 1.600 euro" ROMA - Circa 1.600 euro di potere d'acquisto in meno. Tanto perderanno i lavoratori del pubblico impiego con il blocco degli stipendi pubblici fino al 2013 previsto dalla manovra economica. La stima è della Cgil che sottolinea con il responsabile settore pubblico, Michele Gentile, come circa 1.200 euro lordi si perdano per il triennio 2010-2012 di mancato rinnovo dei contratti mentre altri 400 euro di aumenti complessivi mancheranno all'appello nel 2013 a causa del blocco ulteriore previsto dalla stessa manovra. Nel triennio 2010-2012, spiega Gentile, "l'incremento degli stipendi sulla base dell'indice dell'inflazione Ipca previsto dall'accordo interconfederale del 2009 (non firmato dalla Cgil) avrebbe dovuto essere complessivamente del 4,2%. Poiché ogni punto di inflazione vale circa 20 euro si tratta a regime di 90 euro lordi che mancheranno nello stipendio. Ipotizzando tre tranche annuali da trenta euro in più al mese (quindi 400 euro l'anno compresa la tredicesima) che non ci saranno, la perdita cumulata di potere d'acquisto sarà almeno di 1.200 euro lordi in media. Se ci aggiungiamo il blocco già previsto anche per il 2013 arriviamo almeno a 1.600 euro. I lavoratori pubblici torneranno a vedere aumenti in busta paga solo nel 2014". La Cgil ricorda poi come al blocco della contrattazione nazionale per il triennio (i contratti per circa tre milioni e mezzo di lavoratori sono scaduti a fine 2009) si affianca lo stop alla contrattazione integrativa e il blocco economico della carriera. In pratica nei prossimi anni si potrà fare carriera ma l'avanzamento sarà riconosciuto solo giuridicamente senza nessun miglioramento dello stipendio. Il blocco degli stipendi preoccupa non solo la Cgil, ma anche gli altri sindacati che però sottolineano come la stretta sul lavoro pubblico in Italia sia comunque meno pesante rispetto a quanto è accaduto in altri Paesi. "In 17 Paesi europei - dice il segretario generale della Fp-Cisl Giovanni Faverin - non si sono limitati al blocco dello stipendio in essere ma hanno deciso tagli delle retribuzioni rilevantissimi. In Spagna è stata del 5% mentre in Irlanda hanno avuto tagli del 13%. E puntiamo a recuperare risorse con la contrattazione integrativa". Gli esempi citati sono in realtà quelli delle nazioni più colpite dalla crisi e dalla cui situazione economica il governo ha sempre preso le distanze, ma anche il segretario confederale Cisl Gianni Baratta è convinto che non ci si possa lamentare più di tanto. "Il blocco dei contratti è una ferita - precisa - ma se guardiamo al panorama europeo le decisioni degli altri Paesi sul lavoro pubblico sono state più pesanti". La stretta nel pubblico impiego per i prossimi anni non si limiterà al blocco degli stipendi ma riguarderà anche il turn over. La manovra economica prevede che fino al 2012 ci sia un limite del 20% delle entrate rispetto alle uscite. In pratica su dieci dipendenti pubblici che escono (per pensione o dimissioni) ne potranno entrare solo due (e con il limite anche del 20% massimo della spesa quindi non sarà possibile che a fronte dell'uscita di due commessi entrino due dirigenti). Facendo un calcolo medio di uscite di 100.000 persone l'anno (circa il 3% di tre milioni e mezzo di dipendenti) significa che tra il 2010 e il 2012 a fronte di 300.000 uscite sarà possibile fare al massimo 60.000 nuove assunzioni (poiché vincoli più stringenti ci sono nei comuni, le regioni e la sanità). (28 dicembre 2010)
2010-12-27 MIRAFIORI Più straordinari, pause corte e meno giorni pagati di malattia L'operaio che sciopererà contro il contratto, da lui stesso sottoscritto, sarà licenziato. Possibili turni di 10 ore più una di straordinario. I critici: "Rischi per la salute" di PAOLO GRISERI Più straordinari, pause corte e meno giorni pagati di malattia TORINO - Trentasei pagine più allegati. Il contratto di Mirafiori, destinato per unanime ammissione di tutti i protagonisti a modificare radicalmente il sistema di relazioni industriali in Italia, sarà sottoposto a referendum a gennaio, probabilmente tra il 18 e il 20 del mese. "Pomigliano è stato un sasso che ha cominciato a rotolare lungo un pendio pieno di neve. Mirafiori lo dimostra", dice il leader del Fismic, Roberto di Maulo, capofila dei sindacati favorevoli all'intesa. "Di Maulo ha ragione - risponde Giorgio Airaudo della Fiom - e per questo vogliamo provare a fermare la valanga. Il rischio è un modello aziendalista in cui i sindacati vengono usati come fornitori del consenso alle tesi dell'impresa". Ecco i punti principali dell'accordo della discordia. Orario di lavoro Nella nuova società in joint-venture tra Fiat e Chrysler (che nascerà nel 2012) saranno possibili 4 tipi di orario a seconda delle esigenze produttive. Oltre all'attuale con due turni di 8 ore al giorno per cinque giorni alla settimana (5 per 2), è previsto uno schema con l'introduzione del turno di notte su cinque giorni lavorativi (5 per 3) e un altro schema con il turno di notte su sei giorni compreso il sabato (6 per 3). Al momento del passaggio da un sistema all'altro, "l'azienda avvierà un esame con i sindacati". La procedura dovrà durare "al massimo 15 giorni", dopodiché l'azienda applicherà l'orario da lei prescelto. Al momento del passaggio dal sistema "5 per 3" al sistema "6 per 3", "le parti valuteranno anche l'eventuale sperimentazione, per un periodo non inferiore ai 12 mesi" di uno schema che prevede turni di 10 ore (due al giorno) per sei giorni alla settimana. I lavoratori che lavoreranno dieci ore per quattro giorni potranno riposare i successivi tre. L'azienda avrà mano libera sugli straordinari: potrà ordinare ai lavoratori fino a 120 ore all'anno (oggi sono 40) e contrattare con i sindacati altre 80 ore per ogni lavoratore. I sindacati favorevoli sottolineano che "il ricorso massiccio ai turni di notte e agli straordinari produrrà un incremento in busta paga fino a 3.700 euro lordi all'anno". I contrari osservano che "far lavorare per 10 ore consecutive una persona in linea e poi chiedere anche l'undicesima ora di straordinario mette a rischio la salute". Pause e mensa Le tre pause di ciascun turno di lavoro saranno di 10 minuti ciascuna per un totale di 30 minuti. Oggi la loro durata complessiva è di 40 minuti. I dieci minuti lavorati in più verranno monetizzati: 45 euro lordi al mese. La pausa mensa (mezz'ora) non sarà a fine turno, ma la questione verrà nuovamente discussa quando nascerà la joint-venture con Chrysler. Nel caso di turni di 10 ore, le pause rimarranno invece di 40 minuti complessivi. Il nuovo sistema di pause entrerà in vigore dal 4 aprile 2011. Per i sindacati favorevoli "con i nuovi metodi di lavoro la fatica è minore e dunque il taglio di dieci minuti di pausa non è così grave". Per i contrari "anche la riduzione delle pause può diventare un rischio per la salute, così come dimostrano le più recenti indagini mediche". Malattia e assenteismo L'accordo collega assenteismo e malattia. Quando il tasso di assenteismo è giudicato eccessivo (il 6% a luglio 2011, il 4% a gennaio 2012, il 3,5% dal 2013) non si paga il primo giorno di malattia a chi si sia ammalato subito prima di un giorno di riposo o di ferie, negli ultimi 12 mesi. Sono escluse patologie gravi. "Un sistema per colpire i furbi", dicono i sindacati favorevoli. "Se un lavoratore è ammalato lo stabilisce il medico, non il caposquadra", ribattono i contrari. Contratto e scioperi "Il nuovo contratto non aderisce al sistema confindustriale" e dunque non prevede l'elezione dei delegati di fabbrica. Solo i sindacati firmatari possono nominare dei rappresentanti aziendali. I sindacati che sciopereranno contro l'accordo potranno essere puniti con l'annullamento dei permessi. L'azienda inoltre rinuncerà a trattenere le quote di iscrizione dalle buste paga (scaricando sul sindacato l'onere di raccogliere i soldi). I lavoratori che sciopereranno contro l'intesa potranno essere licenziati. Ognuno di loro avrà personalmente firmato il nuovo contratto al momento della nascita della joint-venture. (27 dicembre 2010)
FIAT Camusso all'attacco di Marchionne "Antidemocratico e autoritario" La leader Cgil: Cisl e Uil sono ormai sindacati aziendalisti. E parla di ritorno agli anni Cinquanta con l'intesa su Mirafiori e l'esclusione della Fiom, che pure ha fatto degli errori, dalla fabbrica di ROBERTO MANIA Camusso all'attacco di Marchionne "Antidemocratico e autoritario" Susanna Camusso ROMA - "Sergio Marchionne? Un antidemocratico, illiberale e autoritario", risponde Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che per la prima volta parla dell'accordo separato alla Fiat-Chrysler raggiunto alla vigilia di Natale. Un'intesa - dice - che la Cgil non avrebbe mai firmato perché "non si può concordare l'esclusione di un sindacato". Camusso attacca Cisl e Uil: "Si sono trasformate in sindacati aziendalisti che propagano la posizione della Fiat". Poi la Confindustria: "O fa sentire la sua autorevolezza nel sistema delle imprese oppure prevarranno le regole della giungla. Non può limitarsi a guardare perché è in atto un'offensiva pure nei suoi confronti". Ma ci sono anche errori della Fiom, sostiene il leader della Cgil: "Dovremo discuterne al nostro interno". Nessuno sciopero in vista (a parte quello della Fiom) ma una grande campagna sul tema della libertà sindacale. E il Pd? "Bene Bersani - risponde Camusso - ma troppo spesso a sinistra si sviluppa uno stucchevole dibattito sull'innovazione senza accorgersi che può rappresentare anche un profondo arretramento". Cosa significa l'esclusione della Fiom da Mirafiori, fabbrica simbolo nella storia industriale italiana? "Significa il ritorno agli anni Cinquanta. Allora c'erano i reparti confino, oggi c'è l'esclusione della rappresentanza sindacale. L'idea, tuttavia, è esattamente la stessa. E cioè quella di costruire un sindacato non aziendale bensì aziendalista il cui unico scopo è quello di propagare le posizioni dell'impresa". Non le pare un po' offensivo nei confronti della Cisl e della Uil? "Guardi, nel suo libro "Il tempo della semina", Bonanni racconta con orgoglio come, proprio negli anni Cinquanta, la Cisl rifiutò la richiesta della Fiat di inserire nelle liste cisline per l'elezione delle Commissioni interne alcuni nomi graditi all'azienda. È Bonanni che illustra bene come il sindacato aziendale sia la negazione di quello confederale. Ora dovrebbe spiegarci lui come considera un accordo che contiene al suo interno le regole per escludere un altro sindacato confederale". Si sta prefigurando un sistema di relazioni industriali senza la Cgil? "Secondo me la Fiat ha deliberatamente costruito una successione di eventi per negare la libertà sindacale". Marchionne ha sempre detto che tesi di questo genere non stanno né in cielo né in terra. "E allora, perché non applica l'accordo interconfederale del '93 sulla libertà sindacale? Vorrei poi ricordare a Confindustria che non può restare immobile se vuole evitare che salti, come ha riconosciuto, il sistema della rappresentanza sindacale. Se non si vuole rischiare che il conflitto sociale diventi ingovernabile bisogna al più presto trovare un accordo sulla rappresentanza e la democrazia sindacali che completi il protocollo del '93". Spetta alla Confindustria aprire il negoziato? "È irrilevante chi lo fa. Io credo che Cisl e Uil abbiano sottovalutato l'effetto dell'intesa per Mirafiori. Perché quando si permette a una grande impresa di escludere un sindacato, si sa con chi si comincia ma non si sa con chi si finisce". Considera Marchionne un innovatore o, come si diceva un tempo, un reazionario? "Penso che il tratto distintivo di quell'accordo sia il suo essere anti-democratico. Direi che Marchionne è un anti-democratico e illiberale. Il tema vero è questo. Aggiungo che non può esserci un modello partecipativo che si fondi sull'impedimento della libertà sindacale". Ma la Fiom non poteva firmare "turandosi il naso", rimanendo però all'interno della fabbrica? "È difficile applicare il principio del voto con il naso turato nelle trattative sindacali. La Fiom, possibilmente con la Cgil, dovrà aprire una discussione su questa sconfitta. Perché, l'ho già detto, un sindacato non può limitarsi all'opposizione altrimenti rinuncia alla tutela concreta dei lavoratori". Sta criticando la Fiom. Le colpe, allora, sono anche a casa sua? "Quando c'è una sconfitta non possono non essere stati commessi degli errori. Nessuna grande sconfitta è solo figlia della controparte. Ce l'ha insegnato Di Vittorio: se anche ci fosse una responsabilità in percentuale minima, su quella ci si deve interrogare". Perché condivide il no all'accordo per Mirafiori? "Perché quella proposta è poco rispettosa della fatica del lavoro. Non si può applicare ai lavoratori la cosiddetta "clausola di responsabilità", secondo la quale non è possibile opporsi all'intesa e scioperare anche se le condizioni di lavoro diventano insopportabili. Una clausola di quel tipo possono sceglierla sindacati e imprese ma non possono subirla i lavoratori". Dunque, questo è il motivo del no? "Questo è il motivo . Comunque la Cgil non firmerebbe mai un accordo che escludesse un altro sindacato". Ammetterà almeno che Cisl e Uil hanno reso possibile l'investimento della Fiat e così il futuro produttivo di Mirafiori? "Capisco questo ragionamento e lo considero un tema importante. Tuttavia mi piacerebbe sapere qual è il progetto "Fabbrica Italia" e come la Fiat pensi di colmare il ritardo che ha accumulato rispetto ai suoi concorrenti sul versante dei modelli. Ma anche per questo continuo a non comprendere quale necessità ci fosse di ricorrere a un modello autoritario che ci riporta agli anni Cinquanta". (27 dicembre 2010)
2010-12-24 FIAT Berlusconi con Marchionne "Accordo storico e positivo" Il presidente del Consiglio esalta l'intesa su Mirafiori che definisce "innovativa" e che "crea un investimento importante per il Paese". Di Pietro: "Il governo ha fatto da Zerbino al Lingotto. Dal premier un panettone avvelenato agli operai" Berlusconi con Marchionne "Accordo storico e positivo" ROMA - Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, definisce "un accordo storico e positivo" quello firmato ieri al Lingotto. "Speriamo" che l'accordo di ieri in Fiat, dice alla telefonata di Canale 5, "serva a garantire la permanenza in Italia della produzione, perché quello della delocalizzazione è un problema di tutta l'Europa. L'intesa di ieri, comunque, conforta, è innovativa, crea un investimento importante per il Paese perchè riprende a lavorare uno stabilimento simbolo dell'Italia. E' un accordo storico e positivo". Immediata la replica del leader dell'Italia dei Valori Antonio di Pietro. "Questa mattina Berlusconi - ha detto l'ex pm - ha consegnato agli operai un panettone imbevuto di veleno esaltando l'accordo su Fiat Mirafiori. Evidentemente il presidente del Consiglio non sa che si tratta dell'ennesimo accordo separato che trasforma l'azienda in un reparto separato della Chrysler, spostando di fatto la testa tecnologica e progettuale negli Stati Uniti". "In questa trattativa - aggiunge Di Pietro - il governo ha fatto da zerbino alla Fiat, che, per tutta risposta, sta chiudendo lo stabilimento di Termini Imerese e continua a perdere sul mercato il doppio della media europea". (24 dicembre 2010)
ACCORDO MIRAFIORI Regole zero e massima flessibilità "Si torna agli anni Cinquanta" Una rivoluzione per sindacati e Confindustria. Cade la possibilità per chi non firma i contratti di presentare una lista. "Treu: "Il sistema è in pezzi" di ROBERTO MANIA Regole zero e massima flessibilità "Si torna agli anni Cinquanta" ROMA - "È un ritorno agli anni Cinquanta", dice Aris Accornero, sociologo, licenziato dalla Fiat proprio in quel periodo perché comunista. La tesi di Accornero, intellettuale di sinistra quasi mai allineato, sulla logica che ha portato all'accordo separato di ieri alla Fiat-Chrysler è del tutto originale. Perché non c'è solo l'identica "cacciata" dalle fabbriche dei ribelli (i comunisti all'epoca, la Fiom oggi), c'è anche il comune fattore esterno che determina la strategia del gruppo automobilistico: oggi come più di mezzo secolo fa è l'America - spiega Accornero - che decide le traiettorie delle relazioni industriali. "Negli anni Cinquanta l'ambasciatrice americana Clare Booth Luce sosteneva che il suo governo avrebbe negato le commesse se a prevalere fossero stati i comunisti. Oggi Marchionne dice che non investe se non si sta al passo con la globalizzazione". E oggi come all'ora si consuma il distacco della grande Fiat dalla Confindustria. Perché il passaggio chiave per far fuori la Fiom è l'uscita della newco di Mirafiori (esattamente come quella per Pomigliano) dall'associazione degli industriali. Fuori dalla Confindustria, fuori dal contratto nazionale, fuori dalle regole pattizie della rappresentanza sindacale. Quasi a far incrociare i destini di Fiom e Confindustria, così agli antipodi eppure così legati. Addio - almeno per Mirafiori e Pomigliano - al "protocollo Ciampi" del 1993 che per chi non firma i contratti prevede la possibilità di presentare una lista, raccogliendo il 5 per cento delle firme dei lavoratori interessati, per eleggere i propri rappresentanti sindacali. La Fiom non avrà più questa garanzia (anche se frotte di avvocati si preparano ad aprire le vertenze) e non potrà nemmeno ricorrere al novecentesco Statuto dei lavoratori perché chi non firma i contratti collettivi non può dar vita alle vecchie Rsa, le rappresentanze aziendali. Per trattenere la Fiat, Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria, avrebbe potuto dare la disdetta dell'intesa del '93. Non l'ha fatto anche per non scatenare un conflitto sociale radicale. Ha riunito la Consulta dei presidenti e nessuno, su questo, si è schierato con il Lingotto. Ma va detto che una parte del sindacato, per esempio la Uil di Luigi Angeletti, aveva suggerito di superare formalmente quell'accordo perché non è mai stato modificato nella parte che riguarda le rappresentanze sindacali. Impensabile che ora possa arrivare una legge sulla rappresentanza e la democrazia sindacali: a parte la Cgil sono tutti contrarissimi, a cominciare dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Ci vorrebbe un nuovo accordo ma l'ennesima frattura tra Cgil, Cisl e Uil non prelude a una soluzione condivisa. Un'epoca si chiude davvero. Quella di Sergio Marchionne, amministratore delegato del Lingotto, non a caso con doppio passaporto (italiano e canadese), è una svolta radicale. "Una bomba atomica", la chiama Tiziano Treu, giuslavorista democratico, già ministro del Lavoro nel primo governo Prodi. "È un sistema di relazioni industriali - aggiunge Treu - che comincia a perdere tutti i pezzi: gli accordi, i contratti, i diritti. Marchionne è uscito da un sistema e si sta facendo il suo "sistemino" di relazioni industriali". È il sistema americano, quello con il sindacato e i contratti aziendali. D'altra parte anche in Germania molte aziende stanno uscendo dalla loro Confindustria proprio per non applicare il contratto collettivo. In Italia chi potrà imiterà Marchionne. Il ruolo di Confindustria, come quello delle confederazioni sindacali, è messo totalmente in crisi. Si va verso il modello aziendalista". Quello che in Italia, però, non ha mai attecchito. E che - altro ricorso storico - proprio negli anni Cinquanta la Fiat introdusse con il Sida (Sindacato italiano dell'automobile), nato da una costola della Cisl, la cui eredità è stata presa oggi dal Fismic. Giuseppe Berta, storico dell'industria, sostiene che "il centralismo romano sia finito, ma non la rappresentanza degli interessi". Aggiunge: "La Fiat che è sempre stata molto nazionale, ora è diventata "glocal", globale e locale. È un passo decisivo verso la globalizzazione. Tutti gli standard di riferimento, anche quelli sindacali, diventano globali". Per sindacati e Confindustria nulla sarà come prima. Marchionne l'ha deciso a Detroit. (24 dicembre 2010)
LA TRATTATIVA Mirafiori, c'è l'accordo, la Fiom non firma Marchionne: "Investimenti in tempi brevi" Intesa separata, siglata da Fim, Fismic e Uilm. Cambiano le regole su turni e pause, la nuova azienda investirà un miliardo. A gennaio il referendum. Airaudo (Cgil): "Vergogna" di ROSARIA AMATO e PAOLO GRISERI Mirafiori, c'è l'accordo, la Fiom non firma Marchionne: "Investimenti in tempi brevi" La protesta della Fiom a Mirafiori TORINO - Dopo venti giorni di stallo, arriva l'accordo su Mirafiori. La Fiom, il primo sindacato nella fabbrica simbolo della Fiat, non ha firmato. "Per quanto ci riguarda, faremo partire gli investimenti previsti nel minor tempo possibile", assicura l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne. "E' un gran bel momento per tutti quelli che hanno faticato per raggiungere un'intesa, ma soprattutto per i lavoratori e per il futuro dello stabilimento. Mirafiori inizia oggi una nuova fase della sua vita". Fuori la Fiom. Il sindacato dei metalmeccanici della Cgil pagherà il prezzo più grosso dell'accordo: quando nel 2012 nascerà la newco di Mirafiori, in base all'intesa firmata oggi, la Fiom resterà fuori. La rappresentanza sindacale infatti sarà permessa solo alle sigle che hanno firmato l'accordo. Durissima la contestazione della Fiom: "Marchionne immagina un sindacato fornitore di consenso come se fosse un fornitore della componentistica e pensa di poter scegliere lui il proprio fornitore. Questo ci porta fuori dall'esperienza dei sindacati europei", denuncia il responsabile auto della Fiom Giorgio Airaudo. Sacconi soddisfatto. Soddisfatto il ministro del Welfare Maurizio Sacconi: "Come avevamo auspicato l'accordo si è realizzato prima di Natale, confermando da un lato la volontà di Fiat Chrysler di realizzare un importante investimento a Mirafiori e, dall'altro, la volontà dei sindacati riformisti di accompagnare quest'intesa con la piena utilizzazione degli impianti e una migliore remunerazione del lavoro attraverso un contratto più vantaggioso. Fermi restando i diritti di libera associazione sindacale garantiti dallo Statuto dei lavoratori, che la stessa ipotesi di Statuto dei lavori conferma, per la prima volta firmatari e non firmatari di un contratto non saranno sullo stesso piano rispetto alla controparte aziendale, perchè la firma ha un valore". L'accordo verrà votato dai lavoratori. L'accordo ora sarà sottoposto al voto dei lavoratori, probabilmente nella seconda settimana di gennaio, l'unica in cui la fabbrica non sarà svuotata dalla cassa integrazione a ripetizione. I punti chiave dell'accordo riguardano: il pieno utilizzo degli impianti sui sei giorni lavorativi, il lavoro a turni avvicendati che mantiene l'orario individuale a 40 ore settimanali, le assenze (ci sono misure contro gli assenteisti), gli straordinari, pause e mensa a fine turno. In cambio della firma da parte di Fim, Uilm, Fismic e Ugl la Fiat conferma l'investimento di un miliardo per trasformare la fabbrica simbolo del gruppo nell'avamposto europeo del gruppo Chrysler: nei piani di Marchionne, infatti, l'azienda di corso Agnelli dovrà produrrre i Suv realizzati su una piattaforma americana con i marchi Alfa-Chrysler. Le ragioni del no della Fiom. Queste, in dettaglio le ragioni per le quali la Fiom non ha firmato: "Ci sono 120 ore di straordinario obbligatorio, come a Pomigliano, - spiega Airaudo - un sistema di turnazioni che può portare il dipendente a fare sei giorni di lavoro consecutivi con 10 ore per turno. C'è poi la riduzione di giorni di malattia pagati dall'azienda, che sono tre negli altri contratti di lavoro: a Pomigliano non ne viene pagato più neanche uno, a Torino solo uno. C'è la cancellazione di dieci minuti di pausa: erano 40 minuti per 8 ore di lavoro, adesso sono 30. La mensa: l'azienda, a differenza che a Pomigliano, dove è stata spostata a fine turno, a Mirafiori si è dichiarata disponibile a tenerla all'interno del turno, ma è da vedere come si manifesterà questa disponibilità. I lavoratori, infine, firmeranno un contratto individuale con delle clausole con le quali di fatto vengono di fatto dissuasi a scioperare, altrimenti sono sanzionabili". L'accordo di Mirafiori, inoltre, conclude Airaudo, è fuori dalle regole dell'accordo interconfederale del luglio 1993, che consente a tutti i sindacati di presentare liste e avere rappresentanti nelle Rsu se ha il 5% dei lavoratori: "Così rendono impossibile la presenza dei metalmeccanici della Cgil. Siamo di fronte al tentativo di un'azione della Fiat per semplificare il pluralismo sindacale italiano, espellendo la Cgil e riducendo all'impotenza anche i sindacati consenzienti. E' una lesione alla quale pensiamo debba rispondere l'insieme della Cgil". Opposta la posizione della Uilm e della Cisl. Diametralmente opposto il commento del segretario generale della Uilm, Rocco Palombella: "Ci sarà lavoro diretto per più di diecimila addetti con ricadute per tutto il sito di Mirafiori e per l'indotto. Ora la parola passa proprio ai lavoratori, che a metà di gennaio, al loro rientro in fabbrica dovranno esprimersi sull'accordo e confermare di fatto investimento e livelli produttivi". E della Cisl: "Si tratta di un accordo utile e necessario all'economia e alla coesione sociale del territorio torinese", commenta Nanni Tosco, segretario generale Cisl Torino. (23 dicembre 2010)
2010-12-23 LA TRATTATIVA Mirafiori, oggi la firma L'incognita è la Fiom All'Unione industriale la trattativa sul futuro dello stabilimento. Secondo indiscrezioni l'accordo sarebbe pronto: Fiat avrebbe accettato di portare alcune modifiche rispetto al testo presentato il 3 dicembre. Ma potrebbe non bastare per la firma del sindacato. Sacconi: Marchionne non chiede la luna Mirafiori, oggi la firma L'incognita è la Fiom Sergio Marchionne L'appuntamento è in via Fanti, sede dell'Unione industriale. Lì si ritrovano, 20 giorni dopo lo stop al negoziato, le delegazioni di Fiat (guiidata da Paolo Rebaudengo) e dei sindacati nazionali dell'auto per firmare l'accordo su Mirafiori. Un'intesa che prevede un investimento da un miliardo di euro per trasformare la fabbrica simbolo della casa automobilistica torinese nell'avamposto europeo del gruppo Chrysler: nei piani di Marchionne, infatti, l'azienda di corso Agnelli dovrà produrrre i Suv realizzati su una piattaforma americana con i marchi Alfa-Chrysler. Ma perché questo piano ambizioso si realizzi - una volta a regime in un anno dovrebbero uscire dallo stabilimento 280mila veicoli, il triplo di quelli prodotti nel 2010 - Fiat vuole creare una newco sull'esempio di Pomigliano. Ed è proprio questo lo scoglio con i sindacati e in particolare con la Fiom. Ora resta da capire quali modifiche la casa automobilistica avrebbe accettato di apportare al testo presentato il 3 dicembre con il "prendere o lasciare" di Marchionne, per consentire così ai sindacati di firmare e regalare ai 5500 dipendenti di Mirafiori un futuro. Negli ambienti sindacali e economici della città comunque l'accordo (separato) viene dato per fatto, tanto che già si discute degli effetti che un investimento da un miliardo di euro potrà avere sull'indotto auto che ruota attorno a Mirafiori. Calcoli che danno per scontato il risultato anche della prossima battaglia: quella sulla consultazione dei lavoratori. Fiom vuole che prima di qualsiasi firma si tengano assemblee con i lavoratori per spiegare loro i punti del possibile accordo, gli altri sindacati invece sono per la firma e poi il referendum. C'è già un'ipotesi di data: la settimana del 10 gennaio, una delle poche in cui la fabbrica - in attesa di riconversione - non sarà svuotata dalla cassa integrazione. Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, stamani a Canale 5, ha detto di essere "fiducioso" che si possa raggiungere un accordo che "Marchionne non chiede la luna" ma una maggiore efficenza nell'utilizzazione degli impianti. "Certamente vi è la buona volontà da parte di tutti gli attori negoziali, nella consapevolezza che si tratta di un investimento importante, non solo per Mirafiori e Torino, ma per l'intera economia italiana" (23 dicembre 2010)
la scheda Mirafiori, l'accordo in dieci punti Investimento in joint venture per 1 miliardo e produzione di 280mila vetture l'anno Suv Chrysler e Alfa Romeo la scheda Mirafiori, l'accordo in dieci punti Investimento in joint venture per 1 miliardo e produzione di 280mila vetture l'anno Suv Chrysler e Alfa Romeo MILANO - Sono dieci i punti dell'accordo firmato dai sindacati (ad eccezione della Fiom) e dalla Fiat per lo sviluppo dello stabilimento di Mirafiori. L'intesa prevede un investimento da oltre un miliardo di euro attraverso una joint venture tra Fiat e Chrysler. Ma di fatto esclude dalle rappresentanze sindacali la Fiom-Cgil, che non l'ha sottoscritta. Al posto delle Rsu torneranno a esserci le Rsa. - un investimento in joint venture tra Fiat e Chrysler per oltre un miliardo di euro - la produzione a regime di 280mila vetture l'anno di Suv Chrysler e Alfa Romeo - il pieno utilizzo degli impianti su sei giorni lavorativi - il lavoro a turni avvicendati che mantiene l'orario individuale a 40 ore settimanali - la crescita del reddito annuo individuale di circa 3.700 euro per la maggiore incidenza delle maggiorazioni di turno - la possibilità di lavorare il 18esimo turno solo con il pagamento dello straordinario - il mantenimento della pausa per la mensa nel turno fino a che la joint venture non andrà a regime - la salvaguardia dei malati reali e un intervento volto a colpire gli assenteisti, al fine di tutelare coloro che hanno assiduità e puntualità nella prestazione - la compensazione di oltre 32 euro mensili per l'assorbimento della pausa di 10 minuti, resa possibile dal minore affaticamento del lavoro con l'introduzione della nuova ergonomia - il mantenimento di tutti i diritti individuali oggi esistenti e il loro miglioramento attraverso la prossima stesura di un Contratto Collettivo su molti punti migliorativo del Ccnl Metalmeccanici (scatti di anzianità, paga base, premio di risultato, ecc.). (Fonte Agi) 23 dicembre 2010
i sì sono stati 161, 98 i no e 6 gli astenuti Università, la riforma Gelmini è legge Dopo la lunga maratona, il via libera definitivo a Palazzo Madama. Fli vota con il Pdl, l'Udc si astiene * NOTIZIE CORRELATE * Stop ostruzionismo, si vota giovedì. La Gelmini: "Si archivia il '68" (22 dicembre 2010) i sì sono stati 161, 98 i no e 6 gli astenuti Università, la riforma Gelmini è legge Dopo la lunga maratona, il via libera definitivo a Palazzo Madama. Fli vota con il Pdl, l'Udc si astiene ROMA - La riforma Gelmini è legge. L'aula del Senato ha infatti dato il via libera definitivo al testo sull'università approvandolo con 161 sì, 98 no e 6 astenuti. Hanno votato a favore Pdl, Lega e Fli. Hanno votato contro Pd e Idv. Si sono astenuti (anche se al Senato vale come voto contrario) Udc, Api, Svp e Union Valdotaine. "La riforma verrà attuata fin dal prossimo anno accademico" ha annunciato il ministro dell'Istruzione nel corso della registrazione di Porta a Porta. La Gelmini ha sottolineato che entro i prossimi sei mesi tutti gli adempimenti e i decreti attuativi saranno approvati. LE REAZIONI - Governo e maggioranza hanno salutato il via libera alla riforma come un "grande traguardo". È un "passaggio chiave della legislatura" ha detto Maurizio Gasparri. Il presidente dei senatori del Pdl ha inoltre invitato il capo dello Stato ad ascoltare "anche le ragioni di coloro che sono favorevoli alla riforma dell’Università, come ha ricevuto le associazioni studentesche in dissenso". Per il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, la riforma segna la fine della "ricreazione" nel sistema educativo iniziata nel 1968. Plauso anche da parte di Confindustria, secondo cui la riforma Gelmini "consegna finalmente al Paese un sistema universitario nuovo che mette al centro i giovani". Critiche dall'opposizione. "Una cosa che il ministro Gelmini non dice mai - ha dichiarato la capogruppo del Pd Anna Finocchiaro - è che questa è una legge delega e che ci sono ancora circa 50 decreti attuativi da varare. Occorrerà che Camera e Senato tornino con le commissioni a occuparsene. Mi auguro - ha concluso - che in quella sede si possa ancora fare qualche passo in avanti". TESTO BLINDATO- La maggioranza ha blindato il testo prima del via libero definitivo, evitando di far passare provvedimenti che richiedano un successivo passaggio parlamentare alla Camera. Alcune contraddizioni tra diversi articoli dello stesso testo, evidenziate con forza dalle opposizioni, saranno corrette, come ha annunciato lo stesso ministro Maria Stella Gelmini, nel decreto "Milleproroghe". "PROTESTE SENZA INCIDENTI" - Alla Camera, intanto, il ministro dell'Interno Roberto Maroni è intervenuto sulle mobilitazioni degli studenti e ha sottolineato che "la giornata di ieri si è svolta ovunque senza incidenti" a differenza di quanto accaduto lo scorso 14 dicembre a Roma. In quell'occasione si registrarono momenti di vera e propria guerriglia urbana e la giornata si concluse con diversi fermi di polizia. "Non c'è stato nessun incidente degno di nota - ha aggiunto il ministro - salvo a Palermo" dove ci sono stati tentativi di assalto alla sede della Regione Sicilia e alla Questura. "Brutta cosa - ha detto Maroni - l'assalto a questa, simbolo della lotta alla mafia. Vedere lanciare pietre, bottiglie e uova contro un avamposto della lotta alla mafia mi ha profondamente rattristato". Il ministro ha concluso affermando che il "diritto al dissenso è sacrosanto e sarà sempre garantito dalle forze dell'ordine ma la violenza sarà sempre contrastata con ogni mezzo". Redazione online 23 dicembre 2010(ultima modifica: 24 dicembre 2010)
2010-12-22 L'AD AI DIRIGENTI Marchionne: con il 51% di sì Fiat farà l'investimento a Mirafiori Saluto di fine anno ai vertici dell'azienda. "Invito la Fiom a firmare". Fim e Uilm: cogliamo l'occasione. "Non si può rinviare all'infinito la decisione, subito il vertice con i sindacati" di SALVATORE TROPEA Marchionne: con il 51% di sì Fiat farà l'investimento a Mirafiori Sergio Marchionne TORINO - "Non abbiamo il tempo di posticipare all'infinito una decisione. Ci sono scadenze industriali che premono e investimenti che devono partire al più presto. Mi auguro che prevalga il senso di responsabilità e che la proposta del 3 dicembre venga accolta". L'appello di Natale è tutto qui, in questo invito a non farsi del male gettando via l'occasione della joint venture con Chrysler per produrre a Mirafiori un suv con un investimento di oltre un miliardo. L'ad della Fiat lo ha fatto durante il rituale saluto di fine anno ai dirigenti del gruppo riuniti al Lingotto al termine di una giornata - quella di ieri - caratterizzata dal timori di una rottura che non c'è stata e, su un altro fronte, dal balzo del titolo in Borsa: più 3,64% "Con il 51% di sì siamo pronti a fare l'investimento. Il piano è qualcosa di unico: la possibilità di produrre nello storico impianto di Torino Suv di classe superiore destinati ai mercati di tutto il mondo. Perciò invito la Fiom a firmare, sarebbe un ottima idea fare l'accordo prima di Natale" ha detto un Marchionne che ha scelto di non andare a testa bassa anche perché, se lo avesse fatto, avrebbe dovuto indicare un nuovo itinerario per Fabbrica Italia e forse l'adozione di quel Piano B che sinora è stato letto come la fine del dialogo e l'abbandono del paese da parte del Lingotto. Consapevole del rischio ha optato per una linea apparentemente soft, lasciando il cerino in mano ai sindacati, nel senso che ha girato a loro la responsabilità di una risposta impegnativa. E non del tutto a sorpresa ha trovato accoglienza. Le agenzie non avevano ancora battuto il suo discorso e già Rocco Palombella della Uilm e Giuseppe Farina della Fim, dichiaravano di essere pronti a "cogliere l'occasione" chiedendo un incontro immediato con lui che potrebbe aver luogo domani. Del resto già lunedì in Federmeccanica la Fiat era stata chiara con Fim, Uilm e Fismic: "O accettate la nostra offerta o l'investimento salta". Con questo precedente ieri l''ad del Lingotto è partito da lontano per arrivare alla svolta epocale imposta dalla crisi e dunque all'ingresso "in un'epoca che non tollera l'inerzia e punisce chi non si adatta". "Perdere tempo, denaro, opportunità; sprecare risorse materiali e intellettuali oggi è più che mai antieconomico e deleterio. Ma è soprattutto immorale". La Fiat ha reagito alla crisi: lo ha fatto con l'alleanza con Chrysler. Ma è su ciò che è avvenuto dopo che Marchionne ha avuto parole di disappunto. Egli non ha gradito quello che ha definito un attacco alla Fiat: "Non mi è chiara la ragione di tanta acredine". Senza mai citarla ha chiamato in causa la Fiom: "Quello che ho visto fare in questi mesi - su indirizzo di una minoranza all'interno del gruppo - è alimentare una guerra in famiglia". Muovendo da queste critiche ha rilanciato la proposta per Mirafiori, ricordando la sua importanza per una fabbrica che è e resta al centro dell'alleanza con Chrysler soprattutto dopo la scissione dalla quale stanno nascendo Fiat Spa e Fiat Industrial. Un impegno che vorrebbe essere un'ulteriore rassicurazione sul futuro di una Fiat italiana. "Le nostre radici sono qui, a Torino e in Italia: questa è la nostra storia e da qui viene anche la nostra forza" ha detto il presidente John Elkann il cui abbraccio al termine del discorso con Marchionne è stato accolto con una standing ovation dai 2 mila dirigenti che affollavano l'auditorium del Lingotto. Dunque si riprende? E' possibile che avvenga già domani. Il ministro Sacconi si è spinto fino a ipotizzare un accordo prima di Natale. I tempi sono stretti, ma forse Marchionne è riuscito a fare breccia almeno sul versante Cisl e Uil. Resta l'incognita della Fiom, anche se Giorgio Airaudo ha detto che il suo sindacato sarà presente al tavolo non essendo stato lui ad abbandonarlo. E all'invito di Marchionne alla Fiom a firmare ha risposto: "Pronti a farlo se si tiene conto delle ragioni dei lavoratori, no a un'altra Pomigliano". (22 dicembre 2010)
PASSAPAROLA Il lavoro che non vale più Questa "La malattia dell'Occidente" Il libro di Marco Panara indaga intorno al malessere diffuso nei paesi industrializzati a causa dell'impoverimento di operai e impiegati. Il cuore della crisi attuale è il crollo del concetto di lavoro come obiettivo centrale e rassicurante di SILVANA MAZZOCCHI Il lavoro che non vale più Questa "La malattia dell'Occidente" La copertina del libro AL tempo in cui esplode il disagio giovanile per la mancanza di prospettive che la maggior parte delle nuove generazioni vive come una certezza, analizzare ciò che non è più aiuta a riflettere mentre, per non cedere al pessimismo spesso sterile, è almeno utile cercare un'alternativa a quel che si è perduto. Ed ecco allora la sfida più intrigante, quella di restituire valore al lavoro, a quel collante sociale che, almeno fino a qualche decennio fa, ha funzionato per i giovani come strumento finalizzato a realizzare aspettative e aspirazioni. Per riuscire a riaccendere finalmente un futuro ormai coperto di ombre, facendolo di nuovo percepire come possibile. Va dritto allo scopo La malattia dell'Occidente (Laterza), il nuovo saggio di Marco Panara, in libreria da qualche settimana e già alla seconda edizione, che indaga intorno al malessere diffuso nei paesi industrializzati a causa dell'impoverimento di operai e impiegati e indica nel crollo del concetto di lavoro come obiettivo centrale e rassicurante, il cuore dell'attuale stato di crisi. Scandaglia Panara il percorso che ha portato alla situazione che è ormai sotto gli occhi di tutti e analizza le motivazioni del perché, in Occidente, "il lavoro non vale più". Che cosa era per noi il lavoro e qual è il metro con cui oggi lo consideriamo? Sostiene Panara che il fattore umano, insidiato dalla tecnologia e dalla globalizzazione, è evidentemente in declino e che, di conseguenza, il reddito di interi gruppi sociali, è andato in caduta libera, con la quota destinata al lavoro calata nei paesi industrializzati di ben 5 punti. Di qui la perdita del valore del lavoro, non solo in termini economici, ma anche (e soprattutto) del suo appeal morale e sociale. Ma, poiché tra lavoro e democrazia c'è un rapporto che sta al di sopra dei contingenti mutamenti economici e di costume, ricostruire questo irrinunciabile legame diventa il grande obiettivo del futuro. Restituire al lavoro la dignità sociale e culturale, come anche la nostra Costituzione gli attribuisce, va oltre il riconoscimento del suo valore economico e di sopravvivenza, che pure costituisce il motivo per cui i giovani tuttora aspirano a un'occupazione remunerativa e non temporanea. Ed è questa l'unica via d'uscita per una classe politica che, nei tempi attuali, dovrebbe vedere nella rifondazione del valore sociale del lavoro, il progetto più moderno e più urgente da realizzare. Tutti vogliono un lavoro, eppure il suo valore è in declino. Che cosa succede in Occidente? "La tecnologia e la globalizzazione hanno cambiato le carte in tavola: la tecnologia distrugge il lavoro - molte cose che prima dovevano essere fatte dall'uomo ora possono farle le macchine - e l'apertura di tutti i confini ha messo in competizione un miliardo e mezzo di lavoratori poco pagati e senza diritti dei paesi emergenti, con 500 milioni di lavoratori ben pagati e tutelati dei paesi industrializzati. L'esito di tutto ciò è che in Occidente, da 25 anni a questa parte, diminuiscono i lavori operai e impiegatizi, quelli che assicurano redditi medi, distrutti appunto dalla tecnologia e dalla globalizzazione e aumentano i lavori più poveri. Con la conseguenza che la quota della ricchezza prodotta che va al lavoro diminuisce e quella che va al capitale invece aumenta. L'esperienza di ciascuno di noi è piena di testimonianze in questo senso, intere categorie hanno visto diminuire progressivamente il loro reddito e il loro prestigio sociale, mentre siamo letteralmente circondati da persone anche qualificate che lavorano con remunerazioni molto basse o con tutele basse o inesistenti: è anche questo il modo in cui il lavoro si impoverisce". Il lavoro era un valore sociale sicuro per i ragazzi del boom, che cosa è per i giovani oggi? "Il valore economico e quello sociale del lavoro vanno di pari passo. Tra gli anni '50 e gli '80 del secolo scorso c'è stata l'epoca d'oro del lavoro, le economie dei paesi industrializzati crescevano e il lavoro conquistava reddito e diritti. Il lavoro era lo strumento per realizzare le proprie aspirazioni, esprimere il proprio ruolo nella società, creare un futuro migliore per sé e per i propri figli. Poi è cominciato il declino, lento ma costante. Perdendo valore economico, il lavoro ha perso anche valore sociale, culturale, politico aprendo lo spazio ad una visione più individualistica e frammentata della società. E l'impressione è che i giovani il lavoro lo desiderino, per conquistare la loro indipendenza e avviare un progetto di vita, ma non ci credano troppo, non riescano ad affidargli quelle aspettative che una generazione fa erano realistiche e oggi lo sono invece molto meno. Qual è la sfida dei nostri giorni? "La più affascinante che si possa affrontare: ridare valore economico, sociale, culturale, politico al lavoro. Non è una questione di ruolo del sindacato e di rapporto tra lavoro e capitale in senso classico. E' una cosa più sostanziale, dobbiamo creare lavori che valgano intrinsecamente di più e formare persone in grado di farli. Se il lavoro ha una sua forza economica crescente trascina con se tutto il resto, migliora l'equilibrio della società diminuendo le disuguaglianze che invece il declino del valore del lavoro ha accentuato, rende più solida la democrazia. più sostenibile lo sviluppo dell'economia. Questo è il solo vero antidoto al declino, la cui ombra da un po' ci accompagna". Marco Pamara La Malattia dell'Occidente Laterza pag 150, euro 16 (21 dicembre 2010)
2010-12-18 "Investimenti e diritti" Presidio Fiom a Mirafiori Davanti alla porta 5 di Mirafiori va in scena la manifestazione organizzata dalla Fiom per dire sì all'investimento della Fiat nella fabbrica ma preservando le libertà dei lavoratori di STEFANO PAROLA "Investimenti e diritti" Presidio Fiom a Mirafiori Il presidio davanti alla porta 5 di Mirafiori (foto Contaldo/Photonews) In strada, davanti alla porta 5 di Mirafiori, nonostante il gelo. Erano più di 700 le persone al presidio organizzato dalla Fiom di Torino per chiedere "investimenti e diritti". Per il segretario provinciale, Federico Bellono, è una "presenza positiva, che testimonia come la questione Fiat sia veramente importante per i lavoratori come per tutta la città". GUARDA LE FOTO Tra i manifestanti, tante tute blu dello stabilimento di corso Agnelli, ma anche dell'indotto. Per un'iniziativa che ha trovato il sostegno anche della Cgil provinciale perché, come ha spiegato la segretaria Donata Canta dal rudimentale palco allestito su un furgone, "se c'è lavoro per Mirafiori c'è anche per migliaia di addetti dell'indotto. Per questo accettiamo di trattare su pause, su turni di lavoro e così via. Ma non possiamo accettare un accordo a scatola chiusa". Sul furgone al centro del presidio si sono alternati diversi delegati sindacali, che hanno lamentato "pressioni da parte dell'azienda in vista del possibile referendum" e si sono detti consapevoli del fatto che "la cassa integrazione andrà avanti a singhiozzo fino al 2012". A chiudere la mattinata, il responsabile nazionale Auto della Fiom, Giorgio Airaudo, che ha spiegato che "il Torinese è colpito da una crisi violenta, ma non si può usare questa crisi per limitare i diritti e le libertà individuali. Non possiamo rassegnarci all'ineluttabile". E ha rilanciato: "Se non si sblocca nulla, siamo pronti a fare a gennaio una marcia per il lavoro". In settimana era circolata voce anche di una possibile manifestazione davanti al Lingotto in favore del "sì" all'offerta presentata dalla Fiat al tavolo di trattativa, organizzata dall'Associazione quadri e impiegati. Evento di cui però non si è avuta traccia. (18 dicembre 2010)
2010-12-17 IL CASO Annozero, Fiat chiede maxi risarcimento 20 milioni di euro per un servizio sull'Alfa Nel mirino del Lingotto la puntata del 2 dicembre: "In un servizio sulla MiTo affermazioni denigratorie e lesive dell'immagine della società, dei suoi prodotti e dei suoi dipendenti" Annozero, Fiat chiede maxi risarcimento 20 milioni di euro per un servizio sull'Alfa Sergio Marchionne, amministratore delegato Fiat ROMA - Ammonterebbe a 20 milioni di euro la richiesta di risarcimento danni presentata dalla Fiat contro la trasmissione Annozero di Michele Santoro, per la puntata del 2 dicembre. Secondo il Lingotto, alcune affermazioni contenute in un servizio sono state "fortemente denigratorie e lesive dell'immagine e dell'onorabilità della società, dei suoi prodotti e dei suoi dipendenti". GUARDA IL SERVIZIO CONTESTATO 1 All'inizio del mese, nell'annunciare la richiesta di risarcimento, la Fiat aveva spiegato che "in modo del tutto strumentale" Annozero aveva "illustrato le prestazioni di tre autovetture, fra cui una Alfa Romeo MiTo, impegnate in un test apparentemente eseguito nella stagione autunnale, per concludere, sulla sola base dei dati relativi alla velocità, che i risultati di questa 'prova' avrebbero dimostrato una asserita inferiorità tecnica complessiva dell'Alfa Romeo MiTo. Si trattava di una ripresa televisiva che è stata artificialmente collegata ad una prova comparativa condotta nella stagione primaverile, non con le stesse vetture, dal mensile Quattroruote e poi pubblicata nel numero dello scorso mese di giugno di questa rivista". "Quello che, incredibilmente, la trasmissione non ha raccontato - aveva spiegato ancora il Lingotto - è che la valutazione globale di Quattroruote, risultante dalla comparazione dei dati relativi alle prestazioni tecniche, alla sicurezza e al confort ha attribuito all'Alfa Romeo MiTo in versione Quadrifoglio (1.368 cc) una votazione superiore a quella della Citroen DS3 THP (1.598 cc) e della Mini Cooper S (1.598 cc). Fiat, anche a tutela delle migliaia di lavoratori che quotidianamente danno il loro contributo alla realizzazione di prodotti sicuri e tecnologicamente avanzati, intende pertanto intraprendere un'azione di risarcimento danni (il cui ricavato sarà interamente devoluto in beneficenza) - aveva concluso l'azienda - come forma di difesa a fronte di una condotta tanto ingiustificata quanto lesiva della verità". In quella occasione Michele Santoro si era limitato a dire: "quando arriverà la richiesta di risarcimento danni la valuteremo e ci difenderemo nelle sedi opportune come abbiamo sempre fatto". (16 dicembre 2010)
2010-12-14 FIAT Marcegaglia: "Una sciocchezza la Confindustria delegittimata" Polemico intervento della presidente degli industriali alla presentazione del libro del leader della Cisl Bonanni. Battibecco con il segretario della Cgil Camusso, che sottolineava l'importanza della certezza delle regole: "Certe non vuol dire immutabili" Marcegaglia: "Una sciocchezza la Confindustria delegittimata" Susanna Camusso (a sinistra) ed Emma Marcegaglia alla presentazione del libro del segretario della Cisl Bonanni ROMA - Confindustria "non è delegittimata": il presidente degli industriali, Emma Marcegaglia, minimizza la portata dell'uscita temporanea della Fiat dall'associazione. Intervenendo alla presentazione del libro del leader della Cisl, Raffaele Bonanni, Marcegaglia ha detto di aver sentito e letto "in questi giorni tante sciocchezze, come 'Confindustria è delegittimata' e 'Marchionne licenzia Marcegaglia'. Marchionne - ha aggiunto con una battuta - può far tutto tranne licenziarmi, perché grazie a Dio ho la mia azienda". La n.1 della Confindustria si riferisce evidentemente all'inchiesta di Repubblica firmata da Roberto Mania. 1 Altra battuta del presidente di Confindustria riguarda i titoli sull'incontro a New York con l'amministratore delegato della Fiat: "Contrariamente a quanto hanno scritto alcuni giornali non ho passato la notte con Marchionne. Ci siamo visti solo per dieci minuti". Marcegaglia ha invece tenuto a chiarire la portata autentica per Confindustria dell'accordo con la Fiat: "Se una impresa ci chiede flessibilità, noi siamo in grado di darla. Qui c'è un problema specifico di uno-due stabilimenti non gestiti, la Fiat chiede un cambiamento di regole molto forte". "La Fiat - ha proseguito Marcegaglia - vive in alcuni suoi stabilimenti una situazione di forte complessità con il sindacato, di forte assenteismo. Oggi chiede di poter controllare e gestire meglio questi stabilimenti. C'è un sindacato, la Fiom, che non vuole portare avanti la strada del cambiamento. La Fiat chiede un meccanismo diverso di rappresentanze all'interno delle proprie aziende". Intervenendo alla presentazione del libro di Bonanni, il segretario della Cgil Susanna Camusso ha però sottolineato l'importanza della certezza delle regole di rappresentanza che, ha detto, "si misurano col pluralismo in ragione degli iscritti e dei voti". La Camusso ha ammesso però che "si può anche ragionare sul fatto di aver bisogno di nuove regole". Immediata la replica di Emma Marcegaglia: "Non è detto che le regole devono essere immutabili. Io sono per il rispetto delle regole ma penso anche che vadano cambiate in un mondo che cambia profondamente". (13 dicembre 2010)
2010-12-12 L'INTERVISTA "Marchionne disprezza l'Italia ma dimentica che qui è monopolista" Parla il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso: "Sul contratto nazionale non può decidere la Fiat". E accusa: "La mossa del Lingotto indebolisce il sistema di Confindustria, ma nasce dalla loro volontà di destrutturare le regole" di ROBERTO MANIA "Marchionne disprezza l'Italia ma dimentica che qui è monopolista" Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso ROMA - "Marchionne deve smetterla di disprezzare l'Italia. E non per gli aiuti che la Fiat ha ricevuto in tanti anni. Ma perché questo Paese ha permesso alla Fiat di essere monopolista, gli ha garantito un grande mercato interno e un importante portafoglio marchi, tra cui quello dell'Alfa Romeo. Grazie a tutto questo la Fiat di Marchionne ha potuto scalare la Chrysler". Susanna Camusso, segretario generale della Cgil da poco più di un mese, sta tornando a Milano dopo aver partecipato alla manifestazione del Pd. La sfida con Marchionne sarà la sua prova del fuoco da leader della Cgil. Lei non sarà la "signora del no", ma su tutto vuole trattare rispettando le regole del gioco e non facendosele imporre dagli altri. Chiama in causa la Confindustria: "Spetta alla Marcegaglia invitare Cgil, Cisl e Uil a un confronto sull'eventuale contratto nazionale dell'auto. Non può essere la Fiat a scriverlo perché è nei fatti un monopolista e nemmeno la Federmeccanica che non rappresenterà più il settore". Non teme l'ennesimo accordo separato, quanto "la balcanizzazione delle relazioni industriali". Definisce "falsa e sbagliata" l'accusa di Marchionne alla Fiom che bloccherebbe lo sviluppo. "La riprova? Il Nuovo Pignone è un'azienda leader mondiale e lì la Fiom è largamente il primo sindacato". Lei dice che Marchionne disprezza l'Italia. In realtà chiede solo garanzie per gli investimenti. Invece dovrebbe essere riconoscente a vita nei confronti dell'Italia? "Non è una questione di riconoscenza. Dico che è il patrimonio costruito nel tempo che gli può permettere di giocare nel mondo. E dico anche Le colpe del governo "Ha ragione nel porre il problema dell'assenza di una politica sull'auto, ma non può scaricare tutto sui lavoratori" che quel patrimonio è stato largamente svalorizzato negli ultimi anni. La Fiat dovrebbe confrontarsi con la Volkswagen che oggi è in condizioni di investire 44 miliardi di euro e programmare 50 mila assunzioni. Se poi Marchionne, con le sue critiche, intende porre il problema della mancanza di una politica per l'auto da parte di questo governo, ha ragione da vendere. Ma è un altro discorso e, allora, non può scaricare tutto sui lavoratori e far saltare il sistema delle garanzie per i lavoratori stessi". Marchionne ha chiesto alla Marcegaglia di indicargli quali sono le ragioni che rendono conveniente un investimento in Italia. Provi a rispondere anche lei. "C'è un motivo tra tutti: il mercato europeo. La Fiat non può pensare di diventare un giocatore mondiale andandosene dall'Europa. Così Marchionne contraddirebbe se stesso. I suoi concorrenti americani sono molto presenti nel mercato europeo". La Fiat potrebbe rafforzarsi in Polonia o in Serbia. "Ma non aveva spiegato che dovevamo fare come la Germania?". Comunque la Fiat è pronta a investire 20 miliardi di euro a condizione che i sindacati firmino un accordo per modificare l'organizzazione del lavoro. "Per ora ci sono i 700 milioni per Pomigliano e un miliardo per Mirafiori. Continuiamo a non vedere il piano "Fabbrica Italia". È un piano che per ora non esiste. Ha ragione il segretario della Cisl Bonanni: prima gli investimenti e poi le ricadute sul lavoro". La Confindustria è vittima o "complice" di Marchionne? "Sono vere entrambe le cose. Per un verso è vittima perché la mossa di Marchionne indebolisce il sistema di rappresentanza della Confindustria. Ma nello stesso tempo questa situazione non è altro che la conseguenza della destrutturazione delle regole avviata con l'accordo separato sul modello contrattuale. Nasce tutto da lì". L'uscita della Fiat da Confindustria sarà temporanea, come dicono, o definitiva? "Mi pare che abbia tanta voglia di non tornare indietro. Ma spetta a Confindustria chiamare al tavolo i sindacati per scrivere, eventualmente, il nuovo contratto per l'auto. Seguendo la strada già tracciata all'epoca delle liberalizzazioni: non più il contratto Telecom, per esempio, ma quello nazionale del settore telecomunicazioni. Se non si avvia un confronto di questo tipo c'è il rischio che si metta in discussione il cosiddetto "tavolo per la crescita". Tra l'altro producendo un danno verso tutte le altre organizzazioni di imprese. La responsabilità sarebbe della Confindustria". Dunque la Fiom ci sarà al tavolo per il contratto dell'auto? "Prima si deve stabilire cos'è il contratto dell'auto. Se è un nuovo contratto nazionale serve una discussione aperta, non predeterminata. Servirebbe un po' di decenza per il rispetto delle regole". Teme un altro accordo separato? "Non temo nulla se non la balcanizzazione del sistema contrattuale". (12 dicembre 2010)
LA MANIFESTAZIONE I democratici invadono piazza San Giovanni "L'Italia si levi il berlusconismo dalle vene" Doppio corteo a Roma, poi comizio del segretario nazionale del Pd. "La compravendita dei parlamentari è una vergogna". "Chi ci ha fatto le pulci su come faccio opposizione si deve ricredere". "Il mio sogno è dire all'Italia 'Vieni via con me'. Poi la proposta di un governo di responsabilità nazionale di MATTEO TONELLI I democratici invadono piazza San Giovanni "L'Italia si levi il berlusconismo dalle vene" ROMA - A tre giorni dal voto di fiducia al governo il Pd chiama a raccolta i militanti e riempie piazza san Giovanni a Roma. Lo fa mentre Silvio Berlusconi ostenta ottimismo per la sopravvivenza dell'esecutivo e mentre le manovre di un ravvicinamento tra Fli e il Pdl si fanno più concrete 1. "L'Italia deve cambiare" scandisce Pier Luigi Bersani dal palco. Perché l'idea di Paese che il segretario democratico racconta alla piazza è l'opposto dell'italia targata Cavaliere. Un'Italia che si deve levare "il berlusconismo dalle vene", che dica basta "all'uomo solo al comando e al 'ghe pensi mi'''. Perché in questa piazza '"c'è l'Italia di domani" assicura il segretario. Che urla, accompagnato dalla piazza, il suo "vegogna, vergogna" per la compravendita parlamentare di questi giorni. 2 La giornata romana dei democratici vede i due cortei snodarsi nel centro cittadino. C'è tanta gente e migliaia di bandiere del Pd. Ed ancora cartelli, striscioni. Si canta "Bella ciao" e "Cambierà" di Neffa. Ma c'è anche una sottile ansia che il traguardo apparentemente vicino, possa allontanarsi. Lo capisci parlando con i manifestanti che ti confessano la preoccupazione per il voto parlamentare. Il timore che il Cavaliere ce la faccia anche stavolta. Bersani lo avverte e dal palco scandisce: "Siamo sereni, non sarà un voto 'compravenduto' a cambiare la situazione". Il 14 non è "l'ora X" che potrebbe anche non scoccare. Certo, però, è "un passaggio cruciale" verso il dopo Berlusconi. Bersani arriva sul palco e quasi si emoziona guardando la piazza. Inizia rivendicando la bontà della strategia del Pd. A dispetto di chi "ci ha fatto continuamente le pulci su come facciamo opposizione". "Se oggi siamo a questi punti - alza la voce il segretario - è anche merito nostro. Abbiamo messo noi, al tempo giusto, la mozione di sfiducia. Al tempo giusto, non tutti i giorni come le solite tifoserie e i soliti focosi amici ci suggerivano. Fatemelo dire, adesso. Ce l’abbiamo la patente per fare l’opposizione, non abbiamo bisogno di maestri che ci tirino la giacca tutti i giorni. Credo che lo si sia visto". Bersani non li cita ma la mente corre, tra i tanti, a Di Pietro. FOTO: LA PIAZZA GREMITA FOTO: POLITICI TRA LA GENTE 3 FOTO: GLI STRISCIONI 4 C'è l'orgoglio del lavoro fatto, e che la convinzione che il ciclo del Cavaliere sia agli sgoccioli. Che la partita si possa riaprire e che il Pd possa farcela. Con Vendola? Con Di Pietro? Con l'Udc? "Con chiunque ci faccia vincere" ti senti rispondere da molti. Ma Bersani al voto immediato non punta. Quello che propone, invece, è un governo di "responsabilità istituzionale per reagire al declino". Ed è un Italia in declino quella che disegna il segretario democratico. "Robin hood, social card, piano sud, Banca del mezzogiorno: tutte balle, tutte balle. Sono solo slogan buoni per i tg" incalza Bersani. Che attacca Tremonti per la gestione della crisi: "Con il loro rigore abbiamo la crescita più bassa e il debito più alto d'Europa. E con la propaganda del rigore hanno messo a tacere tutti i problemi". Colpevole è la destra "che ha disarmato il paese sacrificandolo alla sua propaganda". Colpevole è Berlusconi Che "deve andare a casa" e anche la Lega "che ha votato con "i ladroni" suoi amici mentre polemizzava con "Roma ladrona". Compito dei democratici, continua il segretario, è rifondare il Paese dalle fondamenta. Per questo Bersani propone una "riforma repubblicana" e una "alleanza per la crescita e il lavoro" come orizzonte della sua proposta politica. Una nuova fase dopo 16 anni di "disastro" berlusconiano. Una nuova fase all'opposto del leaderismo e del populismo: "Toccasse mai a me mai metterei il mio nome sul simbolo 5" continua il segretario.
Per farlo, però, servirà un Pd "che deve sapere quel che la gente chiede sopra ogni altra cosa ad una forza politica: sobrietà, onestà, rigore, semplicità, vicinanza ai problemi. Un collettivo che deve esprimere unità, responsabilità, generosità". E nuovi volti. Ma glissando su quella "rottamazione" dei dirigenti evocata dal sindaco fiorentino Matteo Renzi. "Ci sarà nuova generazione che prenderà in mano il partito dei riformisti del secolo nuovo" taglia corto Bersani. Che, in conclusione, evoca il sogno di un partito "che possa finalmente dire all’Italia, parafrasando una bella canzone e una grande trasmissione televisiva: 'Vieni via, vieni via di qui, vieni via con me. Vieni via da questi anni, da queste umiliazioni, da questa indignazione, da questa tristezza'. C’è del nuovo davanti, c’è un futuro da afferrare assieme, l’Italia e noi". Finisce così. Tra gli applausi e lo sventolio delle bandiere. Con Massimo D'Alema che applaude Bersani e Walter Veltroni che gli stringe la mano. Si guarda al voto di fiducia, ma anche allo spauracchio dell'allargamento della maggioranza e al Berlusconi bis. E' questo, più della conta dei voti, lo spettro che preoccupa i democratici. (11 dicembre 2010)
2010-12-11 Mirafiori, il futuro divide la Cisl 'Basta tatticismi ed esitazioni' La Fim critica anche i vertici nazionali: subito un'ipotesi di accordo. Chiarle e Sansone: "Non si può perdere un investimento da un miliardo". Da lunedì torna la cassa in alcuni reparti: ieri è stato sfornato l'ultimo modello di Multipla di STEFANO PAROLA Mirafiori, il futuro divide la Cisl 'Basta tatticismi ed esitazioni' "Basta esitazioni, il futuro di Mirafiori non può essere legato ai tentennamenti delle parti: bisogna riprendere urgentemente il confronto sindacale per arrivare a un'ipotesi di accordo. Anche il sindacato a livello nazionale deve uscire dai tatticismi e indicare con chiarezza una strada che porti a una soluzione". La Fim regionale e provinciale si sente messa in un angolo. Così, dopo l'ennesimo diktat dell'ad della Fiat, Sergio Marchionne, che da Detroit ha minacciato di ritirare l'investimento previsto per il sito torinese, i segretari di Fim Torino, Claudio Chiarle, e Fim Piemonte, Antonio Sansone, accusano di eccessivo immobilismo i propri vertici: "Lo diciamo - scrivono in una nota - in primis ai segretari generali di Fim e Uilm. Non possiamo permetterci di perdere l'investimento di Mirafiori perché significherebbe un inesorabile declino industriale di Torino. Serve chiarezza. La soluzione della trattativa era vicina. Ora i chiarimenti sono stati fatti e la decisione del Lingotto di non far aderire a Confindustria la nuova società che governerà Mirafiori è un elemento, negativo, ma di chiarezza". Stretta a livello sindacale tra il sì della Fismic e il no della Fiom, ieri la Fim durante le assemblee tenute assieme alla Uilm ha toccato con mano le preoccupazioni delle tute blu torinesi. Riunioni vivaci, con tante discussioni e toni accesi. Rese ancor più tese dal massiccio numero di impiegati e quadri. Una presenza inedita, che alcuni sindacalisti leggono come una provocazione da parte dell'azienda. Così, quando dagli Stati Uniti è arrivato l'aut aut del manager canadese, Chiarle e Sansone si sono smarcati: "Bisogna ripartire rapidamente, anche perché l'accordo di Mirafiori può dare il segnale di come tenere la joint-venture agganciata al contratto nazionale". Il numero uno della Uilm, Maurizio Peverati, ci va molto più cauto: "Serve un incontro al più presto per definire due questioni. Una di merito, per risolvere il nodo della malattia, che nella trattativa è l'ultimo ancora da sciogliere. L'altra per chiarire la faccenda del contratto nazionale dell'auto". A chi gli faceva notare che la Fiom in questi giorni ha raccolto 2.500 firme contro la proposta Fiat, Marchionne ha risposto che "se quelle cifre sono vere vuol dire che non vogliono l'investimento. Sarebbe un enorme peccato". Parole che hanno trovato la replica del leader della Fiom Torino, Federico Bellono: "Dato che Marchionne dice di essere interessato al consenso degli operai, credo debba tener conto del fatto che i lavoratori vogliono che l'investimento si faccia. Però dovrebbe anche tenere in considerazione la loro contrarietà alla sua offerta contrattuale. I lavoratori non possono essere trattati come Pierino, che se fa i capricci non gli si compra il gelato. Se invece c'è un problema di incomprensione, spieghiamoci meglio". A Mirafiori è stata giornata di assemblee, ma anche di lavoro pieno. Da lunedì invece alcuni reparti inizieranno a funzionare a singhiozzo, e avanti così fino alla chiusura totale del 20 dicembre. Ieri è stato anche il momento di un addio: in corso Tazzoli è stato sfornato l'ultimo esemplare di Multipla della storia (11 dicembre 2010)
C'era una volta la Confindustria C'era una volta la Confindustria. Quella di Agnelli e Pirelli, quella dello scontro di classe nel lungo interminabile "autunno caldo italiano". Era la Confindustria potere forte per eccellenza. Quasi un'Istituzione. Ora la Confindustria è "un dettaglio", per volontà di Sergio Marchionne, manager italo-canadese che ha scelto la via americana anche per le relazioni industriali. La Confindustria è un fastidio o un orpello che imbriglia la libertà d'azione delle multinazionali. La linea della Confindustria era la linea dei grandi. Era la linea della Fiat. E i piccoli rumoreggiavano, si lamentavano. Qualche volta si ribellavano. Però dicevano quello che dice ora Marchionne: il contratto nazionale è troppo rigido, troppo costoso. Servono regole "tailor made". Ciascuno per sé. Difficile pensare - ora - che se il contratto nazionale non va più bene alla grande Fiat possa andare bene ai piccoli della Brianza e del Nord-est. Resteranno in silenzio - ma solo per un po' - gli altri grandi gruppi, privati nella gestione ma pubblici nella governance: Eni, Enel, Finmeccanica. Una Confindustria "parastatale". D'altra parte - come sostiene il sociologo Aldo Bonomi - Emma Marcegaglia "non parla più di interessi, ma solo di politica". E c'erano una volta anche i "sindacati maggiormente rappresentativi", concetto chiave nel novecentesco Statuto dei lavoratori. Così i contratti firmati da Cgil, Cisl e Uil si applicavano a tutti i lavoratori. Non si misurava la rappresentatività della Triplice ma nemmeno la si metteva in discussione. Ora ci sono i "sindacati complici", come efficacemente li chiama il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Sono - più o meno - i sindacati che firmano i contratti che piacciono alle aziende. Infine c'era una volta la classe operaia. Ora non c'è più, l'ha garantito Marchionne. Ma ci sono gli operai che un tempo facevano anche cadere i governi. Ora possono partecipare ai referendum per votare sì alle proposte delle aziende. Referendum a senso unico. Agli operai è stata tolta anche la tuta blu. Ora, infatti, è di tutti i colori. Blu è rimasto solo il maglione di Marchionne che - c'è da esserne certi - sa già come fronteggiare le orde di clienti che piomberanno negli autosaloni per comprare i nuovi modelli della Fiat Globale. O no? (11 dicembre 2010)
2010-12-10 NEW YORK Marchionne: sì a contratto solo per auto "Newco Mirafiori fuori da Confindustria" L'organizzazione degli imprenditori spinge per un accordo nazionale di settore che "risponda alle esigenze della Fiat" e ne consenta il "ritorno" tra gli iscritti. L'ad del Lingotto: "Se le firme della Fion sono vere, vuol dire che gli operai non vogliono l'investimento". La Uilm: "Pronti a riprendere le trattative Marchionne: sì a contratto solo per auto "Newco Mirafiori fuori da Confindustria" Emma Marcegaglia e Sergio Marchionne dopo l'incontro di New York NEW YORK - "Può darsi che sia la soluzione giusta". Così l'ad di Fiat, Sergio Marchionne, ha risposto ai cronisti che gli chiedono se la creazione di Federauto, una federazione dell'industria automobilistica, potrebbe essere la soluzione, almeno temporanea, per "conservare" il legame fra Lingotto e Confindustria. Marchionne ha però anche chiarito che la joint venture con Chrysler 1, per la Fiat, deve restare fuori da Confindustria. Il manager ha parlato con la stampa a margine della riunione del comitato per le relazioni tra Italia-Usa alla quale parteciperanno tra gli altri anche Marcegaglia, il governatore della Banca di Italia, Mario Draghi e il presidente dell'Eni, Roberto Poli. "Per la Fiat - ha detto Sergio Marchionne - questa joint venture con Chrysler se va avanti non deve comunque far parte di Confindustria. Quindi aspettiamo loro e quando sono pronti entriamo. Non è che possiamo fermare gli investimenti. Non posso aspettare, la macchina serve". Quanto alla tempistica, l'ad del Lingotto ha precisato che la macchina "deve essere pronta nel 2012". "I conti alla rovescia sono bravi tutti a farli - ha insistito - ma bisogna considerare che ci vuole il tempo per svilupparla". Marchionne ha parlato del lungo confronto con la Marcegaglia: "Abbiamo parlato di tutto e questo è il risultato delle discussione di questa notte con lei. Siamo svegli da 6 ore abbiamo parlato anche con l'Europa...". E' stata proprio la leader di Confindustria a sintetizzare più chiaramente l'esito del vertice con il manager: "La newco relativa all'investimento in Mirafiori nascerà fuori da Confindustria - ha detto Marcegaglia - . Confindustria, Fiat e Federmeccanica lavorano insieme da oggi a fare un contratto dell'auto. E non appena ci sarà un contratto dell'auto che rispecchierà le esigenze del Lingotto, Fiat rientrerà in Confindustria". Ieri Federmeccanica aveva inviato una convocazione ai sindacati 2 (per mercoledì prossimo) per discutere del contratto del settore auto. In generale, Sergio Marchionne ha ribadito la posizione dell'azienda senza lasciare spazio a mediazioni: "Non si può ignorare la realtà internazionale del gruppo - ha detto riferendosi a un'eventuale risposta negativa dei lavoratori di Mirafiori - siamo 240mila persone in tutto il mondo di cui meno di 80mila in Italia. Esiste un problema per tutti gli uomini e le donne che lavorano alla Fiat, non soltanto quelli di Torino. Il nostro è un gruppo enorme. Non voglio costringere nessuno a lavorare, ma se questa è la risposta vera alla proposta vera, c'è un problema più fondamentale. Se la risposta è negativa, l'investimento non si fa". E ancora, commentando la notizia delle 2.500 firme sotto la petizione della Fiom contro la proposta contrattuale Fiat: "Se quelle cifre sono vere vuol dire che non vogliono l'investimento. Sarebbe un enorme peccato". Emma Marcegaglia ha provato a distendere i toni: "Forse la proposta non gli è stata spiegata bene - ha detto la presidente di Confindustria - , io penso che la reazione dei lavoratori sarà positiva. Tecnicamente - ha aggiunto - facciamo un contratto dell'auto come vuole Fiat, non ci sembra difficile. E' la riconferma di un investimento importantissimo in un momento in cui l'economia va bene. Non c'è nessuna lesione dei diritti nelle richieste della Fiat, c'è solo la volontà di poter gestire in modo serio gli stabilimenti e questo faremo". Dall'Italia le reazioni all'esito del vertice sono contrastate e la divisione sindacale sembra prospettare una replica del caso Pomigliano. "Per quanto ci riguarda - dice Rocco Palombella, segretario generale Uilm -, al fine di superare questa dannosa fase di stallo per la trattativa di Mirafiori, confermiamo la nostra piena disponibilità ad avviare un confronto con Federmeccanica" per un contratto di settore. Duro invece il commento di Maurizio Landini, leader della Fiom: "Si vuole definitivamente smantellare il contratto nazionale di lavoro - dice - . Le capriole del presidente della Confindustria servono nei fatti a coprire la volontà della Fiat di far diventare gli stabilimenti del gruppo in Italia quelli in cui si delocalizzano produzioni e si cancellano diritti". (10 dicembre 2010)
2010-12-09 IL CASO "Basta tagli alla polizia" Gli agenti protestano ad Arcore Manifestazioni delle forze dell'ordine contro i tagli al bilancio in tutte le città d'Italia. Un centinaio sono sotto villa San Martino, residenza di Silvio Berlusconi. "Con i tagli del governo abbiamo seri problemi di controllo del territorio per la grave carenza di forse e un parco mezzi da rinnovare" "Basta tagli alla polizia" Gli agenti protestano ad Arcore ARCORE - Stamattina un centinaio di agenti della Polizia di Stato, fra poliziotti, vigili del fuoco e guardia forestale, ha dato vita a una manifestazione ad Arcore, davanti alla residenza del premier Silvio Berlusconi. La protesta si è svolta senza tensioni ed è terminata attorno alle 12,30. I poliziotti, appartenenti a tutte le principali sigle sindacali, hanno manifestato davanti a Villa San Martino contro i tagli al bilancio delle forze dell'ordine. Analoghe manifestazioni in tutto il territorio nazionale, a Roma all'esterno del Senato e con volantinaggi davanti le prefetture. E per il 13 dicembre i sindacati hanno indetto una manifestazione nazionale a Roma, in piazza Montecitorio. In particolare, le 22 sigle sindacali di settore radunatesi ad Arcore rivendicano la necessità di fondi e denunciano la scure dei tagli alla sicurezza che dal 2008 si sta abbattendo sulle forze di polizia. "Nelle ultime finanziarie i tagli sono stati di oltre due miliardi di euro - dice Santino Barbagiovanni, segretario regionale Silp Cgil Lombardia - e siamo al collasso. Oltre alla mancanza di personale dobbiamo anche fare i conti con il blocco degli stipendi. Vuol dire che se sono necessari straordinari per far fronte alla mancanza di personale, questi non vengono pagati". "Manifestiamo contro lo smantellamento della sicurezza - aggiunge il sindacalista -. Il governo dà un'ulteriore colpo alla sicurezza e di fatto ora abbiamo serie problematiche legate al controllo del territorio. Solo in Lombardia, ad esempio, c'è un ammanco di 1.300 persone, -40% per la Stradale, -45% alla Polfer, -80% alla Postale. Anche per il parco mezzi la situazione grave, da tempo non viene rinnovato, le auto spesso non sono in condizione con il risultato che i pattugliamenti vengono svolti a piedi. La situazione è allarmante". Enzo Delle Cave, segretario provinciale del Siap, è particolarmente duro col premier. "Leggiamo sui giornali che il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, avrebbe dato dei soldi alla signorina Ruby per questioni di buon cuore - dice il sindacalista -. Sarebbe il caso di utilizzare la stessa compassione e responsabilità anche per i poliziotti, che di soldi per il loro lavoro ne hanno sempre meno". "La protesta di oggi è andata benissimo - commenta Felice Romano, segretario generale del Siulp -. Abbiamo ricevuto la solidarietà e l'appoggio da tantissimi cittadini, anche loro preoccupati per il collasso del sistema della sicurezza che si sta verificando con i tagli operati dal governo. Una situazione che peggiorerà se non passa l'emendamento al decreto sicurezza che blocca il tetto agli straordinari e alle indennità operative. Che il ministro Maroni si è impegnato a sostenere, anche se ha ammesso che la sua non è la linea del governo". Senza l'emendamento, secondo Romano, ci sarebbero dei limiti al tetto delle retribuzioni delle forze dell'ordine "inaccettabili". "Ad esempio - spiega -, tutti coloro che nel 2010 non hanno operato in situazioni di ordine pubblico, se saranno chiamati a farlo nel 2011 lo dovranno fare gratis, e questo è proprio inaccettabile". (09 dicembre 2010)
2010-12-03
AUTO Fiat, rotte le trattative su Mirafiori L'azienda: "Non ci sono margini d'intesa" La rottura dopo che il Lingotto ha respinto le richieste dei sindacati (Fiom, Fim e Uilm) ed escluso qualsiasi "aggancio" tra i nuovi contratti e quello nazionale dei metalmeccanici. Fiom: "Subito la parola alle assemblee dei lavoratori" Fiat, rotte le trattative su Mirafiori L'azienda: "Non ci sono margini d'intesa" Operai alla catena di montaggio della Grande Punto nello stabilimento Mirafiori TORINO - Si è bloccata senza accordo la trattativa tra Fiat e sindacati sullo stabilimento Mirafiori. Secondo l'azienda, non ci sono le condizioni per un'intesa e neppure per riprendere i negoziati. Stamattina l'incontro era ripartito con una nuova proposta da parte dell'azienda; i sindacati l'avevano ritenuta "peggiorativa" ed avevano chiesto tempo per le valutazioni, ma è arrivata la rottura. Al momento non si sa se e quando riprenderanno gli incontri fra Fiat e sindacati. La discussione sul futuro di Mirafiori si è interrotta alle 13,15 con la dichiarazione della delegazione del Lingotto: "Non esistono le condizioni per raggiungere un'intesa sull'investimento". In mattinata, infatti, la Fiat aveva risposto no alle richieste "migliorative" fatte ieri da Fim e Uilm (oltreché naturalmente della Fiom) ed escluso in aggiunta qualsiasi collegamento tra il contratto dei dipendenti della Nuova Mirafiori - che nascerà in joint venture con Chrysler - e il contratto nazionale dei metalmeccanici. "La Fiat - ha spiegato il segretario Uilm, Eros Panicali - vuole fare un contratto fiat. Noi non abbiamo interrotto la trattativa, avevamo chiesto alcuni giorni per fare una valutazione complessiva con i lavoratori e la risposta dell'Azienda, che non ci è piaciuta, è stata la presa d'atto che non ci sono le condizioni per fare l'investimento. Questo noi lo riteniamo inaccettabile". Sulla proposta Fiat sono invece disponibili Fismic e Ugl. "Abbiamo provato a sbloccare la situazione - ha detto Roberto Di Maulo, segretario generale Fismic - ma oltre al no della Fiom, Fim e Uilm si sono riservate di decidere assumendosi una responsabilità gravissima. L'azienda ha detto che non accetta riserve e riferirà a Marchionne che non ci sono le condizioni per concludere il negoziato. Noi eravamo disponibili a chiudere". "L'esigenza priopritaria - commenta il segretario torinese della Fiom, Federico Bellono - è che ora le organizzazioni sindacali convochino unitariamente le assemblee dei lavoratori". Secondo bellono è positivo che fra i sindacati confederali (fiom-fim-uilm) ci sia una posizione sostanzialmente comune di critica alla scelta dell'azienda di non far riferimento al contratto nazionale: "Questo punto di vista - dice Bellono - credo che nell'immediato possa aiutare i lavoratori di Mirafiori e tutti i lavoratori italiani". Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, fa un appello alla responsabilità delle parti per "il bene comune": "L'investimento ipotizzato da Fiat per lo stabilimento di Mirafiori - dice Sacconi - è talmente importante per il futuro dei lavoratori, del territorio, dell'intero gruppo e dell'economia italiana da meritare la ripresa del dialogo tra le parti con priorità di attenzione a quegli aspetti sostanziali che consentono la piena utilizzazione degli impianti con i conseguenti incrementi retributivi detassati". (03 dicembre 2010)
2010-11-28 LA MANIFESTAZIONE La Cgil invade San Giovanni Camusso: "Risposte o sciopero" Molte decine di migliaia di persone alla mobilitazione per i giovani e il lavoro. In corteo anche gli studenti. Il segretario: "La Gelmini ritiri la riforma, il premier smetta di fare la vittima. Questo governo è machista" La Cgil invade San Giovanni Camusso: "Risposte o sciopero" Il debutto di Camusso * Cgil in piazza a Roma "Risposte o sciopero generale" diretta La cronaca ROMA - Finisce con Susanna Camusso che balla sulle note di "Bella Ciao" davanti a una piazza san Giovanni gremita dal popolo della Cgil. Lavoratori, pensionati e studenti venuti a Roma per chiedere al governo "risposte" e "politiche di contrasto alla crisi che fino ad ora non ha avuto". A loro si rivolge il neosegretario quando, a fine comizio, scandisce: "Abbiamo scioperato e continueremo a scioperare". Contro un governo "che in due anni ha tanto parlato, ma non ha fatto nulla per l'occupazione, il lavoro ed il futuro". Per un futuro che deve essere "dei giovani e del lavoro". Due i cortei che si snodano per le vie della capitale. Uno da piazza della Repubblica, l'altro da piazzale dei Partigiani. Poi ci sono gli studenti che sfilano sul lungotevere, occupano piazza Venezia e tentano un blitz, non riuscito, a palazzo Grazioli. E' il colore rosso a dominare la protesta, dai palloncini nell'aria ai cappellini, alle magliette indossate dalle migliaia di partecipanti alla manifestazione. Ci sono i leader dell'opposizione, da Bersani a Di Pietro, da Vendola alla Bindi. Tanta gente ma nessuna stima sui numeri da parte della Cgil. Che si sottrae così al consueto balletto delle cifre con la Questura. "I numeri ci dicevano che sarebbe stata una grande manifestazione ed eccola", taglia corto Susanna Camusso. Le voci del corteo raccontano storie di preoccupazione per il futuro e per il presente. "Sono qui per chiedere più diritti per i giovani, per i nostri figli e per i nostri nipoti: siamo preoccupati seriamente per il loro futuro" racconta Giuseppe, emigrante ora pensionato. Sfilano invece con un cartello con la scritta 'avvoltoi' due insegnanti di Ferrara: "Siamo qui per far sentire la nostra voce, contro i tagli alla scuola pubblica e contro la riforma Gelmini. Siamo l'unica nazione che non investe nella scuola". Tantissimi gli operai scesi in piazza oggi: "Vediamo da Taranto -raccontano Gregorio e Giuseppe, dell'Ilva- siamo stanchi di un governo che va avanti a chiacchiere e gossip. Vogliamo più diritti, quei diritti che ci stanno togliendo". La Camusso, alla sua prima manifestazione da segretario, stringe mani e riceve applausi. Dal palco attacca il governo: "Questo Paese non si merita questa classe politica, questo degrado e questa esibizione di machismo e virilità, questo governo dei potenti. Da questo governo c'e' un'arroganza che cerca solo di risolvere i problemi di qualcuno, problemi personali''. Poi tocca alla contestatissima riforma targata Gelmini: "Il ministro la smetta di fare appelli su Youtube, vada in Parlamento, dica che ritira il ddl e apra un tavolo di confronto. Solo così si costruisce una vera riforma dell'università". Freddezza sull'annunciato piano per il Sud del governo: "Vorremmo capire se è un elenco di buone intenzioni o è un piano concreto". Duro il giudizio sul premier e il suo agitare "complotti": "Smetta di far finta di essere la vittima del mondo". E' la volta del mondo del lavoro: "Diremo e continueremo a dire no alle deroghe al contratto, con tutta la nostra forza. Il contratto è un diritto universale". A Confindustria dice: "Le deroghe sono un danno ai lavoratori ma anche alle imprese. Tra appalti al massimo ribasso e deroghe non c'è differenza, sono la stessa cosa: concorrenza sleale non certo sviluppo". Netta la bocciatura del ddl lavoro: "E' una legge crudele ingiusta. Ognuno di noi, da oggi deve dire che ci sono 60 giorni - anzi 57 - per impugnare il contratto. Vogliamo dire a tutti i precari che sappiamo che è una scelta difficile: la conferma di un lavoro, seppure precario, e la volontà di chiedere giustizia. Il Parlamento ha fatto male ad approvare questa legge, qualunque legge che costringe qualcuno a decidere da solo del proprio destino limita i diritti". Infine un pensiero alla Fiat: "Abbiamo la sensazione che progressivamente la testa dell'azienda stia andando negli Stati Uniti. E' importante che a Mirafiori ci siano produzioni, ma ora vogliamo conoscere le produzioni in tutti gli stabilimenti, dove si farà ricerca e dove innovazione". (27 novembre 2010)
2010-10-26 FIAT Epifani di nuovo all'attacco di Marchionne "In Germania l'avrebbero cacciato" Il segretario della Cgil sull'ad del Lingotto: "I problemi si affrontano ai tavoli non in tv". Marcegaglia: "Il suo è stato un appello a risolvere questioni reali, non sia motivo di divisione politica" Epifani di nuovo all'attacco di Marchionne "In Germania l'avrebbero cacciato" Guglielmo Epifani ROMA - "In Germania lo avrebbero cacciato". Secco il giudizio del segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, che torna sulle dichiarazioni dell'ad della Fiat, Sergio Marchionne, che domenica ha definito l'Italia un peso per il Lingotto, parole condivise e criticate da politici e sindacalisti. "Cosa sarebbe successo in Germania se l'amministratore delegato di un grande gruppo avesse parlato in tv e non davanti al suo comitato di sorveglianza? In Germania l'avrebbero cacciato" ha detto Epifani a Firenze nel suo discorso conclusivo dell'incontro organizzato dalla Fiom Cgil. Epifani: "Problemi non si risolvono in tv". "Non so perché Marchionne è andato in tv - ha proseguito - e a chi parla, alle sue controparti naturali o ai cittadini? E se parla ai cittadini la vertenza Fiat si risolve più facilmente o più difficilmente? E la ricomposizione di un tavolo con la Fiom è più facile o più difficile dopo questa esposizione mediatica? Avete mai visto una vertenza che si fa in tv o sui giornali senza che ai tavoli preposti succeda qualcosa? E' questa assunzione di responsabilità? Ci si può limitare ad andare in tv? Si possono trattare così le organizzazioni sindacali?". "Quando Marchionne dice le cose che dice - ha osservato ancora Epifani parlando dell'intervento di Marchionne in tv - non dice il falso ma scambia le cause con gli effetti. Il problema non è l'orario di lavoro, il problema che la Fiat deve far crescere la qualità di quello che produce. Se ha 22 mila lavoratori in cassa integrazione non può pensare di avere degli utili, e se questi lavoratori sono in cig è perché sul mercato di oggi i suoi modelli non si vendono". Marcegaglia: "Pone problemi veri". Il confronto su Fiat, anche dopo le parole di Marchionne, "non deve diventare motivo di scontro e di divisione politica". Ma "motivo per unire le forze, affrontare i problemi di produttività "di cui soffrono le imprese italiane", ha dichiarato la leader degli industriali, Emma Marcegaglia, a Napoli a margine dell'iniziativa "Orientagiovani". "Mi sembra che la cosa da dire è: Fiat, la famiglia, John Elkann, Marchionne, non hanno affatto detto che intendono lasciare l'Italia" sottolinea la presidente di Confindustria. "Se un imprenditore decide di lasciare e chiudere gli stabilimenti non va in televisione, li chiude e basta - ha aggiunto - mi è sembrato che l'appello di Marchionne sia un appello a guardare i problemi dell'Italia, i problemi di competitività e produttività, dei quali parliamo spesso e da molto tempo. Quindi mi è sembrato più un appello a cercare di risolvere i problemi italiani, che sono effettivi". Problemi "veri". Il gap per le imprese italiane "è un dato tecnico e non riguarda solo la Fiat ma tutte le aziende". Cgia Mestre, 7,6 miliardi di aiuti statali in 30 anni. Negli ultimi 30 anni la Fiat ha ricevuto aiuti di Stato per oltre 7,6 miliardi di euro: la Cgia di Mestre ha fatto i conti in tasca alla casa automobilistica torinese e alla luce di questi dati il segretario degli artigiani e dei piccoli imprenditori di Mestre giudica "ingenerose" le recenti dichiarazioni dell'ad Sergio Marchionne. "Sono poco più di 7,6 mld di euro i finanziamenti che lo Stato italiano ha erogato alla Fiat tra il 1977 e il 2009. Una cifra importante che ha toccato la dimensione economica più rilevante negli anni 80, sottolinea la Cgia. (26 ottobre 2010)
2010-10-24 FIAT Marchionne: "Senza l'Italia il Lingotto farebbe meglio" L'ad intervistato a "Che tempo che fa": "Nemmeno un euro dei 2 miliardi dell'utile operativo arriva dal nostro paese". Poi smentisce l'impegno in politica: "Io faccio il metalmeccanico, produco auto, camion e trattori". Mano tesa sugli stipendi: "Pronti ad adeguarli a quelli dei paesi vicini" Marchionne: "Senza l'Italia il Lingotto farebbe meglio" Marchionne a "Che tempo che fa" ROMA - "La Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l'Italia". E' quanto ha detto l'amministratore delegato del Lingotto Sergio Marchionne, ospite della trasmissione "Che tempo che fa", condotta da Fabio Fazio. "Nemmeno un euro dei 2 miliardi dell'utile operativo previsto per il 2010 - ha concluso - arriva dall'Italia. La Fiat non può continuare a gestire in perdita le proprie fabbriche per sempre". "L'Italia è al 118/mo posto su 139 per efficienza del lavoro e al 48/mo posto per la competitività del sistema industriale", ha aggiunto Marchionne. "Siamo fuori dall'Europa e dai Paesi a noi vicini - ha proseguito - il sistema italiano ha perso competitività anno per anno da parecchi anni e negli ultimi 10 anni l'Italia non ha saputo reggere il passo con gli altri Paesi, non è colpa dei lavoratori". Guardando alla classifica indicata, il manager ha commentato: "Non possiamo ignorarla, qualcosa bisogna fare, perchè non c'è nessuno straniero che investe qui". "Gli attacchi verso la Fiat di questi giorni - ha aggiunto - sono fuori posto e non aiutano a richiamare investimenti nel nostro paese dall'estero ". Marchionne ha poi smentito le voci che lo indicavano pronto a "scendere in politica". "Ma scherziamo? Io faccio il metalmeccanico, produco auto, camion e trattori", ha detto rispondendo ad una domanda. "Leggo il giornale tutti i giorni alle 6 - ha proseguito Marchionne a cui era stato chiesto di spiegare la recente affermazione secondo cui in Italia erano state aperte tutte le gabbie ed erano scappati tutti gli animali - ne escono di tutti i tipi, c'è una varietà di orientamenti politici e sociali incredibile, tutti parlano e non si capisce dove va il Paese". Tuttavia in questa situazione Marchionne ritiene che "si può avere fiducia nell'Italia, credo di sì, ci sarebbero soluzioni più facili, ma credo che sia possibile costruire qui una condizione diversa, sennò non mi sarei mai impegnato". Alla domanda di Fabio Fazio se c'è da fidarsi del futuro in Italia, Marchionne ha risposto:"Credo di sì. Credo che sia possibile creare una realtà diversa. In Italia le potenzialità ci sono, i problemi ce li creiamo noi". L'Ad della Fiat ha parlato anche delle vertenze in corso e in particolare della questione "pause". Il sistema di 3 pause ogni 10 minuti anzichè 2 da venti proposto per Pomigliano e Melfi è "già applicato a Mirafiori". "Fa parte degli sforzi - ha aggiunto Marchionne - per ridisegnare il processo di produzione, e i 10 minuti che si perdono sono pagati". Il Gruppo Fiat è pronto a portare i salari degli operai "ai livelli dei Paesi che ci circondano". Commentando la recente proposta di accorciare le pause di lavoro nello stabilimento di Melfi, Marchionne ha ricordato che si tratta di un progetto "disegnato per dare all'Italia la capacità di poter competere con i Paesi da cui siamo circondati. In cambio - ha proseguito - sono disposto a portare il salario dei dipendenti ai livelli dei Paesi che ci circondano". La situazione, ha poi precisato, "cambierà se arriveremo ai livelli competitivi degli altri". "Stiamo cercando - ha aggiunto - di creare le condizioni per aumentare questi 1.200 euro e il dialogo con i sindacati è assolutamente chiaro su questo". Marchionne ha poi ricordato che "colmare il divario con gli altri Paesi" per la Fiat è "un compito" per il quale però serve "la collaborazione di tutti". "Quando tre operai - ha detto, ricordando la vicenda di Pomigliano - fermano la produzione è anarchia e non democrazia". "La proposta che abbiamo fatto è dare alla rete industriale di Fiat la capacità di competere con i Paesi vicini a noi, in cambio io sono disposto a portare il salario dei dipendenti a livello dei nostri Paesi vicini". "Il salario cambierà - ha aggiunto - se cambierà il sistema di produzione in Italia, può darsi che sia un cambiamento difficile da sopportare, ma vogliamo migliorare i 1.200 euro di stipendio ai dipendenti". Parlando poi delle organizzazioni sindacali, riferendosi alla Fiom Cgil, Marchionne ha spiegato che "meno della metà dei nostri dipendenti appartiene a una sigla sindacale". Dopo aver spiegato che "più della metà non è iscritta al sindacato", Marchionne ha aggiunto che il 12,5% dei dipendenti è iscritto alla Fiom". "A Pomigliano - ha aggiunto - non abbiamo tolto il minimo diritto, abbiamo cercato di assegnare la responsabilità della gestione di uno stabilimento ai sindacati per gestire insieme a loro le anomalie". E ha poi aggiunto: "Quando il 50% dei dipendenti si dichiara ammalato in un giorno specifico dell'anno, vuol dire che c'è una anomalia". Alla domanda sul giorno in cui avviene tale anomalia, Marchionne ha replicato: "Dipende da che partita c'è". Marchionne ha comunque smentito possibili dismissioni delle aziende campane: "Se la Fiat dovesse smettere di fare auto in Campania, avremmo, credo, un problema sociale immenso, specialmente in una zona dove la Camorra è molto attiva". "Considerando l'indotto, lavorano 20 mila persone", ha spiegato per indicare la dimensione del problema. Riferendosi alla missione de Lingotto in zona, Marchionne ha criticato l'atteggiamento "dei sindacati che ci criticano". Riguardo alle richieste sindacali di conoscere il piano dei nuovi modelli previsti, l'ad di Fiat ha replicato: "Di nuovi modelli ne abbiamo quanti se ne vuole, dobbiamo però dare ai nostri stabilimenti la possibilità di produrre ed esportare, gli impianti devono essere competitivi, altrimenti non possono produrre e vendere niente". Marchionne ha poi confrontato l'Italia con la Polonia, dove: "I nostri 6.100 dipendenti producono oggi le stesse auto che si producono in tutti gli stabilimenti italiani". Marchionne è poi intervenuto sulle accuse alla Fiat di essere un'azienda "assistita dallo Stato": "Qualsiasi debito verso lo Stato è stato ripagato in Italia, non voglio ricevere un grazie, ma non accetto che mi si dica che chiedo assistenza finanziaria. E tra il 2008 e il 2009 la Fiat è stata l'unica azienda che non ha bussato alle casse dello Stato, diversamente da quanto fatto da molte concorrenti europee". "La Fiat - ha spiegato Marchionne - ha collaborato con lo Stato per costruire il futuro industriale del Paese, e oggi ha collaborato con il governo Usa per salvare Chrysler". Secondo Marchionne, quel tipo di collaborazione Stato-Industria esiste in tutti i Paesi del mondo, l'importante è ripagare i prestiti e che lo Stato non diventi "gestore delle società". Riferendosi a Chrysler, Marchionne ha precisato che "noi stiamo risanando l'azienda e pagheremo il debito". Riguardo all'Italia ha invece indicato che "noi non abbiamo chiesto finanziamenti come invece hanno fatto i tedeschi e i francesi, e gli incentivi sono soldi che vanno ai consumatori, e aiutano noi indirettamente perchè in Italia sette auto su dieci sono straniere". Dure reazioni alle affermazioni dell'Ad della Fiat: "Le parole di Marchionne sono ingenerose nei confronti dell'Italia e dei lavoratori che hanno contribuito a fare grande la Fiat. L'azienda è nata e cresciuta nel nostro paese più di 100 anni fa, e se oggi è una multinazionale di successo è anche grazie a questo inizio." Lo afferma Cesare Damiano, capogruppo in commissione Lavoro del Pd. "Nel mercato globale la sfida della competitività è continua. Chi oggi guadagna domani può perdere e viceversa per questo non è condivisibile una logica che allude ad un potenziale taglio di rami secchi basato su un risultato di conto economico. Noi - continua Damiano - siamo per accettare la sfida che Marchionne propone, ma non condividiamo la filosofia che sottende. Le imprese devono fare profitti per avere un futuro, ma hanno anche una responsabilità sociale." "Il governo si svegli e reagisca e, come hanno fatto tutti i paesi industrialmente avanzati, si doti di una politica industriale per i settori strategici capace di sostenere innovazione e ricerca. Questo vale anche per l'auto e per i veicoli industriali e commerciali." "Il Partito democratico si batterà contro una scelta che possa "tagliare" l'Italia e chiede l'attuazione del piano d'investimenti promesso dal'azienda". conclude Damiano. Anche i sindacati, con diverse sfumature, criticano pesantemente le parole dell'Ad Fiat. Sergio Marchionne parla "come se la Fiat fosse una multinazionale straniera che deve decidere se investire in Italia", attacca Giorgio Airaudo, responsabile del settore auto della Fiom Nazionale. "Marchionne - dice Rocco Palombella, segretario generale della Uilm - deve evitare di continuare ad umiliare i lavoratori e il sindacato che si è assunto la responsabilità di gestire anche accordi difficili". Palombella invita il manager del Lingotto "a chiarire una volta per tutte quale sia la reale intenzione della Fiat. Se vuole davvero invertire il rapporto tra la quantità di auto prodotte all'estero e quelle fabbricate in Italia - osserva - deve smetterla di fare dichiarazioni che sono la negazione di ciò. Un gruppo industriale che chiede responsabilità e consenso non può continuare a dire che dell'Italia non sa che farsene. E' un errore strategico". Per Bruno Vitali, responsabile Auto della Fim, "Marchionne deve credere di più nell'Italia e smettere di tenere tutti appesi. Ha sempre detto che qui perde, ma se investirà anche l'Italia genererà profitti come avveniva prima della crisi. Gli impianti sono nuovi e i lavoratori sono pronti a fare la loro parte". Apprezzabile, sostiene Vitali, l'idea di monetizzare con aumenti salariali l'incremento di efficienza nelle fabbriche. "Io mi accontenterei che i lavoratori avessero il premio di risultato tagliato a luglio", osserva Airaudo che critica l'idea che "competitività e produttività si recuperino intervenedo sul fattore lavoro". Il segretario della Fiom precisa che a Mirafiori non è già in vigore il sistema di pause di 3 pause di 10 minuti anzichè quello di 2 da venti proposto per Pomigliano e Melfi. "E' curioso comunque - ironizza - che in uno stabilimento che fa tre settimane di cassa integrazione al mese si considerino utili dieci minuti in più di produzione". E in serata ha parlato anche il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi: "L'Italia è un Paese che già ha dimostrato l'attitudine ad evolvere verso una maggiore competitività nel rispetto dei diritti dei lavoratori incluso il diritto ad incrementi salariali legati a una maggiore produttività. E se è legittimo da parte di Marchionne invocare maggiore produttivita", è anche vero che "la maggioranza delle organizzazioni sindacali e le istituzioni si sono già rese concretamente disponibili ai necessari cambiamenti". "Marchionne - commenta Sacconi - ci ha ricordato che Fiat oggi è un Gruppo multinazionale con stabilimenti distribuiti in diverse dimensioni economiche e sociali. Noi ricordiamo a lui che l'Italia è il Paese di storico insediamento del Gruppo automobilistico ove ha depositato impianti e soprattutto un grande patrimonio di esperienze e professionalita". (24 ottobre 2010)
2010-10-17 LAVORO A settembre oltre 640 in cassa integrazione taglio del reddito di più di 3,5 miliardi I dati dell'Osservatorio Cig della Cgil rivelano un aumento del 34,8% rispetto ad agosto, una crescita minore rispetto agli anni passati perché negli ultimi tre "si è stabilizzato uno zoccolo negativo sempre più alto". Allarme per il sempre crescente ricorso a quella in deroga A settembre oltre 640 in cassa integrazione taglio del reddito di più di 3,5 miliardi ROMA - A settembre risultano essere oltre 640 mila i lavoratori in cassa, che hanno subito, nei primi nove mesi dell'anno, un taglio netto del reddito per oltre 3,5 miliardi di euro, più di 5.500 euro per ogni singolo lavoratore. Sono questi alcuni dei numeri che emergono dalle nuove elaborazioni delle rilevazioni Inps da parte dell'Osservatorio Cig del dipartimento Settori produttivi della Cgil Nazionale nel rapporto di settembre. Dall'analisi della Cgil il ricorso alle ore di Cassa integrazione a settembre segna un aumento del +34,8% rispetto al mese precedente, per un totale di ore pari a 103.228.193. Secondo l'Osservatorio la crescita registrata a settembre su agosto "è minore se rapportata a quanto è avvenuto negli anni passati: la particolarità non dipende da una crescita più contenuta nella richiesta della Cig ma dal fatto che, in modo crescente, in questi ultimi tre anni si è stabilizzato in negativo uno zoccolo di Cassa integrazione sempre più alto, fino ad attestarsi nell'anno in corso intorno ai 100 milioni di ore mese". Nel periodo gennaio settembre l'aumento complessivo delle ore di Cig è stato del +50,5%, sullo stesso periodo del 2009, per un totale di 925.673.480 ore autorizzate: un trend che porterà, rileva il rapporto, "il cumulo delle ore del 2010 ben oltre il miliardo". Secondo il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere, "dai dati del nostro Osservatorio emerge una crisi che continua ad essere molto dura per i lavoratori e per le stesse imprese: la Cig continua a crescere, nonostante segnali di ripresa dell'economia, mentre le crisi aziendali si moltiplicano senza che dal governo arrivino risposte adeguate". La Cassa integrazione ordinaria (Cigo) registra un aumento considerevole a settembre sul mese precedente (+189%), per un totale di ore pari a 26.049.659, tornando così ai valori medi degli ultimi tre mesi. Da inizio anno la Cigo ammonta a 275.697.885 ore, mettendo a segno una flessione, sui primi nove mesi dello scorso anno, del -33,6%. La Cassa integrazione straordinaria (Cigs) fa segnare sempre a settembre un aumento sul mese di agosto del +39,9%, con 44.858.960 ore. Nell'intero periodo gennaio-settembre l'aumento è consistente (+168,7%), per un volume di 364.108.705 ore di Cigs. I settori con aumenti maggiori, nei primi nove mesi dell'anno sullo stesso periodo dello scorso, sono quello metallurgico (+578,4%), il legno (+351,7%), il meccanico (+307,2%) e l'edilizia (+142,1%). La Cassa integrazione in deroga (Cigd), dopo un aumento ininterrotto da luglio del 2009, per la prima volta segna una battuta d'arresto, registrando a settembre una diminuzione sul mese precedente del -8,9% per un totale di ore pari a 32.319.574. Da gennaio a settembre di quest'anno sono state autorizzate 285.866.890 ore di Cigd registrando così un incremento sui primi nove mesi del 2009 del +344,3%. I settori con il maggiore ricorso alla Cigd continuano ad essere quelli che non rientrano nella normativa attuale della Cigs. Il raffronto tra gennaio e settembre 2010 sullo stesso periodo del 2009 evidenzia aumenti consistenti nel settore dell'edilizia (+1.532,6%), segue la chimica (+553,1%), il legno (+838%) e il commercio (+442,5%). La piccola industria meccanica (+314,9%) ha il volume più alto con 87.825.904 ore da gennaio a settembre. Le regioni maggiormente esposte con la Cigd restano la Lombardia con, da inizio anno, 71.479.759 ore (+264,9%), e l'Emilia Romagna con 40.965.719 ore (+1732%). Il rapporto evidenzia come in quasi tutti i settori le percentuali di aumento della cassa in deroga vadano oltre il 300%. "Tutto l'apparato produttivo resta profondamente coinvolto nella crisi, dalla grande alla piccola azienda, attraversando trasversalmente tutti i settori". Inoltre, si sottolinea nel rapporto, "da questo mese è evidente una novità rappresentata da un aumento consistente soprattutto nei settori direttamente produttivi: occorre verificare in che misura può essere il risultato di un allargamento ulteriore delle difficoltà produttive del settore manifatturiero o se è il risultato per molti lavoratori del passaggio dalla Cigs alla Cigd". Motivi per i quali Scudiere rilancia l'allarme sulla cassa in deroga: "Il continuo e consistente aumento della Cigd sta andando ben oltre il peso registrato nel 2009. Per questo si rende necessario e urgente un intervento del governo per rifinanziare uno strumento prima della scadenza di fine anno". (17 ottobre 2010)
2010-10-16 LA MANIFESTAZIONE Fiom, le tute blu invadono San Giovanni Epifani: "Senza risposte sciopero generale" Grande e pacifica partecipazione alla manifestazione indetta dai metalmeccanici Cgil contro l'accordo di Pomigliano e ogni deroga ai diritti fondamentali dei lavoratori. Tantissimi gli studenti e le associazioni. Ovazione per Vendola, malumori nel Pd per l'assenza di Bersani. Che in serata invita all'unità del mondo del lavoro e ammonisce il governo: "Non accenda irresponsabilmente le divisioni" Fiom, le tute blu invadono San Giovanni Epifani: "Senza risposte sciopero generale" ROMA - "E senza risposte, avanti con lo sciopero generale". E' il passaggio centrale del discorso di Guglielmo Epifani, l'ultimo da segretario generale della Cgil, al termine della manifestazione Fiom contro l'accordo di Pomigliano e la soppressione dei diritti dei lavoratori. Una manifestazione segnata da una grande partecipazione, colorata, chiassosa e pacifica, che si è snodata per le vie di Roma fino a riempire piazza San Giovanni oltre ogni attesa. I metalmeccanici Cgil hanno risposto così all'allarme per possibili violenze e infiltrazioni estremiste dei ministri Maroni e Sacconi. Ora sono i lavoratori ad attendere risposte dal governo e dagli industriali. "Ma lo sciopero - avverte Epifani - va usato con intelligenza, portando tutti i lavoratori e avanzando proposte". In piazza con Fiom e Cgil, i leader di Idv e Sinistra e Libertà, Di Pietro e Vendola. Nel Pd perplessità per l'assenza di Bersani. Il segretario a fine serata dirama una nota per invitare il mondo del lavoro a essere unito e il governo a non "accendere irresponsabilmente i fuochi della divisione". La manifestazione. Il cielo plumbeo e i timori di infiltrazioni espressi dal ministro Maroni alla vigilia non hanno fermato i due cortei organizzati dalla Fiom per dire no all'accordo di Pomigliano e alla deroga ai diritti intangibili dei lavoratori. Metalmeccanici e studenti hanno sfilato fianco a fianco. Alla fine, gli organizzatori neanche vogliono fornire numeri: "La piazza è gremita, la gente non riesce ad entrare e le strade intorno sono piene", si limita a osservare il segretario Fiom, Maurizio Landini. "Contateci voi". Operai Fiat in testa. In testa ai cortei sfilano le tute blu della Fiat giunte nella Capitale dallo stabilimento campano e quelle arrivate da Termini Imerese. E ci sono i tre operai della Fiat di Melfi, licenziati e reintegrati da un giudice. Marchionne è tra gli obiettivi preferiti di slogan e sberleffi, insieme ai segretari di Cisl e Uil, presi di mira per non essersi opposti agli accordi proposti dall'amministratore delegato del Lingotto. Oggi il sindacato dei metalmeccanici si prende la sua rivincita, esibendo un sostegno popolare da far pesare in vista di un'eventuale riapertura della partita. Landini: "Sacconi irresponsabile". Una rivincita anche sulla "cassandra" Sacconi. Riferendosi alle scritte ingiuriose sulle sedi Cisl, il ministro del Lavoro aveva avvertito: "Non bisogna attendere il morto per contrastare questi episodi". Il clima pacifico di piazza San Giovanni è la concreta risposta dei lavoratori, ma al leader Fiom Landini non basta. "Quando si arriva a invocare il morto, come un ministro della repubblica ha fatto, siamo di fronte a un'irresponsabilità totale" dice il segretario dei metalmeccanici dal palco. "I ministri - aggiunge - hanno fatto a gara a dire quello che hanno detto: si devono vergognare. Se i ministri possono affermare le castronerie che a volte dicono è perché siamo noi che garantiamo a tutti di poter dire il loro pensiero". Epifani è laconico: "Non ho parole". Il sostegno di associazioni e studenti. Intorno agli operai si raccoglie il sostegno dell'associazionismo: Anpi, Associazione Articolo 21, Popolo Viola, Precari della Scuola, Ricerca e Università, Emergency, Un Ponte per, MicroMega. Gli studenti accorrono in massa per una partita che, dicono, riguarda anche il loro futuro. Ecco l'Unione degli studenti, la Rete, l'Unione degli universitari, quelli del Link. Vendola: "Precarizzare per controllare". E ci sono i partiti politici come Sinistra e libertà, Federazione della sinistra, Italia dei Valori. Un'autentica ovazione saluta Nichi Vendola, che annuncia l'apertura in piazza San Giovanni del "cantiere dell'anti-berlusconismo", invita a non piegarsi alla precarizzazione, con cui governo e padronato "intendono controllarci" e si scaglia contro il ministro Sacconi, che bolla come "retaggio del peggio degli anni Settanta" la manifestazione Fiom. Come sempre, Di Pietro ne ha per tutti e rimprovera chi non c'è per l'occasione persa. Pd, perplessità per assenza Bersani. Il riferimento del leader Idv non è indirizzato esplicitamente al Pd, ma proprio l'assenza del segretario Bersani continua a far discutere gli stessi esponenti del partito. Vita, Marino e l'ex ministro del Lavoro Damiano si chiedono perché la dirigenza abbia perso l'occasione di farsi vedere e sentire vicina al mondo del lavoro. Il responsabile economia del Pd, Fassina, difende la segreteria e ribatte: "Il Pd c'è, come c'era alla manifestazione della Cisl, per superare le divisioni". Casini: "Chi in piazza non è alternativa di governo". E nel dibattito all'interno dell'opposizione si inserisce anche il leader Udc Pier Ferdinando Casini. "Oggi c'è una grandissima manifestazione della Fiom e con il cuore di democratico rispetto profondamente quella piazza non violenta - premette Casini, che poi attacca -. Ma con la testa dico con chiarezza che chi è in quella piazza è fuori da un disegno di governo riformista alternativo a Berlusconi. Perché non c'è riformismo e capacità alternativa credibile se questi sono gli argomenti. Con tutto il rispetto verso la Fiom e i manifestanti. Ma la piattaforma alternativa a Berlusconi è un'altra cosa ". Bersani: "Lavoro sia unito, governo non lo divida". Il segretario del Pd dirama una nota a fine serata. Per dire che quella di oggi "a San Giovanni è una voce che va ascoltata. E tutte le persone responsabili che hanno a cuore l'Italia devono augurarsi che possano emergere posizioni comuni dal mondo del lavoro". "L'Italia - aggiunge Bersani - vive difficoltà gravi e chi è al governo in questo momento non deve accendere irresponsabilmente i fuochi della divisione, ma lavorare per aiutare a comporre le diverse posizioni. L'unità del mondo del lavoro è una energia indispensabile per costruire un'alternativa di governo che davvero metta al centro delle politiche economiche l'occupazione che è l'assoluta priorità per il paese". Epifani: "Lascio, ma ho speranza". Prima di tenere il suo ultimo discorso da segretario generale della Cgil, Gugliemo Epifani ha dettato ai cronisti il suo stato d'animo. "Non lascio con l'amarezza ma con la speranza che le cose possano cambiare anche se la situazione è molto difficile". Epifani, dopo 8 anni da segretario generale, lascerà il suo incarico il prossimo 4 novembre. Ma oggi è un giorno speciale e il leader, prima di uscire di scena, si gode "una manifestazione larga, partecipata e assolutamente pacifica. Che dimostra come i diritti dei lavoratori siano importanti anche quando c'è la crisi". (16 ottobre 2010)
Diretta Centinaia di migliaia in piazza con la Fiom Epifani: "Avanti, anche con sciopero generale" Centinaia di migliaia in piazza con la Fiom Epifani: "Avanti, anche con sciopero generale" Le preoccupazioni della vigilia per la manifestazione delle tute blu, dopo l'allarme di Maroni su possibili infiltrazioni di violenti, evaporano in un clima di grande e pacifica partecipazione. Due cortei attraversano la città. Obiettivo delle centinaia di migliaia di persone scese in piazza difendere l'occupazione e i diritti di chi lavora o vorrebbe farlo. In testa gli operai di Pomigliano, ma manifestano anche studenti, docenti e rappresentanti delle associazioni di volontariato, oltre ai centri sociali. Landini, segretario Fiom: "Difendiamo contratto, lavoro e democrazia, siamo di fronte al più grande attacco a diritti e al lavoro di sempre" (Aggiornato alle 19:31 del 16 ottobre 2010) 19:31 Bersani: "Governo non accenda divisioni" 77 – "Quella che si è fatta sentire pacificamente oggi a San Giovanni è una voce che va ascoltata. E tutte le persone responsabili che hanno a cuore l'Italia devono augurarsi che possano emergere posizioni comuni dal mondo del lavoro". Lo afferma in una nota il segretario del Pd, Pierluigi Bersani. "L'Italia - aggiunge - vive difficoltà gravi e chi è al governo in questo momento non deve accendere irresponsabilmente i fuochi della divisione, ma lavorare per aiutare a comporre le diverse posizioni. L'unità del mondo del lavoro è una energia indispensabile per costruire un'alternativa di governo che davvero metta al centro delle politiche economiche l'occupazione che è l'assoluta priorità per il paese" 19:09 La folla lascia piazza San Giovanni 76 – Con le parole di Epifani, "viva la Fiom, viva la Cgil", è terminata la lunga giornata di mobilitazione dei lavoratori metalmeccanici arrivati a Roma per dire "sì ai diritti, no ai ricatti". La folla sta defluendo ordinatamente per le strade che convergono verso piazza San Giovanni e, come è stato nel corso di tutta la giornata, non si registrano disordini 19:08 Epifani: "Un onore chiudere con comizio Fiom" 75 – "Per me è un grande onore chiudere il mio mandato in questa piazza, davanti a tutti questi lavoratori. Rimarrò accanto alla Cgil e alla Fiom con altri ruoli e altre funzioni". Così il segretario generale della Cgil Epifani ha chiuso il suo ultimo comizio da leader del più grande sindacato italiano. Epifani è infatti in scadenza di mandato ed il 3 novembre lascerà il posto a Susanna Camusso alla guida della Cgil "Qualche volta abbiamo discusso - ha aggiunto riferendosi ai rapporti con la Fiom - ma abbiamo sempre fatto valere l'unità. Il nostro pluralismo è la nostra ricchezza". 19:07 Epifani: "10, 100, 1000 accordi per il lavoro" 74 – Epifani a conclusione del suo intervento: "Rovesciamo lo slogan '10, 100, 1000 Pomigliano'. Diciamo 10, 100, 1000, 10.000 accordi che abbiamo fatto, che la Fiom ha fatto, dove si salvano il lavoro, i diritti e l'occupazione. La Cgil non lascerà sola la Fiom in queste battaglie. La Cgil non ha chinato la testa" 18:59 Epifani: "Non siamo isolati" 73 – Epifani: "A chi pensava che la Cgil fosse isolata diciamo che non è isolata né in Italia né in Europa. Semmai sono altri che devono interrogarsi sul perché in Europa si battono e scioperano tutti e qualcuno da noi non lo fa". E ancora: ''Questa è una manifestazione grande, democratica, pacifica e non violenta" 18:51 Epifani: "In assenza di risposte sciopero generale" 72 – Epifani: ""Il paese sta rotolando, ha preso una direzione sbagliata. Dopo la manifestazione del 27 senza risposte adeguate proseguiremo con lo sciopero generale. E' un'arma, non l'unica, che però va usata con intelligenza perchè è un grande sacrificio". 18:41 Epifani: "Crisi usata per colpire i lavoratori" 71 – Epifani dal palco: ''Il governo ha usato la crisi per colpire i diritti dei lavoratori. Ci vuole una politica economica radicalmente diversa perché questa ha umiliato il paese e non ha risolto i problemi" 18:30 Grido dalla piazza: "Sciopero, sciopero" 70 – "Sciopero, sciopero, sciopero" è il grido che si è alzato da piazza San Giovanni all'inizio dell'intervento del segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. 18:29 Landini: "Arrivare allo sciopero generale" 69 – Landini: "Abbiamo il dovere di continuare questa battaglia e per continuare è necessario che si arrivi a proclamare lo sciopero generale". Secondo Landini "la democrazia è un nuovo modello di sviluppo si costruiscono con il coraggio di cambiare" 18:20 Landini: "Aspettiamo risposte alla controproposta su Pomigliano" 68 – Landini dal palco: "Per Pomigliano non abbiamo solo detto di no ma abbiamo avanzato anche delle controproposte. Eravamo pronti a discutere e a parlare di un aumento della produttività. La nostra proposta avrebbe permesso un utilizzo maggiore degli impianti. Aspettiamo ancora una risposta. La verità è che alla Fiat non interessa sapere quante auto produce ma che non ci sia diritto a contrattare" 18:04 Landini a Sacconi: "Invocare il morto da irresponsabili" 67 – Il leader della Fiom Landini: "I ministri hanno fatto a gara a dire quello che hanno detto. Si devono vergognare per quello che hanno detto e quando si arriva ad invocare il morto come un ministro della repubblica ha fatto siamo di fronte all'irresponsabilità totale" 17:20 Bonelli (Verdi): "I diritti non scadono" 66 – Il presidente dei Verdi Angelo Bonelli: ''La manifestazione di oggi della Fiom è importante per difendere i diritti dei lavoratori sempre più aggrediti dalle politiche berlusconiane. I diritti dei lavoratori non hanno una scadenza e sono inalienabili: questa è una conquista di civiltà e universale che non è e non può essere in discussione'' 17:16 Di Pietro: "Qui lavoratori, non delinquenti" 65 – Di Pietro: ''Qui ci sono dei lavoratori e non dei delinquenti. I delinquenti sono coloro che non li ascoltano o che aizzano la violenza. Qui c'è una piazza fatta di padri e madri di famiglia che non arrivano a fine mese e che hanno bisogno di risposte concrete da un governo che non c'è perché troppo preso a sistemare i guai giudiziari. L'IdV è in piazza senza se e senza ma, perché ritiene questo un momento essenziale per la democrazia, per rimettere al centro la questione del lavoro'' 17:06 Fassina: "Il Pd c'è" 64 – Il responsabile di economia del Pd, Stefano Fassina, risponde ai distinguo dentro al Partito democratico sulla partecipazione alla manifestazione e all'assenza del segretario Bersani. "Il segretario ha un compito di sintesi. Qui ci sono però diversi componenti della segreteria, parlamentari e dirigenti delle federazioni territoriali. Il Pd è qui, dove stanno i lavoratori, che manifestano in modo pacifico e democratico. Siamo qui come la settimana scorsa eravamo alla manifestazione della Cisl e vogliamo rappresentare i lavoratori. Purtroppo ora chi rappresenta i lavoratori è diviso e questa è una grande sofferenza per chi come noi è qui per superare le divisioni" 17:05 Vendola: "Tutto il centrosinistra si confronti con questa piazza" 63 – "Non c'è un problema di diverse sensibilità. Il centrosinistra nel suo complesso non può che confrontarsi con questa piazza, perché se si vuole costruire una svolta non si può non evidenziare la forza che la piazza esprime". Lo dice il leader di Sinistra e Libertà, Nichi Vendola, ai piedi del palco della Fiom in Piazza San Giovanni. Una piazza che "strappa il velo dell'affabulazione berlusconiana. Da qui si ricomincia" 16:52 Epifani: "Lascio con speranza che cose cambino" 62 – Non lascio con l'amarezza ma "con la speranza che le cose possano cambiare anche se la situazione è molto difficile". Così il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano con quale stato d'animo lasciava la guida dell'organizzazione sindacale. Epifani, dopo 8 anni da segretario generale, lascerà il suo incarico il prossimo 4 novembre 16:39 Verdi: "Diritti non hanno scadenza" 61 – La manifestazione di oggi della Fiom "è una occasione importante per difendere i diritti dei lavoratori sempre più aggrediti dalle politiche berlusconiane. I diritti dei lavoratori non hanno una scadenza e sono inalienabili: questa è una conquista di civiltà e universale che non è e non può essere in discussione". Lo afferma il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli 16:37 Vendola: "Allarme Maroni frutto di informazioni o desiderio?" 60 – "Non si è mai capito se l'allarme di Maroni fosse frutto di informazioni o di un desiderio". Lo dice il leader di Sinistra e Libertà, Nichi Vendola, ai piedi del palco di Piazza San Giovanni. "I teppisti non cercateli tra i lavoratori", dice Vendola nel constatare il carattere pacifico della manifestazione. Vendola sottolinea la "meravigliosa partecipazione". "Sono state smentite tutte le Cassandre, perché non è certo nel mondo dei lavoratori o nella dignitosa ribellione degli operai di Pomigliano e di Melfi che si deve rintracciare il seme della violenza o del teppismo che è da un'altra parte" 16:22 Landini: "Piazza piena, ora contateci" 59 – "La piazza è gremita, la gente non riesce ad entrare. Le strade sono ancora piene. Ai giornalisti dico, contateci". Così il segretario generale della Fiom Maurizio Landini sui numeri della manifestazione in corso a Piazza S. Giovanni 16:08 Studenti in piazza con i lavoratori 58 – Ci sono tutte le associazioni studentesche della scuola e dell'università alla manifestazione organizzata dalla Fiom. Il loro corteo è composto da un alto numero di studenti facenti capo ai movimenti anti-riforma dell'Università la Sapienza di Roma, dall'Unione degli studenti, dalla Rete degli studenti, dell'Unione degli universitari e dal Link. "Siamo qui - spiega Giorgio Paterna coordinatore Udu - perché i diritti lesi dei metalmeccanici rappresentano una minaccia per tutti i cittadini, anche per noi futuri lavoratori" 16:07 Vendola: "Qui si apre il cantiere dell'anti-berlusconismo" 57 – "Qui si è aperto oggi il cantiere dell'anti-berlusconismo". Lo ha detto il leader di Sinistra Ecologia e Libertà, Nichi Vendola, arrivando a piazza San Giovanni. "C'è un'Italia migliore di Berlusconi, della paura, questo ci dice oggi questa piazza, oggi noi abbiamo una grande unità di popolo, è un'unità che viene dal basso" 16:05 Diliberto: "Qui il popolo della sinistra. E Pd non c'è" 56 – "Siamo in piazza, come sempre al fianco dei lavoratori, perché questa è una manifestazione che va anche al di là della Fiom. Meno male che le tute blu l'hanno indetta, ma ormai è la manifestazione di tutto il popolo della sinistra". Così Oliviero Diliberto, leader del Pdci, polemico con il Pd. "I dirigenti del Pd che non sono venuti non hanno compreso che qui c'è il nostro popolo, anche molta parte del popolo del Pd. Dobbiamo recuperare quella che una volta si chiamava la 'connessione sentimentale' con il nostro popolo" 16:01 Cofferati: "Pomigliano accordo sbagliato, sono con Fiom" 55 – "Condivido la piattaforma della Fiom". Così l'europarlamentare del Pd ed ex leader Cgil, Sergio Cofferati, commentando la manifestazione in corso a piazza San Giovanni. Il contratto nazionale, sottolinea Cofferati, "è un grande regolatore dell'economia, per questo interessa ai lavoratori e dovrebbe interessare moltissimo anche alle imprese. Senza contratto il dumping è garantito". Il modello Pomigliano, conclude Cofferati, "non mi piace. Lo considero sbagliato e mette in discussione il diritto costituzionale di sciopero" 15:59 Piazza San Giovanni è gremita 54 – I due cortei non sono ancora del tutto confluiti a San Giovanni ma la piazza è già piena di gente. Insieme a Epifani, nella zona del palco ci sono anche la vice Susanna Camusso, il segretario generale della Fiom Maurizio Landini e il leader di Sinistra e libertà Nichi Vendola 15:58 Finto "squadrista" frusta manifestanti 53 – "Marchionne, il dittatore dei lavoratori. La Fiom ti schifa". Questa la scritta su un cartello portato al collo da un pensionato, travestito da squadrista e intento a fingere di frustare i lavoratori che stanno manifestando al corteo del Fiom a Roma 15:57 Epifani: "Manifestazione partecipata e pacifica" 52 – Facendo il suo ingresso in piazza San Giovanni, il leader Cgil commenta: "Fino ad ora mi pare una manifestazione larga, partecipata e assolutamente pacifica. Mi sembra che per adesso tutto vada bene". Riguardo al messaggio che parte dalla manifestazione, Epifani ha sottolineato: "I diritti dei lavoratori sono importanti anche quando c'è la crisi" 15:56 Epifani e Landini arrivati in piazza San Giovanni 51 – I leader di Cgil, Guglielmo Epifani, e di Fiom, Maurizio Landini, sono arrivati a piazza San Giovanni, dove si svolgeranno i comizi che concluderanno la manifestazione della Fiom 15:49 Bonanni su finte banconote 50 – Finte banconote da 50 euro che raffigurano il volto del segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, sono state lanciate in aria da alcuni manifestanti all'altezza dello striscione dei centri sociali. Sulle banconote la scritta: "Il denaro è un buon servo e un cattivo padrone... e io vorrei più denari, più servi e più padroni. Con noi hai un padrone scontento" 15:47 Vita: "Dal Pd ci vorrebbe più coraggio" 49 – "Molti di noi, del Partito Democratico, sono nel corteo della Fiom in modo convinto. E credo che il Pd debba avere più coraggio perché in piazza non c'è solo una sigla sindacale, ma l'intero mondo del lavoro". Lo dice il senatore del Pd, Vincenzo Vita, nel corso della manifestazione della Fiom. "Sono in errore coloro che non credono in questa manifestazione - aggiunge Vita - spero che il risultato oggi sia quello di riaprire il confronto sui temi del lavoro" 15:46 Marino: "Da dirigente Pd un dovere esserci" 48 – "Il Paese è in profondissima crisi. La preoccupazione del 65% degli italiani è il lavoro. Da dirigente del Pd devo essere in piazza con i lavoratori, contro la politica del ministro Sacconi che non mira a difendere i lavoratori, ma a dividere e creare conflitti tra i sindacati", conclude Marino 15:45 Marino: "Ma dov'è il Pd?" 47 – "Il Pd è un grande partito popolare che trova il suo consenso nelle persone che sono qui oggi in questa piazza per dire le cose che noi diciamo in Parlamento. Allora mi chiedo: per quale motivo non essere in piazza oggi?". Si pone l'interrogativo il senatore del Pd, Ignazio Marino, che sfila tra i lavoratori 15:43 Il coro: "Cisl, dove sei?" 46 – Prima di confluire sotto il palco allestito davanti la basilica San Giovanni in Laterano, gli operai del corteo partito da piazzale dei Partigiani hanno gridato cori di scherno contro la Cisl, urlando "Cisl dove sei?" 15:30 Ferrero: "Vera opposizione è qui, ora sciopero generale" 45 – "Siamo scesi in piazza per cacciare Berlusconi e contro le politiche di Confindustria. L'opposizione vera è questa qui, mi spiace che il Pd non si sia visto. Ora marciamo verso lo sciopero generale". Così Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista 15:29 Vendola: "Chi governa ascolti la verità della vita" 44 – "Questa piazza dice la verità con la voce degli operai metalmeccanici, degli studenti, dei precari ma anche della cultura e dell'intelligenza - aggiunge Vendola -. Chi ancora oggi discute di governi tecnici esca dai palazzi del potere e venga ad ascoltare le voci della vita reale" 15:28 Vendola a Sacconi: "Inadeguato a governare è il Pdl" 43 – "Sono loro inadeguati a governare. Hanno portato il Paese verso la miseria". Così il leader di Sinistra e Libertà, Nichi Vendola, replica alle parole del ministro Maurizio Sacconi. "Cercano di mettere la museruola anche al governatore di Bankitalia, Mario Draghi - prosegue Vendola -. Non bisogna dire che la disoccupazione è all'11%, che in Italia abbiamo i salari più bassi d'Europa, che stanno distruggendo la scuola e l'università pubblica. E invece no, oggi bisogna cominciare a dire la verità" 15:19 I due cortei in arrivo a Piazza San Giovanni 42 – I due cortei della manifestazione Fiom, il primo proveniente da piazza della Repubblica e il secondo da piazzale dei Partigiani, si sono uniti all'altezza di via Merulana e stanno ora confluendo in piazza San Giovanni. Grandi applausi per il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, quando ha salutato il vicesegretario generale della Cgil Susanna Camusso 15:17 Vendola: "Meno diritti è regressione a civiltà 800" 41 – A chi "ci spiega che di fronte alla crisi bisogna ridurre i redditi e le tutele", il governatore della Puglia risponde che "questo non solo è sbagliato dal punto di vista economico, ma rappresenta anche una regressione dal punto di vista della civiltà. Qualcuno vuole uscire dal Novecento per entrare nell'Ottocento. Io voglio entrare nel Duemila" 15:14 Slogan: Marchionne e Bonanni i preferiti 40 – "Maroni uguale tessera del tifoso, Marchionne uguale tessera dell'operaio" è uno dei cartelli sollevati dai manifestanti che partecipano al corteo organizzato dalla Fiom a Roma. "Lavoro, legalità, dignità" sono le tre parole d'ordine della manifestazione che da Piazza della Repubblica sta raggiungendo San Giovanni. In marcia anche gli operai della Fiat e dell'indotto di Termini Imerese, quelli di Eutelia e di Pomigliano d'Arco. "Bonanni sei un uovo marcio", "Restituite la dignità e il futuro a chi ha fame", "Il lavoro non si tocca", "A noi il lavoro a voi la galera", "Pomigliano non si piega", "Viva la classe operaia che mantiene tutta la società", sono alcuni degli slogan ritmati dai manifestanti 15:12 Alemanno: "Troppa ideologia, ma Fiom gestirà bene" 39 – La manifestazione della Fiom "da un punto di vista politico ha un atteggiamento troppo segnato dall'ideologia per produrre effetti positivi". Lo afferma il sindaco di Roma Gianni Alemanno a margine del Forum di Coldiretti a Cernobbio, aggiungendo che "da un punto di vista organizzativo nulla da dire, perché si fa di sabato e c'è anche la convinzione che, rispetto alle preoccupazioni espresse dal ministro Maroni, la Fiom riuscirà comunque a gestire la situazione e ad evitare infiltrazioni" 15:10 Smentita Cgil: "Epifani mai parlato di sciopero generale" 38 – "Il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, non ha ma hai parlato durante il corteo della Fiom di sciopero generale. Ogni eventuale riferimento al tema sarà fatto nel corso dell'intervento a piazza San Giovanni". E' quanto afferma il portavoce del segretario della Cgil 15:08 Vendola: "Precarizzare per controllare" 37 – "La precarietà è come una pallina da pingpong, che va dalla scuola al mondo del lavoro. Vogliono precarizzare la nostra vita per comandarci meglio", prosegue il governatore della Regione Puglia. "Sono in piazza - ha spiegato - perché oggi non c'è soltanto una questione sindacale, ma politica e culturale. Riguarda un modello di società in cui viviamo. Penso che bisogna ribellarsi, la modernità deve contemplare i diritti del lavoro" 15:03 Vendola: "Unità centrosinistra? Prima quella del popolo" 36 – "L'unità fondamentale è quella del popolo, poi viene quella del centrosinistra. A quella ci pensiamo domani". Lo dice il leader di Sinistra e Libertà, Nichi Vendola, che sta partecipando al corteo della Fiom per le vie della Capitale 14:56 Operaio incalza, Epifani: "Sciopero generale? Lo faremo" 35 – Un operaio incalza il segretario della Cgil durante il corteo della Fiom a Roma e gli esprime a voce alta la necessità di fare "uno sciopero generale". "Lo faremo...lo faremo...", risponde Epifani, lasciando intendere che il tema sarà valutato dal sindacato se dopo la manifestazione della Cgil non ci saranno risposte 14:55 Di Pietro: "Governo e padroni minano diritti lavoratori" 34 – Secondo Di Pietro, "questo Governo e questo padronato stanno minando i diritti fondamentali dei lavoratori, poiché non considerano il lavoro come una potenzialità in un'area flessibile di sviluppo, ma come un sistema di servi che debbono ubbidire al caporale di turno" 14:54 Di Pietro: "A Cisl e Uil basta tozzo di pane" 33 – "Non bisogna essere dei comunisti - afferma il leader Idv - per pensare che non è giusto che l'amministratore delegato prende 420 volte lo stipendio di un lavoratore. C'è un'ingiustizia sociale terribile e lo diceva già Gesù Cristo, non c'è bisogno di essere comunisti... Quella parte del sindacato che si accontenta del tozzo di pane sotto al tavolo perde un'occasione importante" 14:49 Damiano: "Pd stia dove sono i lavoratori" 32 – Il partito democratico "deve stare dove ci sono i lavoratori". Lo ha sottolineato Cesare Damiano, capogruppo del Pd in commissione lavoro alla Camera ed ex ministro del Lavoro, sfilando alla testa del corteo della Fiom. "E' giusto - ha detto Damiano - partecipare a tutte le manifestazioni dei sindacati confederali, laddove ci sono contenuti che possono essere punti di contatto, come la rappresentatività e la rappresentanza sindacale". "Su questo tema - ha concluso l'ex ministro del Lavoro - bisogna lavorare per una legislazione di sostegno che raccolga le indicazioni unitarie del sindacato. In questa situazione potrebbe rappresentare un passo in avanti" 14:47 Secondo corteo partito da Piazza della Repubblica 31 – E' partito da piazza della Repubblica a Roma uno dei due cortei previsti dalla manifestazione nazionale della Fiom, che convergerà a piazza San Giovanni dove è previsto l'intervento dei leader sindacali. Ad aprire il corteo gli operai dell'indotto della Fiat e di Termini Imerese che tengono in mano delle lettere giganti formando la scritta 'Lavoro' 14:47 Corteo Fiom arrivato al Circo Massimo 30 – La testa del corteo della Fiom partito da piazzale dei Partigiani ha raggiunto piazzale di Porta Capena, all'altezza del Circo Massimo. Alla testa del corteo il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani e il vicesegretario generale Susanna Camusso. Il corteo ora si sta muovendo verso il Colosseo 14:44 Sacconi: "In piazza un'Italia retaggio anni 70" 29 – "La piazza di oggi rappresenta un'Italia che mi auguro pacifica, ma che è inadatta a governare. Rappresenta l'opposizione a sinistra di un segmento della società che dobbiamo mantenere nell'alveo democratico, ma che è ancora un retaggio di cose passate". Lo ha detto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, parlando al XII Forum della Piccola Industria a Prato. Sacconi fa riferimento agli anni 70, "i peggiori della mia vita, almeno, e forse di quelli che li hanno vissuti". Anni 70 che sono "ancora tra di noi, come avremo modo di vedere anche oggi pomeriggio" 14:42 Di Pietro: "Chi non c'è ha perso occasione" 28 – In piazza con le tute blu della Fiom "c'è il centrosinistra, perché c'è l'Italia dei Valori e perché soprattutto ci sono le persone che vogliono dire basta al Governo del malaffare e degli interessi personali. Quelli che non ci sono perdono un'occasione". Lo dice il presidente Idv, Antonio Di Pietro, giungendo alla manifestazione dei metalmeccanici a Roma. "Il Paese reale - continua Di Pietro - ha bisogno di riferimenti precisi e non di 'capitan tentenna', che un giorno dicono una cosa e il giorno dopo un'altra" 14:36 Epifani: "Problema non è Fiom, ma ricongiungersi ai lavoratori" 27 – "Qui il problema non è la Fiom o la Cgil, bisogna ricongiungersi ai lavoratori, alla loro condizione" ha affermato Epifani, al suo ultimo comizio prima del passaggio di testimone a Susanna Camusso. "Io sono stato eletto otto anni fa - ha ricordato Epifani -, ho iniziato con lo sciopero generale del 18 ottobre sui diritti, la dignità, l'occupazione e lo sviluppo. Chiudo con l'ultimo comizio, insistendo ancora sui diritti e sull'occupazione. Malgrado tutti gli sforzi e le mobilitazioni, c'è ancora tanta strada da fare per far ripartire gli investimenti e l'occupazione". 14:35 Vendola accolto da ovazione 26 – Il leader di Sinistra Ecologia e Libertà, Nichi Vendola, è stato accolto da una vera e propria ovazione dal corteo della Fiom. Il governatore della Regione Puglia, dopo un breve saluto con il leader dei metalmeccanici, Maurizio Landini, è stato salutato da decine di persone che manifestano per i diritti del lavoro. "La politica - ha detto - deve mettere al centro della contesa pubblica il lavoro e la sua dignità" 14:33 Cofferati e Ferrero con i manifestanti 25 – Tra le migliaia di manifestanti, anche volti noti della politica e del sindacato. Tra questi Sergio Cofferati, ex segretario generale Cgil, Paolo Ferrero, leader di Rifondazione Comunista, Giuliano Pisapia, candidato alle primarie per il Comune di Milano e il segretario del Pdci-Fds, Oliviero Diliberto 14:20 Partito il corteo da Piazza della Repubblica 24 – E' partito anche il secondo corteo della Fiom, da Piazza della Repubblica verso Piazza San Giovanni. Lo slogan della manifestazione è "Sì ai diritti, no ai ricatti. Il lavoro è un bene comune" 14:18 Epifani: "Qui Cgil da sola, il governo ha diviso i sindacati" 23 – "In tutta Europa i sindacati scioperano insieme, da noi in campo c'è soltanto la Cgil e questo indebolisce il fronte del movimento dei lavoratori, soprattutto in un momento di crisi, in cui è invece necessario lottare insieme", ha detto Guglielmo Epifani alla manifestazione. "Il governo ha fatto poco e male, ha diviso i sindacati e questo è un rimprovero che io farò sempre". ha aggiunto 14:16 Partito il corteo da Piazzale dei Partigiani 22 – E' partito da pochi minuti da Piazzale del Partigiani a Roma il corteo degli operai della Fiom. Alcune centinaia di tute blu stanno protestando dietro lo slogan 'Democrazia' e 'diritti', scritto a caratteri cubitali su diversi pannelli, ognuno dei quali contiene una lettera in rosso. Alla partenza del corteo è stato acceso un fumogeno di color rosso ed è stato sparato un petardo 14:13 Landini: "In piazza per difendere il contratto, lavoro e democrazia" 21 – La Fiom scende in piazza oggi "per difendere il contratto nazionale che rischia di essere cancellato, per il lavoro e per la democrazia, per indicare una uscita diversa dalla crisi". Così il leader del sindacato dei metalmeccanici della Cgil, Maurizio Landini, ha illustrato le ragioni della manifestazione di oggi."Siamo di fronte al più grande attacco ai diritti e al lavoro. Siamo di fronte alla più grande crisi dal dopoguerra ad oggi e vogliamo un cambiamento delle politiche del governo e di Confindustria" 14:02 Sacconi: "Una piazza inadatta a governare" 20 – Per il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi la manifestazione di oggi rappresenta una piazza ''inadatta a governare'', un ''retaggio di cose passate'', degli anni Settanta. "La piazza di oggi - ha detto al Forum delle Pmi di Prato - rappresenta un'Italia che mi auguro sarà pacifica ma che è inadatta a governare, l'opposizione a sinistra di un segmento della società che dobbiamo mantenere nell'alveo democratico ma che è ancora un retaggio di cose passate'' 13:59 Epifani e Landini in piazza: "Sarà manifestazione pacifica" 19 – Oltre a Guglielmo Epifani in piazza della Repubblica c'è anche Maurizio Landini, segretario generale Fiom. "Abbiamo lavorato perché sia una grande manifestazione pacifica", assicura Epifani, aggiungendo che "fino ad ora si è svolto tutto in un ordine assoluto, confido sarà così fino alla fine". Dello stesso parere il leader della Fiom: "Sarà una grande manifestazione sindacale, pacifica, democratica, non violenta", ha detto, aggiungendo: "Al momento sappiamo che sarà una grande giornata di prova democratica" 13:55 Epifani: "Il Paese sta rotolando, serve un cambiamento" 18 – "Il Paese sta rotolando. Il Paese è stato lasciato a sè stesso e dunque serve un cambiamento della politica economica": sono queste le motivazioni per cui la Cgil e la Fiom sono in piazza oggi per una grande manifestazione nazionale. Lo ha detto il numero uno del sindacato di Corso Italia, Guglielmo Epifani, prima della partenza del corteo da Piazza della Repubblica. "Siamo in piazza per i diritti, lavoro e occupazione. Ma anche per chiedere un contratto senza deroghe". Serve un impegno vero del governo per la tutela dei diritti dei lavoratori, ha aggiunto Epifani. "Questa sarà una grande manifestazione di protesta, una spinta a chiedere un cambiamento profondo" 13:50 Servizio d'ordine Fiom in testa a corteo studenti 17 – Il corteo degli studenti è giunto a Piazza Indipendenza e alla sua testa si sono posti alcuni rappresentanti del servizio d'ordine della Fiom con una felpa rossa e un badge di riconoscimento. Una sorta di "legittimazione" e di "accoglienza" della presenza degli studenti al corteo che è stato indetto appunto della Fiom 13:45 Diecimila persone a Piazzale dei Partigiani 16 – Sono circa 10.000 i manifestanti giunti a Piazzale dei Partigiani, a Roma, punto di partenza di uno dei due cortei che oggi sfilano per le vie della capitale per la manifestazione indetta dalla Fiom Cgil. Alla testa del corteo una grande scritta che recita: "Democrazia" 13:43 Migliaia di persone a Piazza della Repubblica 15 – Bandiere, tamburi, fischietti e tanti striscioni. Piazza della Repubblica, via delle Terme di Diocleziano e una piccola parte di piazza dei Cinquecento sono piene di manifestanti. Il corteo organizzato dalla Fiom partirà tra pochi minuti. In attesa di partire, oltre ai metalmeccanici, ci sono anche studenti, un gruppo di stranieri che chiedono su uno striscione 'Basta razzismo' e un gruppo di nomadi. Alla testa del corteo si sta dirigendo in questi minuti il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani 13:37 In piazza tra satira e rabbia 14 – Dieci grandi pannelli di compensato a comporre la parola democrazia, seguiti da altri pannelli che scrivono "Diritti e legalità". Apre così il corteo della Fiom in partenza da piazzale dei Partigiani a Roma. Il clima è disteso e le contestazioni sono satiriche, con due caricature del ministro Bossi e del premier Silvio Berlusconi che danzano insieme sul libro della Costituzione. Non mancano però, le critiche alla Cisl: un grande manifesto reca l'immagine del segretario Raffaele Bonanni e la didascalia "Infame maggiordomo". A dominare sono le bandiere rosse del sindacato metalmeccanici, intervallate da alcune bandiere di Rifondazione comunista e da quelle gialle del partito comunista curdo. Molti sono i riferimenti a Pomigliano: "Pomigliano non si piega" è il cartellone che in molti portano con sè e che è accompagnato da una vignetta che mostra il logo Fiat trasformarsi in una gabbia e due mani che ne rompono le sbarre 13:10 Operai Melfi reintegrati già al corteo 13 – I tre operai della Fiat di Melfi, licenziati e reintegrati dal giudice, sono già a piazzale dei Partigiani, dove si sta formando uno dei due cortei per la manifestazione della Fiom Cgil. "Per noi oggi deve essere un inizio per riprenderci i nostri diritti e le nostre libertà, parole queste che per qualcuno non hanno più significato", ha detto uno di loro, Giovanni Barozzino, che ha aggiunto "uno sciopero generale può servire, perchè ormai è sotto gli occhi di tutti cosa accade in Italia, non si parla più di lavoro". Secondo Antonio La Morte oggi è una giornata "importante, non ci siamo arresi. Torniamo a chiedere ad alta voce di tornare al lavoro" 13:06 Questore di Roma: "Impegno massimo per la sicurezza" 12 – Le forze di polizia sono impegnate da settimane per garantire il pacifico svolgimento della manifestazione, ha detto questa mattina il questore di Roma Francesco Tagliente a Sky Tg24. "C'è stato uno scambio di informazioni tra tutte le agenzie e le questure - ha proseguito Tagliente - con una pianificazione attenta di tutte le misure finalizzate a rendere compatibili sicurezza degli obiettivi e dei partecipanti all'evento. Gli uomini a mia disposizione - ha aggiunto - sono tutti impegnati e sensibilizzati all'importanza dell'avvenimento. Ci sono degli obiettivi sensibili e sono vigilati già da ieri sera. I dispositivi saranno rafforzati nel corso della giornata" 12:53 Partito il corteo degli studenti da Piazzale Aldo Moro 11 – "Sapere bene comune": è questo lo striscione di apertura del corteo di studenti e universitari partito pochi minuti fa da piazzale Aldo Moro e diretto a piazza della Repubblica dove si unirà al resto dei manifestanti della Fiom. Delegazioni di studenti provenienti da diverse parti d'Italia, uno spezzone di Pisa, un altro di Catania, ricercatori di psicologia con la sagoma di Brontolo ("perché rappresenta il lavoratore arrabbiato", dicono) universitari delle facoltà occupate di ingegneria, di Roma Tre, bandiere dalla No Tav e anche palloncini rosa contro la legge Tarzia sui consultori: il corteo sta sfilando pacificamente e vede la partecipazione di circa duemila persone, secondo gli organizzatori 12:40 Diretta manifestazione solo su Rainews 24, Vita protesta 10 – La manifestazione Fiom sarà trasmessa in diretta con collegamenti frequenti da Rainews 24 ma non dalle reti generaliste del servizio pubblico, come richiesto da organizzatori e diverse forze politiche. "E` mai possibile - protesta il rappresentante Pd in commissione parlamentare di vigilanza Vincenzo Vita - che l`attuale vertice della Rai sia così insensibile a una parte sicuramente significativa della società italiana? E' l`Abc di un servizio pubblico, che non per niente riscuote un canone di abbonamento pagato soprattutto dai lavoratori dipendenti. Che sono cittadini e non telecorpi". 12:13 Un migliaio di metalmeccanici dalla Sicilia 9 – Sono un migliaio i lavoratori metalmeccanici siciliani giunti oggi a Roma per la manifestazione nazionale della Fiom. I due treni speciali organizzati dal sindacato hanno ospitato anche una cinquantina di studenti. "I nostri dati sono questi - dice Giovanna Marano, segretaria generale della Fiom siciliana - e sono certi. Per noi del Sud - sottolinea la segretaria della Fiom siciliana - la manifestazione di oggi è un appuntamento importante, perché i temi che sono al suo centro sono sentitissimi dai lavoratori che scontano sulla loro pelle una crisi drammatica. Riteniamo dunque doveroso - conclude Marano - che la presenza di massa di lavoratori e lavoratrici siciliane oggi a Roma venga valorizzata" 12:10 Gasparri: "La sinistra alimenta polemiche" 8 – Il presidente del gruppo Pdl in Senato, Maurizio Gasparri, ritiene che sulla manifestazione dei metalmeccanici della Fiom, la sinistra alimenti polemiche. "Tutti hanno diritto - ha detto a Trieste, a margine di una conferenza stampa - di esprimere le loro idee. Noi abbiamo denunciato nei giorni scorsi le aggressioni a Bonanni, le prepotenze nei confronti dei sindacati che meglio di altri difendono gli interessi dei lavoratori. Poi registriamo su questo tema la spaccatura della sinistra: chi va, chi non va all'interno del Pd, a conferma che la sinistra sa alimentare polemiche ma non ha risposte chiare e condivise sui temi delle politiche sociali che il governo Berlusconi sta affrontando con molta più chiarezza e capacità di creare consenso sociale", ha concluso l'esponente del Pdl 11:55 Diliberto: "Sarà una manifestazione straordinaria" 7 – La manifestazione della Fiom "sarà pacifica e straordinaria e tutti saranno costretti a rimangiarsi le speculazioni fatte negli ultimi giorni". Lo dice il segretario del Pdci-Fds, Oliviero Diliberto. "Saremo al corteo - aggiunge - al fianco dei metalmeccanici e di tutte le donne e gli uomini che saranno con loro a difesa della libertà e della democrazia" 11:51 Marcegaglia: "Moderare i toni, timore spirale di violenza" 6 – In merito alla manifestazione della Fiom di oggi, il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, fa "un richiamo a moderare i toni, perché il timore che il paese vada in una direzione di spirale di violenza è un fatto molto negativo". La leader degli industriali ha aggiunto - incontrando i giornalisti a margine del XII Forum della piccola industria - che "siamo già in una situazione economica complessa. Aggiungere a questo un clima di conflitto sociale sarebbe molto grave" 11:28 Massimo grado di allerta per possibili disordini 5 – Massimo grado di allerta del ministero degli Interni per la manifestazione di oggi a Roma. Ieri c'è stato un vertice tra il titolare del Viminale, Roberto Maroni, e il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, dopo l'allarme di possibili infiltrazioni al corteo lanciato dallo stesso ministro. Il quale ieri, in serata, aveva visto anche il leader dei metalmeccanici, Maurizio Landini 11:26 Polverini: "Fiom saprà manifestare con serenità" 4 – "Mi auguro, ma ne sono convinta, che la Fiom saprà manifestare con serenità. Credo che non succederà nulla". Così il presidente della Regione Lazio Renata Polverini, a margine di un dibattito a Prato organizzato da Confindustria, ha risposto a chi le chiedeva se fosse preoccupata per la manifestazione della Fiom oggi a Roma. Polverini ha sottolineato che per l'occasione ci sarà "un dispiegamento di forze dell'ordine importante". "E comunque il servizio d'ordine del sindacato - ha concluso - da sempre e' in grado di garantire ordine" 11:23 Studenti di scuole e università a Piazza della Repubblica 3 – Stanno confluendo verso Piazza della Repubblica gli studenti di scuole e università. Da tutta Italia sono stati organizzati treni e pullman speciali 11:22 In piazza anche gli studenti 2 – "Noi non moriremo precari": è questo lo slogan con cui la Rete della Conoscenza, il network che raccoglie Unione degli Studenti e Link-Coordinamento universitario, ha invitato gli studenti di scuole e università a partecipare al corteo indetto dalla Fiom che si svolge oggi a Roma. 11:20 Due cortei in difesa dei diritti dei lavoratori 1 – Per difendere i diritti, la democrazia, la legalità, il lavoro e il contratto, la Fiom Cgil insieme a tutta la confederazione, si mobilita, dando vita ad una grande manifestazione nazionale. Due i cortei che sfileranno oggi per le vie di Roma: si parte alle ore 14,00 da piazza della Repubblica e piazzale dei Partigiani per arrivare a piazza San Giovanni, dove interverranno il segretario generale della Fiom Cgil, Maurizio Landini e il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Numerose le adesioni: Anpi, Associazione Articolo 21, Popolo Viola, Precari della Scuola, Ricerca e Università, da Emergency a Un Ponte per, dall'Unione degli studenti a MicroMega. Numerosi anche i partiti politici come Sinistra e libertà, Federazione della sinistra, Italia dei valori e alcuni circoli del Pd. (16 ottobre 2010)
2010-10-14 Fiom, Maroni: "Rischio infiltrazioni nel corteo ma il sindacato eviterà danni di violenti" Il ministro dell'Interno teme ci possano essere gruppi anche stranieri che potrebbero creare disordini: "Vigileremo". Veltroni: "Attenti che il clima mediatico non accresca la tensione". Cremaschi: "Nessun rischio, sono dichiarazioni provocatorie" Fiom, Maroni: "Rischio infiltrazioni nel corteo ma il sindacato eviterà danni di violenti" Il ministro dell'Interno Roberto Maroni ROMA - "Domani incontrerò i responsabili della Fiom e sono certo che, essendo questo un grande sindacato, eviteranno con il loro servizio d'ordine che gruppetti di violenti possano fare danni". Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, parlando durante la registrazione di Porta a Porta che andrà in onda questa sera su Rai Uno, ha parlato dei timori per possibili intrusioni nel corteo della Fiom di sabato a Roma. Immediata la risposta di Veltroni che mette in guardia da un clima mediatico che potrebbe accrescere ancora di più la tensione già alta dopo gli episodi dei giorni scorsi contro alcune delle sedi Cisl 1. I timori di Maroni per infiltrazioni nel corteo. "Il rischio di infiltrazioni nel corteo della Fiom di sabato è elevato, come hanno detto anche le analisi dei nostri servizi, ma la nostra attenzione sarà massima. Il rischio è - ha aggiunto il ministro dell'Interno - che alcuni gruppetti, non certo le 20 o 40mila persone che sfileranno pacificamente, staccandosi vadano a spaccare vetri. L'occasione è troppo ghiotta per l'infiltrazione nella manifestazione anche da parte di gruppetti stranieri". Il ministro Maroni ha inoltre voluto invitare a non sottovalutare alcuni episodi avvenuti recentemente e paragonati a "ragazzate". "A Padova - ha detto il ministro Maroni - ieri alcuni esponenti di un centro sociale, tra l'altro invitati alla manifestazione di sabato, hanno occupato la sede di Confindustria padovana imbrattando i muri. Dobbiamo tutti prendere le distanze da episodi come questo". "C'è un clima non buono che interessa anche esponenti della sinistra riformatrice", ha detto Maroni, che ha aggiunto: "Questi esponenti sono nel mirino di gruppi violenti".
Veltroni: "Clima mediatico accresce tensione". È bene evitare un "clima mediatico che accresca la tensione". Così Walter Veltroni, anche lui ospite stasera di Porta a Porta, ribatte al ministro dell'Interno in merito ai "rischi elevati di infiltrazioni di gruppi violenti". Dice Veltroni: "Attenzione a non creare un clima mediatico che accresca la tensione invece di farla diminuire. La Fiom è un grande sindacato, svolgerà una grande manifestazione che sarà conclusa da un discorso del segretario generale della Cgil. Chiaro che gli episodi che si sono ripetuti non possono avere se e ma. Ci siamo già passati in questo film. Quando ci sono episodi di intolleranza bisogna condannarli sempre e comunque". Ma, conclude, "stiamo anche attenti alla violenza del linguaggio, la politica italiana ha da anni un linguaggio assolutamente violento". Di Pietro: "Maroni si occupi della sicurezza". "Invece di creare allarmismi, il ministro Maroni garantisca la piena sicurezza della manifestazione della Fiom in modo che tutto possa svolgersi in maniera pacifica e regolare", ha detto in una nota il presidente dell'Italia dei Valori. "Se Maroni è a conoscenza di fatti o persone che possano o vogliano turbare e rovinare quella che è una protesta legittima e democratica - conclude Di Pietro - intervenga e agisca di conseguenza visto che la responsabilità è sua". Quella di sabato, spiegano in una nota Di Pietro e il responsabile lavoro e welfare del partito, Maurizio Zipponi, "è una manifestazione sindacale con parole d'ordine molto precise quali diritto al lavoro e legalità, una grandissima protesta pacifica contro il governo Berlusconi". Cremaschi: "Dichiarazione provocatoria". "Non ci risulta alcun rischio di scontri alla manifestazione di sabato", così ai microfoni di CNRmedia Giorgio Cremaschi, segretario nazionale Fiom, ha replicato all'allarme lanciato dal ministro dell'Interno. "Maroni sta provocando, a noi non risulta nulla, un ministro non fa una dichiarazione così poco seria - ha continuato Cremaschi - è una dichiarazione provocatoria che ci aiuterà a fare una manifestazione più pacifica. Ci sarà una vastissima partecipazione, sarà una grandissima manifestazione, purtroppo in Italia c'è chi sta cercando di creare una cortina di oscuramento attraverso minacce e dichiarazioni come questa. Se il ministro sa delle cose è suo dovere riferirle agli organizzatori, altrimenti taccia". I numeri. Solo dall'Emilia-Romagna partiranno in circa 11 mila per partecipare alla manifestazione della Fiom a Roma sabato. Le prenotazioni raccolte dalle strutture del sindacato dei metalmeccanici prevedono almeno 150 pullman e tre treni straordinari (da Reggio Emilia, da Modena, da Bologna). Saranno oltre 2.500 invece i metalmeccanici piemontesi che parteciperanno alla manifestazione. In particolare, dal Piemonte partiranno una cinquantina di pullman speciali, 46 solo di metalmeccanici, di cui 30 da Torino, 6 da Cuneo, 3 da Alessandria, e gli altri dalle restanti provincie. Il percorso. Sabato dalle 14, sfileranno due distinti cortei. Partiranno da piazza della Repubblica e da piazzale dei Partigiani per raggiungere piazza di Porta San Giovanni. Saranno deviate o limitate 47 linee di bus e due collegamenti tranviari. Alla manifestazione, che finirà alle 20 circa, è annunciata la partecipazione di circa centomila persone. In base alle esigenze di viabilità e ordine pubblico, già dalle 12 e fino alle 20,30 circa gli ispettori Atac presenti potranno deviare o limitare le linee h, 3, 5, 14, 16, 23, 30express, 36, 38, 40 e 60express, 64, 70, 71, 75, 81, 84, 85, 86, 87, 90express, 90d, 92, 95, 105, 117, 118, 160, 175, 217, 218, 271, 280, 310, 360, 571, 590, 628, 649, 650, 665, 673, 714, 715, 716, 719, 769, 810 e 910. (14 ottobre 2010)
2010-10-09 LA MANIFESTAZIONE "In piazza siamo oltre centomila" Cisl e Uil per un fisco più giusto I due sindacati protestano per ottenere riduzioni fiscali per i lavoratori dipendenti e i pensionati. Bonanni: "E' l'Italia della responsabilità" "In piazza siamo oltre centomila" Cisl e Uil per un fisco più giusto ROMA - "Siamo oltre centomila", questi i numeri, secondo Cisl e Uil, della manifestazione che i due sindacati hanno indetto per oggi a Roma per un fisco più giusto. E' una Piazza del Popolo gremita, dove sventolano le bandiere bianche e verdi della Cisl e azzurre della Uil. "Più sostegno per famiglie, giovani, donne e immigrati": è questo lo slogan scandito dagli striscioni dei manifestanti. "E' la prima volta che i sindacati manifestano per chiedere una riduzione delle tasse", dice arrivando il leader della Uil Luigi Angeletti, che non avverte la mancanza della Cgil, assente dalla piazza. "Noi - dice - vogliamo fare una trattativa e un accordo con il governo sulle tasse e non mi sembra che oggi la Cgil sia in condizione di voler fare accordi". E soddisfatto della piazza è anche il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. "Una piazza straordinaria che dimostra come nel Paese il clima che chiede responsabilità è molto forte", dice rivolto ai centomila manifestanti arrivati da tutta Italia a piazza del Popolo. "Questi sono uno schiaffo a chi ritiene di voler tornare ad un passato fatto solo di slogan", aggiunge guardando alla Fiom e ai centri sociali che in questi giorni hanno attaccato alcune sedi Cisl. E sul fisco manda un messaggio chiaro al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti: "Prima la riforma fiscale e poi il federalismo", scandisce. "Il ministro non metta il carro davanti ai buoi perchè un federalismo senza un riequilibrio dei pesi fiscali tra chi ha la ritenuta alla fonte e chi non ce l'ha è un federalismo falso". Quanto all'unità sindacale, oggi interrotta, aggiunge: "Con la Cgil ricuciremo quando ciascuno si renderà conto che il sindacato è plurale". (09 ottobre 2010)
2010-10-03 LA POLEMICA Il "quarto partito" delle imprese e la rabbia per un Paese alla deriva Dagli ex poteri forti quasi un avviso di sfratto al premier di ALBERTO STATERA Il "quarto partito" delle imprese e la rabbia per un Paese alla deriva L'ad della Fiat Sergio Marchionne LO ZOO Italia, di cui qualcuno ha pericolosamente aperto i cancelli liberando le fiere (copyright il capo della Fiat Sergio Marchionne 1), non è nutrito soltanto delle contestazioni all'accordo Fiat di Pomigliano, ma di ben altro. È lo zoo di un paese che tutto intero ha perso il senso delle istituzioni, della serietà, del rigore, in una parola dell'etica e del senso dello stato, cedendo a una cultura disastrosa che alza continuamente la tensione sociale, nutrito persino nelle sue massime espressioni del potere istituzionale di bestemmie, barzellette sugli ebrei e di delegittimazioni continue degli organi statuali di controllo democratico. Un'involuzione democratica che è ormai impossibile spiegare a chi va in giro nel mondo, dove le democrazie costituzionali generalmente vivono di fatti e di regole. Difficile non leggere nell'intervento di ieri del tecnocrate esterovestito Marchionne, l'uomo dal maglioncino blu oggi più globalizzato d'Italia che si vuole tenere distante dalla politica politicante ma che assume oggi di fatto il ruolo di leader del Quarto partito, quasi un grido di dolore non solo e non tanto contro i radicalismi sindacali con cui la Fiat si confronta, ma un manifesto per un paese alla deriva che non riesce a sostenere né le imprese, né i lavoratori e le famiglie, né i consumi, né lo sviluppo. Che non fa nulla, nella sindrome autoreferenziale del premier e dei suoi scudieri, affogando giorno dopo giorno, mese dopo mese, nell'immobilismo. L'assenza, da mesi, di un ministro dello Sviluppo economico, che rende il premier arbitro assoluto dei suoi propri interessi imprenditoriali ma distratto gestore di un sistema industriale allo stremo, è l'epitome di un paese dove l'uomo in maglioncino, che digrigna i denti contro i radicalismi sindacali e per la prima volta anche contro la politica, crede addirittura che la vita non valga più la pena di essere vissuta. Il manifesto dello zoo, mutatis mutandis tarda replica della romitiana marcia torinese dei Quarantamila, si salda per la prima volta perfettamente con i disagi, per usare un eufemismo, di tutto il mondo dell'economia (e del lavoro) nei confronti del governo Berlusconi. Quasi un preannuncio di sfratto di fronte all'impotenza. Quasi la rinascita di un Quarto partito, come quando ai tempi di De Gasperi il mondo produttivo condizionava le scelte politiche. Il nuovo Quarto partito di Sergio Marchionne coincide col nuovo corso politico della Confindustria, che dopo anni di ambigui "penultimatum" ha "perso la pazienza", come per la prima volta ha detto l'altro giorno esplicitamente la sua presidente Emma Marcegaglia, indifeso ostaggio per un intero biennio delle sirene del presidente-imprenditore, lui che crede di poter trattare tutte le donne come veline. Entro dicembre - e già l'ultimatum è piuttosto lasco - occorre un programma vero di provvedimenti realizzabili, non la consueta solfa di pezzi di autostrada e di ponti sullo Stretto, come i soliti evocati da Berlusconi nel discorso della fiducia alla Camera. Basta con la propaganda, basta dire che stiamo meglio degli altri paesi. "Non è vero", certifica la Marcegaglia, ormai forse liberata dalla sindrome di Vicenza, quella che colpì la Confindustria quando Berlusconi saltò sul palco e in pochi minuti, con un affondo dei suoi, colò a picco l'allora presidente Luca di Montezemolo. E basta con questo "teatrino" (testuale) fatto per mesi di "cognati, appartamenti e amanti", mentre l'impresa si confronta con la crisi più grave dell'ultimo mezzo secolo. Basta, insomma, con la "brutta politica" che ormai ci pervade. Se la maggioranza non c'è più, se ne prenda atto, come la democrazia richiede, perché non può essere rinviata la missione principale, il tentativo di rilancio del paese e che va ben al di là delle ambizioni del premier e dell'epitaffio che egli ambisce ad incidere sul suo mausoleo di Arcore, come premier più longevo della storia d'Italia o addirittura come presidente della repubblica più amato dal popolo. Sedici anni di "non scelte", come dice Montezemolo per una volta d'accordo con la Marcegaglia e con Marchionne, sono un'era infinita per l'impresa. Non si può più aspettare ragionevolmente la crescita senza far nulla, cincischiando come fa questo governo. Tremonti tenta lodevolmente l'austerità. Non solo non gli riesce, ma, seppure riuscisse, è una politica utile solo nel breve periodo, che non aiuta la crescita, non stimola i consumi, non sostiene i lavoratori e le famiglie dando loro una vita degna di essere vissuta, forse la frase migliore pronunciata ieri dal capo della Fiat. Il problema, colto ormai unanimemente dal Quarto partito, è che se l'Italia continua a perdere terreno poi sarà troppo tardi. Concorda con Marchionne, Marcegaglia e Montezemolo, per una volta tra loro in sintonia, anche il presidente dell'Associazione bancaria Giuseppe Mussari, dominus di sinistra del Monte dei Paschi di Siena, che invoca: "Non rinviate il rilancio del paese". E' di questo che abbiamo bisogno ed è di questa strategia che non si vede traccia, in un paese non solo economicamente, ma moralmente e civilmente più povero, nelle mani di una classe politica sempre più screditata, persa in un gorgo di chiacchiere, di propaganda e persino di corruzione e di ricatti, degni di un affresco sudamericano. Per chi vota la Fiat, dopo l'exploit politico di ieri di Marchionne, l'italo-canadese che doveva essere capace di occuparsi soltanto di vendere più auto e di salvare la Fiat dai disastri familiari? Non ci sono dubbi: su convergenze forti, le più ampie possibili, che vedano insieme, come Marchionne ha detto ieri a Firenze, "tutte le forze positive di cui l'Italia dispone". Quasi un avviso di sfratto per Berlusconi, pronunciato dalla presunta tolda di comando dei presunti poteri forti e un assist per tutti quelli che puntano a un governo di salvezza nazionale che liberi l'Italia dall'immobilismo egocentrico del berlusconismo. Saranno forse contenti Bersani, Fini e Casini. Ma il Quarto partito di degasperiana memoria che faceva e disfaceva i governi per il bene delle imprese e per il ruolo degli imprenditori come aspirante classe generale, è un ricordo lontano oggi, dopo tre lustri di berlusconismo. a.statera@repubblica.it (03 ottobre 2010)
LA POLEMICA Il "quarto partito" delle imprese e la rabbia per un Paese alla deriva Dagli ex poteri forti quasi un avviso di sfratto al premier di ALBERTO STATERA Il "quarto partito" delle imprese e la rabbia per un Paese alla deriva L'ad della Fiat Sergio Marchionne LO ZOO Italia, di cui qualcuno ha pericolosamente aperto i cancelli liberando le fiere (copyright il capo della Fiat Sergio Marchionne), non è nutrito soltanto delle contestazioni all'accordo Fiat di Pomigliano, ma di ben altro. È lo zoo di un paese che tutto intero ha perso il senso delle istituzioni, della serietà, del rigore, in una parola dell'etica e del senso dello stato, cedendo a una cultura disastrosa che alza continuamente la tensione sociale, nutrito persino nelle sue massime espressioni del potere istituzionale di bestemmie, barzellette sugli ebrei e di delegittimazioni continue degli organi statuali di controllo democratico. Un'involuzione democratica che è ormai impossibile spiegare a chi va in giro nel mondo, dove le democrazie costituzionali generalmente vivono di fatti e di regole. Difficile non leggere nell'intervento di ieri del tecnocrate esterovestito Marchionne, l'uomo dal maglioncino blu oggi più globalizzato d'Italia che si vuole tenere distante dalla politica politicante ma che assume oggi di fatto il ruolo di leader del Quarto partito, quasi un grido di dolore non solo e non tanto contro i radicalismi sindacali con cui la Fiat si confronta, ma un manifesto per un paese alla deriva che non riesce a sostenere né le imprese, né i lavoratori e le famiglie, né i consumi, né lo sviluppo. Che non fa nulla, nella sindrome autoreferenziale del premier e dei suoi scudieri, affogando giorno dopo giorno, mese dopo mese, nell'immobilismo. L'assenza, da mesi, di un ministro dello Sviluppo economico, che rende il premier arbitro assoluto dei suoi propri interessi imprenditoriali ma distratto gestore di un sistema industriale allo stremo, è l'epitome di un paese dove l'uomo in maglioncino, che digrigna i denti contro i radicalismi sindacali e per la prima volta anche contro la politica, crede addirittura che la vita non valga più la pena di essere vissuta. Il manifesto dello zoo, mutatis mutandis tarda replica della romitiana marcia torinese dei Quarantamila, si salda per la prima volta perfettamente con i disagi, per usare un eufemismo, di tutto il mondo dell'economia (e del lavoro) nei confronti del governo Berlusconi. Quasi un preannuncio di sfratto di fronte all'impotenza. Quasi la rinascita di un Quarto partito, come quando ai tempi di De Gasperi il mondo produttivo condizionava le scelte politiche. Il nuovo Quarto partito di Sergio Marchionne coincide col nuovo corso politico della Confindustria, che dopo anni di ambigui "penultimatum" ha "perso la pazienza", come per la prima volta ha detto l'altro giorno esplicitamente la sua presidente Emma Marcegaglia, indifeso ostaggio per un intero biennio delle sirene del presidente-imprenditore, lui che crede di poter trattare tutte le donne come veline. Entro dicembre - e già l'ultimatum è piuttosto lasco - occorre un programma vero di provvedimenti realizzabili, non la consueta solfa di pezzi di autostrada e di ponti sullo Stretto, come i soliti evocati da Berlusconi nel discorso della fiducia alla Camera. Basta con la propaganda, basta dire che stiamo meglio degli altri paesi. "Non è vero", certifica la Marcegaglia, ormai forse liberata dalla sindrome di Vicenza, quella che colpì la Confindustria quando Berlusconi saltò sul palco e in pochi minuti, con un affondo dei suoi, colò a picco l'allora presidente Luca di Montezemolo. E basta con questo "teatrino" (testuale) fatto per mesi di "cognati, appartamenti e amanti", mentre l'impresa si confronta con la crisi più grave dell'ultimo mezzo secolo. Basta, insomma, con la "brutta politica" che ormai ci pervade. Se la maggioranza non c'è più, se ne prenda atto, come la democrazia richiede, perché non può essere rinviata la missione principale, il tentativo di rilancio del paese e che va ben al di là delle ambizioni del premier e dell'epitaffio che egli ambisce ad incidere sul suo mausoleo di Arcore, come premier più longevo della storia d'Italia o addirittura come presidente della repubblica più amato dal popolo. Sedici anni di "non scelte", come dice Montezemolo per una volta d'accordo con la Marcegaglia e con Marchionne, sono un'era infinita per l'impresa. Non si può più aspettare ragionevolmente la crescita senza far nulla, cincischiando come fa questo governo. Tremonti tenta lodevolmente l'austerità. Non solo non gli riesce, ma, seppure riuscisse, è una politica utile solo nel breve periodo, che non aiuta la crescita, non stimola i consumi, non sostiene i lavoratori e le famiglie dando loro una vita degna di essere vissuta, forse la frase migliore pronunciata ieri dal capo della Fiat. Il problema, colto ormai unanimemente dal Quarto partito, è che se l'Italia continua a perdere terreno poi sarà troppo tardi. Concorda con Marchionne, Marcegaglia e Montezemolo, per una volta tra loro in sintonia, anche il presidente dell'Associazione bancaria Giuseppe Mussari, dominus di sinistra del Monte dei Paschi di Siena, che invoca: "Non rinviate il rilancio del paese". E' di questo che abbiamo bisogno ed è di questa strategia che non si vede traccia, in un paese non solo economicamente, ma moralmente e civilmente più povero, nelle mani di una classe politica sempre più screditata, persa in un gorgo di chiacchiere, di propaganda e persino di corruzione e di ricatti, degni di un affresco sudamericano. Per chi vota la Fiat, dopo l'exploit politico di ieri di Marchionne, l'italo-canadese che doveva essere capace di occuparsi soltanto di vendere più auto e di salvare la Fiat dai disastri familiari? Non ci sono dubbi: su convergenze forti, le più ampie possibili, che vedano insieme, come Marchionne ha detto ieri a Firenze, "tutte le forze positive di cui l'Italia dispone". Quasi un avviso di sfratto per Berlusconi, pronunciato dalla presunta tolda di comando dei presunti poteri forti e un assist per tutti quelli che puntano a un governo di salvezza nazionale che liberi l'Italia dall'immobilismo egocentrico del berlusconismo. Saranno forse contenti Bersani, Fini e Casini. Ma il Quarto partito di degasperiana memoria che faceva e disfaceva i governi per il bene delle imprese e per il ruolo degli imprenditori come aspirante classe generale, è un ricordo lontano oggi, dopo tre lustri di berlusconismo. a.statera@repubblica.it (03 ottobre 2010)
"Nessuno" in Patria, "qualcuno" altrove Gli italiani se ne vanno. Di nascosto Il fenomeno dei nostri concittadini emigrati è in continua crescita soprattutto tra i giovani. Ma non è per nulla evidente. Pochi s'iscrivono all'Aire (Anagrafe dei residenti all'Estero). Repubblica.it lancia un censimento per conoscere i numeri veri e le loro storie di CLAUDIA CUCCHIARATO "Nessuno" in Patria, "qualcuno" altrove Gli italiani se ne vanno. Di nascosto Una popolazione nascosta. Un profilo, quello degli italiani residenti all'estero, sfuggente, difficile da definire quantitativamente e qualitativamente. L'Italia è uno dei Paesi europei che più esporta laureati: quattro volte più che la Germania, la Francia o il Regno Unito. Allo stesso tempo, però, è tra quelli che meno importano giovani delle stesse caratteristiche. Secondo le stime dell'OCSE, solo un immigrato su dieci in Italia ha un'educazione terziaria: meno della metà degli immigrati in Spagna, un terzo di quelli che si dirigono verso l'Inghilterra, una percentuale inferiore anche a quella di chi migra in Grecia. Tra il 2000 e il 2010 oltre 300mila persone tra i 20 e i 40 hanno lasciato il nostro Paese e quasi il 60% di loro ha raggiunto un altro Stato europeo. Sono tutti dati forniti dall'Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero (AIRE), e ci dicono che la comunità dei migranti italiani in Europa è la terza più popolosa, dopo la rumena e la polacca, con un totale di 1,3 milioni di unità. Nel mondo saremmo circa 4 milioni. RISPONDI AL NOSTRO QUESTIONARIO 1 Eppure, anche i dati ufficiali rappresentano un'enorme sottostima rispetto alle cifre reali. Esiste una numerosa popolazione di italiani, soprattutto giovani e altamente istruiti, stabilmente domiciliati al di fuori dei confini nazionali che né il Ministero degli Esteri né le organizzazioni internazionali riescono a censire. E infatti, confrontando i dati dell'AIRE con quelli delle città più recentemente prese d'assalto dai migranti italiani, come Berlino, Barcellona, Londra o Parigi, si scopre che il numero degli arrivi degli ultimi decenni non coincide affatto con il numero di espatriati registrato dai consolati italiani a fini statistici ed elettorali. Nel mio libro, Vivo altrove, 2 pubblicato a maggio (collana "Presente storico" di Bruno Mondadori), metto in luce queste incongruenze. Un fenomeno "nascosto" che si verifica soprattutto in Europa, dove l'apertura delle frontiere, l'introduzione della moneta unica o la proliferazione dei voli lowcost hanno provocato un considerevole e incontrollabile aumento della mobilità internazionale. Ho cercato di dare una voce all'Italia che vive fuori dall'Italia e che, per convenienza, per distrazione o per scarsa informazione, all'AIRE non si è mai iscritta. Molti dei giovani migranti italiani che ho intervistato mi hanno detto di non sapere nemmeno cosa fosse l'AIRE, né che fosse necessario iscrivervisi per votare in patria. La maggior parte di queste persone, domiciliate da anni e con un contratto di lavoro stabile all'estero, risultano essere ancora residenti in Italia. È per questa ragione che ho pensato di chiamarle "generazione nessuno". Non esistono, sfuggono alle statistiche e all'interesse del Paese d'origine. Erano e sono tuttora "nessuno" per l'Italia, ma proprio essendo "nessuno" all'estero sono riuscite a diventare "qualcuno". Non sono solo "cervelli in fuga", bensí decine di migliaia di persone che ogni anno partono alla ricerca di un'opportunità che qui ritengono irraggiungibile. Da queste considerazioni e dall'esigenza di dare un numero, un nome o una descrizione a questa "generazione nessuno", nasce l'inziativa che lanciamo oggi in collaborazione con repubblica. it. Dalla necessità di sapere quanti sono e dove stanno gli italiani che hanno da pochi mesi o da anni abbandonato il proprio Paese, nasce la volontà di realizzare un censimento che, per scarso interesse nell'affrontare l'argomento o mancanza di mezzi, finora nessuna delle istituzioni preposte ha voluto portare a termine. Esistono, e sono molte, le associazioni che si occupano dei nuovi migranti italiani. Sono nate di recente anche alcune iniziative che cercano di riunirli attorno ad un obiettivo. Un esempio è il Manifesto degli Espatriati 3 che i blog di Vivo altrove 4 e La Fuga dei Talenti 5 hanno lanciato, in modo quasi provocatorio, per esprimere uno scontento e aprire un dialogo. Pochi mesi fa è passata alla Camera dei Deputati la proposta di legge nata dal progetto "Controesodo - Talenti in movimento" 6. Un primo, fondamentale passo che vorrebbe non solo incentivare il rientro di lavoratori italiani altamente specializzati, ma anche invogliare i talenti stranieri a trovare un posto nel nostro tessuto industriale. Per compiere questo passo, però, è necessario prima di tutto sapere di cosa stiamo parlando: numeri, storie, capacità... chi e dove sono gli emigranti italiani di oggi? Se fate parte di questa comunità in costante aumento, o avete intenzione di farlo, introducete i vostri dati. Raccontateci la vostra storia, i motivi che vi hanno spinto all'espatrio, i luoghi in cui avete vissuto, le ragioni per cui avete deciso di rimanere o le motivazioni grazie alle quali fareste possibilmente ritorno in Italia. Faremo arrivare la vostra voce anche a chi fino ad oggi si è occupato dei Residenti all'Estero solo per capire in che zone del mondo organizzare la campagna elettorale.
(29 settembre 2010"Nessuno" in Patria, "qualcuno" altrove Gli italiani se ne vanno. Di nascosto Il fenomeno dei nostri concittadini emigrati è in continua crescita soprattutto tra i giovani. Ma non è per nulla evidente. Pochi s'iscrivono all'Aire (Anagrafe dei residenti all'Estero). Repubblica.it lancia un censimento per conoscere i numeri veri e le loro storie di CLAUDIA CUCCHIARATO "Nessuno" in Patria, "qualcuno" altrove Gli italiani se ne vanno. Di nascosto Una popolazione nascosta. Un profilo, quello degli italiani residenti all'estero, sfuggente, difficile da definire quantitativamente e qualitativamente. L'Italia è uno dei Paesi europei che più esporta laureati: quattro volte più che la Germania, la Francia o il Regno Unito. Allo stesso tempo, però, è tra quelli che meno importano giovani delle stesse caratteristiche. Secondo le stime dell'OCSE, solo un immigrato su dieci in Italia ha un'educazione terziaria: meno della metà degli immigrati in Spagna, un terzo di quelli che si dirigono verso l'Inghilterra, una percentuale inferiore anche a quella di chi migra in Grecia. Tra il 2000 e il 2010 oltre 300mila persone tra i 20 e i 40 hanno lasciato il nostro Paese e quasi il 60% di loro ha raggiunto un altro Stato europeo. Sono tutti dati forniti dall'Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero (AIRE), e ci dicono che la comunità dei migranti italiani in Europa è la terza più popolosa, dopo la rumena e la polacca, con un totale di 1,3 milioni di unità. Nel mondo saremmo circa 4 milioni. RISPONDI AL NOSTRO QUESTIONARIO 1 Eppure, anche i dati ufficiali rappresentano un'enorme sottostima rispetto alle cifre reali. Esiste una numerosa popolazione di italiani, soprattutto giovani e altamente istruiti, stabilmente domiciliati al di fuori dei confini nazionali che né il Ministero degli Esteri né le organizzazioni internazionali riescono a censire. E infatti, confrontando i dati dell'AIRE con quelli delle città più recentemente prese d'assalto dai migranti italiani, come Berlino, Barcellona, Londra o Parigi, si scopre che il numero degli arrivi degli ultimi decenni non coincide affatto con il numero di espatriati registrato dai consolati italiani a fini statistici ed elettorali. Nel mio libro, Vivo altrove, 2 pubblicato a maggio (collana "Presente storico" di Bruno Mondadori), metto in luce queste incongruenze. Un fenomeno "nascosto" che si verifica soprattutto in Europa, dove l'apertura delle frontiere, l'introduzione della moneta unica o la proliferazione dei voli lowcost hanno provocato un considerevole e incontrollabile aumento della mobilità internazionale. Ho cercato di dare una voce all'Italia che vive fuori dall'Italia e che, per convenienza, per distrazione o per scarsa informazione, all'AIRE non si è mai iscritta. Molti dei giovani migranti italiani che ho intervistato mi hanno detto di non sapere nemmeno cosa fosse l'AIRE, né che fosse necessario iscrivervisi per votare in patria. La maggior parte di queste persone, domiciliate da anni e con un contratto di lavoro stabile all'estero, risultano essere ancora residenti in Italia. È per questa ragione che ho pensato di chiamarle "generazione nessuno". Non esistono, sfuggono alle statistiche e all'interesse del Paese d'origine. Erano e sono tuttora "nessuno" per l'Italia, ma proprio essendo "nessuno" all'estero sono riuscite a diventare "qualcuno". Non sono solo "cervelli in fuga", bensí decine di migliaia di persone che ogni anno partono alla ricerca di un'opportunità che qui ritengono irraggiungibile. Da queste considerazioni e dall'esigenza di dare un numero, un nome o una descrizione a questa "generazione nessuno", nasce l'inziativa che lanciamo oggi in collaborazione con repubblica. it. Dalla necessità di sapere quanti sono e dove stanno gli italiani che hanno da pochi mesi o da anni abbandonato il proprio Paese, nasce la volontà di realizzare un censimento che, per scarso interesse nell'affrontare l'argomento o mancanza di mezzi, finora nessuna delle istituzioni preposte ha voluto portare a termine. Esistono, e sono molte, le associazioni che si occupano dei nuovi migranti italiani. Sono nate di recente anche alcune iniziative che cercano di riunirli attorno ad un obiettivo. Un esempio è il Manifesto degli Espatriati 3 che i blog di Vivo altrove 4 e La Fuga dei Talenti 5 hanno lanciato, in modo quasi provocatorio, per esprimere uno scontento e aprire un dialogo. Pochi mesi fa è passata alla Camera dei Deputati la proposta di legge nata dal progetto "Controesodo - Talenti in movimento" 6. Un primo, fondamentale passo che vorrebbe non solo incentivare il rientro di lavoratori italiani altamente specializzati, ma anche invogliare i talenti stranieri a trovare un posto nel nostro tessuto industriale. Per compiere questo passo, però, è necessario prima di tutto sapere di cosa stiamo parlando: numeri, storie, capacità... chi e dove sono gli emigranti italiani di oggi? Se fate parte di questa comunità in costante aumento, o avete intenzione di farlo, introducete i vostri dati. Raccontateci la vostra storia, i motivi che vi hanno spinto all'espatrio, i luoghi in cui avete vissuto, le ragioni per cui avete deciso di rimanere o le motivazioni grazie alle quali fareste possibilmente ritorno in Italia. Faremo arrivare la vostra voce anche a chi fino ad oggi si è occupato dei Residenti all'Estero solo per capire in che zone del mondo organizzare la campagna elettorale. (29 settembre 2010
2010-10-02 Marchionne: "Il clima di violenza? Qualcuno ha aperto i cancelli dello zoo..." Commentando l'intervista a Pietro Ichino pubblicata oggi da Repubblica, l'ad Fiat dice "L'accordo di Pomigliano non viola la Costituzione, si sta solo cercando un punto di convergenza tra noi e alcune persone che non vogliono capire come sta andando il mondo". E ancora: "Noi investiamo 20 miliardi di euro e prendiamo anche gli schiaffi" Marchionne: "Il clima di violenza? Qualcuno ha aperto i cancelli dello zoo..." L'ad Fiat Marchionne con Luca Cordero di Montezemolo FIRENZE - Ha difeso a spada tratta la legittimità dell'accordo di Pomigliano che, ha ribadito, "non azzera alcun diritto costituzionale": l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne, intervenendo a un convegno della Federazione dei Cavalieri del Lavoro, a Firenze, si è mostrato molto critico nei confronti degli accordi vigenti in materia di lavoro, e non solo in Italia, e non ha risparmiato critiche durissime agli oppositori dei piani del gruppo automobilistico. "Noi investiamo 20 miliardi di euro e prendiamo anche gli schiaffi", ha detto.Marchionne ha anche stigmatizzato gli episodi di violenza avvenuti negli ultimi giorni: "Il paese ha perso il senso istituzionale, la bussola è partita, qualcuno ha aperto i cancelli dello zoo e sono usciti tutti. E' difficile andare in giro per il mondo a spiegare cosa succede in Italia. E' vergognoso". Pomigliano e la Costituzione. "L'accordo di Pomigliano non sta azzerando nessun diritto costituzionale, lo posso garantire", ha rilevato Marchionne, commentando l'intervista a Pietro Ichino su Repubblica 1 (anche Ichino sostiene la legittimità dell'accordo). "La Fiat - ha proseguito Marchionne - non ha mai tirato in ballo la Costituzione". Marchionne ha sottolineato che si sta "cercando un punto di convergenza tra noi e alcune persone che non vogliono capire come sta andando il mondo". Nell'intervento al convegno, Marchionne si è soffermato sulle ragioni di Fabbrica Italia: "Non è un progetto che nasce da un calcolo di convenienza", ha assicurato. No alla violenza: serve convergenza. Nel suo intervento, Marchionne ha condannato con fermezza ''gli episodi di violenza che si sono verificati in questi giorni". "Dobbiamo prendere le distanze, - ha detto - tutti quanti, da una cultura disastrosa che alza la tensione sociale e nega il dialogo''. ''Questa - ha insistito Marchionne - è una cultura che non ci appartiene e che serve solo a distruggere ciò che di buono stiamo tentando di costruire''. Al contrario, secondo l'a.d. della Fiat, ''oggi c'é bisogno di una convergenza forte, la più ampia possibile, che veda insieme tutte le forze positive di cui l'Italia dispone. C'é bisogno di condividere gli impegni, le responsabilità e i sacrifici, in vista di un obiettivo che vada al di là della piccola visione personale''. Dunque, ha concluso Marchionne, ''questo è il momento di accettare il cambiamento come la possibilità per creare una base di ripartenza sana, come un'occasione per iniziare a costruire insieme il Paese che vogliamo lasciare in eredità alle prossime generazioni''. "Fabbrica Italia non nasce per convenienza". Fabbrica Italia "non è un progetto che nasce da un calcolo di convenienza", ha affermato Marchionne, rivelando che spiegare il senso dell'iniziativa agli analisti finanziari "è stata una delle cose più difficili" che ha dovuto fare negli ultimi tempi. "Le logiche economiche e finanziarie - ha proseguito l'ad della Fiat - ci spingerebbero verso altre scelte e verso altri paesi che offrono condizioni più vantaggiose e maggiori certezze. Ma credo che la Fiat abbia il dovere di guardare prima di tutto all'Italia, per quello che ha sempre rappresentato e per quello che significa ancora oggi per il Paese". Buste paghe bizantine. L'ad della Fiat non ha risparmiato critiche anche più dure del solito a chi sostiene l'attuale sistema legislativo e di accordi in materia di lavoro: "In Europa si sta esternalizzando il welfare a carico delle aziende. Guardate il conto dell'Inps e chi sta pagando veramente la Cig". "Vi pare possibile - ha aggiunto - noi investiamo 20 miliardi in Italia e poi prendiamo anche gli schiaffi?". "Leggere una busta paga, oggi, è un esercizio bizantino. - ha proseguito Marchionne, continuando a difendere l'accordo di Pomigliano - L'elenco delle voci retributive, molte delle quali spesso incomprensibili agli stessi lavoratori, è il risultato di 40 anni di accordi, grandi e piccoli, che si sono sovrapposti. Quello che abbiamo fatto è stato semplificare l'apparato normativo che genera la busta paga, lasciando ovviamente invariata la parte retributiva". Dati negativi ampiamente attesi. Marchionne ha anche commentato, rispondendo alle domande dei giornalisti, gli ultimi dati economici, molto negativi per l'auto, sostenendo che "il dato era totalmente atteso ed in linea con le previsioni". "Il mercato - ha proseguito Marchionne - sta cercando di trovare stabilità. Finchè non finisce questo processo di riallineamento tra domanda e offerta resteremo così. A soffrire naturalmente sono le parti basse della gamma, i segmenti A e B". Per Marchionne il dato "Era prevedibile, era aspettato, lo abbiamo incluso nelle nostre previsioni per l'anno. Per l'Ad di Fiat, "Per avere una ripresa bisogna aspettare probabilmente l'inizio del 2011". Alla domanda dei giornalisti di un commento alla notizia secondo la quale lunedì il premier Berlusconi nominerebbe finalmente il nuovo ministro per lo Sviluppo Economico, Marchionne ha risposto: "Il ministro dello Sviluppo Economico? Lo aspettiamo come lo aspetta lei". (02 ottobre 2010)
2010-09-29 METALMECCANICI Melfi, no al ricorso per gli operai riammessi Accordo su deroghe contratto senza Fiom Il sindacato aveva contestato la decisione dell'azienda di reintegrare i tre licenziati permettendo loro di svolgere attività sindacale, ma non di tornare al lavoro sulle linee produttive. Intesa tra Federmeccanica, Film e Uilm. Epifani: "E' la fine del contratto nazionale" Melfi, no al ricorso per gli operai riammessi Accordo su deroghe contratto senza Fiom I tre operai Fiat reintegrati MELFI (Potenza) - Ricorso 'inammissibile'. Così il giudice del lavoro di Melfi Emilio Minio, lo stesso che aveva emesso il provvedimento di annullamento dei licenziamenti dei tre operai Fiat 1, ha giudicato l'istanza presentata dalla Fiom sulle modalità con cui la Fiat aveva attuato il reintegro dei tre lavoratori dello stabilimento di Melfi (Potenza) licenziati nel luglio scorso. L'udienza durante la quale la Fiom aveva presentato la sua istanza si è svolta il 21 settembre scorso. Il sindacato aveva contestato la decisione della Fiat di riammettere i tre licenziati permettendo loro di svolgere attività sindacale ma non di tornare al lavoro sulle linee produttive. In una nota, i legali della Fiat hanno evidenziato che "nel dichiarare inammissibile l'istanza della Fiom, il Tribunale di Melfi ha confermato trattarsi di richiesta estranea al nostro ordinamento processuale, sottolineando che la stessa costituisce 'tentativo, che oltrepassando i limiti dell'analogia, si caratterizza per essere un'iniziativa creativa e di politica legislativa, inibita all'ordine giudiziario'". La reazione della Fiom. Immediata la reazione di Fiom-Cgil che ha annunciato che domani presenterà un'istanza al giudice dell'esecuzione del Tribunale di Melfi ''per la definizione delle modalità di attuazione'' del decreto di reintegro emanato ad agosto dal giudice del lavoro Minio. ''Il giudice del lavoro - ha spiegato l'avvocato Lina Grosso - ha dichiarato inammissibile la nostra istanza, dichiarandosi incompetente, perché non in presenza di un provvedimento di natura cautelare. Stiamo già preparando l'atto di precetto da presentare domani mattina al giudice dell'esecuzione del Tribunale di Melfi, per ottenere i necessari chiarimenti sulle modalità del reintegro dei tre lavoratori''. Accordo su deroghe contratto metalmeccanici. Federmeccanica, Film e Uilm hanno intanto raggiunto l'accordo sulle deroghe al contratto nazionale dei metalmeccanici. La possibilità di definire deroghe al contratto nazionale era prevista dal contratto stesso firmato nell'ottobre 2009 è valido per il periodo 2010-2012 (intese modificative). Il contratto del 2009 non era stato firmato dalla Fiom che quindi non ha partecipato alla trattativa sulle deroghe stesse. Secondo il segretario Fiom Maurizio Landini, si tratta di uno "strappo democratico gravissimo". Per il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, "è una scelta sbagliata perché porterà inevitabilmente a non avere un contratto nazionale degno di questo nome". Di tutt'altro avviso il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, secondo il quale l'accordo sulle deroghe "appare funzionale ad attrarre e sostenere investimenti e occupazione come nel caso di pomigliano e nei molti altri che potrebbero esserne incoraggiati". (29 settembre 2010)
2010-09-28 STATISTICHE La crisi più dura a Nord-ovest paga la flessione dell'industria I dati Istat sul prodotto interno lordo nel 2009 nel nostro paese vedono quest'area con una diminuzione del 6% a fronte del -5,6% nel Nord-Est, del -3,9% nel Centro e del -4,3% del Sud. Il valore nazionale è di -5% La crisi più dura a Nord-ovest paga la flessione dell'industria ROMA - La crisi ha colpito più al Nord, e nel Nord-Ovest in particolare. Il dato emerge dai numeri forniti dall'Istat (l'Istituto nazionale di statistica) e relativi alle variazioni del Pil, il prodotto interno lordo, nel nostro paese. Ebbene questo indice si è ridotto del 6% nel Nord-Ovest, del 5,6% nel Nord-Est, del 3,9% nel Centro e del 4,3% nel Mezzogiorno, a fronte di un valore nazionale pari a -5%. La flessione del Pil è spiegata principalmente dall'andamento del settore industriale, nel quale il valore aggiunto in termini reali diminuisce del 14,9% contro il -2,8% dei servizi e il -0,6% del settore agricolo. Il Pil per abitante ai prezzi di mercato, misurato dal rapporto tra Pil nominale e numero medio di residenti nell'anno, segna una flessione del 3,7% a livello nazionale. Il calo è più contenuto nel Mezzogiorno (-2,7%) e nel Centro (-2,9%), mentre è più marcato nel Nord-Ovest (-4,6%) e nel Nord-Est (-4,5%). In valori assoluti il Pil ai prezzi di mercato per abitante del Centro-Nord continua ad essere sensibilmente più elevato di quello del Mezzogiorno: 30.036 euro nel Nord-Ovest, 29.746 euro nel Nord-Est e 28.204 euro nel Centro, contro i 17.324 euro del Mezzogiorno. Il calo del Pil è più marcato in Lombardia e Piemonte (rispettivamente -6,3% e -6,2%). Il Pil per abitante ai prezzi di mercato si riduce del 5% in Lombardia e del 4,6% in Piemonte, contro il -4% della Valle d'Aosta/Vallèe d'Aoste e il -1,8% della Liguria. Il calo del Pil, pari al 5,6%, è la sintesi di una caduta marcata del valore aggiunto del settore industriale (-13,5%), di una flessione decisamente più contenuta di quello dei servizi (-2,6%) e dell'apporto positivo del comparto agricolo (+0,5%). La performance dell'industria risulta particolarmente negativa in Veneto (-14,1%), Emilia Romagna (-13,7%) e Friuli Venezia Giulia (-13,4%). Il Centro è la ripartizione geografica meno colpita dalla recessione. Il Pil diminuisce del 3,9% a sintesi del -7,3% del valore aggiunto del settore agricolo (la media nazionale è pari a -3,1%), del -10,5% di quello industriale (-13,2% il dato nazionale) e del -2,4%del valore aggiunto dei servizi (-2,6% a livello Italia). Il Lazio presenta i risultati relativamente migliori fra le regioni della ripartizione: il Pil diminuisce del 3,3% in conseguenza di un calo del 4,4% del valore aggiunto del settore agricolo, del 7,2% di quello industriale e del 2,9% del valore aggiunto dei servizi. In questa ripartizione la flessione del Pil è pari al 4,3%. A tale risultato hanno contribuito le performance negative dell'agricoltura (-4,7%), dell'industria (-11,9%) e dei servizi (-2,6%). Abruzzo e Campania sono le regioni più colpite dalla recessione: il Pil si contrae rispettivamente del 6,9% e del 5,2%, soprattutto in conseguenza della forte caduta del valore aggiunto industriale, che segna una flessione pari al 14% e 13,8%. (28 settembre 2010)
2010-09-27 FIAT Marchionne: "Apertura positiva con Cgil Dialogo costruttivo può dare soluzione" L'amministratore delegato giudica posivitamente il 'riavvicinamento' del sindacato a Confindustria nella trattativa sul modello contrattuale: "Ripartire dal confronto è sempre buon segnale. I lavoratori meritano soluzioni e prospettive certe" Marchionne: "Apertura positiva con Cgil Dialogo costruttivo può dare soluzione" ROMA - "Al convegno di Confindustria a Genova c'è stata un'apertura molto positiva. Sono convinto che sulla strada del dialogo costrittuvo si possono trovare soluzioni". L'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, intervenendo all'assemblea dell'Anfia, torna a parlare del confronto tra l'azienda automobilistica e i sindacati e giudica posivitamente il "riavvicinamento" tra la Cgil e Confindustria 1 nella trattativa sul modello contrattuale e per il settore metalmeccanico in particolare. "Ripartire dal confronto è sempre un segnale positivo", ha detto. Ma l'ad del Lingotto ha anche parlato del futuro della Fiat, dell'integrazione con Chrysler, della Ferrari e delle opportunità a cui va incontro l'Italia. Dialogo costruttivo. "Sono sempre stato convinto che è sulla strada del dialogo costruttivo che si devono affrontare i problemi e trovare le soluzioni. Ripartire dal confronto, da un impegno che veda coinvolte tutte le parti sociali è un segnale di grande speranza per il nostro Paese", ha detto Marchionne. L'ad di Fiat ha aggiunto di non sapere se questa apertura possa essere collegata a ciò che Fiat sta cercando di fare con Fabbrica Italia ma, ha aggiunto, "questo progetto è la risposta di chi non si rassegna a restare ai margini o, peggio ancora, fuori dal gioco". Secondo Marchionne, infatti, "il resto del mondo non sta ad aspettare i nostri tempi, timori e rinvii", mentre "i lavoratori meritano soluzioni e prospettive certe" e "governo e la maggior parte dei sindacati si sono resi conto di avere di fronte un'azienda pienamente consapevole delle proprie responsabilità sociali". Fiat, una svolta per l'Italia. "Fiat può rappresentare una svolta storica per l'industria italiana, usiamo Fiat per questo, ma non abusiamo di lei per fini politici" ha detto Marchionne, che ha aggiunto: "Per l'automobile, a livello mondiale, è arrivata la resa dei conti. Anche in Italia siamo arrivati a uno snodo cruciale". A giudizio dell'ad, allora, la "Fiat ha la possibilità di accompagnare l'Italia verso un cambiamento profondo e di qualità". Integrazione con Chrysler. L'amministratore delegato Fiat ha poi parlato dell'integrazione tra la casa automobilistica italiana e Chrysler. Il lavoro "sta procedendo in modo spedito", ha detto ricordando che l'alleanza tra i due gruppi "è uno dei principali pilastri su cui si basa il nostro piano di sviluppo". Marchionne ha definito "passo storico" quello che si sta realizzando con Chrysler. Il lavoro di integrazione "ci permetterà - ha aggiunto - di dare vita a un produttore leader a livello mondiale, che raggiungerà nel 2014 la soglia di sei milioni di vetture prodotte l'anno. Unire la presenza e l'esperienza di Fiat nei segmenti bassi e quelle di Chrysler nei segmenti medi e alti ci darà la possibilità di diventare un costruttore completo e competitivo in tutte le fasce di mercato".
Daimler e Ferrari. "Non c'è nessuna offerta dalla Daimler" per Fiat Industrial, ha aggiunto Marchionne, aggiungendo: "Noi parliamo con tutti i costruttori". Poi, l'amministratore delegato ha parlato anche di Ferrari: la Fiat, ha detto, non prevede a breve una quotazione della casa di Maranello, ma analizza tutte le eventualità. "Gli altri ne parlano - ha detto rispondendo ai cronisti sull'eventuale collocamento del Cavallino - non c'è niente sul radar, ma analizziamo tutto". Al posto di Profumo? Non scherziamo. "Sono amico di Alessandro, non voglio entrare nel merito del caso che non conosco nemmeno. Ma mi dispiace averlo perso come banchiere, rimane come amico", ha risposto Marchionne ai cronisti che gli chiedevano un commento sulle vicende di Unicredit. E a chi gli chiedeva se fosse disponibile a prendere il suo posto nell'istituto di piazza Cordusio, ha replicato: "Ma che scherziamo?". (27 settembre 2010)
Salari: Cgil, potere d'acquisto sceso di quasi 5.500 in 10 anni Il dato emerge dal V rapporto Ires-Cgil 2000-2010. Il segretario generale Epifani: "Serve un intervento immediato per diminuire la pressione fiscale sul reddito da lavoro dipendente" Salari: Cgil, potere d'acquisto sceso di quasi 5.500 in 10 anni ROMA - I lavoratori dipendenti italiani hanno perso in dieci anni oltre 5 mila euro di potere d'acquisto. Lo sostiene la Cgil nel suo rapporto sulla crisi dei salari presentato oggi: nel decennio 2000-2010 le retribuzioni hanno avuto, a causa dell'inflazione effettiva più alta di quella prevista, una perdita cumulata del potere di acquisto di 3.384 euro ai quali si aggiungono oltre 2 mila euro di mancata restituzione del fiscal drag che porta la perdita nel complesso a 5.453 euro. "C'è un grande problema di abbassamento dei salari soprattutto legato al prelievo fiscale", ha detto il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, che ha riaffermato la necessità di ridurre subito la pressione fiscale sul reddito da lavoro dipendente. E' una questione "che va affrontata in tempi rapidi e che non può essere rimandata alle calende greche", ha detto. Il peso fiscale va riequilibrato in favore dei salari, ha concluso.
Secondo l'Ires-Cgil, l'incremento medio reale del biennio 2009-2010 risulta di appena 16,4 euro mensili. Calcolando la crescita delle retribuzioni includendo anche l'abbattimento del reddito dovuto al massiccio ricorso alla cassa integrazione, invece, si legge nel rapporto, l'aumento netto reale in busta paga, per tutti i lavoratori dipendenti, risulta solamente di 5,9 euro al mese. Inoltre, la perdita cumulata calcolata sulle retribuzioni equivale a circa 44 miliardi di maggiori entrate complessivamente sottratte al potere di acquisto dei salari. E questo - prosegue il rapporto - spiega perché nel decennio 2000-2010, le entrate del lavoro dipendente abbiano registrato una crescita reale del 13,1% a fronte di una flessione reale di tutte le altre entrate del -7,1%. (27 settembre 2010)
2010-09-26 LA POLEMICA ItaliaFutura contro la Lega "E' capace solo di proclami" La fondazione vicina a Luca Cordero di Montezemolo attacca il Carroccio: "Dubitiamo che i suoi elettori l'abbiano mandato in Parlamento per difendere Cosentino o Brancher". "E' corresponsabile di 16 anni di promesse non mantenute". "I fatti li fanno gli industriali". La Russa: "Si candidi e vedremo il suo consenso" ItaliaFutura contro la Lega "E' capace solo di proclami" ROMA - Dopo l'affondo contro il governo sul caso Cosentino, tocca alla Lega. Giorni di affondi per la Fondazione ItaliaFutura 1, vicino a Luca Cordero di Montezemolo, ex presidente di Confindustria. Ieri il leader del Carroccio Umberto Bossi aveva replicato alle critiche di Confindustria al governo con un liquidatorio "è facile parlare" 2. Oggi ItaliaFutura contrattacca: "E' facile parlare e più difficile agire. Bisogna ascoltare quando discetta sul valore dei proclami perchè si tratta di un vero esperto in materia. Negli ultimi sedici anni ha costruito il successo della Lega sul lavoro di organizzazione del partito ma anche sulle provocazioni (e ultimamente su qualche gesto)". Tocca a Carlo Calenda e Andrea Romano pungere nel vivo il Carroccio. Accusandolo di parlare molto e fare poco. L'unico dato concreto, proseguono i due, è "la corresponsabilità della Lega in questi sedici anni di non scelte che hanno portato il paese ad impoverirsi materialmente e civilmente. Anche sul fronte delle rivendicazioni specifiche del suo elettorato Bossi ha combinato ben poco (guardare alle promesse sul federalismo per credere)". "Dubitiamo infatti -scrivono gli autori- che i suoi elettori l'abbiano mandato in Parlamento per difendere Cosentino o Brancher. Ha ragione Bossi: in Italia (e in particolare nella sua Padania immaginaria) la chiacchiera va per la maggiore e delle parole a vanvera di una classe politica screditata gli italiani ne hanno piene le tasche. In particolare quelli che lavorano e producono (e al convegno di Genova della Confindustria ce n'erano tanti). Quegli italiani che, a differenza di Bossi, tengono in piedi il paese con i fatti e non con le parole". Secca la reazione della maggioranza. "Montezemolo si candidi e così potremo vedere qual è il suo consenso" dice il ministro della Difesa Ignazio La Russa. (26 settembre 2010)
LA POLEMICA ItaliaFutura contro la Lega "E' capace solo di proclami" La fondazione vicina a Luca Cordero di Montezemolo attacca il Carroccio: "Dubitiamo che i suoi elettori l'abbiano mandato in Parlamento per difendere Cosentino o Brancher". "E' corresponsabile di 16 anni di promesse non mantenute". "I fatti li fanno gli industriali". La Russa: "Si candidi e vedremo il suo consenso" ItaliaFutura contro la Lega "E' capace solo di proclami" ROMA - Dopo l'affondo contro il governo sul caso Cosentino, tocca alla Lega. Giorni di affondi per la Fondazione ItaliaFutura 1, vicino a Luca Cordero di Montezemolo, ex presidente di Confindustria. Ieri il leader del Carroccio Umberto Bossi aveva replicato alle critiche di Confindustria al governo con un liquidatorio "è facile parlare" 2. Oggi ItaliaFutura contrattacca: "E' facile parlare e più difficile agire. Bisogna ascoltare quando discetta sul valore dei proclami perchè si tratta di un vero esperto in materia. Negli ultimi sedici anni ha costruito il successo della Lega sul lavoro di organizzazione del partito ma anche sulle provocazioni (e ultimamente su qualche gesto)". Tocca a Carlo Calenda e Andrea Romano pungere nel vivo il Carroccio. Accusandolo di parlare molto e fare poco. L'unico dato concreto, proseguono i due, è "la corresponsabilità della Lega in questi sedici anni di non scelte che hanno portato il paese ad impoverirsi materialmente e civilmente. Anche sul fronte delle rivendicazioni specifiche del suo elettorato Bossi ha combinato ben poco (guardare alle promesse sul federalismo per credere)". "Dubitiamo infatti -scrivono gli autori- che i suoi elettori l'abbiano mandato in Parlamento per difendere Cosentino o Brancher. Ha ragione Bossi: in Italia (e in particolare nella sua Padania immaginaria) la chiacchiera va per la maggiore e delle parole a vanvera di una classe politica screditata gli italiani ne hanno piene le tasche. In particolare quelli che lavorano e producono (e al convegno di Genova della Confindustria ce n'erano tanti). Quegli italiani che, a differenza di Bossi, tengono in piedi il paese con i fatti e non con le parole". Secca la reazione della maggioranza. "Montezemolo si candidi e così potremo vedere qual è il suo consenso" dice il ministro della Difesa Ignazio La Russa. (26 settembre 2010)
2010-09-25 CRISI Marcegaglia incassa l'apertura della Cgil "Governo agisca, pazienza sta finendo" Il leader di Confindustria chiede interventi immediati e auspica "un patto sociale per spronare la politica". Cisl e Uil approvano contatti con Epifani: "Sindacati devono fare accordi e serve il concorso di tutti" Marcegaglia incassa l'apertura della Cgil "Governo agisca, pazienza sta finendo" Guglielmo Epifani con Emma Marcegaglia GENOVA - "Il governo deve andare avanti, deve governare, ma sappia che tutto il mondo delle imprese e i cittadini stanno esaurendo la pazienza". Emma Marcegaglia attacca nuovamente il governo cui chiede interventi immediati per affrontare la crisi economica. "Bisogna fare subito - ha detto chiudendo il convegno della Confindustria su occupazione e competitività a Genova - senza tentennamenti. Il governo ascolti l'Italia che c'è qui, ma anche fuori, fatta di tanta gente che con grande senso responsabilità fra mille problemi continua a fare il proprio mestiere con determinazione". Il presidente degli industriali, che ieri aveva già lanciato l'allarme 1 sostenendo che l'Italia sta andando più a rilento rispetto agli altri Paesi europei, oggi ha ribadito la sua posizione, incassando l'apertura della Cgil a riaprire il confronto. Marcegaglia: "Patto sociale per spronare la politica". "Il Paese ha problemi di crescita, di occupazione - ha detto Emma Marcegaglia - bisogna tornare a crescere. E' molto chiaro quello che bisogna fare, ma è venuto il momento di farlo. Anche l'Europa ci costringe a fare delle scelte. Il teatrino della politica di cui parla lo stesso Berlusconi è necessario che finisca". La presidente di Confindustria ha ribadito che la priorità deve essere l'impegno sul fronte della crisi, accantonando gli scontri politici basati sui "personalismi". La leader degli industriali ha sottolineato l'esigenza "di fare scelte a favore delle infrastrutture, della ricerca, della formazione, pur mantenendo il rigore dei conti pubblici". Quindi ha invitato "imprese e lavoratori" a collaborare per un "patto per le riforme", "un patto sociale - ha aggiunto - che possa spronare la politica", auspicando un'intesa con "tutti", imprese e sindacati. Un auspicio in vista del tavolo proposto da Confindustria che si aprirà a inizio ottobre. Epifani: "Sì a dialogo se si fa seriamente". Guglielmo Epifani condivide l'allarme lanciato ieri dalla presidente di Confindustria sulle condizioni dell'industria. Ma, aggiunge, anche sul fronte dell'occupazione la situazione non è affatto rosea. "Siamo in un Paese con una ripresa troppo bassa, non si riescono a risolvere i problemi della disoccupazione. Anzi, come si è visto con la crisi di Fincantieri, si tende ad aggravarli" ha detto il segretario generale della Cgil. "Bisogna chiedere al governo una politica industriale e di investimenti e non il galleggiamento che c'è stato fino a oggi", ha aggiunto. Epifani ha poi risposto all'invito di Confindustria di riaprire il confronto. "Capisco la volontà di riaprire il dialogo, ma chiedo di fare le cose seriamente, a partire dai nodi che finora non ci hanno permesso di fare passi avanti" ha detto il leader della Cgil. "La riforma contrattuale è il nodo che ci divide da tempo, aggravato dalla disdetta del contratto dei metalmeccanici". Cisl e Uil: "Più siamo meglio è". Cisl e Uil accolgono favorevolmente i contatti tra Confindustria e Cgil per un eventuale rientro del sindacato nella trattativa per il cosiddetto "tagliando" all'accordo sul modello contrattuale siglato nel 2009. "Meno male hanno cominciato a capire che i sindacati devono fare accordi. Il nostro compito è fare le cose. E per fare le cose più siamo e meglio è" ha detto il leader della Uil, Luigi Angeletti, auspicando di coinvolgere la Cgil. Ma, aggiunge, "prima di dire che è una cosa importante aspettiamo che ci sia una firma, dopo un accordo potremo dire che è un passaggio importante". Perché una trattativa senza accordo "serve solo a far parlare i sindacalisti e far perdere tempo ai giornalisti". "Se c'è qualcosa di nuovo è importante e speriamo che si manifesti subito", dice il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. Quanto al ruolo della Cgil, continua, "fino ad ora gli appelli sono stati numerosi e nessuno si è presentato. Speriamo che questa volta si presenti. Noi siamo preoccupati per la deriva presa dalla Cgil e non certo dal fattoche possa tornare indietro". Ma, comunque, "in ogni caso il convoglio va avanti". (25 settembre 2010)
2010-09-24 Marcegaglia smentisce Berlusconi "Noi non stiamo meglio degli altri" La presidente degli industriali ricorda che anche adesso "abbiamo una capacità di crescita inferiore alla media europea". "La politica si concentri sull'occupazione, non sul numero dei deputati". Il monito di Napolitano: "Per superare la crisi investire in istruzione, ricerca e innovazione" Marcegaglia smentisce Berlusconi "Noi non stiamo meglio degli altri" La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia VIAREGGIO (LUCCA) - "Quando si dice che siamo andati meglio di altri Paesi non è vero, siamo stati fortemente colpiti dalla crisi". La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, lo ha detto all'assise degli industriali toscani. Ed oggi, ha aggiunto, "c'è la sensazione che stiamo uscendo dalla crisi con una capacità di crescita inferiore alla media europea". E la colpa è anche di chi amministra il Paese, non esita a sottolineare la presidente degli industriali: "Vogliamo che la politica si concentri su crescita e occupazione. I problemi dell'occupazione non attendono i passaggi di parlamentari da una parte all'altra, pretendono risposte serie e immediate". Una posizione condivisa dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha inviato un messaggio alla presidente di Confindustria in occasione del convegno organizzato per il centenario dell'associazione degli industriali sul tema "Occupazione e Competitività. Le proposte di Confindustria per la crescita, adesso". "Le imprese italiane - scrive il capo dello Stato - sono ancora oggi impegnate a fronteggiare le gravi, persistenti ricadute della crisi finanziaria ed economica internazionale sul sistema produttivo, che stanno mettendo a dura prova la coesione sociale del paese". Per superare questo difficile periodo, prosegue Napolitano, "è necessaria la mobilitazione di tutte le risorse umane e materiali di cui dispone l'Italia in particolare nel Sud del Paese, valorizzando il capitale umano e investendo - nel rispetto dei necessari equilibri di bilancio - sull'istruzione, sulla ricerca e sull'innovazione". Per la leader degli industriali "l'Italia ha un problema serio di crescita". In questa fase "il peggio è alle spalle, penso che possiamo dirlo. Credo che in vari settori si intravedono finalmente dei più in termini di produzione industriale, fatturato, ordinativi, esportazione. Probabilmente non entreremo a livello nazionale ma anche internazionale in una seconda recessione. Ma questa rimarrà una cifra chiara e lo sarà, dal nostro punto di vista, anche per i prossimi anni; siamo comunque in un quadro di incertezza. La visibilità che abbiamo davanti è limitata, e siamo in una fase in cui ci sono molte differenziazioni sulle diverse capacità di crescita nelle diverse aree, e appunto dati contrastanti. Il tema dell'incertezza rimarrà una costante con la quale avremo a che fare". A sostegno di questa tesi Emma Marcegaglia ha anche parlato dei dati sul Pil presentati la scorsa settimana: "Le nostre previsioni parlano di una crescita per l'Italia dell'1,2% nel 2010, e dell'1,3 nel 2011 dopo aver perso tra il 2008 e il 2009 il 6%. La situazione - ha ricordato - è che noi siamo stati fortemente colpiti dalla crisi, ma soprattutto il dato che ci preoccupa è che siamo entrati nella crisi quando eravamo già in crisi. La percezione che oggi abbiamo è inferiore alla media di crescita europea. La Germania crescerà del 3,4 %. Il mondo sta ricominciando a correre. L'Italia, e l'Europa meridionale, crescono troppo poco". In questa situazione, cosa fa la politica?, rimprovera la presidente degli industriali al governo. "La conta dei parlamentari" necessari alla maggioranza per tirare avanti. Quando invece bisognerebbe concentrarsi su una strategia di sviluppo che permetta all'Italia di crescere di almeno il 2%. (24 settembre 2010)
2010-09-20 LAVORO Fincantieri, proteste da Genova a Palermo Sacconi: "Convoco parti, basta agitatori" Scioperi e mobilitazioni in tutta Italia, i sindacati chiedono l'intervento del governo. A Castellammare gli operai sono saliti su una gru. A Riva Trigoso occupata per alcune ore la direzione aziendale. Domani assemblea a Roma con sindacati e rappresentanti degli enti locali Fincantieri, proteste da Genova a Palermo Sacconi: "Convoco parti, basta agitatori" ROMA - Scioperi, manifestazioni e occupazioni oggi in diverse sedi della Fincantieri: i dipendenti protestano in seguito alle anticipazioni sul piano industriale 1 2010-2014 dell'azienda, diffuse sabato 18 da Repubblica, secondo cui il gruppo industriale sta ipotizzando la chiusura dei cantieri di Riva Trigoso e Castellammare di Stabia, il dimezzamento di quello di Sestri Ponente e l'uscita dalla produzione di 2.450 dipendenti in Italia. La smentita dell'azienda non ha tranquillizzato i dipendenti: stamattina hanno scioperato i lavoratori dei cantieri di Riva Trigoso e Genova-Sestri Ponente, con presidio davanti agli stabilimenti. Sciopero anche a Palermo, dove alla protesta si sono uniti 300 dipendenti dell'indotto. Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che aveva già assicurato di non aver ricevuto "nessuna comunicazione né da Fincantieri né da Alitalia" (l'altra azienda per la quale si ipotizza siano allo studio un numero elevato di esuberi), in serata ha annunciato che il governo convocherà le parti di Fincantieri, ma chiede di "isolare gli agitatori". Sacconi: "Il governo convocherà le parti". Il governo convocherà le parti di Fincantieri "per rimettere nei corretti binari il confronto sul futuro della società che allo stato dichiara di non avere definito alcuna ipotesi", ha annunciato il ministro, che tuttavia fa "appello a tutte le istituzioni e le organizzazioni sindacali perché siano isolati gli agitatori professionali nel nome del primario interesse dei lavoratori". "Come tutti i paesi di tradizionale industrializzazione - ha affermato Sacconi - l'Italia affronta processi di aggiustamento competitivo che devono essere sempre negoziati tra le parti sociali e, ove condivisi, accompagnati da robuste protezioni dei lavoratori. Seguendo questa regola è stata sin qui garantita la coesione sociale con dispiacere per alcuni settori dell'opposizione politica e sociale che appaiono alla costante ricerca di occasioni per accendere il conflitto. Non aiuta il gioco spregiudicato delle indiscrezioni come nel caso di Fincantieri e di Alitalia". Palermo. I dirigenti del gruppo di Trieste hanno assicurato ai sindacati di settore, Fim, Fiom e Uilm che il piano industriale, del quale sono stati anticipati i contenuti, "non è in una fase operativa e si tratta soltanto di una riflessione dell'azienda rispetto all'attuale situazione di mercato". Tuttavia, Fincantieri ha confermato l'intenzione di ricorrere a Palermo alla cassa integrazione per 470 operai su un organico di circa 500 persone, in modo graduale, e ha ufficializzato nella riunione all'ufficio provinciale del lavoro la decisione della Saipem di trasferire all'estero, il prossimo 10 ottobre, la piattaforma Scarabeo 8, in lavorazione nella fabbrica palermitana. Campania. Gli operai sono saliti questa mattina sulla torre di una gru all'interno dell'area Fincantieri a Castellammare. A darne notizia è la Fiom Cgil che, assieme a Fim, Uilm, Ugl e Failms Cisal, sta promuovendo le azioni di lotta per scongiurare la chiusura dello stabilimento. Gli operai sulla gru - un gruppo di 5-6 persone - espongono uno striscione con la scritta "Il cantiere non si tocca, lo difenderemo con la lotta". Intanto le Rappresentanze Sindacali unitarie hanno inviato una lettera ai sindaci dell'area torrese stabiese per sollecitarli a richiedere un nuovo incontro al governatore Caldoro sulla vicenda Fincantieri. Nel documento non mancano riferimenti agli scontri di venerdì scorso tra polizia e operai. "Non è possibile - scrivono i rappresentanti sindacali - pensare che la lotta per il lavoro sia un problema di ordine pubblico". Liguria. Molta preoccupazione anche in Liguria, dove stamane i dipendenti della Fincantieri hanno scioperato e occupato la sede della direzione aziendale di Riva Trigoso. I lavoratori, ai quali è stato assicurato entro i prossimi giorni un incontro con i vertici di Fincantieri, sono usciti dalla palazzina. Stamani era stata occupata anche la direzione dello stabilimento di Sestri Ponente, durante lo sciopero durato dalle 8 alle 10. Assemblea e nuove proteste. Domani a Roma anche i sindacati parteciperanno all'assemblea dei delegati Fincantieri alla presenza dei sindaci e dei rappresentanti di Province e Regioni interessate dai cantieri navali. Il primo ottobre invece è previsto uno sciopero di otto ore con manifestazione sotto Palazzo Chigi e la parola d'ordine sarà: "Ritirate e cancellate quel piano di ristrutturazione". (20 settembre 2010)
2010-09-19 Fincantieri, l'appello di Bagnasco "Non chiudete i cantieri" "Genova non deve perdere nessuno dei suoi luoghi di lavoro e di impresa". L'arcivescovo di Genova e presidente Cei ha però "fiducia che il peggio presto sarà scongiurato". La riorganizzazione ipotizza 2.450 esuberi. "La Chiesa genovese è sempre vicina alle vicende del mondo del lavoro". Sindacati e istituzioni sul piede di guerra di NADIA CAMPINI Fincantieri, l'appello di Bagnasco "Non chiudete i cantieri" Il cardinale Angelo Bagnasco Anche il cardinale Bagnasco si muove per salvare Fincantieri. "Genova non deve assolutamente perdere nessuno dei suoi luoghi di lavoro e di impresa", ha detto l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei. "Fincantieri è uno dei punti di eccellenza. Ho fiducia che il peggio presto sarà scongiurato". Un messaggio di fiducia dopo l'allarmante piano che ipotizza la chiusura di due stabilimenti (Riva Trigoso e Castellammare), il dimezzamento di quello di Sestri Ponente e 2.450 esuberi nei cantieri italiani. Il cardinale ricorda che "la Chiesa genovese è sempre stata molto vicina alle vicende del mondo del lavoro. Questo stato di fatto - prosegue Bagnasco - è continuato anche dopo il cardinale Siri con gli arcivescovi che si sono succeduti e continuerà in futuro". Al Santuario della Guardia per la tradizionale giornalta dedicata ai malati e ai disabili, ("Sono una parte molto preziosa della nostra società, e meritano provvedimenti più efficaci e tempestivi perchè siano aiutati nella cura"), il cardinale Angelo Bagnasco è stato raggiunto dal presidente della Regione Claudio Burlando con il quale si è appartato per un breve colloquio riservato. Nessun commento al termine dell'incontro, ma è evidente che Fincantieri è stato uno dei temi affrontati. La città protesta contro il piano di ridimensionamento della cantieristica italiana. Istituzione e sindacati sono sul piede di guerra. Il sindaco Marta Vincenzi dichiara che il piano è "un'offesa". Il segretario della Camera del Lavoro Walter Fabiocchi lo definisce "un'ipotesi inaccettabile". L'assessore all'Industria del comune Mario Margini lamenta che "la politica industriale è allo sbando", e Bruno Manganaro, segretario Fiom, punta l'indice contro il governo: "Roma sbaglia: vogliono cancellare un terzo dell'industria genovese". (19 settembre 2010)
2010-09-17 CORPORATION Fiat vara la scissione in due società Elkann: "Un'assemblea storica" A Torino è stato delibera il nuovo assetto con la divisione fra l'auto e le attività industriali. La prima volta del nuovo presidente. L'ad: "Inizia un nuovo capitolo, per i lavoratori un porto più sicuro" Fiat vara la scissione in due società Elkann: "Un'assemblea storica" Il presidente della Fiat John Elkann (a destra) insieme al suo predecessore Luca Montezemolo TORINO - L'assemblea degli azionisti di Fiat ha approvato a larga maggioranza la scissione tra Fiat Auto e Fiat Industrial. "L'Auto da oggi avrà finalmente la possibilità di scegliere il suo destino, senza preoccuparsi dell'impatto sull'Iveco e su CNH". - ha sottolineato l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne. "I tempi sono cambiati - ha aggiunto - e l'Auto deve avere totale libertà di scegliere. E' un grandissimo giorno per l'Auto libera di scegliere". ''E' un'assemblea storica per Fiat. Siamo chiamati a dar vita a due Fiat, una legata all'auto, che con Chrysler si è molto rafforzata, e l'altra Fiat Industrial, meno conosciuta, ma una delle società più grandi al mondo con 60mila dipendenti e 30 miliardi di euro di fatturato'', ha detto all'inizio dell'assemblea straordinaria di Fiat al Lingotto il presidente John Elkann ricordando che ''negli ultimi 10 anni'' del suo lavoro nel gruppo, ''iniziati in modo estremamente difficile'' ci sono anche stati ''momenti bui''. ''Molte cose sono cambiate - ha aggiunto - non perché sono cambiati i problemi ma il modo di affrontarli. Non si può più vivere nel mondo delle favole, ma nella realta', bisogna risolvere i problemi. In Fiat non abbiamo paura del futuro, quello che ci interessa è costruirlo''.
La scissione ''permetterà all'azienda di iniziare un nuovo capitolo della sua storia'', ha detto Marchionne, intervenuto subito dopo. ''La scissione - ha detto tra l'altro - permetterà di risolvere una questione strategica, in questi anni spina nel fianco per la Fiat''. Questo è ''il momento giusto" per questa operazione, ha affermato l'ad. ''Finora non lo avevamo fatto per il semplice motivo che dal 2004 abbiamo voluto mantenere inalterato l'assetto del gruppo perché era in corso un processo di ricostruzione della sua capacità di generare profitti. Ora il processo è completato, e il business dell'auto, grazie alla partnership con Chrysler, ha raggiunto una massa critica per muoversi in modo autonomo''. All'assemblea non ha partecipato l'ex presidente del gruppo, Luca Cordero di Montezemolo, tuttora membro del consiglio di amministrazione. La situazione nell'azionariato vede Exor con una quota del 30,42%, Capital Research al 4,77%, Blackrock al 2,83%, Norges Bank al 2,02%. Le azioni proprie detenute dal gruppo sono pari al 3,23%. L'annuncio della scissione, pur se ampiamente prevista, ha prodotto un peggioramento delle azioni Fiat a Piazza Affari: dopo le 14 perdevano oltre il 2 per cento. ''Grazie a quello che è stato fatto in questi anni, grazie agli sviluppi tecnologici che ha raggiunto e grazie all'accordo con Chrysler, Fiat non ha più bisogno di stampelle e può essere lei stessa artefice del proprio destino. Oggi portiamo le lancette avanti nel tempo. La nostra azienda, o meglio le nostre aziende, potranno muoversi ad una velocità notevolmente più rapida di quanto non abbiano mai fatto'', ha detto ancora l'Ad. ''Nella vita ci sono momenti in cui tutti compiamo salti evolutivi, sono i momenti più importanti perché costringono a crescere, danno forza per cambiare e migliorare. La giornata di oggi é per Fiat uno di quei salti evolutivi, qiesta è un'operazione che parla di impegno e di ambizione. Vi abbiamo presentato la formazione di due aziende che avranno finalmente la piena libertà di muoversi per conto proprio, due aziende che hanno la capacità e la determinazione per competere a livello internazionale''. ''Mi rendo conto che scelte del genere, che presentano implicazioni di così ampia portata, non sono facili da compiere -ha detto ancora l'Ad del Lingotto- penso soprattutto alla reazione emotiva che ci può essere all'idea di perdere l'identità di un gruppo che ha operato come un tutt'uno per più di un secolo. Ma come i leader della Fiat che ci hanno preceduti hanno avuto la lungimiranza e la tenacia di sviluppare questi business, anticipando i cambiamenti del mercato, anche noi abbiamo l'obbligo di fare lo stesso. Di fronte alle trasformazioni nel mercato non possiamo più permetterci il lusso di guardare alle nostre attività riducendo la prospettiva ai confini storici o ai domicili legali". Il gruppo Fiat dopo la scissione da Fiat Industrial avrà un indebitamento netto industriale di circa 2,5 miliardi di euro, mentre la liquidità sarà di circa 10 miliardi. L'indebitamento netto industriale - ha precisato Marchionne - sarà ripartito in misura uguale tra i due gruppi. Considerando il target di 5 miliardi per il 2010, entrambi i gruppi inizieranno a operare con un debito di 2,5 miliardi di euro. La liquidità sarà ''forte e commisurata alle rispettive necessità finanziarie'', pari a 10 miliardi per Fiat e 3 miliardi per Fiat Industrial. I bond rimarranno in capo alle società che li hanno emessi, che non rientrano nel perimetro oggetto dell'operazione; Fiat sarà così titolare di bond per 9 miliardi, Fiat Industrial per 2 miliardi. Sul fronte dei servizi finanziari Fiat avrà un indebitamento netto consolidato di 1,5 miliardi, Fiat Industrial di 10 miliardi. Le tre classi di azioni Fiat Industrial inizieranno ad essere negoziate alla Borsa di Milano dal 3 gennaio 2011. ''Entro la fine del mese di settembre verrà richiesta l'ammissione alla quotazione. L'attesa è che sia approvata prima della fine di novembre: questo permetterà di stipulare l'atto di scissione a metà dicembre e di rendere efficace l'operazione a partire dal primo gennaio 2011'', ha spiegato Marchionne. Il progetto ha concluso Marchionne, rappresenterà ''un porto molto più sicuro'' per quanti lavorano nel gruppo. "Alla fine di tutto, l'obbligo che hanno i leader di un'azienda non è solo verso il patrimonio che gestiscono, ma soprattutto verso le persone che vi lavorano. Questo progetto è un modo per assicurare loro, nel medio e nel lungo termine, un porto più sicuro''. (16 settembre 2010)
2010-09-13 Fusti tossici in porto Salgono a 30 gli intossicati Lavoravano alle operazioni di bonifica della portacontainer San Francisco Bridge dove sabato una nube tossica provocata dalla rottura di alcuni fusti chimici precipitati da un gru aveva causato una ventina di malori tra equipaggio e portuali. Il cloro benzaldeide, la sostanza corrosiva uscita dai fusti, a contatto con l'acqua provoca una reazione tossica. Gli operai hanno accusato irritazione agli occhi, rossore cutaneo e difficoltà respiratorie Fusti tossici in porto Salgono a 30 gli intossicati Altri quindici operai nella notte sono rimasti intossicati mentre stavano lavorando al Terminal Sech alle operazioni di bonifica della portacontainer San Francisco Bridge dove sabato pomeriggio una nube tossica provocata dalla rottura di alcuni fusti chimici precipitati da un gru aveva causato una ventina di malori tra equipaggio e portuali. FOTO A sentirsi nuovamente male per le esalazioni di cloro benzaldeide, sostanza corrosiva che a contatto con l'acqua provoca una reazione tossica, sono stati nella stiva della nave gli operai di una ditta privata addetta alle operazioni di bonifica. In quindici hanno accusato irritazione agli occhi, rossore cutaneo e difficoltà respiratorie. L'allarme è scattato intorno alle tre del mattino. Sul posto sono intervenuti i mezzi del 118, i vigili del fuoco del Nbcr e la capitaneria di Porto. I quindici operai sono stati trasportati nei pronto soccorso degli ospedali cittadini. Nessuno è in condizioni gravi. Anche su questo secondo incidente è stata aperta un'inchiesta della Capitaneria di Porto per verificare se durante le operazioni di bonifica siano stati utilizzati i protocolli di sicurezza previsti. (13 settembre 2010)
Dieci indagati per i morti di Capua I parenti: li trattavano come schiavi L'accusa del pm: bisognava vietare l'accesso alla cisterna.Nel mirino le quattro aziende coinvolte nelle operazioni di bonifica del silos dal nostro inviato PATRIZIA CAPUA Dieci indagati per i morti di Capua I parenti: li trattavano come schiavi CAPUA- Dieci indagati per la strage degli operai. A tempo di record la Procura muove le prime accuse per ciò che è accaduto a Capua. Dove non si placa la rabbia dei familiari delle vittime, che accusano i datori di lavoro: "Li trattavate come schiavi". Dieci indagati, dunque, per la morte per asfissia in un silos di fermentazione dei tre operai edili Antonio Di Matteo, 63 anni, Vincenzo Musso, 43 anni, e Giuseppe Cecere, 52 alla Dsm di Capua, multinazionale olandese che fornisce prodotti alle cause farmaceutiche. Il pm Donato Ceglie, a capo delle indagini, farà partire oggi gli avvisi di garanzia. Le accuse sono omicidio colposo plurimo, omissione di soccorso e numerose violazioni della normativa antifortunistica. E potrebbero anche aggravarsi. "Non dovevano entrare nella cisterna", sostiene la Procura. Nelle tasche delle tute degli operai rimasti uccisi, gli inquirenti hanno trovato regolari permessi di lavoro rilasciati sabato mattina, prima della tragedia, dalla Dsm. L'autopsia affidata a un collegio di esperti dirà l'ultima parola sulle cause della morte. Per gli addebiti, gli inquirenti fanno riferimento anche alla legge 231 sulla responsabilità delle persone giuridiche, come per la Thyssen. Gli indagati sono anzitutto le quattro aziende coinvolte nelle operazioni di bonifica del silos 14: la Dsm, committente della bonifica, la Rivoira di Anagni che venerdì sera ha immesso la miscela di 180 metri cubi di azoto ed elio nel silos, la Errichiello, impresa edile delle tre vittime, e una quarta ditta consulente della Rivoira. Ieri a Capua è stato il giorno della rabbia. E delle accuse. Una su tutte, quella della moglie di Giuseppe Cecere, Giuseppina Della Valle: "Assassini, lì dentro non c'era sicurezza. Dicono che queste morti sul lavoro non ci devono essere, e invece continuano". Lina, 27 anni, la figlia, si è messa in ginocchio davanti alla fabbrica ha urlato "li trattavate come schiavi" e a tutti ha chiesto "fate giustizia". Uno dei top manager della azienda farmaceutica, piombati ieri a Capua dall'Olanda, è andato a casa della famiglia Cecere e ha offerto un sostegno economico. Di Matteo, Musso e Cecere erano stati chiamati la mattina di sabato a svolgere un lavoro extra, (50 euro in più di straordinario, dicono le famiglie), più rischioso di quelli di routine. Ne erano consapevoli? La Rivoira, infatti, per verificare la tenuta delle apparecchiature del silos, aveva usato una procedura nuova. Venerdì sera la cisterna è stata imbottita di azoto ed elio e pressurizzata. Benché la bocca d'ingresso sia rimasta aperta tutta la notte, non è bastato a ripulire l'aria all'interno. Il giorno dopo i lavoratori che si sono calati nella cisterna hanno respirato anziché ossigeno, il gas mortale. "Le misure di sicurezza prima e dopo l'intervento di bonifica della cisterna, dovevano essere triplicate", afferma il pm Ceglie. (13 settembre 2010)
2010-09-12 MORTI BIANCHE Capua, la procura: "Lì non dovevano entrare" Verso l'iscrizione di una decina di indagati Lavoratori in assemblea, rabbia e dolore. I vertici dell'azienda: "Un tragico evento". Domani sopralluogo con le telecamere nel silos dove ieri sono morti i tre operai, che secondo i primi accertamenti non dovevano essere autorizzati all'ingresso nella cisterna non bonificata Capua, la procura: "Lì non dovevano entrare" Verso l'iscrizione di una decina di indagati Davanti all'azienda di Dsm la rabbia dei parenti dei tre operai morti ieri mattina si sente tutta. Urla la figlia di Giuseppe Cecere, uno dei tre operai morti ieri nello stabilimento Dsm di Capua, nel Casertano. Parole di disperazione sono voltate durante l'assemblea organizzata per protestare contro questi nuovi lutti, pianti di chi si sente abbandonato. "Li comandavate come schiavi", dice la figlia del 52enne. Il giorno dopo la morte di Giuseppe Cecere, Antonio Di Matteo e Vincenzo Musso alla Dsm di Capua, i dipendenti dell'azienda non hanno alcuna voglia di parlare. Le vittime lavoravano per una ditta esterna di Afragola e sono stati investiti dalle esalazioni. Per la loro morte la procura ipotizza l'iscrizione nel registro degli indagati di una decina di persone, mentre sulla dinamica dell'incidente c'è già quella che pare una certezza: gli operai lì non dovevano entrare. Operai in assemblea, arrivano i vertici dell'azienda - Stavano lavorando in ore di straordinario e sono stati investiti dai fumi tossici provenienti dal silos, probabilmente dovuti ad un processo di fermentazione che si è innescato quando l'hanno aperto. Oggi tutti i dipendenti sono stati convocati per prendere parte ad un'assemblea alla quale hanno partecipato anche di alcuni vertici dell'azienda arrivati direttamente dall'Olanda e il sindaco della cittadina. La Dsm di Capua ha tutte le intenzioni di fare piena luce sull'incidente. A ribadirlo, più volte, è Luca Rosetto, responsabile sicurezza dell'azienda. Rosetto ha parlato di un "tragico evento", ma ha detto anche "è un dato che tutti gli incidenti possono essere evitati. La nostra attenzione sarà concentrata proprio su questo ci chiederemo tutti insieme cosa avremmo potuto fare per evitare una simile tragedia". A tal fine è stato istituito un comitato interno per ricostruire quanto successo. Ha partecipato all'assemblea anche il sindaco di Capua Carmine Antropoli. "I dirigenti dell'azienda sono mortificati - ha detto - e ritengono che quanto successo possa essere ricollegabile a un errore umano". Restano i dubbi però sul rispetto delle norme relative alla sicurezza all'interno della Dsm. Provando a chiedere agli operai, in tanti sono rimasti in silenzio. "Non vogliamo parlare", "ci hanno detto di non parlare". Questa mattina davanti ai cancelli dell'azienda del Casertano si è presentato anche un ex dipendente che ha lavorato qui per 40 anni, Giuseppe D'Este: "I lavoratori delle ditte esterne qui sono considerati di serie B, un po' come una merce". Ma c'è stato anche chi, tra i dipendenti ha voluto precisare: "Qui la sicurezza è il fiore all'occhiello, quanto è successo è stato solo un brutto incidente". La procura verso l'iscrizione di una decina indagati - Sul frotne delle indagini, secondo quanto si apprende dalla Procura di Santa Maria Capua a Vetere, la morte dei tre operai farà scattare l'iscrizione nel registro degli indagati di almeno una decina di persone. Si tratta di responsabili e rappresentanti delle quattro ditte coinvolte nell'incidente: la Dsm, la ditta Errichiello di Afragola per la quale lavoravano gli operai, la ditta Rivoira che si occupa della gestione dei gas liberi e di una quarta ditta che avrebbe dovuto effettuare la bonifica della cisterna, quest'ultima indicata da alcuni testimoni ai carabinieri. L'inchiesta sulla tragedia di Capua è affidata al pm Donato Ceglie. Si sta cercando di ricostruire quanto avvenuto e, soprattutto, quanto forse poteva essere evitato. Secondo le risultanze della Procura al momento viene confermato che le vittime stavano effettuando un'operazione di smontaggio e che "improvvidamente all'interno della cisterna c'era un grosso quantitativo di azoto oltre che di elio". Questo significa, secondo il ragionamento della Procura, che l'ingresso doveva essere vietato ai tre operai. Ma non è andata così: attaccati agli indumenti delle vittime sono stati infatti ritrovati i permessi di autorizzazione ad entrare nella cisterna dove la bonifica non è stata, quindi, mai effettuata. Domani sarà effettuato un esperimento per cercare di ricostruire la dinamica dell'incidente. Nello specifico all'interno della cisterna dove sono morti soffocati gli operai si caleranno carabinieri e vigili del fuoco che con telecamere riprenderanno l'interno del silos. Sempre domani dovrebbe essere decisa la data, di pensa a mercoledì, in cui sarà effettuata l'autopsia delle tre vittime. Nel collegio peritale ci saranno anche tre docenti e ci si avvarrà anche di esperti nazionali del settore. Il responsabile della sicurezza in visita dai familiari - La famiglia di Giuseppe Cecere, uno dei tre operai morti, continua a chiedere giustizia. Oggi i parenti della vittima hanno ricevuto a casa loro, proprio di fronte allo stabilimento, la visita del sindaco e del responsabile sicurezza della Dsm, Luca Rosetto. "Sono molto addolorati e anche arrabbiati - ha riferito il sindaco al termine della visita - ciò che chiedono è soprattutto di fare giustizia e di capire cosa sia davvero avvenuto". Poi, il primo cittadino ricorda Giuseppe Cecere, di Capua. "Era un uomo casa e famiglia - dice il sindaco - aveva tre figli, guadagnava mille euro al mese ma nonostante questo non ha fatto mai mancare nulla alla sua famiglia". Il sindaco lo definisce un "eroe, perché è stato lui l'ultimo ad entrare nella cisterna nel tentativo di aiutare i suoi compagni". "Ieri era andato al lavoro per guadagnare 30 euro di straordinario - aggiunge - soldi che addirittura gli sarebbero stati dati a dicembre". Antropoli anticipa anche che si sta valutando l'eventualità di organizzare un funerale ufficiale per le tre vittime. (12 settembre 2010)
2010-09-11 Capua, tre morti sul lavoro soffocati in una cisterna L'incidente nello stabilimento Dsm, ex Pierrel. I tre, dipendenti di una ditta esterna di Afragola, sono stati investiti dalle esalazioni. L'indignazione del presidente Napolitano: gravi negligenze. Sul posto anche una squadra di specialisti Nbcr (Nucleo batteriologico chimico radioattivo) dal nostro inviato PATRIZIA CAPUA Capua, tre morti sul lavoro soffocati in una cisterna L'interno dello stabilimento CAPUA - Tre operai sono morti in un incidente sul lavoro avvenuto a Capua. Stavano smontando un ponteggio all'interno di un silos chiamato Fermentazione 2, una manovra di manutenzione straordinaria che rientra nelle operazioni di bonifica. E' avvenuto nella ex Pierrel, oggi Dsm, in provincia di Caserta. Un episodio gravissimo sul quale interviene il capo dello Stato Giorgio Napolitano. Con una nota ufficiale nella quale si legge: "Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in una giornata funestata da più infortuni sul lavoro, a Pistoia e a Capua, nell'esprimere la commossa partecipazione al dolore delle famiglie e delle comunità colpite, raccoglie la diffusa indignazione per il ripetersi di incidenti mortali causati da gravi negligenze nel garantire la sicurezza dei lavoratori in operazioni di manutenzione nei silos simili a quelle che già più volte in precedenza hanno cagionato vittime". "Il Capo dello Stato - conclude la nota - confida nella rapidità e nel rigore degli accertamenti da compiere e nella definizione delle normative di garanzia da adottare e far rispettare". La tragedia in mattinata. I corpi sono sono stati recuperati attorno alle 13. Una delle tre vittime è del posto: Giuseppe Cecere, 50 anni, sposato e padre di tre figli, residente a Capia. Gli altri operai deceduti sono: Antonio Di Matteo, 63 anni, di Macerata della Campania e Vincenzo Musso, 43 anni, di Casoria. Scene di disperazione davanti allo stabilimento dove sono affluite numerose persone e i parenti delle vittime. Non ancora chiara la dinamica della terribile vicenda. Al momento sono ancora in corso ulteriori accertamenti da parte dei carabinieri della locale compagnia, coordinati dal sostituto procuratore Donato Ceglie. Il magistrato procede per omicidio colposo plurimo. Immediato il sequestro del luogo dove è avvenuta la tragedia. Secondo le prime informazioni dei vigili del fuoco, dunque, i tre stavano smontando un ponteggio all'interno di un silos dell'azienda farmaceutica ex Pierrel, ora "Dsm", e sarebbero deceduti a causa delle esalazioni. Un'operazione di routine, secondo gli addetti ai lavori. La Dsm è una multinazionale olandese che ha più di 200 siti produttivi nel mondo in 49 paesi con quasi 30mila dipendenti. Nell'ex stabilimento Pierrel, attivo da trent'anni, lavorano circa ottanta dipendenti. Stando ai primi accertamenti i tre operai erano di una ditta edile di Afragola, Errichiello, stavano lavorando in ore di straordinario e sono stati investiti dai fumi tossici provenienti dal silos, probabilmente dovuti ad un processo di fermentazione che si è innescato quando l'hanno aperto. Al momento dell'incidente nessuno è stato in grado di accorgersi di quello che stava avvenendo. Gli inquirenti indagano su tutta la filiera di ditte adibite a questo lavoro per verificare che livello di formazione, protezione e sicurezza viene applicato. Severo il primo giudizio emesso dal magistrato: "Da quanto sta emergendo mi sembra che non ci fosse sufficiente sicurezza e protezione". Stando a una ricostruzione dei fatti sembra che uno dei tre abbia tentato di soccorrere i suoi compagni. Una prima ricostruzione ipotizza che i tre operai avessero da poco iniziato le operazioni di bonifica della vasca. Due sono stati colti immediatamente da un malore, il terzo ha provato a salvarli, finendo però nel fondo della cisterna privo di sensi. Quando è scattato l'allarme, per i tre non c'è stato più nulla da fare. Sul posto - il tratto di Strada provinciale che da San Tammaro porta a Capua - oltre ai carabinieri è giunta anche una squadra di specialisti Nbcr (Nucleo batteriologico chimico radioattivo) per i rilievi. Accorsi davanti all'industria chimica anche i familiari delle tre vittime. In preda alla disperazione, attendono notizie dai soccorritori e dalle forze dell'ordine che stanno presidiando i cancelli. Sono giunti anche numerosi residenti nella zona che, appresa la notizia, stanno portando la loro solidarietà ai familiari degli operai decedeuti. E' terminato da poco un sopralluogo del questore di Caserta, Guido Longo mentre all'interno vi è ancora il sostituto procuratore di Santa Maria Capua Vetere, Donato Ceglie. Ha espresso il suo cordoglio il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Maurizio Sacconi: ''il Governo partecipa al dolore dei congiunti e dei colleghi dei tre lavoratori caduti oggi a Capua. Colpisce in parrticolare il fatto che ancora una volta siano vittime di infortuni gravi o mortali nel lavoro coloro che operano in appalto specificamente nei servizi di manutenzione". (11 settembre 2010)
2010-09-08 LA PROTESTA Fumogeni contro Bonanni alla Festa Pd Bersani: "Una aggressione squadrista" Violenta contestazione dei centri sociali al leader della Cisl, che ha abbandonato la sala Bobbio senza tenere il suo dibattito. Turbato il sindacalista: "Ora tutti riflettano"". Letta: "Siete antidemocratici". Polemica con la questura Fumogeni contro Bonanni alla Festa Pd Bersani: "Una aggressione squadrista" Raffaele Bonanni alla festa del Pd a Torino TORINO - Nuovo episodio di contestazione violenta alla Festa Pd di Torino. Dopo le proteste verbali contro il presidente del Senato Renato Schifani, è stata oggi la volta del sindacalista Raffaele Bonanni che è stato prima accolto dai centri sociali con da fischi, urla e lanci di banconote finte. Quindi, quando è stato raggiunto da un fumogeno che gli ha bruciato il giubbotto senza però ferirlo, ha lasciato il palco. Questi gli slogan che hanno accompagnato il lancio di petardi: "Il denaro è un buon servo e un cattivo padrone", ''Marchionne comanda e Bonanni obbedisce''. Durante l'aggressione il vice-segretario del Pd Enrico Letta, che avrebbe dovuto dialogare con Bonanni sul palco, si è rivolto ai contestatori ripetendo più volte: "Voi non avete niente a che fare con la democrazia. Siete il contrario di cui ha bisogno il Paese. Siete antidemocratici". Ciò a cui abbiamo assistito è gravissimo, è l'espressione del rifiuto della democrazia e ritengo che siano stati compiuti reati molto gravi''. Secondo Letta, ci sono state "assolute falle nel servizio di sicurezza. Non essere in grado di gestire la situazione dimostra che la cosa è sfuggita di mano''. Il questore di Torino, Aldo Faraoni, ha replicato che quando c'è stato da intervenire, la questura è sempre intervenuta. "Letta è stato un pò troppo precipitoso nel suo giudizio", ha risposto. "Sono frastornato, ma sto bene - ha dichiarato Bonanni alla fine - Sono stato vittima di un'aggressione incivile e squadrista da parte dei centri sociali di Torino. Un'aggressione che nulla ha a che fare con il confronto democratico e con la politica. Mi sento ovviamente turbato. Spero che ora tutti riflettano e abbassino i toni". Durissima la reazione anche del segretario Pd Bersani, che ha chiamato il leader Cisl per dargli la sua solidarietà. "Si è trattato di un atto di intimidazione e di vera e propria violenza, un attacco squadrista. E' inconcepibile che una festa popolare, che vive nel pieno centro della città, possa essere attaccata in questo modo. Attendiamo di conoscere dal ministero dell'Interno quali misure preventive e repressive siano state prese per impedire un episodio del genere". Alle parole di Bersani si sono aggiunge le dimostrazioni di solidarietà di molti altri rappresentanti istituzionali, tra cui il vice presidente del Senato Vannino Chiti, il ministro dell'Interno Roberto Maroni, il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa, il portavoce del Forum delle persone e delle Associazioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro Natale Forlani. Informato dell'accaduto, il segretario di Sinistra e libertà Nichi Vendola ha dichiarato: "Ho saputo che ci sono state delle brutte contestazioni a Bonanni. Io penso che un conto è il dissenso che fa parte della democrazia, un altro conto è se le contestazioni prendono una piega più violenta. Penso, del resto, che uno degli elementi che dobbiamo recuperare è la civiltà del dialogo e dell'analisi raffinata". Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha dichiarato "piena solidarietà al segretario della Cisl. L'episodio, insieme agli incidenti che ne sono seguiti, rivela una preoccupante volontà di attaccare la libertà sindacale e di inquinare il confronto democratico". "Si tratta - ha detto il presidente del Senato, Renato Schifani - di un intollerabile gesto che nega la democrazia e che deve essere assolutamente condannato". Anche i leader di Cgil e Uil, Guglielmo Epifani e Luigi Angeletti, hanno telefonato a Bonanni per esprimergli solidarietà per la contestazione subita. Secondo il leader dell'Idv Antonio Di Pietro, si è trattato di una dimostrazione di violenza che "danneggia la democrazia", e per Walter Veltroni di "un atto di violenza inaudita, di sapore squadristico". E il ministro per la Semplificazione Normativa e coordinatore della Lega Nord Roberto Calderoli si chiede: "Ma quella del Pd è una festa o un mattatoio?". Intanto, la persona che ha lanciato il fumogeno è stata identificata e denunciata. Si tratterebbe di una ragazza di Firenze che vive a Torino e frequenta il centro sociale Haskatasuna. I contestatori, nonostante la condanna unanime, difendono le proprie ragioni: "Riteniamo inaccettabile invitare alla Festa del Pd un personaggio come Bonanni, che dovrebbe tutelare i diritti dei lavoratori. Bonanni è uno dei principali artefici della cancellazione del contratto nazionale dei metalmeccanici". (08 settembre 2010)
METALMECCANICI Marcegaglia: "Fiom è il vero problema La disdetta del contratto fa chiarezza" La presidente degli industriali al fianco di Federmeccanica. Poi chiede la nomina del ministro dello sviluppo e attacca sull'ipotesi di elezioni anticipate: "Inaccettabile che non si governi per motivi interni di leadership". Fiom proclama sciopero di 4 ore Marcegaglia: "Fiom è il vero problema La disdetta del contratto fa chiarezza" Il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e l'ad Fiat Sergio Marchionne MILANO - Usando toni molto duri, Emma Marcegaglia ribadisce l'assoluta contrarietà degli industriali all'ipotesi di un voto anticipato, rilancia chiedendo subito al governo un nuovo ministro dello Sviluppo e difende Federmeccanica dopo l'annuncio della disdetta del contratto dei metalmeccanici 1 in scadenza il primo gennaio 2012. "Nessun ricatto Fiat, solo un'accelerazione. Il vero problema è la Fiom, contraria a ogni cambiamento che renda le aziende più competitive". Intanto la Fiom ha proclamato un pacchetto di 4 ore di sciopero articolato a livello territoriale e aziendale contro la decisione di Federmeccanica. La proposta del segretario generale Maurizio Landini, contenuta in uno dei due documenti presentati al comitato centrale (l'altro è stato formalizzato dal leader della minoranza Fausto Durante), è stata approvata con il 79% dei voti favorevoli (92 sì, 26 no e un astenuto). Le 4 ore di sciopero saranno effettuate entro il 16 ottobre, quindi prima della manifestazione nazionale promossa dalla tute blu della Cgil a Roma. "Metalmeccanici, il problema è Fiom". Emma Marcegaglia parla a Milano, a margine dell'inaugurazione del Salone del Tessile. La presidente degli industriali si schiera a difesa di Federmeccanica, che ieri ha annunciato la disdetta del contratto dei metalmeccanici, firmato nel 2008 e valido fino al primo gennaio 2012. "Non è assolutamente vero che abbiamo subito la decisione della Fiat. È un semplice atto di chiarezza - commenta Marcegaglia -. È la Fiom il vero problema". "Abbiamo firmato tutti i contratti di tutti i settori anche con la Cgil, come quello del tessile, dell'alimentare e altri - spiega il numero uno di Confindustria -, quindi il problema vero è la Fiom, che non accetta nessun cambiamento che renda le aziende più competitive". "Il contratto c'è già". "Federmeccanica e tutti i sindacati, tranne la Fiom prosegue Marcegaglia -, hanno firmato un nuovo contratto dei metalmeccanici a ottobre 2009, con decorrenza da gennaio 2010. Quindi per noi e per gli altri sindacati esiste già un nuovo contratto che sta decorrendo da nove mesi. Non è che i lavoratori non hanno un contratto. Il contratto ce l'hanno ed è anche migliore di quello precedente: stiamo pagando gli aumenti a 2 milioni di lavoratori metalmeccanici. Questa è una accelerazione - aggiunge Marcegaglia - rispetto a quanto già previsto nel 2009. È ovvio che la Fiat richiedeva questa cosa per poter fare in modo che l'accordo di Pomigliano rientrasse nel nuovo contratto dei metalmeccanici, ma è una questione tecnica. Siamo andati avanti su una strada che abbiamo iniziato nel 2009 e che ha subito solo un'accelerazione". "Subito un ministro dello Sviluppo". Forte il suo invito al governo a "nominare subito il nuovo ministro dello Sviluppo". "C'è una promessa di nominare il nuovo ministro per lo sviluppo economico nei prossimi giorni - spiega Marcegaglia -. Ieri durante il Consiglio dei ministri non lo si è fatto, ora quindi avanziamo una richiesta formale che entro pochi giorni si provveda alla nomina". "In un momento complicato come l'attuale - ha sottolineato il leader degli industriali - abbiamo più che mai bisogno di un ministro per lo Sviluppo economico, così come è fondamentale che tutto il governo decida di occuparsi di crescita e di posti di lavoro che sono poi i temi che interessano il paese. Da parte nostra non vediamo una sufficiente attenzione e concentrazione su questi temi". "Governo agisca per il Paese". Marcegaglia esprime con chiarezza la posizione degli industriali sul tema delle elezioni anticipate. "Non si deve andare a votare - è l'invito perentorio del presidente di Confindustria -. Questo è un governo che per tre volte ha avuto la maggioranza da parte degli italiani, nel 2008, nel 2009 e nel 2010, quindi non è accettabile che per motivi interni di leadership ed attacchi personali non si governi. Il governo si prenda le sue responsabilità, superi le beghe interne e agisca per il bene del paese". Fiom proclama quattro ore di sciopero. Uno sciopero di quattro ore da effettuare entro il 16 ottobre è quello proclamato da Fiom, il cui comitato centrale ha accolto la proposta del segretario generale, Maurizio Landini. "In ogni territorio e in ogni azienda metalmeccanica decideremo le forme più appropriate", ha detto Landini. (08 settembre 2010)
2010-09-07 LO STRAPPO Federmeccanica: disdetto contratto 2008 "Misura cautelativa dopo minacce Fiom" Gli industriali annunciano "sin da ora" il recesso dal contratto valido fino al primo gennaio 2012. Il presidente Ceccardi: "Decisione a fronte delle possibili azioni giudiziarie del sindacato". "Nessuna spinta da Fiat. E dopo Pomigliano necessario adeguare le relazioni industriali" Federmeccanica: disdetto contratto 2008 "Misura cautelativa dopo minacce Fiom" Pierluigi Ceccardi, presidente di Federmeccanica MILANO - Il direttivo di Federmeccanica ha dato mandato al presidente Pierluigi Ceccardi di comunicare fin d'ora il recesso dal contratto nazionale siglato il 20 gennaio 2008 e valido fino al 2012. Lo stesso Ceccardi ha spiegato che la decisione di considerare già spirato il contratto è avvenuta "a fronte delle minacciate azioni giudiziarie della Fiom relative all'applicazione di tale accordo" ed è comunicata "in via meramente tecnica e cautelativa allo scopo di garantire la migliore tutela delle aziende". La disdetta avviene a far data dal primo gennaio 2012. Per Landini, segretario generale della Fiom, è una "decisione politica grave, irresponsabile e illegittima". L'invito Fiom: "Non si ceda a diktat Fiat". Proprio la Fiom, attraverso il segretario generale Maurizio Landini, aveva invitato nelle ultime ore Federmeccanica a non accettare quello che viene visto come un "diktat" di Fiat, perché "meccanismi di confronto sotto diktat alla lunga non aiutano neanche le imprese". In sostanza, la Fiom aveva invitato gli industriali della meccanica a non cedere alle pressioni di Marchionne, che senza deroghe al contratto del 2008 aveva paventato l'uscita di Fiat da Federmeccanica. "I problemi che la crisi pone si possono affrontare anche discutendo di investimenti e di maggiore utilizzo degli impianti. Senza bisogno di deroghe ma applicando il contratto nazionale e le regole che ci sono" aveva concluso Landini. "Nessun diktat, tutelare aziende". "Fiat non ha spinto per niente - è la replica di Ceccardi -, l'accelerazione che abbiamo imposto oggi è per tutelare le esigenze delle aziende metalmeccaniche e di un milione di lavoratori che dipendono da esse". "Relazioni industriali da adeguare". Il presidente di Federmeccanica ha poi spiegato che "il consiglio direttivo ha preso in esame l'evoluzione dei rapporti sindacali nel settore dopo il rinnovo del contratto nazionale del 15 ottobre 2009 e la vicenda relativa allo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco". "Il convincimento unanime è la necessità di proseguire con determinazione nell'adeguamento delle relazioni industriali, sindacali e contrattuali alla domanda di maggior affidabilità e flessibilità che proviene dalle imprese per consentire loro una migliore tenuta rispetto all'urto della competizione globale". "Cgil partecipi a cambio delle regole". "E' urgente - prosegue Ceccardi - una regolamentazione condivisa del sistema di rappresentanza, sulla cui necessità esiste generale consenso e disponibilità dichiarata dalle parti". Tale regolamentazione, ricorda il presidente di Federmeccanica, è prevista dall'accordo interconfederale del 15 aprile 2009, non sottoscritto dalla Cgil. L'auspicio di Federmeccanica è che anche l'organizzazione guidata da Guglielmo Epifani facia marcia indietro e che "le confederazioni attivino al più presto un tavolo per regolamentare la materia per via pattizia". Landini: "Strappo alla democrazia". Appresa la decisione di Federmeccanica, Maurizio Landini esprime un giudizio durissimo: "E' una decisione politica grave, irresponsabile e illegittima. Il contratto del 2008 è in vigore fino alla fine del 2011 e ha una sua ultrattività qualora venga presentata una piattaforma per il suo rinnovo". Si tratta secondo il leader della Fiom di "uno strappo alle regole democratiche grave perché si impedisce ai lavoratori di decidere sul loro contratto e si sceglie di trattare con i sindacati che non hanno alcun mandato in questa direzione e in ogni caso rappresentano la minoranza dei dipendenti metalmeccanici". Fiom: "Noi non ci saremo". Quanto all'incontro del 15 settembre, in cui Federmeccanica e sindacati si confronteranno sulle possibili deroghe al contratto nazionale dei metalmeccanici, Landini spiega che "la Fiom non parteciperà a tavoli che cancellano il contratto nazionale. Non partecipiamo perché non sono trattative ma semplicemente dettature della Fiat". "Importante manifestazione del 16 ottobre". Domani, al comitato centrale della Fiom "decideremo tutte le iniziative necessarie- conclude Landini -. E più importante ancora è la manifestazione del 16 ottobre per la difesa dei diritti del contratto e della democrazia del nostro Paese". Fim Cisl: "Per noi non cambia nulla". "Per noi il contratto del 2008 era già decaduto dal punto di vista formale e sostanziale. Quindi non si tratta di alcuna novità". Così Giuseppe Farina, numero uno di Fim Cisl. "Ripeto, nessuna novità sotto il cielo dal punto di vista sindacale". (07 settembre 2010)
Patti leonini di CARLO CLERICETTI L'espressione "patto leonino", che deriva da una favola di Esopo, indica un patto che va a vantaggio di una sola parte dei contraenti, ovviamente quella più forte. Stabilisce dunque qualcosa di sbilanciato, tanto che se ne occupa anche il codice civile, che lo dichiara nullo. La Federmeccanica, annunciando la disdetta del contratto, ribadisce però la validità dell'accordo del 20 gennaio 2009, quello firmato senza la Fiom-Cgil. Ma c'è chi da tempo considera quell'accordo ormai privo di efficacia, per motivi di fatto e di diritto. Luigi Mariucci, docente di Diritto del lavoro all'Università Cà Foscari di Venezia, ha osservato in un articolo sulla rivista on line "Eguaglianza & Libertà" che quell'accordo non è stato mai richiamato nei contratti nazionali stipulati in seguito unitariamente da settori importanti come chimici, tessili, alimentaristi, terziario. Vi si fa riferimento solo nel contratto dei metalmeccanici, anche questo senza la firma della Fiom. Inoltre quell'accordo era stato firmato anche dal governo, non come soggetto "terzo" e garante, sottolinea Mariucci, ma come "parte", in quanto datore di lavoro del pubblico impiego. Ma poi, con la successiva manovra economica, lo stesso governo ha stabilito il blocco per tre anni delle retribuzioni pubbliche, contraddicendo così quella parte dell'accordo che prevede la valorizzazione della contrattazione di secondo livello. Per questi motivi, conclude Mariucci, quel patto dovrebbe considerarsi decaduto. La Federmeccanica, evidentemente, non ha grande interesse al fatto che vengano disattese norme a vantaggio dei lavoratori. E' verosimilmente assai più preoccupata dalla minaccia di Sergio Marchionne di far uscire la Fiat da Confindustria proprio per evitare di essere vincolata dal contratto nazionale. E la Federmeccanica senza la Fiat avrebbe un peso politico men che dimezzato, oltre a perdere la contribuzione di uno degli iscritti più importanti. Piuttosto che far uscire la Fiat, dunque, meglio uscire dal contratto nazionale. (07 settembre 2010) 2010-08-29 Fiat, il monito dei vescovi "Ascoltare le parole di Napolitano" L'arcivescovo di Genova e presidente della Cei Bagnasco ha ribadito che "una nuova classe politica, cristiana nei fatti e non solo a parole, è un richiamo da sempre. Migliaia i pellegrini giunti dall'alba al Santuario della Madonna della Guardia, sul monte Figogna nell'entroterra di Genova di NADIA CAMPINI Fiat, il monito dei vescovi "Ascoltare le parole di Napolitano" Il cardinale Angelo Bagnasco GENOVA - "L'auspicio è che la vertenza Fiat arrivi ad una risoluzione nel modo migliore per tutti e le parole del Capo dello Stato vanno in questa linea". Dall'alto del Santuario della Guardia, sul monte Figogna, dove si celebra la 520ma ricorrenza dell'apparizione della Madonna, il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, volge la sua attenzione ai problemi del mondo del lavoro, che inizia a fare i conti con un autunno caldo, e con la vertenza che contrappone il sindacato a Marchionne. Nei giorni scorsi il presidente Napolitano aveva chiesto il rispetto della decisione dei giudici in riferimento al licenziamento di tre lavoratori a Melfi, oggi Bagnasco si allinea su queste posizioni sperando anche che "un dialogo importante e intelligente permetta di arrivare ad una definizione positiva delle vertenze aperte". Interrogato dai giornalisti prima che inizi la processione il cardinale ha anche parlato della responsabilità della classe politica, che deve essere "presente nei fatti, non solo nelle parole. Fa parte della fede di ogni credente essere coerente in modo intelligente con la propria fede e mantenersi presente nelle diverse responsabilità sociali, civili e politiche. E' indubbio - ha aggiunto il cardinale - che anche il mondo politico ha bisogno di presenze qualificate e coerenti; quelle che ci sono in questo momento, quelle di ieri e quelle di domani. Presenze qualificate, affinché la storia proceda". Sono quasi diecimila i pellegrini arrivati agli oltre mille metri del santuario, dove si ricorda l'apparizione di Maria al contadino Benedetto Pareto il 29 agosto 1940. Qui è arrivato a rendere omaggio alla Madonna l'anno scorso anche papa Benedetto XVI e di qui il cardinale Bagnasco ha già preso più volte posizioni forti sulla sua città, Genova, e sui temi del lavoro e del sociale. Ieri l'argomento della sua omelia era la famiglia e il cardinale ne ha approfittato per strigliare i liguri, ma anche gli italiani tutti sul tema della natalità, settore nel quale l'Italia non gode di buona salute. "Che gli altri paesi non se ne preoccupino è scontato _ ha detto Bagnasco _ ma che non ce ne preoccupiamo e non ce ne occupiamo noi è stolto. La Liguria poi si trova nelle primissime posizioni in quella che è una vera corsa verso la morte". Il presidente della Cei ha messo in stretto collegamento i concetti di demografia e democrazia, ricordando che da molto tempo la Chiesa va dicendo che "in Occidente, dietro ad una bassa demografia sta una catastrofe culturale grave". Chiamate in causa sono le famiglie, che non fanno più figli per motivi individualistici, ma in primo luogo il monito del cardinale è rivolto a chi ha responsabilità pubbliche, perché è evidente che gran parte della colpa della scarsa natalità va attribuita alle difficoltà economiche. "Trascurare la famiglia ad esempio nelle sue esigenze economiche _ denuncia Bagnasco _ significa sgretolare la società stessa. Per contro mettere in atto delle politiche adeguate ai reali bisogni della famiglia perché possa avere dei figli con sufficiente serenità, significa guardare lontano, assicurare un corso sociale stabile". E il cardinale precisa che è compito della società non solo promuovere la famiglia, ma anche "difenderla da ogni deformazione, da ogni indebita equiparazione", con un evidente riferimento alle coppie di fatto. (29 agosto 2010)
Le regole di Marchionne e l'etica di Berlinguer di EUGENIO SCALFARI IL MARCHIONNE intervenuto a Rimini al meeting di Comunione e liberazione non ha detto grandi novità rispetto al Marchionne di Pomigliano. Del resto da allora non è accaduto nulla di rilevante che non fosse già stato previsto: il mercato automobilistico mondiale continua a perder colpi in Occidente (e a guadagnarne nei grandi mercati dei paesi emergenti); la Fiat è una delle imprese più penalizzate sia sul mercato italiano sia su quello europeo; la stessa Fiat tuttavia vende in Italia circa il 40 per cento del suo prodotto e quindi in Italia ci deve restare, che lo voglia oppure no, ed anche le più massicce de-localizzazioni non possono cancellare con un tratto di penna tutti gli stabilimenti italiani e la manodopera che ci lavora. Questa situazione è nota da un pezzo, fin da quando due anni fa Marchionne lanciò l'operazione Chrysler con l'accordo dei suoi azionisti, del presidente americano Barack Obama e dei sindacati di Detroit. Non tutti i commentatori capirono che non era la Fiat a conquistare la Chrysler ma viceversa: la Fiat si aggrappava alla Chrysler, anch'essa in stato pre-agonico, per fare di due debolezze una forza. Questo era il programma di Marchionne che d'altra parte fu onesto nell'ammettere questa verità. Previde anche - e lo disse - che la Fiat avrebbe scorporato la produzione automobilistica dal resto del gruppo costituendo una nuova società, cosa che è avvenuta secondo le previsioni. Da allora non ci sono state svolte nuove: Marchionne aveva già dichiarato che lui operava in una nuova era di economia globalizzata; usò anche l'immagine "dopo Cristo" orami diventata famosa. Di nuovo c'è stata la traduzione nei fatti di questo programma, a Pomigliano, a Termini Imerese, a Melfi e in parte a Mirafiori. Il referendum a Pomigliano, la nuova società diventata proprietaria di quello stabilimento, la resistenza della Fiom-Cgil, lo sciopero di Melfi, i tre licenziati, il ricorso al Tar e il loro reintegro, la decisione della Fiat di non riammetterli al lavoro in attesa del secondo grado di giudizio, l'intervento del presidente Napolitano e il suo auspicio di superare l'incidente con spirito di equità in attesa della sentenza definitiva. Infine il Marchionne di Rimini. * * * A Rimini l'amministratore delegato della Fiat ha esposto con la massima chiarezza alcuni suoi "mantra". 1. L'economia globalizzata impone che l'aumento di produttività nei paesi opulenti sia molto più elevato di quanto negli ultimi trent'anni non sia avvenuto, per tenere il passo con quanto avviene nei paesi emergenti e non perdere altro terreno nei loro confronti. 2. La lotta di classe è finita perché non ci sono più classi. 3. La domanda di automobili in Occidente è molto diminuita ed è tuttora in calo, perciò bisogna concentrare la produzione in un numero limitato di imprese, riducendo il numero delle unità prodotte e aumentando la competitività. 4. I lavoratori debbono accettare nuove regole sulla flessibilità negli orari, sul ricorso allo sciopero, sulla struttura del salario e dei contratti. 5. La giurisdizione del lavoro dovrà, di conseguenza, essere aggiornata. 6. Forme di partecipazione dei lavoratori ai profitti derivanti dall'aumento della produttività sono auspicabili e vanno incentivate. 7. Le parti sociali debbono premere sui governi per ottenere nuovi tipi di "welfare" appropriati alle nuove regole. Alcuni di questi principi sono ragionevoli e meritano di essere discussi. Altri hanno un'ispirazione profondamente reazionaria. Inoltre in questo ragionamento colpiscono alcune omissioni, la più vistosa delle quali riguarda le diseguaglianze retributive che hanno raggiunto livelli inaccettabili. Marchionne può dire che questi problemi non riguardano il suo "campo di gioco" ma negherebbe con ciò l'evidenza: ogni persona e quindi ogni lavoratore vive in un contesto sociale che non può essere parcellizzato, è un contesto globale ed implica in prima fila il tema dei diritti e dei doveri. * * * Bisogna riconoscere - e per quanto mi riguarda l'ho scritto più volte - che l'economia globale comporta un trasferimento di benessere dall'area opulenta all'area emergente e povera. Si potrà gradualizzare entro certi limiti questo processo, ma è del tutto inutile cercare di arrestarlo. Il trasferimento può avvenire in vari modi. Uno di essi è l'immigrazione dall'area povera all'area opulenta, un altro è la de-localizzazione della produzione e del capitale in senso contrario, un altro ancora consiste nella ricerca di analoghi trasferimenti di benessere sociale all'interno dell'area opulenta tra ceti ricchi e ceti poveri, accompagnati da ritmi di produttività più intensi nelle aree povere affinché la loro dinamica sociale accorci le distanze con le aree ricche. Siamo cioè - e non certo per libera scelta - di fronte ad un gigantesco riassetto sociale di dimensioni planetarie, nel corso del quale bisognerà tenere ben ferma la barra sui due diritti fondamentali: la libertà e l'eguaglianza. Il riassetto sociale è infatti di tali proporzioni da mettere a rischio quei due diritti. Può cioè dar luogo a forme di governo autoritarie nell'illusione che solo in quel modo sia possibile governare i processi sociali; e può anche dar luogo a discriminazioni inaccettabili sul piano dell'eguaglianza. Purtroppo in Italia si rischia di caricare gli oneri del riassetto sociale sulle categorie più deboli e di ferire in tal modo sia l'eguaglianza sia la libertà. * * * Nel corso del meeting di Rimini, il giorno prima di Marchionne aveva parlato Giulio Tremonti. Un discorso ampio, di economia, di finanza e di politica. L'intervento di Tremonti è stato ampiamente riferito dai giornali e non ci tornerò sopra, ma c'è un punto che qui m'interessa cogliere: quando il ministro dell'Economia ha parlato di austerità ricordando che in anni ormai lontani quel concetto fu patrocinato da Enrico Berlinguer che propose di farne il cardine d'una nuova politica economica. È vero, Berlinguer vide con trent'anni di anticipo il grande riassetto sociale che stava arrivando, ne colse alcune implicazioni che riguardavano la politica e le istituzioni, decise di orientare in modo nuovo la politica del suo partito affinché si ponesse alla guida di quel riassetto. Non fu soltanto Berlinguer a imboccare quella strada. Nel Pci a favore d'una politica di austerità si schierò Giorgio Amendola, nel sindacato Luciano Lama, negli altri partiti Ugo La Malfa, Riccardo Lombardi, Antonio Giolitti, Gino Giugni e Giorgio Ruffolo, Bruno Visentini. Nella Dc, Ezio Vanoni e Pasquale Saraceno. Insomma la sinistra di governo e la sinistra di opposizione. Il richiamo di Tremonti è stato dunque molto opportuno: la sinistra, quella sinistra, aveva capito in anticipo i tempi e le crisi che si addensavano e ne vide le conseguenze sulla società italiana. Tremonti però non ha reso esplicito il significato di quella posizione. Berlinguer voleva che fosse la sinistra a guidare il riassetto sociale incombente, per garantire che non fossero solo i ceti più deboli a pagarne il costo. Questo aspetto del problema è stato oscurato dal nostro ministro dell'Economia ed è invece l'aspetto fondamentale. Se si deve attuare una vasta modernizzazione istituzionale e un trasferimento di benessere sociale dalle economie opulente verso quelle emergenti; se un così gigantesco riassetto non può essere disgiunto da un riassetto analogo all'interno delle aree opulente; è evidente che i più deboli debbono partecipare in primissima fila a questa operazione. I ceti medi e medio-bassi non possono essere oggetto del riassetto sociale senza esserne al tempo stesso il principale soggetto. Questo è il punto che manca all'analisi di Tremonti e che Marchionne ha vistosamente omesso come l'ha omesso la Marcegaglia. L'intero meeting di Rimini su questo punto ha taciuto: omissione tanto più vistosa in quanto avvenuta in una occasione promossa da una delle principali Comunità cattoliche, con tanto di benedizione papale e presenze cardinalizie. Né è accettabile che una così plateale omissione sia giustificata con l'argomento che l'aspetto politico non riguarda gli operatori economici e gli imprenditori. Grave errore: l'economia politica ha come tema centrale proprio quello dell'etica, cioè dei diritti e dei doveri, della felicità e dell'infelicità, della giustizia e del privilegio. Una Comunità cattolica dovrebbe mettere al centro delle sue riflessioni questo tema e porlo ai suoi ospiti. Se non lo fa, diventa una lobby come in effetti Cl è da tempo diventata. (29 agosto 2010)
2010-08-28 AUTO Fiat, Mirafiori riapre senza operai Ancora una settimana di cassa Al lavoro solo gli impiegati. Da decidere il futuro dello storico impianto che produce modelli alla fine del ciclo. Melfi, sindaci in campo di ROBERTO MANIA Fiat, Mirafiori riapre senza operai Ancora una settimana di cassa ROMA - Lunedì riapriranno di cancelli di Mirafiori. Ma a tornare al lavoro nello stabilimento torinese della Fiat saranno solo gli impiegati. La produzione riprenderà il 6 settembre. Fino ad allora per gli oltre cinquemila operai ci sarà ancora la cassa integrazione. Lingotto naviga a vista con un mercato dell'auto non dà alcun segno di ripresa: - 32 per cento in Europa a luglio per tutti i brand del gruppo. Numeri che mettono i brividi. Così restano le incertezze sul futuro di Mirafiori dopo la decisione di Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, di affidare allo stabilimento serbo di Kragujevac la produzione della nuova monovolume L0. Marchionne ha assicurato un futuro per l'impianto torinese anche se ancora non si sa quali saranno i nuovi modelli visto che a parte la MiTo, gli attuali (Idea, Musa, Multipla e vecchia Panda) sono entrati nella fase di esaurimento. Preoccupato il sindacato che - con la Fismic - ha chiesto anche ieri un confronto per "garantire continuità produttiva a Mirafiori". L'incertezza di Mirafiori si somma con quella del Giambattista Vico di Pomigliano, ormai stabilimento simbolo della Fiat dell'era Marchionne. Qui si gioca forse la partita più delicata. Dopo aver costituito la Newco (Fabbrica Italia Pomigliano), Marchionne ha chiesto alla Federmeccanica (l'associazione di categoria della Confindustria) di riscrivere entro il 20 ottobre le nuove regole contrattuali per l'industria dell'auto. O un vero e proprio nuovo contratto o una serie di deroghe (come già accade nella siderurgia) per le esigenze del settore automobilistico. È questa la strada - secondo Marchionne - che può poi garantire la piena applicazione dell'accordo di Pomigliano passato con il 63 per cento di voti favorevoli nel referendum tra i lavoratori. Per ridurre al minimo l'opposizione per via giudiziaria della Fiom, la Federmeccanica dovrebbe decidere nella prossima riunione del Direttivo convocato a Milano il 7 settembre, anche la disdetta dell'ultimo contratto nazionale firmato dai metalmeccanici della Cgil. Due mesi, dunque, nei quali si chiariranno diversi aspetti della nuova vertenza Fiat. Per il 6 ottobre è atteso pure il secondo giudizio sul caso dei tre operai licenziati dalla Fiat a Melfi. Anche ieri i tre non sono entrati in fabbrica ma sono restati nel piazzale. I sindaci della zona si sono riuniti fuori dallo stabilimento e hanno chiesto all'azienda di reintegrare i lavoratori come deciso dal giudice. (28 agosto 2010)
2010-08-26 FIAT Marchionne: "Basta conflitti operai-padrone" Su Melfi insiste: "Non abbiamo violato la legge" L'ad della Fiat parla al Meeting di CL ribadisce il rispetto nei confronti di Napolitano e assicura: "Accetto il suo invito a trovare una soluzione". E a Epifani dice: "Sono disponibile a incontrarlo, è una persona che rispetto". Gli operai licenziati: "Se non ha paura della verità venga qua e si confronti con noi" Marchionne: "Basta conflitti operai-padrone" Su Melfi insiste: "Non abbiamo violato la legge" L'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne RIMINI - Ha difeso con forza la posizione della Fiat nella vicenda che vede protagonisti i tre operai licenziati di Melfi 1, ha sottolineato l'importanza della scelta di investire a Pomigliano d'Arco, chiedendo un maggiore apprezzamento per l'operato del gruppo automobilistico in Italia, soprattutto ha criticato a fondo il sistema industriale italiano. Per Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, che oggi a Rimini ha tenuto un attesissimo intervento al Meeting di Comunione e Liberazione, il sistema italiano deve superare definitivamente il conflitto "operai-padrone", ma soprattutto deve innovarsi, aprirsi alla globalizzazione, capire che non si può investire se i lavoratori non tengono fermi gli impegni assunti. "Fino a quando non ci lasciamo alle spalle i vecchi schemi non ci sarà mai spazio per vedere nuovi orizzonti", ha affermato Marchionne. A margine dell'intervento, l'amministratore delegato del Gruppo Fiat ha tenuto poi a precisare che nel suo discorso non c'era una critica nei confronti del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che alcuni giorni fa rispondendo ai tre lavoratori licenziati aveva invitato l'azienda a rispettare la sentenza della magistratura: "Ho grandissimo rispetto per il presidente della Repubblica come persona e per il suo ruolo istituzionale. Per la sua posizione istituzionale accetto quello che ha detto come un invito a trovare una soluzione" alla vicenda di Melfi. Sempre al termine della conferenza, Marchionne si è detto disponibile anche a incontrare il segretario della Cgil Sergio Epifani: "Sono totalmente aperto anch'io a parlare con Epifani. E' una persona che rispetto, con un profilo intellettualmente onesto". "Gravi accuse contro la Fiat". Proprio le vicende degli ultimi giorni, ha ammesso Marchionne, lo hanno costretto a cambiare radicalmente la struttura del discorso preparato per Rimini: "Non posso ignorare l'importanza dello stabilimento di Melfi e la gravità delle accuse mosse a Fiat. Gli eventi delle ultime 24 ore mi hanno costretto a dirottare il discorso a livello locale". L'amministratore delegato della Fiat ha spiegato ai giovani che il discorso che aveva preparato "è diverso da questo. Avrei voluto parlare della globalizzazione, di quando 11 anni fa ho avuto la fortuna di incontrare Nelson Mandela" e di altri problemi mondiali. "Abbandonare le vecchie contrapposizioni". "Quella alla quale stiamo assistendo in questi giorni è la contrapposizione tra due modelli: uno che si ostina a proteggere il passato, l'altro che guarda avanti. Fino a quando non ci lasciamo alle spalle i vecchi modellli, non ci sarà mai spazio per guardare i nuovi orizzonti", ha affermato Marchionne, precisando che "non siamo più negli anni '60 e occorre abbandonare il modello di pensiero che vede una lotta fra capitale e lavoro e fra padroni e operai". "Inammissibile difendere gli illeciti". Riferendosi in particolare alla vicenda di Melfi, Marchionne si è scagliato contro chi difende i tre dipendenti: "E' inammissibile tollerare e difendere alcuni comportamenti, che vedono la mancanza di rispetto delle regole e di illeciti arrivati in qualche caso al sabotaggio". "Mi rendo conto che certe decisioni come quella che abbiamo preso a Melfi non sono popolari, - ha proseguito - ma su una cosa voglio essere chiaro: la Fiat ha rispettato la legge e ha dato pieno seguito alle decisioni della magistratura, abbiamo dato accesso ai lavoratori nell'azienda e pieno esercizio dei diritti sindacali. Adesso siamo in attesa del secondo grado di giudizio, ci auguriamo che siano meno influenzate dall'enfasi mediatica. La dignità e i diritti non possono essere patrimonio esclusivo di tre persone: sono valori che vanno difesi e riconosciuti e tutti, la responsabilità è anche quella di tutelare la dignità della nostra impresa e il diritto al lavoro di tutti i dipendenti". Il 21 settembre la convocazione del giudice del lavoro. Tuttavia prima del secondo grado di giudizio, i responsabili legali della Fiat dovranno affrontare la questione del mancato reintegro dei lavoratori. Infatti Emilio Minio, il giudice del lavoro di Melfi (Potenza) che il 9 agosto scorso ha depositato il provvedimento, ha convocato le parti (azienda e Fiom) per il 21 settembre. La convocazione servirà a chiarire gli aspetti procedurali del decreto del giudice, che dichiarò "l'antisindacalità dei licenziamenti" dei tre operai e ordinò "la immediata reintegra dei lavoratori nel proprio posto di lavoro". "Ingiusti i fischi gratuiti alla Fiat". "La Fiat non pretende di essere salutata tutti i giorni con le fanfare, - ha proseguito l'ad della Fiat - come è successo quando abbiamo annunciato l'accordo con Chrysler, ma non sono giusti neanche i fischi gratuiti. Fabbrica Italia è un progetto che proviene dal cuore della Fiat, non certo da principi di convenienza. Sarebbe stato molto più conveniente confermare la futura Panda in Polonia piuttosto che portarla a Pomigliano. Lo abbiamo fatto sapendo quello che la Fiat rappresenta per la storia del Paese, per privilegiare il Paese in cui la Fiat ha le proprie radici". "Quello che trovo assurdo è che la Fiat riceva complimenti dappertutto tranne che in Italia", ha lamentato Marchionne. "Un patto sociale per affrontare il cambiamento". "Quello di cui c'è bisogno è un patto sociale per condividere impegni e sacrifici e dare al paese la possibilità di andare avanti, per costruire il paese che vogliamo lasciare alle prossime generazioni. - ha sottolineato Marchionne - Troppo spesso l'elogio del cambiamento si ferma alla soglia di casa. Dobbiamo scegliere il cambiamento che vogliamo, il nostro o quello dei nostri vicini di casa". "Nella Fiat uomini e donne di virtù". "Se c'è un segreto nella Fiat di oggi è che abbiamo avuto la capacità di costruire un'azienda di uomini e donne di virtù", ha concluso Marchionne. Che ha poi citato il grande filosofo Hegel: "L'uomo che segue il proprio comodo è condannato poichè la vera libertà esiste solo nell'impegno". Proprio la libertà è "la prima garanzia che dobbiamo conquistarci" e libertà, ha sottolineato ancora Marchionne, "vuol dire anche trovare il coraggio per abbandonare modelli del passato". Poichè "le strade comode e rassicuranti non portano da nessuna parte". La replica degli operai di Melfi. "Anch'io sono stato in Canada, però a lavorare - ha replicato a Marchionne Giovanni Barozzino, uno dei tre operai licenziati e reintegrati dalla Sata di Melfi, parlando ai microfoni di SkyTg24 - in Basilicata c'era stato il terremoto, e noi eravamo sei figli. Però penso che questa sia l'unica cosa che abbiamo in comune. Non vuole la lotta di classe? L'unica lotta di classe che c'è in Italia la sta facendo lui. Visto che gira sempre gli stabilimenti Fiat in America, perché non viene anche qui, e accetta un confronto anche con noi e con i nostri legali, se non ha paura della verità. Lo stabilimento di Melfi ha festeggiato da poco i cinque milioni di vetture prodotte: credo che il merito sia soprattutto degli operai". (26 agosto 2010)
Marchionne: "Basta conflitti operai-padrone" Su Melfi insiste: "Non abbiamo violato la legge" L'ad della Fiat parla al Meeting di CL ribadisce il rispetto nei confronti di Napolitano e assicura: "Accetto il suo invito a trovare una soluzione". E a Epifani dice: "Sono disponibile a incontrarlo, è una persona che rispetto". Gli operai licenziati: "Se non ha paura della verità venga qua e si confronti con noi" Marchionne: "Basta conflitti operai-padrone" Su Melfi insiste: "Non abbiamo violato la legge" L'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne RIMINI - Ha difeso con forza la posizione della Fiat nella vicenda che vede protagonisti i tre operai licenziati di Melfi 1, ha sottolineato l'importanza della scelta di investire a Pomigliano d'Arco, chiedendo un maggiore apprezzamento per l'operato del gruppo automobilistico in Italia, soprattutto ha criticato a fondo il sistema industriale italiano. Per Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, che oggi a Rimini ha tenuto un attesissimo intervento al Meeting di Comunione e Liberazione, il sistema italiano deve superare definitivamente il conflitto "operai-padrone", ma soprattutto deve innovarsi, aprirsi alla globalizzazione, capire che non si può investire se i lavoratori non tengono fermi gli impegni assunti. "Fino a quando non ci lasciamo alle spalle i vecchi schemi non ci sarà mai spazio per vedere nuovi orizzonti", ha affermato Marchionne. A margine dell'intervento, l'amministratore delegato del Gruppo Fiat ha tenuto poi a precisare che nel suo discorso non c'era una critica nei confronti del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che alcuni giorni fa rispondendo ai tre lavoratori licenziati aveva invitato l'azienda a rispettare la sentenza della magistratura: "Ho grandissimo rispetto per il presidente della Repubblica come persona e per il suo ruolo istituzionale. Per la sua posizione istituzionale accetto quello che ha detto come un invito a trovare una soluzione" alla vicenda di Melfi. Sempre al termine della conferenza, Marchionne si è detto disponibile anche a incontrare il segretario della Cgil Sergio Epifani: "Sono totalmente aperto anch'io a parlare con Epifani. E' una persona che rispetto, con un profilo intellettualmente onesto". "Gravi accuse contro la Fiat". Proprio le vicende degli ultimi giorni, ha ammesso Marchionne, lo hanno costretto a cambiare radicalmente la struttura del discorso preparato per Rimini: "Non posso ignorare l'importanza dello stabilimento di Melfi e la gravità delle accuse mosse a Fiat. Gli eventi delle ultime 24 ore mi hanno costretto a dirottare il discorso a livello locale". L'amministratore delegato della Fiat ha spiegato ai giovani che il discorso che aveva preparato "è diverso da questo. Avrei voluto parlare della globalizzazione, di quando 11 anni fa ho avuto la fortuna di incontrare Nelson Mandela" e di altri problemi mondiali. "Abbandonare le vecchie contrapposizioni". "Quella alla quale stiamo assistendo in questi giorni è la contrapposizione tra due modelli: uno che si ostina a proteggere il passato, l'altro che guarda avanti. Fino a quando non ci lasciamo alle spalle i vecchi modellli, non ci sarà mai spazio per guardare i nuovi orizzonti", ha affermato Marchionne, precisando che "non siamo più negli anni '60 e occorre abbandonare il modello di pensiero che vede una lotta fra capitale e lavoro e fra padroni e operai". "Inammissibile difendere gli illeciti". Riferendosi in particolare alla vicenda di Melfi, Marchionne si è scagliato contro chi difende i tre dipendenti: "E' inammissibile tollerare e difendere alcuni comportamenti, che vedono la mancanza di rispetto delle regole e di illeciti arrivati in qualche caso al sabotaggio". "Mi rendo conto che certe decisioni come quella che abbiamo preso a Melfi non sono popolari, - ha proseguito - ma su una cosa voglio essere chiaro: la Fiat ha rispettato la legge e ha dato pieno seguito alle decisioni della magistratura, abbiamo dato accesso ai lavoratori nell'azienda e pieno esercizio dei diritti sindacali. Adesso siamo in attesa del secondo grado di giudizio, ci auguriamo che siano meno influenzate dall'enfasi mediatica. La dignità e i diritti non possono essere patrimonio esclusivo di tre persone: sono valori che vanno difesi e riconosciuti e tutti, la responsabilità è anche quella di tutelare la dignità della nostra impresa e il diritto al lavoro di tutti i dipendenti". Il 21 settembre la convocazione del giudice del lavoro. Tuttavia prima del secondo grado di giudizio, i responsabili legali della Fiat dovranno affrontare la questione del mancato reintegro dei lavoratori. Infatti Emilio Minio, il giudice del lavoro di Melfi (Potenza) che il 9 agosto scorso ha depositato il provvedimento, ha convocato le parti (azienda e Fiom) per il 21 settembre. La convocazione servirà a chiarire gli aspetti procedurali del decreto del giudice, che dichiarò "l'antisindacalità dei licenziamenti" dei tre operai e ordinò "la immediata reintegra dei lavoratori nel proprio posto di lavoro". "Ingiusti i fischi gratuiti alla Fiat". "La Fiat non pretende di essere salutata tutti i giorni con le fanfare, - ha proseguito l'ad della Fiat - come è successo quando abbiamo annunciato l'accordo con Chrysler, ma non sono giusti neanche i fischi gratuiti. Fabbrica Italia è un progetto che proviene dal cuore della Fiat, non certo da principi di convenienza. Sarebbe stato molto più conveniente confermare la futura Panda in Polonia piuttosto che portarla a Pomigliano. Lo abbiamo fatto sapendo quello che la Fiat rappresenta per la storia del Paese, per privilegiare il Paese in cui la Fiat ha le proprie radici". "Quello che trovo assurdo è che la Fiat riceva complimenti dappertutto tranne che in Italia", ha lamentato Marchionne. "Un patto sociale per affrontare il cambiamento". "Quello di cui c'è bisogno è un patto sociale per condividere impegni e sacrifici e dare al paese la possibilità di andare avanti, per costruire il paese che vogliamo lasciare alle prossime generazioni. - ha sottolineato Marchionne - Troppo spesso l'elogio del cambiamento si ferma alla soglia di casa. Dobbiamo scegliere il cambiamento che vogliamo, il nostro o quello dei nostri vicini di casa". "Nella Fiat uomini e donne di virtù". "Se c'è un segreto nella Fiat di oggi è che abbiamo avuto la capacità di costruire un'azienda di uomini e donne di virtù", ha concluso Marchionne. Che ha poi citato il grande filosofo Hegel: "L'uomo che segue il proprio comodo è condannato poichè la vera libertà esiste solo nell'impegno". Proprio la libertà è "la prima garanzia che dobbiamo conquistarci" e libertà, ha sottolineato ancora Marchionne, "vuol dire anche trovare il coraggio per abbandonare modelli del passato". Poichè "le strade comode e rassicuranti non portano da nessuna parte". La replica degli operai di Melfi. "Anch'io sono stato in Canada, però a lavorare - ha replicato a Marchionne Giovanni Barozzino, uno dei tre operai licenziati e reintegrati dalla Sata di Melfi, parlando ai microfoni di SkyTg24 - in Basilicata c'era stato il terremoto, e noi eravamo sei figli. Però penso che questa sia l'unica cosa che abbiamo in comune. Non vuole la lotta di classe? L'unica lotta di classe che c'è in Italia la sta facendo lui. Visto che gira sempre gli stabilimenti Fiat in America, perché non viene anche qui, e accetta un confronto anche con noi e con i nostri legali, se non ha paura della verità. Lo stabilimento di Melfi ha festeggiato da poco i cinque milioni di vetture prodotte: credo che il merito sia soprattutto degli operai".
(26 agosto 2010)
LA VERTENZA Tirrenia, la Uil differisce lo sciopero il 30 e 31 agosto le navi viaggeranno Il segretario dei trasporti del sindacato di Angeletti accetta la richiesta di Matteoli: "Il ministro non precetta e noi spostiamo l'agitazione a dopo l'incontro fra le parti" Tirrenia, la Uil differisce lo sciopero il 30 e 31 agosto le navi viaggeranno ROMA - La Uiltrasporti ha deciso di differire lo sciopero del personale Tirrenia proclamato per il 30 e 31 agosto. La nuova data verrà decisa dopo il tavolo del 6 settembre convocato dal ministro, Altero Matteoli, con i sindacati. Lo comunica il segretario generale Giuseppe Caronia in una nota. "Finalmente un segnale di responsabilità", afferma Caronia a proposito della decisione del ministro dei trasporti Matteoli di non ricorrere ad un atto coercitivo. "Naturalmente non possiamo a questo punto non accogliere l'invito del Ministro a differire lo sciopero la cui eventuale effettuazione e l'eventuale data verrà decisa sulla base delle risultanze del previsto incontro del 6 settembre prossimo". "Finalmente un segnale di responsabilità e di rispetto del governo nei confronti della legittima e sacrosanta lotta dei lavoratori a difesa del loro posto di lavoro, che ha evitato di ricorrere alla forza attraverso un atto coercitivo quale è quello della precettazione che in questa circostanza sarebbe stata del tutto ingiusta ed a cui comunque non ci saremmo assoggettati, e contro la quale avremmo attivato azioni di tutela di ogni tipo con particolar riguardo a quella legale", afferma Caronia, riferendosi alla decisione del ministro dei trasporti Altero Matteoli di non emettere l'ordinanza di differimento dello sciopero programmato per il 30 e 31 agosto, appellandosi ai sindacati perchè revocassero lo stop. "Evidenzio che su questa 'nostra decisione' - aggiunge Caronia - ha molto pesato anche la consapevolezza dei gravi disagi che il nostro sciopero, seppur legittimo, avrebbe causato a migliaia di cittadini ai quali chiediamo di sostenere la nostra lotta a difesa dei diritti fondamentali come il lavoro". (26 agosto 2010)
LO STUDIO Istat, boom del lavoro "intermittente" aumentato del 75% tra il 2007 e il 2009 Chi è assunto con questo tipo di contratto lavora circa un terzo dei colleghi a tempo indeterminato, e ricopre per la stragrande maggioranza posizioni con bassa qualifica. Sono utilizzati soprattutto nel settore alberghi e ristoranti di ROSARIA AMATO Istat, boom del lavoro "intermittente" aumentato del 75% tra il 2007 e il 2009 Il lavoro a chiamata è utilizzato soprattutto in alberghi e ristoranti ROMA - Tra il 2009 e il 2007 il lavoro a chiamata è aumentato del 75 per cento: a rilevarlo è l'Istat, che precisa che le imprese che hanno utilizzato almeno un 'lavoratore intermittente' nel 2007 erano 48.000, due anni dopo erano quasi raddoppiate, con una forte concentrazione (54,5 per cento) nel settore degli alberghi e ristoranti. Infatti ognuna di queste imprese occupa in media 2,8 lavoratori a chiamata, che costituiscono il 37 per cento dei dipendenti dell'impresa. Il lavoro a chiamata è stato introdotto dalla legislazione italiana nel 2004, ricorda l'Istituto di Statistica, ma solo dal 2006 è diventato possibile raccogliere ed esaminare i dati, perché nel frattempo l'Inps aveva definito la relativa disciplina previdenziale. La crescita dei contratti di questo tipo viene rilevata nell'arco di due anni, e non di anno in anno perché a un certo punto, nella prima metà del 2008, era intervenuta una modifica della legislazione che ne limitava l'applicazione ai settori del turismo e dello spettacolo. Ma nel luglio dello stesso anno è stata ripristinata la disciplina precedente, e così i contratti a chiamata hanno ricominciato a crescere fino a raggiungere le 111.000 unità. Gli 'intermittenti' sono soprattutto operai. Le imprese ricorrono al contratto di lavoro intermittente quasi esclusivamente per coprire posizioni lavorative con qualifica operaia, che rappresentano il 90 per cento circa del totale, rileva l'Istat, con un massimo di oltre il 98 per cento nel settore degli alberghi e ristoranti. I dipendenti a chiamata inquadrati come impiegati costituiscono una quota significativa solo nel settore del commercio (36 per cento circa nel 2007 e 30 per cento nel 2009). Lavorano un settimo degli altri dipendenti. I lavoratori a chiamata lavorano molto meno dei colleghi che hanno un contratto a tempo indeterminato: infatti l'Istat ha rilevato come nel settore degli alberghi e ristoranti "la quantità di ore lavorate per posizione lavorativa rappresenta meno di un settimo dell'orario full time previsto dai contratti collettivi applicati in questo comparto". Il mese in cui si lavora di più è ovviamente agosto. Nel 2009 il numero medio delle ore pro capite mensili era pari a 30,8, e il valore più elevato si registrava nel settore delle costruzioni. In Veneto il numero maggiore di contratti. La regione in cui si concentra il maggior numero di contratti a chiamata è il Veneto (intorno al 20 per cento): di conseguenza il Nord-Est risulta l'area in cui il ricorso al job-on-call è più elevato (circa 41 per cento). Nel Nord-Ovest c'è un'alta concentrazione di lavoratori a chiamata in Lombardia (intorno al 17 per cento), mentre il Centro presenta una maggiore dispersione tra le diverse regioni. Generalmente basso è il ricorso al lavoro a chiamata nel Sud e ancor di più nelle Isole (rispettivamente 9 e 2 per cento circa). Coldiretti: nell'agricoltura un terzo dei buoni lavoro. La Coldiretti fa notare, in un comunicato diffuso poco dopo la rilevazione dell'Istat, che "i rapporti di lavoro innovativi, e in particolare i 'buoni lavoro', hanno permesso di ottenere importanti risultati nella lotta al lavoro sommerso". Dei 7,3 milioni di buoni lavoro (voucher) venduti fino alla fine di luglio, uno su tre (34 per cento) è stato utilizzato in agricoltura, spiega la Coldiretti. I voucher, ricorda l'associazione degli agricoltori, sono acquistabili dal datore di lavoro sia in forma cartacea che per via telematica presso le sedi Inps a 10 euro (e in multipli da 20 e 50 euro) e sono rimborsabili al lavoratore per 7,50 euro netti, che può riscuotere presso tutti gli uffici postali. La differenza tra quanto versato dal datore di lavoro e quanto riscosso dal lavoratore è data dai contributi Inps e Inail, che vengono accreditati direttamente al lavoratore successivamente alla riscossione del buono. Sono stati introdotti per la prima volta in occasione della vendemmia del 2008, ma sono stati estesi successivamente in vari settori, dal lavoro domestico al turismo, purché si tratti di prestazioni occasionali. Per i giovani più lavoro, ma a termine. Da un'indagine del centro di ricerche Datagiovani, che ha analizzato le previsioni di assunzione non stagionali delle aziende italiane nel 2010 secondo i dati Unioncamere-Excelsior, emerge che nel 2010 sono in aumento i posti di lavoro per gli under 30, si registra un +2,2 per cento (comunque meno del +5,4 per cento medio), ma si tratta in sei casi su dieci di contratti atipici, in prevalenza a tempo determinato. Secondo l'indagine, il 2010 può essere un anno interessante per le prospettive occupazionali dei giovani italiani, con quasi 197 mila posti di lavoro disponibili, pari al 35,6 per cento delle assunzioni totali previste. Le aziende, soprattutto quelle fino a 49 dipendenti ed attive nel commercio al dettaglio, nel manifatturiero, nelle costruzioni e nei servizi turistici,cercano giovani qualificati, con titoli di studio medio-alti o professionalizzanti ed ad indirizzo tecnico. Le mansioni da ricoprire sono di tipo qualificato nelle attività commerciali e nei servizi (28,8 per cento), professioni tecniche (18,5 per cento) ed operai specializzati (18 per cento). Tra le caratteristiche personali richieste ai giovani assume sempre più rilevanza la conoscenza di una lingua straniera (oltre un terzo delle assunzioni) oltre che le conoscenze informatiche (più della metà). (26 agosto 2010)
SAN FERDINANDO DI PUGLIA In tre cadono in una cisterna un morto, gli altri vivi per miracolo L'incidente in un terreno privato nel centro agricolo a 70 chilometri a nord di Bari. Lavoravano per la coibentazione del pozzo. Sono caduti mentre cercavano di aiutarsi a vicenda. Anche il terzo estratto vivo ma poi ha cessato di respirare In tre cadono in una cisterna un morto, gli altri vivi per miracolo I soccirritori sul luogo della tragedia SAN FERDINANDO - Un morto. Due persone vive per miracolo. E' questo il bilancio dell'incidente sul lavoro che si è verificato oggi pomeriggio a San Ferdinando di Puglia, piccolo comune della provincia di Barletta, 70 chilometri a nord di Bari. L'incidente poteva avere conseguenze più gravi: la strage è stata forse evitata dai vigili del fuoco di Foggia che hanno subito aperto e calato nella cisterna bombole di aria compressa per aiutare a respirare le tre persone intrappolate. La ricostruzione dei fatti è stata subito chiara ai soccorritori. I tre si erano calati nella cisterna l'uno per salvare l'altro. Il primo a scendere è stato un operaio. L'uomo, con catrame e diluente, stava impermeabilizzando le parenti di una vecchia cisterna di campagna che raccoglie l'acqua piovana e la immette in un uliveto. Si era calato da un'imboccatura molto stretta, simile ad un imbuto, e lavorava ad una profondità di sette otto-metri. All'improvviso l'operaio, Antonio Della Pietra, di 51 anni, si è sentito male, ha portato le mani alla gola e si è accasciato sul pavimento. Dalla superficie si è accorto del malore un altro operaio, Sabino Mastrototaro, di 43 anni, che si è subito calato nella cavità per soccorrere l'amico, ma anche lui ha perso quasi subito i sensi. Alla scena ha assistito il cognato di Mastrotorato, il carabiniere Sabino D'Assisti, proprietario del terreno. Il militare non ha perso tempo, è sceso nella cisterna per salvare i due amici ma è rimasto stordito dalle esalazioni provocate dal catrame e dal diluente, due sostanze volatili e assai tossiche in un ambiente così piccolo. A dare l'allarme è stato il fratello del carabiniere dopo aver perso i contatti con il congiunto. All'inizio i vigili del fuoco credevano che i tre fossero morti perchè tra l'incidente e l'allarme era trascorsa circa un'ora e mezza. Appena giunti sul posto i pompieri hanno calato nella cisterna bombole aperte di aria compressa per diluire la concentrazione delle sostanze tossiche; poi hanno allargato l'imboccatura della cavità, si sono intrufolati all'interno e hanno capito che Mastrototaro e D'Assisti respiravano ancora; per Della Pietra, nonostante i tentativi di rianimarlo, invece non c'era più nulla da fare. I due feriti sono stati portati nell'ospedale di Cerignola (Foggia) dove sono ora ricoverati. Le loro condizioni di salute sono state giudicate discrete dai sanitari del pronto soccorso. La dinamica dell'incidente ricorda quello avvenuto il 3 marzo 2008 a Molfetta (Bari) in cui persero la vita cinque persone: il proprietario e i dipendenti della ditta Truck Center, impegnati a pulite un cisterna ferroviaria dalle incrostazioni di zolfo. Per queste morti, in primo grado, sono stati condannati tre dei quattro imputati e le società coinvolte nella tragedia. La sentenza, è stata però impugnata dalla procura generale presso la Corte d'appello di Bari che ha chiesto pene più pesanti. (25 agosto 2010) 2010-08-25 Melfi, operai: "Non entriamo, ma qui ogni giorno" La Cei plaude all'intevento di Napolitano I tre dipendenti licenziati e reintegrati dal giudice esprimono soddisfazione per le parole del presidente e anche del ministro Matteoli. Anche i vescovi con il Colle. Dal 22 settembre all'1 ottobre la Sata metterà tutti i lavoratori in Cig Melfi, operai: "Non entriamo, ma qui ogni giorno" La Cei plaude all'intevento di Napolitano I tre operai intervistati davanti ai cancelli della Fiat Sata MELFI - I tre operai che la Fiat di Melfi non intende far lavorare nonostante una sentenza ne disponga il reintegro annunciano che continueranno a presentarsi tutti i giorni ai cancelli della fabbrica, anche se l'azienda dovesse mantenere ferma la propria posizione fino a quando si concluderà il processo d'appello. "Non entreremo neanche oggi in fabbrica ma saremo qui ogni giorno, al turno delle ore 14: ci aspettiamo novità positive per domani", hanno detto Giovanni Barozzino e Antonio Lamorte. Lamorte, parlando con i giornalisti, ha sottolineato "l'importanza delle dichiarazioni del Ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, sulla necessità che le sentenze dei giudici siano rispettate, anche se non piacciono". Ma ancora maggiore, ha affermato Barozzino, è la soddisfazione per la lettera che il presidente della Repubblica Napolitano ha loro inviato ieri, rispondendo dopo poche ore al loro appello: "Provo ancora una sensazione bellissima al pensiero che il presidente della Repubblica ha risposto alla nostra lettera. Lo ringraziamo profondamente e speriamo che il suo intervento serva a sbloccare questa vicenda". La presa di posizione del Capo dello Stato viene invece duramente criticata dal segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo, che la definisce "una grave ingerenza nel merito dell'operato dei magistrati". Davanti ai cancelli della fabbrica c'è stamattina anche l'attore Ulderico Pesce: indossa una tuta con la scritta Sata e tiene in mano un teschio su cui ha attaccato la stessa scritta. Intanto i lavoratori dello stabilimento di Melfi, dove si produce la "Punto Evo", saranno collocati in cassa integrazione dal 22 settembre all'1 ottobre prossimo. La notizia, che si è appresa da fonti sindacali a Melfi, è stata confermata da quelle aziendali. La cassa integrazione è stata decisa a causa della "discesa della richiesta di mercato". La Cei: "Bene Napolitano". "L'intervento del presidente Napolitano è stato nobilissimo, rapido, incisivo e lucido". E' quanto ha detto mons. Giancarlo Maria Bregantini, Presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace. "L'azienda - ha aggiunto - ha dei compiti e degli obblighi non solo di natura economica ma anche di natura personale. Poi c'è la funzione sociale, cioè la responsabilità verso la persona e l'ambiente, quindi la dignità di fronte a Dio". Alla luce dunque della dottrina sociale della Chiesa, conclude il prelato, si può dire "che l'azienda stia compiendo un errore etico". (25 agosto 2010)
2010-08-24 FIAT Napolitano risponde agli operai "Rimettiamoci all'autorità giudiziaria" Lettera del presidente della Repubblica ai tre dipendenti di Melfi licenziati e reintegrati da una sentenza. "Profondo rammarico", auspicio che si creino le condizioni "per un confronto pacato e sereno" Napolitano risponde agli operai "Rimettiamoci all'autorità giudiziaria" Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ROMA - I tre operai di Melfi si sono rivolti a lui 1come supremo garante dello Stato, e il presidente della Repubblica non li fa aspettare: nel giro di poche ore la risposta del Capo dello Stato viene resa pubblica, e non si tratta di parole di circostanza. "Cari Barozzino, Lamorte e Pignatelli, ho letto con attenzione la lettera che avete voluto indirizzarmi - esordisce Napolitano - e non posso che esprimere il mio profondo rammarico per la tensione creatasi alla Fiat Sata di Melfi in relazione ai licenziamenti che vi hanno colpito e, successivamente, alla mancata vostra reintegrazione nel posto di lavoro sulla base della decisione del Tribunale di Melfi". Anche per quest'ultimo sviluppo della vicenda - ricorda Napolitano - è chiamata a intervenire, su esplicita richiesta vostra e dei vostri legali, l'Autorità Giudiziaria: e ad essa non posso che rimettermi anch'io, proprio per rispetto di quelle regole dello Stato di diritto a cui voi vi richiamate. Comprendo molto bene come consideriate lesivo della vostra dignità "percepire la retribuzione senza lavorare". Il mio vivissimo auspicio - che spero sia ascoltato anche dalla dirigenza della FIAT - è che questo grave episodio possa essere superato, nell'attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria, e in modo da creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell'attività della maggiore azienda manufatturiera italiana e dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale". IL CASO Il sindaco di un paese del Napoletano annuncia: "Mai più Fiat" 2 (24 agosto 2010)
Epifani: "Da Napolitano grande sensibilità verso il lavoro" Plaudono alle parole del Capo dello Stato anche i segretari di Ugl e Sinpa, il sindacato padano. E il Pd invita l'azienda "a riflettere sulle parole del presidente della Repubblica" Epifani: "Da Napolitano grande sensibilità verso il lavoro" ROMA - Parole di apprezzamento per il contenuto della lettera del presidente della Repubblica ai tre operai di Melfi vengono espresse da diversi esponenti sindacali e politici. A comiciare dal segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, che esprime "ringraziamento e apprezzamento per le parole spese dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, 1 in relazione alla vicenda dei tre operai di Melfi. Il presidente mostra ancora una volta la sua grande sensibilità nei confronti del mondo del lavoro". Analoga la posizione del segretario generale dell'Ugl, Giovanni Centrella: "Condividiamo totalmente le parole con cui il presidente della Repubblica ha risposto all'appello dei tre operai di Melfi. Se la più alta carica dello Stato invita alla cautela e alla saggezza anche l'azienda, Fiat non può fare a meno di ascoltarlo", scrive il dirigente sindacale in una nota. E del segretario del sindacato padano Sinpa e vicepresidente del Senato Rosi Mauro: "A prescindere dalla appartenenza delle organizzazioni sindacali i diritti dei lavoratori sono uguali per tutti. La sentenza del giudice è chiara e a ciò la Fiat si deve attenere. Siamo in uno stadio di diritto e i diritti valgono per tutti. Questi lavoratori devono essere reintegrati". "La Fiat ora rifletta sulle parole del capo dello Stato. - afferma Francesco Boccia, membro dell'Ufficio di presidenza del gruppo del Pd della Camera - Il rispetto delle leggi e della dignità dei lavoratori significa soprattutto in questo momento storico non allargare un pericoloso fossato sociale. L'azienda, seguendo le parole di Napolitano, torni ad essere patrimonio del Paese". Lo chiede anche il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando: "La Fiat ascolti il monito che arriva dal presidente della Repubblica. I tre operai dello stabilimento di Melfi devono tornare sul loro posto di lavoro, come è stato stabilito dalla sentenza del giudice. Una grande azienda come quella torinese non può considerarsi al di sopra della legge, aggirando la decisione di un tribunale, nè può pensare di calpestare i diritti dei lavoratori previsti dalla Costituzione con inutili atti di forza". "Grazie al Capo dello Stato Napolitano e al suo richiamo al rispetto della legge: adesso Maroni faccia il suo dovere, garantendo il reintegro sul posto di lavoro ai tre operai che ne hanno diritto", dice il segretario nazionale del Prc/Federazione della Sinistra, Paolo Ferrero. (24 agosto 2010)
Vertenza Melfi, il sindaco si ribella "Il Comune non comprerà più Fiat" Polemico annuncio di Sauro Secone, primo cittadino del Pd di Quarto. "Non acquisteremo o stipuleremo contratti di leasing con il marchio del Lingotto visto che l'azienda calpesta di fatto la dignità dei tre lavoratori licenziati e poi riassunti" Vertenza Melfi, il sindaco si ribella "Il Comune non comprerà più Fiat" "Il Comune di Quarto non acquisterà più nè stipulerà contratti di leasing usando auto con il marchio Fiat per le sue autovetture di servizio". Lo ha detto il sindaco di Quarto Sauro Secone del Pd intervenendo nel braccio di ferro tra la Fiat e i 3 operai licenziati e poi riassunti grazie ad una sentenza del giudice del lavoro nello stabilimento di Melfi. Ai vertici del Lingotto Secone ha mandato un messaggio: "quanto sta avvenendo in questi ultimi giorni nello stabilimento Fiat di Melfi è un qualcosa che lascia non poco amareggiati. E' assurdo che una multinazionale come la Fiat abbia deciso di non dare seguito ad una sentenza pronunciata dalla magistratura italiana, calpestando di fatto i diritti e la dignità dei tre lavoratori licenziati e poi riassunti. Qui sono in gioco -prosegue Secone- non solo tre posti di lavoro ma soprattutto il rispetto e la dignità di tutti i lavoratori" (24 agosto 2010) © Riproduzione riservata
Matteoli: "Le sentenze vanno rispettate" Gli operai scrivono a Napolitano Il ministro: "Le decisioni della magistratura vanno accolte anche quando non ci piacciono". I tre davanti alla fabbrica ma non entrano. Camusso (Cgil): "Dall'azienda motivazioni pretestuose" Matteoli: "Le sentenze vanno rispettate" Gli operai scrivono a Napolitano I tre operai al centro dello scontro con la Fiat * Melfi, i 3 operai reintegrati dirottati nella 'saletta' La Fiom presenta una denuncia penale articolo Melfi, i 3 operai reintegrati dirottati nella 'saletta' La Fiom presenta una denuncia penale * Epifani: "Così Marchionne danneggia l'azienda pronti a ricucire ma sui diritti non cediamo" articolo Epifani: "Così Marchionne danneggia l'azienda pronti a ricucire ma sui diritti non cediamo" * Fiat, i tre operai licenziati di Melfi "Domani ci presenteremo al lavoro" articolo Fiat, i tre operai licenziati di Melfi "Domani ci presenteremo al lavoro" * La Fiat agli operai reintegrati "Non presentatevi al lavoro" articolo La Fiat agli operai reintegrati "Non presentatevi al lavoro" * Operai reintegrati, la Fiat fa ricorso "Hanno bloccato le linee di montaggio" articolo Operai reintegrati, la Fiat fa ricorso "Hanno bloccato le linee di montaggio" * Melfi, reintegrati gli operai licenziati Il giudice: "Provvedimento antisindacale" articolo Melfi, reintegrati gli operai licenziati Il giudice: "Provvedimento antisindacale" ROMA - Aumentano appelli e interventi contro la decisione della Fiat di non consentire ai tre operai di Melfi, prima licenziati poi reintegrati dal giudice, di tornare a lavorare in fabbrica. La richiesta all'azienda di applicare la sentenza arriva da più parti, dai sindacati al governo, attraverso le dichiarazioni del ministro Matteoli. Intanto Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, che oggi si sono presentati di nuovo davanti ai cancelli della fabbrica senza però entrare, hanno scritto al presidente Napolitano, chiedendo di intervenire nella vicenda "per farci sentire lavoratori, uomini e padri". La lettera a Napolitano. "Ci rivolgiamo a lei, presidente, perché richiami i protagonisti di questa vicenda al rispetto delle leggi" hanno scritto i tre operai in una lettera indirizzata a Giorgio Napolitano. "Signor presidente - proseguono - per sentirci uomini e non parassiti di questa società vogliamo guadagnarci il pane come ogni padre di famiglia e non percepire la retribuzione senza lavorare". La decisione della Fiat Sata "di non reintegrarci nel nostro posto di lavoro è una palese violazione della legge" ma, aggiungono, "in uno Stato di diritto non dovrebbe essere neppure consentito di dichiarare a tutti (stampa compresa) di voler disattendere un provvedimento legalmente impartito dalla autorità giudiziaria con ciò mostrando disprezzo per la Costituzione e per le leggi". Nella lettera i tre operai ripercorrono la vicenda, dal licenziamento all'ultima decisione della Fiat nei loro confronti, ossia "continuare a percepire la sola retribuzione" senza però "il diritto a essere reintegrati nella nostra postazione lavorativa" ma rimandendo "confinati nella saletta sindacale", distante circa 400 metri dal luogo di lavoro dei compagni. "Non sia senza significato precisare che soltanto due di noi sono Rsu - aggiungono - mentre Marco Pignatelli è un mero iscritto alla Fiom-Cgil e non avrebbe 'prerogative sindacali' da svolgere all'interno della saletta". In conclusione, i tre chiedono un intervento a Napolitano per "farci sentire lavoratori, uomini e padri". Matteoli: "C'è una sentenza e va rispettata". "Le sentenze vanno rispettate anche quando non ci fanno piacere" ha detto il ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Altero Matteoli commentando la vicenda dei tre operai licenziati a Melfi 1e reintegrati dal giudice del Lavoro. "Se il nostro è uno stato di diritto - ha aggiunto il ministro al Meeting di Rimini - non lo può essere a fasi alterne. C'è una sentenza e va rispettata". I tre operai davanti alla fabbrica. Anche oggi i tre operai sono tornati davanti ai cancelli dello stabilimento, ma questa volta non proveranno a entrare. Barozzino, Lamorte e Pignatelli, sostenuti da colleghi e da rappresentanti del sindacato, si sono fermati davanti all'ingresso B del reparto montaggio senza varcare la soglia, per evitare di essere nuovamente bloccati dalla vigilanza 2, come è accaduto ieri quanto i tre si sono presentati in fabbrica al loro turno. La Fiat li aveva invitati a rimanere a casa 3, impegnandosi a pagare loro lo stipendio fino al 6 ottobre, quando arriverà in tribunale il ricorso contro il reintegro 4. Ieri, dopo che i tre si sono presentati allo stabilimento, l'azienda ha proposto loro di fare solo attività sindacale senza avere accesso alle postazioni lavorative. I tre si sono rifiutati e la Fiom della Basilicata ha sporto denuncia contro l'azienda per mancata attuazione del provvedimento giudiziario. Gli operai stanno valutando con gli avvocati e la Fiom se richiedere allo stesso giudice che ha deciso il reintegro, Emilio Minio, di precisarne l'applicazione. Camusso (Cgil): "Dall'azienda motivazioni pretestuose". La Fiat "deve rispettare" la sentenza della magistratura sul reintegro degli operai di Melfi anche perché le ragioni fornite "sono pretestuose" ha sottolineato la vice segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, intervenendo alla trasmissione radiofonica Radio Anch'io. "C'è una sentenza esecutiva della procura di Potenza - ha spiegato Camusso - e la Fiat deve rispettarla. Non c'e nessuno che possa esimersi dal rispettare una sentenza della magistratura con nessuna motivazione e quelle peraltro fonite in questa occasione dalla Fiat sono del tutto pretestuose". "Nessuna distinzione tra Fiom e Cgil". Replicando nel corso della trasmissione al leader della Cisl, Raffaele Bonanni, che ha accusato la Fiom di non rispettare le regole, la sindacalista ha tenuto a precisare che "non c'e nessuna differenza tra quanto sostiene la nostra organizzazione di categoria e quanto sostiene la Cgil, perché appunto va fatto rispettare un diritto che è quello del reintegro dei lavoratori". Camusso ha poi osservato: "Non penso che siamo caduti in una trappola, mi stupisce che un grande sindacato come la Cisl non capisca che se non si rispettano delle forme basilari che stanno alle origini delle relazioni sindacali non si può separare ogni pezzetto del percorso". "Bisognerebbe dire alla Fiat - ha aggiunto - con la nettezza con cui va detto, che fa parte di un sistema, di un Paese che ha delle regole e che quelle regole vanno rispettate da parte di tutti. E' importantissimo che la Fiat investa, noi l'abbiamo chiesto, rivendicato e sostenuto e non abbiamo nessun dubbio. Ma si investa secondo le regole e rispettando il diritto dei lavoratori". Fassina (Pd): dov'è il ministro del Lavoro? "Il governo Berlusconi, oltre al ministro per lo Sviluppo economico, ha perso anche il ministro del Lavoro? Finalmente un ministro di questo governo richiama la Fiat al rispetto delle regole, ma non è Sacconi. È Matteoli" dice Stefano Fassina, della segreteria Pd, responsabile Economia e lavoro, che aggiunge: "Sacconi continua, invece, a strumentalizzare la vicenda Fiat per portare avanti il programma di smantellamento dei diritti dei lavoratori. Il lavoro è dignità. Il lavoratore non è semplicemente un fattore di produzione, è una persona. La risposta alla competizione globale non deve necessariamente passare per la regressione delle condizioni del lavoro". (24 agosto 2010)
TRASPORTI Tirrenia, Matteoli convoca i sindacati La Uilt rinvia lo sciopero previsto per 30 e 31 Il ministro ha dato appuntamento a Uiltrasporti, Fit-Cisl e Filt-Cgil per il 6 settembre. La protesta, alla quale avevano aderito anche Orsa e Federmar Cisal, rinviata ad altra data. Saglia: "Si farà come per Alitalia" Tirrenia, Matteoli convoca i sindacati La Uilt rinvia lo sciopero previsto per 30 e 31 Il ministro dei Trasporti Altero Matteoli ROMA - "L'atto di responsabilità" chiesto al governo dai sindacati in relazione alla privatizzazione della Tirrenia è arrivato, anche se viene solo in parte incontro alle loro richieste di una "convocazione immediata", e la Uiltrasporti annuncia il rinvio ad altra data dello sciopero di 48 ore proclamato ieri per il 30 e 31 agosto, nonostante la moratoria. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, ha convocato i sindacati per lunedì 6 settembre, alle 17.30, il giorno dopo la fine della moratoria estiva dagli scioperi, che dura fino al 5 settembre. La convocazione era intesa anche come un passo per arrivare alla revoca dello sciopero proclamato dalla Uilt per il 30 e 31 agosto 1, giornata molto difficile per i trasporti marittimi a causa del controesodo: inizialmente la Uiltrasporti non ha ritenuto che fosse sufficiente, ma poi si è arresa quando ha ricevuto l'ordinanza di differimento dello sciopero da parte dello stesso ministero. Allo sciopero proclamato dalla Uiltrasporti avevano aderito anche Orsa e Federmar Cisal. Alla riunione del 6 settembre, che si terrà presso il dicastero di Porta Pia, parteciperanno anche la presidenza del Consiglio, i ministeri dell'Economia, del Lavoro e l'amministratore straordinario di Tirrenia, si legge nel comunicato diffuso dall'ufficio stampa del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Stamattina Matteoli, rispondendo alle domande dei giornalisti, aveva detto che il ministero stava trattando per far rientrare lo sciopero. Ieri i sindacati avevano chiarito che non sarebbero tornati sui loro passi neanche in caso di precettazione, e che avrebbero annullato la proclamazione di sciopero solo in presenza di una "convocazione a Palazzo Chigi per mettere nero su bianco le garanzie per i lavoratori". Ma avevano chiarito che si riferivano a una convocazione pressoché immediata. Si è mostrato estremamente critico nei confronti dello sciopero proclamato dalla Uiltrasporti il presidente di Moby, Vincenzo Onorato, che ha diffuso una nota nella quale ribadisce la volontà di acquisire la compagnia di navigazione. "Nei prossimi giorni - ha annunciato Onorato - contatteremo l'amministratore straordinario D'Andrea per avviare una trattativa". Ma intanto, ha affermato Onorato, "uno sciopero, in questo particolare momento della vita della compagnia, è un atto irresponsabile che la condannerebbe definitivamente a morte, oltre a creare un serio danno all'economia della Sardegna paralizzando di fatto i porti nel momento di massimo esodo dall'isola. Spero che prevalga il buon senso e che Caronia revochi lo sciopero". E intanto fa discutere l'ipotesi lanciata questa mattina a "Radio Anch'io" dal sottosegretario allo Sviluppo Economico, Stefano Saglia: "Io temo che non ci siano soluzioni diverse che quelle perseguite in altre situazioni, come ad esempio Alitalia, dove si è creata una bad company e una good company, cioè capire dove sono gli asset positivi", ha detto Saglia. Una proposta che Matteoli afferma di non conoscere: "Contatterò Saglia per chiedergli cosa intende, ha detto il ministro. "Se non si trova una soluzione per il 30 settembre - ha poi aggiunto Matteoli a margine del Meeting di Rimini - dovremo prorogare le concessioni e trovare un accordo in Europa", perché le intese con Bruxelles prevedono che la privatizzazione vada in porto prima di quella data. (24 agosto 2010)
2010-08-23 IL CASO Melfi, i 3 operai reintegrati dirottati nella 'saletta' L'avvocato Fiom: "Pronti alla denuncia penale" I lavoratori licenziati dopo il passaggio ai tornelli sono stati fermati dalla vigilanza interna. La proposta della Fiat: "Fate solo attività sindacale". I 3 dipendenti rifiutano e vanno via. "Ci appelliamo al presidente Napolitano". L'azienda: "Provvedimenti adottati pienamente legittimi" MELFI - Sfida in corso nello stabilimento Fiat di Melfi, dove oggi, come aveva disposto una sentenza della magistratura del lavoro, i tre dipendenti licenziati ingiustamente sarebbero dovuti tornare al loro posto. Al cambio turno delle 13.30 i tre operai della Fiat - Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli - sono entrati nello stabilimento di Melfi (Potenza), fra gli applausi dei colleghi, ma sono stati bloccati dalla vigilanza interna che li ha invitati a seguirli nel loro gabbiotto. I tre operai erano accompagnati dagli avvocati e da un ufficiale giudiziario, che aveva il compito di notificare il provvedimento di reintegro del giudice del lavoro di Melfi. Poco dopo le 14, l'azienda ha comunicato che ai tre operai veniva di fatto vietato l'accesso alle postazioni nella catena di montaggio i lavoratori, due dei quali sono delegati Fiom, avrebbero potuto continuare a svolgere attività sindacale all'interno della fabbrica. La Fiat avrebbe messo pertanto a disposizione degli operai la 'saletta sindacale' dove restare durante il turno di lavoro, in attesa del pronunciamento del giudice sul ricorso della casa automobilistica. Una proposta rigettata dai dirigenti della Fiom e dai legali dell'organizzazione sindacale: poco dopo le 15, i tre dipendenti sono usciti dall'azienda. Una decisione legittima secondo la Fiat Sata di Melfi, che in un successivo comunicato ne ha chiarito le ragioni: "La Fiat Sata di Melfi, fiduciosa che il Tribunale di Melfi, nel giudizio di opposizione, saprà ristabilire la verità dei fatti, ribadisce la ferma convinzione che siano pienamente legittimi i provvedimenti adottati nei confronti dei tre lavoratori". L'azienda ha ricordato che a carico dei tre lavoratori "è in corso anche indagine penale da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Melfi". Secondo l'azienda, "fu un volontario e prolungato illegittimo blocco della produzione, e non esercizio del diritto di sciopero". Nella stessa nota la Fiat sostiene di aver "doverosamente eseguito" il provvedimento di reintegro emesso dal tribunale di Melfi. "La decisione di "non avvalersi della sola prestazione di attività lavorativa dei tre interessati, che costituisce prassi consolidata nelle cause di lavoro e che ha l'obiettivo di evitare ulteriori occasioni di lite tra le parti in causa, trova, nel caso specifico - si legge ancora nella nota - ampia e giustificata motivazione nei comportamenti contestati che, in attesa del completarsi degli accertamenti processuali, si riflettono negativamente sul rapporto fiduciario fra azienda e lavoratori". "Ci volevano relegare in una stanzetta predisposta all'attività sindacale - hanno commentato uscendo dalla fabbrica le tre tute blu - non dando piena attuazione alla sentenza del giudice del lavoro che aveva predisposto il nostro totale reintegro". "Rivoglio il mio posto di lavoro e mi presenterò tutti i giorni ai cancelli della fiat fino a quando mi faranno tornare alla mia postazione", ha annunciato Barozzino, parlando anche a nome dei due colleghi. "Non sono un parassita - ha continuato l'operaio - voglio guadagnarmi il pane come ogni padre di famiglia". L'avvocato della Fiom ha chiesto all'ufficiale giudiziario di verbalizzare la decisione dell'azienda di collocare i tre operai reintegrati in una saletta per svolgere esclusivamente attività sindacale. Secondo il legale, i tre operai sono stati reintegrati dal giudice del lavoro e devono tornare nella stessa posizione e nelle stesse mansioni che occupavano all'atto della sospensione e del successivo licenziamento. "La decisione della Fiat è inaccettabile", ha detto l'avvocato Lina Grosso, legale della Fiom, intenzionata a presentare una denuncia penale alla Procura della Repubblica di Melfi (Potenza) contro la Fiat. Davanti ai cancelli dello stabilimento di Melfi stamattina c'erano giornalisti, fotografi e cineoperatori. Nei pressi dello stabilimento c'erano anche i carabinieri. L'azienda, dopo il reintegro deciso dal giudice, aveva comunicato per telegramma ai tre operai che non intendeva avvalersi del loro lavoro. La Fiat aveva precisato nella sua comunicazione di voler continuare a pagare i tre dipendenti fino alla definizione del proprio ricorso contro la sentenza di reintegro nel posto di lavoro e nelle mansioni dei tre dipendenti. L'udienza sul merito della vicenda è fissata per il 6 ottobre prossimo. In un volantino distribuito davanti alla fabbrica, la Fiom ha chiesto l'intervento del presidente della Repubblica e "di tutte le istituzioni democratiche" perché sia fatto rispettare "il principio costituzionale secondo cui la legge è uguale per tutti". "Lancio un appello al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: non ci faccia vergognare di essere italiani": ha ribadito rivolgendosi ai giornalisti Giovanni Barozzino. La Fiom ha proclamato uno sciopero dalle 14 alle 15: gli operai hanno sfilato in corteo all'interno dello stabilimento di Melfi. Secondo la Fiom hanno partecipato i lavoratori del secondo turno, secondo l'azienda solo il 5,2 per cento nella prima ora. A Rimini per il Meeting di Comunione e Liberazione, il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi non ha voluto commentare "nel merito" lo scontro che vede protagonisti stamattina i tre operai e la Fiat, per rispetto della sentenza della magistratura, ma poi ha aggiunto: "Mi spiace non avere sentito la Fiom pronunciarsi sulla dimensione politica, ovvero può un lavoratore impedire agli altri di lavorare? Possono accadere cose di questo tipo anche nell'ambito di uno sciopero regolamentare? La Fiom dovrebbe dire: "Noi crediamo che i lavoratori non lo abbiano fatto, ma sul piano teorico è giusto non fermare il carrello". Opposta la posizione del Pd: "Abbiamo sperato fino all'ultimo che la Fiat tornasse indietro. Invece, l'ennesima prova di forza per umiliare i lavoratori reintegrati: dentro il perimetro dell'azienda di Melfi per tentare di adempiere formalmente alla decisone del tribunale, ma fuori dall'attività produttiva", ha affermato Stefano Fassina, responsabile Economia e Lavoro del Pd. "La Fiat 'dopo Cristo', nega la dignità del lavoro e colpisce l'autonomia delle forze sindacali. In tale contesto, - ha concluso Fassina - è gravissima la latitanza del governo. Il Ministro Sacconi utilizza lo slogan 'meno Stato più societa" per lasciar andare avanti pesanti ingiustizie a danno dei lavoratori". (23 agosto 2010)
2010-08-20 INCHIESTA ITALIANA Tangenti, truffe, poco lavoro La formazione è una fabbrica di precari Ci sono 2,3 milioni di persone in cerca di un posto, un mercato enorme per i professionisti dei corsi. Gli unici a godere dei fondi stanziati sono gli organizzatori e negli ultimi anni i casi di raggiro si sono quintuplicati. Centinaia di iniziative ma senza reali sbocchi di DAVIDE CARLUCCI e ANTONIO FRASCHILLA Tangenti, truffe, poco lavoro La formazione è una fabbrica di precari Ogni uomo che perde il lavoro per loro è una straordinaria opportunità. Ogni donna che non riesce a trovarlo per loro è una risorsa. I precari sono il loro target, gli operai in esubero il loro pane quotidiano. Sono i professionisti della disoccupazione. Organizzano corsi di formazione, a volte finti, spesso inutili. E mai come ora fanno affari: con la crisi, secondo le ultime rilevazioni Istat, il numero degli italiani in cerca di lavoro è salito alla cifra record di 2,3 milioni, e altri 230mila posti si bruceranno, secondo Confindustria, entro il 2010: per loro è una manna dal cielo. Quanti sono gli enti che utilizzano i fondi per la ricollocazione dei lavoratori solo per giustificare la loro esistenza? Quali risultati hanno prodotto finora, quante persone hanno reinserito? Per rispondere a queste domande bisogna prima descrivere un sistema che attira ogni anno - oltre agli investimenti privati delle famiglie per corsi di avviamento al lavoro - finanziamenti pubblici per quasi 20 miliardi di euro. LA TORTA Alla cifra si arriva sommando la metà dei "32 miliardi di euro nel biennio" che secondo il ministro del Welfare Maurizio Sacconi sono a disposizione, tra fondi nazionali e comunitari, per gli ammortizzatori sociali e i 2,5 miliardi destinati alla formazione professionale. Di quest'ultima somma, una parte consistente viene destinata ai corsi per disoccupati, apprendisti, giovani alla prima esperienza o lavoratori a rischio di esclusione: a tutte queste attività, secondo l'ultimo rapporto Isfol, hanno partecipato 360mila persone. La Lombardia, tra le regioni più colpite dalla crisi, ha stanziato nel 2009 112 milioni di euro per le "doti formative". Sicilia e Campania, afflitte da disoccupazione cronica, spendono 500 milioni di euro all'anno. Tutto questo fiume di denaro alimenta gli appetiti degli speculatori? LE INCHIESTE "Development enterprise tourism", "cooperazione internazionale", "business administration & finance": leggendo l'elenco delle materie che s'insegnavano ai corsi formativi organizzati a Padova da alcune cooperative della Compagnia delle Opere sembrava di essere ad Harvard. Ma per la procura era una gigantesca montatura, così come erano gonfiate le ore di lezione e di lavoro svolte e il numero dei docenti impegnati: tutto per arrivare a rendicontare 561mila euro, la cifra intascata dal ministero, dall'Unione europea e dalla Regione Veneto. Pensava in grande anche Tonino Tidu, un tempo assessore Dc sardo e presidente dell'Enaip, tuttora nel consiglio nazionale delle Acli, imputato in un processo a Cagliari: avrebbe gestito, secondo l'accusa, 358mila euro di finanziamenti regionali per corsi per "operatore su pc", "addetto alle piante aromatiche e officinali" e "orticoltore" senza produrre un posto. Di inchieste così se ne trovano in tutti i palazzi di giustizia italiani. A novembre si apre a Roma il processo al deputato Pdl Giorgio Simeoni, accusato di aver ricevuto, da assessore regionale alla Scuola, nel 2005, una tangente da 100mila euro dai titolari di una società per chiudere un occhio sui corsi di formazione inesistenti, ma regolarmente finanziati con contributi comunitari, da loro organizzati. In Liguria ogni partito aveva il suo consorzio da spingere, come sta dimostrando un'inchiesta della procura di Genova che vede coinvolti, tra gli altri, l'assessore regionale alla Pesca Giancarlo Cassini e il consigliere Vito Vattuone, del Pd, e Nicola Abbundo, del Pdl, teorico, nei tempi in cui era assessore, del "modello ligure dell'eccellenza formativa". E se in Campania gli stage dei mille partecipanti al progetto "Isola" avvenivano solo sulla carta, in Puglia, ai tempi del centrodestra, i fondi per l'inserimento dei disabili finivano in tasca ad assessori, funzionari regionali e imprenditori: così sono spariti cinque milioni di euro, assicurano i magistrati nel processo tuttora in corso. Dopo gli scandali, le giunte di Vendola hanno cercato di far pulizia tra i cosiddetti enti storici della formazione. Tra ottobre e dicembre del 2009 sono stati sospesi gli accreditamenti per quattro agenzie. Come il Cefop, il centro europeo per la formazione ed orientamento professionale, che era stato ammesso a finanziamenti per 4,2 milioni di euro per corsi come "operatore audiovisivo" e "animatore di villaggi turistici". "Ora - spiega l'assessore regionale Alba Sasso - rivedremo tutti i criteri per l'accreditamento e cercheremo di recuperare i debiti, per decine di milioni di euro, che gli enti hanno accumulato verso la Regione". Molto rigoroso nel valutare i risultati della formazione professionale attraverso monitoraggi periodici è il Friuli-Venezia Giulia. La percentuale di inserimento dei cassintegrati e dei disoccupati friulani è molto alta. Ma è così in tutt'Italia? IL CASO SICILIA La risposta della procura della Corte dei conti siciliana è no: per ogni corso di formazione solo un disoccupato e mezzo trova effettivamente lavoro. I costi della collettività per ogni occupato, secondo i calcoli dei magistrati contabili, ammontano a 72mila euro. Soldi che in Sicilia vanno a 400 enti privati i quali danno lavoro a 7300 persone, ai quali andrebbero aggiunti i 1800 impiegati agli sportelli multifunzionali affidati ai privati dalla Regione, che nel frattempo spende altri 60 milioni di euro per finanziare i centri per l'impiego pubblici. L'isola è tra la regioni con il più alto tasso di disoccupazione, il doppio rispetto alla media italiana. E così l'Europa attraverso il Fondo sociale dal 2003 al 2010 ha fatto piovere in Sicilia 1,5 miliardi di euro per finanziare i corsi. Il risultato? Un boom di enti che fanno capo a politici targati Mpa, Pdl, Pd e Udc, sindacati (Cisl e Uil ricevono la gran parte dei finanziamenti) e associazioni cattoliche (dai salesiani alle Acli). Tutti enti accreditati dalla Regione per far diventare i disoccupati siciliani marinai, artigiani, parrucchieri, esperti informatici, colf o badanti. La maggior parte dei formatori sono stati assunti tra il 2006 e il 2008, a ridosso delle grandi tornate elettorali che hanno portato sul trono della Regione prima Salvatore Cuffaro e poi Raffaele Lombardo. Un ginepraio che garantisce un sussidio che va dai 400 ai 1.000 euro al mese per oltre quarantamila corsisti che ogni anno si siedono sui banchi d'oro pagati dalla Regione. Gli assessori che hanno guidato la Formazione, da Francesco Scoma a Santi Formica entrambi del Pdl, sono diventati i re dei consensi. Nella formazione la politica la fa da padrone: i nomi di Francantonio Genovese e Gaspare Vitrano del Pd, oppure quelli di Lino Leanza, numero due dell'Mpa di Lombardo, o Nino Dina dell'Udc sono a dir poco conosciuti in decine di enti di formazione. Ma anche i sindacati la fanno da padrone, in questo settore, dove si trovano a difendere i lavoratori ma anche i padroni, che sono loro stessi. Lo Ial della Cisl e l'Enfa della Uil ricevono ogni anno oltre 30 milioni di euro. Poi ci sono le associazioni cattoliche: i salesiani gestiscono ad esempio il Cnos Fap, mentre tra gli enti finanziati c'è l'Efal, che fa capo al Movimento cristiano lavoratori finito nell'occhio del ciclone per l'arresto di uno dei suoi dirigenti, l'architetto Giuseppe Liga, accusato dai pm di Palermo di essere l'erede dei boss Lo Piccolo. I magistrati hanno scoperto che nel 2010 l'Efal, l'ente di formazione del movimento, ha ricevuto dalla Regione un sostegno di sei milioni e 336 mila euro. Fino a pochi giorni fa l'architetto era un insospettabile, ma è stata un'anticipazione dell'inchiesta finita sui giornali che aveva indotto l'Mcl a sospendere il professionista. Anche la Corte dei conti e la Guardia di finanza da tempo indagano sul business della formazione siciliana. I magistrati contabili hanno contestato a diversi enti corsi fantasma e somme non rendicontate. E ci sino stati i primi arresti, come quello di un insospettabile professore di Palermo, condannato in primo grado a 8 anni per aver intascato, attraverso conti all'estero, 9 milioni di euro dai 20 milioni ricevuti per corsi di formazione con i fondi europei. IL NORD "EFFICIENTE" La montagna ha partorito un topolino anche nell'efficiente Lombardia, dove 64mila persone hanno beneficiato, nel 2010, della "dote lavoro", per un totale di 45,8 milioni di euro impegnati. La metà dei fondi tuttavia, sono stati gestiti da dieci operatori. Chi sono? I soliti noti, enti di area Cl - o più in generale cattolica - come l'Enaip, lo Ial-Cisl, Obiettivo Lavoro. La maggior parte dei servizi svolti riguarda il colloquio di accoglienza di primo livello, il bilancio di competenze, il coaching e i corsi di formazione: le cifre dei destinatari, per queste voci, oscillano tra i 34mila e i 62mila. Ma se poi si passa dall'orientamento all'accompagnamento concreto al lavoro i numeri si abbassano penosamente: solo 168 allievi hanno avuto un supporto per l'autoimprenditorialità, in 94 sono stati accompagnati agli stage, 22 al tirocinio e appena 5 al "training on the job". Ma lo storico paradosso dei formatori - che non riescono a lenire la disoccupazione altrui, ma intanto trovano un posto a sé stessi - non regge più come una volta. Gigi Rossi, della Cgil, segnala il fenomeno del "precariato nei sistemi regionali della formazione professionale. E soprattutto al Nord, con la crisi - aggiunge - è diffuso l'uso, da parte degli enti, di invitare caldamente i collaboratori a trasformarsi in finti imprenditori con partita Iva". MONTAGNE DI CARTA Gli enti di formazione servono davvero a qualcosa o hanno finito per creare una "sovrastruttura" - come scrive l'Isfol nel suo ultimo rapporto - sganciata dalle esigenze reali del mercato del lavoro? Armando Rinaldi, dell'Atdal over 40, un'associazione che cerca di tutelare i diritti di chi perde il lavoro in età matura, assicura che "se ci fossero dati disponibili si scoprirebbe che la media dei disoccupati ha un bagaglio di ore di formazione triplo rispetto a quello di un lavoratore. Invece di un'occupazione ha trovato sulla sua strada decine di proposte formative". La Regione Lombardia ha commissionato un'indagine a un istituto di ricerca. Trenta disoccupati ultraquarantenni hanno tenuto un diario nel quale raccontavano le loro esperienze. È emerso che nelle rare occasioni in cui riuscivano a trovare lavoro i corsi di formazione non c'entravano nulla: era tutto merito delle loro conoscenze personali. Lo studio non è stato mai pubblicato. Secondo Rinaldi per ogni corso organizzato in Lombardia 3000 euro vanno (nell'arco di sei-nove mesi) al candidato, mentre gli altri 7000 vanno agli organizzatori. "Si comincino a ribaltare le modalità di distribuzione dei fondi, erogando ai destinatari il 60-70 per cento dei finanziamenti sotto forma di reddito di sostegno". Si potrebbe trovare un utilizzo diverso dei capitali in modo da sostenere direttamente il reddito delle persone in difficoltà? Per ottenere i contributi oggi basta - oltre a una buona capacità di lobby - compilare un formulario in cui, tra l'altro, si dimostra il fabbisogno nel territorio di competenza della figura professionale che s'intende formare. "Per esempio - scrive l'Atdal - se si propone di formare addetti al check-in aeroportuale si ricercano i dati sul traffico aereo della regione e si dice che data la crescita del traffico aereo occorre formare nuovi operatori". Angela, diplomata, ha 47 anni e da dodici frequenta corsi di formazione professionale in Lombardia. Non è mai riuscita a ottenere altro che qualche lavoretto di poche settimane all'anno in fabbrica. "Nell'ultimo corso che ho seguito, per lavorare in un asilo privato, il colloquio orientativo si è svolto tre giorni prima della fine dei corsi. Un'altra volta mi hanno costretto a scrivere un sacco di bugie sulla relazione finale. Ad esempio che avevo trovato lavoro in una fabbrica. In realtà era la mia vecchia azienda che mi richiamava". L'importante, insomma, è giustificare le spese. I risultati non contano. (20 agosto 2010)
CRISI Le aziende ripartono dal lavoro migrante 181mila assunzioni previste nel 2010 Il personale straniero coprirà il 22,6% del totale dei nuovi posti. Il grosso della domanda viene da imprese con più di 50 dipendenti e dal settore dei servizi. La ricerca della fondazione Moressa indica in Parma, Forlì-Cesena e Prato le province che puntano di più sugli immigrati Le aziende ripartono dal lavoro migrante 181mila assunzioni previste nel 2010 Un bracciante agricolo di origine straniera durante la raccolta dei pomodori in Campania * Crisi, crollo dei precari "stabilizzati" addio al posto fisso nelle piccole aziende articolo Crisi, crollo dei precari "stabilizzati" addio al posto fisso nelle piccole aziende * Cig, nuovo balzo a luglio: +9,8% I sindacati: "Il 2010 sarà un anno record" articolo Cig, nuovo balzo a luglio: +9,8% I sindacati: "Il 2010 sarà un anno record" * Crisi, in calo anche le raccomandazioni ma metà degli assunti passa ancora da lì articolo Crisi, in calo anche le raccomandazioni ma metà degli assunti passa ancora da lì * Melfi, reintegrati gli operai licenziati Il giudice: "Provvedimento antisindacale" articolo Melfi, reintegrati gli operai licenziati Il giudice: "Provvedimento antisindacale" * Operai reintegrati, la Fiat fa ricorso "Hanno bloccato le linee di montaggio" articolo Operai reintegrati, la Fiat fa ricorso "Hanno bloccato le linee di montaggio" * Lavoro, la discriminazione femminile meno posti e stipendi più bassi del 21,4% articolo Lavoro, la discriminazione femminile meno posti e stipendi più bassi del 21,4% VENEZIA - Saranno complessivamente 181mila i nuovi assunti stranieri nelle aziende italiane previsti nel 2010 (22 mila in più rispetto al 2009) e copriranno il 22,6% delle assunzioni complessive. Lo rileva un'indagine della Fondazione Leone Moressa di Venezia che ha analizzato i dati Excelsior-Unioncamere sulle previsioni di assunzione per il 2010. Sono prevalentemente le imprese sopra i 50 dipendenti (41,7%) a ricercare manodopera straniera da impiegare nei servizi (21,8%), richiedendo lavoratori con esperienza nel settore (54,6%) e qualificati nel commercio e nei servizi (27%). Parma, Forlì-Cesena e Prato sono le province con il maggior peso di assunti stranieri rispetto al totale delle assunzioni previste, con incidenze pari, rispettivamente, a 41,9%, 38% e 32,3%. Nel 2010 le imprese italiane assumeranno in prevalenza nuova manodopera straniera per ricoprire lavori non stagionali (105 mila unità), mentre per le mansioni a carattere stagionale si tratta di 75 mila nuovi posti. Ma il peso maggiore delle nuove assunzioni avviene tra i lavori a tempo determinato dove il peso dei contratti stagionali sottoscritti dagli stranieri sarà il 30% del totale, contro il 19,2% delle mansioni non stagionali. La propensione all'assunzione di manodopera straniera è più elevata nelle aree del Nord e del Centro rispetto al Sud: infatti, se in Trentino Alto Adige, Emilia Romagna e Toscana l'incidenza dei nuovi assunti stranieri supera il 25% del totale, in Puglia, Sardegna e Basilicata si tratta appena del 12,8%, 13,6% e del 13,8%. Per quanto riguarda le assunzioni non stagionali prevale la richiesta di manodopera straniera nei servizi (trasporti, assistenza sanitaria, istruzione) specie in Emilia Romagna (28,8%), Piemonte e Valle d'Aosta (20,9%). Vi è più probabilità di assunzione nelle aziende dei servizi alle imprese se gli stranieri sono residenti in Basilicata (51,1%), Lombardia (26,9%), Toscana (24,7%) e Trentino Alto Adige (21,9%). Al Sud la richiesta prevalente sarà nel settore delle costruzioni, mentre in Veneto e nelle Marche viene dal settore manifatturiero. Il comparto del turismo risulta pèrevalente per le assunzioni in Friuli Venezia Giulia (23,3%) e in Sardegna (27,8%). Infine, mentre al Nord sono le imprese di più grande dimensione a ricercare manodopera di origine stranera, al Centro e al Sud, secondo la ricerca, la maggiore richiesta proviene dalle imprese più piccole (da 1 a 9 dipendenti). In generale, il mercato richiede sia uomini che donne. Solo in regioni come il Molise o la Campania le aziende preferiscono il sesso forte nel 61% dei casi. Più ricercati sono i lavoratori che hanno già esperienza nel settore e le figure professionali qualificate soprattutto nel commercio e nei servizi. Le professioni non qualificate sono richieste invece in prevalenza in Toscana, Basilicata e Calabria. (20 agosto 2010)
2010-08-18 CRISI Lavoro, la discriminazione femminile meno posti e stipendi più bassi del 21,4% I dati di Bankitalia e dell'Istat fotografano una realtà che mette l'Italia in fondo alle classifiche europee. Nel tasso di occupazione solo Malta fa peggio. In busta paga 1.221 euro di media contro i 1.553 dei colleghi uomini Lavoro, la discriminazione femminile meno posti e stipendi più bassi del 21,4% ROMA - Meno opportunità di occupazione e stipendi più bassi. E' la realtà femminile nel mondo del lavoro come l'ha fotografata un rapporto della Banca d'Italia che ha preso in esame i dati relativi al 2008. Le donne si trovano in condizione di disparità rispetto agli uomini, non solo perché ancora maggiormente pressate dagli impegni familiari, ma anche perché sono spesso relegate in posizioni lavorative di basso livello, di retribuzione inferiore e incontrano più ostacoli di carriera pur essendo più preparate. Secondo le cifre di Bankitalia, la busta paga media delle donne è del 21,4% più bassa rispetto a quella degli uomini, con 1.221 euro al mese contro 1.553 (nel 1998 la differenza era del 19,1%) e in due anni la retribuzione femminile è scesa del 4,6%, al di sotto della media che oltretutto colloca l'Italia al terzultimo posto nella classifica dei paesi occidentali più industrializzati. Le donne dunque pagano di più la crisi e sono più esposte a marginalità e povertà come evidenziano anche i dati Istat secondo i quali, in Italia ''il tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni è sceso nel 2009 al 46,4%''. In Europa solo Malta fa peggio. Il Mezzogiorno, inoltre, dove già il tasso di occupazione femminile era molto basso, ha assorbito quasi metà del calo nazionale delle occupate (-105mila donne) causato dalla crisi. Nel 2009 in Italia soltanto il 28,7% delle donne con licenza media aveva un'occupazione, contro il 37,7% medio dell'Ue. Nel nostro paese solo le laureate "storiche" riescono a raggiungere i livelli europei, mentre le neolaureate continuano a trovare enormi difficoltà a entrare nel mercato del lavoro. La situazione è ancora peggiore per le donne sposate e con figli: ''Considerando le 25-54enni e assumendo come base le donne senza figli - spiega l'Istat -, la distanza nei tassi di occupazione è di quattro punti percentuali per quelle con un figlio, di 10 per quelle con due figli e di 22 punti per quelle di tre o più figli". Inoltre, il peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro ha rallentato l'inserimento delle donne nelle professioni più qualificate e riavviato un fenomeno di "marginalizzazione" verso occupazioni già relativamente molto "femminilizzate". (18 agosto 2010)
2010-08-12 "Fabbricare in Italia? Impossibile per l'auto" Il presidente della Federauto, associazione concessionari Italiani: "Produrre da noi non conviene più. E in questo contesto la strategia Fiat è una manna dal cielo". "Fabbricare in Italia? Impossibile per l'auto" * Dossier * BLOG, dite la vostra Il numero uno dei concessionari italiani, Filippo Pavan Bernacchi, presidente della neonata Federauto, l'associazione dei concessionari d'auto di tutti i brand commercializzati in Italia, entra sul tema caldo del mondo dell'auto in Italia. Un'analisi che arriva dal rappresentante di una categoria che ha in mano il rapporto con i Clienti sia per la vendita delle vetture e dei ricambi sia per l'assistenza. Insomma da chi conosce bene il settore perché dietro un colosso come la Fiat ci sono migliaia di piccole aziende dell'indotto. Ecco la sua lettera, che riceviamo e pubblichiamo integralmente. (v.bo.) "In Europa Occidentale produrre non conviene più. Questo è la madre di tutti i problemi. I fattori sono molteplici. Prima di tutto vi è il costo del lavoro; se paragonato a quello di Cina e India, non c'è match. Battuti in partenza. Ma anche verso i paesi dell'Europa dell'Est, o della ex-Jugoslavia, c'è un abisso. Poi c'è l'aspetto della produttività. Quei popoli hanno fame, anche di lavorare, per cui nel lavoro ci mettono l'anima e sono disponibili a sacrifici su turni notturni o festivi. Come noi nel dopoguerra, per intenderci. Si passa poi agli aspetti sindacali. I sindacati, da noi, sono stati importantissimi in passato per tutelare i lavoratori che non beneficiavano neppure dei diritti elementari. Ora però si invertito il rapporto di forza. I lavoratori sono iper-tutelati e licenziare qualcuno quando l'azienda naviga in cattive acque, o che: rema contro, non produce, si dà malato strumentalmente... è quasi impossibile. E se un imprenditore ci prova il giudice del lavoro, molto spesso, reintegra il dipendente nel suo ruolo comminando all'azienda pesanti sanzioni. Si aggiunga l'estrema facilità con cui si può venire in possesso di un certificato medico che esime il beneficiario dal presentarsi al lavoro e il gioco è fatto. D'altronde questo è il Paese dei falsi invalidi. Poi ci sono le regole per la sicurezza sul lavoro e contro l'inquinamento. Sono sacrosante, ma in un mondo globalizzato o le adottano tutti i paesi, affrontandone i costi - che poi fanno salire i prezzi dei prodotti - oppure chi le applica è tagliato fuori dal Mercato. E quindi molte leggi dovrebbero essere paradossalmente adottate a livello mondiale: tutela lavoratori, tutela ambiente, orario settimanale, straordinari, cuneo fiscale, lavoro minorile, donne e maternità. Solo così si potrebbe competere ad armi pari. Utopia, certo, ma così stanno le cose. E così le aziende produttrici che vogliono sopravvivere in questo mercato competitivo devono delocalizzare. Si chiudono le fabbriche in Italia, licenziando centinaia di migliaia di lavoratori, e si riaprono in Polonia, Slovenia o, perché no, in Cina o Romania. Quei paesi fanno ponti d'oro alle imprese perché gli insediamenti produttivi portano benessere e danno posti di lavoro. E quindi via agli sgravi fiscali, ad aiuti di stato, a contratti per i lavoratori "light", a occhi chiusi su molti aspetti, e chi più ne ha più ne metta. "In questo contesto arriva un "pazzo" vero, di nome fa Sergio Marchionne. Cosa vorrebbe fare costui? Potenziare la produzione del Gruppo Fiat in Italia! Controtendenza rispetto a quasi tutte le aziende che se ne vanno bellamente all'estero. Certo, vuole anche chiudere degli stabilimenti. Ma che matrice hanno certe fabbriche? Sono state insediate per soddisfare logiche industriali o "politiche"? La risposta è la seconda. Si pensi solo ai costi logistici e di trasporto. Certo, la Fiat in passato è stata aiutata tantissimo dai Governi in carica. Come pure tutti i produttori esteri nei mercati domestici. Ma ora che lo Stato si è sfilato non ci si meravigli se Marchionne, calcolatrice alla mano, spiega che non conviene e che si deve chiudere. Non dimentichiamo anche che al Sud operano le varie mafie, e che non è pensabile che queste si fermino fuori dai cancelli degli stabilimenti. Un altro grosso problema per chi vuole fare impresa." "Ecco perché Marchionne è un "pazzo" vero. Ma come, quasi tutti i produttori, dal tessile alla componentistica, sognano di lasciare il sacro suolo, e lui cosa vorrebbe fare? Investire una valanga di milioni di euro in Italia, potenziare gli stabilimenti, aumentare la produttività. Certo, chiede anche sacrifici (remunerati) ai lavoratori, e un nuovo approccio al bene primario e irrinunciabile che è il Lavoro. No, è troppo. Certi sindacati preferiscono non considerare che il mondo non è più quello di tre anni fa. Allora meglio contratti d'acciaio, blindati, tutelatissimi, intoccabili, nei secoli dei secoli. Peccato che ne beneficeranno sempre meno dipendenti perché gli imprenditori che possono, da qualche anno, se ne vanno all'estero. Quelli che non falliscono, ben inteso. E quindi propongo di cambiare l'articolo 1 della Costituzione da: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro" in : "L'Italia è una Repubblica democratica, un tempo fondata sul lavoro". "Ma se nessuno lavorerà, venendo meno la capacità di spesa e la propensione all'acquisto delle famiglie, come sopravvivrà la nostra economia?"
(12 agosto 2010) Tutti gli articoli di Attualità
12 ago 2010 Fabbricare in Italia? Impossibile Il numero uno dei concessionari italiani, Filippo Pavan Bernacchi, presidente della neonata Federauto, l’associazione dei concessionari d’auto di tutti i brand commercializzati in Italia, entra sul tema caldo del mondo dell’auto in Italia. Un’analisi che arriva dal rappresentante di una categoria che ha in mano il rapporto con i Clienti sia per la vendita delle vetture e dei ricambi sia per l’assistenza. Insomma da chi conosce bene il settore perché dietro un colosso come la Fiat ci sono migliaia di piccole aziende dell’indotto. Ecco la sua lettera, che riceviamo e pubblichiamo integralmente. (v.bo.) "In Europa Occidentale produrre non conviene più. Questo è la madre di tutti i problemi. I fattori sono molteplici. Prima di tutto vi è il costo del lavoro; se paragonato a quello di Cina e India, non c’è match. Battuti in partenza. Ma anche verso i paesi dell’Europa dell’Est, o della ex-Jugoslavia, c’è un abisso. Poi c’è l’aspetto della produttività. Quei popoli hanno fame, anche di lavorare, per cui nel lavoro ci mettono l’anima e sono disponibili a sacrifici su turni notturni o festivi. Come noi nel dopoguerra, per intenderci. Si passa poi agli aspetti sindacali. I sindacati, da noi, sono stati importantissimi in passato per tutelare i lavoratori che non beneficiavano neppure dei diritti elementari. Ora però si invertito il rapporto di forza. I lavoratori sono iper-tutelati e licenziare qualcuno quando l’azienda naviga in cattive acque, o che: rema contro, non produce, si dà malato strumentalmente… è quasi impossibile. E se un imprenditore ci prova il giudice del lavoro, molto spesso, reintegra il dipendente nel suo ruolo comminando all’azienda pesanti sanzioni. Si aggiunga l’estrema facilità con cui si può venire in possesso di un certificato medico che esime il beneficiario dal presentarsi al lavoro e il gioco è fatto. D’altronde questo è il Paese dei falsi invalidi. Poi ci sono le regole per la sicurezza sul lavoro e contro l’inquinamento. Sono sacrosante, ma in un mondo globalizzato o le adottano tutti i paesi, affrontandone i costi – che poi fanno salire i prezzi dei prodotti – oppure chi le applica è tagliato fuori dal Mercato. E quindi molte leggi dovrebbero essere paradossalmente adottate a livello mondiale: tutela lavoratori, tutela ambiente, orario settimanale, straordinari, cuneo fiscale, lavoro minorile, donne e maternità. Solo così si potrebbe competere ad armi pari. Utopia, certo, ma così stanno le cose. E così le aziende produttrici che vogliono sopravvivere in questo mercato competitivo devono delocalizzare. Si chiudono le fabbriche in Italia, licenziando centinaia di migliaia di lavoratori, e si riaprono in Polonia, Slovenia o, perché no, in Cina o Romania. Quei paesi fanno ponti d’oro alle imprese perché gli insediamenti produttivi portano benessere e danno posti di lavoro. E quindi via agli sgravi fiscali, ad aiuti di stato, a contratti per i lavoratori "light", a occhi chiusi su molti aspetti, e chi più ne ha più ne metta. "In questo contesto arriva un "pazzo" vero, di nome fa Sergio Marchionne. Cosa vorrebbe fare costui? Potenziare la produzione del Gruppo Fiat in Italia! Controtendenza rispetto a quasi tutte le aziende che se ne vanno bellamente all’estero. Certo, vuole anche chiudere degli stabilimenti. Ma che matrice hanno certe fabbriche? Sono state insediate per soddisfare logiche industriali o "politiche"? La risposta è la seconda. Si pensi solo ai costi logistici e di trasporto. Certo, la Fiat in passato è stata aiutata tantissimo dai Governi in carica. Come pure tutti i produttori esteri nei mercati domestici. Ma ora che lo Stato si è sfilato non ci si meravigli se Marchionne, calcolatrice alla mano, spiega che non conviene e che si deve chiudere. Non dimentichiamo anche che al Sud operano le varie mafie, e che non è pensabile che queste si fermino fuori dai cancelli degli stabilimenti. Un altro grosso problema per chi vuole fare impresa." "Ecco perché Marchionne è un "pazzo" vero. Ma come, quasi tutti i produttori, dal tessile alla componentistica, sognano di lasciare il sacro suolo, e lui cosa vorrebbe fare? Investire una valanga di milioni di euro in Italia, potenziare gli stabilimenti, aumentare la produttività. Certo, chiede anche sacrifici (remunerati) ai lavoratori, e un nuovo approccio al bene primario e irrinunciabile che è il Lavoro. No, è troppo. Certi sindacati preferiscono non considerare che il mondo non è più quello di tre anni fa. Allora meglio contratti d’acciaio, blindati, tutelatissimi, intoccabili, nei secoli dei secoli. Peccato che ne beneficeranno sempre meno dipendenti perché gli imprenditori che possono, da qualche anno, se ne vanno all’estero. Quelli che non falliscono, ben inteso. E quindi propongo di cambiare l’articolo 1 della Costituzione da: "L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro" in : "L’Italia è una Repubblica democratica, un tempo fondata sul lavoro". "Ma se nessuno lavorerà, venendo meno la capacità di spesa e la propensione all’acquisto delle famiglie, come sopravvivrà la nostra economia?" 12 agosto 2010 alle 10:16
Ichino: "Il diritto di sciopero va limitato da accordi sindacali" Il giuslavorista e senatore Pd: "La nostra cultura del diritto del lavoro è arretrata, ancor più della legge". "Giusto un contratto per il settore auto: le norme per i metalmeccanici sono le stesse dal 1972" di PAOLO GRISERI Ichino: "Il diritto di sciopero va limitato da accordi sindacali" Pietro Ichino Pietro Ichino, senatore del Pd, è uno dei principali esperti italiani di diritto del lavoro. Professor Ichino, si aspettava che la Fiat di Marchionne potesse essere condannata per comportamento antisindacale? "Sono cose che accadono anche nelle migliori famiglie. Del resto, la Fiat avrebbe potuto anche vincere la causa: il giudice ha ritenuto, in via provvisoria, il licenziamento ingiustificato solo perché ha considerato che l'istruttoria sommaria non avesse dimostrato il dolo dei lavoratori, cioè la loro volontà di ostruire il flusso dei carrelli automatici. Con questo, lo stesso giudice implicitamente avverte che, se invece nel giudizio di merito quella volontà risultasse dimostrata, il licenziamento potrebbe essere convalidato". Il Lingotto chiede ai sindacati la certezza che il ciclo produttivo si possa svolgere senza interruzioni. È possibile in una democrazia occidentale avere questa certezza? "Certo che sì: proprio a questo serve la clausola di tregua sindacale, che in quasi tutti gli altri Paesi occidentali vincola non soltanto il sindacato stipulante, ma anche i singoli lavoratori cui il contratto si applica. Se Italia questa regola non vale, non è perché lo stabilisca la legge, ma perché nella nostra cultura giuslavoristica prevale ancora un'idea vecchia. Molti giuslavoristi, comunque, non la condividono più". Quale idea? "Quella secondo cui il contratto collettivo non può disporre del diritto del singolo lavoratore di aderire in qualsiasi momento a qualsiasi sciopero, anche se proclamato da un mini-sindacato. È l'idea della "conflittualità permanente", i cui fasti si sono celebrati negli anni '70, e che oggi in Italia è praticata ancora soltanto nel settore dei trasporti e in quello metalmeccanico. Dobbiamo chiederci se ci conviene continuare a difendere questa peculiarità del sistema italiano di relazioni industriali. La sfida di Marchionne ha il merito di farci toccare con mano quanto questa idea possa essere costosa per gli stessi lavoratori". In questi giorni i tecnici di Federmeccanica stanno preparando un'ipotesi di contratto nazionale del solo settore auto. La considera una strada praticabile? "Mi sembra una scelta non solo praticabile, ma anche auspicabile, oggi il contratto nazionale dei metalmeccanici si applica ad aziende diversissime, dal settore aerospaziale, alle fonderie e alle case di software. E, nella sua parte normativa, quel contratto è rimasto fermo al 1972". Quali sono gli attuali diritti dei lavoratori che una nuova normativa contrattuale nelle fabbriche potrebbe modificare e quali invece quelli che, a suo parere, sono intoccabili? "Di regola, il contratto collettivo può disporre di tutto ma non di diritti o standard di trattamento garantiti ai lavoratori da una legge". Nel caso dell'accordo di Pomigliano questi diritti sono stati toccati? "No. Si può rifiutare quell'accordo perché non lo si ritiene abbastanza vantaggioso per i lavoratori, ma non perché esso violi la legge, né nella parte sulle punte di assenza per malattia, né nella parte sulla tregua sindacale". Ma deroga al contratto nazionale del settore. "Questo è il problema: nel nostro sistema attuale non sono chiari i requisiti e le condizioni per la validità della contrattazione al livello aziendale di deroghe rispetto al contratto nazionale. Questo è un grave difetto del sistema, che dobbiamo correggere al più presto, se non vogliamo che le divisioni tra i sindacati paralizzino la sperimentazione di piani industriali innovativi". (12 agosto 2010)
2010-08-10 Stop alla Fiat, il giudice reintegra i tre operai licenziati Il licenziamento di tre operai dello stabilimento di Melfi (Potenza) della Fiat (due dei quali delegati della Fiom), deciso dall'azienda il 13 e 14 luglio scorso, ha avuto carattere di ''antisindacalita''' ed e' quindi stato annullato dal giudice del lavoro, che ha ordinato l'immediato reintegro dei tre nel loro posto. Lo si e' appreso stamani. La notizia e' stata confermata dal segretario regionale della Basilicata della Fiom, Emanuele De Nicola, secondo il quale ''la sentenza indica che ci fu da parte della Fiat la volonta' di reprimere le lotte a Pomigliano d'Arco e a Melfi e di 'dare una lezione' alla Fiom''. I tre operai - Antonio Lamorte, Giovanni Barozzino (entrambi delegati della Fiom) e Marco Pignatelli - furono licenziati perche', durante un corteo interno, secondo l'azienda bloccarono un carrello robotizzato che portava materiale ad operai che invece lavoravano regolarmente. In seguito prima alla sospensione, l'8 luglio scorso, e poi al licenziamento dei tre operai vi furono a Melfi scioperi e proteste. I tre operai licenziati - uno dei quali si e' sposato cinque giorni fa - occuparono per alcuni giorni il tetto della Porta Venosina, un antico monumento situato nel centro storico di Melfi: vi fu anche una manifestazione promossa dalla Fiom-Cgil. Secondo De Nicola, ''la sentenza dimostra che le lotte democratiche dei lavoratori non hanno nulla in comune con il sabotaggio. Il teorema 'lotte uguale eversione o sabotaggio' e' stato di nuovo smontato e ci aspettiamo le scuse di quanti vi hanno fatto riferimento, a cominciare da personalita' istituzionali o rappresentanti degli imprenditori. Speriamo - ha concluso il dirigente lucano della Fiom - che la Fiat torni al tavolo per discutere dei temi che stanno a cuore ai lavoratori, a cominciare dai diritti e dai carichi di lavoro''. 10 agosto 2010
L'ANALISI Pericolo ricorsi di PAOLO GRISERI La sentenza del tribunale di Melfi, emessa con tempestività nonostante il periodo estivo, è qualcosa di più della normale decisione di un giudice che sceglie quale delle due parti in causa abbia ragione. Nel corso del suo secolo di vita la Fiat è stata portata in tribunale altre volte per episodi analoghi, in alcuni casi uscendone condannata, in altri assolta. Quel che colpisce è che ad essere condannata per comportamento antisindacale sia la Fiat di oggi, quella di Sergio Marchionne. Non quella di Valletta o di Romiti che a questo tipo di accuse erano abituati. Solo pochi anni fa una condanna di Marchionne per aver violato le leggi che garantiscono ai sindacati di svolgere la loro attività, sarebbe stata impensabile. Il manager che nei discorsi pubblici citava Karl Popper non sembra lo stesso che in questi mesi ha ingaggiato un duro braccio di ferro con i sindacati (o con alcuni di essi). La Fiat commenterà la sentenza quando saranno note le motivazioni. Ma non è sull'episodio specifico che merita soffermarsi quanto sul colpo d'immagine che subisce il Lingotto. E su una considerazione solo in apparenza secondaria: la sentenza dice chiaramente quale sia l'atteggiamento della magistratura che si occupa di lavoro in Italia. Gli sherpa che in questi giorni stanno studiando la possibilità di far uscire Pomigliano o tutta Fiat auto dal contrato dei metalmeccanici devono mettere in conto che un passo falso potrebbe provocare una valanga di ricorsi e di sentenze contrarie alle scelte di Torino.
(10 agosto 2010) 2010-08-04 BANCHE Unicredit annuncia 4.700 esuberi Il sindacato: "Contagiati da effetto Fiat" Oggi l'incontro tra l'ad Alessandro Profumo e i sindacati. Lando Sileoni (Fabi): "Si vuole modificare il contratto nazionale di lavoro. Prevediamo da settembre un aspro e duro confronto" Unicredit annuncia 4.700 esuberi Il sindacato: "Contagiati da effetto Fiat" ROMA - Unicredit prevede di tagliare 4.700 posti di lavoro nel 2011-2013. Lo rende noto Lando Sileoni della Federazione Autonoma Bancari Italiana (Fabi), dopo un incontro tra l'amministratore delegato del gruppo bancario, Alessandro Profumo, e i sindacati. "L'effetto Marchionne Fiat ha purtroppo contagiato, come un effetto domino, anche il Gruppo Unicredit - commenta Sileoni - Proprio qualche giorno fa il presidente dell'esecutivo dell'Abi, Francesco Micheli, e il neo presidente dell'Abi, Giuseppe Mussari, prendevano pubblicamente le distanze dal nuovo modello di relazioni sindacali e industriali inaugurato da Marchionne nella Fiat, che scarica solo sui lavoratori il costo delle riorganizzazioni e delle fusioni". L'incontro di oggi ha rappresentato l'inizio del confronto per definire il percorso teso a raggiungere l'obiettivo di tagli del personale previsto nel piano di riorganizzazione noto come Banca Unica, Bancone, Insieme per i clienti o One 4C, tagli mai quantificati dal gruppo. Secondo Sileoni si vuole "modificare profondamente l'attuale contratto nazionale di lavoro che da settembre le organizzazioni sindacali dovranno discutere in Abi. Delle due l'una: o Profumo pensa di farsi un contratto nazionale a parte, perché intende in questo piano industriale modificare profondamente le attuali previsioni contrattuali in tema di assetti inquadramentali, mobilità territoriale e professionale, nuove flessibilità d'ingresso sul lavoro, oppure ha deciso di imporre al settore del credito quel modello organizzativo che ha presentato oggi a Milano alle organizzazioni sindacali", aggiunge Sileoni. E ha concluso il rappresentante sindacale: "Non condividiamo comunque i 4.700 esuberi che secondo Unicredit esistono all'interno del Gruppo. Non abbiamo sentito una parola sulla conferma a tempo pieno dei lavoratori precari presenti attualmente nel gruppo, né sulle politiche d'assunzione del gruppo per i prossimi anni, come non esiste per la seconda volta dal 2007 ad oggi un vero piano industriale, peraltro previsto per legge, che garantisca i lavoratori e le organizzazioni sindacali", conclude. Alla luce di ciò "prevediamo da settembre, quando inizierà la trattativa con le organizzazioni sindacali, un aspro e duro confronto non solo sui numeri ma soprattutto su quel modello organizzativo che dal 2007 ad oggi ha prodotto esclusivamente la fuoriuscita dal gruppo di 10mila lavoratori oltre ai 4700 dichiarati oggi, e di altri 1500 lavoratori che hanno seguito la cessione ad altre banche di 500 sportelli Unicredit". (04 agosto 2010)
OCCUPAZIONE Telecom, raggiunto l'accordo 3.900 uscite in mobilità volontaria Dopo 20 ore di trattativa serrata tra governo, azienda e sindacati trovata un'intesa che prevede anche la riconversione professionale e contratti di solidarietà per oltre 2000 dipendenti Telecom, raggiunto l'accordo 3.900 uscite in mobilità volontaria Il tavolo delle trattativa al ministero dello Sviluppo economico ROMA - E' stato firmato l'accordo sugli esuberi Telecom al tavolo governo-azienda-sindacati. L'intesa, raggiunta dopo 20 ore di negoziato ininterrotto 1, prevede 3.900 uscite in mobilità volontaria nel triennio. Lo ha annunciato il segretario generale della Fistel Cisl, Vito Vitale. Delle 3.900 uscite, 3.700 sono nuove e 200 sono rimanenze del precedente accordo del 2008. L'accordo prevede anche riconversione professionale e contratti di solidarietà per oltre duemila dipendenti. Il negoziato 2, partito a metà luglio, è stato molto serrato all'indomani dell'annuncio dell'azienda di 6.800 licenziamenti nei prossimi due anni (3.700 dei quali entro giugno 2011). Dopo 24 ore di confronto al ministero dello Sviluppo Economico, è stata trovata l'intesa: tra le novità la formazione e la mobilità volontaria. Per 3.900 dipendenti si prevede l'attivazione di una mobilità ordinaria su base volontaria nel biennio 2010-2012. Per altri 2.220 invece si ricorrerà a percorsi di formazione con contratti di solidarietà per consentire il reinserimento in settori strategici dell'azienda, in particolare nella rete. Si tratta di 1.300 dipendenti che non erano coperti da alcuna tutela e che saranno reinseriti in Telecom, di 470 dipendenti del '1254' e 450 di SSC. Alle 12 firma ufficializzata alla presenza del ministro del Welfare Maurizio Sacconi e del sottosegretario allo Sviluppo economico Paolo Romani. (04 agosto 2010)
2010-07-30 FIAT Federmeccanica: "Aprire subito un tavolo" Fiom: "E' la fine del contratto nazionale" Il presidente degli industriali del settore, Ceccardi, ipotizza un incontro già la prossima settimana. Disponibili Fim, Uilm, Fismic e Ugl. L'organizzazione della Cgil: "Strada pericolosissima" Federmeccanica: "Aprire subito un tavolo" Fiom: "E' la fine del contratto nazionale" TORINO - Federmeccanica propone a Fim, Uilm e Fismic di aprire al più presto il tavolo per definire rapidamente una nuova normativa per il settore auto. E i sindacati chiamati in causa apprezzano l'impegno, mentre la Fiom ribadisce la sua posizione di netto rifiuto verso qualsiasi ipotesi che possa minare il contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici. Uno scontro che si gioca su tempi strettissimi, quelli dettati dalla necessità di dare risposte ai problemi di produttività e ispetto degli accordi posti dalla Fiat evitando la disdetta del contratto nazionale. In un'intervista al Sole 24 ore, il presidente di Federmeccanica, Pier Luigi Ceccardi, prospetta un incontro già la prossima settimana e spiega che una commissione ad hoc è al lavoro "per adattare il contratto nazionale alle innovazioni introdotte con la riforma della contrattazione firmata ad inizio 2009". "La Fiat - afferma - è la nostra principale associata, vogliamo individuare tutti gli strumenti necessari per garantire l'efficienza delle fabbriche e renderle più competitive. Abbiamo lavorato in questi giorni in perfetta sintonia con la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, e con il suo staff per trovare una soluzione ai problemi posti dal gruppo torinese". I sindacati sono divisi anche sull'iniziativa di Federmeccanica. "Le altre organizzazioni sindacali hanno perso il senso della misura. E' la fine del contratto nazionale. E' necessario che se ne rendano conto e si fermino perché questa strada sarebbe pericolosissima", commenta Enzo Masini, responsabile auto della Fiom. "Il tentativo di fare saltare il contratto - replica il numero uno della Fim, Giuseppe Farina - lo ha fatto la Fiat e sarebbe stato un atto destabilizzante. Sono state Fim e Uilm a fermarlo opponendosi in modo drastico e costringendo la Fiat a fare un passo indietro. Non è stato certo merito della Fiom". Alle parole di Ceccardi plaude il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella: "Siamo disponibili a incontrarci e a trovare soluzioni pur di lasciare inalterata la funzione del contratto nazionale. Faremo tutti gli sforzi necessari perchè le deroghe servano per Pomigliano e si salvi il contratto nazionale". "Siamo pronti a discutere la modifica della normativa contrattuale che oggi è troppo estesa, comprende troppe categorie fra loro diverse e non permette di premiare realmente le professionalità e di distribuire gli utili ai lavoratori", aggiunge Roberto Di Maulo, segretario generale Fismic. Anche l'Ugl apprezza l'impegno di Federmeccanica e spera che Fiat si convinca a mantenere la newco nel sistema confindustriale. La posizione della Fiom viene ribadita dal segretario generale Maurizio Landini: se si "accettano le condizioni di Fiat" e quindi se si crea, attraverso deroghe, un contratto ad hoc il settore auto, "si cancella del tutto il contratto nazionale". "Fare cose di questo genere - aggiunge il numero uno della Fiom - vuol dire cancellare semplicemente il contratto nazionale di lavoro. Per noi c'è ed è quello del 2008 che è ancora in vigore ed è stato stipulato unitariamente da tutti". Per Landini fare "deroghe o contratti di settore significa cancellare il contratto nazionale: se poi questa richiesta nasce per dare una legittimità alle deroghe contrattuali, legislative e alla violazione della Costituzione che è contenuta nella cosiddetta intesa di Pomigliano noi, che non abbiamo firmato quell'intesa, non abbiamo certo intenzione di firmare addirittura deroghe di quella natura a livello nazionale". La Fiom ribadisce anche che "i problemi di utilizzo degli impianti di produttività e di più efficiente gestione delle imprese si possono risolvere applicando il contratto nazionale in vigore, le leggi e la Costituzione". (31 luglio 2010)
2010-07-29 FIAT Pomigliano, newco fuori da Confindustria Disdetti accordi su monte ore e permessi I lavoratori saranno riassunti a settembre, ma lo stabilimento campano non sarà iscritto all'Unione Industriali. Sospesa per due mesi la decisione sulla permanenza del Lingotto nell'associazione imprenditori. Incontro con i sindacati, la Fiom non c'è Pomigliano, newco fuori da Confindustria Disdetti accordi su monte ore e permessi TORINO - Fabbrica Italia Pomigliano, la nuova compagnia 1 nella quale saranno riassunti i lavoratori dello stabilimento campano Fiat, non sarà iscritto a Confindustria. È uno dei punti emersi dall'incontro a Torino tra i rappresentanti di Fiat (la delegazione è guidata dal capo delle relazioni industriali Paolo Rebaudengo) e dei sindacati dei metalmeccanici. Nel corso del vertice, i rappresentanti del Lingotto hanno reso noto, attraverso una lettera, di voler mette in stand by la decisione di uscire dalla Confindustria e di disdire il contratto nazionale. I rappresentati Fiat hanno affermato che l'applicazione di questa determinazione viene rinviata di due mesi, anche alla luce dell'incontro di ieri tra l'amministratore delegato Sergio Marchionne e il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. L'azienda ha comunicato anche la disdetta degli accordi sul monte ore dei permessi sindacali negli stabilimenti di Pomigliano e di Arese. Fabbrica Italia al centro dell'incontro. All'ordine del giorno dell'incontro di oggi il progetto 'Fabbrica Italia' sul quale ieri l'amministratore delegato del Lingotto ha chiesto al sindacato un sì o un no 2. Al centro della riunione anche le problematiche relative allo stabilimento di Pomigliano d'Arco, dopo la costituzione di una newco registrata alla Camera di commercio di Torino il 19 luglio. La newco fuori da Confindustria. Roberto Di Maulo, poi, ha comunicato che la newco Fabbrica Italia non sarà iscritta all'Unione Industriale di Napoli. Della nuova compagnia, controllata da Fiat Partecipazioni, faranno parte anche i mille lavoratori della Ergom, azienda dell'indotto Fiat. All'incontro non ha partecipato la Fiom. Da fine settembre tutti i lavoratori dello stabilimento Fiat di Pomigliano saranno riassunti dalla newco costituita per gestire l'accordo del 15 giugno. ''Sono partiti gli ordini degli investimenti - ha aggiunto Di Maulo -. Ad agosto verrà avviata la pulitura dell'area della nuova lastratura per la Panda a Pomigliano e da fine settembre la newco potrà assumere il personale. Non ci saranno licenziamenti - ha spiegato - e il personale passerà da Fiat Group Automobiles alla newco''. Ai lavoratori di 'Fabbrica Italia Pomigliano' non sarà dunque applicato il contratto nazionale dei metalmeccanici. Resta comunque vincolante per l'azienda riassumere tutti i lavoratori in organico, con l'eccezione di quelli in mobilità, ai quali sarà garantita la continuità di trattamento per quanto riguarda l'anzianità. "Fiat non rinuncia a Confindustria". "La Fiat non rinuncia ad essere associata a Confindustria e non cerca strade al di fuori delle relazioni industriali". Lo aveva detto in mattinata il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che si è dichiarato molto soddisfatto in merito all'incontro di ieri sul futuro del sito di Mirafiori e del progetto Fabbrica Italia "perché ha riconfermato che c'è una piattaforma riformista pronta a sostenere le politiche di investimento nel nostro Paese. Una piattaforma - ha proseguito il ministro a margine di un incontro a Unioncamere - fatta da tutte le grandi organizzazioni sindacali e vorrei tanto che partecipasse anche la Cgil. E poi, in relazione all'incontro di oggi, il ministro auspica che "le parti firmatarie vadano avanti per individuare modi e tempi in cui effettuare l'investimento e insieme affidabili relazioni industriali e un pieno utilizzo dell'impianto". Fiom: "Deroghe a contratto nazionale? Terreno non praticabile". "La Fiat pensa che il modello Pomigliano debba valere per tutti, conferma l'idea che sia stata una prova generale. Su questo non li seguiamo. Così l'azienda rischia di buttare benzina sul fuoco''. Enzo Masini, responsabile Auto della Fiom, commenta così quanto discusso nel corso della prima parte dell'incontro odierno.''Per noi quello delle deroghe al contratto nazionale - ha aggiunto - non è un terreno praticabile, ci sono le condizioni per affrontare i problemi di flessibilità e raffreddamento del conflitto. Dobbiamo costruire insieme un meccanismo''. Masini ha aggiunto che si rischia di avere una situazione di conflittualità alta negli stabilimenti: "Fiat - ha aggiunto - sta usando nel modo del tutto spregiudicato la crisi per cambiare i rapporti di forza tra azienda e sindacati". Uilm: "Flessibilità e 18 turni per tutti''. La Uilm, attraverso il responsabile Auto, Eros Panicali, fa sapere che, nel corso dell'incontro, è è stata ribadita la disponibilità a rivedere organizzazione di lavoro e turni: "Abbiamo ribadito alla Fiat - dice Panicali - la nostra disponibilità fino a un massimo di 18 turni, a una nuova organizzazione del lavoro e alla flessibilità necessaria per i picchi di mercato. Partiremo a settembre da Mirafiori per raggiungere accordi che non saranno una fotocopia di quello di Pomigliano''. I sindacati hanno chiesto anche all'azienda un incontro a settembre per ridiscutere le nuove regole dopo la disdetta dell'accordo sul monte-ore di permessi sindacali che sarà valida dal primo gennaio 2011. (29 luglio 2010)
IL COMMENTO I rischi del Lingotto di LUCIANO GALLINO Da qualche tempo le mosse di Fiat Auto stanno diventando frenetiche. A fine aprile è arrivato il piano per trasferire a Pomigliano una quota della produzione della Panda che ora si fa in Polonia. Una settimana fa, l'annuncio che un modello di notevole peso industriale e commerciale sarebbe stato costruito in Serbia e non a Mirafiori. Poco dopo si è saputo che è già stata costituita una nuova società per gestire lo stabilimento campano, nonché per assumere con un nuovo contratto i lavoratori che accetteranno in toto di lavorare secondo i drastici standard indicati nel piano di aprile. Infine ieri l'Ad di Fiat ha avanzato come affatto realistica l'ipotesi di uscire dal contratto nazionale dei metalmeccanici, ed ha ribadito che ciò che vuole sono comportamenti dei lavoratori che non mettano mai, in nessun modo, a rischio la produzione e l'azienda. In altre parole, niente scioperi, niente vertenze sindacali, assenteismo meglio se vicino a zero, massima disciplina in fabbrica. A queste condizioni Fiat auto potrebbe anche restare in Italia. La sequenza di queste mosse rientra chiaramente in una precisa strategia: portare per quanto possibile nel nostro Paese le condizioni di lavoro dei paesi emergenti, e in prospettiva i salari che in quelli prevalgano, perché ciò appare indispensabile allo scopo di reggere alla competizione internazionale. Se questa come sembra è la strategia Fiat, bisogna chiedersi dove essa potrebbe portare il Paese, ma anche la Fiat, e se la strategia stessa non avesse o non abbia ancora delle alternative. Nel nostro Paese la strategia Fiat potrebbe in realtà non diminuire, grazie agli investimenti promessi, bensì aumentare il rischio di un marcato inasprimento e diffusione del conflitto sociale. Non può esservi dubbio, quali che siano le previsioni in contrario di questo o quel ministro o sindacalista, che migliaia di aziende le quali hanno sussidiarie all'estero chiederanno quasi subito, ove la strategia del Lingotto si affermasse, di adottarle a loro volta. è vero che c'è la crisi, che ha indebolito allo stesso tempo i sindacati e i singoli lavoratori; per cui molti di questi, dinanzi allo spettro della disoccupazione, accettano qualsiasi condizione pur di mantenere od ottenere un lavoro. Tuttavia non è affatto detto che in tutte le categorie, in tutte le zone industriali, in tutte le fabbriche e in tutti gli uffici, la grande maggioranza dei lavoratori accetti senza fiatare i dettami dell'organizzazione del lavoro "di classe mondiale". Ivi compreso il divieto di far sciopero, di manifestare, di aprire vertenze e perché no di ammalarsi. È questo uno scenario che l'amministratore delegato Sergio Marchionne parrebbe aver notevolmente sottovalutato, nella sua foga di giocatore che punta soprattutto a vincere la partita, quali che siano le conseguenze per gli spettatori. Dovrebbe essere il governo a ricordarglielo con una certa fermezza; ma dove stiano il governo, i ministri competenti, i politici che non si limitino a dire di supporre che tutto finirà bene, nessuno lo sa. Avrebbe potuto adottare altre strategie la Fiat, dinanzi a quella che senza perifrasi va definita come la crisi mondiale dell'autoindustria? La risposta è sì, alla quale è doveroso aggiungere che forse è troppo tardi. In primo luogo, anziché battersi per portare da noi le aspre condizioni di lavoro, i bassi salari, l'assenza di diritti dei paesi emergenti, Fiat avrebbe potuto battersi per addivenire ad accordi internazionali intesi a portare gradualmente in questi ultimi condizioni di lavoro, salari e diritti vigenti nei nostri paesi. Non è roba da fantapolitica. In molti settori, dall'abbigliamento all'industria mineraria, accordi del genere sono stati sottoscritti, e miglioramenti non trascurabili conseguiti per i lavoratori di entrambe le sponde. Naturalmente, in una simile operazione strategica Fiat avrebbe dovuto di nuovo avere dietro o accanto un governo capace di muoversi su questa complessa scacchiera. Anche in tema di strategie industriali la Fiat avrebbe potuto imboccare strade diverse. L'autoindustria mondiale soffre di tre gravi problemi: un eccesso enorme di capacità produttiva, un serio ritardo tecnologico, e una sostanziale incapacità di affrontare lo snodo cruciale della mobilità sostenibile (ad onta di quel che dice il sito dell'Associazione europea costruttori d'auto). In una simile situazione l'autoindustria avrebbe dovuto scegliere la strada schumpeteriana della concorrenza cooperativa, in luogo della concorrenza distruttiva. La prima prevede lo sviluppo di oligopoli che sappiano mettere in comune piani di produzione e tecnologie, oltre a dividersi saggiamente aree di mercato. La seconda prevede la guerra di tutti contro tutti, nella quale mors tua vita mea. Anche in questo caso la Fiat non poteva sviluppare da sola forme di cooperazione internazionale, ma con il suo peso industriale e il suo prestigio poteva almeno provarci. Per contro ha imboccato con eccezionale tenacia e durezza la strada della guerra a oltranza dei costruttori. Essere costretti a sperare, come capita ora con le sue ultime mosse, che Fiat nei prossimi anni vinca almeno qualche battaglia, se non la guerra, non aiuta a formarci una visione serena né di quel che resta o potrebbe restare dell'industria italiana, né delle virtù competitive di cui parrebbe doversi universalmente dotare la società in cui viviamo. Quella che si diceva fosse fondata sul lavoro. (29 luglio 2010)
2010-07-28 FIAT Marchionne: "Avanti con Fabbrica Italia Ora i sindacati dicano sì o no al futuro" Al tavolo convocato dal ministro Sacconi. L'ad Fiat ribadisce la volontà del Lingotto: aumentare i volumi produttivi degli stabilimenti italiani, anche al di fuori di Confindustria e del contratto nazionale. "Investiamo 20 miliardi, gli impianti devono poter funzionare". Assicura che la scelta serba non limita le prospettive di Mirafiori. Disponibilità da Cisl e Uil. Epifani: "Poche novità, restano le incertezze" Marchionne: "Avanti con Fabbrica Italia Ora i sindacati dicano sì o no al futuro" La protesta dei lavoratori dell'Usb TORINO - Dire sì o no alla modernizzazione, alla realizzazione di una rete produttiva italiana in grado di assicurare un salto di qualità nei volumi di produzione. Senza usare pretesti per lasciare le cose come stanno, senza accettare che il sistema industriale continui a essere inefficiente e inadeguato a produrre utile e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro. Ovviamente, dire no al nuovo scenario vuol dire anche che tutti i piani e gli investimenti per l'Italia verranno ridimensionati. Questo l'ultimatum che l'amministratore delegato Fiat, Sergio Marchionne, mette davanti ai sindacati al tavolo organizzato alla Regione Piemonte dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, presenti i leader di Cgil, Cisl e Uil, Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, i segretari generali di Fiom, Fim, Uilm, Fismic e Ugl, il governatore Roberto Cota, il presidente della Provincia Antonio Saitta e il sindaco di Torino Sergio Chiamparino. Marchionne non usa giri di parole per confermare la determinazione con cui Fiat intende perseguire i propri obiettivi di mutazione delle relazioni industriali per reggere alla sfida della crisi dell'auto e alla competizione sui mercati internazionali. Mutazione che da ieri è simboleggiata dalla nascita della società controllata Fabbrica Italia, un progetto e un piano che l'ad conferma al tavolo. "Siamo l'unica azienda ad investire 20 miliardi nel Paese - afferma - Non chiediamo aiuti o incentivi, ma dobbiamo avere garanzie che gli stabilimenti possano funzionare". E per funzionare, le regole devono necessariamente cambiare. A cominciare dalla praticabilità di un'uscita di Fiat da Confindustria e soprattutto dal contratto nazionale dei metalmeccanici una volta raggiunta la sua scadenza, opzione ventilata nei giorni scorsi e ribadita all'incontro di oggi. "Si parla molto di questa possibilità - dice Marchionne - Sono tutte strade praticabili, di cui si discuterà domani al nuovo tavolo convocato col sindacato nazionale. Se è necessario siamo disposti anche a seguire queste strade. Ma non è questa la sede per entrare nei dettagli". "Fabbrica Italia non è un accordo, è un nostro progetto, non è stato concordato né con il mondo politico né con il sindacato - tiene a chiarire Marchionne - Per questo è incredibile la pretesa che ho sentito più volte rivolgere alla Fiat di rispettare un presunto accordo". L'unico accordo firmato è quello su Pomigliano, sulla cui modalità di realizzazione "non esistono preconcetti". Ma Marchionne avverte i sindacati: "Non si fanno gli interessi dei lavoratori usandoli per interessi politici. Le nostre non sono minacce, ma non siamo disposti a mettere a rischio la sopravvivenza dell'azienda". L'ad passa quindi a illustrare la visione Fiat sullo spostamento in Serbia della produzione della nuova monovolume, il modello LO. "Assegnarlo a Mirafiori, come era stato anticipato a dicembre nell'incontro di Palazzo Chigi, era una delle tante possibilità sul tavolo - dice - La scelta che abbiamo fatto di portarlo in Serbia è nata considerando i tempi stretti che avevamo a disposizione per iniziare i lavori e adeguare le linee di produzione. Il progetto doveva partire al più presto, sia per ragioni commerciali, sia per ragioni industriali". Scelta che non pregiudica le prospettive di Mirafiori. "La gamma dei prodotti prevista nel piano quinquennale del gruppo è talmente ampia che ci sono altre possibilità a disposizione - garantisce il manager - Considerando sia i prodotti Fiat sia i modelli Chrysler, esistono altre alternative che possono portare lo stesso risultato e garantire gli stessi volumi di produzione previsti". I sindacati. La reazione delle organizzazioni sindacali non è univoca. Bonanni è per il "sì, senza se e senza ma, e questo vale anche per l'accordo su Pomigliano". "Ma - aggiunge il leader della Cisl - vogliamo che Marchionne faccia chiarezza sul fatto che le modalità dell'investimento rimarranno nel perimetro delle regole del nuovo sistema contrattuale che abbiamo costruito". Anche il leader della Uil Angeletti si dice pronto "ad accettare e a praticare le sfide necessarie", chiedendo a Marchionne di confermare l'impegno a incrementare la produzione negli stabilimenti italiani. "La Fiat ci dica quali sono le condizioni per cui questo progetto si implementi sicuramente. La stragrande maggioranza dei lavoratori è preoccupata solo di avere il suo posto di lavoro e a condizioni normali". Epifani è insoddisfatto. "Oggi ho sentito troppo ottimismo, la verità è che non ci sono patti nuovi - dice il leader Cgil -. L'azienda ha riconfermato gli obiettivi del piano 'Fabbrica Italia', che la Cgil condivide. Il problema è trovare gli strumenti contrattuali per raggiungerli". Da Epifani, un appello ai vertici del Lingotto: "La Cgil è convinta che si possa riaprire il confronto a partire da Pomigliano per trovare una soluzione condivisa. Siamo disponibili a fare questo passo ma chiediamo alla Fiat di fare lo stesso". Cgil non ha interesse in una "conflittualità permanente" assicura Epifani, che poi contesta a Marchionne il senso dell'opzione serba. "Il sindacato non ha mai avuto problemi a saturare gli impianti" ammonisce Epifani, secondo cui spostare la monovolume LO a scapito di Mirafiori è una scelta dettata solo da "convenienza economica", perché per il leader Cgil, "non c'è problema di gestione dell'azienda". Giovanni Centrella, segretario generale di Ugl, esprime invece le perplessità sull'ultimatum di Marchionne. "Non è giusto - dice - che pretenda da noi oggi un sì o un no. Ci dica prima con chiarezza entro quale sistema di regole la Fiat intende far funzionare tutti i suoi progetti". Per Giuseppe Farina, segretario generale della Fim-Cisl, "non serve la disdetta del contratto nazionale". "Siamo pronti - dice il numero uno dei metalmeccanici della Cisl - a trovare una soluzione al problema sollevato da Marchionne sulla esigibilità degli accordi su Fabbrica Italia, a partire da quello di Pomigliano, trovando una soluzione all'interno del sistema contrattuale nazionale". Marchionne lascia il tavolo per partire alla volta di Roma, dove vedrà la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. L'incontro di Torino si chiude nella prospettiva di nuove riunioni dedicate alla situazione dei singoli stabilimenti, coordinati dal ministero del Welfare. A questo proposito, il ministro Sacconi anticipa che "il governo continuerà il percorso in atto sulla reindustrializzazione di Termini Imerese e le parti saranno convocate, di intesa con la Regione Sicilia, entro il 15 settembre, per discutere di tutte le proposte che Invitalia sta esaminando". Sacconi giudica l'incontro di oggi "utile, costruttivo, che ci consente di procedere lungo la via dell'ulteriore consolidamento e sviluppo della capacità produttiva degli impianti Fiat in Italia, con conseguenti garanzie sui livelli occupazionali". Secondo il ministro, "si vogliono realizzare accordi di stabilimento, sul modello di Pomigliano. Questo non significa lo stesso accordo, ma verificare la convergenza delle parti sugli investimenti e l'organizzazione del lavoro", con l'obiettivo della "saturazione degli impianti e la piena efficienza degli stessi". "Il governo - conclude il ministro - ha sollecitato le parti a restare nell'alveo delle tradizionali relazioni industriali, che hanno dimostrato un'ampia capacità di rigenerazione. Atti unilaterali nel sistema delle relazioni industriali sarebbero inopportuni. Per questo le parti sono state invitate a trovare modalità con le quali adattare le relazioni industriali ad esigenze attuali". (28 luglio 2010)
Diretta - Economia
Fiat, incontro con sindacati e governo Marchionne: "Si può dire solo sì o no" Alla Regione Piemonte il tavolo convocato dal ministro Sacconi dopo l'annuncio della delocalizzazione in Serbia. L'ad assicura che questo "non toglie prospettive a Mirafiori" e conferma il piano di Fabbrica Italia. Poi lancia l'ultimatum: "Senza un sì convinto, meno investimenti". E definisce "una strada praticabile" la disdetta del contratto nazionale 15:00 Marchionne incontra Marcegaglia Incontro riservato, a margine della conferenza degli ambasciatori alla Farnesina, tra Marchionne e la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia 14:57 Di Pietro: "Si difenda il contratto" Il leader dell'Idv e il responsabile lavoro del partito Zipponi: "Come volevasi dimostrare, la riunione di oggi con il ministro della Disoccupazione, Sacconi si è rivelata un disco rotto senza nessun intervento da parte della presidenza del consiglio che dovrebbe essere l'attore principale. L'Italia dei Valori considera il contratto nazionale una garanzia imprescindibile per i lavoratori e per questo deve essere difeso" 14:15 Senatori Pd: "Il governo è inadeguato" I senatori del Pd componenti della Commissione lavoro denunciano "la grave inadeguatezza dell`iniziativa del governo di fronte alle sfide che la vicenda Fiat pone al Paese" e chiedono che "il governo riferisca immediatamente al Senato, informando sull`andamento del confronto con Fiat e chiarendo come intenda procedere rispetto alle gravi scelte poste in atto dall'azienda (costituzione della newco, minaccia di uscita dal contratto nazionale nonostante l`esito del referendum di pomigliano), che riguardano il futuro della produzione in italia, i diritti contrattuali dei lavoratori e il sistema delle relazioni sindacali" 13:31 Landini: "Pronti al confronto" Il segretario generale della Fiom: "Abbiamo ribadito che siamo più di loro interessati affinchè in Italia si continui a produrre auto. Siamo pronti a trattare per rendere efficienti gli stabilimenti, ma all'interno delle leggi che ci sono gli strumenti per trovare soluzioni". "Il governo convoca tavoli per dirci di rinunciare ai diritti e non fa quello che si fa negli altri Paesi dove per fare politica industriale si usano anche i soldi pubblici", dice Landini, secondo cui oggi "non stati fugati i dubb" e sulla disdetta del contratto si apre "un quadro pericoloso". 13:28 Epifani: "Non ci sono fatti nuovi" Il leader Cgil: "Ho sentito molto ottimismo ma in realtà non ci sono fatti nuovi. Le incertezze che avevamo già dopo l'incontro di palazzo Chigi, aumentate dopo l'annuncio dello spostamento in Serbia, ci sono tutte" 13:03 Sacconi: "Entro 15 settembre incontro su Termini Imerese" Sacconi: "Il governo continuerà il percorso in atto sulla reindustrializzazione di Termini Imerese e le parti saranno convocate, di intesa con la Regione Sicilia, entro il 15 settembre, per discutere di tutte le proposte che Invitalia sta esaminando" 12:51 Sacconi: "Altri accordi sul modello Pomigliano" Sacconi: "Si vogliono realizzare accordi di stabilimento, sul modello di Pomigliano. Questo non significa lo stesso accordo, ma significa verificare la convergenza delle parti sugli investimenti e l'organizzazione del lavoro". L'obiettivo è quello della "saturazione degli impianti e la piena efficienza degli stessi" 12:49 Chiamparino: "Confermate prospettive Mirafiori" Il sindaco di Torino: "Avevo dubbi che si trattasse di un impegno di facciata, ma sono contento di essere stato smentito. Abbiamo avuto con chiarezza la conferma che per Mirafiori nella programmazione quinquennale dei modelli Fiat ne sono previsti altri, forse anche di gamma più adeguata ad uno stabilimento che comunque è il quartier generale europeo del gruppo" 12:40 Sacconi: "Incontro utile" Il ministro: "E' stato un incontro utile, costruttivo, che ci consente di procedere lungo la via dell'ulteriore consolidamento e sviluppo della capacità produttiva degli impianti Fiat in Italia, con conseguenti garanzie sui livelli occupazionali". Di incontro "produttivo e positivo" parla anche il governatore Cota 12:39 Sacconi: "No ad atti unilaterali" Sacconi nella conferenza stampa dopo l'incontro: "Il governo ha sollecitato le parti a restare nell'alveo delle tradizionali relazioni industriali che hanno dimostrato un'ampia capacità di rigenerazione. Atti unilaterali nel sistema delle relazioni industriali sarebbero inopportuni. Per questo le parti sono state invitate a trovare modalità con le quali adattare le relazioni industriali ad esigenze attuali" 12:14 Concluso l'incontro: previsti vertici su singoli stabilimenti Si è concluso l'incontro di Torino sulle prospettive del gruppo Fiat. Secondo quanto si è appreso, ci saranno altri incontri specifici sulla situazione dei singoli stabilimenti. Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha detto che il governo si impegna a coordinare le trattative che proseguiranno ora a livello di singoli stabilimenti. L'ad di Fiat, Sergio Marchionne, ha lasciato Torino alla volta di Roma 12:09 Farina: "Uscire dal contratto nazionale non è necessario" "Non serve la disdetta del contratto nazionale". Lo afferma il segretario generale della Fim-Cisl, Giuseppe Farina, partecipando al tavolo Fiat in corso a Torino. "Siamo pronti a trovare una soluzione al problema sollevato da Marchionne sulla esigibilità degli accordi su Fabbrica Italia, a partire da quello di Pomigliano, trovando una soluzione all'interno del sistema contrattuale nazionale", aggiunge il numero uno dei metalmeccanici della Cisl. 12:08 Centrella: "Prima di ultimatum Marchionne dica quali regole vuole" "Non è giusto che Marchionne pretenda da noi oggi un sì o un no. Ci dica prima con chiarezza entro quale sistema di regole la Fiat intende far funzionare tutti i suoi progetti che comunque non possono essere cambiati in corso d'opera". Lo ha detto Giovanni Centrella, segretario generale dell'Ugl, intervenendo al tavolo a Torino. Centrella ha chiesto che sia garantita la piena saturazione degli impianti. 12:04 Angeletti: "No alibi, Fiat confermi impegno per stabilimenti italiani" L'obiettivo di aumentare la produzione dell'auto in Italia "è così importante che non andiamo a cercare alibi o scuse per non raggiungerlo". Lo afferma il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, intervenendo al tavolo Fiat in corso a Torino. "Noi non abbiamo problemi ad accettare e a praticare le sfide necessarie. Abbiamo bisogno di vedere riconfermato l'impegno ad incrementare gli stabilimenti italiani: la Fiat ci dica quali sono le condizioni per cui questo progetto si implementi sicuramente. La stragrande maggioranza dei lavoratori è preoccupata solo di avere il suo posto di lavoro e a condizioni normali" 11:58 Epifani: "Serbia solo per convenienza, Mirafiori non ha problemi di gestione" "Nessuno vuole una conflittualità permanente" e il sindacato non ha "mai avuto problemi a saturare gli impianti in Italia". Così il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Che a proposito dello spostamento in Serbia della produzione del nuovo monovolume LO a scapito dello stabilimento di Mirafiori, parla di una scelta dettata solo da "convenienza economica", perché per il leader Cgil, "non c'è problema di gestione dell'azienda" 11:51 Marchionne: "L'opzione serba non toglie prospettive a Mirafiori" Riguardo alla scelta di portare la produzione del modello L0 in Serbia, Marchionne ha spiegato: "Assegnarlo a Mirafiori, come era stato anticipato a dicembre nell'incontro di Palazzo Chigi, era una delle tante possibilità sul tavolo. La scelta che abbiamo fatto di portarlo in Serbia è nata considerando i tempi stretti che avevamo a disposizione per iniziare i lavori e adeguare le linee di produzione. Il progetto doveva partire al più presto, sia per ragioni commerciale, sia per ragioni industriali. Avevamo la necessità di scegliere un impianto che ci desse la garanzia di rispondere alle esigenze del mercato". Una scelta che per Marchionne non toglie prospettive allo stabilimento torinese: "Ne ha eliminata una tra molte. La gamma dei prodotti prevista nel piano quinquennale del gruppo è talmente ampia che ci sono altre possibilità a disposizione. Considerando sia i prodotti Fiat sia i modelli Chrysler, esistono altre alternative che possono portare lo stesso risultato e garantire gli stessi volumi di produzione previsti". 11:49 Marchionne: "Praticabile uscita da contratto nazionale metalmeccanici" "Si parla molto della possibilità che la Fiat decida la disdetta dalla Confindustria e quindi dal contratto dei metalmeccanici alla sua scadenza. Sono tutte strade praticabili, di cui si discuterà domani al nuovo tavolo convocato col sindacato nazionale. Se è necessario siamo disposti anche a seguire queste strade. Ma non è questa la sede per entrare nei dettagli" 11:46 Bonanni: "Cisl per il sì, ma entro regole del nuovo sistema contrattuale" "Noi diciamo a Marchionne che per la Cisl la risposta è sì. Senza se e senza ma. E questo vale anche per l'accordo su Pomigliano". Lo afferma il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, rispondendo all'ultimatum dell'amministratore delegato del Lingotto. "Ma - aggiunge il leader della Cisl nel corso del tavolo a Torino - vogliamo che Marchionne faccia chiarezza sul fatto che le modalità dell'investimento rimarranno nel perimetro delle regole del nuovo sistema contrattuale che abbiamo costruito" 11:44 Marchionne: "Opportunità di aumentare volumi produttivi" L'ad di Fiat spiega ancora: "Abbiamo l'opportunità di costruire una rete industriale in Italia che sia in grado di aumentare in modo significativo gli attuali volumi di produzione. Non sprechiamo questa opportunità. La sfida è possibile unendo le forze, le intelligenze e le risorse. Lo è dividendo i compiti i sacrifici e le responsabilità. Vorremmo che per una volta fosse l'Italia a diventare l'esempio di come questi cambiamenti possano realizzarsi con successo" 11:41 Marchionne: "Meno investimenti se 'Fabbrica Italia' non va avanti" "Se si tratta solo di pretesti per lasciare le cose come stanno è bene che ognuno si assuma la propria responsabilità sapendo che il progetto 'Fabbrica Italia' non può andare avanti e che tutti i piani e gli investimenti per l'Italia verranno ridimensionati". Lo ha detto l'ad Fiat Sergio Marchionne al tavolo sulle prospettive sul Gruppo 11:36 Marchionne: "E' il momento di dire sì o no alla modernizzazione" "Ci sono solo due parole che al punto in cui siamo richiedono di essere pronunciate. Una è sì, l'altra è no. Sì vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana, no vuol dire lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui a essere inefficiente e inadeguato a produrre utile e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro" 11:28 Marchionne: "Le nostre non sono minacce" Marchionne ha sottolineato che l'azienda non ha "nessun preconcetto su come rendere praticabile l'accordo a Pomigliano. Non si fanno gli interessi dei lavoratori usandoli per interessi politici. Le nostre non sono minacce, ma non siamo disposti a mettere a rischio la sopravvivenza dell'azienda" 11:24 Marchionne dà un ultimatum ai sindacati Dopo aver confermato il piano per Fabbrica Italia ("unica azienda ad investire 20 miliardi nel Paese, ma dobbiamo avere garanzie che gli stabilimenti possano funzionare"), l'ad del Lingotto dà un ultimatum ai sindacati ad accettare in toto il piano industriale e avverte il governo che non si farà coinvolgere dalle polemiche perché la Fiat non è un soggetto politico. "Non c'è stato accordo al di là di Pomigliano. Fabbrica italia è stata una nostra iniziativa. Non l'abbiamo concordato né con la politica né con i sindacati. Non agiamo come soggetto politico e non intendiamo farci coinvolgere. Vogliamo sapere o sì o no. Non chiediamo aiuti o incentivi, ma dobbiamo avere garanzie che gli stabilimenti possano funzionare" 11:23 Marchionne: "Mirafiori ha prospettive" All'incontro in corso alla sede della Regione Piemonte, l'ad di Fiat Marchionne assicura che la produzione della monovolume 'L0' in Serbia "non toglie prospettive a Mirafiori" "Esistono alternative per garantire i volumi di produzione" nella fabbrica torinese
2010-07-27 LA TRATTATIVA Sacconi: "Su Fiat partita aperta" Nasce Fabbrica Italia Pomigliano "Per la Cgil è occasione di rientrare in gioco", dice il ministro, "ma non potrà essere possibile per una parte sola di mettere il veto sugli altri". Marchionne presidente della newco. Giovedì l'azienda incontra i sindacati Sacconi: "Su Fiat partita aperta" Nasce Fabbrica Italia Pomigliano Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi ROMA - Nasce Fabbrica Italia Pomigliano, società iscritta al Registro delle Imprese della Camera di Commercio di Torino il 19 luglio e controllata al 100% da Fiat Partecipazioni, con un capitale di 50.000 euro, presidente Sergio Marchionne. La notizia arriva alla vigilia dell'incontro tra azienda, sindacati e governo convocato a Torino dopo che è scoppiato il caso Serbia. E in vista di quell'incontro a Torino, il ministro del Welfare Maurizio Sacconi appare fiducioso: "La partita è quanto mai aperta e sono ottimista per la soluzione". Una newco per Pomigliano. La nascita di Fabbrica Italia Pomigliano è un passo preliminare per la costituzione di una nuova società, una new company in cui riassumere, con un nuovo contratto, i 5.000 lavoratori della fabbrica campana. Si tratta del progetto Futura Panda a Pomigliano, per il quale la Fiat ha raggiunto un accordo 1con i sindacati il 15 giugno. L'accordo non è stato firmato dalla Fiom. La Fabbrica Italia Pomigliano ha come oggetto sociale "l'attività di produzione, assemblaggio e vendita di autoveicoli e loro parti. A tal fine può costruire, acquistare, vendere, prendere e dare in affitto o in locazione finanziaria, trasformare e gestire stabilimenti, immobili e aziende. Può compiere le operazioni commerciali, industriali, immobiliari e finanziarie, queste ultime non nei confronti del pubblico, necessarie o utili per il conseguimento dell'oggetto sociale, ivi comprese l'assunzione e la dismissione di partecipazioni ed interessenze in enti o società, anche intervenendo alla loro costituzione".
Fiat convoca i sindacati, giovedì l'incontro. La Fiat ha convocato giovedì a Torino i sindacati metalmeccanici. L'incontro si svolgerà all'Unione Industriale alle 9.30. All'ordine del giorno - secondo le organizzazioni dei lavoratori - dovrebbe essere la comunicazione della disdetta degli accordi vigenti e, in particolare, del contratto nazionale di lavoro. Si parlerà anche di Pomigliano con i sindacati che hanno firmato l'intesa del 15 giugno. A questa seconda parte dell'incontro, quindi, non dovrebbe prendere parte la Fiom. Sacconi ottimista. "Vedo la possibilità della convergenza tra le parti, mi auguro di tutte, dobbiamo fare quanto possibile perché siano tutte, ma in ogni caso non potrà essere possibile per una parte sola di mettere il veto sugli altri, si deve andare avanti", ha detto Sacconi parlando poi espressamente dell'isolamento della Cgil in questo tavolo. "Per la Cgil è una occasione di rientrare in gioco e mi auguro che voglia sfruttare questa occasione riflettendo sull'autoisolamento di questo periodo nella vicenda Fiat. Sono ottimista perché credo nella volontà degli attori e credo nella loro consapevolezza di quanto sia alta la posta in gioco". Sacconi ha ribadito che l'obiettivo è verificare l'impegno di Fiat a investire in Italia fino a saturare gli impianti esistenti e che a questo tavolo "la posta in gioco è ancora più alta... serve a dimostrare che l'Italia può rimanere una grande piattaforma produttiva anche per l'industria dell'auto". Sacconi non ha risposto direttamente alla domanda se Fiat possa cercare di fare un contratto diverso da quello nazionale del settore 2 e uscire dalla Federmeccanica, associazione delle imprese meccaniche di Confindustria. "Dovranno essere le parti tra di loro a definire i modi con cui regolare questo processo. La soluzione deve essere comunque condivisa", ha risposto in proposito il ministro. "Quello che ci interessa è che nel quadro dell'organizzazione del gruppo Fiat ci siano missioni produttive sostenibili nel tempo nei siti italiani, tra i quali Mirafiori". Pd: "Preoccupa l'assenza del governo". Si dice preoccupato per le scelte della Fiat Francesco Boccia, coordinatore delle commissioni Economiche del gruppo Pd alla Camera: "Le scelte della Fiat, compresa quella più recente di dar vita alla nuova fabbrica di Pomigliano, dovrebbero essere valutate alla luce di una politica industriale del governo che in questo momento manca completamente". L'assenza di un ministero rappresenta, secondo Boccia, il sintomo più evidente del disinteresse del governo "per un impegno forte a sostegno del nostro sistema economico e produttivo in vista di un credibile superamento della crisi". E, incalza il coordinatore, "vogliamo che il governo spieghi agli italiani in diretta televisiva quali iniziative intenda assumere per avviare un confronto ai massimi livelli istituzionali con il gruppo torinese, per assicurare la permanenza di un forte e innovativo insediamento produttivo nazionale nel comparto automobilistico, anche sollecitando la presentazione di un piano complessivo che chiarisca il ruolo che la Fiat intende avere nel nostro Paese". (27 luglio 2010)
2010-07-25 L'INTERVISTA / 1 Epifani: "Fiat, ridiscutiamo tutto Pomigliano e investimenti" Il leader della Cgil dopo l'annuncio del trasferimento in Serbia e la convocazione del governo: ecco le condizioni per il disgelo di ROBERTO PETRINI Epifani: "Fiat, ridiscutiamo tutto Pomigliano e investimenti" ROMA - Dovremo rassegnarci ad una Torino senza Fiat, sebbene, come dice Chiamparino, la "T" è parte integrante del marchio automobilistico. Finirà così? "Non può finire così - risponde il segretario della Cgil Guglielmo Epifani - e non deve finire così. Leggo in questi giorni tante teorie sull'impresa globale ma se poi vai a guardare le altre imprese globali quasi tutte hanno un rapporto con un territorio, con una identità e con una memoria. Vale per le aziende tedesche, francesi, giapponesi ed anche per quelle americane e coreane. Non si capisce perché non debba valere solo per le imprese nate e cresciute in Italia. Vedo, dietro questa rottura con l'identità territoriale, più un'idea finanziaria che industriale". Sergio Marchionne sembra scaricare la responsabilità sui sindacati: dice che all'estero farebbero ponti d'oro alla sua azienda. "In Serbia per la verità i ponti d'oro sono quelli fatti dal governo: finanziamenti, detassasione per 10 anni, sconti sul costo del lavoro, ingresso dello Stato nella società con Fiat con il 25%. Semmai c'è da dire che la differenza la fa il comportamento dei governi. E i governi intervengono attivamente anche in Francia e in Usa". Il ministro del Welfare Sacconi vi ha convocati a Torino. Andrà? "Sì certo, anche se la sede e la forma dell'incontro sono poco convenzionali. Era meglio una sede istituzionale, come Palazzo Chigi". C'è la possibilità di un disgelo? "A due condizioni. Che l'incontro possa portare a dare certezze sugli investimenti in Italia e la difesa dell'occupazione. Inoltre bisogna trovare una modalità per riaprire il confronto su tutti gli stabilimenti italiani, Pomigliano compreso. Non mi convince il fatto che per non provare a riaprire il confronto con Fiom e Cgil si cerchino artifici formali per rendere esigibile l'accordo; artifici che avrebbero più costi e più problemi di quelli che si potrebbero conseguire riaprendo il confronto". Allude alla costituzione di una new company per Pomigliano, con l'obiettivo di azzerare tutto, estromettere la Fiom, e ricominciare senza il "vincolo" del contratto nazionale? "Sarebbe un atto grave e miope. Non riesco a trovare infatti una convenienza a seguire questa strada. Anche perché sono anni che sindacati e Confindustria ragionano su una prospettiva di contratti nazionali più larghi, oltre i settori merceologici, per tenere conto delle trasformazioni e dell'espandersi delle filiere produttive. Su questo ricordo l'impegno prima di Montezemolo e oggi della Marcegaglia". Le sembra che Marchionne chieda per Mirafiori quello che ha ottenuto a Pomigliano? Rinuncia a diritti sulla malattia e lo sciopero oppure si va in Serbia? "Non so cosa voglia davvero la Fiat. Ricordo che solo qualche settimana fa Marchionne aveva detto che si sarebbero prodotte 1,6 milioni vetture in Italia: non si può cambiare idea ogni tre mesi. Vorrei provare una volta tanto a discutere seriamente su "Fabbrica Italia": è una formula suggestiva che per me vuol dire più investimenti, più qualità nei prodotti, più professionalità, difesa dei diritti e adesione esplicita ai doveri che ne conseguono. Per essere chiari anche sulla produttività e l'efficienza. Ma se, arrivati al dunque, dietro la formula "Fabbrica Italia" si nasconde l'intenzione di toccare dei diritti fondamentali, come quello della responsabilità individuale nel caso di malattia o sciopero, si va oltre il contratto. Si fa una strappo alle leggi e alla Costituzione". Il caso dei licenziamenti alla Fiat rappresenta un ostacolo? "I licenziamenti fatti non sono in realtà motivati. Non sono stati messi in atto comportamenti tali che li giustifichino e anche questo è un tema che va ripreso e su cui anche il governo deve fare la propria parte". (25 luglio 2010)
L'INTERVISTA / 2 Chiamparino e il caso Fiat "Sindacati siano affidabili" Il sindaco di Torino: siamo indietro di trent'anni. "Senza garanzie il Lingotto sarà americano" di SALVATORE TROPEA Chiamparino e il caso Fiat "Sindacati siano affidabili" TORINO - "Il fatto è che pensiamo ancora come negli anni Settanta, siamo fermi a quell'epoca e a quel mondo. Non solo la Fiom, ma tutta la politica italiana, a destra e a sinistra, dalla Lega che continua a dire che dopo trent'anni di contributi la Fiat non può andare fuori, a chi pensa semplicemente che si possa andare avanti senza regole o con regole messe continuamente in discussione. Se è così chi glielo fa fare a Marchionne di investire 20 miliardi in un paese in cui, bene che vada, è sopportato. Poi però bisogna pur convincerlo a rinunciare alla linea dura e a pensare a qualcosa di alternativo per Mirafiori". Sindaco di Torino, esponente di spicco del Pd, amico ma non solo per questo interlocutore privilegiato del numero uno del Lingotto col quale è stato il primo a parlare dopo la bomba Mirafiori-Serbia, Sergio Chiamparino, la dice così come la pensa. Già, signor sindaco, ma lei crede possibile una soluzione per Mirafiori? "Sono convinto che si potrà aggiustare. Ho visto il programma che per quanto riguarda la fabbrica torinese, da qui al 2013, indica una produzione annua di 250 mila vetture. Ne ho parlato con Marchionne anche nel colloquio telefonico di venerdì e non credo possa essere cancellato. Quanto a cosa produrre, come avete scritto su Repubblica, ci sono la MiTo che comunque rimane e altri modelli dello stesso marchio. So anche che la L0, che si vuole dirottare in Serbia, prevede una famiglia di vetture alcune delle quale possono essere prodotte a Mirafiori. Dunque gli spazi per assicurare la continuità produttiva ci sono". Sarà questa la richiesta di partenza nella riunione di mercoledì prossimo? "Non solo. Mi auguro che non sia un tavolo di chiacchiere. C'è il rischio il rischio che finisca in cinematografo e questo non va bene. Il fatto che l'annuncio del vertice congiunto sia arrivato dopo che le agenzie avevano diffuso la notizia del mio colloquio con Marchionne mi fa temere che possa trattarsi di qualcosa messo assieme affrettatamente e per non restare indietro. Potrà essere un tavolo importante se il governo convincerà la Fiat a provarci ancora su Torino e, più in generale, a non rinunciare alla sfida lanciata con Fabbrica Italia". Come? "Mettendo per esempio dei soldi per la ricerca e la produzione del motore pulito. Una cosa che si può fare solo a Torino perché qui ci sono le capacità tecniche per poterla fare. E' questo un elemento aggiuntivo che però presuppone una chiara scelta di politica industriale che sinora è mancata". Al tavolo ci saranno anche i sindacati, compresa la Cgil, e il caso Mirafiori incrocerà quello Pomigliano riproponendo i motivi di rottura già noti e sui quali anche il suo partito si è espresso con toni critici nei confronti di Marchionne. "Se vogliamo cancellare la distanza che ci vede indietro di trent'anni, i sindacati devono garantire l'affidabilità, devono assicurare il funzionamento della fabbrica. Questo in America è stato fatto e se non provvediamo a farlo anche qui il rischio sarà quello di dover parlare fra non molto non di Fiat-Chrysler ma di Chrysler- Fiat". L'Italia però non è l'America. "E' vero. Ma io mi domando dove c'è uno che investe 20 miliardi e sposta pezzi importanti di produzione dall'estero? Io in Italia non lo vedo, salvo forse qualche piccolo imprenditore. Perciò se fossi al posto di Marchionne direi: io devo fare tante vetture, fate voi le proposte su come evitare di perderci tutti. Ma questo da noi è purtroppo difficile. In America Obama andrà tra qualche giorno a visitare la Chrysler rilanciata in appena un anno con l'impegno dell'azienda, dei sindacati, del governo. Da noi siamo ancora fermi al tiro al bersaglio dei partiti che urlano inseguendo ognuno propri interessi di provincia e di parrocchia politica". (25 luglio 2010)
La vera storia del caso Marchionne di EUGENIO SCALFARI La vera storia del caso Marchionne Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat ROMA - Fa piacere a tutti quelli che fanno il mio mestiere poter dire ogni tanto: "l'avevo scritto prima di tutti" anche se molte volte ci sbagliamo nelle previsioni e nei giudizi. E allora: quando Marchionne annunciò che la Fiat aveva conquistato il controllo della Chrysler, gran parte della stampa magnificò quell'operazione come un'offensiva in grande stile della società torinese per proporsi come uno dei quattro o cinque gruppi automobilistici mondiali che sarebbero sopravvissuti nell'economia globale. Io scrissi invece che l'operazione di Marchionne era puramente difensiva. La Fiat stava affondando; aggrappata alla Chrysler sarebbe sopravvissuta, sia pure con connotati industriali e territoriali completamente diversi. Ma perché proprio la Chrysler e non invece la Peugeot e magari la General Motors che sembrava anch'essa sull'orlo del disastro? La Peugeot non si poneva il problema di sopravvivenza planetaria e non stava affatto affondando; quanto alla GM, aveva un programma di rilancio che infatti è andato a buon fine con l'aiuto dei fondi messi a sua disposizione dal governo Usa. Chrysler era completamente decotta e il governo americano non l'avrebbe rifinanziata, l'avrebbe lasciata fallire. L'arrivo della Fiat e del piano industriale di Marchionne la salvò, Obama decise il rifinanziamento e in questo modo tenne a galla Chrysler e indirettamente la stessa Fiat. Il capolavoro di Marchionne è stato questo. Ma poi arrivarono allo stesso pettine altri nodi. Massimo Giannini, trattando ieri questo stesso tema, ha scritto che la questione di Pomigliano è stata una "provocazione" di Marchionne per saggiare la risposta dei sindacati. L'errore dei sindacati (Cisl e Uil) - ha scritto - è stato di pensare che la provocazione riguardasse soltanto Pomigliano; invece no, riguardava l'assetto di tutto il gruppo Fiat a cominciare dal Lingotto. In effetti è così. È vero che nell'accordo firmato con Cisl e Uil la Fiat ha preso l'impegno che le nuove regole non saranno applicabili in nessuno degli altri suoi stabilimenti in Italia; Marchionne infatti non ne applicherà ma semplicemente trasferirà in Serbia l'attuale lavoro previsto per Mirafiori. Ma perché in Serbia? La differenza di costo salariale tra la Serbia e Torino è molto forte ma la componente salariale non pesa più dell'8 per cento sul prodotto finale. La ragione del trasferimento dunque non è questa; la ragione sta nel fatto che lo stabilimento Fiat in Serbia sarà pagato per tre quarti dall'Unione europea e per il resto da incentivi fiscali del governo di Belgrado. Quello stabilimento non costa nulla alla Fiat; per di più la sua gestione è vantaggiosa e genera utili. Perché Marchionne dovrebbe rinunciarvi? Quanto al governo italiano, non ha assolutamente nulla da dare alla Fiat. L'azionista della società torinese non ha soldi per nuovi investimenti automobilistici; tanto meno ne ha il governo Berlusconi-Tremonti. Quindi liberi tutti, checché ne pensino Chiamparino e la Regione Piemonte a guida leghista. Bossi vuole il federalismo, della Fiat non gliene frega niente. Il tavolo aperto dal ministro Sacconi per mercoledì prossimo si limiterà ad auspicare qualche dettaglio; sotto l'auspicio niente.
Tutto questo era prevedibile ed infatti era stato previsto. Come era stata prevista la mossa fondamentale di scorporare l'automobile dalla Fiat e quindi dal gruppo Agnelli. In gergo borsistico quest'operazione è stata chiamata "spin off", un termine che richiama in qualche modo lo "spinnaker", la vela di prua che viene alzata quando il vento soffia da poppa. Se quel vento è forte la barca vola sulle onde. Infatti la Borsa ha accolto con molto favore lo scorporo. Il significato strategico è chiaro a tutti: gli azionisti del gruppo e "in primis" la famiglia Agnelli, vogliono disfarsi dell'automobile. Lo "spin off" serve appunto a questo: predisporre la vendita dell'automobile ex Fiat a chi vorrà comprarlo. Nel frattempo preparare la fusione con la Chrysler. La Fiat resta a Torino, ma senza più l'auto. Questa è la prospettiva del futuro prossimo. Fin qui abbiamo considerato la questione Fiat misurandola su tre dimensioni successive: Pomigliano, Lingotto, scorporo dell'auto. Ma c'è una quarta dimensione ancora più importante e ancora più globale. Ne scrissi due mesi fa e non l'ho chiamata "provocazione" ma "apripista". Il caso Pomigliano cioè, e ciò che ne sta seguendo, funziona da caso "apripista" per un'infinità di operazioni analoghe che possono coinvolgere l'intero apparato industriale italiano, soprattutto quello delle imprese medio-piccole e piccole, quelle che occupano tra i 300 e i 20 dipendenti e che rappresentano il vero ed unico tessuto industriale italiano soprattutto nel nord della Lombardia, nel Triveneto, nell'Emilia-Romagna, nelle Marche, in Puglia, in Campania, nel Lazio. Queste imprese esportano nell'euro e fuori dall'euro. Avevano registrato una grave crisi nel 2007-2008, poi si sono riprese, aiutate dalla svalutazione dell'euro, dal lavoro nero e precario e dal lassismo fiscale. Non sappiamo quanto reggeranno all'"austerity" di Tremonti e alla ripresa dell'euro nei confronti del dollaro. Il rischio è che adottino anch'esse la delocalizzazione di cui Pomigliano ha funzionato come apripista. Nelle imprese medio-piccole e piccole il sindacato è molto più debole che nelle grandi e grandissime. Quindi il problema non è di disciplinare il sindacato, ma di disciplinare direttamente i dipendenti. La minaccia della delocalizzazione servirà a questo e sarà estremamente difficile resistervi. Andiamo dunque verso un rapido azzeramento delle conquiste sindacali e dell'economia sociale di mercato degli anni Sessanta fino all'inizio di questo secolo? Io temo di sì. Temo che la direzione di marcia sia proprio quella ed ho cercato di definirla parlando della legge chimico-fisica dei vasi comunicanti. In ogni sistema globalmente comunicante il liquido tende a disporsi in tutti i punti del sistema allo stesso livello, obbedendo all'azione della pressione atmosferica. In un'economia globale questo meccanismo funziona per tutte le grandezze economiche e sociali: il tasso di interesse, il tasso di efficienza degli investimenti, il prezzo delle merci, le condizioni di lavoro. Tutte queste grandezze tendono allo stesso livello, il che significa che i paesi opulenti dovranno perdere una parte della loro opulenza mentre i paesi emergenti tenderanno a migliorare il proprio standard di benessere. La prima tendenza sarà più rapida della seconda. Al termine del processo il livello di benessere risulterà il medesimo in tutte le parti, fatte salve le imperfezioni concrete rispetto al modello teorico. La Fiat ha fatto da apripista. Marchionne disse all'inizio di questa vicenda che lui ragionava e operava nell'epoca "dopo Cristo" e non in quella "ante Cristo". Purtroppo il "dopo Cristo" è appena cominciato. C'è un modo per compensare la perdita di benessere che il "dopo Cristo" comporta per i ceti deboli che abitano paesi opulenti? Certo che sì, un modo c'è ed è il seguente: far funzionare il sistema dei vasi comunicanti non solo tra paese e paese, ma anche all'interno dei singoli paesi. L'Italia è certamente un paese ricco. Anzi fa parte dei paesi opulenti del mondo, che sono in prevalenza in America del nord e nella vecchia Europa. Ma l'Italia è anche un paese dove esistono sacche di povertà evidenti (e non soltanto nel Sud) e dislivelli intollerabili nella scala dei redditi e dei patrimoni individuali. Tra l'Italia dei ceti benestanti e quella dei ceti poveri e miserabili il sistema dei vasi comunicanti è bloccato, non funziona. Il benessere prodotto non viene redistribuito, rifluisce su se stesso e alimenta il circuito perverso e regressivo dell'arricchimento dei più ricchi e dell'impoverimento dei poveri. Una politica che volesse perseguire il bene comune dovrebbe dunque smantellare il circuito perverso e far funzionare il circuito virtuoso. Attraverso una riforma fiscale che sbloccasse il meccanismo e redistribuisse il benessere. E poiché la mente e lo stomaco dei ceti poveri e medi reclamano un meccanismo meno iniquo dell'attuale, la riforma del fisco può e deve essere anticipata da misure specifiche di pronta attuazione, stabilite dalla concertazione tra governo e parti sociali che funzionò egregiamente tra il 1993 e il 2006, finché fu abolita con un tratto di penna all'inizio di questa legislatura. Le opposizioni dovrebbero a mio avviso concentrarsi su questo programma. Bersani ne ha parlato recentemente, ma le opposizioni dovrebbero convergere su un programma concreto con questo orientamento per uscire da una situazione caratterizzata da vergognosi privilegi e diseguaglianze. Si parla molto di riforme. Questa delle ingiustizie sociali da combattere è la madre delle riforme. Perciò mi domando: che cosa aspettate? Che la casa vi crolli addosso? (25 luglio 2010)
Verso una newco per Pomigliano e un nuovo contratto nazionale auto Marchionne vuole abbandonare quello dei metalmeccanici. A un passo dalla decisione, prevista per la prossima settimana.Vertice con Marcegaglia per cercare di evitare l'uscita da Confindustria di ROBERTO MANIA ROMA - Una new company della Fiat, ma diversa dalla Fiat, per applicare senza ostacoli sindacali (leggi Fiom) il nuovo accordo sull'organizzazione del lavoro nello stabilimento Gian Battista Vico di Pomigliano d'Arco. Sergio Marchionne, amministratore delegato del gruppo del Lingotto, è a un passo dalla decisione. Le carte dovrebbero essere scoperte la prossima settimana, ma l'orientamento del pool di giuristi che il manager ha messo al lavoro è ormai netto: fondare una nuova società (forse è già stata anche registrata) e riassumere i cinquemila lavoratori con il nuovo contratto, frutto dell'intesa separata con Fim-Cisl, Uilm-Uil, Fismic e Ugl, senza i metalmeccanici della Cgil. Infine, non aderire alla Confindustria per non dover applicare le regole e le rigidità del contratto nazionale dei metalmeccanici. Un contratto che al Lingotto appare ormai incompatibile con il mercato globale e il progetto "Fabbrica Italia". È uno schema pensato per Pomigliano ma destinato potenzialmente ad estendersi a tutto il pianeta auto della Fiat italiana. Un nuovo - ancorché annunciato - strappo di Marchionne, dopo lo shock provocato dalla scelta di produrre in Serbia e non a Mirafiori la prossima monovolume, proprio per la mancanza di "serietà" (così ha detto l'ad) di una parte del sindacato. Una exit strategy aggressiva dall'impasse determinata dall'esito del referendum di giugno tra gli operai di Pomigliano dove quattro su dieci hanno detto no al nuovo modello di lavoro fatto di più turni, meno pause, meno scioperi e meno assenteismo. Marchionne ha confermato gli investimenti (700 milioni di euro) per trasferire dalla Polonia in Italia la fabbricazione della Nuova Panda, e ha chiesto un nuovo "patto sociale" con i sindacati firmatari dell'accordo. Un patto perché Pomigliano, che dovrà sfornare 280 mila auto l'anno a partire dalla seconda metà del 2011, non si inceppi più. L'incognita (neanche tanto) è la Fiom. Nelle ultime settimane ha proclamato, per ragioni diverse, una raffica di scioperi. La Fiat ha riscoperto il vecchio modello anni Cinquanta di Vittorio Valletta: ha licenziato cinque operai, tra i quali alcuni delegati della Cgil. Un muro contro muro che potrebbe proseguire ancora. E gli uomini del Lingotto si sono ormai convinti che l'unico modo per depotenziare la Fiom, per evitare una sorta di "guerriglia sindacale", sia appunto quello di creare una nuova società con il nuovo contratto di lavoro (lo stesso modello adottato già nel caso del passaggio dell'Alitalia dallo Stato alla cordata di Roberto Colaninno) così da impedire qualsiasi ricorso giudiziario per chiedere, per esempio, il rispetto del contratto nazionale, derogato dall'intesa per Pomigliano. E poi i diritti sindacali (dai permessi alle trattenute in busta paga per l'iscrizione al sindacato) finirebbero per essere riconosciuti solo alle organizzazioni che hanno sottoscritto l'intesa. La Fiom, come i Cobas, ne starebbero fuori. Ma non basta. L'altro passo necessario, secondo la Fiat e i suoi consiglieri giuridici, sarebbe quello di non iscrivere la newco all'Unione industriale di Napoli. La tesi è che se si è iscritti all'associazione industriale si è praticamente obbligati ad adottare il contratto nazionale. Dunque, nessuna iscrizione. Sarebbe l'unica soluzione dal risultato certo che vedono a Torino. Tanto che, per evitare probabili contenziosi visto che la newco sarebbe comunque della Fiat che a sua volta aderisce alla Confindustria, si è ipotizzato anche un'uscita tecnica e temporanea del settore auto della Fiat dalla Confindustria, in attesa che, dopo il 2012 (quando scadrà l'attuale contratto dei metalmeccanici, anche questo senza la firma della Fiom), si possa definire un nuovo contratto per il solo settore automobilistico. Un ridisegno complessivo delle regole del gioco: fine del contratto Moloch che resiste solo tra i metalmeccanici e che tiene forzatamente insieme i piccoli orafi con le grandi multinazionali. Un progetto che la Confindustria condivide ma che nello stesso tempo teme perché proprio l'organizzazione degli industriali ne potrebbe uscire ridimensionata nel ruolo e nell'appeal politico. Così, lontano dai riflettori, l'operazione Pomigliano è da tempo allo studio degli esperti di Viale dell'Astronomia. I contatti tra i vertici della Confindustria e quelli della Fiat si sono intensificati negli ultimi giorni. Questa è la partita chiave per le relazioni industriali. La presidente Emma Marcegaglia ha sostenuto fin dall'inizio la determinazione con la quale Marchionne ha prima annunciato la chiusura di Termini Imerese e poi scommesso sulla rinascita di Pomigliano. Marcegaglia e Marchionne si vedranno mercoledì alla Farnesina a margine della Conferenza degli ambasciatori. Un primo faccia a faccia. A Viale dell'Astronomia sono convinti che ci sia una soluzione per applicare, cominciando da Pomigliano, le nuove regole contrattuali senza dover uscire dalla Confindustria. Di certo anche questa volta Sergio Marchionne sta alzando la posta su tutti i tavoli negoziali. (24 luglio 2010)
INDUSTRIA L'Osservatore Romano: "Insostenibile la delocalizzazione a senso unico" In un editoriale del presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi implicito riferimento al caso Fiat-Serbia. La tesi: è perdente una strategia mirata "a produrre in un luogo ma a commercializzare e investire in altre aree. "Se non si produce potere d'acquisto, non è possibile neanche vendere" L'Osservatore Romano: "Insostenibile la delocalizzazione a senso unico" CITTA' DEL VATICANO - Delocalizzare i propri impianti con l'unico obiettivo di risparmiare sul costo del lavoro è una strategia destinata a perdere. La lezione - con implicito riferimento al caso Fiat-Serbia - giunge dal presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, in un editoriale pubblicato in prima pagina dall'Osservatore Romano. Articolo in cui non si parla mai esplicitamente del Lingotto, ma nel quale è sin troppo evidente il riferimento all'annuncio sul trasferimento da parte del Lingotto della produzione 1della sua nuova monovolume. Per Gotti Tedeschi, la delocalizzazione può funzionare ma non se la sua idea di fondo è di produrre dove il lavoro costa meno e a vendere e investire in aree diverse, perché in un'economia sana devono essere presenti tutte e tre queste dimensioni. Per corroborare la sua tesi, il presidente dello Ior rispolvera una "parabola" dalla vita di Henry Ford, l'industriale americano inventore della produzione automobilistica su alta scala. "Dopo avere sopportato un lungo periodo di conflittualità sindacale - scrive Gotti Tedeschi -, fece progettare e costruire una fabbrica di automobili totalmente automatizzata. Mostrò poi l'impianto senza operai al potente capo dei sindacati e gli disse con scherno: 'La fermi ora, se ne è capace'. Ma il sindacalista replicò: 'Adesso venda lei le auto prodotte, se ne è capace'. Sottintendendo che, se non si produce potere di acquisto, non è nemmeno possibile vendere". "L'uomo economico - spiega quindi Gotti Tedeschi - è infatti produttore, compratore, investitore", e "il mondo intero ha sotto gli occhi gli effetti della delocalizzazione, soprattutto in Asia, degli ultimi anni, fenomeno che ha prodotto trasferimenti di capitali e tecnologie, orientati soprattutto a ottenere produzioni a basso costo, ma senza basarsi su vere scelte strategiche. Ciò ha generato un nuovo modello economico difficilmente sostenibile, perché ha creato Paesi produttori, ma temporaneamente non consumatori, e Paesi consumatori, ma non più produttori. I primi sono entrati nel ciclo economico della crescita, i secondi ne sono quasi usciti". Se una simile filosofia prendesse piede in Occidente - avverte Gotti Tedeschi - "si rischia di poter quotare in borsa solo l'Empire State Building, la Tour Eiffel o il Colosseo". (24 luglio 2010) 2010-07-22 Marcegaglia: "Evitare i conflitti pesanti" Sacconi: "Riaprire subito tavolo tra le parti" Polemiche sulla scelta di Fiat di produrre in Serbia la nuova monovolume. La presidente di Confindustria: "Importante perseguire l'investimento a Pomigliano". Bersani: "Annuncio sorprendente". Cgil parla di ritorsione sui lavoratori. Calderoli: "Battuta che non fa ridere" Marcegaglia: "Evitare i conflitti pesanti" Sacconi: "Riaprire subito tavolo tra le parti" ROMA - Fa discutere la scelta di Fiat di produrre la monovolume "L O' in Serbia 1. L'annuncio fatto da Sergio Marchionne ha subito scatenato reazioni e polemiche. La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha annunciato un confronto nei prossimi giorni con l'amministratore delegato della Fiat e ha sottolineato l'importanza di "perseguire l'investimento a Pomigliano". Il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino ha definito 'paradossale' la scelta dell'azienda che farà pagare al capoluogo piemontese la vicenda di Pomigliano, mentre il segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha parlato di "annuncio sorprendente". Al sindaco di Torino ha fatto eco la Cgil, che vede nella decisione della Fiat una ritorsione contro lavoratori e sindacati. Marcegaglia e Marchionne a confronto. Marcegaglia ha fatto sapere che incontrerà nei prossimi giorni l'amministratore delegato della Fiat. "Credo sia importante perseguire l'investimento a Pomigliano - ha affermato - e raggiungere i livelli di produttività richiesti. Credo che tutto questo vada fatto cercando di evitare comunque conflitti troppo pesanti, che non fanno bene a nessuno ma, dall'altra parte, senza mollare sugli obiettivi di produttività. Il tema è complesso". Nel corso dell'incontro con Marchionne "ci confronteremo un po' in generale", ha anticipato la presidente di Confindustria. Sacconi: "Subito tavolo tra le parti". "Credo che si debba quanto prima riaprire un tavolo tra le parti per discutere l'insieme del progetto Fabbrica Italia, cioè quel progetto che vuole realizzare investimenti nel nostro Paese se accompagnati da una piena autorizzazione degli impianti secondo il modello già concordato a Pomigliano". Sono state queste le parole del ministro del Welfare e del Lavoro, Maurizio Sacconi. "Io credo - ha aggiunto il ministro - che ci sia modo di saturare i nostri impianti alla luce dei buoni risultati che il gruppo sta conseguendo negli ambiziosi progetti che si è dato. Certo - ha concluso - occorrono relazioni industriali cooperative perchè invece le attività che in qualche modo fermano la produzione, minoranze che bloccano la produzione, non incoraggiano questi investimenti". Calderoli: "Fiat in Serbia? Battuta che non fa ridere". "La Fiat in Serbia? L'ipotesi ventilata da Marchionne non sta né in cielo né in terra. Se si tratta di una battuta, magari fatta per portare a più miti consigli i sindacati, sappia che comunque non fa ridere nessuno, diversamente sappia che troveranno da parte nostra una straordinaria opposizione". Il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli esprime il suo dissenso sulle parole di Marchionne: "Non si può pensare di sedersi a tavola, mangiare con gli incentivi per l'auto e gli aiuti dello Stato e poi - aggiunge - alzarsi e andarsene senza nemmeno aver pagato il conto". Bersani: "Annuncio sorprendente. Subito un tavolo sulla questione". Una decisione, quella della Fiat, che Bersani, non comprende: "Non ho capito perché dice una cosa del genere: le condizioni che trova all'estero le trova anche a Torino. E' la città che in Italia ha più cultura industriale. Da un secolo a questa parte ha affrontato di tutto, da problemi organizzativi a crisi industriali. La vicenda merita un chiarimento. Non si può fare spallucce. Del resto la Fiat si chiama Fabbrica italiana automobili Torino. Il punto di partenza resta questo". E invita la convocazione immediata di un tavolo: ''Chi può convochi subito un tavolo. Non pretendo che sia il ministro ad interim, in tutt'altre faccende affaccendato - ha aggiunto - è nel frutteto alle prese con le mele marce...''. Per Bersani un tema rilevante come quello della Fiat deve essere affrontato in modo serio e approfondito e non con "dichiarazioni o scambi di battute. C'è in gioco - ha sottolineato - qualcosa di sostanziale. Non avere aperto un tavolo sulle questioni poste da Fiat e sul tema dell'indotto sta portando alla dispersione delle risorse industriali del Paese''. E con l'occasione, ha aggiunto, ''lo vogliamo fare uno straccio di ministro dello Sviluppo?'' Chiamparino contro Marchionne: "Scelta paradossale". Una scelta, quella di trasferire parte della produzione Fiat in Setrbia, che il sindaco di Torino definisce 'paradossale'. Chiamparino, in un'intervista 2 pubblicata nell'edizione torinese del quotidiano La Repubblica, giudica "davvero paradossale" la stiauzione che si determinerebbe "se fossero i lavoratori e la città di Torino a pagare le conseguenze della vicenda di Pomigliano". La protesta di Cgil: "Ritorsione contro i lavoratori". "La scelta di spostare in Serbia la produzione prevista nello stabilimento di Mirafiori, e le motivazioni addotte, sembrano confermare una linea basata sulla ritorsione nei confronti del sindacato e dei lavoratori, in continuità con il clima determinato dai recenti licenziamenti individuali". In una nota la segreteria nazionale della Cgil esprime "preoccupazione per la continua indeterminatezza nelle decisioni che assume la Fiat sul futuro delle produzioni negli stabilimenti italiani. Se così fosse, si continua nel paradosso che vede il più importante gruppo industriale italiano registrare, pur nella crisi, importanti performance che però stridono con la necessità di serie relazioni sindacali basate sul confronto e il rispetto reciproco". "Non vorremmo - conclude la segreteria confederale Cgil - che le azioni messe in campo contro il sindacato e i lavoratori servissero per giustificare scelte più gravi di disimpegno negli stabilimenti italiani". Per Giorgio Cremaschi della Fiom, "le affermazioni di Marchionne sono gravissime e confermano tutti i giudizi che abbiamo espresso in questa fase. La Fiat in realtà si prepara a chiudere Mirafiori e a dismettere l'Italia". Fim Cisl: "La Fiat affronti le sfide". Una decisione in contrasto con i programmi che prevedevano la futura produzione Fiat in un sito italiano. Così Bruno Vitali, segretario nazionale della Fim Cisl commenta l'annuncio di Marchionne: ''Il piano industriale Fiat del 21 aprile scorso - afferma Vitali - prevede lo sviluppo di alcuni dei nuovi modelli senza indicarne ancora il sito di produzione. Su questo punto è pertanto necessario avviare al più presto un chiarimento ed un confronto con la Fiat. La Fim ha dimostrato di essere in grado di affrontare concretamente le questioni della flessibilità, della competitività, del lavoro". "Fiat affronti le sfide - conclude Vitali - dando maggior credito al sindacato che contratta davvero, senza fare di tutta l'erba un fascio. E' altresì necessario che le informazioni riguardanti il lavoro ed il futuro di tantissimi lavoratori non siano usate per fare speculazione politica o sindacale ma vengano trattate con grande attenzione da tutti i soggetti interessati. Strumentalizzazioni sulle spalle dei lavoratori non sono accettabili da parte di nessuno''. Bresso: "Divisione del sindacato ha brutte conseguenze". Di 'ritorsione' parla anche l'ex presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso: "La scelta di spostare la produzione prevista dello stabilimento di Mirafiori in Serbia è la conseguenza di un obiettivo perseguito da tempo dal governo di divisione del fronte sindacale. L'azienda - prosegue la Bresso - sembra seguire una linea basata sulla ritorsione nei confronti dei sindacati e dei lavoratori, facendo ricadere le conseguenze di Pomigliano su Torino e Mirafiori. A pochi mesi dalla presentazione del progetto 'Fabbrica Italia' mi auguro - conclude - che questo non rappresenti il definitivo abbandono degli impegni assunti sul nostro Paese ed in particolare su Torino ed il Piemonte". I manager serbi: "Rispettati gli accordi". Grandissimo risalto, oggi, sui maggiori quotidiani di Belgrado alla notizia che dell'inizio del 2012 Fiat produrrà in Serbia nuove versioni dei modelli Fiat Idea e Lancia Musa. Una notizia che ha provocato immediatamente reazioni positive da parte del management serbo dello stabilimento di Kragijevac. "La decisione di Fiat di produrre qui questi due nuovi modelli - affermano i manager serbi del sito produttivo - conferma che vengono applicati tutti gli accordi stipulati con i partner italiani". Anche la stampa locale dà grande rilievo alla notizia. Sulla prima pagina sotto titolo 'Fiat ha scelto i modelli', il quotidiano Blic scrive per esempio che la fabbrica Fiat Automobili Srbija a Kragijevac (Serbia centrale) produrrà due monovolumi classe 'L 0'. Le nuove macchine saranno realizzate sulla piattaforma della 'Punto Evo', con diversi motorizzazioni e con versioni a cinque o sette posti. Annualmente si produrranno tra 160 e 200 mila macchine". Esperti di Fiat sono arrivati ieri a Kragujevac e si sono messi al lavoro per la realizzazione di una nuova ala dello stabilimento, proprio in funzione della messa in produzione dei nuovi modelli. L'investimento Fiat dovrebbe aggirarsi attorno agli 800 milioni di euro. (22 luglio 2010)
FIAT "Produrremo in Serbia la monovolume con sindacati più seri si faceva a Mirafiori" Intervista a Marchionne: dopo lo scorporo è vicina la fine del tunnel. Abbiamo avuto un trimestre eccezionale. Senza il problema Pomigliano, avremmo puntato sull'Italia. Dobbiamo poter produrre senza rischi di interruzioni di SALVATORE TROPEA "Produrremo in Serbia la monovolume con sindacati più seri si faceva a Mirafiori" Sergio Marchionne DETROIT - C'è un investimento da un miliardo di euro pronto per la Serbia. A finanziarlo saranno la Bei per 400 milioni, il governo di Belgrado per 250 e al resto provvederà la Fiat. Il nuovo insediamento del Lingotto nella ex Jugoslavia partirà subito e sarà destinato alla produzione della L0, un monovolume previsto in due versioni e in 190 mila unità all'anno, che sostituirà la Multipla, la Musa e l'Idea che attualmente vengono prodotte a Mirafiori. "Se non ci fosse stato il problema Pomigliano la L0 l'avremmo prodotta in Italia" dice Sergio Marchionne. E stupisce i consiglieri e anche gli analisti della conference call. Inevitabile la domanda che arriva da più parti: e a Mirafiori che cosa si farà? "A Mirafiori faremo altro, ci stiamo pensando". Nella quiete estiva del quartier generale della Chrysler, adagiato nel verde di Auburn Hills, poco lontano da Lago Michigan, il cda del Lingotto chiamato ad approvare i conti del secondo trimestre 2010 consacra il successo dell'alleanza americana, "senza la quale non sarebbe stata neppure pensabile l'operazione dello spin-off e la nascita delle due Fiat" dice il presidente John Elkann. Ma rimanda subito all'Italia e al pasticcio di Pomigliano d'Arco, costringendo Marchionne a rispondere a una serie di domande che sembrano infastidirlo ma non al punto da fargli cambiare strategia. A cominciare da quella sulla fabbrica serba di Kragujevac. Perché lì e non in Italia la futura L0? "Ci fosse stata serietà da parte del sindacato, il riconoscimento dell'importanza del progetto, del lavoro che stiamo facendo e degli obiettivi da raggiungere con la certezza che abbiamo in Serbia la L0 l'avremmo prodotta a Mirafiori. Fiat non può assumere rischi non necessari in merito ai suoi progetti sugli impianti italiani: dobbiamo essere in grado di produrre macchine senza incorrere in interruzioni dell'attività". Insomma è questo un effetto indotto di Pomigliano? Potrebbe voler dire che saranno riviste le decisioni prese per lo stabilimento campano? "A Pomigliano abbiamo deciso di andare avanti e lo faremo con i sindacati che hanno scelto di condividere la responsabilità di fare in modo che la fabbrica sia governabile. Pomigliano è un work in progress, abbiamo scelto di investire 700 milioni e se non funzionerà abbiamo altre alternative non in Italia. Noi vogliamo restare competitivi nel settore dell'auto in un posto dove ci consentono di farlo. Dico questo con tutta la calma possibile e continuo a stupirmi delle interpretazioni che vengono date alle mie parole. Dire che non mi interessa la sorte dei dipendenti è una grandissima cavolata. Comunque, non duplicheremo Pomigliano, ma decideremo impianto per impianto. Dobbiamo, soprattutto, convincere i sindacati della necessità di modernizzare i rapporti industriali in Italia". Ma se alla rottura di Pomigliano si aggiunge la questione del premio di produzione e i licenziamenti, non si può continuare a pensare che i rapporti siano destinati a migliorare. L'amministratore delegato del Lingotto non sembra esserne convinto: "Si è creata l'idea che io ce l'abbia con i dipendenti. Questo non è vero, la Fiat non è fatta solo da chi si oppone a Pomigliano. C'è l'appartenenza all'azienda che è importante. Basti guardare al rapporto che c'è qui a Detroit, nella casa Chrysler di cui oggi noi siamo ospiti. Quanto al premio, è curioso notare come l'unica gente che insiste è quella che non ha guadagnato un soldo. L'Italia è l'unico paese nel quale il gruppo ha perduto soldi. Questo nessuno se lo chiede. Nessuno si chiede perché certi discorsi devono andare bene per alcuni e non per altri. E perché si debba tollerare che una persona dice di dover andare a portare la figlia dal medico e poi va a scioperare. Questo è offensivo per l'azienda e non posso tollerarlo". La nascita delle due Fiat. E' il momento giusto? "E' cominciata la fase di avvicinamento alla fine del tunnel. Alla fine del 2011 Fiat sarà al 35 per cento di Chrysler, società che entro l'anno prossimo contiamo di riportare in Borsa". Marchionne fa capire di non avere rimpianti per la Opel ma è sul tavolo ha tanti dossier a cominciare da uno sulla Cina che potrebbe andare in porto in autunno. A soddisfarlo nel frattempo sono i conti del Lingotto: "È stato un trimestre eccezionale per il gruppo, ha superato quasi tutte se non tutte le attese del mercato". Andiamo dunque verso una Fiat Auto e una Fiat Industrial? "E' quello che stiamo facendo. Entro il primo gennaio 2011, tutti gli azionisti avranno due titoli al posto di quello vecchio posseduto e con gli stessi diritti di prima ma in due società. Il dividendo 2010 verrà pagato regolarmente con riferimento alla vecchia Fiat. E ci sono già otto banche che ci danno un prestito di 4 miliardi destinati a ripagare Fiat dei finanziamenti per la nuova società FI". Lo spin off è un meccanismo al quale Marchionne tiene parecchio perché lo aiuta, come ha ripetuto ieri, a costruire una Fiat sempre più internazionale in un mondo nel quale la grande risacca dell'industria dell'auto da lui annunciata due anni fa, ancora non è finita. "Penso che ci sarà un altro giro di aggregazioni tra quattro cinque anni e coinvolgerà anche Fiat". (22 luglio 2010)
2010-07-10 L'ACCORDO La Panda resta a Pomigliano via all'intesa Fiat-Cisl-Uil Il piano sarà attuato. Fiom: logica autoritaria. Proteste a Mirafiori per il mancato premio aziendale e a Melfi per tre operai sospesi di STEFANO PAROLA La Panda resta a Pomigliano via all'intesa Fiat-Cisl-Uil TORINO - A mezzogiorno Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti escono dalla palazzina del Lingotto e annunciano sorridenti: "Abbiamo ratificato l'intesa: la Panda si farà a Pomigliano. È una giornata storica". Hanno incontrato l'ad di Fiat, Sergio Marchionne, assieme alle quattro sigle di categoria che hanno sottoscritto l'accordo sullo stabilimento campano. A pochi chilometri di distanza, più di mille operai di Mirafiori hanno appena incrociato le braccia e sono scesi in strada a protestare: vogliono che l'azienda saldi il premio aziendale. Succede tutto a Torino, in contemporanea. Nel suo quartier generale la Fiat dà ufficialmente il via al piano "Fabbrica Italia". Il presidente John Elkann sottolinea: "La decisione di procedere con gli investimenti è un importante segnale di fiducia. Significa che crediamo nell'Italia e intendiamo fare fino in fondo la nostra parte". E aggiunge: "Molte cose stanno cambiando intorno a noi, e oggi può essere l'inizio di una fase completamente diversa: il successo dipenderà da quanto ciascuno saprà essere protagonista di questo cambiamento". Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, saluta una decisione "altamente significativa" che dimostra una "capacità delle parti sociali di adattarsi reciprocamente che il governo è impegnato a promuovere". E tra i sindacati è guerra aperta. A partire da quelli confederali. Per due sigle, Cisl e Uil, che gioiscono, c'è un segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, furente: "La decisione di incontrare solo due sigle è un fatto senza precedenti da parte di Fiat. Ognuno può incontrare chi vuole, ma è sbagliato scegliersi gli interlocutori al semplice scopo di farsi dare ragione. Questo apre un problema formale nei rapporti tra noi e la Fiat". Poi attacca: " Marchionne parla di un "necessario sforzo collettivo" e poi incontra solo una parte dei sindacati". Lo stesso accade a livello di categoria. I leader di Fim e Uilm, Giuseppe Farina e Rocco Palombella, esultano, mentre il numero uno della Fiom, Maurizio Landini, sottolinea come la scelta dell'accordo separato fatta da Fiat possa "aprire la strada alla demolizione del contratto nazionale e a un peggioramento delle condizioni di lavoro". Poi Landini parla di "qualcosa che non torna nei comportamenti del Lingotto di questi giorni". Il riferimento è ai tre operai di Melfi (tra cui due delegati Fiom) sospesi da Fiat per aver interrotto un carrello robotizzato durante un corteo interno. Ma anche alla mancata erogazione del saldo del premio di risultato, quella per cui ieri i dipendenti di Mirafiori e della Powertrain Stura sono scesi in strada a protestare. Di solito arriva a luglio, ma l'azienda non ha ancora fatto il calcolo. Nel 2008 furono 1.300 euro, nel 2009 solo 600 e ora i sindacati temono che il Lingotto non metta nulla sul piatto. Se ne parlerà il 15 in un incontro a Roma. Anche il segretario piemontese della Fiom, Giorgio Airaudo, vede un'analogia: "Temo che si stia facendo la stessa cosa con il premio e con Pomigliano: ma con queste imposizioni rischiamo solo l'aumento del conflitto sociale".
(10 luglio 2010)
Telecom, sindacati: allarme per 3.700 esuberi Sacconi: "Più difficile il dialogo sociale" Inizia la procedura per licenziamenti programmati nel triennio 2010-2012. Slc-Cgil: "Comportamento vergognoso". Il ministro del Lavoro: "Da governo invito a evitare azioni unilaterali" Telecom, sindacati: allarme per 3.700 esuberi Sacconi: "Più difficile il dialogo sociale" MILANO - "Telecom Italia aprirà da lunedì le procedure per 3.700 esuberi al 30 giugno 2011". L'allarme arriva dal segretario generale della Fistel-Cisl, Vito Antonio Vitale che aggiunge: "siamo stati avvisati ieri, mentre era in corso lo sciopero nazionale, e le lettere per l'avvio della procedura ci arriveranno lunedì". Una manovra che coinvolge, spiega una nota del segratario nazionale di Slc-Cgil, Alessandro Genovesi, più della metà dei licenziamenti programmati per il triennio 2010-2012, che sono in totale 6.822. Secondo Genovesi si tratta di "un comportamento vergognoso da parte di un'azienda che ha registrato più di 1,5 miliardi di euro di guadagni netti, che ha già circa mille lavoratori in contratto di solidarietà e che continua a remunerare a peso d'ora dirigenti e manager". La procedura prevista dalla legge che regola i licenziamenti collettivi dà 75 giorni ai sindacati per discutere con l'azienda e per chiedere una riduzione del numero degli esuberi o il ricorso a misure alternative come la cassa integrazione o la messa in mobilità. "Come ha ricordato nei giorni scorsi il ministro Sacconi è auspicabile che dopo lo sciopero - sostiene Vito Antonio Vitale - ci sia un confronto con l'azienda: noi siamo disponibili alla trattativa, speriamo che ci sia la stessa volontà da parte del gruppo telefonico". Sacconi: "Più difficile il dialogo sociale". "Se confermate le indiscrezioni di fonte sindacale, il Gruppo Telecom sarebbe intenzionato a licenziamenti destinati ovviamente a rendere più difficile il necessario dialogo sociale". Così il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi ha commentato le notizie secondo cui il gruppo avrebbe intenzione di tagliare 3.700 posti. "Il governo ha sempre invitato le imprese ad evitare azioni unilaterali nella ricerca del più ampio consenso possibile su percorsi che possono giustificare razionalizzazione dei costi solo se collegati a significativi investimenti", ha concluso Sacconi. (10 luglio 2010)
2010-07-04 POMIGLIANO Fiom a Fiat: "Saggio riaprire trattativa" E Marchionne elogia il sindacato Usa "Se il Lingotto toglie i punti che vanno contro contratto nazionale, legge e Costituzione, siamo pronti" dichiara il segretario Landini. Marchionne al Wall Street Journal: "Uaw (metalmeccanici Usa) ha capito: staremo bene insieme fino a quando saremo d'accordo sulla necessità di essere competitivi" Fiom a Fiat: "Saggio riaprire trattativa" E Marchionne elogia il sindacato Usa Sergio Marchionne ROMA - Fiom chiama Fiat. "Hanno fatto un accordo separato e un referendum e c'è stato un esito che, mi pare in modo chiaro, dica che esistono elementi di disagio, di malessere tra i lavoratori. Senza consenso le fabbriche non funzionano. E' un atto di saggezza riaprire il tavolo su Pomigliano". Lo ribadisce Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, sigla sindacale protagonista del braccio di ferro con il Lingotto sul nuovo accordo per lo stabilimento campano, accettato da Fim, Uilm, Fismic e Ugl. "C'è bisogno di fare una trattativa vera, senza deroghe e senza che i diritti vengano lesi", aggiunge Landini, sottolineando che il Lingotto può applicare i 18 turni anche ricorrendo al contratto nazionale. "Se Fiat vuole fare un accordo che abbia il consenso di tutti, sindacati e lavoratori - sostiene il numero uno dei metalmeccanici Cgil - deve riaprire la trattativa. E se la Fiat riapre il tavolo di trattativa e toglie i punti che derogano al contratto nazionale e che vanno contro la legge e la Costituzione, noi siamo pronti. Se deciderà di andare avanti così, sarà un'assunzione di responsabilità sua". Fiom chiama Fiat. Marchionne risponde, ma alle domande del Wall Street Journal. A cui esprime l'apprezzamennto per il sindacato americano. "I leader del Uaw (United Auro Workers, i metalmeccanici Usa, ndr) hanno capito completamente la nostra situazione - dice l'amministratore delegato di Fiat e Chrysler - Staremo bene insieme fino a quando saremo d'accordo sulla necessità di essere l'impresa più competitiva. Finché non si dimostrerà sbagliato, continueremo a lavorare con loro". Marchionne parla anche di industria automobilistica e ripresa mondiale. "Chiedendo scusa a Karl Marx - sostiene dalle pagine del quotidiano economico - la ripresa economica è l'oppio delle industrie che non funzionano. Il grande pericolo è di ricadere ancora una volta in errore e confondere una ripresa economica con un più solido modello di business". "Nell'industria dell'auto - spiega Marchionne - siamo come alcolisti: quando abbiamo accesso alla bottiglia guariamo. Poi torniamo a esagerare con l'incompetenza manageriale, l'intransigenza sul lavoro e altre brutte abitudini. Ma poi torniamo di nuovo a secco. La chiave è quella di continuare sulla strada della disciplina, dell'umiltà e del rigore quando tornano i tempi buoni. E' questo il test della nostra capacità di sopravvivenza". (03 luglio 2010)
2010-06-23 FIAT Pomigliano, il plebiscito non c'è stato Fiat: "Lavoreremo con i sindacati firmatari" I favorevoli sono la maggioranza (63%), ma i numeri non sono quelli auspicati. "Impossibile trovare un'intesa con chi ci ostacola con argomentazioni pretestuose". Bonanni minaccia: niente scherzi e reagiremo con forza. Fiom pronta a trattare. Marcegaglia: "C'è un sindacato che non capisce" Pomigliano, il plebiscito non c'è stato Fiat: "Lavoreremo con i sindacati firmatari" POMIGLIANO D'ARCO (Napoli) - Il sì vince ma non sfonda al referendum tra gli operai dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco: il 62,2% dei lavoratori ha dato il proprio consenso all'intesa siglata lo scorso 15 giugno 1 tra l'azienda e i sindacati, eccetto la Fiom. Ma non c'è stato alcun plebiscito, come sottolineano i metalmeccanici della Cgil da sempre contrari. E ora sia la Fiat che la fabbrica campana devono fare i conti con il peso che, sull'immediato futuro, avrà quel 36% raggiunto dal fronte del no. Anche se al momento viene manifestata sì disponibilità, ma solo a discutere con i sindacati favorevoli all'accordo, non con i contrari: "L'azienda lavorerà con le parti che si sono assunte la responsabilità dell'accordo al fine di individuare ed attuare insieme le condizioni di governabilità necessarie per la realizzazione di progetti futuri", ha comunicato la Fiat a metà giornata, a commento dei risultati del referendum su Pomigliano. L'irritazione di Marchionne. Un segnale distensivo, che sembrerebbe scongiurare la paventata possibilità di voler rimettere in discussione il trasferimento della Panda dalla Polonia allo stabilimento campano. A Torino si è parlato di un Marchionne in sede dalle prime ore e particolarmente irritato, con la certezza che il livello dei "no", come aveva più volte paventato, rischi di rendere l'intesa in fabbrica ingestibile. La tentazione di non trasferire la produzione della Panda, dicono, è sempre più forte, mentre a Pomigliano verrebbero spostate produzioni più deboli. In particolare, diversi sindacalisti fanno notare che nel comunicato della Fiat sull'esito del referendum a Pomigliano non si parla specificamente del progetto per la Futura Panda, che non viene citata, ma più genericamente della "realizzazione di progetti futuri". L'ipotesi newco. Visti i presupposti, tra le ipotesi che l'azienda continua a valutare c'è quella di una newco, che riassumerebbe con un nuovo contratto i singoli lavoratori disponibili ad accettare le condizioni poste dall'accordo, a questo punto magari per produrre altri modelli, che richiederebbero una diversa organizzazione del lavoro. Un'ipotesi questa che non piace ai sindacati perchè comporterebbe un ridimensionamento della forza lavoro attuale di Pomigliano. Fiat non tratta con Fiom. Quello che il comunicato della Fiat afferma decisamente a chiare lettere è l'intento di non cedere neanche di un millimetro alle richieste della Fiom, con la quale non intende trattare in alcun modo: "La Fiat ha preso atto della impossibilità di trovare condivisione da parte di chi sta ostacolando, con argomentazioni dal nostro punto di vista pretestuose, il piano per il rilancio di Pomigliano". Marcegaglia: "C'è un sindacato che non comprende le sfide". Un giudizio altrettanto duro nei confronti della Fiom viene espresso dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia: "Supportiamo e apprezziamo la posizione della Fiat e siamo soddisfatti che decida di andare avanti con i lavoratori e i sindacati che condividono quelle scelte. Ribadiamo ancora una volta che c'è un sindacato che non comprende le sfide che abbiamo davanti". Fion disponibile alla trattativa. Al contrario, la Fiom manifesta la propria ampia disponibilità ad aprire una trattativa con l'azienda. "La Fiat si renda disponibile a riaprire la trattativa partendo però dal contratto nazionale. Noi siamo disponibili", afferma in una conferenza stampa convocata a metà giornata il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. Bonanni: "Ora niente scherzi". L'allarme successivo alla diffusione dei risultati dei refendum era stato talmente forte oggi da aver in meno di un'ora, in tarda mattinata, fatto salire i toni di uno dei maggiori sostenitori dell'intesa, il segretario della Cisl. Prima Bonanni esordisce con un "Ora niente scherzi", rivolto alla Fiat, che si trasforma velocemente in un "se l'intesa viene revocata lotteremo con la stessa forza con cui l'abbiamo sostenuta". Parole durissime di fronte alle quali vale a poco la rassicurazione del ministro Sacconi: "I patti saranno rispettati". Secco il commento di Bersani: "Adesso bisogna che la Fiat proceda senza tentennamenti, senza se e senza ma, e ribadisca l'investimento. Poi con calma, nei prossimi mesi, si trovi un modo di comprendersi meglio". Il fronte sindacale. La Fim e la Uilm da un lato si dicono soddisfatte del successo ottenuto, dall'altro chiedono alla Fiat di ratificare presto l'accordo e, quindi, di tener fede agli impegni. Saranno quindi giorni altrettanto decisivi quelli che seguiranno al referendum di ieri. Il sindacato più critico all'accordo, la Fiom, anche stanotte ha ribadito il suo no all'intesa, ma secondo quanto sottolineato dal segretario della federazione napoletana, Massimo Brancato, "se la Fiat apre una trattativa e si predispone ad una mediazione che rispetti la costituzione, le leggi dello stato e il contratto, ci sediamo a un tavolo e siamo disponibili a fare un negoziato". Concetto ribadito da Susanna Camusso, che in ottobre succederà ad Epifani: "Si riapra il confronto. La partecipazione al voto era prevedibile come la prevalenza del sì. Chiediamo a Fiat di avviare l'investimento e la produzione della nuova Panda a Pomigliano e di riaprire la trattativa per una trattativa condivisa da tutti". E anche stamane dal segretario generale della Fiom Landini: "La Fiom vuole che l'investimento nello stabilimento venga fatto e che i problemi si risolvano immediatamente. Non vogliamo perdere tempo. I lavoratori vogliono l'investimento ma vogliono anche il rispetto dei propri diritti". Il ministro del Lavoro. Sacconi afferma di non voler neanche prendere in considerazione l'ipotesi che la Fiat decida di chiudere lo stabilimento di Pomigliano per mancanza della maggioranza sperata dei sì all'accordo. E ne sottolinea la portata: "Il fatto che il 62% si pronuncia a favore è un dato molto importante, che sarebbe assurdo sminuire perché anche solo il 51%, sarebbe comunque una vittoria". Secondo il ministro, l'accordo non è una sconfitta della Fiom ma una vittoria del futuro dello stabilimento di Pomigliano. "Bisogna attuare accordi e verificare anche con coloro che non hanno firmato l'adesione a quel modello e io sono sicuro che nessuna organizzazione voglia sabotare il modulo di lavoro che l'unico può attrarre gli investimenti sulla Panda", ha concluso Sacconi. Un'indicazione che sembra andare in direzione opposta a quella annunciata dalla Fiat, che annuncia il dialogo solo con i sindacati del sì. Il ministro sottolinea inoltre come l'accordo di Pomigliano possa essere un modello non di per se stesso, ma perché valorizza il peso del contratto aziendale: "Solo l'azienda è il luogo dove le parti possono trovare l'accordo". (23 giugno 2010)
Il testo dell'accordo su Pomigliano * Pomigliano, referendum verso il sì Affluenza altissima, tensioni e accuse articolo Pomigliano, referendum verso il sì Affluenza altissima, tensioni e accuse * Pomigliano referendum foto Referendum a Pomigliano 1) Orario di lavoro La produzione della futura Panda si realizzerà con l'utilizzo degli impianti di produzione per 24 ore giornaliere e per 6 giorni la settimana, comprensivi del sabato, con uno schema di turnazione articolato a 18 turni settimanali. L'attività lavorativa degli addetti alla produzione e collegati (quadri, impiegati e operai), a regime ordinario e ferma la durata dell'orario individuale contrattuale, sarà articolata su tre turni giornalieri di 8 ore ciascuno a rotazione, secondo i seguenti orari: •primo turno dalle ore 6.00 alle ore 14.00, con la mezz'ora retribuita per la refezione dalle ore 13.30 alle ore 14.00; •secondo turno dalle ore 14.00 alle ore 22.00, con la mezz'ora retribuita per la refezione dalle ore 21.30 alle ore 22.00; •terzo turno dalle ore 22.00 alle ore 6.00 del giorno successivo, con la mezz'ora retribuita per la refezione dalle ore 5.30 alle ore 6.00. La settimana lavorativa avrà pertanto inizio alle ore 6.00 del lunedì e cesserà alle ore 6.00 della domenica successiva. Lo schema di orario prevede il riposo individuale a scorrimento nella settimana. L'articolazione dei turni avverrà secondo lo schema di turnazione settimanale di seguito indicata: 1° - 3° - 2° Il 18° turno, cadente tra le ore 22.00 del sabato e le ore 6.00 del giorno successivo, sarà coperto con la retribuzione afferente la festività del 4 Novembre e/o con una/due festività cadenti di domenica (sulla base del calendario annuo), con i permessi per i lavoratori operanti sul terzo turno maturati secondo le modalità previste dall'accordo 27 Marzo 1993 (mezz'ora accantonata sul terzo turno per 16 turni notturni effettivamente lavorati pari a 8 ore) e con la fruizione di permessi annui retribuiti (P. A. R. contrattuali) sino a concorrenza. Le attività di manutenzione saranno invece svolte per 24 ore giornaliere nell'arco di 7 giorni la settimana per 21 turni settimanali. L'attività lavorativa degli addetti (quadri, impiegati e operai), a regime ordinario, sarà articolata su 3 turni strutturali di 8 ore ciascuno, con la mezz'ora retribuita per la refezione nell'arco del turno di lavoro a rotazione e con riposi individuali settimanali a scorrimento. L'orario di lavoro giornaliero dei lavoratori addetti al turno centrale (quadri, impiegati e operai) va dalle ore 8.00 alle ore 17.00, con un'ora di intervallo non retribuito. Per i quadri e gli impiegati addetti al turno centrale si conferma l'attuale sistema di flessibilità dell'orario di lavoro giornaliero (orario in entrata dalle ore 8 alle ore 9 calcolato a decorrere dal primo dodicesimo di ora utile). In alternativa, su richiesta delle Organizzazioni Sindacali nel caso in cui intendessero avvalersi della facoltà di deroga a quanto previsto dal D. Lgs. 66/2003 e successive modifiche e integrazioni in materia di riposi giornalieri e settimanali. Lo schema di orario per lo stabilimento prevede, a livello individuale, una settimana a 6 giorni lavorativi e una a 4 giorni. L'articolazione dei turni avverrà secondo lo schema di turnazione settimanale di seguito indicata: 3° - 2° - 1° Nella settimana a 4 giorni saranno fruiti 2 giorni consecutivi di riposo secondo il seguente schema: - lunedì e martedì ovvero -mercoledì e giovedì ovvero -venerdì e sabato. Preso atto delle richieste da parte delle Organizzazioni Sindacali dei lavoratori, al fine di non effettuare il 18° turno al sabato notte, lo stesso viene anticipato strutturalmente alla domenica notte precedente. Pertanto il riposo settimanale domenicale avviene dalle ore 22 del sabato alle ore 22 della domenica. 2) Lavoro straordinario Per far fronte alle esigenze produttive di avviamenti, recuperi o punte di mercato, l'azienda potrà far ricorso a lavoro straordinario per 80 ore annue pro capite, senza preventivo accordo sindacale, da effettuare a turni interi. Nel caso dell'organizzazione dell'orario di lavoro sulla rotazione a 18 turni, il lavoro straordinario potrà essere effettuato a turni interi nel 18° turno, già coperto da retribuzione secondo le modalità indicate al capitolo orario di lavoro, o nelle giornate di riposo. L'Azienda comunicherà ai lavoratori, di norma con 4 giorni di anticipo, la necessità di ricorso al suddetto lavoro straordinario e terrà conto di esigenze personali entro il limite del 20% con sostituzione tramite personale volontario. Con accordo individuale tra azienda e lavoratore, l'attività lavorativa sul 18° turno potrà essere svolta a regime ordinario, con le maggiorazioni del lavoro notturno: in tal caso non si darà corso alla copertura retributiva collettiva del 18° turno. Il lavoro straordinario, nell'ambito delle 200 ore annue pro capite, potrà essere effettuato per esigenze produttive, tenuto conto del sistema articolato di pause collettive nell'arco del turno, durante la mezz'ora di intervallo tra la fine dell'attività lavorativa di un turno e l'inizio dell'attività lavorativa del turno successivo. In questo caso la comunicazione ai lavoratori del lavoro straordinario per esigenze produttive saranno effettuate con un preavviso minimo di 48 ore. 3) Rapporto diretti-indiretti Con l'avvio della produzione della futura Panda e in relazione al programma formativo saranno riassegnate ai lavoratori le mansioni necessarie per assicurare un corretto equilibrio tra operai diretti e indiretti, garantendo ai lavoratori la retribuzione e l'inquadramento precedentemente acquisiti, anche sulla base di quanto previsto dall'art. 4, comma 11, Legge 223/91. Inoltre, a fronte di particolari fabbisogni organizzativi potrà essere richiesto ai lavoratori, compatibilmente con le loro competenze professionali, la successiva assegnazione ad altre postazioni di lavoro. 4) Bilanciamenti produttivi La quantità di produzione prevista da effettuare per ogni turno, su ciascuna linea, e il corretto rapporto produzione/organico saranno assicurati mediante la gestione della mobilità interna da area ad area nella prima ora del turno in relazione agli eventuali operai mancanti o, nell'arco del turno, per fronteggiare le perdite derivanti da eventuali fermate tecniche e produttive. 5) Organizzazione del lavoro Per riportare il sistema produttivo dello stabilimento Giambattista Vico alle migliori condizioni degli standard internazionali di competitività, si opererà, da un lato, sulle tecnologie e sul prodotto e, dall'altro lato, sul miglioramento dei livelli di prestazione lavorativa con le modalità previste dal sistema WCM e dal sistema Ergo-UAS. Le soluzioni ergonomiche migliorative, derivanti dall'applicazione del sistema Ergo-UAS, permettono, sulle linee a trazione meccanizzata con scocche in movimento continuo, un regime di tre pause di 10 minuti ciascuna, fruite in modo collettivo, nell'arco del turno di lavoro, che sostituiscono le attuali due pause di 20 minuti ciascuna. Sui tratti di linea meccanizzata denominati "passo - passo", in cui l'avanzamento è determinato dai lavoratori mediante il cosiddetto "pulsante di consenso", le soluzioni ergonomiche migliorative permettono un regime di tre pause di 10 minuti ciascuna, fruite in modo collettivo o individuale a scorrimento sulla base delle condizioni tecnico-organizzative, che sostituiscono le attuali due pause di 20 minuti ciascuna. Per tutti i restanti lavoratori diretti e collegati al ciclo produttivo le soluzioni ergonomiche migliorative permettono la conferma della pausa di 20 minuti, da fruire anche in due pause di 10 minuti ciascuna in modo collettivo o individuale a scorrimento. Con l'avvio del nuovo regime di pause, i 10 minuti di incremento della prestazione lavorativa nell'arco del turno, per gli addetti alle linee a trazione meccanizzata con scocche in movimento continuo e per gli addetti alle linee "passo-passo" a trazione meccanizzata con "pulsante di consenso", saranno monetizzati in una voce retributiva specifica denominata "indennità di prestazione collegata alla presenza". L'importo forfetario, da corrispondere solo per le ore di effettiva prestazione lavorativa, con esclusione tra l'altro delle ore di inattività, della mezz'ora di mensa e delle assenze la cui copertura retributiva è per legge e/o contratto parificata alla prestazione lavorativa, per tutti gli aventi diritto, in misura di 0,1813 euro lordi ora. Tale importo è onnicomprensivo ed è escluso dal TFR, dal momento che, in sede di quantificazione, si è tenuto conto di ogni incidenza sugli istituti legali e/o contrattuali e pertanto il suddetto importo forfetario orario è comprensivo di tutti gli istituti legali e/o contrattuali. 6) Formazione E' previsto un importante investimento in formazione per preparare i lavoratori e metterli in condizioni di operare nella nuova realtà produttiva. Le attività formative si svolgeranno contemporaneamente alla ristrutturazione degli impianti e saranno fortemente collegate alle logiche WCM. I corsi di formazione saranno tenuti con i lavoratori in cigs e le Parti convengono fin d'ora che la frequenza ai corsi sarà obbligatoria per i lavoratori interessati. Il rifiuto immotivato alla partecipazione nonché l'ingiustificata mancata frequenza ai corsi, oltre a dar luogo alle conseguenze di legge, costituirà a ogni effetto comportamento disciplinarmente perseguibile. Non sarà richiesto a carico Azienda alcuna integrazione o sostegno al reddito, sotto qualsiasi forma diretta o indiretta, per i lavoratori in cigs che partecipino ai corsi di formazione. 7) Recuperi produttivi Le perdite della produzione non effettuata per causa di forza maggiore o a seguito di interruzione delle forniture potranno essere recuperate collettivamente, a regime ordinario, entro i sei mesi successivi, oltre che nella mezz'ora di intervallo fra i turni, nel 18° turno (salvaguardando la copertura retributiva collettiva) o nei giorni di riposo individuale. 8) Assenteismo Per contrastare forme anomale di assenteismo che si verifichino in occasione di particolari eventi non riconducibili a forme epidemiologiche, quali in via esemplificativa ma non esaustiva, astensioni collettive dal lavoro, manifestazioni esterne, messa in libertà per cause di forza maggiore o per mancanza di forniture, nel caso in cui la percentuale di assenteismo sia significativamente superiore alla media, viene individuata quale modalità efficace la non copertura retributiva a carico dell'azienda dei periodi di malattia correlati al periodo dell'evento. A tale proposito l'Azienda è disponibile a costituire una commissione paritetica, formata da un componente della RSU per ciascuna delle organizzazioni sindacali interessate e da responsabili aziendali, per esaminare i casi di particolare criticità a cui non applicare quanto sopra previsto. Considerato l'elevato livello di assenteismo che si è in passato verificato nello stabilimento in concomitanza con le tornate elettorali politiche, amministrative e referendum, tale da compromettere la normale effettuazione dell'attività produttiva, lo stabilimento potrà essere chiuso per il tempo necessario e la copertura retributiva sarà effettuata con il ricorso a istituti retributivi collettivi (PAR residui e/o ferie) e l'eventuale recupero della produzione sarà effettuato senza oneri aggiuntivi a carico dell'azienda e secondo le modalità definite. Il riconoscimento dei riposi/pagamenti, di cui alla normativa vigente in materia elettorale, sarà effettuato, in tale fattispecie, esclusivamente nei confronti dei presidenti, dei segretari e degli scrutatori di seggio regolarmente nominati e dietro presentazione di regolare certificazione. Saranno altresì individuate, a livello di stabilimento, le modalità per un'equilibrata gestione dei permessi retribuiti di legge e/o contratto nell'arco della settimana lavorativa. 9) Cigs Il radicale intervento di ristrutturazione dello stabilimento Giambattista Vico per predisporre gli impianti alla produzione della futura Panda presuppone il riconoscimento, per tutto il periodo del piano di ristrutturazione, della cassa integrazione guadagni straordinaria per ristrutturazione per due anni dall'avvio degli investimenti, previo esperimento delle procedure di legge. In considerazione degli articolati interventi impiantistici e formativi previsti nonché della necessità di mantenimento dei normali livelli di efficienza nelle attività previste, non potranno essere adottati meccanismi di rotazione tra i lavoratori, non sussistendone le condizioni. 10) Abolizione voci retributive A partire dal 1° gennaio 2011 sono abolite le seguenti voci retributive, di cui all'accordo del 4 maggio 1987 Parte III (Armonizzazione normativa e retributiva): -paghe di posto -indennità disagio linea -premio mansione e premi speciali. Le suddette voci, per i lavoratori per i quali siano considerate parte della retribuzione di riferimento nel mese di dicembre 2010, saranno accorpate nella voce "superminimo individuale non assorbibile" a far data dal 1° gennaio 2011 secondo importi forfettari. 11) Maggiorazioni lavoro straordinario, notturno e festivo Sono confermate le attuali maggiorazioni comprensive dell'incidenza sugli istituti legali e contrattuali. 12) Polo logistico di Nola E' confermata la missione del polo logistico della sede di Nola. Eventuali future esigenze di organico potranno essere soddisfatte con il trasferimento di personale dalla sede di Pomigliano d'Arco. 13) Clausola di responsabilità Tutti i punti di questo documento costituiscono un insieme integrato, sicché tutte le sue clausole sono correlate ed inscindibili tra loro, con la conseguenza che il mancato rispetto degli impegni eventualmente assunti dalle Organizzazioni Sindacali e/o dalla RSU ovvero comportamenti idonei a rendere inesigibili le condizioni concordate per la realizzazione del Piano e i conseguenti diritti o l'esercizio dei poteri riconosciuti all'Azienda dal presente accordo, posti in essere dalle Organizzazioni Sindacali e/o dalla RSU, anche a livello di singoli componenti, libera l'Azienda dagli obblighi derivanti dalla eventuale intesa nonché da quelli derivanti dal CCNL Metalmeccanici in materia di: -contributi sindacali -permessi sindacali retribuiti di 24 ore al trimestre per i componenti degli organi direttivi nazionali e provinciali delle Organizzazioni Sindacali ed esonera l'Azienda dal riconoscimento e conseguente applicazione delle condizioni di miglior favore rispetto al CCNL Metalmeccanici contenute negli accordi aziendali in materia di: -permessi sindacali aggiuntivi oltre le ore previste dalla legge 300/70 per i componenti della RSU -riconoscimento della figura di esperto sindacale e relativi permessi sindacali. Inoltre comportamenti, individuali e/o collettivi, dei lavoratori idonei a violare, in tutto o in parte e in misura significativa, le presenti clausole ovvero a rendere inesigibili i diritti o l'esercizio dei poteri riconosciuti da esso all'Azienda, facendo venir meno l'interesse aziendale alla permanenza dello scambio contrattuale ed inficiando lo spirito che lo anima, producono per l'Azienda gli stessi effetti liberatori di quanto indicato alla precedente parte del presente punto. 14) Clausole integrative del contratto individuale di lavoro Le clausole indicate integrano la regolamentazione dei contratti individuali di lavoro al cui interno sono da considerarsi correlate ed inscindibili, sicché la violazione da parte del singolo lavoratore di una di esse costituisce infrazione disciplinare di cui agli elenchi, secondo gradualità, degli articoli contrattuali relativi ai provvedimenti disciplinari conservativi e ai licenziamenti per mancanze e comporta il venir meno dell'efficacia nei suoi confronti delle altre clausole. (14 giugno 2010)
2010-06-22 FIAT Pomigliano, referendum verso il sì Affluenza altissima, tensioni e accuse I dati definitivi sulla partecipazione degli operai: ha votato oltre il 95%. Bersani: "Mi aspetto che se c'è un sì la Fiat manderà avanti senza meno il suo progetto" Pomigliano, referendum verso il sì Affluenza altissima, tensioni e accuse Una manifestazione di solidarietà a favore dei dipendenti di Pomigliano * articolo Il testo dell'accordo su Pomigliano * Pomigliano referendum foto Referendum a Pomigliano POMIGLIANO D'ARCO (Napoli) - Una giornata lunghissima, fatta di attese, speranze e qualche contestazione. I lavoratori dello stabilimento Fiat di Pomigliano sono andati in massa alle urne per il referendum sull'intesa fra il Lingotto e tutte le sigle sindacali 1, ad eccezione della Fiom. Su 4.881 dipendenti, i votanti sono stati 4.637. Alle 21 è iniziato lo spoglio delle schede che andrà avanti per almeno due ore. Da un'indagine compiuta nel pomeriggio dai Cobas su 1.200 lavoratori (una sorta di exit poll) emergeva che avrebbe votato 'sì' finora il 60 per cento dei dipendenti, e 'no' il 40. Le operazioni di voto si sono svolte con qualche contestazione (FOTO 2). In particolare i Cobas hanno accusato diversi dipendenti di aver fotografato la scheda, e hanno imposto che si entri senza cellulare, per evitare che continui a succedere. Bersani: "Se i lavoratori dicono sì, è un sì a quel che dice la Fiat". "Mi aspetto che se c'è un sì la Fiat manderà avanti senza meno il suo progetto", ha detto il segretario del Pd Pierluigi Bersani al termine della direzione nazionale. "Siamo davanti a un passaggio molto, molto delicato", ha sottolineato, "rispetto i lavoratori e voglio credere che anche a Fiat si riferirà a quell'accordo. Perché se i lavoratori dicono sì, è un sì a quel che dice la Fiat". Quanto ai timori che l'intesa apra una breccia destinata ad allargarsi, Bersani ha frenato. "L'investimento deve essere incoraggiato, ma non se ne faccia troppo sbrigativamente un modello", ha ribadito. D'Alema: "Priorità che è la difesa del lavoro". È per il sì anche Massimo D'Alema: "Siamo di fronte a un accordo per salvare una realtà produttiva che altrimenti potrebbe essere compromessa: credo che ci sia una priorità che è la difesa del lavoro", dice l'esponente del Pd al termine di un incontro a Parigi con la leader del partito socialista francese (Ps) Martine Aubry. D'Alema ha tenuto a sottolineare che "quell'accordo contiene alcuni punti discutibili che non possono diventare principi di carattere generale". "Delitto contro la Costituzione". Per il segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto, quello che si sta consumando a Pomigliano è un delitto contro la Costituzione: "Indipendentemente dal risultato del referendum, che è una pistola puntata contro la tempia dei lavoratori, a Pomigliano - osserva in una nota - si sta consumando un vero e proprio delitto contro la Costituzione, i diritti di cittadinanza, senza alcun rispetto per gli uomini e le donne che lavorano". Secondo il leader del Pdci "la Fiat ha molti pesi sulla coscienza. Dai reparti-confino inventati da Valletta per punire i lavoratori più battaglieri, alla farsa della marcia dei 40mila quadri, gestita e finanziata dalla Fiat stessa, al godimento e sperpero dei finanziamenti pubblici di cui si è avvalsa come nessun altro imprenditore in Italia. Ma la vicenda di Pomigliano supera ogni limite e non sarà dimenticata". La proposta della Fiat. La Fiat ha proposto di trasferire la produzione della nuova Panda dalla Polonia a Pomigliano, operazione che comporta un investimento di 700 milioni e che permetterebbe di tenere aperto lo stabilimento campano. Ha imposto però una serie di condizioni che i sindacati hanno accettato pur di salvaguardare i posti di lavoro, e la Fiom ha rifiutato ritenendole lesive dei diritti dei lavoratori e contrarie alle leggi vigenti. Rischio chiusura. Se la maggioranza dei sì non dovesse essere quella voluta dall'amministratore delegato Sergio Marchionne, è possibile che la Fiat decida di chiudere lo stabilimento 2 e di riassumere i lavoratori che accetteranno un contratto sganciato dalle garanzie del precedente rapporto di lavoro, accettando tutte le condizioni imposte dall'azienda (si tratta del cosiddetto piano C 3). Marchionne ha chiarito infatti che l'azienda non procederà ad alcun investimento in mancanza di un'assoluta certezza del rispetto delle condizioni imposte. Contro l'accordo di Pomigliano hanno scioperato questa mattina, dalle 9 alle 11, i lavoratori della Piaggio che già si erano fermati ieri pomeriggio dalle 15 alle 17 e avevvano raggiunto in corteo la palazzina degli uffici. Lo rende noto Giorgio Cremaschi della Fiom. "Ancora un grande sciopero - commenta Cremaschi - che dimostra che il consenso di Marchionne tra gli operai metalmeccanici è inferiore a quello di Lippi se la Nazionale giovedì perde". (22 giugno 2010) |
L'UNITA' per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.unita.it/2011-07-22 Cassintegrati a lavoro nei tribunali: "Combattiamo i traumi della crisi" di Luciana Cimino | tutti gli articoli dell'autore cassintegrati provincia roma La sensazione di sentirsi inutile, di perdere la dignità, il proprio posto nel mondo, la ragione che ti fa alzare la mattina, che ti da una collocazione in società, una dimensione. E infine il male oscuro che si insinua nelle giornate vuote: la depressione. E' per tutti uguale la reazione alla perdita del lavoro. Ma per 200 cassintegrati di Roma (ex Alitalia, ex Eutelia, ex terzo settore) si è aperta lo scorso anno un'altra possibilità. Quella occasione che non ti cambia la vita, ma ti da quella "molla" per affrontare le giornate. E' l'accordo stipulato tra i Tribunali e l'Assessorato al Lavoro della Provincia di Roma che ha permesso ai lavoratori in mobilità di effettuare degli stage formativi per 12 mesi (ora rinnovati) nelle congestionatissime aule giudiziarie della capitale. La Provincia di Roma ha stanziato un milione di euro di fondi europei per remunerare con circa 300 euro mensili gli stagisti. La cifra, che si sommava all'indennità di disoccupazione o alla cassa integrazione, non era la cosa più importante. I lavoratori hanno contribuito a decongestionare gli uffici giudiziari. Sono stati una piccola toppa nella falla della carenza strutturale di personale dei Tribunali. La Cgil giustizia stima che la carenza di dipendenti all'interno degli uffici giudiziari di Roma e provincia si attesti fra le 3-400 unità. A questa si aggiunge il blocco del turn over stabilito dalla finanziaria fino al 2015. "Ho una figlia di 6 anni disabile gravissima che ha bisogno di continue terapie e l'azienda lo sapeva – racconta Maurizio Zoppi, ex Alitalia – ma sono stato lo stesso messo in cassa integrazione, ho scritto anche a Napolitano. Questo progetto mi ha tenuto vivo, non mi ha fatto sentire emarginato, non risolve certo il problema ma mantiene attivi e questo a livello psicologico è importante, altrimenti senza un occupazione muori dentro". Stefania Macchioni, 52 anni, era impiegata invece presso Eutelia. Aveva un lavoro a contatto con il pubblico. Da un giorno all'altro si è ritrovata a casa. "E' stato un trauma, ci si ammala, si va in depressione, fortunatamente il tirocinio in Tribunale me l'ha fatta superare perché metti a frutto l'esperienza che hai acquisito negli anni, entri in contatto con le persone, hai un ruolo. Non è tanto lo stipendio, con quello ti ci paghi i caffè e il viaggio, è che hai un attività durante il giorno". Emiliano Viti ha una storia particolare perché era un funzionario di Rifondazione Comunista. Poi il partito non ha raggiunto il quorum e lui, come molti altri, si è ritrovato in cassa integrazione. "ho provato tanta rabbia, perchè la responsabilità non era la mia ma del gruppo dirigente, questa esperienza in tribunale mi ha fatto rinascere tanto che vorrei diventare cancelliere. Mi ha fatto sentire utile, importante e i cittadini hanno bisogno di credere in una giustizia che funzioni, no?". Cinzia Carnicchia si sentiva fortunata perché a 40 anni aveva un contratto a tempo indeterminato in un'azienda. Non si aspettava il licenziamento. "Ti senti mancare la terra sotto i piedi, magari hai fatto dei progetti, un figlio, un mutuo, e improvvisamente finisci tra i poveri, è un miracolo mantenere la fermezza mentale. Questo lavoro mi ha rimesso in forma per i contatti con i colleghi e perchè hai la sensazione di essere utile, di dare un apporto al funzionamento della giustizia. Ma ce l'ho con i ministri che ci chiamano fannulloni". Ieri alla consegna degli attestati di partecipazione a Porta Futuro (lo spazio dedicato al lavoro dalla Provincia) il loro impegno è stato riconosciuto dal presidente del Tribunale ordinario di Roma, Paolo De Fiore che indirettamente ha risposto al Ministro Brunetta e al suo "siete l'Italia peggiore" rivolto ai precari qualche settimana fa. "Siete stati veramente bravi – ha detto ai tirocinanti - perchè avete rappresentato la parte migliore del Paese. Siete la prova che l'Articolo 1 della Costituzione si può realizzare realmente". "Abbiamo inventato un nuovo modello e siamo contenti che il nostro progetto venga ora raccolto dalla regione Lazio - ha commentato invece l'assessore provinciale al lavoro Massimiliano Smeriglio - È la prima esperienza con queste caratteristiche, va incontro alle difficoltà di organico dei Tribunali ma sopratutto mette insieme lavoro e giustizia". 21 luglio 2011
2011-07-20 Spidertruman forse non esiste ma ottiene la sua prima vittoria... spider truman montecitorio Spidertruman esiste. Anzi no. Di sicuro c'è che un primo risultato lo ha ottenuto. Un lunghissimo comunicato stampa di Montecitorio prova a rispondere punto per punto alle sue "denunce" sui costi della politica e finisce per inciampare in un infortunio. Si parla di punti Millemiglia. Il presunto ex precario della Camera aveva scritto sulla pagina Facebook "I segreti della casta di Montecitorio" (332 mila likers in pochi giorni, uno dei luoghi più visitati all'interno del social network) che "c'è un agenzia di viaggio all'interno di Montecitorio, alla quale tutti i deputati si rivolgono per fare qualsiasi biglietto aereo (naturalmente gratis) da e per qualsiasi destinazione italiana". E continua: "La prima volta che sono andato a fare i biglietti, il funzionario parlamentare adibito all'agenzia (7000 euro al mese) mi ha chiesto il codice Millemiglia, che con accortezza il deputato-padrone mi aveva fornito. Cosa ho scoperto: che lor signori non solo si fanno i viaggi gratis, ma con quei viaggi accumulano punti su punti che poi utilizzano per far viaggiare gratis anche mogli, amici e parenti sui voli Alitalia". La Camera risponde, negando l'esistenza di qualsiasi "dipendente di Montecitorio all'interno dell'agenzia", ma ammettendo che in effetti i punti Millemiglia venivano assegnati, e per evitare l'autogol si rifugia in calcio d'angolo: "La Camera, in sede di imminente rinnovo contrattuale con tale società, chiederà di accumulare direttamente le "miglia", al fine di risparmiare sui viaggi richiesti dall'attività parlamentare". 19 luglio 2011
Tutte le denunce di Spidertruman IMG COME FAR VIAGGIARE AMICI E PARENTI C'è un agenzia di viaggio all'interno di montecitorio, alla quale tutti i deputati si rivolgono per fare qualsiasi biglietto aereo (naturalmente gratis) da e per qualsiasi destinazione italiana. La prima volta che sono andato a fare i biglietti, il funzionario parlamentare adibito all'agenzia (7000 euro al mese) mi ha chiesto il codice millemiglia, che con accortezza il deputato-padrone mi aveva fornito. Cosa ho scoperto: che lor signori non solo si fanno i viaggi gratis, ma con quei viaggi accumulano punti su punti che poi utilizzano per far viaggiare gratis anche mogli, amici e parenti sui voli alitalia. L'assuefazione alla casta ci può portare qui in Italia anche a sminuire il peso di quest'atteggiamento truffaldino, ma per comprendere il valore di queste azioni, forse è il caso di ricordare lo scandalo "miglia aeree" che ha portato alle dimissioni di tre ministri in Germania, colpevoli di aver fatto quello che da decenni continuano a fare impunemente i deputati italiani. AUTO BLU E SCORTA PER TUTTI Quando vedete un autoblu che sfreccia a sirene spiegate, sappiate che a volte dentro c'è solo una signora che va a fare la spesa o accompagna i figli a scuola. Vi spiego qual'è il trucco attraverso il quale gli onorevoli parlamentari si arrogano e si appropriano di questo servizio. Le autoblu a Montecitorio sono solo venti, a disposizione dell'ufficio di presidenza (presidente e vicepresidenti della camera) e dei presidenti delle commissioni parlamentari. E gli altri 600 deputati? Ecco come fanno. Il meccanismo è ormai ben collaudato. Se all'origine era solo uno stratagemma di un giovane deputato democristiano di un paesino del beneventano che l'ha tenuto in piedi per 30 anni di onorato servizio allo stato (e lo tiene tuttora) oggi ormai è dilagato molto tra i frequentatori di montecitorio. Basta trovare una persona fidata che si prenda l'impegno, con le dovute precauzioni di intracciabilità, di inviare una lettera anonima di insulti e minacce, meglio ancora anche verso i familiari, riportando alcuni dettagli della vita privata (il nome della scuola del figlio, ad esempio). Il giorno seguente, mentre lui va ad informare i carabinieri, io sono già a scrivere.....in verità faccio il taglia e incolla di un vecchio comunicato stampa che mi ha passato un altro servo di montecitorio che si chiama minacce.doc che tanto il succo è sempre lo stesso:"profonda indignazione per le minacce ricevute, ma continuerò per la strada delle riforme e del rinnovamento, non ci lasceremo intimidire", chiamo i miei colleghi che anche loro hanno un bel file prestampato solidarieta.doc con il quale il capogruppo, il segretario, ecc.... esprimono solidarietà e vicinanza. Il caso finisce sui giornali, il prefetto chiama al padrone per assicurargli una protezione maggiore. Quel prefetto sà bene che l'avvicinamento, il trasferimento e la promozione dipendono dal ministro degli interni di turno e quindi dipende molto dalle amicizie che si sarà saputo costruire nei suoi anni di carriera prefettizia: nel successivo COMITATO PROVINCIALE PER L'ORDINE PUBBLICO E LA SICUREZZA non mancherà l'ok per concedere la dovuta protezione al padrone-deputato minacciato. E così per magia ecco a voi un auto blu e una squadra di scorta! LA SCORTA PER ACCOMPAGNARE LA MOGLIE A FARE LA SPESA Nel mentre il padrone-deputato svolge le sue interminabili recite teatrali (leggasi incontri pubblici), mi capitava a volte di chiacchierare con alcuni agenti delle forze dell'ordine preposte al "servizio scorte" del Viminale. In tanti esprimevano un forte senso di frustrazione nel dover svolgere mansioni particolare mortificanti. Il mio "amico di sventura", il caposcorta del deputato-padrone, aveva iniziato la carriera nella squadra mobile di Palermo ed era finito ad accompagnare la moglie del deputato a fare la spesa tutte le mattine, mentre la sera gli toccava portare il deputato a casa dell'amante o ai festini in giro per le ville dei Parioli. Un racconto molto simile di un agente "anonimo" venne riportato alcuni mesi fà in quest'intervista : http://www.lettera43.it/attualita/2086/la-scorta-delle-escort.htm Mi chiedevo spesso come e perchè avveniva un simile dispendio di risorse e uomini. Dopo un pò di anni non solo ho scoperto come funzionava il meccanismo, ma ne sono diventato mio malgrado complice e vittima: nel prossimo post vi spiego. I BARBIERI DI MONTECITORIO Indovina-indovinello: i 9 barbieri che lavorano nella barberia di montecitorio, guadagnando 11.000 euro al mese sudati tagliando in media 2 o 3 cape gloriose al giorno, come mai parlano tutti lo stesso accento??? e come mai è lo stesso accento dell'allora presidente della camera che li assunse attraverso un bel concorso pubblico trasparente come i suoi capelli??? chi era costui? 17 luglio 2011
La replica della Camera alle accuse IMG Arriva con un lungo comunicato la difesa della Camera alle accuse di 'SpiderTruman' che ancora oggi vengono pubblicate sul social network Facebook. L'ufficio stampa di Montecitorio puntualizza in quasi 100 righe la propria verità su tutti i punti contestati dall'ex-collaboratore di un parlamentare che ha deciso di mettere in rete quelli che definisce i privilegi della 'Castà. Il capo ufficio stampa della Camera, Giuseppe Leone, affronta quindi tutti i temi al centro delle polemiche: dagli affitti dei quattro palazzi Marini, alle polizze assicurative, dagli stipendi dei barbieri, alle richieste di scorte personali o di contestazione di contravvenzioni. La 'difesà della Camera riguarda anche la vicenda relativa all'accumulo dei punti millemiglia di Alitalia (nonostante i viaggi siano gratuiti per i parlamentari), le convenzioni con Tim e Peugeot, fino all'assistenza sanitaria e i 'furtì di presenze grazie ai cosiddetti parlamentari pianisti. PUNTI MILLEMIGLIA "Circa il fatto che i deputati, nonostante abbiano il diritto di viaggiare gratuitamente sui voli aerei nazionali, possano comunque accumulare punti mille miglia Alitalia da poter sfruttare successivamente anche a favore dei familiari e che all'interno dell'agenzia di viaggi opererebbe un "funzionario parlamentare", il cui stipendio sarebbe di 7 mila euro mensili, si fa presente che presso tale agenzia di viaggi non operano dipendenti dell'Amministrazione della Camera, ma addetti della società cui il servizio è affidato. Occorre, altresì, sottolineare che l'offerta Millemiglia è stata formulata unilateralmente dall'Alitalia, senza alcun interessamento della Camera, su richiesta dei singoli deputati. La Camera, in sede di imminente rinnovo contrattuale con tale società, chiederà di accumulare direttamente le "miglia", al fine di risparmiare sui viaggi richiesti dall'attività parlamentare. CONVENZIONI TIM E PEUGEOT Circa le asserite agevolazioni tanto sul listino per i deputati sulle utenze cellulari TIM quanto sull'acquisto delle autovetture dell'azienda Peugeot, vale il principio per cui le proposte commerciali che le singole aziende avanzano in tal senso nei confronti dei deputati avvengono nell'ambito della loro discrezionalità d'impresa e senza alcun tipo di intermediazione della Camera. DEPUTATI PIANISTI In riferimento al cosiddetto fenomeno dei "deputati pianisti", si fa presente che ad inizio di questa legislatura - come ampiamente riportato dagli organi di informazione - è stata adottata alla Camera, su proposta del Presidente Fini, una nuova metodologia di voto basata sul riconoscimento delle cosiddette "minuzie" del parlamentare volta a tutelare al massimo proprio la garanzia della personalità del voto, stroncando così questo fenomeno di malcostume. ASSISTENZA SANITARIA Infine, per quanto riguarda l'assistenza sanitaria a favore dei deputati si fa presente che essa è a carico di un apposito fondo di solidarietà alimentato dai contributi versati dai singoli deputati ed è in equilibrio finanziario, come si evince dal relativo bilancio pubblicato anche sul sito internet della Camera in allegato al bilancio consuntivo della Camera medesima. 19 luglio 2011
2011-07-04 Fininvest-Cir, nella manovra norma salva Silvio tremonti, industriali Berlusconi non ci dorme la notte. Il lodo Mondadori, e il possibile risarcimento di 750 milioni di euro che Fininvest dovrebbe dare a Fininvest gli tolgono il sonno. E così, confermando 16 anni di leggi ad personam, cerca vie di scampo. Questa volta ha pensato bene di approfittare della manovra per provare a risolvere i suoi problemi. Poche righe, riportate in coda al capitolo della manovra dedicato alla giustizia, ma di grande effetto: si tratta di due nuove norme del codice civile, già battezzate 'sospendi-risarcimentì, che potrebbero aver presto un impatto significativo sulla complessa vicenda del Lodo Mondadori. Se, infatti, la Corte d'appello di Milano confermerà la condanna di Fininvest a risarcire di 750 milioni la Cir di De Benedetti (o ridurrà la condanna ad una cifra comunque superiore a 20 milioni di euro), proprio una delle due nuove norme potrebbe correre in soccorso della holding della famiglia Berlusconi, sospendendo l'esecuzione della sentenza fino al definitivo pronunciamento della Cassazione. "Un insulto al Parlamento" per il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. L'ennesima dimostrazione che sono "senza vergogna" per Donatella Ferranti, capogruppo democratica nella commissione Giustizia della Camera. "Se dovesse essere confermata - dice il presidente dell'Anm, Luca Palamara - si tratterebbe di una norma che nulla ha a che vedere con il tema dell'efficienza del processo civile, che determinerebbe un'iniqua disparità di trattamento, e che sarebbe, quindi, incostituzionale". Ma in cosa consistono le nuove norme previste dalla manovra? Le due modifiche riguardano gli articoli 283 e 373 del codice civile. Il primo articolo (283), nella sua attuale formulazione, prevede la possibilità per il giudice civile - in presenza di "gravi e fondati motivi" - di sospendere, in tutto o in parte, l'esecuzione della sentenza di primo grado, con o senza cauzione. Con la manovra, viene previsto un secondo comma dell'articolo, con il quale si stabilisce che la sospensione dell'esecuzione della sentenza di primo grado '"è in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a dieci milioni di euro" se la parte ricorrente "presenta idonea cauzione". L'articolo 373 stabilisce che "il ricorso per cassazione non sospende l'esecutività della sentenza" di secondo grado, lasciando tuttavia al giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata - "qualora dall'esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno" - la facoltà di disporre "che l'esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione". Con la modifica dell'articolo introdotta con la manovra, viene meno il potere discrezionale del giudice per le condanne di importo superiore a 20 milioni di euro. La sospensione - dice la nuova norma - "è in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a 20 milioni" se la parte presta "idonea cauzione". Per tornare al Lodo Mondadori, dunque, in caso di conferma o di riduzione della condanna di Fininvest ad una cifra comunque superiore a 20 milioni di euro, la Corte d'appello di Milano, sezione civile, su istanza dei legali di Fininvest, sarebbe obbligata a disporre la sospensione dell'esecuzione della sentenza, a condizione che la stessa Fininvest presti un'"idonea cauzione". 4 luglio 2011
"Venti anni ai vertici dell'Eternit" Amianto, le richieste della Procura IMG Il pubblico ministero di Torino Raffaele Guariniello ha chiesto una condanna a 20 anni per Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, e Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne, barone belga di 89 anni, i due alti dirigenti della multinazionale dell'amianto Eternit, nella cinquantesima udienza del maxi-processo per migliaia di morti in corso a Torino. Le accuse loro contestate sono di disastro ambientale doloso (per l'inquinamento e la dispersione delle fibre-killer) e omissione volontaria di cautele nei luoghi di lavoro. L'accusa ha chiesto anche tre pene accessorie: l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, l'incapacità di trattare con la pubblica amministrazione per tre anni e l'interdizione temporanea dalla direzione di imprese per dieci anni. Guariniello: mai visto una tragedia così "In tanti anni non avevo mai visto una tragedia come questa": lo ha detto il pubblico ministero Raffaele Guariniello durante la parte finale della sua requisitoria conclusasi con la richiesta di pene per i due imputati, lo svizzero Stephan Schmidheiny e il belga Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne. "Prima di pensare a quali pene chiedere - ha spiegato il pm - ho voluto rileggere le pene inflitte per i casi più gravi di disastri o di morti, tra cui i tanti morti nelle aziende amiantifere della nostra zona e anche i sette della ThyssenKrupp. Una tragedia come questa, però, non mi era mai capitata: ha colpito regioni diverse nel nostro paese, popolazioni di lavoratori e di cittadini. Continua a seminare morte e continuerà a farlo chissà per quanto". Il più grande processo per amianto d'Europa Quello ai vertici della Eternit è il più grande processo per amianto d'Europa. La Procura di Torino procede per migliaia di persone morte o ammalate a causa dell'amianto lavorato in quattro stabilimenti italiani della multinazionale elvetica: Cavagnolo (Torino), Casale Monferrato (Alessandria), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). I fatti contestati vanno dal 1952 al 2008. Le parti civili ammesse dal Tribunale sono oltre seimila, principalmente ammalati (di asbestosi, tumori e altre patologie) o parenti di vittime. Proprio i loro legali inizieranno a parlare a partire dalla prossima udienza del processo, in programma lunedì. Visto il grande numero, il presidente del tribunale Giuseppe Casalbore ha previsto che ognuno di essi potrà intervenire per non più di un quarto d'ora. 4 luglio 2011
Manovra, colpo alle pensioni. Tagli alle rinnovabili tremonti, industriali STRETTA SULLE PENSIONI Confermato per il biennio 2012-2013 il blocco della rivalutazione delle pensioni "dei trattamenti pensionistici superiore a cinque volte il trattamento minimo di pensione Inps". "Per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il predetto trattamento minimo Inps l'indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato nella misura del 45%". È quanto prevede il testo della manovra consegnato al Quirinale. Il taglio del 30% di "tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni" presenti in bolletta torna nel testo della manovra inviato al Quirinale. AUMENTA L'ETA' PENSIONABILE PER LE DONNE Confermato l'intervento per l'aumento dell'età pensionabile delle donne nel settore privato. Si parte dal 2020 con un mese in più oltre i 60 anni per arrivare al 2032 con l'ultimo scaglione. È quanto si legge nell'articolo 18 del testo della manovra inviato al Quirinale. TAGLI ALLE RINNOVABILI "Allo scopo di ridurre il costo finale dell'energia per i consumatori e le imprese - dice l'articolo 35 - a decorrere dal primo gennaio 2012 tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni, comunque gravanti sulle componenti tariffarie relative alle forniture di energia elettrica e gas naturale, previste da norme di legge o da regolamenti sono ridotti del 30 per cento rispetto a quelli applicabili alla data del 31 dicembre 2010". L'entità degli incentivi, dei benefici e delle agevolazioni sarà rideterminata dal ministero dello Sviluppo su proposta dell'Autorità per l'energia entro 90 giorni. SFORBICIATA AI FONDI CONSOB Tagli del 20% a partire dal prossimo anno ai fondi della Consob, delle altre autorità indipendenti, del Csm e della Corte del conti. Lo prevede il testo della manovra trasmesso al quirinale. "A decorrere dall'anno 2012 - è scritto nell'articolo 5 del capitolo dedicato alla riduzione dei costi della politica e degli apparati - gli stanziamenti del consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (cnel), degli organi di autogoverno della magistratura ordinaria, amministrativa, contabile, tributaria, militare, nonchè delle autorità indipendenti, compresa la consob, sono ridotti del 20 per cento rispetto all'anno 2011". RIDOTTI I VOLI DI STATO I voli di Stato saranno limitati soltanto alle cinque massime cariche dello Stato, ossia al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato, al Presidente del Consiglio e al Presidente della Corte Costituzionale. Lo prevede la manovra, nel testo inviato al Quirinale. Nell'articolo, si sancisce che le eccezioni a questa regola "devono essere specificatamente autorizzate, soprattutto con riferimento agli impegni internazionali e rese pubbliche sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, salvi i casi di segreto per ragioni di Stato". TAGLI AL FINANZIAMENTO PARTITI "Un ulteriore taglio del 10%" al finanziamento dei partiti politici "cumulando così una riduzione complessiva del 30%". Lo prevede l'art. 6 della manovra inserito nel capitolo dei "tagli alla politica" del decreto della manovra che è stato consegnato al Quirinale. IL SUPERBOLLO A partire dal 2011, "per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro 10 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 225 chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato". Lo prevede il testo della manovra inviato al Quirinale. STANGATA IRAP Stangata Irap per banche e assicurazioni. Per gli istituti di credito e per le altre società finanziarie l'Irap sale al 4,65% mentre per le assicurazioni passa al 5,90%. È quanto riporta la bozza del decreto con la manovra consegnata al Quirinale. STANGATA SUI DEPOSITI TITOLI Il bollo che si applica alle comunicazioni relative al deposito di titoli può salire infatti fino a 380 euro se ha un ammontare complessivo a cinquantamila euro ed è gestito da una banca. L'importo varierà infatti in base al valore del "conto": dai 120 euro annuali per le comunicazioni di intermediari finanziari ai 150 per i conti inferiori ai 50 mila euro relativi a comunicazioni di depositi titoli presso banche, fino ai 380 euro annuali se si supera questa soglia. È quanto si legge nel testo della manovra inviato al Quirinale. 4 luglio 2011
2011-07-03 Camusso: non toccate le pensioni, in piazza il 15 camusso La Cgil "ha preannunciato una mobilitazione del 15 del sindacato pensionati: sarà una mobilitazione di tutti i territori per le pensioni, ma anche per la sanità è sui temi della crescita". Lo ha detto la segretario generale della Cgil, Susanna Camusso confermando la mobilitazione del sindacato sui temi della manovra economica. La segretario della Cgil ha quindi sottolineato l'iniquità della manovra per quanto riguarda il taglio alle rivalutazioni pensionistiche:"quando si parla dei mille e quattrocento euro si parla di mille euro netti. Sono le pensioni di operai, impiegati che spesso hanno raggiunto i 40 anni di lavoro, quel famoso ceto medio che bisognerebbe salvaguardare sul piano dei redditi e quindi dei consumi. Si tratta di un ceto che è stato già penalizzato con riduzioni delle pensioni che spesso gli servono anche a proteggere figli disoccupati". Per trovare risorse per fare la manovra "noi diciamo da lungo tempo innanzitutto che per prendere soldi bisogna rimettere in moto la crescita. E poi si deve prendere a chi guadagna di più, osserva ancora il segretario della Cgil che aggiunge: "non è vero che non ci sono situazioni dove non si potrebbero trovare risorse quando il 10% famiglie italiane detiene il 47% della ricchezza nazionale". Per questo, conclude Camusso, "noi diciamo che serve un riequilibrio. Si colpisca chi ha determinato questa crisi e si utilizzino le risorse per far stare meglio chi sta peggio e per far ripartire la crescita". 3 luglio 2011
Damiano: "Tolgono ai poveri per dare ai ricchi" di B. Di G. di Bianca Di Giovanni | tutti gli articoli dell'autore IMG "Niente di più falso. La nostra manovra era di segno nettamente opposto a quella attuale". Chi prova ad alludere a un parallelismo tra la manovra Prodi e quella attuale con Cesare Damiano, riceve una risposta tranchant: falso. L’ex ministro fornisce le cifre del suo intervento e prospetta i rischi di quello attuale. "Sacconi punta i piedi, Bossi punta i piedi, ma poi alla fine le pensioni ci sono sempre", osserva Damiano. Le trappole per i pensionati sono disseminate in tutti i provvedimenti targati Tremonti. Quanto all’ultimo, il segno è preciso: "Si toglie ai poveri per dare ai ricchi. Esattamente come si fa con le tre aliquote nel fisco". Eppure, si continua a dire che l’intervento prospettato è analogo a quello sugli assegni d’oro voluto da Prodi. "Niente di più falso. Al tempo del governo Prodi io avevo congelato per un anno la rivalutazione delle pensioni pari a 8 volte il minimo, con un risparmio di 140 milioni l’anno. Contemporaneamente avevo stanziato un miliardo e 300 milioni a vantaggio dei pensionati con un assegno fino a 700 euro al mese (una platea di 3,5 milioni di persone) attraverso la quattordicesima, che viene ancora distribuita nel mese di luglio. E non è finita qui". Cos’altro c’era? "Noi avevamo fatto anche l’intervento per ridurre lo scalone, quello sui lavori usuranti, che è entrato in vigore con tre anni di ritardo, e infine avevamo migliorato il meccanismo di totalizzazione dei contributi a vantaggio dei più giovani, portando la franchigia (cioè il perido contributivo che di fatto si perde, ndr) dai 6 anni agli attuali 3 anni. Per questo, ripeto, la nostra manovra aveva un segno assolutamente diverso rispetto a quella attuale. Oggi vengono coinvolti nei tagli 4,4 milioni di pensionati. Quello che aggiungo è che mentre Sacconi ripete la litania che le pensioni non vengono toccate, invece accade sempre che con le pensioni si fa sempre cassa. Ricordo che questo governo ha introdotto l’allungamento automatico di un anno (attraverso la finestra unica) anche per chi ha maturato 40 anni di contributi, e per chi esce dalla mobilità, che così resta senza alcun reddito, né la pensione, né lo stipendio. Ciliegina sulla torta: ha agganciato alla speranza di vita l’età di uscita forse già dal 2014, il che significa che ogni 3 anni l’età si alza di tre mesi. Sulle pensioni si è fatto di tutto". Però Sacconi ha puntato i piedi sull’innalzamento a 65 anni delle lavoratrici nel privato. Questo glielo riconosce? "Puntato i piedi? Mi risulta che quella misura c’è, sempre che le indiscrezioni che leggiamo sui giornali siano vere. È solo spostato più in avanti, ma c’è. E qui si tocca la vita di operaie e commesse, donne che fanno lavori faticosi, che si sono sobbarcate anche il lavoro di cura in casa, che hanno fatto figli e che spesso non riescono ad arrivare alla pensione di anzianità. Non si prevede neanche uno sconto di un anno per figlio, o uno per l’assistenza a familiari portatori di handicap. Nulla di nulla. Le donne non vedranno niente, così come non hanno finora visto le risorse derivanti dai risparmi dell’innalzamento dell’età per le pubbliche. Tutte promesse non mantenute". L’innalzamento è molto graduale a partire dal 2020. Forse è presto per lanciare l’allarme... "Abbiamo di fronte un governo che prima nega, poi fa una misura soft, poi la anticipa. Non mi stupirei se accadesse anche questo. Sarebbe la conferma di una manovra profondamente ingiusta, che si abbatte ferocemente sullo stato sociale". Tra le tante proteste, oggi c’è anche chi definisce queste misure socialmente giuste, perché i vecchi pagano per i giovani. Cosa ne pensa? "Mi sembra una tesi ardita, perché non mi pare che ci siano misure in favore dei giovani. Il Pd chiede ad esempio una misura in cui si dica che ciascun giorno di lavoro valga per la pensione. Sostanzialmente si chiede l’azzeramento della franchigia. Ebbene, non leggo nulla di tutto questo tra le indiscrezioni". Il governo annuncia anche una delega sul riordino dell’assistenza. Ha timori anche in questo campo? "Nessuno nega il fatto che i furbi debbano essere colpiti. Ma si finisce sempre per sparare nel mucchio, anche chi ha le carte in regola". In una manovra da 47 miliardi è difficile non toccare le pensioni... "Certo, sono stato io il primo a farlo. Ma va rispettato sempre il principio redistributivo: chi ha di più deve dare. Non mi pare sia così". 3 luglio 2011
Manovra, il governo prende tempo: il testo non è ancora al Quirinale napolitano primo piano con dietro bandiere "Poiché molti organi di informazione continuano a ripetere che la manovra finanziaria approvato dal governo nella seduta di giovedì scorso sarebbe al vaglio della Presidenza della Repubblica già da venerdì - si legge nella nota diffusa dal Quirinale - si precisa a tutto oggi la presidenza del consiglio non ha ancora trasmesso al Quirinale il testo del decreto legge". 3 luglio 2011
Un Suv val bene un taglio alla sanità Pdl in rivolta contro il superbollo di Alessandra Rubenni | tutti gli articoli dell'autore suv box Lo schiaffo ai pensionati? Bazzecole. I tagli alla sanità? Quisquilie. Nei cuori che battono più a destra, prima di tutto c’è il rombo del motore. Grossa cilindrata. E la battaglia più sentita è per salvarli, quei cavalli motore, dal macello del super-bollo. La voce di tanto popolo del Pdl si è già manifestata sulla bacheca virtuale di Spazio Azzurro. Così "vi perderete l’elettorato per strada", è uno degli avvertimenti arrivati dal web all’indirizzo di quella maggioranza di governo che alla fine nella manovra ha inserito anche il rincaro del bollo per le auto più potenti, dai 225 chilowattora in su. Categoria in cui rientrano i grandi Suv ma anche crossover e monovolume particolarmente dotate, macchine come la Ferrari, Maserati e Corvette, insieme ai modelli più potenti di Bmw X6, Mercedes SL 500, o l’Audi A8: per intendersi, quella usata da Berlusconi. "Motori" che non costano meno di 40mila euro e che negli ultimi giorni, insieme all’ipotesi della supertassa, sono stati al centro di veri e propri duelli dentro la maggioranza e motivo di grande preoccupazione. La tassa si alza, no, guai a chi la tocca. E quel superbollo entrava e usciva dalla bozza della manovra. "Non ci sarà", aveva smentito al Tg4 il sottosegretario all’Economia, Luigi Casearo. Sarà "una cosina di poco conto", rettificava poi il Cavaliere. Il quale, alla fine, ha mollato la spugna e niente di meno che al consiglio nazionale del Pdl si è giustificato: "Ho dovuto cedere dopo una lotta ostinata a una sola cosa che è contro il nostro programma elettorale: il bollo sui suv. Giulio Tremonti mi ha ricattato con un ragionamento ficcante e ho dovuto ammettere che un sacrificio i proprietari di quelle auto devono farlo". "Non volete rinunciare ai vostri privilegi, ma sacrificate senza problemi gli italiani. Indecenza! Mai più il mio voto", gli ha mandato a dire qualcuno, nella chat di Spazio Azzurro, che si è firmato "Casta Vergogna". Ma ormai - colpa di quel "ragionamento ficcante" - ingiustizia è fatta. 3 luglio 2011
2011-07-02 L'ira di Pd e sindacati: "Giù le mani dalle pensioni" IMG La stretta a sorpresa sulle pensioni sta facendo sollevare un coro di no tra le opposizioni e i sindacati. Le forbici della manovra colpiscono gli assegni previdenziali di livello relativamente modesto, come quelle da 1.400 euro al mese. Il decreto per la correzione dei conti pubblici prevedrebbe infatti la mancata rivalutazione per il biennio 2012-2013 delle pensioni superiori a cinque volte il minimo, cioè 2.300 euro al mese (il minimo delle pensioni inps 2011 è di 476 euro al mese), mentre quelle più basse, comprese tra 1.428 e 2.380 euro mensili, dovrebbero essere valutate per tenere conto dell'inflazione, ma solo nella misura del 45%. A ciò si aggiungerebbe l'allungamento dell'età minima di pensione che dal 2014 salirà di almeno tre mesi con l'anticipo dell'agganciamento automatico delle speranze di vita. "Si colpiscono le pensioni intorno ai 1.000 euro mensili netti", spiega Stefano Fassina, responsabile per il Pd di Economia e lavoro, visto che "dall'importo annuo indicato di 18mila euro va sottratto il 30 per cento di tasse". Dunque, precisa Fassina, "sono almeno 5 milioni i pensionati su cui ricadrà l'intervento". E questa, ha poi tenuto a sottolineare, "è sola una delle norme. Poi c'è il ticket che pesa soprattutto sui pensionati visto che più di altri ricorrono al servizio sanitario nazionale. E ancora, l'aumento da 34 a 120 euro del bollo sui titoli a partire dai 1.000 euro investiti; anche qui parliamo di piccoli risparmiatori spesso anziani". Da ultimo, ha proseguito, "c'è il colpo pesantissimo e insostenibile a Comuni, Province e Regioni, con 10 miliardi di tagli che vanno ad aggiungersi ai 13 miliardi dello scorso anno. Tutti gli amministratori, anche quelli leghisti, hanno già annunciato che dovranno tagliare i servizi sociali e assistenziali". Non ci stanno neanche le parti sociali. "I pensionati cominciano a pagare subito e subiranno un ulteriore peggioramento della loro condizione nei prossimi anni". Lo afferma Carla Cantone, segretario generale dello Spi Cgil, commentando la manovra e i tagli previsti alla previdenza e all'assistenza. Cantone annuncia anche una manifestazione il 15 luglio davanti Montecitorio per protestare contro le decisioni del Governo. "Tra i più colpiti - sottolinea Cantone - saranno gli assegni previdenziali di importo medio, la maggioranza del totale dei pensionati, quelli che percepiscono intorno agli 800 euro netti, che, oltre a essere tassati maggiormente, avranno una riduzione drastica dell'assistenza socio sanitaria, un ulteriore balzello per salvaguardare la loro salute". Per il segretario confederale della Cgil, Vera Lamonica si tratta di "una misura inaccettabile, inserita in una manovra che ancora una volta colpisce i soliti noti" a cui il sindacato "si opporrà con forza anche con la mobilitazione". Alt anche dal segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. "Il governo ed il parlamento devono correggere il provvedimento che blocca la rivalutazione delle pensioni", dice. E aggiunge: "La norma rende ancora più vulnerabili quei pensionati che negli ultimi quindici anni hanno già visto ridursi il potere di acquisto delle loro pensioni". Quello che si aspetta, Bonanni è "non solo un chiarimento dal governo", ma anche che il parlamento corregga "questa palese iniquità, individuando nella riduzione dei livelli amministrativi, negli sprechi e nei costi impropri della politica, la copertura necessaria per dare soluzione ad un provvedimento ingiusto e socialmente non sostenibile". Per Vendola "la manovra Berlusconi-Tremonti candida chi dirige le amministrazioni territoriali, presidenti di regione, di province e sindaci a diventare esclusivamente dei curatori fallimentari". "La manovra - prosegue il leader di Sel - era partita con gli effetti speciali degli annunci, che riguardano sempre il futuro, mai il presente, degli tagli alla casta e alla politica. E poi quando uno osserva il contenuto vero della manovra capisce, guardando ad esempio l'incredibile vicenda del blocco delle pensioni, che si tratta della patrimoniale sui ceti medio bassi del nostro Paese. È la patrimoniale sui poveri. Nient'altro". A nulla sono servite le precisazioni dell'Inps, che in una nota spiega che "quello adottato nella manovra è un meccanismo di rivalutazione a fasce per cui tutte le pensioni sono oggetto di rivalutazione, anche se in misura progressivamente inversa rispetto all'entità della pensione". In questo modo le pensioni più basse, fino a un importo di 1.428 euro mensili, sono rivalutate al 100%. Le pensioni tra tre e cinque volte il minimo - nello scaglione tra 1.428 e 2.380 euro mensili - saranno rivalutate al 100% nella fascia fino a 1.428 e al 45% nella fascia fino a 2.380. Le pensioni oltre cinque volte il minimo - ovvero superiori a 2.380 euro mensili - saranno rivalutare al 100% nella fascia fino a 1.428 euro, al 45% nella fascia da 1.428 a 2.380, mentre il blocco della rivalutazione scatterà nella quota superiore a 2.380 euro mensili. 2 luglio 2011
Intanto Tremonti grazia i parlamentari: niente tagli ai costi della politica di Bianca Di Giovanni | tutti gli articoli dell'autore BERLUSCONI FRATTINI TREMONTI TRISTE CAMERA Tante parole, pochi fatti. Mentre il paese si prepara ad affrontare una stangata senza precedenti, sui costi della politica il "moralizzatore" Giulio Tremonti si salva con una commissione guidata dal presidente dell’Istat, che studierà la questione, e proporrà gli interventi che dovranno ispirarsi alla prassi europea. È questo quello che prevede la manovra da 47 miliardi in quattro anni varata ieri dal consiglio dei ministri dopo un esame di oltre quattro ore. Quello delle spese per la "casta" è il tema con cui il ministro aveva deciso di aprire la sua (forse ultima) manovra, tanto che l’ultima bozza circolata iniziava proprio da lì. Ma sul testo entrato in consiglio compariva solo il titolo: la pagina era ancora bianca. Ci è voluto anche un incontro tecnico a metà riunione, per partorire una soluzione siffatta. Ma non è finita qui. I risultati dell’indagine, spiega il ministro, diventeranno efficaci nella prossima legislatura. Insomma, per ora proprio nulla di nulla. E il ministro ha anche il coraggio di annunciare che "ci sarà l’election day". ecco, appunto. Proprio quello che il suo governo non ha concesso in occasione degli ultimi referendum. Il ministro non dice di più. A chi gli chiede ulteriori notizie, risponde: "Voi giornalisti siete deviati". Secondo lui, evidentemente, il Paese deve subire la stangata senza neanche conoscerla. Il testo della manovra era entrato in consiglio dei ministri già in parte modificato rispetto ai desiderata di Giulio Tremonti. Ad essere rivisitato è stato il superbollo, che alla fine viene applicato solo alle auto potenti. Restano invece tutti interi i tagli per Regioni, Province e Comuni. Meno servizi e soprattutto meno sanità. Nel 2014 si arriverà a quasi 10 miliardi in meno, sommando il taglio di 3,2 miliardi nel 2013 e di altri 6,5 l’anno successivo. Naturalmente, è tutto spostato in avanti. Saranno altri a dover chiedere conto dei risparmi. I ticket invece tornano già dall’anno prossimo: 10 euro sulla diagnostica e 25 per i codici bianchi del pronto soccorso. Così il governo mette le mani nelle tasche degli italiani più deboli. Tremonti parla di azzeramento del deficit nel 2014, come "dovere etico". Ma non è affatto certo che le misure scritte nero su bianco raggiungeranno quell’obiettivo. Soprattutto perché difficilmente il paese potrà reggere una stretta di questo tipo. Quest’anno una correzione di un miliardo e mezzo, l’anno prossimo di 5 e mezzo, 20 miliardi nel 2013 e altrettanti nel 2014. Credibile? Il consiglio approva anche la delega fiscale, che dovrà riformare il fisco nei prossimi tre anni. Anche qui, restiamo nel futuribile. Se la storia insegna, anche questa riforma resterà nel libro dei sogni, come i due precedenti tentativi di Tremonti. Si confermano le tre aliquote (20%, 30% e 40%), l’Iva sarà aumentata gradualmente (salta l’ipotesi di maggiorazione immediata dell’1% per gli scaglioni al 20% e al 10%), si annuncia la nuova tassa di servizio, che ingloberà sette prelievi (di registro; ipotecarie e catastali; di bollo; sulle concessioni governative; sui contratti di borsa; sulle assicurazioni; sugli intrattenimenti). Quanto alle rendite, la delega prevede un allineamento "verso il 20%". Insomma, non c’è una indicazione secca. Restando in campo fiscale, non è ancora chiaro al momento se nella manovra sia stato confermato il prelievo dello 0,15% sulle transazioni finanziarie, esclusi i titoli di Stato. Pare invece sia saltata (ancora non è chiaro) la tassa del 35% sulle transazioni delle banche. Un capitolo corposo riguarda il pubblico impiego, con il prolungamento del blocco del turn-over e il congelamento degli scatti. Si prevede anche una stretta sulle visite fiscali, previste già dal primo giorno di malattia. Intervento anche sulle pensioni d’oro: stop per il biennio 2012-2013 alla rivalutazione automatica delle pensioni di fascia alta, quelle superiori a 30.500 euro (5 volte il minimo Inps). Per le pensioni tra 18.300 e 30.500 euro la rivalutazione si riduce del 50%. Stretta sulle pensioni di reversibilità nei casi di matrimoni "stretegici": è la norma che la Lega ha appellato come "anti-badante". Gli enti previdenziali privati saranno "supervisionati" dalla Covip, a cui si danno nuovi poteri. Passa la norma per le imprese dei giovani under 35: un forfait fiscale del 5%. Per ridurre il numero delle pendenze giudiziarie e quindi concentrare gli impegni amministrativi e le risorse "sulla proficua e spedita gestione del procedimento". Resiste anche la norma che amplia le opzioni di destinazione del 5 per mille, inserendo anche la cultura. Un lungo capitolo riguarda la riforma di Cinecittà. Sui giochi arriva la stretta sulle scommesse clandestine. 1 luglio 2011
S&P's boccia la manovra: inutile standard poor 304 Niente da fare. La manovra varata ieri dal Governo, dopo una riunione fiume e una sospensione per decidere su come (non) tagliare i costi della politica, non convince Standard & Poor's. L'agenzia di rating dichiara in una nota che nonostante il provvedimento correttivo dei conti pubblici, "restano sostanziali rischi per il piano di riduzione del debito principalmente a causa della debole crescita". Le svolte epocali annunciate nei giorni scorsi, le frustate all'economia promesse, tutto si sgonfia di fronte agli occhi degli osservatori internazionali. 1 luglio 2011
2011-06-24 In pensione a 67 anni, sindacati in rivolta industria operaio Sindacati sul piede di guerra contro l'innalzamento dell'età pensionabile a 67 anni nel 2020, che secondo indiscrezioni sarebbe contenuta nella manovra di Tremonti. Le notizie ,emerse dal cantiere sulla manovra, su un aumento dell'età pensionabile attraverso un'accelerazione dell'adeguamento alla speranza di vita, rappresenta per il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, "un tentativo di fare cassa, come sempre, con il Welfare". A margine dell'ingresso all'assemblea di Confcommercio, la leader del sindacato di corso D'Italia ha sottolineato: "È un'idea di manovra del tutto recessiva e non utile per il Paese, con un accanimento contro le donne". Il leader della Cisl rincara. Le pensioni non devono essere toccate nuovamente e bisogna invece tagliare sui costi della politica, ha detto Raffaele Bonanni dopo le indiscrezioni su un aumento dell'età pensionabile nella manovra. "C'è già stata una stretta sulle pensioni - ha detto Bonanni - e c'è invece da stringere sui costi della politica, dell'amministrazione e su tanti altri costi prima di arrivare a questo". "Lo diciamo - ha aggiunto Bonanni arrivando all'assemblea annuale di Confcommercio - forte e chiaro al ministro Tremonti". "Così si risanano i conti pubblici, ma si perseguitano gli onesti, le lavoratrici e le famiglie. Non è accettabile". Così il segretario generale dell'Ugl, Giovanni Centrella, commenta l'eventualità di un aumento dell'età pensionabile da inserire nella manovra. "Continuando ad affossare la parte sana del Paese - prosegue Centrella - quella che colma le lacune del welfare, che fa girare il mercato interno e che assicura entrate certe allo Stato, non solo si commette una grave ingiustizia, ma si impoverisce e si deprime un intero sistema.
Marcegaglia invece è dìaccordo. "Aumentare l'età pensionabile? Credo sia corretto. Tutta Europa si sta muovendo in questa direzione. Si tratterebbe solo di anticipare di alcuni anni una riforma che é già stata definita l'anno scorso. Credo che questo sia un punto importante che da credibilità alla manovra strutturale, ha detto la presidente di Confindustria. Per Confindustria alzare l'età di pensione e "contenere" le retribuzioni pubbliche sono le misure per riprendere il treno dello sviluppo e, contemporaneamente, perseguire il risanamento dei conti pubblici. Negli scenari economici del centro studi, gli industriali, ribadendo che "per l'italia non c'è scelta tra il risanamento dei conti pubblici e la più elevata crescita economica" indicano due strade principali per raggiungere entrambe gli obiettivi. Il ministro del Lavoro frena: l 'ipotesi di anticipare dal 2015 al 2013 l'età pensionabile alle aspettative di vita sono solo voci, ha detto Maurizio Sacconi, arrivando all'assemblea di confcommercio. "Sono voci", ha risposto il ministro ai giornalisti che gli chiedevano un commento. Anticipare al 2013 l'aggancio dell'età pensionabile alla speranza di vita. L'adeguamento, previsto dalla manovra dello scorso anno e definita dallo stesso ministro Giulio Tremonti in più occasioni "la più grande riforma delle pensioni d'Europa" scatterebbe dunque dal 2013 anzichè dal 2015. Sarebbe questa una delle misure allo studio in vista della manovra da 40 miliardi di euro (più 3 miliardi sul 2011 per il rifinanziamento di alcune spese inderogabili). È quanto si apprende da fonti parlamentari vicine al governo. Tra le misure che riguardano la previdenza, figurerebbe anche l'innalzamento della contribuzione per i collaboratori al 33%, misura che potrebbe valere a regime 350 milioni di euro l'anno. Altra misura allo studio riguarderebbe il blocco della rivalutazione automatica per le cosiddette pensioni d'oro (quelle 8 volte superiori al minimo), misura che potrebbe dare un gettito di almeno 140-150 milioni di euro l'anno. Resta infine anche la questione dell'innalzamento dell'età pensionabile delle donne che lavorano nel settore privato a 65 anni che potrebbe però essere realizzata in un tempo lungo, dieci o quindici anni, e quindi, riferiscono le stesse fonti, non sarebbe utile a fare cassa subito. 23 giugno 2011 Articoli Correlati Camusso: 15 miliardi in più, tassando i ricchi Vedi tutti gli articoli della sezione "Economia"
2011-06-16 I precari assediano Brunetta: "Ecco la frutta..." Dopo gli insulti ("Siete l'Italia peggiore": VIDEO), la sfida, sprezzante. Chi non ha lavoro vada a scaricare le cassette della frutta al mercato. Questo il messaggio che Brunetta aveva lanciato ai precari dopo gli scontri verbali di questi giorni. E i precari, dopo avergli replicato attraverso Maurizia Russo Spena (Leggi qui l'intervista), lo hanno preso in parola. La protesta arriva fino alle porte del ministero dove il comitato 'Il nostro tempo è adesso' organizza un sit-in e blocca il traffico per alcuni minuti al grido "I migliori dell'Italia siamo noi". I dimostranti portano casse di frutta a Brunetta, che aveva invitato i giovani ad andare a scaricare la frutta ai mercati generali, e regalano fragole, banane e copie dei loro diplomi agli automobilisti. "Questi attestati - dice uno dei ragazzi - sono per dire che siamo la generazione più formata e preparata e che il Governo non fa altro che sprecare questa risorsa". La strategia di "controinformazione" del ministro, che spiega in un video su Youtube di aver solo risposto a insulti e spintoni e di voler inviare il suo messaggio "a tutti gli amici della rete, a tutti coloro che mi hanno insultato e a tutti quelli che vogliono riflettere", non sembra avere successo. "Sono insopportabili le parole dei ministri che scappano davanti alle domande dei precari", dice il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. La vicenda lascia "un'impressione sgradevole" anche al leader della Cisl, Raffaele Bonanni, "stufo di polemiche su polemiche" e per una volta sulla stessa linea del numero uno della Fiom. "Il governo dovrebbe dare una prospettiva ai giovani e non renderli precari per sempre", commenta Maurizio Landini, mentre i segretari generali di Uil-Fpl, Giovanni Torluccio, e Uil-Pa, Benedetto Attilii, parlano di parole "lesive della dignità di ogni giovane in cerca di un'occupazione e di un futuro migliore". Prosegue così lo scontro tra il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, e i lavoratori precari. E continuano ad allargarsi, dalla politica ai sindacati, al web e alle piazze le critiche al ministro, che martedì ha rifiutato di rispondere alle domande di una collaboratrice del ministero del Lavoro, Maurizia Russo Spena (figlia di un ex senatore) con le parole "voi siete l'Italia peggiore". "I precari pubblici sono tanti, tantissimi. Senza di loro non andrebbero avanti i servizi sociali, le scuole e le università, gli uffici e gli sportelli comunali - scrivono dal comitato "Il Nostro tempo è adesso-la vita non aspetta" - Si fermerebbe insomma questo paese. A tutti questi e ai tantissimi che cercano lavoro e trovano porte in faccia il ministro non offre nessuna risposta ma solo insulti e arroganza. Non siamo più disposti a sopportare tutto questo". Intanto, sul Web continuano gli sfottò al ministro. La VIDEOPARODIA di Simone Salis è stata una delle più condivise su Facebook, mentre su Twitter si è subito scatenato il tormentone #LavoriPrecariDiBrunetta, in cui si fantastica sui possibili (passati, presenti e futuri) impieghi a tempo del ministro. E ce n'è di tutti i colori: dall'istruttore di PlayStation a Genio della lampada di Aladino, passando per un posto da Bug di Windows e guida turistica a Sucate. LE VOCI DALLA PIAZZA di Luciana Cimino Lo hanno inondato di diplomi, certificati di master, lauree, attestati di dottorato, contratti a tempo. Una massa di carta seguita da una massa di frutta, la stessa che il ministro Brunetta aveva invitato i giovani a scaricare. E’ quello, secondo l’esimio studioso di economia, come lo stesso esponente del governo Berlusconi si definisce, il problema di una intera generazione di questo paese: non volere alzarsi alle 5 per andare al mercato a scaricare le cassette di frutta. Non la precarietà, non l’incertezza del futuro, non la crisi economica, non le politiche dell’esecutivo che hanno ghigliottinato i venti/quarantenni italiani. Anzi questi per Brunetta sono un fastidio, sono la "l’Italia peggiore". E dunque oggi, in corso Vittorio Emanuele a Roma, sotto il Ministero della Funzione Pubblica i precari che si sono coordinati intorno la manifestazione del 9 aprile scorso "Il nostro tempo adesso" e quelli della Cgil hanno bloccato la strada per dire che sono loro la parte produttiva del Paese. "Siamo quelli che mandano avanti ospedali, scuole, pubblica amministrazione, università ma siamo anche quelli che non sapranno se avranno una pensione, se arriveranno alla fine del mese, se riusciranno a pagare l’affitto, ad avere un mutuo, a comprare la macchina, ad avere figli", dice Claudia, ma è come se lo dicessero tutti, perché i problemi sono per ognuno gli stessi. Non ci stanno a essere umiliati e insultati dal Governo. E quindi, simbolicamente e, come sempre pacificamente, manifestano. "L'Italia peggiore è di chi governa - ha spiegato uno dei precari in piazza - di chi non si occupa della precarietà. Brunetta ci ha consigliato di andare a raccogliere la frutta. Ci vada lui. Noi vogliamo cambiare il Paese con il nostro merito e le nostre competenze". "Gli consegniamo i nostri attestati – ha detto un altro manifestante - per dire che siamo la generazione più formata e preparata e l'Italia e il Governo non sta facendo altro che sprecare questa enorme risorsa". Ma la piazza ha un unico grido: "Dimissioni". Lo spiega Ilaria Lani, della campagna della Cgil "Non più disposti a tutto", "Brunetta si dovrebbe dimettere per la gravissima mancanza di rispetto verso lavoratori che tengono in piedi la Pubblica Amministrazione e anche perché ha fallito come ministro. Quindi è irrispettoso e incapace". E annuncia: "la mobilitazione dei precari continuerà perché ci sarà una finanziaria dura che sarà pagata dai lavoratori e in particolare dai precari. Noi vogliamo invertire l’agenda politica del Governo, i giovani non devono pagare la crisi, vogliamo risposte e non insulti". LE FOTO DEL BLITZ frutta5 frutta6 frutta4 frutta3 frutta2 16 giugno 2011
2011-05-01 Primo Maggio: la storia e il lavoro siamo noi * * * * IMG A Roma parte il Concertone dei sindacati per festeggiare il Primo Maggio. A piazza San Giovanni, è pronto il cast che si susseguirà sul palco guidato dal conduttore debuttante Neri Marcoré, e accanto ai tanti gruppi giovani sfoggia grandi nomi della musica. Lucio Dalla e Francesco De Gregori, Subsonica, Caparezza con Tony Hadley e Alborosie, Gino Paoli, Daniele Silvestri, Peppe Servillo e Fausto Mesolella, Modena City Ramblers, Bandabardò con Peppe Voltarelli, Edoardo Bennato, Paola Turci, Eugenio Finardi, Enzo Avitabile con Raiz e Co` Sang, Giuliano Palma & The Bluebeaters con Nina Zilli, Rebecca, Autoreverse, Bandervish, Erica Mou, Paolo Belli con Qbeta e Tinturia, Enrico Capuano, Chiara Civello, Lucariello, `Nduccio, Luca Barbarossa, Edoardo De Angelis, e tanti altri. Ma la grande novità del Concertone è la musica sinfonica: per la prima volta, il Premio Oscar Ennio Morricone sarà sul palco per eseguire la sua "Elegia per l`Italia". Promosso da CGIL, CISL e UIL, il concerto quest`anno è dedicato ai 150 anni dell`Unità d`Italia e il tema artistico è "La storia siamo noi. La storia, la patria, il lavoro", in base ad un progetto ideato da Marco Godano. Altro debutto eccellente al Concertone è quello di Neri Marcorè che per la prima volta condurrà la lunga maratona. Maratona che che quest`anno sarà caratterizzata dal grande contributo musicale dell`Orchestra Roma Sinfonietta: composta da 72 elementi a cui si accompagneranno i 60 del Nuovo Coro Lirico Romano e sarà diretta, oltre che da Ennio Morricone, dal maestro Francesco Lanzillotta che dirigerà i brani dedicati alle celebrazioni dell`Unità d`Italia e dal Maestro Alessandro Molinari a cui sarà affidato l`incontro tra la musica sinfonica e il rock di alcuni tra gli artisti di questa edizione. Attesi sul palco anche Ascanio Celestini, che darà vita ad una performance inedita per il pubblico del Primo Maggio, Gherardo Colombo, Anna Bonaiuto, Claudio Santamaria, Sonia Bergamasco, Marco Presta, Carlotta Natoli. Inoltre sarà proiettato un video di Andrea Camilleri e le vignette di Altan. L'evento, che sarà trasmesso in diretta televisiva da Rai Tre e diretto da Stefano Vicario, è prodotto da Anyway s.r.l. e prenderà il via alle 15.15 con l`Anteprima del Concerto condotta dal cantautore Enrico Capuano. La diretta proseguirà fino alle 19 per riprendere poi il collegamento con la piazza alle 20 per dare spazio ai big e concludersi alla mezzanotte. Tanti dei nomi presenti oggi sul palco, sono stati protagonisti anche del concerto-evento che qualche giorno fa ha festeggiato il 25 Aprile e la Liberazione. Il concerto organizzato tra gli altri da Unità e Pd, diverrà un cd che sarà presto distribuito dal nostro giornale. Leggi le interviste a questi artisti e guarda i video Luca Madonia: "Fischia il vento" | Di Battista | Nidi d'arac | Mesolella | Paola Turci | I VIDEO: Elisa Casile | Dabbono | Med Free Orkestra | Nidi d'Arac | Frankie Hi Nrg, "il mio rap per una nuova resistenza"
MARCORE' E BARBAROSSA CANTANO IMMUNITA'... Il conduttore spalleggiato da Barbarossa non rinuncia alla satira, nonostante il periodo di par condicio, e intona "Immunità" facendo il verso a "Felicità" di Albano e Romina e ironizzando sulle scappatoie ad personam del premier Berlusconi. Ma, subito dopo, proprio in onore alla par condicio, fa una divertente imitazione di uno sgrammaticato e incoerente Antonio Di Pietro. SCHEDA | La viabilità nella Capitale 30 aprile 2011
Camusso: "Sindacati, ora stiamo uniti" * * * * camusso lavoro "Abbiamo ascoltato il presidente della Repubblica, credo abbia assolutamente ragione: i sindacati divisi sono sindacati più deboli". Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha dato il via ai festeggiamenti per la Festa del 1 maggio parlando a Marsala. "Insistiamo a dire che le differenze ci sono e non si superano facendo finta che non ci siano ma dandosi nuove regole che permettano ai lavoratori di decidere", dice il leader della Cgil. "Bisogna ripartire dal darsi regole unitari", dice il segretario generale della Cgil. Chi dovrebbe fare un primo passo? "Non c'è uno che deve fare il primo passo", risponde. A Marsala, dove oggi il leader di Cgil, Cisl e Uil parleranno dallo stesso palco per il Primo maggio, Susanna Camusso sottolinea che pur restando le distanze tra sindacati "oggi è la festa di tutti i lavoratori ed è sbagliato attribuirla ad una o a un'altra sigla". E aggiunge "poi la vita sindacale continua" e "le differenze ci sono". "I temi della crisi del paese sono tutti là, le ragioni del nostro sciopero rimangono tutte". Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, parla così dello sciopero generale del 6 maggio. Le ragioni per uno sciopero generale restano valide, dice, "vista la manovra finanziaria e le politiche che il governo si appresta a fare". Richiamando le parole di ieri del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, Camusso dice che dalle parole del capo dello Stato arriva "un appello fondamentale: il problema oggi è la creazione di lavoro e contrastare la disoccupazione crescente in particolare tra i giovani di questo paese. Questo vuol dire investimenti, cantieri, scelte. Per farlo c'è una strada, quella di intervenire subito sul fisco: spostare la tassazione verso le grandi ricchezze, verso la finanza, in modo da avere un alleggerimento per lavoratori e pensionati e per le aziende che investono, ed avere così anche risorse per gli investimenti". "Sbaglia chi pensa che questo Paese posa dividersi. Ed ha sbagliato tutto chi ostenta ogni giorno la sua ricchezza e pensa di poter portare la politica al dominio dei ricchi e a danno dei poveri". La leader della Cgil, Susanna Camusso, lo ha detto sollecitando una riforma fiscale che porti "uguaglianza e giustizia". "Abbiamo voluto un Primo maggio unitario perchè l'unità è innanzitutto dei lavoratori e perchè abbiamo di fronte a noi compiti straordinari". Il leader della Cgil, Susanna Camusso, lo ha sottolineato dichiarando: "Questa piazza unica - dice - deve essere per noi un'occasione per ragionare sugli effetti negati che la divisione sindacale ha avuto". Perchè "il sindacato non può che ragionare di come rendere unito il lavoro, renderlo forte e farlo crescere". Questo l'invito che il segretario generale della Cgil lancia a Cisl e Uil: "Ripartiamo dalle regole che ci mettono insieme, ripartiamo dai lavoratori, ripartiamo da quella cosa fondamentale che sono i rappresentanti unitari nelle aziende. Ripartiamo dalla rappresentanza e da come far partecipare i lavoratori alle decisioni. È una risposta che dobbiamo dare non solo ai lavoratori ma ad un Paese che celebrando l'Unità d'Italia ha dimostrato che ci tiene ad un Paese unito". "La storia del nostro Paese è fondata sul lavoro e per questo l'articolo 1 della Costituzione non può essere cambiato: è lo specchio della nostra storia ed è la base del nostro futuro". "Bisogna cambiare un'agenda politica che scarica i problemi della crisi su lavoratori, pensionati, giovani". E ha aggiunto: "Se diciamo che non bisogna rassegnarsi, dobbiamo dire anche che cambiare è possibile". 1 maggio 2011
2011-04-16 La fabbrica morente e le bugie in aula di Oreste Pivetta | tutti gli articoli dell'autore * * * * thyssenPrima sentenza. Poi si andrà in appello e si chiuderà, chissà quando, in Cassazione (alcuni magistrati ci hanno spiegato che la "prescrizione breve" non peserà). Ci sarà, alla fine, giustizia? "Ma chi ci restituirà i nostri morti?". Domanda di una sorella (di Rosario, bruciato a ventisei anni) destinata a restare senza risposta. Nessuna sentenza potrà dare giustizia a quei morti nella notte fra il 5 e il 6 dicembre 2007, tra le fiamme e l’olio incandescente, tra il grasso, il fumo e la caligine nera che si depositava ovunque. In alcune delle novantasette udienze del processo si sono riviste le immagini crude della linea 5, il laminatoio di corso Regina Margherita trasformato in una fornace allo scoppio di un tubo. La morte per alcuni fu lenta. Le ustioni consumano il corpo poco alla volta. Antonio Schiavone fu il primo a lasciare questo mondo. Il secondo fu Roberto Scola, poi Angelo Laurino e Bruno Santino. Il quinto Rocco Marzo, il più vecchio, cinquantaquattro anni. Il sesto Rosario Rodinò. Infine toccò a Giuseppe Demasi, il settimo. Nello stesso ordine, nelle bare chiare, lasciarono il Duomo di Torino. Il cardinal Poletto aveva gridato indignato contro l’orrore di quelle vite tagliate e aveva chiesto anche lui giustizia. Un cartello, fuori, pretendeva: "Mai più". Figuriamoci. Sono stati necessari quaranta mesi per indagare, raccogliere le prove, giungere al processo, chiudere intanto con una sentenza. Il procuratore aggiunto Guariniello (che tanti anni fa guidò l’inchiesta che rivelò lo spionaggio Fiat contro i lavoratori e naturalmente soprattutto contro i lavoratori di sinistra, i comunisti) aprì la sua requisitoria con una esclamazione: "Non potevamo credere ai nostri occhi…". Non potevano credere ai loro occhi i magistrati, che leggevano le carte sequestrate negli uffici della Thyssen di Torino e di Terni, lettere, documenti interni, mail, elenchi di nomi, tutti i lavoratori che venivano cancellati via via che si procedeva nello smantellamento della fabbrica torinese, carte che dimostravano come chi dirigeva sapeva tutto, sapeva dei pericoli, sapeva che l’assicurazione aveva alzato la franchigia al limite dell’assicurabile, che la squadra antincendio non c’era, che il responsabile della sicurezza non aveva nessuna esperienza di sicurezza (in aula dimostrò di non distinguere un bottone dall’altro). Espehahn aveva persino elaborato un piano contro gli incidenti, ma costava e non valeva la pena spendere per una fabbrica morta, c’erano ancora commesse da soddisfare, tanto valeva rischiare, produrre e poi chiudere. Massimo sfruttamento degli impianti e degli uomini. Spiegò Guariniello: all’inizio avevamo iscritto i dirigenti della Thyssen nel registro degli indagati per omicidio colposo, sono state le indagini ad imporci la contestazione del dolo, a convincerci che il vertice della Thyssenkrupp aveva accettato il rischio di incendi, anche mortali, pur di rinviare gli interventi sulla sicurezza sino al trasferimento delle linee di produzione da Torino a Terni. La storia della tragedia di corso Regina Margherita è semplice, un classico. Il padrone che taglia, che vuol chiudere, che non investe, che considera uguale a zero la salute dei lavoratori, che manda allo sbaraglio i giovani, meno esperti, ricattati dalle miserie della vita d’oggi. Potrebbe essere un classico anche la corruzione dei testimoni, convocati amichevolmente il giorno prima dell’udienza, presentando liste di domande e di risposte, pagando per nascondere, magari con una cena alla bocciofila di Settimo, come rivelò l’interrogatorio di un ex operaio Thyssen da parte del procuratore Guariniello: ne nacque un’altra inchiesta e quattro ex dipendenti tornarono in aula per ritrattare le loro deposizioni. O il tentativo di far sparire documenti importanti, quelli dell’Asl dove si rilevavano le ragioni del rischio: altra inchiesta per "soppressione di atti". Anche la cassa integrazione si usò: negarla per ricattare i superstiti. Un classicissimo fu il tentativo di allungare i tempi del processo. Ci provano tutti. I difensori della Thyssen ci provarono con la lingua: dissero che Espenhahn non conosceva l’italiano. In aula sul maxischermo un bel giorno comparve l’immagine del dirigente tedesco: intervistato dalla tv, dialogava con inflessione tedesca ovviamente, ma in perfetto italiano. Non avrà rilevanza penale, ma resterà nella storia anche il documento segreto, in tedesco, per i vertici aziendali, sequestrato a Terni, nel quale si chiamavano in causa i sindacati torinesi, accusati di appartenere alla "tradizione comunista", le brigate rosse, la scarsa affidabilità degli operai italiani: in fondo, questa la tesi ripetuta in tribunale, l’incendio era anche colpa loro. Quelli che l’hanno scampata (Boccuzzi ad esempio, protetto davanti alle fiamme da un muletto) "passano di televisione in televisione e si presentano come eroi". Però, raccomandava il documento, non si muova un dito contro di loro: troppo popolari ormai perché si possa nei loro confronti avviare un’azione disciplinare, meglio aspettare… 16 aprile 2011
ThyssenKrupp: "Fu omicidio volontario" * * * * thyssenL'amministratore delegato della ThyssenKrupp, Harald Espenhahn, è stato condannato a 16 anni e mezzo per omicidio volontario. È quanto stabilito dalla corte d'Assise di Torino, che questa sera ha pronunciato la sentenza per la strage in cui persero la vita 7 operai nella notte del 6 dicembre 2007. La pena è quella richiesta dal pm Raffaele Guariniello. È la prima volta che in Italia che in un processo per morti sul lavoro, viene stabilito l'omicidio volontario. Condanne a 13 anni e 6 mesi per Marco Pucci, e per Gerald Priegnitz, entrambi membri del board, 10 e 10 mesi per Daniele Moroni, dirigente, 13 anni e 6 mesi per Raffaele Salerno, responsabile della sicurezza, 13 anni e 6 mesi per Cosimo Cafueri, capo dello stabilimento di Torino. Queste le altre pene cui sono stati condannati gli altri 5 imputati al processo Thyssen dalla corte d'assise di Torino per: omicidio colposo con colpa cosciente, incendio, rimozione delle misure di sicurezza. La società Thyssen è stata sanzionata a pagare un milione di euro, a una confisca di 800mila euro, all'esclusione di agevolazioni e finanziamenti pubblici per 6 mesi, al divieto di pubblicità per mesi. La sentenza sarà pubblicata su Stampa, Corriere della Sera e Repubblica, ed affisa nel Comune di Terni. I risarcimenti che i sei imputati e la ThyssenKrupp dovranno pagare alle parti civili sono i seguenti: un milione di euro per il Comune di Torino, 973mila e 300 euro alla Regione Piemonte, 500mila alla Provincia di Torino; 100mila euro ad ognuno dei sindacati metalmeccanici Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm Uil, Flm/Cub; all'associazione medicina democratica altri 100mila euro. Il processo è stato molto seguito non solo dalla cittadinanza, all'udienza in cui si svolse la requisitoria finale di Guariniello con le richieste di condanna in aula c'erano anche i parenti delle vittime di altre stragi: quelli della Eternit, il cui processo si svolge sempre a Torino; ma anche i parenti delle vittime della strage ferroviaria di Viareggio del 29 giugno 2009. La tesi dell'accusa è che l'ad di Thyssen Espenhahn abbia posticipato i lavori per la messa in sicurezza delle linee dello stabilimento di Torino a una data successiva, alla chiusura dello stabilimento, già decisa, accettando così di correre il rischio di eventuali incidenti o incendi mortali. Un rischio che, per i pm, era quasi inevitabile, visto che persino le opere di manutenzione ordinaria erano venute meno, (gli estintori scarichi o mal funzionanti, le visite degli ispettori dell'Asl annunciate). Per i pm la prova di tutto ciò è nelle carte sequestrate negli uffici della Thyssen, sia a Torino che a Terni, e ha determinato la formulazione del capo d'imputazione di omicidio volontario con dolo eventuale per Espenhahn: un reato per il quale la pena può arrivare a 21 anni, mentre la procura ne ha chiesti 16 e mezzo, in considerazione di quello che Guariniello ha definito "un non pessimo comportamento processuale" dell'imputato, ascoltato in aula nel corso del processo. Per il legale Ezio Audisio, difensore di Espenhan, per cui ha chiesto l'assoluzione,"Espenhan non è un cinico assassino". 15 aprile 2011
La Fiom sfida la Fiat e passa alle vie legali * * * * Landini, fiom "La prossima settimana, molto probabilmente già lunedì, la Fiom nazionale depositerà a Torino un'azione legale nei confronti della Fiat". Lo ha annunciato il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, nel corso di una conferenza stampa, in occasione dell'assemblea nazionale dei delegati della Cgil. Due sono le principali ragioni: la costituzione delle newco da parte del Lingotto violerebbe norme italiane ed europee e avrebbe carattere antisindacale "volta ad estromettere la Fiom". "L'obiettivo del ricorso è di rendere nulli gli accordi di Pomigliano", spiega la Fiom. Le newco previste, infatti, violerebbero - precisa il sindacato - le regole in materia di trasferibilità di impresa che implicano la trascinabilità dei diritti dei lavoratori. L'Italia dei Valori appoggia la mossa della Fiom. "Abbiamo considerato sin dall'inizio gli accordi di Pomigliano e Mirafiori incostituzionali e illegali. Si tratta, infatti, di accordi che ledono le libertà individuali dei lavoratori, a partire dallo sciopero, e violano le leggi che regolano i passaggi aziendali. Pertanto, la Fiom ha fatto bene a rivolgersi alla magistratura". Lo afferma il responsabile welfare e lavoro dell'Italia dei Valori, Maurizio Zipponi. "È inaccettabile - conclude - tagliare diritti e condizioni di lavoro di chi è in cassa integrazione o percepisce 1200 euro al mese lavorando 40 ore settimanali, violando apertamente le leggi italiane". Il prossimo 30 aprile si terrà l'assemblea nazionale dei delegati della Fiom presso la Fiat. Lo ha annunciato Maurizio Landini, segretario della Fiom Cgil, nel corso di una conferenza stampa indetta durante l'assemblea nazionale dei delegati della Cgil. "Abbiamo deciso di farla di sabato - ha spiegato - per non danneggiare quei delegati ai quali, non avendo firmato l'accordo del 29 dicembre, è stato ridotto il monte ore per la loro attività sindacale". 16 aprile 2011
2011-04-12 Marchionne: "Lasciati soli su Pomigliano e Mirafiori" * * * * IMG "Nella battaglia per Mirafiori e Pomigliano siamo stati soli". Lo ha detto l'amministratore delegato Fiat Sergio Marchionne a margine di una conferenza stampa a Balocco (Vercelli) commentando le parole della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. "Non so neanche come rispondere - ha detto Marchionne ai giornalisti - le difficoltà che stiamo incontrando alla Fiat riflettono una mancanza di coesione. La battaglia per Mirafiori e Pomigliano parla chiaro: ci hanno lasciati soli". 11 aprile 2011
2011-04-09 Precari in piazza: "La vita non aspetta" | VIDEO * * * * LA CRONACA "Vite impossibili" dal corteo romano di Luciana Cimino Roma, la FOTOGALLERY di V. Condorelli SU PALCO COLOSSEO ATTORI FICTION BORIS Anche gli attori della fiction di successo italiana Boris sono saliti sul palco della manifestazione contro il precariato, organizzata oggi a Roma. Caterina Guzzanti, Ninni Bruschetta, Pietro Sermonti e Alessandro Tiberi: sono stati loro gli interpreti che hanno partecipato anche alla street-parade, insieme ad altri attori precari, che hanno sfilato per le vie della città, dietro lo striscione 'Com'è triste la prudenza! Lavoratori dello spettacolo'.
ZINGARETTI, È TEMPO DI PROPOSTE NUOVE "Le manifestazioni spontanee e ricche di contenuti animate da tanti giovani precari nelle piazze italiane riportano, finalmente, l'agenda del Paese dal Truman Show della politica alla realtà delle cose". Lo afferma, in una nota, il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti.
PD RITIRA ADESIONE A MANIFESTAZIONE PRECARI In seguito "al grave episodio di violenza ai danni del banchetto della Lega Nord, il Partito Democratico di Padova ha ritirato la sua adesione alla manifestazione contro il precariato" che si doveva tenere oggi in Piazza Garibaldi. Lo rende noto il segretario padovano del Pd Piero Ruzzante. "Esprimiamo tutta la nostra solidarietà ai militanti e ai dirigenti leghisti per quanto accaduto - sottolinea Ruzzante -. Il nostro partito è distante anni luce dalle idee della Lega Nord, quelle idee che contrastiamo sul piano politico, ma difende il suo inviolabile diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero e di manifestare le proprie convinzioni, come sancisce solennemente la nostra Costituzione. Non potrebbe essere altrimenti per il Pd, che ha nel suo dna la non violenza e la democrazia".
SCALFARO: L'ITALIA NON È PIÙ CAPACE DI GARANTIRE IL FUTURO "Cari ragazzi, sono stato informato della vostra manifestazione. Quando scrivemmo la Costituzione volevamo che ogni persona potesse realizzare i propri diritti. Il vostro tempo è contrassegnato da una crisi economica. L'Ialia non è più capace di garantire lavoro ai propri figli. Mi auguro che i politici trovino la capacità di occuparsi della vostra situazione". Questo il messaggio letto dal palco proveniente da Oscar Luigi Scalfaro, presidente emerito della Repubblica.
PRECARI, GRUPPO INCAPPUCCIATI LANCIA VERNICE CONTRO BANCA Un gruppo di ragazzi col volto coperto di nero, in apparenza black block, ha fatto irruzione nel corteo dei precari e, all'altezza di Santa Maria Maggiore, ha lanciato della vernice azzurra e verde contro le vetrine della banca dell'Unicredit. Il gruppo è stato allontanato dal corteo dalle proteste dei manifestanti.
CAMUSSO, PAESE NON DÀ FUTURO A INTERE GENERAZIONI "Il tema del precariato è il tema del futuro del nostro Paese. Non si può immaginare che ci sia un futuro se ci sono intere generazioni che pensano che questo Paese non li vuole e non gli dà nessuna prospettiva".
A FIRENZE 300 ABBATTONO A CALCI MURO LAVORO FRAGILE FLASHMOB IN PIAZZA SANTO SPIRITO Il muro del precariato abbattuto a calci da circa 300 giovani. Questo il flashmob tenuto questo pomeriggio a Firenze in piazza Santo Spirito, nell'ambito della giornata nazionale indetta dalla rete 'Il nostro tempo è adessò. I manifestanti, riuniti nella piazza intorno alle 15, hanno eretto un muro di cartone, simbolo del precariato, e lo hanno ricoperto con decine di post-it di protesta contro il 'lavoro fragile'.
BINDI, QUI OGGI C'È PARTE MIGLIORE DEL PAESE La manifestazione dei precari di oggi "è un passo avanti importante perchè qui c'è la parte migliore del paese, perchè in questi anni i lavoratori precari hanno scontato anche il fatto di non essere organizzati e rappresentati da nessuna sigla sindacale". Lo ha detto la presidente del Pd, Rosy Bindi, arrivata dietro il palco della manifestazione contro il precariato per portare il proprio sostegno alle migliaia di ragazzi scesi in piazza oggi. Un sostegno necessario, ha sottolineato Bindi, perchè, ha spiegato in conclusione "un partito come il mio deve mettere al centro le loro esigenze".
MILANO, CENTINAIA IN PIAZZA "PRENDIAMOCI GLI SPAZI" Migliaia in piazza anche a Milano. "Non è possibile che non ci vengano garantiti i diritti fondamentali. Vogliamo poter ammalarci e avere figli senza rischiare di perdere il lavoro". L'urlo delle Colonne di San Lorenzo a Milano, dove questo pomeriggio è in corso il presidio "il nostro tempo è adesso", è un esplosione di dignità, di lavoratori che tutti i giorni sono costretti a fare i conti con le carenze di contratti che impongono che il futuro si fermi al suo giorno di scadenza.
A CORTEO VINCITORI CONCORSI TRAVESTITI DA VECCHI "Quando saremo assunti saremo dei vecchi". Così alcuni decine di giovani che si sono presentati al corteo contro il precariato, travestiti da anziani. Sono i vincitori di concorso pubblico che non sono stati assunti dalla pubblica amministrazione: i posti di lavoro che dovrebbero spettare loro sono al Miur, Inail, Inps, Istituto per il commercio estero e ministeri della Difesa e dell'Interno.
CORTEO ARRIVA AL COLOSSEO SU NOTE DI RAFFAELLA CARRÀ Sulle note di una canzone di Raffaella Carrà e accolto da due trampolieri, il senatore Qua qua qua e l'onorevole Bla bla, il corteo dei precari di Roma è arrivato al Colosseo. Cantando "E va e va" di Alberto Sordi, i manifestanti stanno girando intorno al monumento.
RICERCATORI A CORTEO CON MASCHERE, 'NON SPARATECi' "Non sparate alla ricerca". Questo lo striscione portato alla manifestazione in corso in queste ore a Roma da una ventina di precari dell'Ispra. I giovani si sono presentati vestiti con camici bianchi e maschere che coprivano tutto il loro volto sempre dello stesso colore: "Abbiamo queste maschere - ha spiegato una ragazza - perchè siamo tutti nella stessa barca, tutti precari"
CORTEO FLASH MOB CON TENDOPOLI E CALZINI APPESI Tende da campeggio allestite in piazza dell'Esquilino per protestare contro l'assenza di politiche di sostegno e welfare nei confronti dei giovani. È l'installazione-flash mob dal titolo 'Chi non ha casa in-tendà organizzata dai precari de "Il nostro tempo è adesso" che stanno manifestando in queste ore a Roma. Una piccola tendopoli, con mutande e calzini appesi, a simboleggiare le condizioni di tanti giovani italiani che non hanno soldi per pagarsi l'affitto a causa del precariato e della mancanza di lavoro
POPOLO VIOLA CON TRICOLORE DI 60 METRI "Sessanta metri di democrazia contro il precariato". Anche un gigantesco tricolore sta sfilando insieme ai precari per le strade della Capitale. A portare in piazza la bandiera dell'Italia, lunga appunto 60 metri, è il Popolo viola. "Siamo in piazza per il futuro dei nostri figli - ha commentato Gianfranco Mascia dei Viola - primi su cui viene disatteso l'articolo 1 della Costituzione. Oggi madri, padri, nonni protestano per il futuro dell'Italia e per questo abbiamo deciso di portare in piazza ancora una volta il Tricolore, simbolo della nostra identità comune: sessanta metri di democrazia contro il precariato".
CAMUSSO DIETRO STRISCIONE 'IL NOSTRO TEMPO È ADESSO' Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha raggiunto il corteo dei precari in corso a Roma. Dopo aver salutato alcuni dei manifestanti il numero uno della Cgil ha sfilato insieme a loro dietro lo striscione giallo e nero con su scritto 'Il nostro tempo è adessò. Il corteo è a metà del suo percorso e si concluderà al Colosseo.
VENDOLA:GIORNALISTI RICATTABILI SINTOMO DI DEGRADO DEMOCRATICO "Trovo molto importante la presenza dei giornalisti precari dentro questa mobilitazione perché quello che accade dentro al sistema dell'informazione non é diverso da ciò che accade nelle altre organizzazioni produttive. Giornalisti ricattabili come vuoti a perdere sono sintomo di un degrado democratico che ci deve preoccupare".
PRECARI;CGIL,NEL LAZIO 420MILA, OGNI MESE 1200 IN PIÙ Hanno in media 30-35 anni, guadagnano circa 900 euro al mese e, indipendentemente dal grado d'istruzione e dal settore lavorativo, hanno un minimo comune denominatore: "Sono precari". La fotografia dei lavoratori atipici nel Lazio arriva dalla Cgil, nel giorno della mobilitazione della 'categoria' in diverse città d'Italia. "Secondo le nostre stime sono quasi 420 mila i lavoratori precari - afferma il segretario generale della Cgil di Roma e Lazio Claudio Di Berardino.
ROMA, PARTITO CORTEO DA PIAZZA REPUBBLICA Il corteo dei lavoratori precari è partito da pochi minuti da piazza della Repubblica. Diverse migliaia di lavoratori hanno iniziato a sfilare per le strade della Capitale, seguendo lo striscione d'apertura che recita: "Il nostro tempo è adesso. La vita non aspetta".
DONNA CON CARTELLO, 'MIO FIGLIO CERVELLO IN FUGA' "Sono in piazza per mio figlio Andrea, giovane fisico in fuga e per tutti i giovani d'Italia". Con questo cartello una donna di una cinquantina d'anni è scesa oggi in piazza per partecipare alla manifestazione contro il precariato. "Mio figlio è un laureato 3+2 con 110 e lode e una tesi in neuroscienza - ha sintetizzato la donna - È dovuto emigrare a Londra per un dottorato per il quale viene pagato 1.500 euro.
VENDOLA: SONO LORO I NUOVI SCHIAVI "La globalizzazione, le politiche criminali, l'abbattimento dello stato sociale sono le vera causa del precariato. Sono loro i nuovi schiavi di oggi". Così il presidente della Puglia Nichi Vendola presente alla manifestazione dei precari di Roma che ha preso il via pochi minuti fa da piazza della Repubblica.
IN MIGLIAIA A ROMA, 'IL NOSTRO TEMPO È ADESSÒ' Un tricolore di 60 metri, decine di striscioni con slogan contro il precariato, studenti, lavoratori precari della pubblica amministrazione, ricercatori, precari Alitalia: in migliaia stanno iniziando a sfilare per le strade della capitale sotto l'unico slogan, "Il nostro tempo è adesso". Il corteo sta partendo da piazza della Repubblica e arriverà fino al Colosseo. Tante le bandiere dei movimenti e dei partiti come Italia dei valori, Rifondazione comunista, Sinistra ecologia e libertà, una manifestazione sostenuta anche dalla Cgil e dal Partito democratico. "Basta privilegi, basta corruzione", recita uno degli striscioni portati dai manifestanti, fra gli altri "Reddito e saperi contro la crisi".
MANIFESTANTI IN PIAZZA DELLA REPUBBLICA A ROMA I precari si stanno radunando in piazza della Repubica a Roma per dare il via alla manifestare 'contro un futuro senza garanzie'. Molte le categorie presenti: dagli archeologi ai ricercatori passando per insegnanti e giornalisti. Il corteo arriverà al Colosseo dove ci saranno numerosi interventi sul palco.
DOTTORANDI, SENZA RICERCA PAESE DESTINATO A CROLLARE L'Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani promuove l'appello "Il nostro tempo è adesso. La vita non aspetta" e nel corso delle mobilitazioni di oggi è in piazza in diverse città di Italia. A Roma, dottorandi e dottori di ricerca partecipano insieme ai precari della ricerca al corteo che parte da piazza della Repubblica per arrivare al Colosseo.
BERSANI: PADRI E FIGLI OGGI SONO TUTTI NEI GUAI Il segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, è convinto che il Governo debba "conoscere più da vicino" la realtà dei precari in Italia. Lo ha detto riferendosi al messaggio inviato ieri dal ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, in occasione della manifestazione nelle piazze italiane di oggi.
PRECARI IN PIAZZA A NAPOLI Alcuni docenti avevano stampata sulla fronte la data di scadenza del loro contratto e la cifra dell'ultimo stipendio percepito. Qualche ricercatore aveva in mano la raffigurazione di un cervello spremuto. Così con alcuni eloquenti simboli si è voluto ribadire il no al precariato in tutte le sue forme. Alcune centinaia di persone hanno partecipato alla manifestazione promossa a Napoli dal comitato 'Il nostro tempo è adesso'. Il corteo partito da piazza Mancini ha raggiunto piazza del Gesù dove sono saliti sul palco alcuni rappresentanti dei manifestanti. Studenti, insegnanti del gruppo "Precari Napoli", Cgil, Fiom, ricercatori della rete "29 aprile", giornalisti del Coordinamento precari della Campania, lavoratori Inps, Carc e semplici cittadini hanno sfilato insieme per ribadire quanto la precarietà del lavoro influisca non solo nelle scelte della vita di tutti i giorni ma soprattutto sul futuro. In strada c'erano giovanissimi studenti ma soprattutto, è stato ricordato dagli organizzatori, trentenni che "rappresentano in questo momento la stragrande maggioranza dei precari intellettuali e non del Paese". Durante il corteo uova piene di vernice rossa sono state lanciate sulle vetrine di due banche al Corso Umberto I. GLI APPUNTAMENTI "Il nostro tempo è adesso, la vita non aspetta". I manifesti gialli che richiamano alla giornata di mobilitazione i lavoratori precari di tutta Italia tappezzano ormai i muri delle città. La Capitale sarà oggi l'epicentro delle iniziative con una street parade che sfilerà da Piazza della Repubblica (partenza alle ore 15,00) al Colosseo. "Vogliamo essere ironici e dissacranti", si legge sul sito del comitato promotore, "e vogliamo che ad essere visibili siano le persone e le reti che hanno aderito all'appello e alle iniziative fatte fino ad ora". Alle iniziative in tutto il Paese hanno tra gli altri aderito il Pd, l’Idv e Sel la Cgil, ma anche il comitato "Se non ora quando" i Verdi, Pdci-Federazione della sinistra. Per quanto riguarda le altre piazze, a Milano l'appuntamento è a Colonne di San Lorenzo alle 15,30; a Napoli sfilerà un corteo che partirà da piazza Mancini alle 9,00 e sfilerà fino a Piazza del gesù dove alle 12,00 è previsto un concerto; a Palermo i precari sfileranno in corteo, a partire dalle 17,00, da Piazza Indipendenza fino a Piazza Bologni. Ma manifestazioni son previste in oltre 29 città italiane e in due città estere: a Bruxelles e a Washington Dc. Flash mob all'Inps: VIDEO
LE ADESIONI Alla mobilitazione hanno aderito intellettuali e musicisti, attori e scienziati. Da Franca Rame e Dario Fo a Daniele Silvestri, dal sociologo Luciano Gallino alla scrittrice Silvia Avallone, dall'astrofisica Margherita Hack ad Ascanio Celestini. E poi, ancora: Michele Serra, Valerio Mastandrea, Jasmine Trinca, Dario Vergassola, Sabina Guzzanti, Moni Ovadia, Paolo Rossi. Gi organizzatori hanno ricevuto una sponda insperata dalla Conferenza Episcopale Italiana che, per voce del cardinale Angelo Bagnasco, ha dichiarato: "Ci si augura che il precariato sia sempre una fase estremamente transitoria, il più possibile breve per poter diventare lavoro a tempo indeterminato e per dare anche la possibilità di un futuro, di un progetto di vita". Il premier "Berlusconi umilia i giovani ed il Paese": il comitato "Il nostro tempo è adesso", ha così risposto alle parole del presidente del Consiglio che invita i giovani a guardare al futuro con "il sole in tasca". "Davvero pensa che il Milan e suoi successi personali siano da prendere ad esempio per i giovani italiani? Il 30% di disoccupazione giovanile, i 2 milioni di giovani che non studiano non lavorano e non si formano, l'esercito di lavoratori precari rimasti senza lavoro e senza reddito con la crisi economica possono avere il sole in tasca?", domandano. "Ci ha umiliati e trascinati in un baratro di povertà e disoccupazione", dicono. 9 aprile 2011
Il premier a Lampedusa: "Isola svuotata" Ma gli sbarchi continuano: altri 300 migranti * * * * Berlusconi torna a Lampedusa per dire che tutto procede, che la Lega strepita sui giornali e in tv ma poi si adegua sempre, che comunque prenderà una casa, che lo spot pro-turismo è pronto, e intanto gli sbarchi continuano. Stamattina sono arrivati due barconi con 244 migranti, donne e bambini compresi, poi altri 55 o 66 (i numeri oscillano) sono stati soccorsi dalla guardia di finanza, infine un'altra ventina è arrivata sull'isola. In tutto oltre 300 persone. Ho preso casa, ecco il contratto: VIDEO "Isola svuotata" "Il piano annunciato è stato attuato, l'isola è stata svuotata". Lo ha proclamato il premier Sivlio Berlusconi in una conferenza stampa alla base aereonautica. L'isola è rimasta "vuota" per due giorni, prima dell'arrivo di altri immigrati. Per il futuro, ci sarà "un immediato trasporto di quanti arriveranno nei siti approntati in Italia anche con l'intesa con le regioni". Alla Tunisia, ha aggiunto, l'Italia fornirà 150 fuoristrada e quattro motovedette per controllare le coste.
Signori e signore, arriva lo spot Per il piano di rilancio il primo impegno è chiaro: "Sono state girate le immagini per realizzare uno spot di due minuti e un programma di venti minuti, che verranno trasmessi quanto prima quando si avrà disponibilità di alberghi". "Tra una settimana inizieranno gli spot per far vedere i fondali di Lampedusa", ha promesso. Li trasmetteranno Rai e Mediaset come aveva garantito? D'altronde si sa che il presidente del Consiglio ha molto potere, sulle due principali tv d'Italia. La villa: comunque ne comprerò una Il premier è tornato sull'isola dove "non" ha comprato la villa. Però ha voluto tranquillizzare chi teme non compri più: mostra il contratto "Residenza due palme", è su un terreno demaniale ovvero dello Stato, il proprietario ha chiesto di affrancarsi dal demanio, ma se non ci riuscirà il premier comprerà comunque un'altra casa. "Ho già promesso a qualcuno di coloro che lavorano con me una vacanza a Lampedusa in una casa mia. Non c'è alcun dubbio che sarò presto proprietario di una casa in questa splendida isola". Tanta prodigalità commuove... La stoccata alle Regioni Una stoccata ad alcune Regioni: Veneto, Toscana, Marche, Campania, ha sostenuto, non possono accogliere immigrati "Ma nessuno può sottrarsi a questa esigenza di accoglienza" (ma ad esempio la Toscana ne ha già accolti molti). "Situazione sotto controllo" Ai giornalisti sul molo commerciale ha detto: "La situazione è sotto controllo. So degli ultimi sbarchi, e stiamo provvedendo a pianificare le operazioni di trasferimento verso altri centri in Italia". E a un lampedusano che lamentava l'eccessiva presenza di forze dell'ordine in paese e le ripercussioni negative sul turismo, ha risposto: "Non vi dovete lamentare, perché per il momento gli alberghi di Lampedusa sono pieni di uomini delle forze dell'ordine". Che sono lì per lavoro, ma alcuni isolani non devono vederlo come un gran richiamo per i turisti a venire. La Lega tanto dice sì "La Lega, a parte ciò che si legge sui giornali e si vede nelle tv, sulla attività di governo si è sempre adeguata alle proposte del presidente del Consiglio e della maggioranza. Non ricordo un solo caso in cui non abbia dato la sua collaborazione leale". Tradotto: Bossi & amici strepitano su temi caldi come l'immigrazione per far contenti i loro elettori, poi si adattano. I migranti approdati Nella giornata intanto i 244 migranti sono approdati intorno alle 14.30 su un barcone partito dalla Libia; altri 55, tra cui una donna, su un'imbarcazione partita dalla Tunisia sono stati soccorsi a 18 miglia dalla costa da una motovedetta della Finanza. Un terzo barcone ha raggiunto direttamente la spiaggia di Cala Madonna. 9 aprile 2011
2011-04-05 "Solo tutti insieme sconfiggeremo il precariato" di Luciana Cimino | tutti gli articoli dell'autore * * * * IMG Una generazione espulsa dalla vita produttiva e sociale del paese che vuole riprendersi la scena pubblica. Sono respinti dal mercato del lavoro, che quando li accetta lo fa solo a condizioni paraschivistiche, sono impossibilitati a formarsi una famiglia, ad avere una casa, a coltivare passioni e sogni. Non hanno uno stipendio e non avranno una pensione. Sono i precari italiani. Un’intera generazione, ma c’è chi dice siano due (se si includono tutti quelli che il posto lo hanno perso causa crisi), finora silente ma che adesso si compatta dietro l’appello lanciato in rete dal comitato "Il nostro tempo è adesso" e scende in piazza. Anzi, nelle piazze. Il 9 aprile a Roma, (dove è prevista la manifestazione principale con un corteo che partirà alle 15 da piazza della Repubblica destinazione Colosseo) così come a Milano, Torino, Firenze, Napoli, Palermo, Catanzaro. E in altre 28 città italiane. Ma anche Bruxelles e Washington. Una mobilitazione che è nata dal basso e che vuole rimanere senza "padrini". Tutti i partiti di sinistra hanno aderito (da Sel, fin dalla prima ora, al Pd e all’Idv) ma per adesso la richiesta dei promotori è di scendere in piazza senza bandiere. Immediato l’appoggio della Cgil con il segretario Susanna Camusso che ha anche diffuso in internet un video appello. Così come al video si sono prestati alcuni volti noti della cultura e dello spettacolo come Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Caterina Guzzanti , Dario Vergassola, David Riondino. Ma saranno le storie di ordinaria disperazione dei precari e delle loro famiglie a prendere la scena. Quelli che non se ne vanno, perché ogni anno sono 45mila i laureati che lasciano che l'Italia per cercare lavoro altrove. Ci sarà in piazza, sperano gli organizzatori, tanta parte di quel milione e 500 mila circa di giovani sotto i 34 anni svolge un lavoro precario e che sono operatori di call center, interinali dello spettacolo, archeologi, ricercatori, insegnanti. E ci saranno anche i giornalisti precari, gli studenti e i giovani imprenditori. E i genitori, come questo che dice in conferenza stampa: "ho un figlio di 22 anni che stiamo facendo studiare con immensi sacrifici, io e sua madre sognavamo che i nostri sforzi e la sua grande volontà potessero dargli un futuro che fosse migliore del nostro, io sarò in piazza e griderò con forza la mia rabbia". Ma il 9 non sarà solo una giornata in cui "si metteranno in piazza questi temi – fa notare Claudia Pratelli, del comitato "Il nostro tempo è adesso" – vogliamo costringere il Governo a mettere in cima all’agenda la precarietà e non la riforma della giustizia a uso e consumo di qualcuno. La crisi economica ha massacrato i giovani, non è un problema solo nostro: è un problema del Paese se manda al macero una generazione. Si riempiono la bocca in campagna elettorale, poi però sulla precarietà l’azione politica è assente. E’ insopportabile quello che fa il Governo, adesso basta". 4 aprile 2011
2011-03-30 Marchionne: spostare sede Fiat non è in agenda * * * * IMG "Lo spostamento della sede legale della Fiat non è nella mia agenda". Lo ha detto l'amministratore delegato Sergio Marchionne alla conferenza stampa al Lingotto di Torino che ha seguito il cda dell'approvazione del bilancio 2010. Giorni fa un'agenzia aveva prospettato questa ipotesi indicando la sede Chrysler negli Usa. "Non abbiamo deciso assolutamente niente, non c'è una tempistica", ha risposto ai giornalisti durante la conferenza stampa. "Non è nella mia agenda e neppure in quella di John Elkann". "Comunque per i lavoratori non cambierebbe nulla" ha sottolineato Elkann. Quanto a Chrysler, l'a.d. punta al 51%. Fiat - ha ricordato - dispone di diverse opzioni per salire alla maggioranza assoluta nell'azienda statunitense. E ha confermato che l'obiettivo è salire al 51% entro il 2011. "La situazione di cassa che abbiamo in mano di Chrysler è in buone condizioni. Quello che c'è ora è superiore ai fondi prestati dal Tesoro Usa", ha affermato l'a.d.
"Il mese di marzo non sarà un grande mese". "Fino a quando - ha aggiunto - non passa il periodo del 2010 in cui erano in vigore gli ecoincentivi non potremo fare un paragone tra 2010 e 2011". Alla cronista che gli ha chiesto "quando saliranno le quote di mercato in Europa", Marchionne ha risposto: "Saliranno succederà quando verranno le vetture nel mercato". "In Brasile - ha ricordato esortando a non focalizzare l'attenzione solo nel vecchio continente - cresciamo alla velocita della luce, la vera fonte di profitto e il Brasile. Ora è molto importante proteggere l'asset produttivo in America latina" 30 marzo 2011
2011-03-25 La sede del gruppo Fiat si trasferirà negli Usa? * * * * IMG La Fiat pensa di trasferire il quartiere generale del gruppo negli Usa dopo la fusione con Chrysler. Rilancia l'ipotesi un lancio d'agenzia della Reuters dove ripete che Sergio Marchionne starebbe pensando alla quotazione in Borsa della Ferrari. L'ipotesi di un trasferimento della sede era circolata nelle scorse settimane, ma sia l'amministratore delegato, sia il presidente della Fiat, John Elkann, avevano smentito le voci e rinviato ogni decisione in merito al 2014. L'agenzia cita fonti vicine a Marchionne. Nell'articolo spiega che l'idea di Marchionne è quella di controllare la maggioranza di Chrysler, dopo aver completato, entro quest'anno, l'Ipo della società americana e aver, prima ancora, completamente rimborsato i circa 7 miliardi di dollari di prestiti accordati dal governo Usa a Chrysler. Quotare in Borsa la Ferrari Inoltre, secondo quanto riferiscono le fonti, Marchionne sta pensando di quotare in Borsa la Ferrari e valuta questo marchio circa 7 miliardi di dollari. Nel frattempo negli Usa Chrysler chiede ai concessionari americani di assumere più personale per aiutare la società ad aumentare le vendite del 32% quest'anno. Lo afferma - riporta l'agenzia Bloomberg - Peter Grady, vice presidente della rete di sviluppo di Chrysler, in una lettera ai concessionari. "Assumere ulteriore personale è essenziale per il successo nel 2011". Cgil: "Governo chieda dettagli sul piano e investimenti" "Anche se fuori tempo massimo è urgente che il Governo si faccia dire da Fiat nel dettaglio il piano industriale e come intende fare, e portare avanti, gli investimenti annunciati". Lo afferma il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere, commentando le indiscrezioni sul futuro del Lingotto. Per il dirigente sindacale, le notizie diffuse oggi, "rimettono di nuovo in allarme il sistema economico per quanto riguarda il futuro del maggiore gruppo industriale italiano. Da tempo pensiamo che il governo non svolga il ruolo che gli altri governi europei stanno invece efficacemente portando avanti sui temi delle politiche industriali dei grandi gruppi". Bellono, Fiom: "Rumors su Detroit non ci stupiscono" "Non abbiamo mai creduto alle precisazioni parziali e alla parziale marcia indietro di Fiat", dichiara Federico Bellono, segretario provinciale della Fiom-Cgil. "Queste notizie ovviamente non ci fanno piacere - ha puntualizzato Bellono - ma non è da oggi che noi della Fiom segnaliamo come un dato di fatto che la Fiat ha la testa concentrata oltreoceano, per altro sulla base di risorse messe sul piatto dall'amministrazione americana". "Questo aumenta la preoccupazione, ma anche la necessità di tenere Fiat ancorata al nostro territorio e al nostro paese", ha poi concluso il sindacalista. 25 marzo 2011
2011-03-15 Operai bloccano autostrada "Unica certezza è che Fiat va via" * * * * IMG L'autostrada A 19 Palermo-Catania è bloccata stamattina da circa duecento operai dello stabilimento Fiat di Termini Imerese e dell' indotto. Hanno invaso la corsia in direzione Palermo e si stanno muovendo verso Termini Imerese. La manifestazione avviene nel giorno in cui Fim, Fiom e Uilm hanno indetto otto ore di sciopero per chiedere l'immediata apertura di un tavolo tecnico tra sindacati e ministero dello Sviluppo economico sull'accordo di programma quadro per la riconversione del polo industriale di Termini Imerese, siglato a Roma il 16 febbraio scorso. "Non conosciamo ancora i dettagli dei piani industriali e d'investimento - dice il segretario provinciale della Fiom, Roberto Mastrosimone - e non ci sono garanzie occupazionali per i 2.200 lavoratori della Fiat e dell' indotto. Chiediamo un incontro immediato con il ministero - aggiunge - perchè per ora l'unica certezza che abbiamo è che la Fiat andrà via il 31 dicembre di quest'anno". 15 marzo 2011
2011-03-10 Confindustra: petrolio costa troppo così la ripresa rallenta IMG In Italia "si osservano segnali più decisi di accelerazione" della ripresa economica, "anche se rimane ampio il divario di crescita con le altre nazioni". Ma, indica Confindustria, in questo scenario "si sono inseriti nuovi fattori di rischio". Come "lo shock rappresentato dal rincaro delle materie prime ed in particolare del petrolio" che "rischia di rallentare sensibilmente la ripresa nei paesi avanzati". Un prezzo a 115 dollari al barile "può comportare un minor livello del Pil italiano di circa lo 0,7% in due anni a parità di altre condizioni". Lo ha spiegato il direttore generale di Viale dell'Astronomia, Giampaolo Galli, in una audizione alla Camera. 10 marzo 2011
2011-03-02 Istat, disoccupazione all'8,6% E' record tra i giovani: 29,4% IMG Non si arresta la crescita del tasso di disoccupazione dei giovani italiani. A gennaio, secondo le stime provvisorie diffuse dall'Istat, raggiunge il 29,4%. Nuovo record da quando c'è la serie storica dei dati mensili, cioè dal 2004.
Per il terzo mese consecutivo il tasso di disoccupazione si attesta all'8,6% con una crescita di 0,2 punti percentuali su base annua. Lo riferisce l'Istat, che oggi ha diffuso i dati provvisori di gennaio. Il numero di disoccupati, pari a 2 milioni e 145mila unità, registra una crescita dello 0,1% (+2mila unità) rispetto a dicembre. Il risultato è sintesi della crescita della disoccupazione femminile e della flessione di quella maschile. Su base annua la crescita del numero di disoccupati è del 2,8%. 1 marzo 2011
2011-03-01 Istat, disoccupazione all'8,6% E' record tra i giovani: 29,4% IMG Non si arresta la crescita del tasso di disoccupazione dei giovani italiani. A gennaio, secondo le stime provvisorie diffuse dall'Istat, raggiunge il 29,4%. Nuovo record da quando c'è la serie storica dei dati mensili, cioè dal 2004.
Per il terzo mese consecutivo il tasso di disoccupazione si attesta all'8,6% con una crescita di 0,2 punti percentuali su base annua. Lo riferisce l'Istat, che oggi ha diffuso i dati provvisori di gennaio. Il numero di disoccupati, pari a 2 milioni e 145mila unità, registra una crescita dello 0,1% (+2mila unità) rispetto a dicembre. Il risultato è sintesi della crescita della disoccupazione femminile e della flessione di quella maschile. Su base annua la crescita del numero di disoccupati è del 2,8%. 1 marzo 2011
2011-02-26 Camusso: "I soldi del premier tassati al 12% Perché sui nostri stipendi tasse al 30%?" camusso primo piano ammonisce 640 Giustizia fiscale e sociale: l'ha chiesta la leader Cgil Susanna Camusso durante il comizio nel corso del quale ha chiesto le dimissioni di Silvio Berlusconi. "Ieri - ha sottolineato Camusso - il presidente del Consiglio ha ricevuto le cedole delle sue aziende e le ha distribuite alla sua famiglia, questo è legittimo; ma perché quei soldi sono tassati al 12% e le nostre retribuzioni al 30%? Chi è ricco continua ad arricchirsi mentre chi è povero continua a impoverirsi". Riguardo al decreto 'mille proroghe', Camusso ha detto che "per garantire le quote latte a qualche allevatore leghista si tolgono le risorse per curare chi è malato di tumore". In questo contesto, "i diversamente abili hanno bisogno di venire in piazza per non sentirsi un peso per le loro famiglie", d'altra parte persistono "le consulenze del governo e dei Comuni che costano molto di più e non hanno nessuna efficacia per la collettività". Intanto, ha continuato la segretaria nazionale della Cgil, "dal Consiglio dei ministri viene la necessità di mettere mano alla giustizia: processo breve, lotta alle intercettazioni, immunità, che hanno a che fare con la condizione personale del presidente del Consiglio". "Ma non c'è solo uno che difende sè stesso - ha rilevato - c'è un governo che dice che si deve abolire la libertà di stampa", mentre "la criminalità organizzata influisce sul governo e sull'economia". "L'idea è mettere il bavaglio al Paese - ha concluso - ma non ci imbavaglieranno, perchè parliamo della vita concreta delle persone". 26 febbraio 2011
Draghi: crescita stenta da 15 anni i salari dei giovani fermi da 10 anni giovani lavoro I salari di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, in termini reali, "sono fermi da oltre un decennio sui livelli al di sotto di quelli degli anni Ottanta" e il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 30%. Il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, dal Forex di Verona lancia l'allarme sui giovani e sul mercato del lavoro italiano. Secondo Draghi "la recessione ha reso più difficile la situazione. Si accentua la dipendenza, già elevata nel confronto internazionale, dalla ricchezza e dal reddito dei genitori, un fattore di forte iniquità sociale. Vi contribuisce fortemente la segmentazione del mercato del lavoro italiano, dove vige il minimo di mobilità a un estremo, il massimo di precarietà dall'altro. È uno spreco di risorse che avvilisce i giovani e intacca gravemente l'efficienza del sistema produttivo". In Italia "la crescita stenta da 15 anni" e siamo fermi a "tassi di sviluppo attorno all'1%". Dubbi restano anche sull'economia globale dove la ripresa "prosegue pur tra molte incertezze". Il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, dal congresso del Forex a Verona torna a parlare di crescita e a sollecitare riforme strutturali. "Azioni riformatrici più coraggiose migliorerebbero le aspettative delle imprese e delle famiglie e aggiungerebbero per questa via impulsi alla crescita". La crescita, ha sottolineato il numero uno di Via Nazionale è "l'obiettivo essenziale: una crescita socialmente equa e rispettosa della qualità della vita. Senza crescita non si consolida la stabilità finanziaria nel mondo, in Europa e nel nostro Paese". 26 febbraio 2011
Berlusconi: governa male, guadagna bene Italia in crisi, ma lui incassa 118 milioni... di Federica Fantozzi | tutti gli articoli dell'autore berlusconi304 Collane in oro bianco e diamanti per 240mila euro, automobili per 280mila, appartamenti dal milione in su, 5 milioni la presunta richiesta di Ruby per tacere sulla sua data di nascita. Se gli spiccioli per le ragazze di Arcore e dintorni vi fanno girare la testa, basta cambiare canale. Sintonizzarsi su altre cifre. In entrata anziché in uscita... CONTINUA A LEGGERE L'INCHIESTA OGGI IN EDICOLA CON L'UNITA' OPPURE CLICCA QUI 26 febbraio 2011
"La mia chiamata per Ruby? Un atto dovuto" berlusconi minaccioso "Ora basta, dobbiamo reagire, la situazione è inaccettabile e io sono stufo, stufo!". L'ultimo, surreale sfogo del premier Silvio Berlusconi avviene oggi a Montecitorio, quando il premier parla con le deputate del Pdl e torna ad attaccare magistratura e Corte costituzionale, che a suo dire "ci impedisce di lavorare, prova a ostacolarmi in ogni modo". Per il premier non basta neanche "fare leggi, tanto la Corte costituzionale puntualmente ci boccia ogni legge, la situazione è insostenibile". "Bisogna reagire, spiegare alla gente quello che facciamo, io sono stanco che non si parli del nostro lavoro. E poi ogni legge che facciamo viene bocciata dalla Consulta. E qui alla Camera ci viene impedito di portare avanti i provvedimenti...", aggiunge il presidente del Consiglio attaccando implicitamente il presidente del Camera Gianfranco Fini. Poi, sempre in vena surreale, Berlusconi spiega perché ha chiamato in questura a Milano quella notte di maggio per aiutare la sua amica Ruby: "Sarei venuto meno ai miei doveri se non avessi chiamato quella sera", ribadisce il premier, ripercorrendo con le deputate del Pdl alla Camera la vicenda Ruby e spiegando che nessun reato è stato commesso da parte del presidente del Consiglio. Per Berlusconi si tratta dunque di un nuovo capitolo di quella che ritiene una persecuzione giudiziaria: "Ho speso 340 milioni di euro in avvocati, calcolate che Mondadori ne vale 360...". 25 febbraio 2011
Draghi: crescita stenta da 15 anni i salari dei giovani fermi da 10 anni giovani lavoro I salari di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, in termini reali, "sono fermi da oltre un decennio sui livelli al di sotto di quelli degli anni Ottanta" e il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 30%. Il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, dal Forex di Verona lancia l'allarme sui giovani e sul mercato del lavoro italiano. Secondo Draghi "la recessione ha reso più difficile la situazione. Si accentua la dipendenza, già elevata nel confronto internazionale, dalla ricchezza e dal reddito dei genitori, un fattore di forte iniquità sociale. Vi contribuisce fortemente la segmentazione del mercato del lavoro italiano, dove vige il minimo di mobilità a un estremo, il massimo di precarietà dall'altro. È uno spreco di risorse che avvilisce i giovani e intacca gravemente l'efficienza del sistema produttivo". In Italia "la crescita stenta da 15 anni" e siamo fermi a "tassi di sviluppo attorno all'1%". Dubbi restano anche sull'economia globale dove la ripresa "prosegue pur tra molte incertezze". Il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, dal congresso del Forex a Verona torna a parlare di crescita e a sollecitare riforme strutturali. "Azioni riformatrici più coraggiose migliorerebbero le aspettative delle imprese e delle famiglie e aggiungerebbero per questa via impulsi alla crescita". La crescita, ha sottolineato il numero uno di Via Nazionale è "l'obiettivo essenziale: una crescita socialmente equa e rispettosa della qualità della vita. Senza crescita non si consolida la stabilità finanziaria nel mondo, in Europa e nel nostro Paese". 26 febbraio 2011
2011-02-15 Marchionne: resteremo in Italia, a certe condizioni IMG LA DIRETTA In questi giorni "si è sentita molta politica, molta ideologia, ma poco aderenza alla realtà e ai fatti. Sono qui, in Parlamento, per parlare dei fatti". Lo dice l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, in audizione alla Camera, davanti alle commissioni Trasporti e Attività produttive. Essere qui, insiste, dimostra "il rispetto che abbiamo per il paese e la fiducia sul futuro dell'azienda e dell'Italia". "Abbiamo progetti ambiziosi che partono dall'Italia". L'ad del Lingotto si è presentato a Montecitorio in abito grigio, abbandonando per un giorno, quindi, il suo consueto maglioncino blu. "Vorrei che fosse assolutamente chiara una cosa: nessuno può accusare la Fiat, guardandola negli occhi, di comportamenti scorretti, di vivere alle spalle dello Stato o di voler abbandonare il Paese". "Se il cuore della Fiat è e resterà in Italia la nostra testa deve essere in più posti: a Torino per gestire le attività europee, a Detroit per quelle americane, ma anche in Brasile e, in futuro, una in Asia". La scelta sulla sede legale della Fiat "non è stata ancora presa", ha detto Marchionne, precisando che la decisione "sarà condizionata da alcuni elementi di fondo".Il primo, ha spiegato nel corso di un'audizione alla Camera, "è il grado di accesso ai mercati finanziari, indispensabile per gestire un business che richiede grandi investimenti e ingenti capitali", Il secondo, ha aggiunto, "ha a che fare con un ambiente favorevole allo sviluppo del settore manifatturiero e quindi anche con il progetto 'Fabbrica Italià". "Se realizzeremo le condizioni che sono alla base del nostro piano - ha assicurato l'ad di Fiat - allora il nostro Paese sarà nella posizione di mantenere la sede legale".
"Se riusciamo a portare l'utilizzo degli impianti dall'attuale 40% all'80%, siamo pronti ad aumentare i salari portandoli ai livelli della Germania". E anche "al passo successivo ,che è la partecipazione dei lavoratori agli utili d'azienda". 15 febbraio 2011
Fiat, accordo su Termini Imerese IMG Siglato l'accordo di programma per riconvertire lo stabilimento Fiat di Termini Imerese, che cesserà la produzione a fine anno. Lo ha fatto sapere il ministro per lo Sviluppo Economico, Paolo Romani. L'accordo è stato firmato dalla Fiat, dalla Regione Sicilia, dalla Provincia, dal Comune e dall'Asi (l'area di sviluppo industriale proprietaria dei terreni). È arrivato, quindi, l'ok ai sette progetti industriali inseriti nella short-list dall'advisor Invitalia. Sono previsti investimenti pubblici per 450 milioni: 100 milioni dal ministero e 350 milioni dalla Regione Sicilia. Complessivamente l'investimento, considerando l'apporto dei privati, è pari a oltre un miliardo. L'accordo prevede risorse pubbliche per 450 milioni in totale di cui 100 milioni dal ministero, 200 dalla Regione Sicilia per l'industrializzazione dell'area a cui se ne aggiungono altri 150 sempre della Regione Sicilia per lo sviluppo delle infrastrutture conseguenti la reindustrailizzazione del sito. 14 febbraio 2011
2011-02-13 Fiat: 20 miliardi per lo sviluppo Elkann: addio Italia? Dipende IMG "Il presidente e l'amministratore delegato della Fiat, John Elkann e Sergio Marchionne, hanno confermato al Governo l'intenzione di perseguire gli obiettivi di sviluppo della multinazionale italiana, che prevede la crescita della produzione nel nostro paese da 650 mila a 1 milione e 400 mila auto, un obiettivo sostenuto da un investimento di Fiat e Fiat Industrial per circa 20 miliardi di euro". È quanto si legge in un comunicato diffuso da palazzo Chigi al termine del tavolo con i vertici della Fiat. "L'esecutivo ha confermato che concorrerà a realizzare le migliori condizioni di competitività perchè gli investimenti previsti in Italia siano il volano per raggiungere il più alto posizionamento rispetto ai concorrenti del settore". br /> Così, dopo giorni di polemiche a distanza, l'atteso incontro tra Fiat e governo è arrivato. A Palazzo Chigi John Elkann e Marchionne hanno risposto alle domande del premier, con i ministri dello Sviluppo economico Paolo Romani, del Lavoro Maurizio Sacconi, e dell'Economia Giulio Tremonti. Chiamparino: impegni devono essere conquistati Mi sembra che oggi si sia compiuto un passo avanti". Così Sergio Chiamparino ha commentato la riunione. "Oggi sono stati formulati impegni in un tavolo istituzionale impegnativo", ha sottolineato il sindaco di Torino, "ma devono essere conquistati ogni giorno". E non è facile, ha ammesso, dal momento che "siamo in un mercato competitivo in cui c'è una sovrapproduzione mondiale di 30 milioni di auto". Proprio "l'evoluzione positiva del progetto Fabbrica Italia condizionerà il futuro della sede", ha spiegato Chiamparino, "così come deciderà il futuro della governance". I vertici Fiat, ha riferito ancora il sindaco di Torino, "hanno confermato puntualmente il piano di investimenti per 20 miliardi entro il 2014". Resta, ha però tenuto ad aggiungere, "un punto aperto. Servono ulteriori passi in avanti nel governo degli stabilimenti, con una maggiore partecipazione, attraverso un percorso da costruire". E su questo, ha assicurato, c'è stata un'intesa anche del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. "Serve un sistema che coinvolga maggiormente i lavoratori nei processi aziendali", ha insistito, "l'evoluzione di questo progetto dipende anche dallo sforzo comune".
Elkann: addio Italia? Dipende dalla capacità di evolversi L'addio di Exor e di Fiat all'Italia non è affatto un destino ineludibile. Ne è convinto il presidente di Fiat e presidente e neo amministratore delegato di Exor, John Elkann. "Dipende da noi. Quel che ho capito è che sopravvivono solo le organizzazioni capaci di evolversi e di adattarsi. Dobbiamo, ciascuno di noi e le nostre aziende, rimetterci sempre in discussione, partendo dalla realtà, non dai nostri desideri o aspirazioni", afferma Elkann in un'intervista a Il Sole 24 Ore. "Che cosa sarebbe oggi di Fiat senza Chrysler? Saremmo come prima? Oggi - osserva Elkann - siamo una realtà multipolare e questo è una grande forza". Un rilancio, una sfida che "abbiamo lanciato e vinto", osserva Elkann ricordando che solo "poco tempo fa pochissimi erano disposti a scommettere sulla nostra sopravvivenza, esperti del ramo inclusi". E, rispondendo a perchè mai Fiat e qualunque altra azienda dovrebbe oggi, come spesso chiede Marchionne, investire in Italia? "Intanto la migliore risposta l'ha data la Fiat, che ha già grossi investimenti in Italia e ne ha programmati altri. Ciò detto, è un fatto che l'Italia debba guardare a quegli indicatori che la danno indietro alla media dell'Unione europea sulle performances economiche. Penso per esempio alla produttività, alla competitività". 12 febbraio 2011
2011-02-10 Marcegaglia: "Festeggiamo l'unità d'Italia senza perdere ore di lavoro" IMG Il 17 marzo va celebrata la ricorrenza della proclamazione dell'Unità d'Italia. Ma senza perdita di ore di lavoro. Così la pensa Emma Marcegaglia, presidente Confindustria, che "rispetta e condivide la decisione del Governo di celebrare la ricorrenza della proclamazione dell'Unità d'Italia" ma chiede che "la giornata del 17 marzo venga celebrata senza che ciò comporti la perdita di preziose ore di lavoro o un aggravio di costi per le imprese". Altrimenti, si "darebbe un segnale fortemente dissonante rispetto alle azioni che, faticosamente, le parti sociali stanno mettendo in atto per recuperare ogni possibile margine di produttività, per poter fare nuovi investimenti e salvare posti di lavoro in Italia". Il presidente di Confindustria entra con una nota sul tema dei festeggiamenti dell'unità d'Italia, sui cui il Quirinale, qualche settimana fa aveva annunciato l'aggiunta di una nuova festività nazionale (solo per il 20101) al calendario. "Confindustria rispetta e condivide la decisione del Governo di celebrare, il prossimo 17 marzo, la ricorrenza della proclamazione dell'Unità d'Italia. Si tratta di una data importante che va vissuta con autentica partecipazione, come momento di orgoglio e di unità nazionale. Chiediamo al tempo stesso che si tenga conto delle esigenze di un'economia che sta facendo e sempre più deve fare ogni possibile sforzo per recuperare competitività. Una nuova festività - per di più collocata in una giornata, il giovedì, che si presta ad essere utilizzata per un "ponte lungo" sino al fine settimana - comporta perdite elevate in termini di minore produzione e maggiori costi per le imprese. Darebbe un segnale fortemente dissonante rispetto alle azioni che, faticosamente, le parti sociali stanno mettendo in atto per recuperare ogni possibile margine di produttività, per poter fare nuovi investimenti e salvare posti di lavoro in Italia". E aggiunge: "Chiediamo dunque che la giornata del 17 marzo venga celebrata come una ricorrenza importante, ma senza che ciò comporti la perdita di preziose ore di lavoro o un aggravio di costi per le imprese. Per contribuire a dare alla ricorrenza l'importanza e la solennità che merita, le imprese si impegnano a fare la loro parte a fianco delle Istituzioni pubbliche, organizzando momenti di ricordo e di aggregazione attorno alla bandiera nazionale nei luoghi di lavoro". 4 febbraio 2011
Consulta 'cancella' graduatorie Precari possono reclamare ruolo scuola.studenti.proteste.pompei Almeno 15.000 precari possono reclamare il ruolo e l'agognata cattedra. Ad offrire loro nuove speranze è la sentenza della Corte Costituzionale che dichiara illegittima una norma (articolo 1, comma 4-ter) del dl 134 del 2009 perch‚ viola l'articolo 3 della Costituzione. La conseguenza è che nell'aggiornamento delle graduatorie a esaurimento il personale docente avrà diritto al trasferimento e all'inserimento a pettine secondo il proprio punteggio (merito) e non secondo l'anzianità di iscrizione in graduatoria. Alla luce del pronunciamento della Consulta il ministero, per bocca del capo dipartimento Giovanni Biondi, ritiene "inevitabile" rifare le graduatorie."Stiamo preparando un emendamento da inserire nel milleproporoghe che, rifatte le graduatorie, congeli il meccanismo" ha spiegato il dirigente di viale Trastevere aggiungendo che però "quello che non è stato valutato approfonditamente nella sentenza è che queste sono graduatorie a esaurimento, quindi il principio del merito che viene invocato nella sentenza vale per graduatorie dinamiche in cui un insegnante può poter aggiornare i suoi titoli continuamente". La "querelle" sulle graduatorie va avanti da parecchio. Un paio di anni fa l'associazione Anief ha fatto ricorso (15.000 ricorrenti) contro l'inserimento in coda dei docenti che cambiano provincia, ma poi il Parlamento, in sede di conversione del cosiddetto salva-precari, ha votato una norma voluta dal ministro Gelmini che lo prevede. Per il Tar Lazio però questa disposizione viola palesemente gli articoli 24 e 113 della Costituzione. Di qui il ricorso alla Consulta. "A questo punto - ha dichiarato il presidente nazionale dell'Anief, Marcello Pacifico appena avuto notizia della sentenza - il ministro Gelmini dovrebbe prendere atto di non essere stata capace di gestire le graduatorie del personale docente, dovrebbe assumersi la responsabilità di aver creato un profondo danno erariale alle casse dello Stato e sanare la posizione dei ricorrenti aventi diritto, senza nulla togliere ai docenti già individuati nei contratti, come da prassi corrente". Secondo Pacifico, la sentenza "spazza via ogni dubbio anche a chi, in questi giorni, ha proposto la proroga delle graduatorie in emendamenti specifici al Milleproroghe in discussione al Senato: è evidente, infatti, che un blocco o una cancellazione delle stesse graduatorie violerebbe i principi richiamati dal giudice delle leggi". Soddisfatto per il pronunciamento della Consulta il Pd. Sottolineando che la sentenza "avrà effetti devastanti" perché‚ "l'amministrazione sarà costretta ad assumere tutti quei docenti che, collocati in coda, nelle graduatorie aggiuntive, si sarebbero trovati in posizione utile per l'immissione in ruolo", Tonino Russo, componente della Commissione cultura della Camera, sollecita le dimissioni del ministro dell'Istruzione: "A fronte dei danni incalcolabili causati dalle norme eufemisticamente definite 'eccentriche' dalla Consulta, alla Gelmini non resta che un ultimo atto di dignità: rassegnare le dimissioni". Anche per la responsabile scuola del partito Francesca Puglisi la sentenza della Corte "certifica l'incapacità di un ministro che procede non per atti ma per pasticci". "Ora che il danno è fatto la Lega, che ha tentato di innescare una guerra tra poveri all'interno delle graduatorie a esaurimento, voti insieme a tutte le opposizioni il rinvio della terza tranche di tagli nella scuola e la stabilizzazione senza costi di centomila precari, cos¿ come proposto negli emendamenti al Milleproroghe presentati dai senatori del Pd" è l'invito che arriva da Partito democratico. 9 febbraio 2011
2011-02-05 Marchionne: Fiat-Chrysler in Usa Camusso: governo lo convochi IMG Una fusione fra Fiat e Chrysler ''potremmo guardarla nei prossimi due o tre anni'', forse anche con il quartier generale negli Stati Uniti. ''Prima dobbiamo integrarle dal punto di vista operativo e poi ci occuperemo della governance. Ora pero' la priorita' e' farle lavorare insieme''. Replica Camusso allarmata: governo convochi l'ad Per il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, il governo dovrebbe "convocare Sergio Marchionne" dopo l'ipotesi lanciata ieri dall'ad del Lingotto di una possibile fusione tra Fiat e Chrysler con 'testa' a Detroit. "Che si discuta il piano industriale", ha affermato a margine di una manifestazione di Libertà e Giustizia al Palasharp a Milano, "che si discuta finalmente delle cose vere invece che di trattare male i lavoratori". "Mi pare che questa dichiarazione confermi tutte le preoccupazioni che avevamo. Non possiamo - afferma a margine della manifestazione Giustizia e libertà - che continuare a chiedere che il Governo faccia una volta tanto il suo mestiere, ovvero convocare Marchionne, e che si discuta finalmente del piano industriale e delle cose vere invece che di come trattare male i lavoratori"
Marchionne: ipotesi fusione Lo afferma l'amministratore delegato di Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne, dicendosi non soddisfatto della joint venture fra Fiat e l'indiana Tata Motors: "Dobbiamo dare una nuova dimensione all'accordo. Abbiamo dato loro il diritto di distribuire e in alcune aree non sta funzionando. E' tutto sul tavolo". Tata Motors controlla il 50% di Fiat India Automobiles. Il Wall Street Journal ritiene che Fiat e Chrysler potrebbero fondersi e installare il quartier generale negli Stati Uniti sotto la guida di Marchionne. L'approccio per "una società" - aggiunge il Wall Street Journal - potrebbe essere completato una volta che Chrysler avrà restituito i prestiti ricevuti dal governo, obiettivo che potrebbe essere raggiunto nel 2011. "Fondere la casa automobilistica italiana e quella americana spingerebbe la partnership più di in là di quanto delineato da Marchionne dopo che Fiat ha preso il controllo di Chrysler nel 2009". Fiat e Chrysler, "una delle dimostrazione di come l'industria automobilistica sia cambiata con la crisi", stanno portando avanti un processo "di integrazione culturale basato sul rispetto reciproco e sull'umiltà, dove non c'é spazio per il nazionalismo o l'arroganza di quelli che ritengono di saperne di più": "ho fiducia nel futuro di Fiat e Chrysler", osserva Marchionne, spiegando che le due case automobilistiche hanno ottime squadre al vertice e sono "perfettamente complementari in termini di prodotto, architetture e presenza geografica". E afferma: "Fino a quando sarò io amministratore delegato, terrò Alfa Romeo". "Di recente alcune pubblicazioni hanno sollevato il nodo della successione di Chrysler e Fiat, con una che si è chiesta cosa sarebbe accaduto se io avessi lasciato. Questo è un esempio della tendenza a mitizzare gli amministratori delegati e il mito è basato sull'idea sbagliata che una persona può risolvere tutta da sola i problemi di un'azienda. Ritengo che il vero valore di un amministratore delegato dovrebbe essere misurato in termini di impatto umano sull'organizzazione e di capacità di scegliere i giusti leader e metterli al posto giusto", aggiunge Marchionne, precisando che i giusti leader "sono coloro che hanno il coraggio di sfidare le cose ovvie, che navigano su acque inesplorate, di rompere le convenzioni e le vecchie modalità di fare le cose". Chrysler "ha un profondo debito di gratitudine nei confronti dei contribuenti americani e canadesi. Non c'é dubbio che la determinazione e il coraggio mostrato dai governi americani e canadesi è stato unico. Riconosciamo di avere una responsabilità morale e intendiamo mostrare la nostra gratitudine adempiendo ai nostri impegni e restituendo ogni centesimo che ci è stato dato". "Fiat e Chrysler condividono la sfida di unire le rispettive forze e capacità per superare gli effetti della crisi e creare un futuro insieme come leader globale nel settore automobilistico", mette in evidenza Marchionne. Fra i risultati tangibili dell'alleanza è l'introduzione della Fiat 500, con il quale il Lingotto torna in nord America dopo 27 anni. 5 febbraio 2011
Pubblico impiego e produttività Camusso: referendum anti-intesa camusso Dopo che ieri Cisl e Uil hanno firmato un accordo sulla produttività nel pubblico impiego senza la Cgil, il segretario della Cgil Susanna Camusso dichiara che il suo sindacato è pronto anche al "referendum abrogativo" per l'accordo stesso perché rappresenta "un vulnus democratico" e non risolve il vero problema che è quello "della precarietà ". Lo afferma in una intervista a Repubblica. CISL E UIL. LA FIRMA DI IERI Cisl e Uil hanno firmato l'accordo con il Governo sul salario di produttività. La Cgil non ha siglato l'intesa e ha lasciato il tavolo. L'accordo firmato da Cisl e Uil sui salari di produttività nel pubblico impiego "è una presa in giro dei lavoratori" e per questo la Cgil non l'ha firmato. Lo ha detto Susanna Camusso leader Cgil nella conferenza stampa che ha seguito l'incontro. "Siamo di fronte a dei sindacati che corrono in soccorso al governo che è un pò claudicante", ha continuato la Camusso. Immediata la replica di Bonanni, leader Cisl: "Sono molto irritato e dispiaciuto per le parole della collega Camusso. L'accordo non è una presa in giro dei lavoratori". 4 febbraio 2011
2011-01-04 P.A, altro accordo separato: sì di Cisl e Uil, Cgil se ne va camusso lavoro Cisl e Uil hanno firmato l'accordo con il Governo sul salario di produttività. La Cgil non ha siglato l'intesa e ha lasciato il tavolo. L'accordo firmato da Cisl e Uil sui salari di produttività nel pubblico impiego "è una presa in giro dei lavoratori" e per questo la Cgil non l'ha firmato. Lo ha detto Susanna Camusso leader Cgil nella conferenza stampa che ha seguito l'incontro. "Siamo di fronte a dei sindacati che corrono in soccorso al governo che è un pò claudicante", ha continuato la Camusso. Immediata la replica di Bonanni, leader Cisl: "Sono molto irritato e dispiaciuto per le parole della collega Camusso. L'accordo non è una presa in giro dei lavoratori". 4 febbraio 2011
2011-01-01 Un Paese senza futuro Disoccupazione giovanile al 29% giovani fila collocamento 304 E' aumentato in Italia il numero dei giovani disoccupati registrando così un nuovo record negativo. Il tasso di disoccupazione giovanile a dicembre è stato pari al 29%, con un aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a novembre e di 2,4 punti percentuali rispetto a dicembre 2009. Lo ha rilevato l'Istat secondo cui "in un mercato del lavoro che presenta condizioni un po' più serene, l'elemento che stona è certamente il tasso di disoccupazione giovanile che a dicembre tocca un nuovo record, il valore più alto dall'inizio delle serie del 2004". 1 febbraio 2011
2011-01-28 Fiom, Landini a Confindustria: "Non seguire la Fiat" di Laura Matteucci | tutti gli articoli dell'autore Landini, fiom La diretta delle manifestazioni della Fiom in tutta Italia
LANDINI AGLI INDUSTRIALI: "NON SEGUIRE LA FIAT" "Se gli industriali fanno quello che fa la Fiat, succede un conflitto che non ha precedenti nel nostro Paese". Lo ha detto il segretario nazionale della Fiom, Maurizio Landini, a margine della manifestazione a Milano, sottolineando che "allo stato attuale nessuno degli industriali ha detto che Marchionne fa male a fare quello che fa. Se ci sono differenze - ha esortato - che emergano". Landini vede come un rischio concreto la possibilità concreta che si estenda il modello Marchionne anche alle Pmi: " È questo - ha detto - il motivo per cui abbiamo scioperato. Siccome noi pensiamo che sia un danno, non solo per i lavoratori ma anche per il nostro sistema industriale, perché così vuol dire competere con la Polonia e con la Serbia e non con la Germania e la Francia. Noi pensiamo - ha proseguito - che proprio per questa ragione bisogna difendere il contratto nazionale e aprire una fase diversa di politica industriale e di sviluppo del nostro Paese". COBAS A ROMA, CRISI LA PAGHI CHI L'HA PROVOCATA "La crisi va pagata da chi l'ha provocata". Dietro questo striscione quasi un migliaio di persone sono partiti in corteo a Roma in occasione dello sciopero generale indetto dalla Fiom contro il nuovo accordo Fiat di Mirafiori. Alla manifestazione indetta nella capitale partecipano operai ed esponenti dei Cobas. In fondo al corteo c'è anche una delegazione di circa duecento studenti delle scuole superiori romane e alcuni universitari. I manifestanti sono diretti a piazza Venezia. LANDINI, CON CAMUSSO DISCUSSIONE APERTA Maurizio Landini, a margine della manifestazione della Fiom a Milano, è intervenuto sulla polemica nata dopo la vicenda che ha visto la segretaria della Cgil, Susanna Camusso, contestata a Bologna. "Non c'è alcuna contestazione - ha sostenuto il segretario del sindacato metalmeccanici della Cgil - c'è una discussione aperta e la piazza l'ha resa esplicita".
A CASSINO 6-7 MILA MANIFESTANTI DA TUTTO IL LAZIO Un elicottero della Polizia contingenti del reparto mobile di Napoli e un imponente servizio d'ordine sta seguendo il corteo di scioperanti della Fiom-Cgil organizzato a Cassino e che ha visto arrivare nella cittadina ciociara, secondo la Questura, tra le 6 e le 7 mila persone provenienti da tutta la regione Lazio.
TORINO, FISCHI A SEGRETARIO CGIL PANINI Il segretario confederale della Cgil Enrico Panini è stato contestato dalle tute blu in piazza a Torino durante il comizio in piazza Castello. Dai lavoratori è partito sempre più forte l'urlo 'sciopero generale" tra i fischi, ma Panini ha potuto comunque concludere il suo intervento.
LANDINI: PIAZZE STRAPIENE, NON SI ESTENDA MODELLO FIAT "Un risultato straordinario, le piazze sono strapiene in tutta Italia e le fabbriche si sono svuotate". È quanto ha affermato Maurizio Landini, segretario generale della Fiom Cgil nel corso della manifestazione di Milano.
MILANO, UOVA E PETARDI CONTRO SEDE EDISON Vernice rossa, petardi, fumogeni e uova sono stati lanciati contro la sede della Edison e contro diversi istituti scolastici privati e una delle sedi dell'Università Cattolica dagli studenti e dai militanti del centro sociale Cantiere che stanno sfilando nel centro di Milano. IN MIGLIAIA SFILANO A GENOVA "Mirafiori ce l'ha insegnato come si comporta un vero sindacato", "Il contratto nazionale non si tocca, lo difenderemo con la lotta", "Diritto al lavoro, diritto a lottare, dentro la fabbrica vogliamo contare". Sono questi gli slogan delle migliaia di lavoratori della Fiom-Cgil che stanno sfilando per le vie di Genova verso la sede di Confindustria. Al momento non vengono segnalati disordini. FIOM: CORTEO A TERMINI IMERESE, IN FIAT SCATTA CIG È partito il corteo degli operai a Termini Imerese dove è in corso lo sciopero generale organizzato dalla Fiom in difesa del contratto nazionale di lavoro. Ad aprirlo è uno striscione dei lavoratori della Fiat, dove proprio oggi è scattato un nuovo periodo di cassa integrazione: le tute blu rientreranno in fabbrica il 7 febbraio, poi torneranno in cassa integrazione il 14 e il 21 febbraio e dal 28 febbraio al 4 marzo.
FIOM: CORTEO A POMIGLIANO, "MARCHIONNE LADRO" Al grido "Posa i soldi Marchionne, posa i soldi ladro" è partito il corteo organizzato dalla Fiom a Pomigliano D'Arco (Napoli) per difendere il contratto nazionale, il diritto di sciopero, e quello dei lavoratori. Al corteo, che secondo una prima stima delle forze dell'ordine conta circa 2mila persone, stanno partecipando, tra gli altri, Francesca Re David, della segreteria nazionale della Fiom, Andrea Amendola, segretario generale Fiom Napoli, Michele Gravano e Giuseppe Errico della Cgil, politici ed esponenti della sinistra nonchè alcuni parroci della cittadina partenopea.
FIOM: A FIRENZE CORTEO DEI COBAS, UN MIGLIAIO IN PIAZZA 'Che la crisi la paghino i padroni' è lo striscione che apre la manifestazione organizzata oggi dai Cobas a Firenze: in occasione dello sciopero, un corteo composto al momento da circa un migliaio di persone è partito da piazza San Marco per raggiungere il Polo universitario di Novoli, attraversando le strade del centro della città. "Oggi scioperiamo contro il governo e le lobby dell'economia - hanno spiegato i promotori - Appoggiamo anche lo sciopero della Fiom". LANDINI A MILANO: "MAURIZIO DIFENDICI" Sta muovendo i primi passi in direzione di piazza Duomo il corteo della Fiom Cgil organizzato a Milano in occasione dello sciopero nazionale della categoria. In testa al corteo il segretario nazionale Maurizio Landini, che lo ha percorso tutto, salutando diversi manifestanti. Numerose le manifestazioni di stima nei confronti del sindacalista tra applausi e incitazioni a "tenere duro". "Maurizio difendici", uno dei messaggi ricorrenti.
BERTINOTTI A CASSINO Marchionne, con il suo progetto, ha riportato indietro le lancette dell'orologio a prima della Costituzione italiana. La speranza per il nostro Paese ora sono i giovani". Questa la dichiarazione di Fausto Bertinotti appena arrivato in piazza a Cassino dove è in corso la manifestazione organizzata dalla Fiom e Cigl.
A CAGLIARI LUNGO CORTEO SOTTO LA PIOGGIA È un lungo corteo sotto la pioggia quello dei metalmeccanici della Fiom-Cgil partito attorno alle 10 da Piazza Garibaldi a Cagliari in concomitanza con altre 21 manifestazioni organizzate dal sindacato in tutta Italia per dire no al 'modello Marchionnè di lavoro nelle fabbriche. I manifestanti - sono attese 3.000 persone da tutta la Sardegna - percorreranno le vie pedonali del centro storico fino a Piazza del Carmine, dove parlerà Fausto Durante della segreteria nazionale della Fiom. SCIOPERO FIOM: IN MIGLIAIA IN CORTEO A TORINO È partito poco fa dalla stazione di Porta Fusa il corteo dei lavoratori metalmeccanici che hanno risposto allo sciopero generale organizzato dalla Fiom. In testa al corteo due striscioni: "Per la libertà del lavoro" e "Mirafiori: l'accordo della vergogna".
****** La cronaca sull'edizione cartacea E oggi sciopera il resto d’Italia. Per la giornata di protesta dei metalmeccanici della Cgil sono previste 17 manifestazioni regionali e 4 provinciali, con la partecipazione di molti esponenti Pd, Sel, Prc, del Popolo Viola, oltre che di studenti e movimenti. Lo sciopero è stato indetto contro la Fiat come anche contro Federmeccanica che, come dice il leader della Fiom Maurizio Landini, "con le sue proposte sta inseguendo il Lingotto su una strada che è un danno per i lavoratori ma anche per il sistema delle imprese". LA MAPPA E Landini oggi sarà a Milano per il comizio conclusivo in piazza Duomo. Due i cortei: il primo parte da Porta Venezia alle 9,30, attesi anche Gad Lerner, il leader di Emergency Gino Strada in collegamento telefonico e don Andrea Gallo. Il secondo è quello organizzato dal Coordinamento dei collettivi studenteschi e partirà alle 9,30 da Largo Cairoli. A Cassino, sempre alle 9,30, concentramento davanti alla Stazione. Un corteo raggiungerà piazza AlcideDeGasperi. A Torino confluiranno 35 pullman: il corteo partirà da Porta Susa intorno alle 9 diretto a piazza Castello. Interviene Giorgio Airaudo, segretario nazionale Fiom-Cgil responsabile del settore auto. Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato centrale Fiom, sarà invece a Padova, dalle 9 in piazzale della Stazione. Manifestazione regionale a Pomigliano D’Arco (Napoli), con concentramento alle 10 alla rotonda Alfa Romeo (zona industriale). Comizio conclusivo in piazza Primavera nel corso del quale prenderà la parola Francesca Re David, responsabile dell’organizzazione Fiom-Cgil. A Termini Imerese (Palermo), dove ha sede lo stabilimento auto che Fiat intende chiudere a fine anno, conclusioni di Enzo Masini, coordinatore nazionale auto della Fiom. Manifestazione regionale anche a Melfi dove si trova il più grande stabilimento Fiat del sud. Manifestazioni anche a Bolzano, Udine, Genova, Savona, La Spezia, Imperia. Manifestazione regionale a Massa, con concentramento alle 9,30 davanti allo stabilimento della Eaton: la multinazionale statunitense proprietaria, attiva nel campo della componentistica auto, ne ha minacciato la chiusura. E altre a Perugia, ad Ancona, a Lanciano (Chieti), a Termoli, ove ha sede uno stabilimento del gruppo Fiat, a Bari, a Vibo Marina (Vibo Valentia). Infine, il corteo di Cagliari (concentramento in piazza Garibaldi alle 9) sarà diretto a piazza del Carmine, per il comizio conclusivo nel corso del quale per la Fiom prenderà la parola Fausto Durante. 28 gennaio 2011
2011-01-27 Fiom, 30mila in piazza: "Sciopero generale" Landini Fiom Cgil Circa 30.000 persone hanno partecipato a Bologna alla manifestazione per lo sciopero regionale indetto dalla Fiom per protestare contro il modello-Marchionne. Dopo la sfilata per le vie della città i manifestanti si sono concentrati in piazza Maggiore per ascoltare i comizi conclusivi. Molti autobus sono arrivati da tutte le province dell'Emilia-Romagna. Ai manifestanti della Fiom e della Cgil si sono aggiunti poi studenti medi e universitari che hanno sfilato in un altro corteo nel centro cittadino. LANDINI: PROTESTA ANDRA' AVANTI Prima ancora che il corteo dei metalmeccanici della Fiom invada Bologna, per protestare contro l'accordo di Mirafiori, Maurizio Landini, segretario nazionale delle tute blu della Cgil, lascia chiaramente intendere che la mobilitazione non si fermera' dopo gli scioperi di oggi in Emilia-Romagna e domani nel resto del paese. "Penso che dopo questi giorni ci si debba porre il problema di come proseguire ed estendere la mobilitazione", afferma a margine della cerimonia dei deportati nel lager nazisti celebrata questa mattina in piazza Maggiore e a cui hanno partecipato il commissario del Comune Anna Maria Cancellieri, Susanna Camusso, segretario nazionale della Cgil. "C'e' un consenso diffuso verso le nostre posizioni - assicura Landini - perche' la gente ritiene che il modello Marchionne sia pericoloso". Quanto alla proposta di Federmeccanica di opzione tra contratto nazionale e contratto aziendale, il leader della Fiom non ha dubbi: "Vuol dire che Confindustria pensa che sia possibile superare il contratto nazionale, perche' pensano a competere con la Polonia e la Turchia e non con la Francia e la Germania. Cosi' non si fa l'interesse dell'Italia". Alla domanda se la Fiom si senta sola a difendere i lavoratori, Landini risponde che le manifestazioni di oggi e domani "dimostreranno che i metalmeccanici non sono soli e che la maggioranza dei metalmeccanici e' convinta che il modello Marchionne vada respinto". Del resto, conclude, "se passa l'idea che Fiat e' il modello, questo mette a rischio i lavoratori pubblici e privati anche perche' e' il Governo che ha bloccato il rinnovo dei contratti". FIOM: "SCIOPERO GENERALE" OVAZIONE DELLA PIAZZA Dopo che nell'intervento che l'aveva preceduta il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, aveva chiesto alla Cgil di indire lo sciopero generale, il leader della confederazione, Susanna Camusso, non ne ha parlato e dalla piazza si sono levati anche alcuni fischi. Per tutto il suo intervento, circa venti minuti, dalla piazza si è levata una continua richiesta dello sciopero generale, al quale però Camusso non ha fatto cenno. Al termine dell' intervento, qualche timidissimo applauso e alcuni fischi. CAMUSSO: E' BERLUSCONI CHE FA FUGGIRE INVESTITORI Non è il voto dei lavoratori che fa fuggire gli investimenti stranieri dall'Italia, bensì l'immagine che il presidente del Consiglio sta dando dell'Italia all'estero. È l'opinione del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, espressa durante la manifestazione della Fiom a Bologna. "Sacconi - ha detto Camusso - pensa davvero che gli investimenti vengano o vadano per il voto dei lavoratori, o non piuttosto sulla base dell'immagine che dà all'estero il presidente del Consiglio e della quale ci vergogniamo. Quanti investimenti il presidente del Consiglio fa perdere al nostro Paese?". 27 gennaio 2011
2011-01-18 Marchionne: salari più alti Fiom? "Capolavoro mediatico" IMG Sergio Marchionne parla pubblicamente. Tramite un'intervista a Repubblica. E dice alcune cose che riaccenderanno il dibattito. Intanto sul referendum. Ezio Mauro gli fa presente che lo scarto è stato minimo e che senza gli impiegati passava il no, che la metà dei lavoratori ha sostanzialmente detto no. La risposta: "Senta, se vuole che le dica la mia valutazione non sul risultato, ma sulla campagna che lo ha preceduto, è presto fatto: la Fiom ha costruito un capolavoro mediatico, mistificando la realtà, ma ci è riuscita. Noi, che siamo presenti in tutto il mondo, con una forza di 245 mila persone, ebbene dal punto di vista culturale siamo stati una ciofeca, la più grande ciofeca, e la colpa è soltanto mia". La sua linea, insiste, è questa: cambiare un sistema bloccato "dove tutti sanno che noi imprese italiane siamo fuori dalla competitività, non possiamo farcela, eppure tutti fanno finta di niente". Marchionne vuole "cambiare le regole per garantire la Fiat e chi ci lavora. E' l'unica strada. Non solo: a dire il vero è l'ultima strada". La sfida, spiega l'ad, è aumentare i salari, arrivando "al livello della Germania e della Francia" e alla partecipazione degli utili ai dividendi. "Ma prima di parteciparli gli utili dobbiamo farli". A questo, sintetizza, "non c'è alternativa". E il nuovo contratto, dopo Pomigliano e Mirafiori (dove "il discorso è chiuso"), investirà anche Melfi e Cassino. "Non possiamo vivere in due mondi. Io spero che, visto l'accordo alla prova, non vorranno vivere nel secondo mondo nemmeno gli operai". 18 gennaio 2011
Mirafiori, il voto, la sinistra e il diritto di sciopero di Marco Simoni | tutti gli articoli dell'autore Diritti, Mirafiori Caro Peppe, il tuo intervento sul voto a Mirafiori e sulla fragilità del pensiero di sinistra (http://www.unita.it/commenti/giuseppeprovenzano/la-sinistra-si-e-fermata-a-mirafiori-1.265415?listID=1.58438&pos=0) mette il dito nella piaga, che è un esercizio sempre utile. Nel contrastare la globalizzazione, dici, la sinistra ha perso il suo anelito globale. Tuttavia, allo stesso tempo, non ti spingi a suggerire vie di guarigione, non compi il passo successivo. C’è una contraddizione irrisolvibile insita nell’approccio che ha caratterizzato il fronte del No al referendum, e che la sinistra italiana fa fatica a guardare direttamente, come se ignorare le questioni semplici, ma di fondo, possa contribuire a superarle. Un pensiero politico che si nutra delle istanze di liberazione, sostanziale e non solo formale, dei gruppi più deboli e delle persone che li compongono, non può non salutare come positivi i fenomeni di abbattimento dei confini, che riguardano le merci, i capitali, ma anche le persone: l’apertura rende tutti più ricchi, sia dal punto di vista materiale, che immateriale: la globalizzazione è dunque una grande opportunità di maggiore conoscenza, benessere economico e dunque maggiore libertà. E’ talmente ovvio da non costituire base di alcuna politica il fatto che questi fenomeni vadano compresi, corretti, e indirizzati, ma non è questo il punto. Infatti, questi stessi fenomeni, e non solo a causa delle storture drammatiche che hanno caratterizzato lo specialissimo mercato finanziario, hanno anche l’inevitabile effetto di amplificare alcune diseguaglianze, specialmente se osservate dalla prospettiva nazionale. Quello che non si discute a sufficienza, tuttavia, ignorando questa contraddizione tra maggiore prosperità e maggiori diseguaglianze, è il metro e la misura delle diseguaglianze, metro e misura invece, senza i quali, tutte le vacche sono nere, o rosse forse. Rispetto all’accordo di Pomigliano, quello di Mirafiori conteneva una clausola in più: l’esclusione della rappresentanza dei sindacati non firmatari, esclusione conforme ad un articolo dello Statuto dei Lavoratori che in passato è servito ai sindacati confederali per limitare la competizione dei sindacati di base. Data la dimensione della FIOM, è evidente che con quella clausola si apre un problema di democrazia. Tuttavia, è anche evidente che, posta in questi termini, ossia legata alla dimensione e importanza della FIOM, non si tratta più di un problema di principio o di diritti: se fosse così il problema varrebbe anche per qualsiasi sindacato di base, mentre invece fino a ieri nessuno ha contestato quella norma. E’, al contrario, un problema – molto serio e vero – contingente e relativo al caso specifico. Si potrebbe giustamente notare che quel che conta, anche nella valutazione dei diritti per i quali è importante battersi, non è la forma, ma la sostanza, e che la sostanza della questione nel caso di Mirafiori e delle altre fabbriche della FIAT è rappresentata dalla forza, anche numerica, della presenza della FIOM. Tuttavia, questo è un paese dove la sostanza del diritto di sciopero – altro che rappresentanza! – per almeno quattro, o forse cinque, milioni di lavoratori precari – quasi tutti di età inferiore ai 40 anni – è stata sistematicamente messa in secondo piano da almeno 15 anni, accanto alla sostanza del diritto ad un salario dignitoso, una minima stabilità, e la possibilità di immaginarsi un futuro ragionevole, fatto di cose normali, come una casa e una famiglia. Allora ecco che la misura inizia a perdersi, e rischia – o forse ha la certezza – di non essere percepita proprio da quella fetta, molto larga, e prevalente tra meno anziani, di lavoratori che vivono al confine tra lavoro e non-lavoro, che il lavoro pienamente inteso, non l’hanno mai conosciuto. Pensi che da domani "gli appelli scritti al computer, col sigaro che fuma nel posacenere accanto", come descritto con grande efficacia (http://concita.blog.unita.it/il-futuro-e-i-diritti-1.265933) da Concita De Gregorio, si replicheranno a favore dei milioni di giovani uomini e donne italiane con il reddito in picchiata e le prospettive assottigliate? Forse no, ma la ragione non sta nel fatto che si tratta di sfruttati di serie B, ma dipende dal fatto che l’assenza di metro e misura rende impossibile immaginare e concepire sia la politica, che le politiche. Nel caso di Pomigliano, né la FIOM né la CGIL si erano schierate per il No, ma per la libertà di scelta. Il loro dissenso all’accordo, comunque forte e visibile, era tutto mosso dalla cosiddetta clausola di responsabilità secondo la quale non si può scioperare sui termini dell’accordo per la durata dell’accordo: la loro contrarietà, in altri termini, non riguardava i nuovi turni, o le pause, o il salario che, a me come a te, tracciano i confini di esistenze così dure. Ma allora, ancora, quale è il metro e la misura della diseguaglianza in questa vicenda? Io non ne sono più sicuro. Il diritto di sciopero che non deve conoscere limitazioni, nemmeno in accordi collettivi? Oppure una paga troppo bassa per un lavoro troppo duro – che giustamente è stato il tema che ha finito per prevalere nel dibattito, pur in assenza di una chiara richiesta che si opponesse a quella dell’azienda? Oppure, come anche si è letto, il tema riguarda le retribuzioni esagerate, fuori dal senso comune, che manager globalizzati riescono ad attribuirsi in virtù del maggiore ruolo che una economia globale assegna loro? Il punto è che senza una riflessione di merito, è impossibile sia circoscrivere la natura di una battaglia politica, che pensare agli strumenti da impiegare per combatterla. A seconda del peso delle diverse dimensioni cambiano i confini della battaglia, cambiano i luoghi in cui la discussione politica andrebbe concentrata. Senza metro e misura, come sottolinei anche tu, sia pur indirettamente, diventa persino difficile individuare dove sia il cuore del conflitto, capire chi siano i veri avversari: forse gli operai serbi e polacchi che vorrebbero costruire le macchine e accontentarsi di meno salario? Le tecnocrazie della regolamentazione dei mercati, in Europa o al WTO? I dirigenti delle aziende multinazionali? Il grande capitale finanziario? Come si scorge da queste ultime battute, senza misura, che poi significa senza una riflessione complessiva che sia in grado di includere, accanto agli operai della FIAT anche i milioni di precari che subiscono, forse ancora maggiormente, il peso degli aggiustamenti economici legati ai fenomeni di globalizzazione, (dunque in assenza di profondità, come da te rilevato) è un attimo ricominciare a costruirsi nemici immaginari, costruzioni mentali confortevoli e pigre, che servono solo a confondere ulteriormente l’analisi. Senza misura il pensiero rimane ostaggio della gioventù che fu degli odierni rivoluzionari col sigaro che fuma accanto al computer, e rimane completamente sguarnito il campo della vera battaglia politica che andrebbe ingaggiata. Qual è la vera battaglia politica? Quella che considera il presente e il futuro, l’epoca del mondo sempre più aperto, come una prateria di opportunità per chi ha a cuore la libertà delle persone e delle associazioni di cui fanno parte. 18 gennaio 2011
Precari, solo sette giorni per presentare i ricorsi di Marco Tedeschi | tutti gli articoli dell'autore fantasma del precario Conto alla rovescia per i precari con contratto a termine scaduto per poter presentare ricorso contro il datore di lavoro nel caso ritengano di aver subito un’ingiustizia. Scade infatti domenica 23 gennaio il termine fissato dal collegato lavoro per poter impugnare il licenziamento e passata questa data si perderà definitivamente ogni diritto per tutto il periodo retroattivo. Gli interessati sono tra i 100 e i 150mila secondo la Cgil che ha contrastato la norma fin dalla sua approvazione, due mesi fa, definendola, non a caso, "legge tagliola". Il silenzio del governo È una vera e propria controriforma del diritto e del processo del lavoro - torna a dire il segretario confederale Fulvio Fammoni - ma è soprattutto una norma, quella dei 60 giorni, che colpisce i lavoratori precari che attendono un eventuale rinnovo". Una norma "sbagliata e ingiusta, con vizi di costituzionalità", a cui si aggiunge la gravità della retroattività che, accanto alla brevità del tempo a disposizione (60 giorni dall’entrata in vigore) avrebbe richiesto una campagna per informare gli interessati, per portarli a fare una scelta consapevole tanto più che chi è precario subisce già molti condizionamenti. Invece nulla. Silente il governo, molto impegnato a tener testa alle Ruby di turno. A giudizio della Cgil, la norma "crea una disparità fortissima anche perché, in questa maniera, si equipara la conclusione di un contratto temporaneo ad un licenziamento". Qunat ai tempi strettissimi, determineranno "una sanatoria al rovescio, perchè tanti precari non verranno a sapere in tempo che i termini sono cambiati", ma anche un'impennata del contenzioso, "cioè l'esatto contrario di quanto il governo dichiara di voler perseguire" con l'allargamento del ricorso all'arbitrato. "Il governo avrebbe dovuto sentire l'obbligo di informare i lavoratori, anche attraverso l'uso della pubblicità istituzionale, eppure non ha fatto nulla", denuncia Fammoni, ed è anche per questo che tutte le sedi della confederazione stanno lavorando per dare consulenza e tutela a chi è interessato registrando al momento "già migliaia di richieste di informazione e di soccorso giunte". Alla fine di questa settimana, al termine della scadenza per decidere l'impugnativa, "forniremo i primi dati- annuncia il dirigente sindacale- sapendo che anche altri sindacati e associazioni stanno predisponendo i ricorsi". Sull’intero collegato lavoro, il sndacato di Corso d’Italia sta predisponendo "una memoria su principali vizi di incostituzionalità della legge". Se si ritiene ci siano irregolarità, i contratti vanno contestati per iscritto entro domenica: si può fare anche con una lettera che interrompa i termini di legge e in questo si guadagnano 270 giorni per andare davanti al giudice. 18 gennaio 2011
amusso a Cisl e Uil: su rappresentanza facciamo così IMG Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha inviato oggi ai leader di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, la proposta del sindacato, approvata sabato dopo il referendum Mirafiori, sulla rappresentanza e la democrazia sindacale. In una lettera inoltre chiede un incontro con le rispettive segreterie. Camusso ha inviato la lettera e il documento per conoscenza anche a Confindustria e alle altre associazioni imprenditoriali. La Cisl l'ha già bocciata. Punti centrali della proposta sono: l'elezione delle Rsu; una soglia di rappresentativita' superiore al 51% per la firma di negoziati con ''rilevanti'' dissensi tra le organizzazioni; la possibilita' di ricorrere al referendum (vincolante) prima della firma dell'accordo quando non c'è intesa tra i sindacati, e quando è in ballo l'abrogazione dell'accordo. RSU Nucleo fondamentale della proposta e' innanzitutto l'elezione delle Rsu (ogni 3 anni) in tutti i luoghi di lavoro, la loro estensione a tutti i settori nelle aziende sopra i 15 addetti e con Rsu interaziendali o territoriali in quelle minori. L'elezione delle Rappresentanze sindacali unitarie spetta ai sindacati che firmano l'accordo ma anche a chi raccoglie almeno il 5% delle firme tra i lavoratori per presentare le liste. RAPPRESENTATIVITA' E SOGLIA 5% Tra i punti principali della proposta, anche la misurazione della rappresentativita' (attraverso un mix tra voti e iscritti) con la definizione della soglia del 5% per partecipare alle trattative; per sottoscrivere gli accordi la soglia sale al 51% (calcolata tra tutti partecipanti al voto). QUORUM PIU' ALTO E REFERENDUM Quando ci sono dissensi ''rilevanti'' si richiede per la rappresentativita' un quorum piu' alto (da definire) della maggioranza semplice, ossia del 51%; se manca questo quorum prima della firma si verifica il mandato attraverso il voto dei lavoratori. Ossia attraverso il voto certificato o il referendum: tale voto, in questo caso espresso a maggioranza semplice, diventa a quel punto vincolante per tutte le organizzazioni sindacali che hanno condotto le trattative e che hanno avviato il percorso di verifica del mandato (dunque, non vincolante per chi non l'ha chiesta). REFERENDUM ABROGATIVO C'e' poi il referendum abrogativo dell'accordo firmato: puo' essere attivato solo da chi non ha chiesto la consultazione di mandato. . LA CISL: PROPOSTA ASTRUSA La Cisl boccia la proposta della Cgil sulle nuove regole per la rappresentaza sindacale e la democrazie, ricevuta oggi dal sindacato di Corso Italia. Secondo la Cisl si tratta di una proposta "astrusa, efficace solo per incoraggiare estremismi ed irresponsabilità". "Il punto dirimente è che la Cgil, per legittimare una pratica abnorme di referendum tra quelli di 'mandato' per firmare gli accordi e quelli di 'abrogazione', propone di stravolgere, con percentuali più alte, il criterio universale della maggioranza fondata sul 50%+1 per rendere valida la firma di un accordo sindacale come già previsto, da tempo, per il settore pubblico". 17 gennaio 2011
2011-01-16 Cgil: "Valuteremo se ricorrere a magistratura" camusso ''Valuteremo se ricorrere alla magistratura'' ma questo ''non basta''. Lo ha affermato il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ospite di "In mezz'ora", il programma su Raitre condotto da Lucia Annunziata, all'indomani dell'esito del referendum a Mirafiori La clausola dello sciopero è da Corte costituzionale "Una clausola che impedisce a un lavoratore di partecipare ad uno sciopero - ha dichiarato la Camusso - è un tema che sicuramente arriva sino alla Corte Costituzionale'' perché ''siamo di fronte a dei diritti che non sono disponibili né a un'impresa né a un sindacato. E' la prima volta - ha precisato il segretario della Cgil - che ci troviamo di fronte a un'azienda che pensa di cambiare i principi della Costituzione". "Comunque - ha proseguito - non è sufficiente dire che ricorreremo alla magistratura" perché "non si può affidare la rappresentanza sindacale" alla magistratura. Domani una proposta a Uil e Cisl su rappresentanza Domani Susanna Camusso, inviera' a Cisl e Uil la proposta della Cgil su democrazia e rappresentanza sindacale, approvata ieri dal direttivo, ''per definire, piu' che cambiare, le regole''. Lo riferisce a Rai3 a 'In mezz'ora'. ''Chiediamo sia un accordo tra i sindacati e le associazioni di impresa. Gli accordi separati li fanno le imprese prima ancora dei sindacati. Il tempo e' maturo perche' ci sia anche una legge sulla rappresentanza''. "Il 46% di no mi ha stupito" Il 46% di no al referendum di Mirafiori "mi ha stupito", ha continuato il segretario Cgil, "perché era un voto così condizionato, così costretto che non permetteva ai lavoratori di decidere" ma c'è stato "l'orgoglio, la capacità di reazione dei lavoratori". Quanto all'esito, ''ho pensato che saremmo stati più vicini al risultato di Pomigliano (36% no). Il risultato ha stupito me come tutti, anche se avevamo colto un po' di nervosismo dell'azienda". "Confindustria ha responsabilità sull'accaduto" ''Confindustria penso che abbia parte di responsabilita' su quanto avvenuto''. ''Nel 2009 - ricorda la Camusso - Confindustria firmo' un accordo sulle regole con una parte del mondo sindacale. Temo anche io che Confindustria esca indebolita da questa partita, un tema importante che si chiama 'regole e rappresentanza'. E se si dà l'idea che si puo' entrare e uscire, tutto questo rende debole il sistema della rappresentanza''. "Ministro Sacconi, non decide lei se servono leggi" "Al ministro vorrei dire intanto che non decide lui se servono o non servono delle leggi e che ha un'idea della partecipazione e della organizzazione sindacale fatta di tifoserie", ha poi puntualizzato Susanna Camusso, ribadendo la necessità di arrivare ad un accordo con le altre organizzazioni sindacali e imprenditoriali sulla rappresentanza e la democrazia sindacale e poi ad una legge. "Referendum dice: essere poco tifosi" "Anche quel referendum ci dice che bisognerebbe essere poco tifosi e invece molto attenti a come si ricostruiscono condizioni di condivisione", ha aggiunto il numero uno della Cgil. "Vogliamo evitare - ha annunciato - di chiamare sempre i lavoratori a fare da arbitri tra le sigle sindacali. Vogliamo darci un metodo che riparta a prima della rottura", ha precisato Camusso, dichiarando anche che "il tempo è maturo perché ci sia anche una legge sulla rappresentanza". 16 gennaio 2011
"Vulnus democratico, Confindustria pagherà" di Rinaldo Gianola | tutti gli articoli dell'autore camusso Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, ha appena terminato il direttivo della Cgil. Bisogna parlare del voto di Mirafiori, della Fiat, della proposta sulla rappresentanza. Ma al leader della Cgil chiediamo subito un pensiero sui 5400 lavoratori di Mirafiori. Camusso, cosa dice a quegli operai? "A nome mio e di tutta la Cgil voglio ringraziare tutti gli operai di Mirafiori, quelli del sì e quelli del no. In questi giorni mi ha molto colpito la grande vicinanza dei lavoratori e la richiesta che venisse difesa la loro dignità. Anche quando dicevano che avebbero votato sì perchè preoccupati del futuro, lo hanno fatto con coraggio, senza chinare la testa. Questa dignità, questa compostezza sono valori di cui dobbiamo essere fieri". Cosa l’ha colpita del caso Mirafiori? "Mi ha colpito negativamente l’ingiustizia che il mondo esterno ha caricato sui lavoratori di Torino, come se dal loro voto dipendessero il modello di sviluppo, l’orizzonte del lavoro, la strategia degli investimenti, le nuove relazioni industriali. E mentre si caricava sulle spalle degli operai questa responsabilità enorme, gli altri, dal governo alla politica, si sono divisi come tifoserie. Non avendo una straccio di idea su sviluppo, politica industriale, diritti, il paese ha preferito fregarsene le mani...". In edicola il seguito dell'articolo, oppure clicca qui. 16 gennaio 2011
"Con l’accordo Torino ha prospettive più sicure" fassino maglione 640 Piero Fassino guarda all’esito del referendum di Mirafiori ed esprime soddisfazione per il fatto che adesso "quindicimila lavoratori, tra Fiat e indotto, avranno prospettive di lavoro più sicure". Ma aggiungendo: "Ora che l’accordo va applicato, l’azienda deve coinvolgere tutti i lavoratori e tutte le sigle sindacali, Fiom compresa". ... E il Pd? All’interno del partito c’è stato chi ha lamentato l’assenza di una netta presa di posizione sul referendum. "Il Pd ha preso una posizione corretta. Abbiamo sottolineato l’importanza di questo investimento e quindi la necessità di non rinunciarvi - e in questo implicitamente c’era dunque l’auspicio dell’approvazione dell’accordo - e al tempo stesso non abbiamo esitato a riconoscere l’onerosità dell’accordo per i lavoratori. Soprattutto, abbiamo detto chiaramente che..."... In edicola il seguito dell'articolo, oppure clicca qui. 16 gennaio 2011
"Vulnus democratico, Confindustria pagherà" di Rinaldo Gianola | tutti gli articoli dell'autore camusso Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, ha appena terminato il direttivo della Cgil. Bisogna parlare del voto di Mirafiori, della Fiat, della proposta sulla rappresentanza. Ma al leader della Cgil chiediamo subito un pensiero sui 5400 lavoratori di Mirafiori. Camusso, cosa dice a quegli operai? "A nome mio e di tutta la Cgil voglio ringraziare tutti gli operai di Mirafiori, quelli del sì e quelli del no. In questi giorni mi ha molto colpito la grande vicinanza dei lavoratori e la richiesta che venisse difesa la loro dignità. Anche quando dicevano che avebbero votato sì perchè preoccupati del futuro, lo hanno fatto con coraggio, senza chinare la testa. Questa dignità, questa compostezza sono valori di cui dobbiamo essere fieri". Cosa l’ha colpita del caso Mirafiori? "Mi ha colpito negativamente l’ingiustizia che il mondo esterno ha caricato sui lavoratori di Torino, come se dal loro voto dipendessero il modello di sviluppo, l’orizzonte del lavoro, la strategia degli investimenti, le nuove relazioni industriali. E mentre si caricava sulle spalle degli operai questa responsabilità enorme, gli altri, dal governo alla politica, si sono divisi come tifoserie. Non avendo una straccio di idea su sviluppo, politica industriale, diritti, il paese ha preferito fregarsene le mani...". In edicola il seguito dell'articolo, oppure clicca qui. 16 gennaio 2011
Mirafiori, ecco cosa prevede l'accordo mirafiori fiat fabbrica torino box Mirafiori: ecco cosa prevede l'intesa del 23 dicembre che la Fiom non ha firmato e che i lavoratori votano nel referendum. L'accordo per lo stabilimento di Mirafiori firmato tra Fiat e i sindacati metalmeccanici, esclusa la Fiom-Cgil, riguarda solo i circa 5.400 dipendenti dello stabilimento Mirafiori Carrozzeria: i lavoratori passeranno alla joint venture Fiat-Chrysler, una "newco" ("new company", così definiscono una nuova società) per realizzare investimenti per un miliardo. I lavoratori si preparano a votare a partire da giovedi' alle 22.00. LA JOINT VENTURE FIAT-CHRYSLER La nuova società avrà un contratto di lavoro ad hoc e inizialmente non aderirà a Confindustria in attesa che venga formalizzato un nuovo contratto per il settore auto, almeno stando al cosiddetto 'Patto di New York' stabilito tra l'ad di Fiat Sergio Marchionne e la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. I rapporti di lavoro saranno regolati in base alle norme contenute nell'accordo separato, non sottoscritto dalla Fiom, firmato il 23 dicembre da Fim, Uilm, Ugl Metalmeccanici, Fismic, e Agenquadri. TURNI A regime i dipendenti lavoreranno su 18 turni (tre turni al giorno su sei giorni) con una settimana di sei giorni lavorativi e la successiva di quattro giorni. Il 18esimo turno sara' retribuito con la maggiorazione dello straordinario. Gli addetti alla manutenzione e alla centrale vernici lavoreranno su 21 turni (sette giorni su sette) mentre per gli addetti al turno centrale (quadri, impiegati e operai) l'orario sara' dalle 8.00 alle 17.00 con un'ora di pausa non retribuita. Con l'aumento dei turni si avranno circa 3.500 lordi annui in busta paga in piu'. DIVIETO DI SCIOPERO I lavoratori, dopo aver fatto il referendum e sottoscritto il contratto, non possono scioperare contro clausole contenute nell'accordo. Altrimenti rischiano del licenziamento. STRAORDINARI Possibilità di fare straordinari senza contrattazione. Si passerà dalle 40 ore previste annualmente dal contratto nazionale dei metalmeccanici a 120 ore del nuovo accordo. In sostanza saranno 120 le ore di straordinario obbligatorie ogni anno (15 sabati lavorativi), 80 in piu' delle 40 attuali. PAUSE Il nuovo accordo prevede 30 minuti di pausa, al posto degli attuali 40: tre di 10 minuti invece che due da 15 e una da 10. I 10 minuti in meno verranno retribuiti dall'azienda (32,47 euro al mese di compensazione). La pausa mensa di mezz'ora per ora rimarrà a metà turno. L'accordo prevede che lo spostamento a fine turno della pausa mensa sarà discusso all'entrata in vigore effettiva della joint venture tra Fiat e Chrysler. CASSA INTEGRAZIONE Si chiedera' la cassa integrazione straordinaria per tutto il personale dal 14 febbraio 2011 (quando finira' l'ordinaria) per la durata di un anno. RETRIBUZIONI La retribuzione annua individuale verrà aumentata di 3.700 euro per l'incidenza delle maggiorazioni di turno. ASSENTEISMO Diverse le soglie di assenteismo presentate nell'accordo. Quando il tasso di assenteismo a Mirafiori supererà determinate soglie progressive (6% dal luglio 2011, 4% dal gennaio 2012, 3% dal 2013) non verrà pagata al dipendente l'integrazione a carico dell'azienda relativa al primo giorno di malattia: in particolare a chi abbia iniziato la malattia, collegandosi a riposi, festività e ferie. Da questa norma sono esclusi i dipendenti affetti da gravi patologie. RAPPRESENTANZA SINDACALE Addio alle Rsu, le rappresentanze sindacali unitarie, aperte a firmatari e no ma comunque con un peso del 5%. Arrivano le Rsa, le rappresentanze sindacali aziendali. Il nuovo contratto ad hoc per Mirafiori non riconosce l'accordo interconfederale del 1993 sulla rappresentanza sindacale, ma si rifà allo Statuto dei lavoratori che prevede la rappresentanza solo per i firmatari del contratto. Chi non firma l'accordo, come la Fiom, non avrà delegati in fabbrica, né potrà indire assemblee. FORMAZIONE Saranno tenuti corsi di formazione per i lavoratori in cig: la frequenza sara' obbligatoria. ORGANICI Le assunzioni del personale per la joint venture saranno fatte prioritariamente dagli stabilimenti Fga di Mirafiori e successivamente dalle altre Fiat torinesi garantendo retribuzione e inquadramento precedenti. Sara' riconosciuta l'anzianita' aziendale pregressa e sara' liquidato il Tfr a chi lo chiedera'. CLAUSOLA DI RESPONSABILITA' Come gia' previsto per lo stabilimento di Pomigliano, il non rispetto degli impegni assunti con l'accordo comporta sanzioni in relazione a contributi sindacali, permessi per direttivi e permessi sindacali aggiuntivi allo Statuto dei Lavoratori. PRODUZIONE DAL 2012 A partire dal terzo trimestre del 2012 Mirafiori avvierà la produzione di Suv per i marchi Jeep e Alfa Romeo. Dal 14 gennaio i lavoratori torneranno in cassa integrazione per un anno e parteciperanno a programmi di formazione. A regime lo stabilimento torinese produrrà tra le 250mila e le 280mila unità, destinate ai mercati internazionali. Il Lingotto prevede di investire circa un miliardo, nel quadro dei 20 miliardi previsti dal progetto "Fabbrica Italia", presentato da Marchionne lo scorso aprile all'investor day. 11 gennaio 2011
Airaudo della Fiom, il leader della Porta 2 di O. Pivetta di Oreste Pivetta | tutti gli articoli dell'autore Gli operai sono generosi. Gli operai sentono il valore della solidarietà ". Poi aggiunge "chi tira la vita" per definire chi vive di lavoro e di fatica. Tirare conserva l’idea di un’esistenza che è un peso da trascinare, sperando di alleggerirlo un poco, lavorando, senza sotterfugi, senza furbate. "Chi tira la vita" sono parole di Giorgio Airaudo, sindacalista, uno che davanti ai cancelli di Mirafiori, alla porta 2, c’è stato giorno e notte e se ha lasciato Mirafiori è stato solo per correre in piazza Castello, per parlare ai torinesi, da un predellino (un altro predellino) dal furgone della Fiom, naturalmente, federazione italiana operai metalmeccanici, che già nel nome è una storia severa di lotte. Lo sento a mezzogiorno del giorno dopo, con il timore di svegliare chi ha passato la notte in piedi. In piedi Giorgio è ancora, unastanza del suo sindacato. Gli operai sono generosi perchè sanno di dover dare e ricevere solidarietà: con il compagno di linea, con la vicina di casa per affidarle i figli, con la gente di Torino cui affidare un volantino e una spiegazione... Per questo sono arretrati: la solidarietà non è unbene della nostra inventata modernità. La solidarietà fa anche comunità e dice Airaudo che nel fare comunità s’esprime l’identità della Fiom: "Nella politica non c’è comunità, le correnti non sono comunità". Giorgio Airaudo va per i cinquantuno: lì compirà il sedici di agosto. Nato a Torino, padre piemontese e metalmeccanico, madre istriana e metalmeccanica. Dalla madre gli viene quella chioma bionda, ormai sul grigio. Qualcuno l’avrà visto in televisione, qualcuno nelle foto dei giornali. Fisico robusto, perchè gli piace lo sport: camminare in montagna, ma ricorda d’aver anche arrampicato ("una volta...", dice con nostalgia), e il calcio. da tifoso della Juventus. S’era diplomatoperito elettronico, aveva lavoricchiato qui e là, anche insegnante precario di educazione fisica e verniciatore in una carrozzeria (poco, ma non s’è offeso alla battuta di Chiamparino: "non ha mai sollevato una piuma"), poi la politica nei movimenti tra gli anni settanta e ottanta e nella Fgci a Torino, quindi a Roma ai tempi di Folena, e nel 1988 il ritorno a Torino, non più nel partito, non lo volevano, ma nel sindacato, con Claudio Sabattini, segretario regionale della Cgil, il segretario della Fiom di celebri duelli con Cofferati e prima il responsabile del coordinamento Fiat nella storica, ormai, battaglia dei "35 giorni". Sabattini il tuo maestro? "Il maestro che mi disse subito: se non vai nelle fabbriche non farai mai il sindacalista". Airaudo comincia ad andare nelle fabbriche e comincia proprio a Mirafiori con i giovani assunti con i contratti di formazione e lavoro, i primi alla Fiat. Poi gli tocca la settima lega, quella di Collegno, un universo di piccole aziende. La prima trattativa è in una azienda che deve trasferirsi da Torino a Rivalta: "Vado a spiegare, in assemblea, con la paura addosso perchè dovrò spiegare che l’accordo si farà, salvando i posti di lavoro ma accettando il trasferimento. Mi immagino la pena di viaggi e mi dispiace che sia quella la condizione. Parlo, spiego, i lavoratori ascoltano e capiscono. Alla fine applaudono. Per questo dico che sono generosi". Airaudo ha un fratello, delegato sindacale, e una moglie (sottolinea "compagna", rivendicando il diritto alla "famiglia di fatto"), tre figli, quattro, sei e undici anni, due femmine e, quello di mezzo, un maschio. Legge molto, più romanzi che saggi, e ha un romanzo del cuore: Memorie di Adriano, di Marguerite Yourcenar, che uscì nel 1988. Tornerebbe alla politica? A questo punto, quando è diventato famoso da segretario della Fiom ai cancelli di Mirafiori, potrebbe candidarsi a sindaco di Torino. Gli piace Vendola, ma mi sembra soprattutto un’assonanza letteraria: questioni di narrazioni. In fondo ne avremmo bisogno di narrazioni che dicano ad esempio che cos’è il lavoro: "Mi sono commossoquando ho lettounarticolo in cui si tornava a raccontare una giornata alla catena di montaggio, quando ci sono da avvitare per ore viti e bulloni, in piedi, con in mano un avvitatore che pesa sei chili". Poi aggiunge che la prima vittoria della Fiom è stato "riportare al centro del lavoro". Riscoprire che il lavoro esiste ancora. Marchionne poteva saperlo, adesso lo saprà meglio. "Ha voluto affermare un potere, cercando con le sue clausole l’umiliazione del sindacato, rappresentandolo come arretrato e inaffidabile. I lavoratori sanno riconoscere le necessità di una fabbrica e se firmano un accordo lo rispettano" 16 gennaio 2011
2011-01-15 Mirafiori: vince il Sì per il voto degli impiegati Mirafiori, bruciate bandiere del Sì SCHEDE: CONTENUTI DELL'INTESA COME E QUANDO SI VOTA | COMMENTA
Ha vinto il si'. Ma la notte più lunga di Mirafiori, quella del referendum sul piano-Marchionne, è stata un vero e proprio testa a testa. Come in una lunga, estenuante partita di poker, i seggi sono stati 'spillati' uno ad uno. A decidere, a mettere a segno l'allungo decisivo per il Sì, è stato il seggio 5, quello dei 449 impiegati. Prima, nel count down iniziato con il seggio 9, il no era riuscito non solo a resiste, ma addirittura a segnare un certo vantaggio: i reparti del montaggio, roccaforti della Fiom, avevano risposto. Al voto, iniziato col turno delle 22.00 di giovedì, hanno partecipato 5.119 lavoratori, oltre il 94,2% degli aventi diritto. E il Sì ha vinto con 2.735 voti, pari al 54,05%. A votare No sono stati invece in 2.325 (45,95%), mentre le schede nulle e bianche sono state complessivamente 59. Questi i numeri ufficiali della commissione elettorale, dopo una nottata in cui le cifre diffuse hanno continuato a cambiare. Un'affluenza record che la dice lunga su quanto il referendum fosse sentito dal 'popolo' di Mirafiori. Il cancello 'due', simbolo di questa 2 giorni di passione per lo stabilimento storico della Fiat, è stato affollato tutta la notte da operai, militanti sindacali degli opposti schieramenti, ex dipendenti, giornalisti, fotografi e troupe televisive. ''Il clima in fabbrica e' tranquillo e disteso - ha detto uno degli operai piu' anziani uscendo dal turno cominciato al pomeriggio - e il voto si è svolto con lunghe code, ma in tranquillita'''. Ma nessuno, uscendo dalla fabbrica, aveva molta voglia di parlare. Il fronte del no ha retto per i primi 4 seggi: il 9, primo del montaggio; l'8, quello della 'riconta'; e il 7 e il 6, sempre del montaggio. Poi il sorpasso del Sì', con un plebiscito dei colletti bianchi a favore del piano: 421 voti a favore e solo 20 contrari. In altalena, con lieve predominanza dei Sì, lo spoglio dei seggi restanti. Fino all'ultimo, che ha segnato la vittoria ai punti: impossibile per il fronte del No recuperare lo svantaggio. Ma lo scarto, nel voto operaio, è stato solo di 9 punti. Nella lunga nottata di Mirafiori (dove alcuni militanti del no a volto coperto hanno bruciato bandiere dello schieramento avverso) non è mancato nemmeno un piccolo 'giallo', che ha coinvolto il seggio 8, dove la scomparsa di 58 schede ha costretto la commissione elettorale e congelare prima e ricalcolare poi il voto. Anche la fase finale dello spoglio, a vittoria del Sì già acquisita, ha avuto attimi di confusione: l'esultanza rumorosa di un membro Fismic della commissione, ha causato infatti una lite con tanto di spintoni. Un rappresentante Fiom ha avuto un malore si è dovuto chiamare una ambulanza per soccorrerlo. Poi, alle 6.00 di questa mattina, proprio mentre gli operai del turno di notte lasciavano lo stabilimento, che oggi non vedrà nessuno al lavoro, l'esito finale: vittoria del Sì.
CRONACA DELLA LA NOTTE DEL REFERENDUM SCHEDE MANCANTI, GIALLO RISOLTO Pare risolto il giallo delle schede: era stato calcolato erroneamente il numero degli aventi diritti al voto. La commissione in pratica avrebbe vidimato 55 schede in più che non sarebbero state utilizzate. Per un calcolo corretto dagli 830 aventi diritto vanno sottratte le 55 schede vidimate erroneamente per arrivare a un totale degli aventi diritto di 775. In questo modo, tra schede nulle e mancanti, ballano sette schede. Erano infatti 768 i voti certificati. "A questo punto il voto è valido", fanno sapere dalla Fim. Il dato finale sarebbe di 360 sì e 407 no. DOPO TRE SEGGI: NO 53% Dopo lo scrutinio di tre seggi (reparti montaggio) il no al referendum di Mirafiori è in vantaggio con il 52,43% dei voti. I contrari all'accordo, riferiscono fonti sindacali, sono stati 1.143. I sì hanno raccolto 1.011 voti pari al 47%. Resta il giallo su 58 schede mancanti. Le schede bianche o nulle sono 26, pari all'1,19%. I tre seggi scrutinati sono tradizionalmente favorevoli alla Fiom e ai Cobas. Ma il risultato resta senza dubbio significativo. TERZO SEGGIO MONTAGGIO: 374 NO, 349 SI' Anche nel seggio numero sette, sempre del reparto montaggio, dello stabilimento di Mirafiori i no hanno prevalso sui si': 374 no a fronte di 349 si'. IPOTESI: TESTA A TESTA, POI LIEVE VANTAGGIO DEI SI' Ipotetiche previsioni d'agenzia di stampa danno un possibile vantaggio del no in tutti i seggi dei lavoratori del montaggio, probabilmente i piu' penalizzati dall'accordo, e quindi il seggio 9, 8, 7 e 6. I seggi 3 e 4 destinati agli addetti alla verniciatura, con un numero nettamente minore di voti totali, vengono ritenuti a leggera maggioranza dei sì. Per i seggi 1 e 2 degli operai della lastratura si prevede un sostanziale testa a testa. Potrebbe risultare determinante il voto dei 441 impiegati del seggio 5, dove dovrebbe la grandissima maggioranza saerbbe a favore del sì. TERZO SEGGIO MONTAGGIO: AVANTI I NO Anche nel terzo seggio (montaggio) i no al referendum di Mirafiori stanno avendo la meglio. I contrari all'accordo sono per il momento 341 contro 321 sì. Hanno votato in stati 732. In questo seggio c'è una prevalenza della Fiom rispetto agli altri sindacati. GIALLO SCHEDE: FORSE SEGGI VICINI, ERRORE VOTANTI La possibile spiegazione del ''giallo'' delle decine di schede ''scomparse'' nel seggio 8 del referendum di Mirafiori potrebbe consistere nel fatto che 4 grandi seggi (il numero 8 'congelato', il 7, il 6 e il 5) sono stati allestiti in un'unica grande sala di un ex ristorante e quindi i votanti avrebbero potuto introdurre le schede in un altro seggio e non in quello di appartenenza.
RIPARTE LO SPOGLIO MA RISCHIO INVALIDAZIONE Una parte della Commissione elettorale dello stabilimento Fiat di Mirafiori si ''stacca'' dal resto per dedicarsi al riesame delle schede del seggio numero 8 e all'esame degli elenchi elettorali per risolvere il 'giallo' delle 58 schede mancanti. Il resto della Commissione va avanti con lo scrutinio del seggio numero sette (sempre nel reparto montaggio). E chiaro che se non si risolve il giallo, le schede non si trovano negli altri seggi nè si scopre l'errore negli elenchi il voto complessivo sull'accordo di Mirafiori rischia di essere invalidato. CONGELATO ESITO SECONDO SEGGIO MONTAGGIO Congelato l'esito del secondo seggio del Montaggio: non tornano i conti su 58 schede.
FISMIC: "ESISTO DEL VOTO COMPLICATO" "Ci aspettavamo il testa a testa a Mirafiori". Lo ha detto il segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo, commentando i primi dati dello scrutinio a Mirafiori. "Alla fine - ha aggiunto a Skytg24 - l'esito del voto sarà complicato". LO SCRUTINIO PROCEDE SEGGIO PER SEGGIO Lo scrutinio del referendum a Mirafiori sta procedendo conteggiando le schede seggio per seggio, il che rende più lunghi del previsto i tempi per il conteggio delle schede. Lo scrutinio del primo seggio ha richiesto quasi un'ora per la richiesta di riconteggio per lo scarto di una-due schede. Il secondo seggio scrutinato è il numero 8, anch'esso riservato agli operai del montaggio, dove si è delineando un sostanziale testa a testa tra i Sì e No. SKY: ANCHE SECONDO SEGGIO VINCE NO Sky Tg24: nel secondo seggio ha vinto il no, come nel primo: 447 a 362. SEGGIO N.8 META' SEGGIO: TESTA A TESTA A metà' dello scrutinio delle schede del secondo seggio (il numero 8, montaggio) c'è un sostanziale testa a testa tra i Sì e i No all'accordo sul rilancio dell'impianto torinese della Fiat. Secondo foni sindacali su circa 400 schede scrutinate (su 836) sì e No si equivalgono. IL REPARTO N. 9 BOCCIA L'ACCORDO I lavoratori del reparto numero 9 (montaggio) hanno bocciato l'accordo separato per Mirafiori. I no sono infatti stati 362 contro i 300 sì (7 le schede non valide). Si tratta del dato definito di questo reparto. UN'OPERAIA: SI SA CHE C'E' PARITA' ''E' impossibile per noi pensare come sia andata - dice un'operaia uscendo dalla fabbrica - ma i primissimi dati che abbiamo sentito dello scrutinio indicherebbero per ora una sostanziale parita' tra si' e no''. REPARTO MONTAGGIO: 600 SCHEDE, AVANTI I NO Su circa 600 schede scrutinate al reparto montaggio delle carrozzerie di Mirafiori il no è avanti con 362 voti contro i 302 raccolti dal sì (54,6% No, 45,4% Sì). Un risultato comunque atteso in un reparto in cui la Fiom tradizionalmente è sempre stata forte. GLI OPERAI FINISCONO IL TURNO ''Il clima in fabbrica è tranquillo e disteso - dice uno degli operai più anziani - e il voto si è svolto con lunghe code, ma in tranquillità". Gli operai lasciano la fabbrica dopo il tuno del pomeriggio. SI E NO AL 50% NELLE PRIME 150 SCHEDE Nei primi 15 minuti dello spoglio del referendum allo stabilimento Fiat di Mirafiori le prime 150 schede si sono divise al 50% tra i Sì ed i No all'accordo Fiat-sindacati sul futuro dello stabilimento torinese della Fiat. Lo hanno reso noto i sindacalisti dell'Unione Sindacale di Base al presidio che si trova davanti ai cancelli dello stabilimento. L'ATTESA DEI RISULTATI Con la conclusione delle operazioni di voto è cominciata di fronte ai cancelli l'attesa per i risultati del referendum, cruciale per i destini della fabbrica. Presenti diverse decine di persone in grandissima parte contrarie all'accordo e spiccano le bandiere di Rifondazione Comunista, Sinistra Critica e Unione Sindacale di Base. Con una temperatura particolarmente rigida, di qualche grado sotto lo zero, pochissimi i lavoratori presenti, mentre di fronte ai cancelli rimane qualche rappresentante sindacale in contatto dei propri delegati all'interno della fabbrica. LO SPOGLIO CON 45 MINUTI DI RITARDO Hanno votato per il referendum sullo stabilimento Fiat di Mirafiori 5.213 lavoratori (96% aventi diritto). Lo riferiscono fonti vicini alla commissione elettorale, fornendo il dato ufficiale e correggendo il dato dei 5.218 dato inizialmente dai sindacati. Ecco i votanti seggio per seggio: nel primo (lastratura) ci sono 442 schede, nel secondo sempre in lastratura ce ne sono 424, nel terzo (verniciatura, e magazzinaggio) sono 240 mentre nel terzo sempre nel reparto magazzinaggio ce ne sono 218. Nel reparto impiegati le schede sono 449, nel sesto seggio (montaggio) ce ne sono 819 mentre nel settimo, sempre montaggio, sono 732. Nell'ottavo seggio ancora montaggio sono 836 mentre nel nono sono 669. Nel turno di notte notte hanno votato 384 lavoratori. Le operazioni di scrutinio sono iniziate in ritardo di 45 minuti rispetto alle previsioni. INIZIATO LO SCRUTINIO Nello stabilimento di Mirafiori sono iniziate le operazioni di scrutinio. Lo riferisce l'Ugl. La commissione elettorale dovrà scrutinare 5.218 schede (il 96,07% degli aventi diritto al voto). LA FIOM: "NON E' STATA UNA PROVA DI LIBERTA'" "Ci aspettavamo questa affluenza molto alta, che non è così distante da quella abituale alle elezioni della Rsu a Mirafiori". Così Federico Bellono, segretario della Fiom Piemonte, commentando ai giornalisti il risultato sull'affluenza al referendum sull'accordo siglato con la Fiat da tutti i sindacati, esclusa la Fiom. "L'affluenza di per sè non ha un significato particolare rispetto all'esito - ha aggiunto bellono - anche perchè i lavoratori che hanno votato hanno confermato il loro orientamento con opinioni diverse e quelli che hanno espresso un'opinione favorevole al referendum hanno detto che l'alternativa è tra l'accordo e il rischio della chiusura dell'azienda. Questo conferma che il referendum non è stato una prova di libertà, ma una consultazione sotto fortissima pressione". CHIUSE LE URNE Le urne per il voto sull'accordo di Mirafiori sono state chiuse alle 19.30. Ora verranno stilati i verbali di voto e successivamente si procederà al conteggio di tutte le schede. I risultati ufficiali sono attesi in tarda serata . ALTISSIMA AFFLUENZA: PIU' DI POMIGLIANO. Affluenza record alle urne delle carrozzerie di Mirafiori per il referendum sull'accordo per il rilancio dello stabilimento Fiat: hanno votato 5.218 lavoratori su 5.431 aventi diritto pari al 96,07% del totale. Si supera quindi l'affluenza registrata a Pomigliano per il voto di quest'estate. IL MINISTRO SACCONI: "IL NO E' IRREVERSIBILE" Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi si è detto convinto che con la vittoria del no la situazione sarebbe ''sostanzialmente irreversibile il giorno dopo'' con il rischio di perdere un investimento ''decisivo per l'intera filiera dell'auto italiana''. SUPERATO IL QUORUM È stato superato il quorum per la validità del referendum sull'accordo del 23 dicembre sul futuro di Mirafiori. Per il turno del mattino è stato finora registrato il voto di 2.675 dipendenti che, sommati ai 384 del turno di notte, fanno superare quota 3 mila voti validi. "L'affluenza è altissima - afferma Eros Panicali, della segreteria nazionale della Uilm - e con questo dato il quorum del 50% più un voto perchè il referendum, sia valido è stato superato". Il dato dei votanti non è definitivo per il turno del mattino e le percentuali di affluenza devono essere ancora calcolate sulla base dei dati di presenza nei reparti che deve comunicare l'azienda. Nel turno di notte allo stabilimento di Mirafiori della Fiat hanno votato per il referendum per l'accordo sul rilancio dell'impianto il 97,7% dei lavoratori presenti. Secondo quanto si apprende sono andati alle urne 384 lavoratori su 393 presenti. Nel turno di notte hanno lavorato piu' persone rispetto alle stime iniziali, in quanto la produzione leggermente aumentata ha richiesto un numero maggiore di addetti. Di fronte ai cancelli di Mirafiori con le prime luci del mattino il clima e' del tutto tranquillo ed e' ancora scarsa la presenza di delegati e attivisti sindacali a sostegno delle diverse posizioni nel referendum. Tra molte bandiere colorate dei diversi sindacati e striscioni tutti contrari all'accordo lavorano solo le truppe televisive per le dirette delle diverse reti. A meta' giornata e' previsto il cambio turno dei lavoratori del mattino che stanno votando nei nove seggi allestiti per loro. La vigilia ''Cosa sceglieremo non lo so, ma vi assicuro che voteremo tutti''. Al cambio turno di fine giornata, il giovane operaio lascia Mirafiori dopo otto di lavoro parlando del clima che si respira in fabbrica. Un clima carico di tensione e difficile da capire, anche da parte di chi Mirafiori la conosce bene, come delegati, sindacalisti e lavoratori piu' esperti. La conferma e' arrivata fin dalla mattinata, quando l'ultima assemblea delle sigle che hanno firmato l'accordo del 23 dicembre non si e' tenuta per l'esiguo numero di partecipanti. A differenza della riunione pubblica organizzata la sera prima, nel centro di Torino, con istituzioni e associazioni produttive, tanto partecipata che non tutti sono riusciti a entrare nella grande sala della Galleria d'arte moderna, questa volta pochissimi lavoratori si sono presentati nella sala parrocchiale nei pressi dello stabilimento Fiat, uno spazio esterno alla fabbrica che da tempo viene utilizzato dai sindacati favorevoli all'intesa per tenere le proprie assemblee. Per loro, lo spazio davanti ai cancelli della porta 2, luogo simbolo di tanti momenti della storia sindacale alla Fiat, non e' piu' agibile. Anzi, per la Fismic c'e' oggi ''un clima di intolleranza''. Cosi', per gran parte della giornata, davanti ai cancelli sono stati presenti quasi solo rappresentanti del 'no', a cominciare da quelli della Fiom e dei Cobas. Sono arrivati anche alcuni lavoratori di Pomigliano, contrari ai cambiamenti che la Fiat intende introdurre nei suoi stabilimenti. A parte qualche discussione isolata, ripresa da telecamere e macchine fotografiche, non vi sono state tensioni dopo quelle dei giorni scorsi e anche le visite di un gruppo di sindaci della Val di Susa, sostanzialmente contrari all'accordo, e di qualche politico, come Marco Ferrando, portavoce del partito comunista dei lavoratori, si e' svolta senza alcuna tensione. Al di la' dei cancelli, dentro lo stabilimento, dopo gli incontri promossi ieri dall'azienda per far spiegare i contenuti dell'accordo da capi e responsabili dei reparti, con la parziale sospensione della produzione (''Una cosa mai vista prima'', dicono diversi lavoratori) oggi ci sono state due assemblee organizzate dal 'fronte del no' all'intesa, una per il turno del mattino. A entrambe ha partecipato il segretario della Fiom, Maurizio Landini, che ha ribadito che non vuol dare indicazioni ufficiali di voto, perche' ritiene il referendum ''illegittimo e organizzato sotto ricatto''. E che non firmera' mai l'intesa, nemmeno in ''via tecnica''. Con il tramonto, e' calato il sipario, almeno per qualche ora, in attesa di riaccendere le luci: quelle dei set televisivi dei telegiornali e delle trasmissioni di approfondimento di prima serata, ma soprattutto quelle sulle urne che, dalle 22, daranno la parola, quella vera, ai lavoratori. Susanna Camusso: "La Fiom resterà in fabbrica" "Comunque vada nella fabbrica ci torneremo". Così la segretaria della Cgil Susanna Camusso a proposito del fatto che la Fiom potrebbe uscire da Mirafiori se i referendum di oggi e domani facesse vincere i sì all'intesa raggiunta sullo stabilimento Fiat di Torino. "La Fiom - ha sottolineato Susanna Camusso a margine delle giornate dell'economia cooperativa organizzate presso il sole 24 ore - è una grande organizzazione con migliaia di iscritti e non viene cancellata così, evitiamo di attribuire all'a.d. di fiat il potere di cambiare la storia, le tradizioni del nostro paese". "BERLUSCONI ABDICA AL SUO RUOLO" A chi le chiedeva se si aspettava l'affermazione del presidente del Consiglio relativa alle "buone ragioni" per la Fiat di abbandonare Torino in caso di vittoria del no al referendum sull'accordo di Mirafiori, Camusso ha replicato a margine di un convegno organizzato dalla Lega delle Cooperative: "No, non me lo aspettavo, perchè in un paese normale un governo, di fronte a una impresa che vuole fare investimenti, avrebbe fatto tutto diversamente". Secondo la segretaria generale della Cgil l'esecutivo avrebbe dovuto "chiamare l'impresa e verificare gli investimenti". "Non avendo fatto tutto ciò invece si fa spettacolo e, se si guarda la coreografia, lo si fa proprio di fianco alla presidente di un paese che ha detto di no (a Marchionne, ndr) perchè non dava abbastanza garanzie", ha proseguito parlando della cancelliere Angela Merkel e delle trattative, tramontate, per l'acquisto di Opel da parte della Fiat. A chi le chiedeva se davvero in caso di vittoria del no reputasse che la Fiat possa lasciare Torino, Camusso ha replicato secca: "Domandatelo al presidente del Consiglio che da tempo ha abdicato dal fare il suo mestiere". Riguardo al referendum e alle previsioni sull'esito,"rispettiamo i lavoratori che debbono decidere autonomamente sul loro futuro, è una scelta difficile e non si può trasformare in una partigianeria", ha concluso. "Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi fa spettacolo e ha abdicato al suo mestiere", ha detto la Camusso. 15 gennaio 2011
2011-01-14 Mirafiori, vota il 97,7% del turno di notte IMG Nel turno di notte allo stabilimento di Mirafiori della Fiat hanno votato per il referendum per l'accordo sul rilancio dell'impianto il 97,7% dei lavoratori presenti. Secondo quanto si apprende sono andati alle urne 384 lavoratori su 393 presenti. Nel turno di notte hanno lavorato piu' persone rispetto alle stime iniziali, in quanto la produzione leggermente aumentata ha richiesto un numero maggiore di addetti. Di fronte ai cancelli di Mirafiori con le prime luci del mattino il clima e' del tutto tranquillo ed e' ancora scarsa la presenza di delegati e attivisti sindacali a sostegno delle diverse posizioni nel referendum. Tra molte bandiere colorate dei diversi sindacati e striscioni tutti contrari all'accordo lavorano solo le truppe televisive per le dirette delle diverse reti. A meta' giornata e' previsto il cambio turno dei lavoratori del mattino che stanno votando nei nove seggi allestiti per loro. La vigilia ''Cosa sceglieremo non lo so, ma vi assicuro che voteremo tutti''. Al cambio turno di fine giornata, il giovane operaio lascia Mirafiori dopo otto di lavoro parlando del clima che si respira in fabbrica. Un clima carico di tensione e difficile da capire, anche da parte di chi Mirafiori la conosce bene, come delegati, sindacalisti e lavoratori piu' esperti. La conferma e' arrivata fin dalla mattinata, quando l'ultima assemblea delle sigle che hanno firmato l'accordo del 23 dicembre non si e' tenuta per l'esiguo numero di partecipanti. A differenza della riunione pubblica organizzata la sera prima, nel centro di Torino, con istituzioni e associazioni produttive, tanto partecipata che non tutti sono riusciti a entrare nella grande sala della Galleria d'arte moderna, questa volta pochissimi lavoratori si sono presentati nella sala parrocchiale nei pressi dello stabilimento Fiat, uno spazio esterno alla fabbrica che da tempo viene utilizzato dai sindacati favorevoli all'intesa per tenere le proprie assemblee. Per loro, lo spazio davanti ai cancelli della porta 2, luogo simbolo di tanti momenti della storia sindacale alla Fiat, non e' piu' agibile. Anzi, per la Fismic c'e' oggi ''un clima di intolleranza''. Cosi', per gran parte della giornata, davanti ai cancelli sono stati presenti quasi solo rappresentanti del 'no', a cominciare da quelli della Fiom e dei Cobas. Sono arrivati anche alcuni lavoratori di Pomigliano, contrari ai cambiamenti che la Fiat intende introdurre nei suoi stabilimenti. A parte qualche discussione isolata, ripresa da telecamere e macchine fotografiche, non vi sono state tensioni dopo quelle dei giorni scorsi e anche le visite di un gruppo di sindaci della Val di Susa, sostanzialmente contrari all'accordo, e di qualche politico, come Marco Ferrando, portavoce del partito comunista dei lavoratori, si e' svolta senza alcuna tensione. Al di la' dei cancelli, dentro lo stabilimento, dopo gli incontri promossi ieri dall'azienda per far spiegare i contenuti dell'accordo da capi e responsabili dei reparti, con la parziale sospensione della produzione (''Una cosa mai vista prima'', dicono diversi lavoratori) oggi ci sono state due assemblee organizzate dal 'fronte del no' all'intesa, una per il turno del mattino. A entrambe ha partecipato il segretario della Fiom, Maurizio Landini, che ha ribadito che non vuol dare indicazioni ufficiali di voto, perche' ritiene il referendum ''illegittimo e organizzato sotto ricatto''. E che non firmera' mai l'intesa, nemmeno in ''via tecnica''. Con il tramonto, e' calato il sipario, almeno per qualche ora, in attesa di riaccendere le luci: quelle dei set televisivi dei telegiornali e delle trasmissioni di approfondimento di prima serata, ma soprattutto quelle sulle urne che, dalle 22, daranno la parola, quella vera, ai lavoratori. Susanna Camusso: "La Fiom resterà in fabbrica" "Comunque vada nella fabbrica ci torneremo". Così la segretaria della Cgil Susanna Camusso a proposito del fatto che la Fiom potrebbe uscire da Mirafiori se i referendum di oggi e domani facesse vincere i sì all'intesa raggiunta sullo stabilimento Fiat di Torino. "La Fiom - ha sottolineato Susanna Camusso a margine delle giornate dell'economia cooperativa organizzate presso il sole 24 ore - è una grande organizzazione con migliaia di iscritti e non viene cancellata così, evitiamo di attribuire all'a.d. di fiat il potere di cambiare la storia, le tradizioni del nostro paese". "BERLUSCONI ABDICA AL SUO RUOLO" A chi le chiedeva se si aspettava l'affermazione del presidente del Consiglio relativa alle "buone ragioni" per la Fiat di abbandonare Torino in caso di vittoria del no al referendum sull'accordo di Mirafiori, Camusso ha replicato a margine di un convegno organizzato dalla Lega delle Cooperative: "No, non me lo aspettavo, perchè in un paese normale un governo, di fronte a una impresa che vuole fare investimenti, avrebbe fatto tutto diversamente". Secondo la segretaria generale della Cgil l'esecutivo avrebbe dovuto "chiamare l'impresa e verificare gli investimenti". "Non avendo fatto tutto ciò invece si fa spettacolo e, se si guarda la coreografia, lo si fa proprio di fianco alla presidente di un paese che ha detto di no (a Marchionne, ndr) perchè non dava abbastanza garanzie", ha proseguito parlando della cancelliere Angela Merkel e delle trattative, tramontate, per l'acquisto di Opel da parte della Fiat. A chi le chiedeva se davvero in caso di vittoria del no reputasse che la Fiat possa lasciare Torino, Camusso ha replicato secca: "Domandatelo al presidente del Consiglio che da tempo ha abdicato dal fare il suo mestiere". Riguardo al referendum e alle previsioni sull'esito,"rispettiamo i lavoratori che debbono decidere autonomamente sul loro futuro, è una scelta difficile e non si può trasformare in una partigianeria", ha concluso. "Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi fa spettacolo e ha abdicato al suo mestiere", ha detto la Camusso. 13 gennaio 2011
Torino, la Fiat, gli operai... Se gli intellettuali escono dal sonno di Rinaldo Gianola | tutti gli articoli dell'autore operai fiat marchionne All’ingresso della Sala Valdese di corso Vittorio Emanuele avanza solitaria ed elegante la figura di Gianni Vattimo, filosofo temerario capace di studiare con Hans-Georg Gadamer e Luigi Pareyson e di attraversare con leggerezza ma senza rinunciare allo scontro e alla polemica la politica italiana, dai radicali al pd, fermandosi, per ora, ad Antonio Di Pietro. Caro professore, come la mettiamo con gli intellettuali, Torino e la Fiat? Cosa avete combinato? "Non va così male, come si potrebbe pensare perchè quelli che hanno ancora la forza di parlare qualche cosa giusta l’hanno detta, si sono schierati per il no all’accordo di Mirafiori, hanno difeso i diritti degli operai. Il mio rammarico è la politica, quella dei partiti e degli amministratori, e anche il sindacato. Dopo la vittoria del sì cosa facciamo, che lotte pensa di mettere in campo la Cgil? Il diritto di sciopero è un diritto individuale sancito dalla Costituzione, possiamo iniziare da qui, ma dobbiamo pensare ad autorganizzarci, a trovare nuovi sbocchi". Ci sono i partiti per questo? "Ma quali partiti vuol trovare... ". In edicola il seguito di quest'articolo, oppure clicca qui 14 gennaio 2011
2011-01-13 Mirafiori vota, Camusso: la Fiom resterà in fabbrica Voto Mirafiori ''Cosa sceglieremo non lo so, ma vi assicuro che voteremo tutti''. Al cambio turno di fine giornata, il giovane operaio lascia Mirafiori dopo otto di lavoro parlando del clima che si respira in fabbrica. Un clima carico di tensione e difficile da capire, anche da parte di chi Mirafiori la conosce bene, come delegati, sindacalisti e lavoratori piu' esperti. La conferma e' arrivata fin dalla mattinata, quando l'ultima assemblea delle sigle che hanno firmato l'accordo del 23 dicembre non si e' tenuta per l'esiguo numero di partecipanti. A differenza della riunione pubblica organizzata la sera prima, nel centro di Torino, con istituzioni e associazioni produttive, tanto partecipata che non tutti sono riusciti a entrare nella grande sala della Galleria d'arte moderna, questa volta pochissimi lavoratori si sono presentati nella sala parrocchiale nei pressi dello stabilimento Fiat, uno spazio esterno alla fabbrica che da tempo viene utilizzato dai sindacati favorevoli all'intesa per tenere le proprie assemblee. Per loro, lo spazio davanti ai cancelli della porta 2, luogo simbolo di tanti momenti della storia sindacale alla Fiat, non e' piu' agibile. Anzi, per la Fismic c'e' oggi ''un clima di intolleranza''. Cosi', per gran parte della giornata, davanti ai cancelli sono stati presenti quasi solo rappresentanti del 'no', a cominciare da quelli della Fiom e dei Cobas. Sono arrivati anche alcuni lavoratori di Pomigliano, contrari ai cambiamenti che la Fiat intende introdurre nei suoi stabilimenti. A parte qualche discussione isolata, ripresa da telecamere e macchine fotografiche, non vi sono state tensioni dopo quelle dei giorni scorsi e anche le visite di un gruppo di sindaci della Val di Susa, sostanzialmente contrari all'accordo, e di qualche politico, come Marco Ferrando, portavoce del partito comunista dei lavoratori, si e' svolta senza alcuna tensione. Al di la' dei cancelli, dentro lo stabilimento, dopo gli incontri promossi ieri dall'azienda per far spiegare i contenuti dell'accordo da capi e responsabili dei reparti, con la parziale sospensione della produzione (''Una cosa mai vista prima'', dicono diversi lavoratori) oggi ci sono state due assemblee organizzate dal 'fronte del no' all'intesa, una per il turno del mattino. A entrambe ha partecipato il segretario della Fiom, Maurizio Landini, che ha ribadito che non vuol dare indicazioni ufficiali di voto, perche' ritiene il referendum ''illegittimo e organizzato sotto ricatto''. E che non firmera' mai l'intesa, nemmeno in ''via tecnica''. Con il tramonto, e' calato il sipario, almeno per qualche ora, in attesa di riaccendere le luci: quelle dei set televisivi dei telegiornali e delle trasmissioni di approfondimento di prima serata, ma soprattutto quelle sulle urne che, dalle 22, daranno la parola, quella vera, ai lavoratori. Susanna Camusso: "La Fiom resterà in fabbrica" "Comunque vada nella fabbrica ci torneremo". Così la segretaria della Cgil Susanna Camusso a proposito del fatto che la Fiom potrebbe uscire da Mirafiori se i referendum di oggi e domani facesse vincere i sì all'intesa raggiunta sullo stabilimento Fiat di Torino. "La Fiom - ha sottolineato Susanna Camusso a margine delle giornate dell'economia cooperativa organizzate presso il sole 24 ore - è una grande organizzazione con migliaia di iscritti e non viene cancellata così, evitiamo di attribuire all'a.d. di fiat il potere di cambiare la storia, le tradizioni del nostro paese". "BERLUSCONI ABDICA AL SUO RUOLO" A chi le chiedeva se si aspettava l'affermazione del presidente del Consiglio relativa alle "buone ragioni" per la Fiat di abbandonare Torino in caso di vittoria del no al referendum sull'accordo di Mirafiori, Camusso ha replicato a margine di un convegno organizzato dalla Lega delle Cooperative: "No, non me lo aspettavo, perchè in un paese normale un governo, di fronte a una impresa che vuole fare investimenti, avrebbe fatto tutto diversamente". Secondo la segretaria generale della Cgil l'esecutivo avrebbe dovuto "chiamare l'impresa e verificare gli investimenti". "Non avendo fatto tutto ciò invece si fa spettacolo e, se si guarda la coreografia, lo si fa proprio di fianco alla presidente di un paese che ha detto di no (a Marchionne, ndr) perchè non dava abbastanza garanzie", ha proseguito parlando della cancelliere Angela Merkel e delle trattative, tramontate, per l'acquisto di Opel da parte della Fiat. A chi le chiedeva se davvero in caso di vittoria del no reputasse che la Fiat possa lasciare Torino, Camusso ha replicato secca: "Domandatelo al presidente del Consiglio che da tempo ha abdicato dal fare il suo mestiere". Riguardo al referendum e alle previsioni sull'esito,"rispettiamo i lavoratori che debbono decidere autonomamente sul loro futuro, è una scelta difficile e non si può trasformare in una partigianeria", ha concluso. "Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi fa spettacolo e ha abdicato al suo mestiere", ha detto la Camusso. 13 gennaio 2011
Pd: scontro su Fiat, veltroniani contro Bersani IMG GENTILONI: NON CONDIVIDIAMO LA LINEA Gentiloni uscendo dalla riunione per la pausa ai cronisti ribadisce quanto detto nella direzione: "pur apprezzando molti punti della relazione non condividiamo la linea, soprattutto sulla Fiat". BRESSA: MODEM INCOERENTI SE RESTANO AI VERTICI Gianclaudio Bressa, esponente vicino a Dario Franceschini, critica l'intervento di Gentiloni: ''Credo che per i Modem si apra un problema di coerenza: come si puo' continuare a gestire importanti incarichi in un partito di cui non si condivide la linea?''. CHIAMPARINO: POCO CORAGGIO PER UN SI' SU FIAT Il sindaco di Torino Sergio Chiamparino lasciando la direzione nazionale del Pd critica la linea del segretario: "Se votassi mi asterrei perché non ci sono nella relazione di Bersani passi avanti significativi per parlare al paese. Da Bersani mi aspettavo parole più nette e certe a sostegno del sì al referendum di Mirafiori perché se vince il sì restano aperte tutte le possibilità di investimento, se invece vince il no temo una sorta di limbo". Al riguardo per Chiamparino c'è stato "poco coraggio" a dire sì. SCALFAROTTO: NO AD ACCORDO CON TERZO POLO ''Il Pd non puo' essere come l'acqua che non ha una propria forma, ma assume quella del recipiente in cui viene messa''. Con questa immagine Ivan Scalfarotto, vice presidente del Pd, ha espresso il suo no all'ipotesi di un accordo con il terzo polo, nel suo intervento alla Direzione del Pd. L'alternativa, per il Pd, e' quella di tornare a riscoprire la propria vocazione riformista, e soprattutto ''a dire cose chiare'' su una serie di temi importanti. Per esempio sulla Fiat ''dovremmo dire con chiarezza che la contrapposizione tra capitale e lavoro e' una cosa dello scorso secolo''. GENTILONI: NO A CARTELLO DA VENDOLA A TERZO POLO "Chiediamo più chiarezza - ha aggiunto Gentiloni - sia su Mirafiori che secondo noi è un accordo positivo, sia sul tema delle alleanze: è sbagliato continuare a inseguire il miraggio di un cartello elettorale che va da Vendola a Di Pietro fino al Terzo Polo". GENTILONI: PD DOVEVA SCHIERARSI CON MARCHIONNE L'area di Movimento democratico non si riconosce nella relazione del segretario Pier Luigi Bersani. Lo ha detto Paolo Gentiloni, durante la direzione del partito e criticando la scelta del segretario di chiedere un voto dell'organismo sull'intervento pronunciato da lui questa mattina. "Servono scelte piu' chiare, in particolare su Fiat e alleanze". E ha aggiunto: ''Io avrei esclusa l'esigenza di un voto finale Bersani tuttavia lo chiede e noi anticipiamo a questo punto la nostra decisione di votare contro''. MOVIMENTO DEMOCRATICO VOTERA' CONTRO BERSANI Movimento democratico (che ha come leader Veltroni, Gentiloni, Fioroni) votera' alla direzione del Pd contro la relazione del segretario Pier Luigi Bersani. Lo ha annunciato, a nome dei Modem, Paolo Gentiloni al termine del suo intervento. FRANCESCHINI: DIALOGO CON FINI E CASINI HA LOGORATO PREMIER Franceschini: la richiesta di un voto alla Direzione del Pd non e' la ricerca di una ''conta interna'', bensi' nasce dalla necessita' di avere ''chiarezza'' sulla linea del partito. Serve insomma a valutare se ci sono linee alternative. FRANCESCHINI: DIALOGO CON FINI E CASINI HA LOGORATO PREMIER La scelta del Pd di cercare un dialogo con Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini è stata giusta, è servita ad indebolire Berlusconi e bisogna continuare senza farsi condizionare dalle interviste. Il capogruppo Pd alla Camera, Dario Franceschini, è intervenuto alla Direzione rivendicando l'idea del "patto repubblicano" che lui e il segretario hanno sostenuto in questi mesi. FRANCESCHINI TEME "COLPO DI MANO" DI BERLUSCONI Per Franceschini il premier - in difficoltà nel governare non avendo i numeri, avra' la ''tentazione di andare ad elezioni anticipate''. Franceschini poi teme un futuro a tinte fosche, con un ''colpo di mano'' da parte di Berlusconi che rilancerebbe cosi' ''una linea che aggrava il carattere autoritario della sua politica''. BERSANI: PRIMARIE LOGORATE, VANNO RIFORMATE ''Riformare le primarie per salvarle''. Lo ha detto Bersani alla Direzione del Pd per spiegare la propria posizione su questo tema. Il segretario ha detto nella sua relazione che le primarie in corso, per scegliere i candidati per le amministrative di primavera, verranno tutte svolte. E per le primarie future ''la parola d'ordine e' riformarle per salvarle''. Bersani ha annunciato si parlerà delle primarie in una grande assemblea, ma bisogna riconoscere che lo strumento ''si va logorando'' come dimostra il forte calo di partecipazione. BERSANI: CHIEDO CHIAREZZA Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, ha aperto i lavori della direzione del partito democratico chiedendo un atto di "chiarezza" e fissando quindi un voto sulla sua relazione a chiusura della giornata di oggi. UN VOTO SULLA RELAZIONE "I prossimi mesi - ha detto Bersani - decideranno per i prossimi anni. Sono alla ricerca del massimo di unità visto il passaggio delicato, ma serve anche chiarezza e chiederò che la direzione assuma una responsabilità attraverso un voto". FACCIAMO IL PUNTO SUL PARTITO Pier Luigi Bersani annuncia alla direzione del Pd che il 2011 sara' l'anno in cui "fare il punto sul Partito a tre anni dalla nascita. Per questo ci sara' una conferenza nazionale che coinvolga tutti i nostri circoli e che proponga una discussione che parta dalla testa e cioe' dall'idea di democrazia che abbiamo". ALLEANZE ALLA NOSTRA DESTRA E ALLA NOSTRA SINISTRA Pier Luigi Bersani mette il progetto del Pd al centro deL campo delle opposizioni e riconferma la linea delle alleanze a destra e a sinistra del Pd. Parlando alla direzione del Partito, Bersani spiega che "quella presente non e' una fase di semplice cambio di governo, ma una fase costituente, per far ripartire il Paese e risollevare la democrazia parlamentare". Per questo "c'e' bisogno di alleanze forti tra le forze di centrosinistra e quelle di sinistra e tra le forze progressiste e quelle moderate di centro. Ovviamente non parteciperemo- aggiunge Bersani- alla ristrutturazione del campo del centrodestra ma dobbiamo parlare al Paese: saranno gli altri a dover rispondere se ci stanno o meno". IL PARTITO DI BERLUSCONI: MAMMA? Pier Luigi Bersani ironizza sulla possibile scelta del nome 'Italia' che Berlusconi vorrebbe fare per il Pdl: "Noi- dice- il nostro Partito non lo abbiamo chiamato 'Popolo democratico' perche' non vogliamo il populismo. Lui invece vuole chiamarlo 'Italia', in attesa che magari lo chiami 'mamma'". LATORRE: VENDOLA FONDAMENTALE "Su Vendola sono ancora piu' convinto. Convinto di chiamare a raccolta altri soggetti politici: Vendola e' un interlocutore fondamentale". Cosi' il vicepresidente dei senatori del Pd Nicola Latorre. CHIAMPARINO: SONO STUFO DI QUESTO PD "Stufo del benaltrismo per cui per la sinistra il problema è 'sempre ben altro". E "deluso" per una scarsa chiarezza nel Pd di linea e leadership sulle questioni clou dell'attualità politica, da Fiat alle alleanze, passando per le primarie. Così il sindaco di Torino in una intervista uscita oggi. BERSANI: UN ANNO DI COMBATTIMENTO, NO LITI SU GIORNALI "Per la responsabilita'che ho sento la necessita' di fare un forte richiamo a uno stile di discussione composto e solidale. Non possiamo accettare che una deriva di questo genere ci indebolisca in un anno di combattimento". E' il richiamo che Pier Luigi Bersani rivolge ai dirigenti del Pd parlando alla direzione del partito. LEGGE ELETTORALE CON DOPPIO TURNO Il Pd sosterrà una riforma elettorale basata su un sistema a doppio turno che preveda anche una quota proporzionale. Il segretario democratico, Pier Luigi Bersani, lo ha annunciato durante la direzione del partito, facendo riferimento al modello che l'assemblea nazionale dei democratici aveva scelto lo scorso maggio: "Proporrò un doppio turno con quota proporzionale". 13 gennaio 2011
Damiano: "Pd scelga da che parte stare" di Cesare Damiano | tutti gli articoli dell'autore IMGOggi e domani si svolge a Torino il referendum tra i lavoratori Fiat sull’accordo di Mirafiori. Nel Pd, attorno a quest’intesa, si è sviluppato un dibattito forte che ha visto emergere un arco di posizioni, alcune delle quali contrapposte. In un partito democratico è normale che questo avvenga. Non è normale, invece, che non si arrivi ad una posizione di sintesi riconosciuta. Su questo tema la direzione del partito si deve esprimere. IN EDICOLA IL SEGUITO DELL'INTERVENTO OPPURE CLICCA QUI 13 gennaio 2011
Camusso: "La Fiom resterà in fabbrica" IMG "Comunque vada nella fabbrica ci torneremo". Così la segretaria della Cgil Susanna Camusso a proposito del fatto che la Fiom potrebbe uscire da Mirafiori se i referendum di oggi e domani facesse vincere i sì all'intesa raggiunta sullo stabilimento Fiat di Torino. "La Fiom - ha sottolineato Susanna Camusso a margine delle giornate dell'economia cooperativa organizzate presso il sole 24 ore - è una grande organizzazione con migliaia di iscritti e non viene cancellata così, evitiamo di attribuire all'a.d. di fiat il potere di cambiare la storia, le tradizioni del nostro paese". "BERLUSCONI ABDICA AL SUO RUOLO" A chi le chiedeva se si aspettava l'affermazione del presidente del Consiglio relativa alle "buone ragioni" per la Fiat di abbandonare Torino in caso di vittoria del no al referendum sull'accordo di Mirafiori, Camusso ha replicato a margine di un convegno organizzato dalla Lega delle Cooperative: "No, non me lo aspettavo, perchè in un paese normale un governo, di fronte a una impresa che vuole fare investimenti, avrebbe fatto tutto diversamente". Secondo la segretaria generale della Cgil l'esecutivo avrebbe dovuto "chiamare l'impresa e verificare gli investimenti". "Non avendo fatto tutto ciò invece si fa spettacolo e, se si guarda la coreografia, lo si fa proprio di fianco alla presidente di un paese che ha detto di no (a Marchionne, ndr) perchè non dava abbastanza garanzie", ha proseguito parlando della cancelliere Angela Merkel e delle trattative, tramontate, per l'acquisto di Opel da parte della Fiat. A chi le chiedeva se davvero in caso di vittoria del no reputasse che la Fiat possa lasciare Torino, Camusso ha replicato secca: "Domandatelo al presidente del Consiglio che da tempo ha abdicato dal fare il suo mestiere". Riguardo al referendum e alle previsioni sull'esito,"rispettiamo i lavoratori che debbono decidere autonomamente sul loro futuro, è una scelta difficile e non si può trasformare in una partigianeria", ha concluso. "Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi fa spettacolo e ha abdicato al suo mestiere", ha detto la Camusso. 13 gennaio 2011
Diario dai cancelli, ecco la scheda "Vuoi l'accordo, sì o no?" di Rinaldo Gianola | tutti gli articoli dell'autore DIARIO CANCELLI 14.10 Anche il segretario della Fim torinese, Claudio Chiarle, attacca il premier: "Le parole del premier non aiutano il sì". 14.00 Arrivato il segretario nazionale della Fiom Landini, attorniato da telecamere e giornalisti, ribadisce che la Fiom non firmerà mai questo accordo: "Le parole di Berlusconi sono vergognose". 13.50 Siamo venuti in possesso di un fac simile della scheda di votazione. Scheda bianca, titolo: "Referendum 13-14 gennaio". Domanda: "Approvi l'ipotesi d'accordo del 23-12-2010?" E due caselle: Una con il sì e una con il no. 13.35 Appesi due striscioni grandi davanti ai cancelli. Il primo: "Mirafiori, no all'accordo vergogna". Il secondo: "Terrorista... è chi ruba i diritti". 13.25 Dai pullman blu che si fermano davanti Mirafiori iniziano a scendere i lavoratori del secondo turno. Il comitato del no, e i sostenitori del sì distribuiscono volantini, appendono manifesti e lanciano slogan contrapposti. 13.10 Gli operai campani hanno aggiunto: La Fiat ci vuole dividere ma non riuscirà a farlo, la lotta di mirafiori è la nostra lotta. 13.00 "Noi di Pomigliano", si legge sul volantino distribuito davanti ai cancelli dai lavoratori di Pomigliano, "ci sentiamo lavoratori di Mirafiori, voi di Mirafiori siete lavoratori di Pomigliano". 12.50 Arrivata un'ampia delegazione di lavoratori e delegati dello stabilimento Giambattista Vico di Pomigliano d'Arco. Alla porta 2 di Mirafiori fa volantinaggio e porta solidarietà ai lavoratori 12.30 Nel pomeriggio tra le 17 e le 18 ci sarà un'altra assemblea del secondo turno di Mirafiori. In tarda serata inizierà il voto. 12.20 La Fiom ha fatto questa mattina 15 nuove tessere tra lavoratori. I sindacalisti di Cisl e Uil non si sono fatti vedere in assemblea. 12.15 "L'assemblea è stata molto partecipata, una delle più belle a cui io abbia partecipato a Mirafiori", mi ha detto Giorgio Airaudo, segretario Fiom Piemonte. 12.00 Gli interventi dei lavoratori sono stati indignati nei confronti dei sindacati firmatari. Critiche all'accordo del 23 dicembre e forti accuse contro Berlusconi. "Un vigliacco!", ha detto un lavoratore intervenuto durante il dibattito. 11.55 Si è appena conclusa l'assemblea degli operai delle carrozzerie di Mirafiori del primo turno (6-14). Applausi e ovazioni per il segretario piemontese della Fiom, Giorgio Airaudo. 13 gennaio 2011
Intervista a Renzi: "Sto con Marchionne perché..." di Marco Bucciantini | tutti gli articoli dell'autore IMGL’ultimo intervento di una serie abbastanza vasta è stato sulla Fiat. Come sempre, è stato diretto, "sì, sono un po’ tranchant, il politichese non lo mastico". Matteo Renzi, sindaco di Firenze, è sovraesposto, e non finge di esserne seccato. Come Nichi Vendola, vive da protagonista il suo ruolo, evade dal territorio ed è partecipe di tutti gli argomenti e dibatte su tutti i mezzi di comunicazione. Questa maniera è "berlusconiana", per chi lo contesta da dentro il Pd, ed è invece vincente, a leggere i sondaggi che lo classificano primo per gradimento fra i sindaci italiani. Ma ora parliamo di Fiat. Sindaco, sia "tranchant"... IN EDICOLA IL SEGUITO DELL'INTERVISTA OPPURE CLICCA QUI 13 gennaio 2011
2011-01-12 Berlusconi: se vince il no, Fiat fa bene ad andar via Bersani: "Si vergogni", Camusso: se ne vada berlusconi incavolato 304 Il premier Silvio Berlusconi a Berlino per il vertice bilaterale con Angela Merkel gioca la carta dell'autolesionismo. In queste ora delicate in cui si sta per aprire il referendum nnello stabilimento di Mirafiori della Fiat per scegliere se dire sì o no all'accordo di Marchionne, il premier si schiera apertamente: "Nel caso in cui il referendum bocciasse l'intesa raggiunta le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri paesi". Una presa così detta da parte del presidente del Consiglio italiano a favore degli imprenditori contro i lavoratori ha scatenato un diluvio di reazioni. E' durissima la risposta del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, al premier. "Con il rispetto che c'è, mi piacerebbe che noi, il mondo delle imprese e della politica dicesse al presidente del Consiglio che se questa è la sua idea del paese è meglio che se ne vada". Camusso ha sottolineato che le parole del presidente del consiglio svelano le reali "intenzioni" del Governo. "Si torna al tema del voler bene al paese - ha detto il leader della Cgil - l'amministratore delegato della Fiat ci ha risposto a stretto giro di posta e che tutto quello che fa, lo fa per il bene del paese. Abbiamo qualche serio dubbio". Secondo Camusso "sarebbe positivo se seguissero dei fatti, che si dica esattamente cosa è quel piano industriale e che si diano certezze ai lavoratori". Il segretario generale della Cgil ha aggiunto che le affermazioni del premier Silvio Berlusconi sono anche più gravi. "Dall'estero - ha ricordato Camusso - ha dichiarato che se vincesse il no al referendum su Mirafiori, Fiat farebbe bene ad andarsene dal paese. Non conosco nessun presidente del consiglio di nessun altro paese premier che dice questo, che il più grande gruppo industriale di quel paese farebbe bene ad andarsene. Non conosco un presidente del consiglio di nessun altro paese che non pensi e non sappia che prima di tutto viene il lavoro del suo paese". Duro anche il segretario del Pd Pier Luigi Bersani giudica ''vergognose'' le parole del premier. "Vorrei dire al presidente del Consiglio che noi gli paghiamo uno stipendio, che a lui sembrera' misero visto che e' miliardario, ma noi glielo paghiamo per occuparsi dell'Italia, per fare gli interessi dell'Italia e non far andare via le imprese", dice Bersani. "E' una vergogna incredibile- aggiunge- sentire un presidente del consiglio che fa queste affermazioni". 12 gennaio 2011
Fiat aspetta il voto tra lacrime ed assemblee di Rinaldo Gianola | tutti gli articoli dell'autore Volantinaggio Mirafiori Gli autobus si fermano davanti alla porta 2 di Mirafiori, gli operai scendono e si avviano velocemente verso i cancelli per iniziare il secondo turno. Pochi hanno voglia di parlare. Ci sono televisioni, giornalisti, delegati e sindacalisti. "Ci siete tutti, mancano solo gli osservatori dell’Onu, poi tra qualche giornonon ci sarà più nessuno e saremo di nuovi soli…", osservaamaramente Antonio, quarantenne, uno dei più giovani qui dentro. Sul piazzale i sostenitori del sì e il comitato del no si scambiano qualche insulto mentre distribuiscono i volantini. Volano spintoni, accuse, poi torna la calma. Sono momenti difficili, anche drammatici. Di lato, quasi a cercare rifugio, un vecchio operaio si asciuga le lacrime con un fazzoletto a quadrotti. Ha il volto scavato, un berrettino calcato sulla testa e la tristezza infinita di una umanità sofferente che ne ha viste di tutti i colori in fabbrica e ancora non ha finito di subire ricatti, offese dal potente di turno. "Mi chiamo Agostino Antonio, sono pensionato, ho 73 anni. Sono venuto per solidarietà con gli operai, ogni tanto torno qui a incontrare i lavoratori, a scambiare due parole. Ma ora li vedo litigare e mi viene una tristezza… che brutto vedere i sindacati divisi". Vuoi continuare a leggere questo articolo? CLICCA QUI
LA CRONACA DELLA GIORNATA DI IERI Al referendum Mirafiori del 13 e 14 gennaio chi perde accetti la sconfitta. L'amministratore delegato della Fiat e Chrysler Sergio Marchionne conta di incassare il sì all'accordo (d'altronde ha avvertito che in caso di no trasferisce la fabbrica in Canada) e dichiara: "In qualsiasi società civile quando la maggioranza esprime un'opinione, la minoranza ha perso, anche con il 51%. Se vince il sì venerdì, ha il vinto il sì e il discorso è chiuso, non possiamo fare le votazioni 50mila volte, nessuno vuole perdere, ma quando ha perso ha perso. Quando si perde si perde, io ho perso tantissime volte in vita mia, sono stato zitto e sono andato avanti, non ho reclamato". Nel frattempo Bersani ribadisce che il Pd rispetterà l'esito del referendum, mentre Matteo Orfini, responsabile cultura del Democratici, chiede al partito una posizione più severa verso Marchionne. Landini alla Cgil: bisogna far saltare l'accordo Il leader della Fiom Maurizio Landini, a margine della seconda assemblea delle Camere del lavoro della Cgil a Chianciano Terme, nel tardo pomeriggio di oggi fa appello alla Cgil: "La Cgil capisca che siamo di fronte non a un brutto accordo o all'ennesimo accordo separato. Siamo di fronte a un cambio epocale e servono risposte straordinarie. Bisogna far saltare l'accordo e renderlo non applicabile. In termini sindacali bisogna far riaprire la trattativa e considerare la vertenza ancora aperta". Durante della Fiom: firmare ''L'unico modo per restare nelle fabbriche e smontare il meccanismo infernale che esclude la Fiom e' firmare l'accordo senza girarci attorno''. Così la pensa il leader della minoranza della Fiom (che fa riferimento alla maggioranza della Cgil), Fausto Durante. ''Spero che dopo il risultato del referendum nella Fiom si apra la discussione, perche' non possiamo lasciare i lavoratori di quelle fabbriche senza rappresentanti''. Bersani: rispetto voto, chiarezza investimenti Stamattina la segretaria del Partito democratica ha discusso proprio del caso Mirafiori. Dove Bersani ha ribadito le posizioni espresse nel confronto con la Fiom: rispetto del voto dei lavoratori al referendum, chiarezza sugli investimenti Fiat e modifica delle regole per la rappresentanza dei lavoratori. "C'e' una nostra proposta alle Camere, cominciamo da l^", spiega il leader democratico ai cronisti. Il Pd, inoltre, presentera' in Parlamento un atto di indirizzo per incalzare il governo a discutere di politica industriale in aula. Orfini del Pd: più severi con Marchionne Su Mirafiori, riferiscono agenzie di stampa, il responsabile Cultura del partito Matteo Orfini condivide la linea Bersani-Fassina, ma invita il Pd ad essere più netto e servero verso l'ad Fiat. "Siamo apparsi troppo critici con la Fiom, e troppo poco rispetto a un manager che sta travolgendo le relazioni industriali, prospettando una riduzione dei diritti in cambio di occupazione. E' inaccettabile. Auspico in direzione un giudizio piu' esplicito di rifiuto dell'atteggiamento di Marchionne". D'Antoni: voterei sì, non ci sarà effetto 'cascata' Tutta un'altra idea manifesta Sergio D'Antoni. L'ex segretario Cisl difende l'accordo. "Voterei si' al referendum anche perche' credo che non ci sia nessun pericolo di un effetto cascata su altri settori industriali". La riprova, osserva, e' data da contratti come quello Carrefour e del tessile. "Altro che Fiat - sottolinea D'Antoni - quei contratti sono molto peggio, eppure li ha firmati anche la Cgil. Ma siccome non si tratta della Fiat non fanno notizia". Per D'Antoni, Fiom non puo' respingere l'intesa di Mirafiori perché si tratterebbe di un ricatto: "Quando c'e' un referendum tutto diventa un ricatto perché ci si pronuncia con un si' o con un no". Comunque vada, per il capogruppo Pd alla commissione Attivita' produttive della Camera Marchionne deve incontrare il Parlamento o suoi delegati: "È inammissibile che il Parlamento sia tenuto fuori dalla vicenda Fiat che riguarda migliaia di famiglie e il futuro della politica industriale italiana. Per questo abbiamo ribadito alla presidenza della commissione Attivita' produttive della Camera la richiesta di ascoltare Marchionne. Vogliamo sapere quali sono le prospettive future dell'azienda". 12 gennaio 2011
Bersani: voto va rispettato. Renzi con Marchionne IMG Un referendum drammatico, ma che andrà rispettato. È questa l'opinione di Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, intervistato al Tg3, che però critica Marchionne per le sue parole e accusa il governo di aver lasciato soli lavoratori e sindacati. "Marchionne sa misurare le auto ma non le parole" ma il problema è anche che "il governo è scomparso nella nebbia" lasciando soli i lavoratori e i sindacati dice il segretario Pd. "C'è una discussione nel Pd ma la nostra posizione è molto chiara - assicura il segretario - quel referendum, impegnativo, difficile, anche drammatico, andrà rispettato. Il problema è che lavoratori e sindacati sono stati lasciati totalmente soli, il governo è andato nella nebbia. Servono nuove regole di partecipazione perché i contratti siano esigibili ma anche chi dissente ha diritto alla rappresentanza". Quanto all'ad della Fiat Bersani aggiunge: "Marchionne saprà prendere le misure alle auto ma alle parole no, quei venti miliardi per cosa li vuole spendere e che fine ha fatto la ricerca? Nessuno glielo chiede". Il rischio da evitare è che "tutta questa competizione e la globalizzazione non ricaschi solo su chi è alla catena di montaggio", conclude. GOVERNO NON VIVE Poi Bersani passa alla politica e all'attività dell'esecutivo: "Il governo può solo sopravvivere, non può vivere. Per due anni hanno messo 38 voti fiducia con 70 voti di maggioranza. Al prossimo voto di fiducia cosa succederà? Non si può andare avanti con questa respirazione artificiale", insiste il segretario Pd. CASINI LA SMETTA CON I VETI Deluso da Casini? "Non possiamo andare avanti misurando la pressione al governo tutti giorni. Il Pd lavora a un progetto per l'Italia su democrazia, crescita e lavoro, lo vogliamo presentare a tutte le forze di opposizione e poi ciascuno si prenderà le sue responsabilità, alla fine tireremo le somme. Si può anche pensare ad un altro decennio berlusconiano, magari con Berlusconi al Quirinale, noi pensiamo si debba andare oltre, non si può andare avanti con questi traccheggiamenti". Bersani risponde duramente al leader Udc, Pier Ferdinando Casini che al suo appello ad un patto repubblicano ha risposto aprendo uno spiraglio alla collaborazione 'responsabile' con il governo e ha imposto al Pd di scegliere tra il terzo polo oppure Vendola e Di Pietro. LE NOSTRE PROPOSTE "Saranno loro che dovranno scegliere - ribatte Bersani - noi discuteremo di cose concerete, nei prossimi giorni si vedrà chiaramente cosa abbiamo in testa. Sceglieranno loro se continuare con i veti reciproci, con cui ci teniamo Berlusconi o se ci sono altre ipotesi, ma con questi traccheggiamenti non si governano i problemi del paese". RENZI: IO STO CON MARCHIONNE Sulla vicenda Fiat interviene anche il sindaco di Firenze Renzi che senza giri di parole chiarisce la sua opinione: "Io sono dalla parte di Marchionne. Dalla parte di chi sta investendo nelle aziende quando le aziende chiudono. Dalla parte di chi prova a mettere quattrini per agganciare anche Mirafiori alla locomotiva America". Lo lo ha detto intrevistato dal TGLA7. "Andro' alla Direzione di giovedì - ha detto ancora Renzi parlando della situazione interna al Pd - ma spero che Bersani non chiacchieri di aria fritta ma dei problemi degli italiani. Non chiacchieri dell'inciucio con Fini ma del futuro del Pd. Il Pd è credibile se smette di inseguire i falsi problemi. Provi concretamente a dire 'ok, Berlusconi ha fallito' ma dicendo agli italiani quali sono le nostre soluzioni per ripartire". 11 gennaio 2011 2011-01-11 Mar 11 gennaio, aggiornato ore 18:02 Meteo Pioggia e schiarite Roma 8° 13° Marchionne: se vince il sì, il discorso è chiuso di Susanna Camusso | tutti gli articoli dell'autore marchionne logo fiat 640 Al referendum Mirafiori del 13 e 14 gennaio chi perde accetti la sconfitta. L'amministratore delegato della Fiat e Chrysler Sergio Marchionne conta di incassare il sì all'accordo (d'altronde ha avvertito che in caso di no trasferisce la fabbrica in Canada) e dichiara: "In qualsiasi società civile quando la maggioranza esprime un'opinione, la minoranza ha perso, anche con il 51%. Se vince il sì venerdì, ha il vinto il sì e il discorso è chiuso, non possiamo fare le votazioni 50mila volte, nessuno vuole perdere, ma quando ha perso ha perso. Quando si perde si perde, io ho perso tantissime volte in vita mia, sono stato zitto e sono andato avanti, non ho reclamato". Nel frattempo Bersani ribadisce che il Pd rispetterà l'esito del referendum, mentre Matteo Orfini, responsabile cultura del Democratici, chiede al partito una posizione più severa verso Marchionne. ''L'unico modo per restare nelle fabbriche e smontare il meccanismo infernale che esclude la Fiom e' firmare l'accordo senza girarci attorno''. Così la pensa il leader della minoranza della Fiom (che fa riferimento alla maggioranza della Cgil), Fausto Durante. ''Spero che dopo il risultato del referendum nella Fiom si apra la discussione, perche' non possiamo lasciare i lavoratori di quelle fabbriche senza rappresentanti''. Stamattina la segretaria del Partito democratica ha discusso proprio del caso Mirafiori. Dove Bersani ha ribadito le posizioni espresse nel confronto con la Fiom: rispetto del voto dei lavoratori al referendum, chiarezza sugli investimenti Fiat e modifica delle regole per la rappresentanza dei lavoratori. "C'e' una nostra proposta alle Camere, cominciamo da l^", spiega il leader democratico ai cronisti. Il Pd, inoltre, presentera' in Parlamento un atto di indirizzo per incalzare il governo a discutere di politica industriale in aula. Su Mirafiori, riferiscono agenzie di stampa, il responsabile Cultura del partito Matteo Orfini condivide la linea Bersani-Fassina, ma invita il Pd ad essere più netto e servero verso l'ad Fiat. "Siamo apparsi troppo critici con la Fiom, e troppo poco rispetto a un manager che sta travolgendo le relazioni industriali, prospettando una riduzione dei diritti in cambio di occupazione. E' inaccettabile. Auspico in direzione un giudizio piu' esplicito di rifiuto dell'atteggiamento di Marchionne". Tutta un'altra idea manifesta Sergio D'Antoni. L'ex segretario Cisl difende l'accordo. "Io avrei firmato il contratto e voterei si' al referendum anche perche' credo che non ci sia nessun pericolo di un effetto cascata su altri settori industriali". La riprova, osserva, e' data da contratti come quello Carrefour e del tessile. "Altro che Fiat - sottolinea D'Antoni - quei contratti sono molto peggio, eppure li ha firmati anche la Cgil. Ma siccome non si tratta della Fiat non fanno notizia". Per D'Antoni, Fiom non puo' respingere l'intesa di Mirafiori perché si tratterebbe di un ricatto: "Quando c'e' un referendum tutto diventa un ricatto perché ci si pronuncia con un si' o con un no". Comunque vada, per il capogruppo Pd alla commissione Attivita' produttive della Camera Marchionne deve incontrare il Parlamento o suoi delegati: "È inammissibile che il Parlamento sia tenuto fuori dalla vicenda Fiat che riguarda migliaia di famiglie e il futuro della politica industriale italiana. Per questo abbiamo ribadito alla presidenza della commissione Attivita' produttive della Camera la richiesta di ascoltare Marchionne. Vogliamo sapere quali sono le prospettive future dell'azienda". 11 gennaio 2011
"Siamo lavoratori liberi, non merci Lottiamo insieme" di 27 delegati e esperti Fiom-Cgil | tutti gli articoli dell'autore IMG Cara Susanna, Siamo le delegate e i delegati della Fiom-Cgil delle carrozzerie di Mirafiori. In questi giorni si parla molto del nostro stabilimento, del suo futuro, di come garantire un investimento da un miliardo di euro, e si dà per scontato che le lavoratrici e i lavoratori non possano far altro che accettare l’ultimatum che la Fiat ha già imposto ai sindacati che hanno firmato l’intesa. Parliamo di ultimatum perché la trattativa non si è mai avviata, e la Fiat non hamai modificato la sua impostazione fino al testo conclusivo nonostante le proposte alternative che noi, il nostro sindacato, ma anche le altre sigle hanno formulato. Nulla di rilevante è stato recepito. Noi che siamo operaie e operai di quella fabbrica pensiamo invece chenonpossiamo cedere a quell’ultimatum, che dobbiamo in tutti i modi provare a riaprire la trattativa perche con l’organizzazione del lavoro che ci propongono si peggiora la nostra condizione e si aumentano i rischi per la salute, impedendoai lavoratori di difendersi, limitando il diritto allo sciopero, e trasformando il ruolo e la natura del sindacato di fabbrica chenonsarà più determinato dalle lavoratrici e dai lavoratori. E tutto ciò fuori dal contratto nazionale di lavoro, lasciando ogni lavoratore da solo di fronte all’impresa e costringendolo a mettere il proprio tempo, anche quello dedicato agli affetti e al tempo libero, a disposizione del mercato e della competizione una volta per tutte, senza più contrattazione. Una trasformazione dell’umanità che lavora in merce. Manoi siamo donne e uomini liberi, cittadine e cittadini, non merci! Noi pensiamo che quell’accordo, firmato a fabbrica chiusa e senza rispettare la richiesta dei lavoratori di essere consultati prima di una firma sindacale, vada rigettato e che la consultazione voluta dalla Fiat con la minaccia della chiusura di Mirafiori sia una consultazione non libera, a cui noi lavoratrici e lavoratori della Cgil non ci sottraiamo, perché innanzitutto su di noi ricadono le conseguenze di quell’intesa e perché la consultazione non può essere svalutata, anche quandoviene brandita contro le lavoratrici e i lavoratori, visto anche come oggi si svaluta nella nostra fabbrica lo strumento dell’assemblea, che viene considerata dagli altri sindacati un luogo inutile, di confusione da non convocare neanche per illustrare l’intesa. Ed è per tutto ciò che abbiamo decisocon il nostro sindacato, la Fiom-Cgil, di non firmare ed è sempre per questi motivi che chiediamo al nostro sindacato di tenere aperta la vertenza con la Fiat comunque vada la consultazione di Marchionne: a noi non servono escamotage tecnici. Perché secondo noi le lavoratrici e i lavoratori da Pomigliano a Mirafiori, sia quelli che hanno potutoo potranno dire dino sia quelli che non hanno potuto o non potranno farlo, hannodiritto al sostegno di tutto il nostro sindacato e alla prosecuzione di una vertenza che riaffermi pienamente i principi e i valori della Costituzione repubblicana e riconquisti per tutti il contratto nazionale, il diritto a scegliersi i propri delegati e il proprio sindacato e a migliorare la propria condizione di vita e di lavoro nella solidarietà confederale. Non è accettabile che l’unico modo per mantenere o attrarre il lavoro in Italia sia pagato esclusivamente dal lavoro, che già sopporta tutti i costi della crisi,masoprattutto non è credibile perché il costo del lavoro per unità di prodotto vale in Fiat auto circa l’8%. Come è possibile che non intervenendo su tutti gli altri fattori economici e strutturali, anche del Paese (qualità, logistica, infrastrutture, tecnologie e innovazione), comeha ricordato anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si ottengano i risultati auspicati? I temi posti oggi a noi sono temi che riguardano tutto il mondo del lavoro e la società perché sono in discussione il valore del lavoro, gli spazi democratici e di coesione sociale, le libertà individuali e collettive, e il futuro oltre la crisi che noi vogliamo immaginare migliore per noi e per quei nostri figli, che in questi mesi hanno riempito le piazze e rianimato la democrazia italiana chiedendo futuro, libertà, cittadinanza e democrazia dalla scuola al lavoro. Ci piacerebbe nei prossimi giorni incontrarti per dirti che noi vogliamo sentire tutta la Cgil vicina in questo scontro, che noi non abbiamo né voluto né cercato. Noi stiamo facendo la nostra parte per noi, le nostre famiglie, le nostre lavoratrici e i nostri lavoratori: facciamolo insieme. Un abbraccio fraterno. 9 gennaio 2011
Bufera Fiat, su l'Unità confronto fra Colaninno e Merloni di Rinaldo Gianola | tutti gli articoli dell'autore matteo colaninno "L'Italia ha bisogno di difendere con forza la sua industria manifatturiera e dobbiamo ringraziare la Fiat e tutte le imprese che sono pronte a investire in un momento così difficile, ma nessuno può pensare di cambiare da solo le relazioni industriali e di buttare a mare una storia ricca e utile di rapporti tra industria e lavoro". Matteo Colaninno, già leader dei Giovani industriali di Confindustria, oggi vicepresidente del gruppo Piaggio e parlamentare del pd, conosce e condivide le difficoltà delle imprese dopo tre anni di crisi, ma è preoccupato per le conseguenze dell'azione condotta da Sergio Marchionne che determina una rottura con una parte importante del sindacato e anche con la Confindustria. Quale pericolo vede? "Marchionne vuole escludere la Cgil perché¨ non condivide le scelte della Fiat fino a impedire la rappresentanza in fabbrica di chi dice no? Bene, e le altre aziende cosa devono fare? Come si devono comportare quelle aziende che in fabbrica hanno la Fiom come primo e a volte unico sindacato?... ". Se vuoi leggere il seguito di quest'articolo, clicca qui 11 gennaio 2011
2011-01-10 Lun 10 gennaio, aggiornato ore 18:01 Meteo Coperto Roma 9° 16° Fiat salita al 25% Chrysler. Landini: non firmeremo di Massimo Franchi | tutti gli articoli dell'autore Volantinaggio Mirafiori La settimana che porta al referendum su Mirafiori parte con una Fiom battagliera. Dopo la "partita patta" nell'incontro-scontro con la Cgil di domenica, il segretario Maurizio Landini rilancia la lotta e le ragioni del suo sindacato. Se, è notizia di ieri, la Cgil sosterrà in pieno lo sciopero generale del 28 gennaio (il giorno prima in Emilia-Romagna con a Bologna in piazza assieme Landini e Camusso), la lotta della Fiom contro "la vergogna di Mirafiori" si allarga coinvolgendo "studenti" e "confrontandosi con tutte le forze politiche". Giovedì invece tutta la dirigenza dei metallurgici della Cgil si sposterà ai cancelli di Mirafiori dove è prevista l'assemblea con i lavoratori. "Proprio per rispetto ai 5mila di Mirafiori sui quali non può ricadere la responsabilità di un referendum ricatto dove si dice "O voti Sì o si chiude", ci pensiamo la responsabilità di dire che noi l'accordo non lo firmiamo nemmeno se vincono i Sì - spiega Landini -. Lo facciamo perché quell'accordo è illegittimo e a molti vizi di costituzionalità che cercheremo di dimostrare con i nostri legali e perché il nostro statuto e quello della Cgil ci vietano di firmare accordi antisindacali". Intanto a Torino dalle 6 sono tornati al lavoro 800 operai di Mirafiori: la Fiom ha distribuito loro l'accordo firmato dagli altri sindacati con una copertina di un manifesto del 1969 dal titolo "Se cedi un dito, ti prendono un braccio". "È attualissimo - spiega il responsabile auto della Fiom Giorgio Airaudo - ed è la sintesi di un contratto che in pochi conoscono: 70 pagine sottoscritte in uno stanzino da delegazioni ristrette sotto il ricatto della Fiat. Era giusto informare i lavoratori, come è giusto chiedere a Marchionne se è vero, come scrive qualcuno, che il contratto Chrysler Fiat prevede che peggio va la Fiat in Italia, meno dovrà sborsare il lingotto. Ecco, noi cerchiamo di fare un'operazione verità e non giochiamo d'azzardo sulle percentuali dell'esito del referendum". "Di una cosa posso assicurare Marchionne - chiosa Landini - non è la Fiat che decide se esiste la Fiom, questo lo decidono i lavoratori, i nostri 370mila iscritti e i tanti che dopo Pomigliano ci stanno votando (+ 6 per cento nelle elezioni per le Rsu; ndr) e che incontreremo, perché esistiamo da 110 anni e da 100 (anno di fondazione della Cgil) abbiamo deciso di essere un sindacato confederale". Mirafiori, riprendono i lavori Riparte la produzione a Mirafiori, dopo tre settimane di cassa integrazione, a pochi giorni dal referendum sul futuro dello stabilimento, fissato per giovedi' e venerdi' prossimi. Da mercoledi' saranno nello stabilimento tutti i 5.500 operai. I primi a rientrare, stamani, sono stati gli operai dell'Alfa Mito (300 con il primo turno, alle 6; altri 500 negli altri due turni della giornata). Ai cancelli hanno trovato tre diversi volantini: quello del 'fronte del si' all'accordo del 23 dicembre di Fim, Uilm, Fismic e Ugl (''Mirafiori c'e', ora dipende da te''), quello della Fiom, presente con il 'camper metalmeccanico alla porta 2, che ha distribuito l'intero testo dell'accordo (70 pagine) con un commento, e quello dei Cobas (''Siamo tutti Mirafiori, nessuna resa''). ''La Fiom ha deciso di distribuire l'intero accordo - ha spiegato Federico Bellono, segretario generale delle tute blu torinesi della Cgil - perche' noi, a differenza degli altri sindacati, abbiamo deciso di fare le assemblee (in programma domani e mercoledi', ndr) e quindi abbiamo deciso di privilegiare l'aspetto informativo''. ''I lavoratori - ha sottolineato Vincenzo Aragona, segretario della Fismic Piemonte - sono consapevoli di come votare il 13 e il 14: sceglieranno il si' per tutelare l'investimento, l'occupazione, i diritti''. Il volantinaggio proseguira' anche al cambio turno delle 14 e a quello delle 22. Davanti alla porta 2 di Mirafiori oggi pomeriggio e' atteso il segretario generale Fismic, Roberto Di Maulo. Sempre dal fronte Fiom, Cremaschi rilancia la dura opposizione al protocollo. "Se al referendum dovessero vincere i sì, ci rivolgeremo alla magistratura". Il presidente del comitato centrale dei metalmeccanici Cgil lo ha detto all'agenzia radiofonica Area, sottolineando che "che il contrasto all'accordo sarà sul piano sindacale ma anche su quello
giuridico legale".
Borghezio choc: i terremotati d'Abruzzo? Un peso morto, come tutto il Sud | VIDEO Borghezio capovolto GUARDA IL VIDEO "Questa parte del paese non cambia mai, l'Abruzzo è un peso morto per noi come tutto il Sud. C'è bisogno di uno scatto di dignità degli abruzzesi. E' sano realismo padano". Così il leghista Mario Borghezio al programma tv in onda su you tube Klauscondicio. "Il comportamento di molte parti delle zone terremotate dell'Abruzzo è stato singolare, abbiamo assistito per mesi a lamentele e sceneggiate - prosegue Borghezio - eccezioni ci sono dappertutto, ma complessivamente è stata un po' una riedizione rivista e corretta dell'Irpinia: prevale sempre l'attesa degli aiuti, non ci sono importanti iniziative autonome di ripresa. Si attende sempre che arrivi qualcosa dall'alto, nonostante dall'alto arrivi molto". "Mi domando quale sarebbe stata la reazione degli abruzzesi nei confronti di un comportamento 'risparmioso' da parte dello Stato, con l'invio di aiuti a gocce come è per i veneti; questo fa solo aumentare il senso di disaffezione dei veneti verso lo stato centralista, credo che siamo ormai giunti ad un punto di rottura", conclude Borghezio. Immediata la bufera politica. L'Idv: " Borghezio chieda scusa immediatamente ai terremotati dell'Abruzzo perchè ha offeso la sofferenza dei vivi e il ricordo dei morti. Un peso morto per lo Stato e per gli italiani non sono gli abruzzesi, ma è Borghezio e i leghisti come lui. Il Carroccio si dissoci dalle inqualificabili parole dell'europarlamentare e chieda scusa ai poveri cittadini abruzzesi che, oltre alla grave tragedia subita e alle mille promesse non mantenute da questo governo, ora si devono anche sentire gli oltraggi di persone come Borghezio", afferma il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando. Sulla stessa lunghezza d'onda anche il Pd. "Il governo sconfessi e chieda scusa per le deliranti dichiarazioni di Borghezio sull'Abruzzo". Così il senatore Luigi Lusi del Partito Democratico. "Un oltraggio insopportabile per l'Abruzzo definito un 'peso morto' e per l'Italia, rappresentata in Europa da un simile personaggio", sottolinea Lusi. "Sarebbe il caso che la maggioranza prendesse le distanze in maniera decisa da simili esternazioni che sono un'offesa per una regione fiera che non si merita di essere dileggiata da questa gente", conclude il senatore democratico. 10 gennaio 2011
2011-01-05 A Torino spuntano scritte contro Marchionne con la stella a 5 punte. Netta condanna di Cgil e Fiom Cronologia articolo9 gennaio 2011 Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2011 alle ore 19:37. Una scritta contro Sergio Marchionne con la stella a cinque punte è stata tracciata, con vernice rossa, oggi, a Torino su un grande manifesto pubblicitario nel centro cittadino, sul cavalcavia di corso Sommellier. Altre scritte sono state tracciate, sempre con vernice rossa e sempre con la stella a cinque punte, su due manifesti pubblicitari vicini al primo. "Marchionne fottiti", c'è scritto sul primo manifesto, mentre sugli altri due ci sono le scritte "Non siamo noi a dover diventare cinesi" e "ma i lavoratori cinesi a diventare come noi". Secondo gli investigatori della Digos della Questura di Torino, la stella a cinque punte non può essere tradotta immediatamente con collegamenti, più o meno diretti, con presunte o sedicenti Brigate Rosse. A parere degli investigatori, si tratta di "una simbologia forte", non così "inedita" neppure negli ultimi tempi, usata comunque per "alzare il tono" e per attirare la massima attenzione. D'altronde - rilevano gli stessi investigatori - il dibattito sulla questione Fiat-Marchionne è a tinte forti anche a livello istituzionale, politico e televisivo, da non far meravigliare se alcune persone, magari anche tra i più giovani e comunque tra i cosiddetti antagonisti, cerchi di "calcare la mano". Il livello di attenzione da parte della Digos e delle forze dell'ordine nel loro complesso - hanno riferito fonti investigative - è comunque alto, soprattutto in considerazione del fatto che siamo a pochi giorni dal referendum di giovedì e venerdì prossimi sull'accordo su Mirafiori. Netta condanna di Cgil e Fiom Cgil e Fiom esprimono "la loro netta disapprovazione" per le scritte anti-Marchionne e ribadiscono "la loro netta condanna di ogni forma di violenza e di ogni forma di critica e di battaglia politica antidemocratica". Secondo i sindacati, riuniti nella sede della Cgil per l'incontro tra le due segreterie, con le scritte sui manifesti si ripete "un antico copione, come in un brutto deja vu". "Il momento - affermano - è troppo delicato per dare spazio a provocazioni di qualsiasi natura e da qualsiasi parte provengano", continuano i sindacati. Alla vigilia del referendum di Mirafiori, Cgil e Fiom invitano quindi tutti i lavoratori che saranno coinvolti nella scelta e l'opinione pubblica in generale "a non cadere in trappole mediatiche o peggio folcloristiche" Damiano, contro Marchionne atto gravissimo Netta condanna è arrivata, fra gli altri anche da Cesare Damiano: le scritte contro l'amministratore delegato di Fiat "sono un atto gravissimo che deve essere condannato con forza". Secondo il capogruppo Pd alla Commissione Lavoro della Camera, "qualsiasi confronto, sia pure aspro deve rimanere all'interno di una dialettica civile e democratica". Damiano auspica che "venga fatta dalle forze dell'ordine e dalla magistratura al più presto luce su questo episodio che - conclude - deve spingere tutte le forze politiche e sociali a fare fronte comune per respingere qualsiasi atto di intimidazione e di violenza".
Fiat: referendum su Mirafiori il 14 gennaio Il referendum sull'accordo per il rilancio dello stabilimento di Mirafiori si terra' il prossimo venerdi', 14 gennaio. E' quanto si apprende da fonti sindacali, secondo le quali l'esito della votazione si potra' conoscere gia' nella serata di venerdi'. I primi a votare sull'accordo raggiunto il 23 dicembre (non firmato dalla Fiom) saranno i lavoratori del turno di notte di giovedi' 13 (che comincia alle 22 e si chiude alle 6.00 di venerdi'). Poi voteranno i lavoratori del primo (dalle 6.00 alle 14.00) e del secondo (dalle 14.00 alle 22.00) di venerdi'. Con tutta probabilita' le urne si chiuderanno comunque prima delle 22.00 di venerdi' e i risultati dovrebbero arrivare gia' in tarda serata. Nello stabilimento di Mirafiori sono occupate circa 5.000 persone e in quella settimana dovrebbero essere tutte al lavoro (non e' prevista cassa integrazione). 5 gennaio 2011
Cari Cofferati e Damiano questa è una sconfitta... di Carlo Ghezzi* | tutti gli articoli dell'autore IMG Ho letto ieri su l’Unità le interviste di Cesare Damiano e di Sergio Cofferati sul caso Fiat e devo francamente dire che entrambe non mi hanno convinto a partire dall’analisi di fondo su quanto accaduto. Innanzitutto non partono dal fatto che alla Fiat la Fiom-Cgil ha subito una pesante sconfitta paragonabile a quella gravissima, subita sempre a Mirafiori, nel 1955 nel rinnovo della commissione interna e nel 1980 dopo la marcia dei 40.000. Poco importa se, come sottolinea Damiano, l’accordo di Mirafiori sia un po’ meno peggio di quello di Pomigliano, nè regge la sua tesi di una lettura articolata. E’ un accordo a perdere. Punto e basta. Quando si perde una battaglia non si può negarlo, si può solo cercare di ottenere un trattato di pace meno umiliante e rimettersi alacremente al lavoro per ricostruire il proprio futuro. Anche quando vi sono lesioni dei diritti contrattuali sottoscritti tra le parti. E non è affatto la prima volta che accade. Voglio ricordare a Cofferati che il 31 luglio del 1992 - insieme a Bruno Trentin - fu tra coloro che, persa un’altra fondamentale battaglia da parte della Cgil, isolata oltre che dal padronato e dal governo anche dalla Cisl e dalla Uil, decise di firmare non la cancellazione di un accordo aziendale o di un contratto nazionale, ma addirittura dell’istituto della scala mobile per 17 milioni di lavoratori in cambio di nulla. Altro che appellarsi allo Statuto della Cgil. Trentin prima firmò, poi si dimise. E Sergio sostenne le sue posizioni. Allora ebbero il coraggio di spiegare che quando si perde occorre prenderne atto, non si deve nascondere la testa sotto la sabbia e, al contrario, si lavora per costruire la rivincita. Cosa che magistralmente avvenne con l’accordo con il governo Ciampi e con la Confindustria di Luigi Abete il 23 luglio del ‘93. Non si può solo evidenziare l’intransigenza dell’avversario. Occorre per prima cosa mettere in campo le proprie proposte per affrontare la crisi della Fiat in un settore che ha quasi il 40% di sovracapacità produttiva. Un settore nel quale Marchionne non può illudersi di risolvere tutto producendo automobili scadenti, che fatica a vendere in Italia come all’estero, tagliando le pause e comprimendo i diritti sindacali. Mi pare scorretto non mettere in adeguato rilievo che, all’unanimità, i presidenti delle categorie di Confindustria hanno, almeno per ora, girato le spalle alla Fiat che è uscita da Federmeccanica. È una situazione esplosiva per questa organizzazione che subisce una scissione da parte della più grande azienda poiché la maggioranza degli imprenditori italiani riafferma il valore dei contratti e di un sistema di regole. Si fatica a trovare commenti su questa notizia nelle pagine dei grandi giornali. Anche altre prese di posizione mi appaiono incomprensibili. L’arroganza e la miopia di Marchionne sono osannate come scelta di modernità dalla stampa e dal ministro Sacconi. Ma anche da mezzo Partito democratico che non comprende come al sistema di relazioni vigente in Europa non viene contrapposto il modello americano, che pure a noi non piace, ma a quello della Corea del Sud e di altri paesi emergenti. Il non partire da qui fa venire meno il quadro di riferimento nel quale collocare qualsiasi idea di politica industriale, di relazioni in azienda, di modello di società. Giorgio Tonini sostiene che il Pd è nato per cambiare e deve perciò misurarsi con tutte le sfide poste in campo. D’accordo, ma la sfida per l’innovazione se non pone a riferimento il fatto che lo sviluppo debba essere coniugato con un sistema di regole e di diritti confonde ogni confronto di merito e rischia di essere senza senso. L’Italia, afferma la Costituzione, è una Repubblica fondata sul lavoro, ma senza il rispetto dei suoi diritti e della sua dignità questo non è il lavoro di cui parla la nostra Carta, è un’altra cosa. Ne è consapevole il Pd? Il primo ministro Merkel ha messo alla porta Marchionne quando ha capito quale musica veniva proposta. E l’Italia vuole restare in Europa? *Presidente della Fondazione Di Vittorio 5 gennaio 2011
La beffa delle tasse: Marchionne paga la metà dell'operaio IMG Gli operai, anche quelli in cassa integrazione, pagano il doppio delle tasse dell’ad del Lingotto, pur guadagnando infinitamente di meno, anche se considerati tutti insieme. "La modernità dischiusa da Fabbrica Italia è efficacemente rappresentata da due dati" denuncia il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, "nel 2011 i capital gain di Marchionne sulle sue stock options Fiat sono attesi in circa 120 milioni di euro, una somma superiore ai salari e stipendi percepiti da tutti gli operai e quadri delle Carrozzerie Mirafiori se lavorassero a tempo pieno per tutto l’anno, ma purtroppo faranno tanti mesi di cassa integrazione". E ci si mette pure il fisco: "Sui suoi stellari capital gain, Marchionne verserà, come gli altri azionisti Fiat, un’imposta sostitutiva del 12,5%. Gli operai sulla cassa integrazione e sui loro salari pagheranno in media un’Irpef del 25%, i quadri avranno un carico intorno al 33%. È il mondo post ideologico tanto caro e celebrato dal nostro modernissimo ministro Sacconi". 5 gennaio 2011
2011-01-04 Napolitano: "Fiat, si cerchi dialogo più costruttivo" napolitano primo piano con dietro bandiere ''Ci attendono prove molto impegnative. Occorre uno scatto, una mobilitazione. Bisogna soprattutto tenere aperte le linee di comunicazione con le generazioni più giovani, i cui problemi sono quelli del futuro dell'Italia''. Cosi' il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha scambiate alcune battute con i giornalisti, nel corso della sua visita privata a Napoli. Il Capo dello Stato, in visita privata a Napoli, parla di ''clima costruttivo ed Istituzioni unite'' sul problema dell'emergenza dei rifiuti. Napolitano, che ieri ha incontrato il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, ed il sindaco Rosa Russo Iervolino, ha parlato con i giornalisti a margine della visita al Pio Monte della Misericordia antica istituzione nobiliare che si dedica alla carita'. ''Ho trovato molto impegnati il Sindaco ed il Presidente della Regione. Rispetto alla competenze di ogni istituzione, al di la' di ogni schermaglia - ha detto - mi pare che ci sia un clima molto costruttivo che mi lascia ben sperare''. ''Ho incontrato il Sindaco ed il Presidente della Regione - ha proseguito Napolitano - e ne ho trovato il senso di un impegno realmente comune, che ho poi ritrovato sentendo per telefono il presidente della Provincia Cesaro. Le tre istituzioni sono su posizioni comuni, sulla stessa linea, per quanto riguarda la gestione completa dell'emergenza rifiuti e per la strategia di messa a regime del sistema di smaltimento rifiuti''.
''Mi auguro che sulle relazioni industriali, oggetto di contenzioso alla Fiat, si trovi un modulo piu' costruttivo di discorso''. Cosi' il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, parlando con i giornalisti nel corso della sua visita privata a Napoli. 4 gennaio 2011
L'appoggio alla Fiom spacca l'Idv Donadi contro Di Pietro IMG "L`Italia dei Valori non può sposare acriticamente le posizioni della Fiom. Il prossimo esecutivo sarà l'occasione giusta per aprire un confronto sulla nostra posizione riguardo alla vicenda che ha contrapposto i vertici Fiat ed il sindacato dei metalmeccanici". Lo afferma il presidente del gruppo Idv alla Camera Massimo Donadi commentando indirettamente l'incontro avvenuto questa mattina tra il segretario Fiom Landini e il leader Idv Antonio Di Pietro. "Marchionne - aggiunge Donadi - ha sbagliato perché è indubbio che l'esclusione della Fiom dal tavolo delle trattative sia stata una forzatura grave ed inaccettabile. Ma sarebbe un errore anche ignorare la realtà odierna del mercato dell'auto e le difficoltà di sopravvivere di un'azienda come la Fiat, senza la disponibilità dei sindacati a rimettersi in discussione". "Per questo - conclude il capogruppo Idv - resto dell`opinione che Marchionne vada sfidato non sul terreno di un accordo che, per quanto pesante, appare accettabile, ma su quello della volontà della dirigenza di presentare un piano industriale e di investimenti capace di ridare all`azienda quella competitività che le manca sul piano industriale molto più che su quello dell'organizzazione del lavoro". In mattinata, intanto, l'Italia dei Valori per bocca di Di Pietro ha aveva annunciato che partecipera' allo sciopero generale della Fiom il 28 gennaio e chiede al governo "un tavolo unitario" su Fiat con i sindacati e la Confindustria, per "non lasciare da soli i sindacati con il manager del Lingotto". Sempre l'Idv ha depositato al Senato un ddl sulla rappresentativita'. E' questo in sintesi il punto che Antonio Di Pietro ha illustrato ai cronisti dopo aver incontrato il leader della Fiom, Maurizio Landini. "Mi auguro- ha insistito l'ex pm- che la Confindustria esca allo scoperto e non faccia la banderuola perché' la dottrina Marchionne non deve diventare una abitudine dove ognuno fa quel che vuole. Oggi e' successo a Mirafiori, domani succedera' in altri stabilimenti e in altre aziende". 4 gennaio 2011
Cofferati: "Marchionne sfrutta di più gli operai" di Rinaldo Gianola | tutti gli articoli dell'autore IMG Sergio Cofferati ha espresso una critica severa al patto di Mirafiori dopo aver bocciato all’epoca l’accordo di Pomigliano. Cofferati, in quale veste esprime la sua opposizione al piano Fiat? "Sono nettamente contrario in tutte le vesti possibili: come iscritto alla Cgil,come iscritto al pd, come parlamentare europeo. È giusto quando si hanno opinioni divergenti da quelle dei gruppi dirigenti del partito e dell’organizzazione non nasconderle ma esplicitarle". Lei afferma che la Fiom non può firmarenemmeno" tecnicamente" il patto di Mirafiori. Perchè? "Il problema non si pone, la questione della firma è surreale. La Fiom non può firmare, glielo vieta lo statuto della Cgil. La delibera numero 4 attuativa dello statuto Cgil vieta all’organizzazione di presentare piattaforme o firmare accordi nei quali siano contenute lesioni ai diritti contrattuali o di legge come è nei casi di Pomigliano e Mirafiori". Marchionne dice che se vincono i no, la Fiat non investe. Come se ne esce? "La situazione è molto difficile, i problemi sono gravi e rilevantissimi. La questione oggi è politica: Marchionne ha un atteggiamento inaccettabile. Nega il confronto e la dialettica sui luoghi di lavoro, e devo dire che non è molto rispettoso di quelle organizzazioni che hanno firmato quando mette in dubbio che nonsiano maggioritarie in fabbrica. Il caso Fiat è politico perchè... Vuoi continuare a leggere questo articolo? Clicca qui 4 gennaio 2011
Damiano: "Autoescludersi è un errore" di Felicia Masocco | tutti gli articoli dell'autore IMG La via indicata da Susanna Camusso e Fausto Durante "è quella da seguire" per Cesare Damiano. L’ex dirigenteFiom ed ex ministro del Lavoro ha una posizione opposta a quella dell’amico Sergio Cofferati e ritiene che "un’adesione critica " all’accordo sia preferibile all’autoesclusione della Fiom da Fiat Mirafiori. Peraltro non sarebbe un inedito ", racconta il parlamentare Pd: qualcosa di simile avvenne nel ‘96 per il rinnovo dell’integrativo in Fiat. Inedito è invece quello che Damiano chiama "asse politico- sindacale", la "crescente convergenza" di Idv e Sel sulle posizioni Fiom "a scapito dell’autonomia del sindacato".Quanto al Pd, che non converge e si divide, la direzione "deve discutere di questo argomento e votare un documento vincolante per tutti". Non si sa bene cosa sarà Fabbrica Italia intantohadiviso il sindacato, la politica e ora anche la Cgil. Lei è d’accordo con Susanna Camusso, se vincono i Si al referendum la Fiom deve "firmare tecnicamente ". Perché, se non è d’accordo con i contenuti? "Perché, soprattutto se vince il Si, non sarebbe spiegabile un’autoesclusione della Fiom: con una firma tecnica o, come si diceva un tempo, "una adesione critica" che non rinuncia a rilevare le criticità dell’accordo, si può stare in gioco. Tra le altre cose verrebbe transitoriamente risolto il problema della rappresentatività nei luoghi di lavoro.Comela Cgil, privilegio una posizione meno rigida, più politica". Sergio Cofferati, suo amico e alleato in numerose battaglie, la pensa diversamente. Dice che non si può fare. Cosa risponde? "Non condivido la posizione di Cofferati, credo che un puro e semplice richiamo allo statuto Cgil sia opinabile. Questa situazione ha caratteristiche politiche"... 4 gennaio 2011
Marchionne: "La Fiat produce anche senza Fiom" IMG Se vincerà al referendum "il 'no' con il 51%, la Fiat non farà l'investimento a Mirafiori". Lo ha affermato l'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, a margine della cerimonia inaugurale di Fiat Industrial in Borsa, sottolineando invece che "se il referendum a Mirafiori arriverà al 51% (di consensi, ndr) andremo avanti con il progetto". 'La Fiat e' capace di produrre vetture con o senza la Fiom'', ha poi agiunto l'ad. Nell'ambito della trattativa sindacale, che ha visto la Fiom non firmare l'accordo, Marchionne ha sottolineato di "non aver lasciato nessuno fuori: se qualcuno ha deciso di non firmare - ha proseguito - non significa che io abbia deciso di lasciar fuori qualcuno". Secondo Marchionne "la Fiat ha bisogno di libertà gestionale e non può essere condizionata da accordi, che non hanno più senso". Marchionne ha anche annunciato che "è possibile che si salga al 51% di Chrysler, nel 2011, se questa decide di andare sul mercato. Penso che sia possibile, ma non probabile. Non e' pianificata oggi una fusione fra Fiat e Chrysler". I due titoli Fiat post scorporo dell'auto, Fiat Spa e Fiat Industrial, han debuttato stamani a Piazza Affari. E' quindi operativa in Borsa la scissione del Lingotto, dopo 112 anni di storia unitaria: da una parte è quotato il business dell'auto e dall'altra quello industriale, che comprende, come asset principali, Iveco e i trattori di Cnh. E' stato l'amministratore delegato Sergio Marchionne a tenere a battesimo a Piazza Affari le nuove società. Il primo responso della Borsa sul valore dell'Industrial con i mezzi pesanti e della Spa con il business dell'auto è stato questo: Fiat Spa e' subito tornata alle contrattazioni, dopo un breve stop per l'eccessiva volatilita', e viene trattata 7,13 euro. Fiat Industrial segna intanto un prezzo di 9,04 euro. Buoni gli scambi, con volumi per 5,3 milioni di pezzi su entrambi i titoli. L'azionista Exor sale intanto dello 0,77% a 24,87 euro. La performance borsistica di Fiat nell'ultimo periodo è stata di tutto rilievo: in un mese il titolo è salito di quasi il 20%, in sei mesi di circa l'80% e in un anno del 49,52%. Il tutto con l'indice principale di Piazza Affari che ha chiuso l'anno con una flessione di oltre il 12%. 3 gennaio 2011
2011-01-01 Pomigliano, Fiom e Cgil divisi? Landini: no, siamo uniti IMG La Fiom e la Cgil concordano nel giudicare illegittimo l'intesa su Mirafiori tra Fiat e sindacati. Lo assicura il leader dei metalmeccanici Cgil, Maurizio Landini, al Tg3: "Un comitato centrale ha deciso, senza un voto contrario, che quell'accordo non è legittimo, non è firmabile e il referendum non può essere accettato perchè mette in discussione diritti indisponibili. Alla nostra riunione c'era la segreteria nazionale della Cgil, che ha condiviso questa posizione". Landini lo dichiara perché secondo un quotidiano il segretario della Cgil Susanna Camusso avrebbe invitato la Fiom a firmare l'intesa in caso di vittoria dei sì nel referendum dei lavoratori.
LA LETTERA DEI 47 OPERAI FIAT A BERSANI, VENDOLA E DI PIETRO Cari Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola e Antonio Di Pietro... " inizia così la lettera di 47 operai della Fiat che scrivono ai leader dell’opposizione. La lettera è stata recapitata al Giornale di proprietà della famiglia Berlusconi ed è stata pubblicata ieri dal quotidiano. Sul tavolo la questione degli accordi a Pomigliano e Mirafiori. "Noi abbiamo votato Sì e non accettiamo più la vostra ipocrisia...". Gli operai pongono 10 domande ai tre politici: "Secondo voi, noi siamo contenti di lavorare in fabbrica? Secondo voi, noi che guadagniamo 1.200 euro mensili non vorremmo guadagnare di più lavorando anche meno? Secondo voi, oltre la proposta di Marchionne avevamo altro? Secondo voi, se la Fiom avesse proposto una valida alternativa al piano, invece di limitarsi alla legittimità del referendum ed esortare solo per un No, l’avremmo fatto? Secondo voi, se avessimo avuto una legge che tutelasse i lavoratori sulla malattia (anche i primi tre giorni) non sarebbe stato meglio? Perché non avete riformato la legge quando eravate al governo? Secondo voi, se avessimo avuto una legge che prevedeva più pause durante il lavoro non era meglio? Perché non avete riformato i decreti legislativi quando eravate al governo? Secondo voi, è giusto che ai sindacati di base in Fiat non viene riconosciuto il monte ore permessi per il direttivo e alla Fiom - che non firmanulla - viene riconosciuto tutto? Perché fate due pesi e due misure? Secondo voi, continuando a dire che Cisl e UIl sono i sindacati servi dei padroni aiutate la classe operaia? Secondo voi, gli operai si sono dimenticati di quando avete votato in Parlamento l’inizio del precariato attraverso il pacchetto Treu? Secondo voi, difendendo le soli ragioni della Fiom state portando il giusto rispetto a quegli operai non iscritti al sindacato del metalmeccanici della Cgil? Credeteci - conclude la lettera - che il contratto nazionale di lavoro non è morto a Pomigliano e neanche a Mirafiori, credeteci che i diritti non sono caduti a Pomigliano o a Mirafiori...".
STEFANO FASSINA RESPONSABILE ECONOMIA DEL PD La lettera a "Il Giornale" di alcuni operai di Pomiglianoesprimeun punto di vista noto al Pd. Noi, sin dall’avvio di "Fabbrica Italia", non abbiamo semplificato, non abbiamo distinto tra operai a schiena dritta per il "no" e operai piegati per il "sì". Chi scrive è figlio di operaio e ha incrociato negli occhi paterni la tensione tra lavoro e dignità. Il Pd ha sottolineato il dramma comune dei lavoratori e delle lavoratrici e delle organizzazioni sindacali impegnate a rappresentarli, divise tra resistenza ideologica e rassegnazione pragmatica: la drammatica asimmetria nei rapporti di forza tra capitale finanziario, libero di fare shopping di lavoro low cost nella dimensione globale dell’economia e soggetti riformisti, politici e sociali, prigionieri della dimensione nazionale. La sinistra non è stata immobile al governo. Il precariato non è colpa di Tiziano Treu. Purtroppo, nonostante le mitologie giuslavoristiche, le leggi non fermano la storia. Soltantouna tenace azione riformista a tutto campo e la riorganizzazione sovranazionale della politica promuove la dignità del lavoro. Il centrosinistra ha avviato il processo. Nel 1996 ha portato un paese in ginocchio nell’euro, unico porto nella tempesta in corso; nel 2007, con Romano Prodi, ha varato, insieme a tutte le forze economiche e sociali e con il sì di oltre 5 milioni di lavoratori, il "Protocollo per la riforma del welfare" per tenere insieme lavoro e diritti, in particolare per le generazioni di lavoratori più giovani segnate dal precariato. Nella stessa fase, ha anche avviato una vera politica industriale per l’innovazione e la qualità, i diritti, le condizioni del lavoro e retribuzioni decenti.È vero, il centrosinistra non è stato all’altezza della sfida ed il Pd è nato per raccoglierla. Ma le destre populiste procedono in direzione opposta: preservano le rendite in ognicampoe, percompensare, abbattono i diritti dei lavoratori. Su Pomigliano e Mirafiori, gli accordi sottoscritti consentono l’avvio di rilevanti investimenti, ma sul piano della rappresentanza e della democrazia compiono strappi insostenibili. Abbiamo indicato un percorso alternativo e praticabile: per risolvere il problema dell’esigibilità, ossia il pieno rispetto, degli accordi sottoscritti, requisito decisivo per gli investimenti, abbiamo proposto un’intesa interconfederale e poi una legge sulla rappresentanza e la democrazia sindacale per definire le condizioni di validazione dei contratti, chiarire il perimetro dei diritti indisponibili, confermare la piena agibilità sindacale per chi dissente dalle scelte della maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici, promuovere la partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa. Continueremo a batterci per una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
ANTONIO DI PIETRO LEADER DELL’ITALIA DEI VALORI La lettera aperta di alcuni operai di Pomigliano, pubblicata dal quotidiano Il Giornale, parla delle loro condizioni di lavoro su cui vengono caricate la responsabilità del governo, per le mancate scelte di politica industriale, e della Fiat a causa delle gravi difficoltà finanziarie e di prodotto in cui versa. La Fiat da due anni perde una quota di mercato doppia rispetto alla media europea. Le questioni concrete, e nonideologiche, su cui la politica deve dare risposte sono sui ritmi di lavoro elevati, sugli stipendi da 1200 euro al mese, sull’aumento dell’orario lavorativo, ben oltre quello degli operai tedeschi e francesi, e sulla reale e costante riduzione del potere d’acquisto e dei diritti fondamentali. L’Italia dei Valori ha presentato unaproposta di legge volta a regolare la reale rappresentanza dei sindacati nelle aziende, consegnando il potere di decidere ai lavoratori e non alle burocrazie sindacali: il nostro compito principale è quello di ridare la parola, i diritti e la libertà di decisione ai diretti interessati, cioè agli operai e agli impiegati, così comeprevede la Costituzione repubblicana, violata in questi giorni da accordi capestro. Comprendiamo e rispettiamo il voto degli operai della Fiat di Pomigliano che sono stati sottoposti ad un vero e proprio ricatto. Proprio quel voto, infatti, ha indotto alcuni sindacati, tranne la Fiom, a siglare un’intesa che noi dell’Italia dei Valori continuiamo a ritenere sbagliata e ricattatoria. Vogliamo ribadire che non lasceremo soli gli operai della Fiat in Italia, a partire da quelli di Termini Imerese ai quali è stata annunciata la chiusura della fabbrica. Continueremo a lottare affinché Marchionne non possa smantellare pezzo dopo pezzo i diritti dei lavoratori al fine di collocare la Fiat fuori dal nostro Paese". NICHI VENDOLA LEADER DI SINISTRA E LIBERTA' Cari amici di Pomigliano, mi addolora vedervi "usati" così, e su quel quotidiano padronale. Tuttavia la vostra lettera è un documento drammatico: dice di una resa culturale e sociale che dovrebbe scuotere tutta la politica italiana. In questa vostra curiosa e paradossale polemica contro la sinistra e contro la Fiom – rei di non subire il contratto-capestro della Fiat e le sue conseguenze generali sulle relazioni industriali in Italia – voi perònon riuscite a rappresentare la strategia di Marchionne come una profezia del moderno. Non potete farlo perché comunque siete ingabbiati in quella fabbrica di cui parlate con cognizione di causa, in quel recinto produttivo in cui diventa problematico ammalarsi, godere della pausa mensa, rivendicare un reddito non inchiodato a quei maledetti 1200 euro. In quella fabbrica in cui siete solo bulloni e numeri, non persone né tantomeno classe. In cui il contratto sarà un negozio privato tra voi, piccoli e soli, e un padrone multinazionale (uno a cui piacciono le imprese americane e gli operai cinesi). In quella fabbrica la lotta e lo sciopero, strumenti sovrani della civiltà e della democrazia, vengono oggi messi al bando. E voi la raccontate per quello che è: dolore e fatica, perdita di diritti e di reddito. Solo che pensate di non avere alternativa. Non c’era via di fuga. Ma è tutta qui la tragedia del nostro Paese. In un potere che rischia di riprodursi, nonostante le sue molteplici indecenze, per assenza di alternativa. Io non sonocontro di voi. Sono contro l’arroganza di chi vi vuole piegati e rassegnati 30 dicembre 2010
Fiat, indietro tutta: firmato l'accordo su Pomigliano fiat pomigliano 1981 Accordo su Pomigliano siglato. Senza la Fiom, naturalmente. Fim, Uilm, Ugl metalmeccanici, Fismic, l'Associazione dei quadri Fiat e il Lingotto hanno firmato il nuovo contratto di lavoro per i 4.600 dipendenti dello stabilimento di Pomigliano, che a partire da gennaio 2011 saranno riassunti dalla Newco, sulla base dell'accordo di giugno che sblocca investimenti per 700 milioni per la produzione della nuova Panda. La produzione dovrebbe partire tra fine 2011 e inizio 2012. Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini ha proposto al comitato centrale otto ore di sciopero di categoria per il 28 gennaio. La proposta è stata accolta. Questo nuovo contratto, afferma il sindacato dei metalmeccanici della Cgil, cancella d'un colpo diritti dei lavoratori conquistati con gli anni. E fa da apripista ad accordi analoghi. L'ACCORDO: 30 EURO LORDI AL MESE D'AUMENTO Con l'intesa a partire da gennaio dovranno essere progressivamente assunti i 4.600 lavoratori dello stabilimento campano. Il nuovo contratto prevede un aumento salariale medio di 30 euro lordi al mese e un nuovo inquadramento professionale. Le assunzioni scatteranno a gennaio per un primo gruppo formato da tecnici e impiegati, nella tarda primavera sarà assunta la maggior parte degli operai, che faranno formazione. ESCLUSI SINDACATI CHE NON FIRMANO Per le relazioni sindacali viene applicato il modello dell'accordo di Mirafiori: esclude dalla rappresentanza i sindacati che non hanno firmato, cioè - in questo caso - la Fiom. CISL E UIL: TAPPA IMPORANTE ''La cosa importante e' che da gennaio i primi lavoratori di Pomigliano rientreranno dalla cassa integrazione e saranno assunti''. Lo ha detto il segretario nazionale della Fim-Cisl, Bruno Vitali, a margine dell'incontro tra sindacati e Fiat. ''Quelli che rientreranno dalla cassa integrazione - sottolinea Vitali - non saranno molti, saranno pochi, alcune decine. Ma e' un segnale importante, che segna la riapertura della fabbrica. Seguiranno gli altri nei mesi successivi, a meta' dell'anno i programmi prevedano che ci sara' il forte rientro delle persone''. Si iniziera' con tutta probabilita', aggiunge il sindacalista, dai profili gestionali. ''Qui stiamo scrivendo - ha dichiarato Vitali - il nuovo contratto, il rapporto di lavoro, visto che la nuova societa' di Pomigliano non aderisce a Confindustria abbiamo la necessita' di non lasciare mano libera all'azienda e quindi di mettere le condizioni del contratto''. Si tratta, ricorda Vitali, ''di un contratto transitorio di due anni, nel frattempo dovremmo fare delle norme specifiche per il settore auto''. Quanto all'atteggiamento dell'azienda nella trattativa, il sindacalista sottolinea: ''Si lavora intensamente, si discute anche animatamente, ma c'e' la voglia di trovare un'intesa''. ''Stiamo facendo un lavoro molto importante sui minimi tabellari, le cifre sono significative e penso che sicuramente avremmo almeno una tranche di aumento contrattuale da subito, dal primo gennaio'', ha affermato invece il segretario generale della Uilm Campania, Giovanni Sgambati, a margine dell'incontro. Riguardo ai rialzi salariali, il sindacalista spiega: ''il vero aumento vale all'incirca 30 euro, ma gli effetti sui minimi tabellari sono molto significativi, riguarderanno anche 100 euro di differenza tra un lavoratore dello stabilimento di Pomigliano e un altro lavoratore metalmeccanico''. LE CONTROMOSSE DELLA FIOM La Fiom non ci sta e oltre lo sciopero del 28 gennaio, ha spiegato Landini, organizzera' ''una raccolta di firme in tutti i luoghi di lavoro dei metalmeccanici per dire che il contratto deve restare senza deroghe, che gli accordi su Pomigliano e Mirafiori non vanno bene, che le liberta' sindacali vanno difese nell'interesse di tutti e non solo della Fiom''. Ci saranno poi ''presidi democratici e dibattiti pubblici in tutte le citta', a partire da Torino. Gli aspetti giuridici del confronto con Fiat degli accordi firmati senza la Fiom a Pomigliano e Mirafiori saranno approfonditi con le consulte giuridiche di Fiom e Cgil. Mentre ''il 3 ed il 4 febbraio ci sara' l'assemblea nazionale dei delegati Fiom per riconquistare un vero contratto nazionale di lavoro''. Perché, secondo Landini, con gli accordi separati che introdurranno nuove regole per gli stabilimenti di Pomigliano e Mirafioriil Lingotto vuole ''operai schiavi, senza diritti e sotto ricatto''. ANGIUS DEL PD: ACCORDO CHE MINA DEMOCRAZIA Gavino Angius del Pd si chiede "perche Marchionne puo' ricattare operai, sindacati e persino la Confindustria senza che nessuno dica nulla? Ci sono un milione di ragioni per votare no. Ma ne bastano due: non accettare un ricatto e difendere la democrazia nelle fabbriche come in tutti i luoghi di lavoro. Perché così chi dissente non esiste. Obbedienza: questo sarebbe il nuovo principio della democrazia". E contro la Fiom, conclude, c'è un attacco "indecente".
29 dicembre 2010
2010-12-30 "Cari amici di Pomigliano..." IMG Cari Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola e Antonio Di Pietro... " inizia così la lettera di 47 operai della Fiat che scrivono ai leader dell’opposizione. La lettera è stata recapitata al Giornale di proprietà della famiglia Berlusconi ed è stata pubblicata ieri dal quotidiano. Sul tavolo la questione degli accordi a Pomigliano e Mirafiori. "Noi abbiamo votato Sì e non accettiamo più la vostra ipocrisia...". Gli operai pongono 10 domande ai tre politici: "Secondo voi, noi siamo contenti di lavorare in fabbrica? Secondo voi, noi che guadagniamo 1.200 euro mensili non vorremmo guadagnare di più lavorando anche meno? Secondo voi, oltre la proposta di Marchionne avevamo altro? Secondo voi, se la Fiom avesse proposto una valida alternativa al piano, invece di limitarsi alla legittimità del referendum ed esortare solo per un No, l’avremmo fatto? Secondo voi, se avessimo avuto una legge che tutelasse i lavoratori sulla malattia (anche i primi tre giorni) non sarebbe stato meglio? Perché non avete riformato la legge quando eravate al governo? Secondo voi, se avessimo avuto una legge che prevedeva più pause durante il lavoro non era meglio? Perché non avete riformato i decreti legislativi quando eravate al governo? Secondo voi, è giusto che ai sindacati di base in Fiat non viene riconosciuto il monte ore permessi per il direttivo e alla Fiom - che non firmanulla - viene riconosciuto tutto? Perché fate due pesi e due misure? Secondo voi, continuando a dire che Cisl e UIl sono i sindacati servi dei padroni aiutate la classe operaia? Secondo voi, gli operai si sono dimenticati di quando avete votato in Parlamento l’inizio del precariato attraverso il pacchetto Treu? Secondo voi, difendendo le soli ragioni della Fiom state portando il giusto rispetto a quegli operai non iscritti al sindacato del metalmeccanici della Cgil? Credeteci - conclude la lettera - che il contratto nazionale di lavoro non è morto a Pomigliano e neanche a Mirafiori, credeteci che i diritti non sono caduti a Pomigliano o a Mirafiori...".
STEFANO FASSINA RESPONSABILE ECONOMIA DEL PD La lettera a "Il Giornale" di alcuni operai di Pomiglianoesprimeun punto di vista noto al Pd. Noi, sin dall’avvio di "Fabbrica Italia", non abbiamo semplificato, non abbiamo distinto tra operai a schiena dritta per il "no" e operai piegati per il "sì". Chi scrive è figlio di operaio e ha incrociato negli occhi paterni la tensione tra lavoro e dignità. Il Pd ha sottolineato il dramma comune dei lavoratori e delle lavoratrici e delle organizzazioni sindacali impegnate a rappresentarli, divise tra resistenza ideologica e rassegnazione pragmatica: la drammatica asimmetria nei rapporti di forza tra capitale finanziario, libero di fare shopping di lavoro low cost nella dimensione globale dell’economia e soggetti riformisti, politici e sociali, prigionieri della dimensione nazionale. La sinistra non è stata immobile al governo. Il precariato non è colpa di Tiziano Treu. Purtroppo, nonostante le mitologie giuslavoristiche, le leggi non fermano la storia. Soltantouna tenace azione riformista a tutto campo e la riorganizzazione sovranazionale della politica promuove la dignità del lavoro. Il centrosinistra ha avviato il processo. Nel 1996 ha portato un paese in ginocchio nell’euro, unico porto nella tempesta in corso; nel 2007, con Romano Prodi, ha varato, insieme a tutte le forze economiche e sociali e con il sì di oltre 5 milioni di lavoratori, il "Protocollo per la riforma del welfare" per tenere insieme lavoro e diritti, in particolare per le generazioni di lavoratori più giovani segnate dal precariato. Nella stessa fase, ha anche avviato una vera politica industriale per l’innovazione e la qualità, i diritti, le condizioni del lavoro e retribuzioni decenti.È vero, il centrosinistra non è stato all’altezza della sfida ed il Pd è nato per raccoglierla. Ma le destre populiste procedono in direzione opposta: preservano le rendite in ognicampoe, percompensare, abbattono i diritti dei lavoratori. Su Pomigliano e Mirafiori, gli accordi sottoscritti consentono l’avvio di rilevanti investimenti, ma sul piano della rappresentanza e della democrazia compiono strappi insostenibili. Abbiamo indicato un percorso alternativo e praticabile: per risolvere il problema dell’esigibilità, ossia il pieno rispetto, degli accordi sottoscritti, requisito decisivo per gli investimenti, abbiamo proposto un’intesa interconfederale e poi una legge sulla rappresentanza e la democrazia sindacale per definire le condizioni di validazione dei contratti, chiarire il perimetro dei diritti indisponibili, confermare la piena agibilità sindacale per chi dissente dalle scelte della maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici, promuovere la partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa. Continueremo a batterci per una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
ANTONIO DI PIETRO LEADER DELL’ITALIA DEI VALORI La lettera aperta di alcuni operai di Pomigliano, pubblicata dal quotidiano Il Giornale, parla delle loro condizioni di lavoro su cui vengono caricate la responsabilità del governo, per le mancate scelte di politica industriale, e della Fiat a causa delle gravi difficoltà finanziarie e di prodotto in cui versa. La Fiat da due anni perde una quota di mercato doppia rispetto alla media europea. Le questioni concrete, e nonideologiche, su cui la politica deve dare risposte sono sui ritmi di lavoro elevati, sugli stipendi da 1200 euro al mese, sull’aumento dell’orario lavorativo, ben oltre quello degli operai tedeschi e francesi, e sulla reale e costante riduzione del potere d’acquisto e dei diritti fondamentali. L’Italia dei Valori ha presentato unaproposta di legge volta a regolare la reale rappresentanza dei sindacati nelle aziende, consegnando il potere di decidere ai lavoratori e non alle burocrazie sindacali: il nostro compito principale è quello di ridare la parola, i diritti e la libertà di decisione ai diretti interessati, cioè agli operai e agli impiegati, così comeprevede la Costituzione repubblicana, violata in questi giorni da accordi capestro. Comprendiamo e rispettiamo il voto degli operai della Fiat di Pomigliano che sono stati sottoposti ad un vero e proprio ricatto. Proprio quel voto, infatti, ha indotto alcuni sindacati, tranne la Fiom, a siglare un’intesa che noi dell’Italia dei Valori continuiamo a ritenere sbagliata e ricattatoria. Vogliamo ribadire che non lasceremo soli gli operai della Fiat in Italia, a partire da quelli di Termini Imerese ai quali è stata annunciata la chiusura della fabbrica. Continueremo a lottare affinché Marchionne non possa smantellare pezzo dopo pezzo i diritti dei lavoratori al fine di collocare la Fiat fuori dal nostro Paese". NICHI VENDOLA LEADER DI SINISTRA E LIBERTA' Cari amici di Pomigliano, mi addolora vedervi "usati" così, e su quel quotidiano padronale. Tuttavia la vostra lettera è un documento drammatico: dice di una resa culturale e sociale che dovrebbe scuotere tutta la politica italiana. In questa vostra curiosa e paradossale polemica contro la sinistra e contro la Fiom – rei di non subire il contratto-capestro della Fiat e le sue conseguenze generali sulle relazioni industriali in Italia – voi perònon riuscite a rappresentare la strategia di Marchionne come una profezia del moderno. Non potete farlo perché comunque siete ingabbiati in quella fabbrica di cui parlate con cognizione di causa, in quel recinto produttivo in cui diventa problematico ammalarsi, godere della pausa mensa, rivendicare un reddito non inchiodato a quei maledetti 1200 euro. In quella fabbrica in cui siete solo bulloni e numeri, non persone né tantomeno classe. In cui il contratto sarà un negozio privato tra voi, piccoli e soli, e un padrone multinazionale (uno a cui piacciono le imprese americane e gli operai cinesi). In quella fabbrica la lotta e lo sciopero, strumenti sovrani della civiltà e della democrazia, vengono oggi messi al bando. E voi la raccontate per quello che è: dolore e fatica, perdita di diritti e di reddito. Solo che pensate di non avere alternativa. Non c’era via di fuga. Ma è tutta qui la tragedia del nostro Paese. In un potere che rischia di riprodursi, nonostante le sue molteplici indecenze, per assenza di alternativa. Io non sonocontro di voi. Sono contro l’arroganza di chi vi vuole piegati e rassegnati 30 dicembre 2010
Fiat, indietro tutta: firmato l'accordo su Pomigliano fiat pomigliano 1981 Accordo su Pomigliano siglato. Senza la Fiom, naturalmente. Fim, Uilm, Ugl metalmeccanici, Fismic, l'Associazione dei quadri Fiat e il Lingotto hanno firmato il nuovo contratto di lavoro per i 4.600 dipendenti dello stabilimento di Pomigliano, che a partire da gennaio 2011 saranno riassunti dalla Newco, sulla base dell'accordo di giugno che sblocca investimenti per 700 milioni per la produzione della nuova Panda. La produzione dovrebbe partire tra fine 2011 e inizio 2012. Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini ha proposto al comitato centrale otto ore di sciopero di categoria per il 28 gennaio. La proposta è stata accolta. Questo nuovo contratto, afferma il sindacato dei metalmeccanici della Cgil, cancella d'un colpo diritti dei lavoratori conquistati con gli anni. E fa da apripista ad accordi analoghi. L'ACCORDO: 30 EURO LORDI AL MESE D'AUMENTO Con l'intesa a partire da gennaio dovranno essere progressivamente assunti i 4.600 lavoratori dello stabilimento campano. Il nuovo contratto prevede un aumento salariale medio di 30 euro lordi al mese e un nuovo inquadramento professionale. Le assunzioni scatteranno a gennaio per un primo gruppo formato da tecnici e impiegati, nella tarda primavera sarà assunta la maggior parte degli operai, che faranno formazione. ESCLUSI SINDACATI CHE NON FIRMANO Per le relazioni sindacali viene applicato il modello dell'accordo di Mirafiori: esclude dalla rappresentanza i sindacati che non hanno firmato, cioè - in questo caso - la Fiom. CISL E UIL: TAPPA IMPORANTE ''La cosa importante e' che da gennaio i primi lavoratori di Pomigliano rientreranno dalla cassa integrazione e saranno assunti''. Lo ha detto il segretario nazionale della Fim-Cisl, Bruno Vitali, a margine dell'incontro tra sindacati e Fiat. ''Quelli che rientreranno dalla cassa integrazione - sottolinea Vitali - non saranno molti, saranno pochi, alcune decine. Ma e' un segnale importante, che segna la riapertura della fabbrica. Seguiranno gli altri nei mesi successivi, a meta' dell'anno i programmi prevedano che ci sara' il forte rientro delle persone''. Si iniziera' con tutta probabilita', aggiunge il sindacalista, dai profili gestionali. ''Qui stiamo scrivendo - ha dichiarato Vitali - il nuovo contratto, il rapporto di lavoro, visto che la nuova societa' di Pomigliano non aderisce a Confindustria abbiamo la necessita' di non lasciare mano libera all'azienda e quindi di mettere le condizioni del contratto''. Si tratta, ricorda Vitali, ''di un contratto transitorio di due anni, nel frattempo dovremmo fare delle norme specifiche per il settore auto''. Quanto all'atteggiamento dell'azienda nella trattativa, il sindacalista sottolinea: ''Si lavora intensamente, si discute anche animatamente, ma c'e' la voglia di trovare un'intesa''. ''Stiamo facendo un lavoro molto importante sui minimi tabellari, le cifre sono significative e penso che sicuramente avremmo almeno una tranche di aumento contrattuale da subito, dal primo gennaio'', ha affermato invece il segretario generale della Uilm Campania, Giovanni Sgambati, a margine dell'incontro. Riguardo ai rialzi salariali, il sindacalista spiega: ''il vero aumento vale all'incirca 30 euro, ma gli effetti sui minimi tabellari sono molto significativi, riguarderanno anche 100 euro di differenza tra un lavoratore dello stabilimento di Pomigliano e un altro lavoratore metalmeccanico''. LE CONTROMOSSE DELLA FIOM La Fiom non ci sta e oltre lo sciopero del 28 gennaio, ha spiegato Landini, organizzera' ''una raccolta di firme in tutti i luoghi di lavoro dei metalmeccanici per dire che il contratto deve restare senza deroghe, che gli accordi su Pomigliano e Mirafiori non vanno bene, che le liberta' sindacali vanno difese nell'interesse di tutti e non solo della Fiom''. Ci saranno poi ''presidi democratici e dibattiti pubblici in tutte le citta', a partire da Torino. Gli aspetti giuridici del confronto con Fiat degli accordi firmati senza la Fiom a Pomigliano e Mirafiori saranno approfonditi con le consulte giuridiche di Fiom e Cgil. Mentre ''il 3 ed il 4 febbraio ci sara' l'assemblea nazionale dei delegati Fiom per riconquistare un vero contratto nazionale di lavoro''. Perché, secondo Landini, con gli accordi separati che introdurranno nuove regole per gli stabilimenti di Pomigliano e Mirafioriil Lingotto vuole ''operai schiavi, senza diritti e sotto ricatto''. ANGIUS DEL PD: ACCORDO CHE MINA DEMOCRAZIA Gavino Angius del Pd si chiede "perche Marchionne puo' ricattare operai, sindacati e persino la Confindustria senza che nessuno dica nulla? Ci sono un milione di ragioni per votare no. Ma ne bastano due: non accettare un ricatto e difendere la democrazia nelle fabbriche come in tutti i luoghi di lavoro. Perché così chi dissente non esiste. Obbedienza: questo sarebbe il nuovo principio della democrazia". E contro la Fiom, conclude, c'è un attacco "indecente". 29 dicembre 2010
Bersani: Fiat, sbagliato escludere chi dissente IMG "Sbagliato tagliar fuori chi dissente". Sull'accordo di Mirafiori il leader Pd Bersani interviene su Sky Tg24. "Perche' si parla di Pd diviso? Abbiamo una posizione molto chiara e la sosteniamo tutti". "Sulla questione produttiva- spiega - i lavoratori si pronunceranno, ma noi ci auguriamo che l'investimento venga confermato perche' e' molto importante per Torino e l'Italia". In quell'accordo, osserva il segretario, "c'e' una cosa che non va e che riguarda la rappresentanza: non e' giusto che chi dissente venga tagliato fuori dai diritti sindacali. Chi dissente non puo' impedire ma non puo' essere tagliato fuori. Su questo bisogna rimontare e il governo dovrebbe favorire i meccanismi di partecipazione. Perche' se non correggiamo questo andamento, c'e' una palla di neve che puo' diventare una valanga". Da questo punto di vista la prima parola "deve toccare alle grandi organizzazioni sociali, una legge semmai puo' essere di appoggio. Riprendiamo il filo su questo punto e il governo non faccia l'agnostico. Questa e' la posizione del Pd. Siamo un partito che discute, capiamo che puo' sembrare una stranezza in Italia, ma noi discutiamo". 30 dicembre 2010
2010-12-29 Fiat, indietro tutta: firmato l'accordo su Pomigliano fiat pomigliano 1981 Accordo su Pomigliano siglato. Senza la Fiom, naturalmente. Fim, Uilm, Ugl metalmeccanici, Fismic, l'Associazione dei quadri Fiat e il Lingotto hanno firmato il nuovo contratto di lavoro per i 4.600 dipendenti dello stabilimento di Pomigliano, che a partire da gennaio 2011 saranno riassunti dalla Newco, sulla base dell'accordo di giugno che sblocca investimenti per 700 milioni per la produzione della nuova Panda. La produzione dovrebbe partire tra fine 2011 e inizio 2012. Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini ha proposto al comitato centrale otto ore di sciopero di categoria per il 28 gennaio. La proposta è stata accolta. Questo nuovo contratto, afferma il sindacato dei metalmeccanici della Cgil, cancella d'un colpo diritti dei lavoratori conquistati con gli anni. E fa da apripista ad accordi analoghi. L'ACCORDO: 30 EURO LORDI AL MESE D'AUMENTO Con l'intesa a partire da gennaio dovranno essere progressivamente assunti i 4.600 lavoratori dello stabilimento campano. Il nuovo contratto prevede un aumento salariale medio di 30 euro lordi al mese e un nuovo inquadramento professionale. Le assunzioni scatteranno a gennaio per un primo gruppo formato da tecnici e impiegati, nella tarda primavera sarà assunta la maggior parte degli operai, che faranno formazione. ESCLUSI SINDACATI CHE NON FIRMANO Per le relazioni sindacali viene applicato il modello dell'accordo di Mirafiori: esclude dalla rappresentanza i sindacati che non hanno firmato, cioè - in questo caso - la Fiom. CISL E UIL: TAPPA IMPORANTE ''La cosa importante e' che da gennaio i primi lavoratori di Pomigliano rientreranno dalla cassa integrazione e saranno assunti''. Lo ha detto il segretario nazionale della Fim-Cisl, Bruno Vitali, a margine dell'incontro tra sindacati e Fiat. ''Quelli che rientreranno dalla cassa integrazione - sottolinea Vitali - non saranno molti, saranno pochi, alcune decine. Ma e' un segnale importante, che segna la riapertura della fabbrica. Seguiranno gli altri nei mesi successivi, a meta' dell'anno i programmi prevedano che ci sara' il forte rientro delle persone''. Si iniziera' con tutta probabilita', aggiunge il sindacalista, dai profili gestionali. ''Qui stiamo scrivendo - ha dichiarato Vitali - il nuovo contratto, il rapporto di lavoro, visto che la nuova societa' di Pomigliano non aderisce a Confindustria abbiamo la necessita' di non lasciare mano libera all'azienda e quindi di mettere le condizioni del contratto''. Si tratta, ricorda Vitali, ''di un contratto transitorio di due anni, nel frattempo dovremmo fare delle norme specifiche per il settore auto''. Quanto all'atteggiamento dell'azienda nella trattativa, il sindacalista sottolinea: ''Si lavora intensamente, si discute anche animatamente, ma c'e' la voglia di trovare un'intesa''. ''Stiamo facendo un lavoro molto importante sui minimi tabellari, le cifre sono significative e penso che sicuramente avremmo almeno una tranche di aumento contrattuale da subito, dal primo gennaio'', ha affermato invece il segretario generale della Uilm Campania, Giovanni Sgambati, a margine dell'incontro. Riguardo ai rialzi salariali, il sindacalista spiega: ''il vero aumento vale all'incirca 30 euro, ma gli effetti sui minimi tabellari sono molto significativi, riguarderanno anche 100 euro di differenza tra un lavoratore dello stabilimento di Pomigliano e un altro lavoratore metalmeccanico''. LE CONTROMOSSE DELLA FIOM La Fiom non ci sta e oltre lo sciopero del 28 gennaio, ha spiegato Landini, organizzera' ''una raccolta di firme in tutti i luoghi di lavoro dei metalmeccanici per dire che il contratto deve restare senza deroghe, che gli accordi su Pomigliano e Mirafiori non vanno bene, che le liberta' sindacali vanno difese nell'interesse di tutti e non solo della Fiom''. Ci saranno poi ''presidi democratici e dibattiti pubblici in tutte le citta', a partire da Torino. Gli aspetti giuridici del confronto con Fiat degli accordi firmati senza la Fiom a Pomigliano e Mirafiori saranno approfonditi con le consulte giuridiche di Fiom e Cgil. Mentre ''il 3 ed il 4 febbraio ci sara' l'assemblea nazionale dei delegati Fiom per riconquistare un vero contratto nazionale di lavoro''. Perché, secondo Landini, con gli accordi separati che introdurranno nuove regole per gli stabilimenti di Pomigliano e Mirafioriil Lingotto vuole ''operai schiavi, senza diritti e sotto ricatto''. ANGIUS DEL PD: ACCORDO CHE MINA DEMOCRAZIA Gavino Angius del Pd si chiede "perche Marchionne puo' ricattare operai, sindacati e persino la Confindustria senza che nessuno dica nulla? Ci sono un milione di ragioni per votare no. Ma ne bastano due: non accettare un ricatto e difendere la democrazia nelle fabbriche come in tutti i luoghi di lavoro. Perché così chi dissente non esiste. Obbedienza: questo sarebbe il nuovo principio della democrazia". E contro la Fiom, conclude, c'è un attacco "indecente". 29 dicembre 2010
Fiat, il giorno di Pomigliano Fassino: "Firmerei l'accordo" IMG ''Se fossi un lavoratore della Fiat voterei si' all'accordo, tuttavia l'azienda deve avvertire la responsabilita' di compiere atti per favorire un clima piu' disteso''. Lo dice Piero Fassino, che oggi ha partecipato alla riunione congiunta delle segreterie piemontese e torinese del Pd dedicata all'accordo sul futuro di Mirafiori. Per Fassino nel caso di un eventuale no all'intesa nel referendum, ''quelli che pagherebbero sarebbero solo i lavoratori, perche' l'azienda potrebbe trasferire la produzione negli Stati Uniti o altrove''. Marini: avrei firmato l'accordo "Quell'accordo io l'avrei firmato", dice Franco Marini al tg3. "Ma chi e' presente in fabbrica con una sua consistenza, ha diritto a non essere escluso. Questo vale anche per l'accordo della Fiat", dice a proposito della esclusione della Fiom. Merlo: Pd e Vendola più lontani "Se l'accordo di Mirafiori e' una 'discriminante' per costruire la coalizione di centrosinistra, come sostiene Vendola, allora e' certo che il Pd non potra' dar vita ad una alleanza dove sono prevalenti i massimalismi e gli estremismi politici e sindacali". Lo dice Giorgio Merlo, deputato del Pd, che aggiunge: "La stagione dell'Unione del 2006 o, peggio ancora, della 'gioiosa macchina da guerra' del 1994 e' finita perche' e' stata archiviata. E' bene che qualcuno lo ricordi a Vendola, forse troppo impegnato a scorrazzare per l'Italia ad invocare le primarie". 28 dicembre 2010
Statali, la denuncia della Cgil I lavoratori perderanno 1.600 euro IMG Con il blocco degli stipendi pubblici fino al 2013 deciso dalla manovra economica i lavoratori del pubblico impiego perderanno complessivamente circa 1.600 euro di potere d'acquisto: la stima arriva dalla Cgil che sottolinea con il responsabile settori pubblici, Michele Gentile, come circa 1.200 euro lordi si perdano per il triennio 2010-2012 di mancato rinnovo dei contratti mentre altri 400 euro di aumenti complessivi mancheranno all'appello nel 2013 a causa del blocco ulteriore previsto dalla stessa manovra. Nel triennio 2010-2012 - spiega Gentile - ''l'incremento degli stipendi sulla base dell'indice dell'inflazione Ipca previsto dall'accordo interconfederale del 2009 (non firmato dalla Cgil) avrebbe dovuto essere complessivamente del 4,2%. Poiche' ogni punto di inflazione vale circa 20 euro si tratta a regime di 90 euro lordi che mancheranno nello stipendio. Ipotizzando tre tranche annuali da trenta euro in piu' al mese (quindi 400 euro l'anno compresa la tredicesima) che non ci saranno, la perdita cumulata di potere d'acquisto sara' almeno di 1.200 euro lordi in media. Se ci aggiungiamo il blocco gia' previsto anche per il 2013 arriviamo almeno a 1.600 euro. I lavoratori pubblici torneranno a vedere aumenti in busta paga solo nel 2014''. La Cgil sottolinea che al blocco della contrattazione nazionale per il triennio (i contratti per circa tre milioni e mezzo di lavoratori sono scaduti a fine 2009) si affianca lo stop alla contrattazione integrativa e il blocco economico della carriera. In pratica nei prossimi anni si potra' fare carriera ma l'avanzamento sara' riconosciuto solo giuridicamente senza nessun miglioramento dello stipendio. Il blocco degli stipendi preoccupa anche gli altri sindacati che pero' sottolineano come la stretta sul lavoro pubblico sia comunque meno pesante rispetto a quanto e' accaduto negli altri Paesi. ''In 17 paesi europei - dice il segretario generale della Fp-Cisl Giovanni Faverin - non si sono limitati al blocco dello stipendio in essere ma hanno deciso tagli delle retribuzioni rilevantissimi. In Spagna e' stata del 5% mentre in Irlanda hanno avuto tagli del 13%. E puntiamo a recuperare risorse con la contrattazione integrativa''. ''Il blocco dei contratti e' una ferita - precisa il segretario confederale Cisl Gianni Baratta - ma se guardiamo al panorama europeo le decisioni degli altri Paesi sul lavoro pubblico sono state piu' pesanti''. La stretta nel pubblico impiego per i prossimi anni non si limitera' al blocco degli stipendi ma riguardera' anche il turn over. La manovra economica di questa estate prevede che fino al 2012 ci sia un limite del 20% delle entrate rispetto alle uscite. In pratica su dieci dipendenti pubblici che escono (per pensione o dimissioni) ne potranno entrare solo due (e con il limite anche del 20% massimo della spesa quindi non sara' possibile che a fronte dell'uscita di due commessi entrino due dirigenti). Facendo un calcolo medio di uscite per l'anno di 100.000 persone (circa il 3% di tre milioni e mezzo di dipendenti) significa che tra il 2010 e il 2012 a fronte di 300.000 uscite sara' possibile fare solo al massimo 60.000 nuove assunzioni (poiche' vincoli piu' stringenti ci sono nei comuni, le regioni e la sanita'). 28 dicembre 2010
2010-12-24 Fiat, Berlusconi plaude all'accordo Landini (Fiom): "Così il dissenso non esiste" IMG ''Chi dissente non esiste''. ''E' evidente che la Fiat vuole un sindacato corporativo e aziendale che sia parte integrante delle gerarchie di fabbrica''. Lo afferma alla Stampa il leader della Fiom, Maurizio Landini, motivando la scelta del sindacato di non firmare l'accordo su Mirafiori. ''Le aziende dell'indotto - spiega Landini - vorranno applicare lo stesso schema. Che poi sara' emulato da altre categorie. E' un problema che riguarda la Cgil''. Per questo, aggiunge, ''tra tutte le iniziative che metteremo in campo chiedo esplicitamente che non si escluda lo sciopero generale''. Al contrario Rocco Palombella, leader della Uilm, si dice ''soddisfatto'' dall'accordo. ''Come puo' non esserlo - afferma - un sindacalista che mette al sicuro 10mila posti di lavoro e un miliardo di investimento?''. ''Oltretutto - aggiunge - siamo di fronte a una svolta epocale: stiamo riportando in Italia lavoro dopo gli anni della delocalizzazione''. Riguardo alla trattativa, Palombella osserva: ''Sergio Marchionne ha capito che non c'era piu' bisogno del muro contro muro''. L'ACCORDO Sarà sottoposto al voto dei lavoratori, probabilmente nella seconda settimana di gennaio, l'unica in cui la fabbrica non sarà coinvolta dalla cassa integrazione a ripetizione. L'accordo prevede: il pieno utilizzo degli impianti sui 6 giorni lavorativi, il lavoro a turni avvicendati che mantiene l'orario individuale a 40 ore settimanali, le assenze (ci sono misure contro gli assenteisti), gli straordinari, pause e mensa a fine turno. In cambio la Fiat conferma l'investimento di un miliardo per trasformare la fabbrica simbolo del gruppo nell'avamposto europeo del gruppo Chrysler: nei piani di Marchionne, infatti, l'azienda di corso Agnelli dovrà produrrre i Suv realizzati su una piattaforma americana con i marchi Alfa-Chrysler. Queste, in dettaglio le ragioni per le quali la Fiom non ha firmato: "Ci sono 120 ore di straordinario obbligatorio, come a Pomigliano, - spiega Giorgio Airaudo - un sistema di turnazioni che può portare il dipendente a fare sei giorni di lavoro con 10 ore per turno. C'è poi la riduzione di giorni di malattia pagati dall'azienda, che sono tre negli altri contratti di lavoro: a Pomigliano non ne viene pagato più neanche uno, a Torino solo uno. C'è la cancellazione di dieci minuti di pausa: erano 40 minuti per 8 ore di lavoro, adesso sono 30. La mensa: l'azienda a differenza che a Pomigliano, spostata a fine turno, a Mirafiori si sono dichiarati disponibili a tenerla all'interno del turno. I lavoratori firmeranno un contratto individuale con delle clausole con le quali di fatto vengono di fatto dissuasi a scioperare, altrimenti sono sanzionabili". L'accordo di Mirafiori, infine, conclude Airaudo, è fuori dalle regole dell'accordo interconfederale del luglio 1993, che consente a tutti i sindacati di presentare liste e avere rappresentanti nelle Rsu se ha il 5% dei lavoratori: "Così rendono impossibile la presenza dei metalmeccanici della Cgil. Siamo di fronte al tentativo di un'azione della Fiat per semplificare il pluralismo sindacale italiano, espellendo la Cgil e riducendo all'impotenza anche i sindacati consenzienti. E' una lesione alla quale pensiamo debba rispondere l'insieme della Cgil". L'INTERVISTA A LANDINI 23 dicembre 2010
2010-12-10 Fiat, scontro Marchionne-Fiom: "Bloccherete lo sviluppo del Paese" Sergio Marchionne Emma Marcegaglia vola a New York pur di accontentaare Sergio Marchionne. L'amministratore delegato di Chrysler e Fiat vuole un contratto dell'auto, ma "che questo significhi scardinare il contratto nazionale è un'interpretazione loro", subito si difendono. Il percorso che oggi Confindustria fa con Fiat era già stato seguito in passato, per esempio per la siderurgia, ha tenuto a precisare la presidente di Confindustria: "Chi dice che stiamo distruggendo insieme a Fiat o spinti da Fiat il contratto nazionale dice qualcosa che non è vero. Il contratto rimarrà". Nonostante tutte le rassicurazioni, la reazione è giunta subito. "Marchionne sta dettando l'agenda a Governo e Confindustria, che ascoltano ogni sua richiesta per paura di perdere i finanziamenti promessi per gli stabilimenti italiani", ha spiegato il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. La dimostrazione, ha detto il leader dei metalmeccanici della Cgil, "è che per incontrare il manager del Lingotto, la Marcegaglia sia costretta a raggiungerlo negli Stati Uniti". Per Landini non deve passare l'idea che "per investire in Italia bisogna cancellare i diritti degli operai. La Volkswagen ha investito 51 miliardi, piu' del doppio di quelli promessi dalla Fiat, promettendo nuove assunzioni di lavoratori che ricevono un salario doppio rispetto a quello degli italiani e soprattutto non ha mai pensato di smantellare gli stabilimenti tedeschi". La lezioncina da New York, seguita dalla spiegazione di Landini, è andata per storto a Marchionne, che è sbottato: "L'intransigenza della Fiom che abbiamo visto fino a ora rischia di bloccare lo sviluppo del Paese". "Chi fa dichiarazioni all'impazzata qui e' la Fiom - ha insistito - che ha un punto di vista che sta cercando di portare avanti e che io non condivido minimamente". 10 dicembre 2010
2010-12-09 Polizia protesta ad Arcore: "Il governo ci rottama" polizia, protesta, arcore, 640 I poliziotti protestano davanti ad Arcore, la villa di Silvio. L'accusa di una ventina di sigle sindacali è netta: il governo, con i suoi tagli, smantella la sicurezza. ''In 3 anni sono stati tagliati 2,5 miliardi - accusa Santino Barbagiovanni segretario regionale del Silp Cgil - Il governo sta smantellando l'apparato della sicurezza, un fatto grave non solo per la categoria ma per i cittadini perché viene meno il controllo del territorio''. C'è stato un presidio di agenti anche a Napoli. Lunedì 13 ci sarà una manifestazione nazionale a Roma con polizia di Stato, la Penitenziaria, il Corpo forestale e i Vigili del fuoco. ''Chiediamo al governo di fermare la rottamazione della Polizia di Stato'', attacca anche Giuseppe Calderone, segretario regionale lombardo del Sindacato autonomo di polizia Sap, che questa mattina è stato davanti Villa San Martino di Arcore. I sindacati accusano il governo di fare solo propaganda sulla sicurezza: ''Prima in campagna elettorale poi in questi due anni e mezzo hanno prodotto solo slogan cui non seguono fatti ma solo tagli di spesa'', insiste Agostino Mornati segretario nazionale Ugl Polizia di Stato. E Barbagiovanni sottolinea: ''Gli arresti che hanno inferto duri colpi alle mafie sono il risultato di indagini iniziate anni fa il cui merito non è di Maroni ma di magistrature e forze dell'ordine''. Secondo i sindacati in Lombardia alla Polizia di Stato mancano circa 5000 agenti: la Stradale è sotto organico del 45% la Polfer del 57% e la Polizia postale, che deve combattere i nuovi crimini informatici, addirittura dell'80%. Per il blocco del turn-over c'e' una nuova assunzione ogni 15 agenti che lasciano i ruoli. ''Sta arrivando l'Expo e a Milano siamo scesi da 36 a 12 volanti e manca il personale per sorvegliare aeroporti e stazioni ferroviarie'' insiste Calderone.
Al presidio hanno partecipato anche rappresentanti del Corpo Forestale dello Stato, secondo cui ''sono a rischio concreto di chiusura di decine di Comandi Stazione, principalmente in zone rurali e montane'' e dei Vigli del Fuoco che lamentano ''una carenza di organico di oltre il 35%". Sindacati di polizia in piazza anche a Napoli per "impedire lo smantellamento della sicurezza e del soccorso pubblico". 9 dicembre 2010
2010-12-03 Mirafiori, salta la trattativa Fiom: no a modello Pomigliano IMG La trattativa sul piano per Mirafiori e' finita. Per l'azienda non esistono le condizioni per raggiungere un'intesa. Al termine di una riunione ristretta con i sindacati la Fiat "ha preso atto che non esistono le condizioni per raggiungere una intesa sul piano di rilancio dello stabilimento di Mirafiori". E' quanto si afferma in una dichiarazione della Fiat. Netto il segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini: "Si conferma il tentativo di usare l'accordo per superare il Contratto nazionale. Ora è necessario dare la parola ai lavoratori convocando le assemblee". E prosegue: "Si conferma che il modello Pomigliano, proposto anche per lo stabilimento di Mirafiori, punta a superare il contratto nazionale, a cancellare i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e ad affermare in Italia un modello aziendalistico e neocorporativo. Il Contratto nazionale senza deroghe, quello del 2008, è l'unico che può permettere di affrontare le nuove esigenze produttive, senza peggiorare le condizioni di chi lavora. A questo punto è necessario coinvolgere i lavoratori e le lavoratrici e farli decidere sulle loro condizioni. Proponiamo che, a partire da lunedì, siano convocate le assemblee." 3 dicembre 2010
Fiat, un contratto ad hoc per lo stabilimento di Mirafiori Un nuovo contratto collettivo per le tute blu che lavoreranno per la nuova joint venture tra Fiat e Chrysler, che verrà realizzata per lo stabilimento di Mirafiori. E' quanto sarebbe contenuto nella bozza di accordo che la Fiat sta presentando ai sindacati all'Unione Industriale di Torino. Il nuovo contratto collettivo, a quanto si apprende, farebbe riferimento all'attuale contratto nazionale dei metalmeccanici per quanto attiene il fondo pensioni Cometa, l'inquadramento dei lavoratori, i provvedimenti disciplinari, le ferie, i permessi retribuiti e le festività. Nel dettaglio - secondo indiscrezioni trapelate dal tavolo delle trattative - la clausola di esigibilità proposta dal Lingotto ai sindacati prevede che se questi ultimi non rispettano gli impegni presi con l'accordo l'azienda si rivarrà sull'organizzazione sindacale e non sul singolo lavoratore, a differenza dell'accordo siglato per Pomigliano. 2 dicembre 2010
2010-11-28 Manifestazione Cgil, l'Italia del futuro in piazza FOTOGALLERY Le immagini dal corteo VIDEO/LA PIAZZA Le voci dal corteo | I canti | San Giovanni gremita | Vox-pop del corteo VIDEO/L'ESORDIO DI SUSANNA CAMUSSO L'appello | Bagno di folla del neo segretario: "Che donna da favola che sei..." | Le prime parole di Susanna dal palco IL SEGRETARIO CANTA "BELLA CIAO": GUARDA IL VIDEO Camusso a Maroni, sono le leggi che rendono gli immigrati clandestini "Non si dica che il nostro e' un Paese di clandestini: sono le leggi del Paese che li stanno rendendo clandestini, negando loro i diritti". Lo ha detto la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, in un passaggio del suo intervento alla manifestazione nazionale della Confederazione. Rivolgendosi al ministro degli Interni, Roberto Maroni, Camusso ha aggiunto: "Il ministro con una grande faccia tosta ieri ha dichiarato che c'e' un articolo di legge che dice che tutti quei lavoratori irregolari che denunciano il datore avranno il permesso di soggiorno. Questo non e' possibile perche' nel momento in cui lo fanno diventano clandestini". Secondo la dirigente sindacale bisogna portare avanti una lotta allo schiavismo "che e' tornato nei cantieri e negli appalti: per noi la legalita' - ha concluso - sono i diritti dei migranti". Camusso, Paese non merita degrado ed esibizione machismo "Questo Paese non merita questa classe politica, questo degrado, questa esibizione di machismo e virilita', questo governo dei potenti". Cosi' il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, in un passaggio del suo intervento conclusivo alla manifestazione organizzata oggi a Roma. Camusso, più tasse su rendite e meno su lavoro ''Noi vogliamo che si combatta l'evasione fiscale e che dalla tassazione sui patrimoni e le rendite finanziarie si trovino i soldi per abbassare le trasse sul lavoro''. Lo ha chiesto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, intervenendo dal palco di Piazza San Giovanni per la manifestazione nazionale del sindacato. ''La cosidero una questione di legalita' perche' legalita' e' liberta''', ha aggiunto Camusso. Camusso su Fiat, la sensazione è che la sua testa stia andando negli Usa "Vogliamo sapere qual è il futuro" della Fiat, perchè "la sensazione è che progressivamente la sua 'testa' stia andando in Usa". LO ha detto il leader Cgil, Susanna Camusso, durante il suo intervento alla manifestazione nazionale del sindacato che si sta concludendo a piazza San Giovanni. E' quindi "importante" apprendere che a Mirafiori "ci sarà produzione", ma questo "non ci basta". Camusso: Giovani e lavoro, c'è il nostro impegno ''Il futuro e' dei giovani e del lavoro, non e' solo il titolo della manifestazione, e' il nostro fare, e' il nostro impegno''. Cosi' il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha aperto il suo intervento conclusivo, da palco allestito in piazza San Giovanni, della manifestazione nazionale organizzata a Roma. ''Noi, si', abbiamo detto che non lasceremo solo nessuno, non chi vuole cancellare il futuro'', ha aggiunto Camusso parlando, tra l'altro, del cosiddetto ''collegato lavoro'', ''una legge una legge ingiusta, crudele, che il Parlamento ha fatto male ad approvare. Una legge che nega i diritti''. ''Noi vogliamo continuare su una strada, invece, che difende i diritti. Non possiamo sopportare e non vogliamo sopportare che sia negato un futuro ai nostri giovani, in un Paese in declino. I giovani sono il futuro del Paese''. Camusso su Gelmini: non conosce Paese ''Ci stupisce che la ministra dichiari, oggi, che le fa un certo effetto vedere in piazza gli studenti insieme ai lavoratori ed ai pensionati. Forse la ministra non sa come e' fatto questo Paese e che dietro ai giovani e agli studenti ci sono famiglie ed un Paese che li sostiene''. Cosi' il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, dal palco di piazza San Giovanni, si rivolge al ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini, sulla partecipazione degli studenti alla manifestazione nazionale organizzata dal sindacato. Iniziato il discorso di Susanna Camusso: ddl lavoro ingiusto Il cosiddetto ddl 'collegato' sul lavoro è "una legge crudele e ingiusta", che il parlamento "ha fatto male ad approvare". Con un invito a difendere i propri diritti il leader Cgil ha aperto il suo intervento alla manifestazione nazionale del sindacato che si sta concludendo a piazza San Giovanni, a Roma. Studenti bruciano manichino Berlusconi Gli studenti presenti alla protesta della Cgil a Roma hanno dato fuoco ad un manichino in legno dalle sembianze di Silvio Berlusconi. I manifestanti si sono fermati in via Emanuele Filiberto dove terranno alcuni comizi. Gli studenti hanno fatto sapere che gli studenti non raggiungeranno piazza San Giovanni. Cortei Cgil a Roma, traffico in tilt nel centro storico Traffico paralizzato da stamani nel centro storico di Roma per la manifestazione organizzata dalla Cgil che prevedeva due cortei con partenze da piazza della Repubblica e Porta San Paolo e arrivo in piazza San Giovanni. Ma in realta', spiegano i vigili urbani, i problemi si sono acuiti perche' i manifestanti di Porta San Paolo non sono partiti tutti insieme, ma per ore hanno sfilato alla spicciolata costringendo la polizia municipale a fare continue chiusure delle strade. A peggiorare la situazione del traffico il fatto che si sono formati molti piccoli cortei ''spontanei'' e non autorizzati, soprattutto degli studenti in varie zone del centro. Ad esempio circa 4000 studenti medi delle scuole occupate e in mobilitazione si sono riuniti in piazza Trilussa, poi hanno bloccato ponte Garibaldi e poi hanno tentato di bloccare il traffico in piazza Venezia. Da stamani i vigili urbani sono stati costretti piu' volte a chiudere piazza Venezia, dove proprio oggi sono partiti i lavori per installare il consueto albero di Natale al centro delle aiuole. Bindi, il mondo del lavoro sia unito 'Siamo qui come Partito democratico per chiedere all'Italia di fare ogni sforzo per l'unita' del mondo del lavoro. Non abbia consigli da dare al sindacato, ma possiamo manifestare la nostra preoccupazione per questo momento e la necessita' che chi rappresenta i lavoratori sia unito''. Cosi' la presidente del Pd Rosy Bindi, sotto il palco della manifestazione Cgil in piazza San Giovanni. ''E' una bella piazza, pacifica ma determinata, vera e concentrata sul problema dei problemi, che e' quello dei giovani e della loro difficolta' a inserirsi nel mondo del lavoro'', aggiunge Bindi. Landini (Fiom), bisogna arrivare allo sciopero generale La Fiom chiede alla Cgil e al suo segretario generale, Susanna Camusso, di proclamare una sciopero generale contro le politiche del governo e di Confindustria. Lo ha detto il segretario generale dei metalmeccanici della Cgil Maurizio Landini. "Bisogna arrivare allo sciopero generale - ha chiesto - il problema non è solo la politica del governo ma anche quella di Confindustria. La prossima settimana c'è il direttivo della Cgil. Tutto quello che resta da fare è indicare una data". Landini ha sottolineato che "di fronte a una grandissima manifestazione come quella di oggi si conferma la volontà delle persone che lavorano di ottenere un cambiamento. Tuta la Cgil deve porsi il problema di come dare uno sbocco positivo alla sua iniziativa senza escludere nulla". Piazza San Giovanni stracolma di manifestanti Continuano ad arrivare manifestanti in piazza San Giovanni dove è in corso la manifestazione nazionale della Cgil. Dal palco si stanno alternando gli interventi. Le parole dei precari, dei disoccupati. Solidarietà agli occupanti dell'Asinara. San Giovanni è ormai gremita di manifestanti, alcuni ancora in marcia a piazza Vittorio e Santa Croce in Gerusalemme. Bloccate al traffico le strade limitrofe la manifestazione con ripercussioni sul traffico. In piazza è arrivato anche il leader Cgil Susanna Camusso che intorno alle 13 chiuderà la manifestazione. Epifani: grave situazione del Paese, serve cambiamento C'e' una richiesta di cambiamento, di assunzione di responsabilita'. Questo governo ha portato il Paese in una situazione di gravissima difficolta'''. Lo ha detto l'ex leader della Cgil, Guglielmo Epifani, arrivato per la manifestazione nazionale del sindacato di corso d'Italia a piazza San Giovanni, dove ha salutato calorosamente il segretario generale Susanna Camusso, alla quale ha passato il testimone il 3 novembre scorso. Tornando nella piazza che lo ha visto protagonista solo 40 giorni fa, in occasione della manifestazione della Fiom, Epifani ha sottolineato commentando l'evento di oggi: ''e' una manifestazione positiva che guarda al futuro. Non c'e' rabbia, ma c'e' preoccupazione, richiesta di cambiamento e determinazione''. Riguardo al governo, ha aggiunto: ''questo e' un Paese dove nessuno si e' mai assunto delle responsabilita'. E se c'e' stato un complotto, c'e' stato nei confronti dei diritti dei lavoratori, dei giovani''. A questo proposito Epifani ha evidenziato che la crisi ha come segno una forte ipoteca sulle nuove generazioni''. I costi della speculazione, ha concluso, graveranno ''per decenni'' sulle spalle della societa'. Studenti si siedono in via Merulana Gli studenti che stanno manifestando insieme ai lavoratori a Roma si sono seduti per terra in via Merulana e, una volta alzatisi, si sono lanciati in una breve corsa. Tra gli striscioni portati dai ragazzi: ''Studiare e' un diritto, tagliare e' un delitto'', ''Il tempo e' scaduto, il futuro e' nostro'', ''La Gelmini ci sta distruggendo''. Arcigay in piazza per difendere la dignità delle persone Arcigay aderisce "alle ragioni e agli obiettivi e partecipa alla manifestazione nazionale indetta dalla Cgil, condividendone l'analisi e la forte difesa della stabilita' del lavoro e della dignita' delle persone". Cosi' una nota firmata da Paolo Patane', presidente nazionale Arcigay, Daniela Tommassino, responsabile Lavoro e Progetti, Stefano Pieralli, consulente Welfare. "Il recupero della centralita' della contrattazione, il welfare, la riforma degli ammortizzatori sociali, e la difesa della conoscenza- si legge ancora nel comunicato- sono temi che attraversano la vita e le istanze di tutti e tutte, e che vedono le persone lesbiche, gay e transessuali ancor piu' colpite da un sistema che rischia di accrescere diseguaglianze e indebolire ulteriormente larghissima parte della societa' italiana". Arcigay "difende e difendera' sempre il diritto delle persone alla propria identita' ed i valori dell'eguaglianza, del lavoro e della dignita' che la nostra Costituzione afferma nitidamente". Per questa ragione "Arcigay considera l'arretratezza italiana, nell'affermazione dei diritti delle persone e delle coppie lgbt, come il parametro evidente di un'arretratezza complessiva del sistema Paese che sta disgregandosi in un aggravio di diseguaglianze e iniquita'. La battaglia per i diritti delle persone lgbt, dei lavoratori, della dignita' delle persone e del diritto alla conoscenza- conclude la nota dell'Arcigay- sono l'elemento simbolico e sostanziale piu' forte del rilancio dell'Unita' nazionale nella ricorrenza dei suoi 150 anni di vita". Gli striscioni degli studenti "Il suo presente contro il nostro futuro" e "Niente bunga bunga contro il nostro futuro", recitano gli striscioni portati dagli studenti che stanno sfilando in piazza con la Cgil per protestare contro il governo. Gelmini: mi stupisce veder sfilare gli studenti con i pensionati ''Francamente vedere gli studenti e i giovani manifestare a fianco dei pensionati mi fa uno strano effetto''. Lo ha detto il ministro dell'Istruzione Matriastella Gelmini commentando la manifestazione della Cgil a Roma. ''E' un po' come quando - ha spiegato - vedo gli studenti, i professori e i baroni manifestare dalla stessa parte. E' un paradosso ma sappiamo che l'universita' e' composta anche da manifestanti. Pero' vorrei ricordare che sono molti di piu' i ragazzi che intendono studiare, che regolarmente si recano negli atenei a sostenere gli esami e che vogliono l'universita' del merito, che spenda bene i soldi dei contribuenti e dove l'autonomia venga coniugata con la responsabilita' nelle scelte. Camusso arrivata a San Giovanni, "numeri di una grande manifestazione" ''I numeri ci dicevano che sarebbe stata una grande manifestazione: eccola qua''. Cosi' il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, arrivando in una piazza San Giovanni gremita per la manifestazione nazionale organizzata dal sindacato. La Cgil ha gia' fatto sapere che, tuttavia, non dara' alcuna stima ufficiale sulla partecipazione alla manifestazione. Al momento, gli unici numeri a disposizione sono quelli relativi ai pullman ed ai treni speciali provenienti da tutta Italia: si tratta rispettivamente di oltre 2.100 pullman per circa 110-120 mila persone e 13 treni speciali, che stamattina hanno raggiunto la Capitale. Anche gli studenti partecipano alla protesta ''Scuola e universita' in mobilitazione''. Questo lo striscione appeso su un furgoncino e dietro il quale stanno manifestando alcune migliaia di studenti durante la protesta indetta oggi dalla Cgil a Roma. ''Noi non vogliamo questa riforma'' gridano in coro i ragazzi sventolando striscioni contro il governo e il ministro Gelmini: ''Dimissioni'', ''La scuola va a rotoli e i politici...''. Su un altro camion un cartello dice: ''Azienda leader nel largo consumo cerca la neolaureata. Bella presenza, disposta a farsi consumare''. Alcuni studenti hanno acceso anche dei fumogeni di color viola e verde prima di partire da piazza della Repubblica. Bindi: gran bella piazza, non c'è aria di complotto "Una gran bella piazza, non mi sembra ci sia aria di complotto". Così Rosi Bindi, arrivata a piazza San Giovanni insieme a Pier Luigi Bersani, descrive la manifestazione della Cgil sottolineando che "qui c'è solo la legittima rivendicazione del rispetto del diritto fondamentale al lavoro, soprattutto per i giovani, le donne e il Mezzogiorno". A San Giovanni stretta di mano Bersani-Vendola Stretta di mano e breve scambio di convenevoli a piazza San Giovanni, dove e' in corso la manifestazione nazionale della Cgil, tra il segretario Pd, Pierluigi Bersani e il leader di Sinistra ecologia liberta', Nichi Vendola. I due esponenti politici, letteralmente circondati da fotografi e cineoperatori, si sono salutati brevemente e con una certa cordialita'. "La Cgil - ha poi commentato Vendola - e' un pezzo gigantesco di popolo italiano, che si e' assunta la responsabilita' di portare in piazza l'Italia migliore. Mi auguro che un'altra volta ci siano insieme anche la Cisl e la Uil, perche' tutte le sigle sindacali denuncino insieme l'insopportabilita' della condizione sociale del paese e la violenza del massacro sociale a cui l'Italia e' sottoposta da parte del governo Berlusconi". Bersani: non si dovrà votare su Berlusconi sì-Berlusconi no Il Pd chiede che a fronte della crisi politica ed economica si dia vita ad un Governo nuovo capace di affrontare le principali questioni e che, comunque, non si vada "ancora una volta a votare su Berlusconi si'-Berlusconi no, con una legge elettorale che ci ha gia' portato tanti guai e ce ne porterebbe di ancora maggiori". Lo dice il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, a margine della manifestazione nazionale della Cgil e aggiunge: "Bisogna smettere la politica della rissa mentre il Paese ha dei problemi. Noi siamo per un Governo che dia stabilita' economica e finanziaria e faccia un po' di riforme, a cominciare da quella della legge elettorale. Poi si puo' andare a votare, in tempi anche brevi, ma guardando avanti. Non possiamo perdere un altro giro. Naturalmente, se le cose precipitassero verso elezioni che noi non vogliamo, e' chiaro che non abbiamo paura: a quel punto ce la vedremo...". Bersani: "Il Pd sarà presente ovunque si possa esprimere la realtà vera del Paese" "Il Pd sarà presente ovunque si possa esprimere la realtà vera del Paese". Così il segretario Pier Luigi Bersani a piazza San Giovanni per la manifestazione del Cgil. "Sono qui perchè voglio che il Pd aiuti a fare in modo che la politica riprenda il contatto con la società per questo sono andato sui tetti a trovare i ricercatori", ha aggiunto Bersani sottolineando che "il lavoro è un problema centrale del Paese mentre il governo raffigura sempre cieli azzurri". Il segretario del Pd ha incontrato sotto il palco della manifestazione l'ex segretari della Cgil Guglielmo Epifani e Paolo Ferrero della Federazione della Sinistra. Bagno di folla per Camusso, saluti con Bersani e Bindi Bagno di folla per il neo segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, oggi in piazza per la manifestazione nazionale organizzata dal sindaco di Corso d'Italia. Tra cori ed applausi, Camusso e' stata accolta con entusiasmo dai manifestanti. Dopo aver preso parte al corteo partito da piazza della Repubblica, il leader della Cgil ha raggiunto la testa del corteo che ha preso il via da piazzale dei Partigiani, dove ha incontrato brevemente e salutato, con una stretta di mano, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani ed il presidente del partito, Rosy Bindi. Dopodiche' ha ripercorso a ritroso lo stesso corteo per salutare le varie delegazioni regionali e provinciali provenienti da tutta Italia. Camusso: Berlusconi la smettta di fare la vittima del mondo "Il presidente del Consiglio deve sapere che non si puo' tenere sotto allarme il Paese. Se ha delle cose concrete le dica. Se no smetta di far finta di essere la vittima del mondo". Lo dice il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, riferendosi all'allarme lanciato dal governo italiano sulla presunta esistenza di un complotto internazionale per screditare l'immagine dell'italia. Arrivando in piazza della Repubblica per dare il via alla manifestazione della Cgil, Camusso sottolinea che "le politiche del governo mi sembrano piu' dettate a lanciare allarmi che non a fare cose concrete". In migliaia a Piazza della Repubblica Mentre la testa di uno dei due cortei della manifestazione nazionale della Cgil a Roma, quello partito da piazza Esedra, e' gia' quasi a San Giovanni, ci sono ancora migliaia di manifestanti provenienti da tutta Italia che si trovano nel punto di partenza, a diversi chilometri di distanza dal punto di arrivo. La capitale e' attraversata da due lunghi serpenti di manifestanti che convergeranno su piazza San Giovanni per ascoltare il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. Grande afflusso al corteo Palloncini e migliaia di bandiere rosse per le strade della capitale. I lavoratori della Cgil giunti a Roma per la manifestazione indetta dal sindacato sono in migliaia. Nonostante la testa del corteo sia partita una mezz'ora fa, sono molte le persone radunate ancora da tra piazza della Repubblica e la Stazione Termini proprio per l'enorme afflusso. Tra gli striscioni esposti dalle varie delegazioni, da Palermo a Torino, da Caserta a Parma, ''Diritti per un lavoro ed una vita dignitosa'', ''Piu' diritti, piu' democrazia''. Vendola: l'Italia migliore è sui tetti L'Italia migliore e' in piazza e sui tetti, quella peggiore - quella del governo - e' barricata nel palazzo, perche' teme di essere cacciata. Lo dice il leader di Sinistra ecologia liberta', Nichi Vendola, presente alla manifestazione nazionale della Cgil a Roma: "ci sono due Italie: quella peggiore e' barricata nel 'Palazzo' e ha paura della possibilita' di perdere il potere, vive la propria crisi caricandone le conseguenze sul paese. Poi c'e' un'Italia migliore, quella che patisce il prezzo di una drammatica condizione di regressione sociale e civile e che oggi fa sentire la sua meravigliosa, pacifica e democratica ribellione. L'Italia migliore e' oggi con la Cgil". Vendola sottolinea: "se la situazione continua a incancrenirsi e Berlusconi al governo continua a cancellare la realta' drammatica di un'Italia in pieno declino, credo che lo sciopero generale possa essere il modo migliore per dare la sveglia a questo paese e alla sua pessima classe dirigente". Di Pietro: governo a casa, avalla precarietà ''Berlusconi ha avallato la precarieta' che sta distruggendo il futuro di due milioni di giovani, ricercatori, precari della scuola e lavoratori. Sono in pericolo l'economia e la democrazia del Paese: per questo motivo, il governo deve andare a casa il prima possibile''. Lo affermano, in una nota, il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, e il responsabile welfare e lavoro del partito, Maurizio Zipponi. ''Una delegazione dell'Italia dei Valori e' scesa in piazza questa mattina al fianco del piu' grande sindacato italiano per esprimere vicinanza ai lavoratori e ai pensionati colpiti duramente dalla crisi'', aggiungono i due esponenti dell'Idv. partito che ''invece di seguire le finte mosse di Fini e l'ammuina di Casini, ha incentrato la propria azione in Parlamento - sottolineano - sulla dignita' del lavoro e propone che in questa legge di stabilita' vengano detassate le tredicesime di lavoratori dipendenti e pensionati''. ''La nostra battaglia - concludono Di Pietro e Zipponi - e' coerente con quella portata avanti nei giorni scorsi da ricercatori e studenti e vuole dare voce alle migliaia di partite Iva, di artigiani e di piccole e medie imprese che questo governo non e' stato capace di tutelare dalla crisi''. Corteo Piazzale partigiani si avvicina a San Giovanni Lento ma compatto e costante il corteo della Cgil partito da Piazzale dei Partigiani, ha gia' inondato via Labicana ed e' ormai prossimo ad arrivare in piazza San Giovanni, dove musica e interventi stanno intrattenendo i tanti manifestanti che hanno scelto di non sfilare per le vie di Roma ma di attendere sotto il palco. Manifestazione non autorizzata studenti a Piazza Venezia Una parte degli studenti che hanno preso parte al corteo organizzato dalla Cgil si sta dirigendo in Piazza venezia, dove è stata convocata una manifestazione non autorizzata. Partito corteo di Piazzale dei Partigiani E' partito da alcuni minuti uno dei due cortei della manifestazione organizzata per oggi dalla Cgil a Roma. Il lunghissimo serpentone colorato di rosso ha gia' riempito viale Aventino e si dirige verso il Colosseo. L'appuntamento, insieme ai manifestanti partiti da piazza della Repubblica, e' in piazza San Giovanni dove e' gia' stato allestito il palco sul quale il neo segretario generale Susanna Camusso concludera' la manifestazione. Camusso: Risposte da governo o sciopero generale In assenza di risposte da parte del Governo, la Cgil valutera' lo sciopero generale. Questa, in sintesi, la posizione indicata al segretario generale della Confederazione di Corso Italia, Susanna Camusso, arrivata in piazza della Repubblica, a Roma, da dove parte uno dei due cortei previsti per la manifestazione nazionale promossa dal sindacato. Slogan dell'iniziativa 'il futuro e' dei giovani e del lavoro. Piu' diritti e piu' democrazia'. ''Dopo questa manifestazione - ha detto Camusso - credo che il Governo dovra' dare le risposte che gli abbiamo chiesto e soprattutto dovra' cominciare ad avere politiche di contrasto alla crisi che sinora non ha avuto''. Alla domanda se andra' allo sciopero generale, il segretario generale della Cgil ha risposto: ''Lo decideremo sulla base dei risultati di questa manifestazione''.
Partito corteo Piazza della Repubblica Dietro lo striscione ''Il futuro e' dei giovani e del lavoro'' e' partito il corteo dei lavoratori della Cgil che oggi stanno protestando nella capitale. I manifestanti, partiti da piazza della Repubblica hanno poi imboccato via Cavour sventolando bandiere rosse e mostrando cartelli contro il presidente del Consiglio. ''Io non sono grasso, il mio e' un eccesso di bile. Grazie Silvio'', si legge su un cartello. E' affiancato da:''Forza Italia, l'ora e' giunta'', con l'immagine dello stivale d'Italia che tira un calcio a Silvio Berlusconi. 27 novembre 2010
2010-10-29 Marchionne critica il governo: "L'inceretezza crea più danno" L'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, giunto a Bruxelles per partecipare ad una riunione ad alto livello sulla competitività del settore automobilistico in Europa, ha osservato che "ovviamente" l'instabilità politica "non aiuta". "Abbiamo bisogno di tranquillità per gestire le aziende" ha aggiunto l'Ad di Fiat. DUBBI SUL TAVOLO "Non so che cosa dobbiamo fare con il tavolo di confronto", ha detto l'amministratore delegato di Fiat ai giornalisti che lo hanno interrogato sull'idea evocata dal ministro del lavoro Sacconi di aprire un tavolo nazionale di confronto sulla Fiat. "Abbiamo già raggiunto un accordo a Pomigliano, c'è la proposta di lavorare su Mirafiori, il problema Fabbrica Italia va avanti a pezzi portiamolo avanti, cerchiamo di non creare altri problemi è molto più semplice". REGOLE AUTO "Non bisogna continuare a mettere regole sull'industria dell'auto europea". E' questo il messaggio di Marchionne che partecipa alla riunione di cars 21, il gruppo messo in piedi dall'associazione europea cui partecipano rappresentanti dell'industria del settore auto, sindacati, consumatori, rappresentanti dei governi dei paesi che hanno una produzione automobilistica. La crisi che attraversa il settore europeo dell'automobile è molto grave: per Marchionne "c'è un grande lavoro da fare, innanzitutto vanno riconosciuti quali sono i limiti dell'industria dell'auto a livello europeo, di cui abbiamo parlato a lungo anche durante il caso Opel". Secondo l'ad Fiat "bisogna cominciare a mettere le regole sul tavolo e non fare come nel caso dell'intesa di libero scambio con la corea del sud quando, da una parte si è detta una cosa e dall'altra se ne è fatta un'altra". Bisogna soprattutto "riconoscere le condizioni competitive in cui ci troviamo: nell'unione europea non siamo messi bene, dovremo fare qualcosa di significativo perchè con regole più dure, obiettivi più duri, tempi più raccorciati paghiamo sempre noi alla fine, tutto è a spese dell'industria e poi ci si domanda perchè non riusciamo a guadagnare". Marchionne ha poi aggiunto: "se guardiamo ai conti economici anche dei miei concorrenti che sono qui la situazione è chiara: la maggior parte degli utili vengono da aree che non sono l'Europa". 10 novembre 2010
2010-10-26 Epifani su Marchionne: "In Germania lo avrebbero cacciato" In Germania Sergio Marchionne se avesse detto in tv quello che ha detto a 'Che tempo che fà sarebbe stato "cacciato". È l'accusa del segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani, dal palco del Teatro Saschall di Firenze, durante un convegno organizzato dalla Fiom. "Cosa sarebbe avvenuto in Germania - domanda Epifani - se l'amministratore delegato di un grande gruppo automobilistico avesse parlato in tv anziché al suo comitato di sorveglianza davanti ai suoi interlocutori? In Germania - è la risposta di Epifani - lo avrebbero cacciato". Secondo il segretario della Cgil, con la sua intervista da Fabio Fazio, Marchionne ha reso "più difficile" la risoluzione della "vertenza Fiat". "La ricomposizione di un tavolo con la Fiom -domanda ancora Epifani - è più facile o più difficile dopo questa esposizione mediatica? Avete mai visto una vertenza fatta attraverso la tv o sui giornali senza che ai tavoli preposti succeda qualcosa? E questa è un'assenza di responsabilità?". 26 ottobre 2010
2010-10-24 Marchionne: "Senza Italia faremo meglio" "Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l'Italia". È quanto ha detto l'ad del lingotto Sergio Marchionne ospite della trasmissione Che tempo che fa, condotta da Fabio Fazio. Nemmeno un euro dei 2 miliardi dell'utile operativo previsto per il 2010 - ha concluso - arriva dall'Italia. Fiat non può continuare a gestire in perdita le proprie fabbriche per sempre". "Faccio il metalmeccanico" "Io in politica? Scherziamo? Faccio il metalmeccanico, produco auto, camion e trattori", ha detto Marchionne conversando con Fabio Fazio. Riduzione pause Il nuovo sistema di pause proposto da Fiat per lo stabilimento di Melfi "è già applicato a Mirafiori", sottolineato l'amministratore delegato del Gruppo Fiat. "Non è niente di eccezionale - ha spiegato - fa parte degli sforzi fatti per ridisegnare il sistema di produzione". Adeguare stipendi "Fiat è pronto a portare i salari degli operai ai livelli dei Paesi che ci circondano". Marchionne commentando la proposta di accorciare le pause di lavoro nello stabilimento di Melfi, l'amministratore delegato del Lingotto ha ricordato che si tratta di un progetto "disegnato per dare all'Italia la capacità di poter competere con i Paesi da cui siamo circondati. In cambio - ha proseguito - sono disposto a portare il salario dei dipendenti ai livelli dei Paesi che ci circondano". La situazione, ha poi precisato, "cambierà se arriveremo ai livelli competitivi degli altri". "Parole ingenerose per i lavoratori" "Le parole di Marchionne sono ingenerose nei confronti dell'Italia e dei lavoratori che hanno contribuito a fare grande la Fiat. L'azienda è nata e cresciuta nel nostro paese più di 100 anni fa, e se oggi è una multinazionale di successo è anche grazie a questo inizio." Lo afferma Cesare Damiano, capogruppo in commissione Lavoro del Pd. "Nel mercato globale la sfida della competitività è continua. Chi oggi guadagna domani può perdere e viceversa per questo non è condivisibile una logica che allude ad un potenziale taglio di rami secchi basato su un risultato di conto economico. Noi - continua Damiano - siamo per accettare la sfida che Marchionne propone ma non condividiamo la filosofia che sottende. Le imprese devono fare profitti per avere un futuro, ma hanno anche una responsabilità sociale". 24 ottobre 2010
Un autunno triste di Rinaldo Gianolatutti gli articoli dell'autore Il presidente Obama dice che negli Stati Uniti per ogni posto di lavoro disponibile ci sono cinque disoccupati in coda. Nonostante i segnali di risveglio dell’economia americana, ben più sostenuti di quelli europei e italiani, il dato diffuso dalla Casa Bianca testimonia che è ben fondato il timore di quanti prevedono una ripresa senza occupazione. A maggior ragione questa preoccupazione dovrebbe investire governo e imprese del nostro Paese perchè è evidente che l’autunno non ci porterà la fine della crisi che ormai dura dal 2008, ma un periodo di nuove difficoltà soprattutto sul fronte sociale. Le recenti valutazioni del governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, e le stesse stime di Confindustria condividono la prospettiva che per l’occupazione il peggio deve ancora venire, anche se il Pil mostra finalmente un segno positivo.
La disoccupazione reale è attorno al 10%, forse di più, giovani e donne sono i più colpiti, non ci sono segni che possano far immaginare una netta inversione di tendenza. La creazione di nuovi posti di lavoro ha bisogno di una forte ripresa dell’economia e non sarà sufficiente l’1 per cento, più o meno, che riusciremo a conquistare. In più oggi bisogna consideare l’impatto della manovra correttiva dei conti pubblici. per la quale è atteso il voto di fiducia della Camera, che potrebbe non garantire il raggiungimento degli auspicati obiettivi sul bilancio dello Stato con la conseguente necessità di un’altra stangata, e potrebbe frenare o pregiudicare i segnali di ripresa. Ecco perchè i prossimi mesi, dopo l’estate, saranno di grande incertezza per la nostra economia e di forte difficoltà per la tenuta del tessuto sociale, già indebolito dalla lunga crisi. L’autunno si presenterà agli italiani con un’economia ancora debole, una pressione fiscale da record perchè Berlusconi ha aumentato le tasse, servizi locali tagliati dalla manovra e redditi ancora in caduta con una conseguente stagnazione dei consumi. Oggi, inoltre, al di là della congiuntura economica, è necessario aggiungere una valutazione sul comportamento di grandi gruppi e di nomi prestigiosi dell’industria che stanno maturando scelte che potrebbero avere conseguenze gravi sull’occupazione. Telecomunicazioni, siderurgia, auto, elettrodomestici, chimica, tessile, i settori principali della nostra industria sono coinvolti in piani di ristrutturazione e di riorganizzazione che lasciano a casa migliaia di lavoratori. Il processo è iniziato da molti mesi, ha accompagnato l’evoluzione della crisi, e proprio in questo periodo si sta accentuando quasi si volesse posticipare ancora la fine dell’emergenza. C’è da chiedersi, almeno, se tutti questi sacrifici sul fronte occupazionale siano davvero necessari per superare la crisi e rilanciare l’industria, o se, invece, il semplice taglio dei dipendenti, magari accompagnato da chiusure di fabbriche e da delocalizzazioni produttive, non sia una scorciatoia per recuperare margini di profitto. Davanti a ogni crisi il capitalismo ne esce con profonde ristrutturazioni e con tagli occupazionali, ma anche in questo momento ci sarebbe spazio per un intervento pubblico, una regia del governo in grado di orientare le scelte industriali, gli investimenti, per verificare se davvero chiusure e licenziamenti non abbiano alternative. Sarebbe necessaria, insomma, una coerente politica industriale, come fanno altri paesi europei, ad esempio Germania e Francia. Da noi, invece, Berlusconi e Sacconi si limitano a fare il tifo per la Fiat a Pomigliano e guai a chi non ci sta. A proposito di auto e diritti.... La storica fabbrica Volkswagen di Wolfsburg, dove gli operai guadagnano quasi il doppio di quelli italiani, ha prodotto oltre 700mila vetture nel 2009. Nessuno ha chiesto agli operai di rinunciare a tutele e diritti 20 luglio 2010
Fabbrica Italia, non c'è nulla Tutto avvolto nel mistero di Rinaldo Gianolatutti gli articoli dell'autore Sono passati quasi sei mesi da quando Sergio Marchionne annunciò a Torino il lancio dell’ambizioso progetto "Fabbrica Italia". Un piano che prevedeva, entro il 2014, la realizzazione di investimenti per 20 miliardi di euro in Italia, il raddoppio della produzione nazionale da 650mila a 1,4 milioni di vetture, 10 nuovi modelli e il restyling di altri 6 vetture. Ad oggi "Fabbrica Italia" è ferma, non è stato investito un euro. Governo, sindacati e dipendenti non sono a conoscenza di quali modelli saranno prodotti nei vari stabilimenti italiani, nè sanno quando il piano vero e proprio potrà partire. Questa situazione di stallo è preoccupante e delude anche quei sindacati che più si erano spesi per comprendere e raccogliere le esigenze organizzative e produttive del gruppo. Ieri, dopo l’incontro tra la Fiat e i sindacati dei metalmeccanici, persino il segretario della Uilm, Rocco Palombella, ha ammesso la sua delusione perchè "la Fiat non ha presentato il piano di investimenti stabilimento per stabilimento". Anche ieri la Fiat invece di mettere sul tavolo modelli, fabbriche, numeri, ha usato le parole e lo stile già impiegati nei mesi scorsi per mettere i sindacati con le spalle al muro, anche se alcuni sono in questa posizione già da tempo. Il Lingotto ha detto che "Fabbrica Italia" "non partirà se non ci sarà l'impegno formale delle organizzazioni sindacali ad assumersi precise responsabilità del progetto". La Fiat vuole garanzie sulla governabilità delle fabbriche, e i sindacati sono pronti a negoziare. Di più, il tavolo di ieri poteva essere l’occasione per aprire un confronto più ampio, per avviare un percorso chiaro e cercare di superare anche le resistenze della Fiom, in un disegno complessivo finalizzato a garantire investimenti e occupazione nel gruppo. Ma, a questo punto, dopo lo strappo di Pomigliano d’Arco, dopo la vittoria del sì al referendum nella fabbrica campana, dopo la disdetta del contratto dei metalmeccanici, dopo le deroghe immaginate per andare incontro alle esigenze della Fiat, che cosa vuole ancora Marchionne? Quali altre garanzie desidera? Ieri si è parlato dell’ipotesi di "andare oltre Pomigliano", come se le condizioni di lavoro stabilite per quell’impianto, con una chiara compressione dei diritti e delle garanzie dei lavoratori, non fossero sufficienti e avessero bisogno di ulteriori ritocchi o inasprimenti. Forse Marchionne, di cui sono note le capacità di contrattare fino al limite, desidera la totale capitolazione dei sindacati, la piena adesione di tutti, compresa la Fiom, al suo disegno? Magari si è accorto che non si governano le fabbriche escludendo il sindacato più grande? Oppure le crescenti difficoltà del mercato europeo dell’auto, la sfida di riportare presto in Borsa la Chrysler in America e la scissione di Fiat Industrial sono argomenti talmente forti e impegnativi che spingono Marchione a spostare in avanti, e a chiedere un prezzo sempre più alto ai sindacati, il piano di investimenti in Italia? Quale che sia la ragione autentica, di fondo, di questa strategia del rinvio da parte della Fiat appare chiaro che fino a quando non si entrerà nel merito del piano industriale, fino a quando non saranno comunicati quali modelli saranno prodotti nei vari stabilimenti italiani, con quale organizzazione, con quanti turni, con quanti lavoratori, l’intero progetto "Fabbrica Italia" non sarà credibile. L’impressione è che Marchionne, pur mantenendo fermo l’impegno a investire in Italia e volendo anche recuperare un rapporto costruttivo con la Cgil, si trovi oggi in una situazione di grande difficoltà in larga misura determinata dal crollo del mercato in Italia e in Europa, e dalla necessità di finanziare un piano di investimenti di 20 miliardi di euro. Va escluso, come sempre, che gli azionisti Agnelli possano mettere mano al portafogli per pagare gli investimenti in Italia. Questi problemi di mercato e industriali sono confermati dalle notizie che parlano di un altro slittamento del lancio della Nuova Panda, il modello destinato a Pomigliano d’Arco. Il lancio già previsto per l’estate 2011, poi spostato a settembre dello stesso anno, adesso verrebbe rinviato all’inizio del 2012, nella speranza di un netto miglioramento delle condizioni di mercato. Ma se il progetto della Nuova Panda viene spostato in avanti, allora Marchionne può forse permettersi qualche settimana in più di confronto con il sindacato per spuntare condizioni ancora migliori (per la Fiat) nelle fabbriche italiane. Però non bisogna esagerare, perchè la corda rischia di rompersi. 06 ottobre 2010
2010-10-17 Piazza di Fiom e Cgil gremita e pacifica di Stefano Milianitutti gli articoli dell'autore Le nubi e qualche squarcio nel cielo che si oscura accompagnano il finale dell'imponente manifestazione della Fiom e Cgil a Roma: il sindacato non divulga cifre ufficiali, dal palco parlano di parecchie centinaia di migliaia di manifestanti, Cremaschi azzarda un milione. La giornata è andata benissimo. Operai, insieme a studenti, precari, pensionati, tanti "lavoratori della conoscenza", immigrati. Con una richiesta diffusa: rafforzare la battaglia, possibilmente con lo sciopero generale. "LA DIGNITA' NON SI QUOTA IN BORSA" Senza se e senza ma, una prova pacifica, senza tensioni, molta compatta. Che fa dire a un operaio di Pomigliano dal palcoscenico in piazza: "Oggi ho meno paura di ieri, la nostra dignità non può essere quotata in borsa". LANDINI: SCIOPERO GENERALE La giornata l'hanno conclusa Maurizio Landini, poi Epifani. Il numero uno della Fiom in sintonia totale con la piazza invoca lo sciopero generale: "Se chi fa politica non capisce che oggi il lavoro e i suoi diritti hanno chiesto di cambiare la politica del governo ma anche la pratica dell'opposizione per rimettere al centro il lavoro, non ho più nulla da dire". E afferma che bisogna "contrastare la politica del governo, Confindustria e Federmeccanica. Vogliono cancellare diritti, libertà. In un'Italia con un'evasione fiscale senza precedenti. Una società così non è accettabilie, dobbiamo ribellarci. E non è vero che siamo il sindacato del no. Avanziamo proposte. Ma serve un altro modello di sviluppo". Insomma, urge un cambiamento radicale. "Ci hanno accusato di difendere i fannulloni. Falso: non abbiamo mai difeso Brunetta". Risate in piazza. Risate amare. Per tantissimi qui il presente è difficile e il futuro un'incognita se non peggio. EPIFANI: O RISPOSTE O PROCLAMIAMO LO SCIOPERO GENERALE Il segretario della Cgil tiene quello che dichiara dal palco essere il suo "ultimo comizio". Ed è felice, dice, perché chiude in bellezza il suo mandato: attacca con durezza le strategie sbagliate e fallimentari il governe, annuncia che il 27 novembre la Cgil farà a Roma una manifestazione con sciopero confederale di tutte le categorie e aggiunge: "se non arriveranno risposte sarà sciopero generale, una battaglia da condurre con intelligenza perché è un sacrificio". Scatta l'applauso dopo qualche contestazione al grido di "sciopero generale" quando il capo della Cgil ha preso il microfono a ruota da Landini. GLI OPERAI DA POMIGLIANO: UNO SPARTIACQUE E dopo gli operai Fiat da Pomigliano d'Arco e da Termini Imerese. Presenze importanti e dovute. I manifestanti considerano il caso di Pomigliano uno spartiacque nell'attacco ai diritti e non un'iniziativa isolata: un ricatto, sostengono, che serve a scardinare diritti: prima nelle altre fabbriche, poi toccherà a tutti. E sarà tardi. IL CORTEO MINUTO PER MINUTO BERSANI: ASCOLTIAMO LA VOCE DELLA PIAZZA "Quella che si è fatta sentire pacificamente oggi in piazza San Giovanni è una voce che va ascoltata. E tutte le persone responsabili che hanno a cuore l'Italia devono augurarsi che possano emergere posizioni comuni dal mondo del lavoro", commenta il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Il Partito democratico non ha aderito, altri partiti sì. E più d'uno, per la strada, in corteo, ha espresso rammarico al vostro cronista. Anche esponenti della Cgil che si dichiarano elettori del Partito democratico. COFFERATI E FASSINA CI SONO Tra i manifestanti c’è anche Sergio Cofferati: "La Fiom pone temi che sono valori del vivere civile. Si parla di strumenti per i diritti collettivi che spero diventino obiettivi anche della politica". L’ex segretario della Cgil e ora del Pd, lui qui c’è. Ufficialmente il Pd non ha aderito. Cofferati come la pensa?: "Trovo giusto che non abbia aderito, d'altronde è importante e significativo che qui ci siano dei suoi dirigenti. Il punto è che qualunque partito come il Pd deve avere una sua proposta ed una sua linea sul lavoro". "Siamo qui per raccogliere le domande importanti che vengono dal mondo del lavoro", osserva Stefano Fassina, il responsabile per l'economa del Pd. TUTTO TRANQUILLO. RIVERA: "SCONTRI DELOCALIZZATI IN SERBIA" La partenza del corteo da piazza Esedra è tranquilla, si anticipano solo un po' i tempi perché arriva troppa gente. E qui si tocca il tasto degli allarmismi lanciati dal ministro Maroni che temeva incidenti e infiltrati. Le forze dell'ordine stanno a giusta distanza, diversamente da quanto alcuni pensavano il corteo all'altezza della stazione Termini non prende via Cavour (c'è un ufficio di un altro sindacato), man mano che i minuti passano è lampante che non c'è nulla da temere. Lo riassiume bene dal palco di San Giovanni il cantattore Andrea Rivera quando si rivolge a Maroni ed esclama: "Il corteo è stato pacifico, gli scontri li hanno delocalizzato in Serbia". Ma quando lui parla, intorno alle 16.30, i manifestanti ancora stanno arrivando in piazza. Che è è stracolma e la gente continua ad arrivare e sempre dal palco un sindacalista dice: "Siamo tantissimi, forse abbiamo sbagliato i conti. Ci voleva il Circo Massimo". GLI STRISCIONI Tra i tanti manifestanti appaiono due signori completamente mascherati da Bossi e Berlusconi. Genarano ilarità, inscenano un balletto: si abbracciano. Lo scherzo è apprezzato. VOCI DAL CORTEO: "CISL E UIL SI RAVVEDANO" Il compito di aprire il corteo ce l’hanno gli operai della Fiat dell’indotto di Termini Imerese. Il percorso evita via Cavour dove ci sarebbe un ufficio di un altro sindacato considerato "sensibile". E Tommaso della fabbrica Fiat sicilana: "Tutti devono capire che il nostro è un problema nazionale. Perdere 2.200 posti in Sicilia significa la guerra sociale". Uno striscione dell’assemblea permanente universitaria invoca ironicamente ma non troppo alla rivolta. Enzo Masini del coordinamento nazionale per l’auto della Fiom entra nel vivo del dibattivo politico a sinistra: "Il Pd poteva aderire. Basta vedere quanto è ampia questa partecipazione di popolo. Ci sono tante anime diverse. Spero che questa manifestazione spinga ad un rilancio del tema del lavoro senza che ciò vada a scapito dei diritti dei lavoratori. Ci sono migliaia di vertenze aperte oggi in Italia - sottolinea il sindacalista - questa protesta ci darà più energia". E riguardo alla Cisl e alla Uil, cosa pensa Masini? "Spero si ravvedano". Questo è quello che dicono e pensano anche tantissimi manifestanti. Non a a caso un signore parafrasando Crozza indossa un cartello che RECITA: "Se gentilmente, Bonanni, educatamente dissentiamo". "LA FIOM E' UNA TRINCEA" "Quella della Fiom è una trincea da difendere per tutti i lavoratori, il caso di Pomigliano purtroppo e prevedibilmente sta facendo scuola e non solo nelle fabbriche", dice Fabrizio Rocco della Federazione dei lavoratori della Conoscenza della Cgil di Massa Carrara. "E’ tutto bellissimo e va benissimo, commenta infine Angela della Camera del Lavoro di Torino. Ora ci aspettiamo che Epifani proclami lo sciopero generale". Sotto le bandiere della Federazione della sinistra, Rifondazione più comunisti italiani più Socialismo 2000, fa da portavoce del gruppo Fabio: "Siamo qui per lottare contro l'idea dell'organizzazione del lavoro di Marchionne, contro la ristrutturazione capitalistica, contro il ricatto e la criminalizzazione del lavoro. Ai vertici di Cisl e Uil vorrei dire che la loro politica spacca l'unità dei lavoratori. Se si perde a Pomigliano si perderà dappertutto". I VIDEO-APPELLI | La protesta sul web PER IL LAVORO E LA DEMOCRAZIA Oggi l’allarme lanciato dalle tute blu della Cgil sul rischio di una generale diminuzione dei diritti del lavoro ha assunto la forma e la sostanza dell’evidenza. Si era parlato di 100mila persone attese oggi a Roma, poi le stime sono salite a 500mila, e ieri sera la segreteria del sindacato si limitava a lamentare l’impossibilità di trovare più un mezzo pubblico disponibile per raggiungere la capitale dalle varie regioni d’Italia. La Fiom scende in piazza per "i diritti, la democrazia, la legalità, il lavoro e il contratto nazionale". E accanto a lei sfilano migliaia di cittadini convinti della necessità di respingere "l’attacco su più fronti" che sta colpendo il lavoro, "bene comune che deve tornare elemento centrale" nella società e nella politica. I CORTEI Due, da piazza della Repubblica e piazzale dei Partigiani e, attraverso il centro cittadino, si sono riuniti in piazza San Giovanni, dove il leader della Fiom Maurizio Landini prima, e quello della Cgil Guglielmo Epifani poi, hanno tenuto i comizi conclusivi. Prima di loro hanno parlato lavoratori, precari, studenti, associazioni: dagli operai di Melfi illegittimamente licenziati dalla Fiat a Cecilia Strada di Emergency (Gino Strada è in Sudan), dai rappresentanti di Libera al Popolo viola, dal Comitato contro la privatizzazione dell’acqua agli emigranti. E c'era tutto il mondo della scuola, studenti, insegnanti, ricercatori e genitori, quello del volontariato e quello dell’ecologia. Dal centrosinistra: il Pd non ha aderito come partito, ma hanno partecipato molti suoi esponenti, mentre sono scesi per strada con bandiere e presenza ufficiale Italia dei Valori, Sinistra Ecologia Libertà, e Federazione della Sinistra. DAL PALCO PER L'UNITA', MANIFESTO E LIBERAZIONE Dal palcoscenico un pensiero va ai giornali "che per i tagli di Tremonti rischiano": l'Unità, Liberazione e il Manifesto. "La nostra solidarietà", proclama la Fiom. I VIDEO-APPELLI | La protesta sul web
17 ottobre 2010 Vedi tutti gli articoli della sezione "Italia"
2010-10-16 Piazza Fiom "gremita e pacifica": ora sciopero Epifani: "Non sarete soli" |VIDEO: voci dal corteo Piazza Fiom "gremita e pacifica": ora sciopero Epifani: "Non sarete soli" |VIDEO: voci dal corteo di Stefano Miliani Le tute blu invadono Roma e piazza San Giovanni | VIDEO: VOCI DAL CORTEO Un successo la manifestazione per difendere i diritti di tutti i lavoratori (FOTOGALLERY). Nessuna cifra ufficiale, Cremaschi azzarda: "Un milione". La Fiom: ora sciopero generale. Epifani: non vi lasceremo soli. Giovani, donne, precari, disoccupati e anziani. Con loro lavoratori di tutte le categorie, precari, studenti e migranti. Bersani: "Una piazza pacifica che va ascoltata". Fassina e Damiano: "Il Pd con i lavoratori". Di Pietro e Ferrando al corteo. Maroni: infiltrazioni a corteo. Fiom: no allarmismi. Epifani: stop offensiva diritti lavoratori
Epifani alla Fiom: "Non vi lasceremo soli" "La Cgil non lascerà sola la Fiom nelle sue battaglie. In assenza di risposte anche lo sciopero generale". Lo ha detto Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil durante il suo intervento a piazza San Giovanni. "Le battaglie della Fiom sono le nostre - ha aggiunto - sono quelle che non ci hanno fatto piegare la testa. Dobbiamo batterci insieme per riconquistare il contratto nazionale degno di questo nome". Quello di Epifani a San Giovanni "è l'ultimo discorso in piazza da segretario": l'ha detto lo stesso segretario della Cgil all'immensa folla che ha invaso Roma. ROVESCIARE LO SLOGAN CISL Dieci, cento, mille accordi e non dieci, cento, mille Pomigliano. Il leader della Cgil, Guglielmo Epifani rovescia lo slogan lanciato dalla Cisl a favore dell'accordo di Pomigliano. "Bisogna rovesciare - ha detto Epifani dal palco della manifestazione della Fiom - lo slogan '10, 100, 1000 PomiglianO' e farlo diventare '10, 100, 1000 accordi' che sono quelli che la Fiom ha fatto per il lavoro e l'occupazione". 16 ottobre 2010
Epifani: "Va fermata l’offensiva contro i diritti dei lavoratori" di Oreste Pivettatutti gli articoli dell'autore Domani la grande manifestazione di Roma e ieri sera il ministro Maroni va in scena a Porta a Porta, con Bruno Vespa, per annunciare "elevato rischio" e possibilità di "infiltrazione di gruppi violenti". Guglielmo Epifani, che chiuderà la giornata romana, commenta: "Strano che il ministro esprima le sue preoccupazioni in televisione e solo dopo con il sindacato. Non capisco le sue dichiarazioni all’ultimo momento, se sia un modo per scaricare responsabilità o altro. Gli chiedo solo di lavorare al massimo, per quanto gli compete, per prevenire incidenti e garantire l’ordine pubblico". I VIDEO-APPELLI | La protesta sul web Comunque, chiediamo a Guglielmo Epifani, come vi sentite? Sotto osservazione? "Diciamo intanto che la manifestazione è una manifestazione sindacale e che sindacale resta, pur sapendo della forte presenza di movimenti. Ho già detto: se succedesse qualcosa sarebbe una giornata persa per far valere le nostre ragioni. Il nostro impegno, perché violenze non ci siano sarà assoluto, perché sappiamo bene che esistono limiti invalicabili: non si scagliano candelotti, non si invadono le sedi degli altri. Non si può essere ‘non violenti’ e poi giustificare certi atti, che rappresentano l’opposto del confronto che noi ricerchiamo sempre. Non esistono due verità. Di verità ce n’è una sola: la nostra dice che è inaccettabile la violenza". Veniamo ai contenuti. Su che cosa punterà nel suo discorso, che sarà probabilmente il suo ultimo da segretario della Cgil? "Al cuore del discorso deve stare ancora la denuncia della grave crisi che stiamo attraversando e dell’uso che se ne sta facendo per colpire i diritti dei lavoratori, deve stare la denuncia dell’assenza di una politica che dia risposte alle necessità di tante persone, in condizioni drammaticamente pesanti. Basterebbe rileggere i dati della cassa integrazione, della disoccupazione, i numeri del precariato, rileggere le storie di tante aziende a rischio chiusura, ascoltare le proteste di contadini come in Sardegna e di operai un po’ ovunque, riflettere sui rapporti della Caritas a proposito di povertà. Mentre il governo appare allo sbando, da un lato incapace di affrontare i nodi di una politica che aiuti le famiglie, che sostenga il lavoro, che dia stimolo agli investimenti, dall’altra dominato nelle sue strategie da due obiettivi: un ferocissimo controllo del bilancio pubblico e l’attacco sistematico ai diritti dei lavoratori. Di fronte a questa alternativa, mi pare che si sia rotto, in parte almeno, quel patto che l’impresa aveva stipulato con il governo. Si cominciano ad avvertire scricchiolii, che la Marcegaglia cerca con cautela di rappresentare e che sono in realtà ben più numerosi. Come se l’impresa avesse dapprima considerata giusta una linea di grande rigore, che la mettesse al riparo dalla tempesta finanziaria, contando poi su una ripresa più rapida e sostenuta. Invece cresciamo pochissimo e si avverte al tempo stesso la divaricazione tra la spinta alle attività produttive decisa negli altri paesi e il nulla o quasi proposto dal nostro governo". La vicenda dell’università è emblematica di un governo diviso... "Siamo al paradosso perché il minimo del minimo che il governo aveva promesso per sistemare un po’ di ricercatori e garantire un filo di prospettiva viene bloccato dalla rigidità della manovra di Tremonti". In compenso ci hanno regalato il federalismo... "Il federalismo è una impresa a grande rischio, perché con una politica così rigida di bilancio anche le risorse necessarie per un federalismo solidale non sembrano alla portata. Ne parlerò e parlerò naturalmente della vicenda dei precari, in particolare della pubblica amministrazione, dell’attacco al contratto nazionale, dell’attacco ai diritti dei lavoratori...". Lei lascia, mentre appaiono assai difficili i rapporti tra la Cgil e la Cisl e tra la Cgil e la stessa Fiom... "Con la Fiom non direi, perché per quanto riguarda il contratto nazionale la strada imboccata dalla Fiom sia giusta e che la scelta di Federmeccanica sia inaccettabile oltre che assai delicata. A proposito di Pomigliano, anch’io penso che non ci fossero le condizioni per firmare, ma non perché ci chiedessero di lavorare di più, ma perché pretendevano di mettere sotto controllo i comportamenti delle persone in un modo che va al di là di diritti indisponibili anche per il sindacato. Siamo convinti però che per superare questa situazione serva una proposta che ci consenta di rientrare nel gioco di una revisione della riforma contrattuale. Con una nostra proposta saremmo tutti più forti, sarebbe più forte la Fiom". Qualcuno accusa: protesta debole, serve lo sciopero generale. "Ne abbiamo appena fatto uno. E poi ricordo la manifestazione della Cgil di novembre. C‘è un’altra necessità, quella di tenere unito il fronte rivendicativo. Dobbiamo tenere temi e obiettivi come il rinnovo della cassa integrazione, la crisi industriale, la condizione dei precari, la richiesta di politiche industriali, la questione del peso fiscale per i lavoratori indipendenti e per i pensionati, il rispetto dei diritti contrattuali, contro le deroghe e l’accordo di Pomigliano... Non siamo come nel 2001, quando l’attacco fu su un punto soltanto, sull’articolo 18. Siamo di fronte a una politica che rischia di far precipitare le condizioni dei lavoratori". Rischiando di trovarvi senza interlocutori. "Siamo in una fase di assoluta incertezza nell’azione del governo... Ma non è che possiamo fermarci, perché comunque il governo procede: vedi il collegato sul lavoro con l’arbitrato che potrebbe diventare nella sostanza quasi obbligatorio". Il suo personale bilancio? "Sono diventato segretario in una fase di divisione, ho lavorato per ricomporre l’unità. Mi ritrovo a fare i conti con un’altra forte divisione. E questa è la cosa che più mi rammarica. Siamo di fronte a una profonda lacerazione sul ruolo del sindacato. Anche se esistono altri segnali: in fondo sono stati firmati unitariamente cinquanta contratti e si fanno ancora scioperi insieme. Certo che iniziative come di sabato scorso della Cisl non aiutano. Quando c’erano tutti i presupposti perché in piazza sul fisco si scendesse assieme". Che cosa manca? "Mancano momenti di confronto con i lavoratori. La paura di confrontarsi nei luoghi di lavoro fa male alla ripresa dell’unità". I VIDEO-APPELLI | La protesta sul web 15 ottobre 2010
Francia, quinto giorno in piazza No alla riforma di Sarkozy di Luca Sebastianitutti gli articoli dell'autore "Vigilanza", "cautela", "prudenza". In queste ore il vocabolario degli uomini dell’Eliseo sta centellinando tutto lo spettro di un lessico temperato che stona con gli entusiasmi esibiti solo una settimana fa. Allora il presidente Sarkozy credeva ancora di esser riuscito là dove nessuno era mai arrivato, cioè ad incassare una riforma delle pensioni senza arretrare di fronte alla piazza e senza neanche quella spettacolare tensione sociale che i francesi sono maestri ad orchestrare. Ora invece, anche se il capo dello Stato rimane fiducioso, la musica è cambiata, perché invece di spegnersi per inerzia come all’Eliseo speravano, il movimento guagna in qualità. La mobilitazione Anche ieri, e per la quinta volta in un mese e mezzo, i sindacati hanno infatti trascinato per le strade di Francia tre milioni di persone circa per chiedere al governo di fermare al Senato la riforma che porta da 60 a 62 anni l’età per andare in pensione e aprire un tavolo di negoziato. Certo la partecipazione è stata un poco inferiore rispetto ai tre milioni e mezzo di martedì scorso, ma al di là della contabilità, ieri le confederazioni hanno dimostrato che il movimento di protesta è inscritto in maniera duratura nel panorama sociale. Più che i numeri, sono infatti i pericoli insiti nel cambio di marcia e qualità che le confederazioni hanno impresso al movimento a spingere Sarkozy e il governo alla prudenza. Il clima in queste ore si è fatto piuttosto elettrico, teso. Lo spettro dei grandi scioperi che nel ’95 paralizzarono il paese hanno cominciato ad aggirarsi di nuovo per la Francia. Tutte le dodici raffinerie francesi sono in sciopero da venerdì mattina, i terminal portuali sono bloccati da giorni e i depositi di carburante occupati qui e là per il tutto il territorio. Qualche distributore di benzina è già stato costretto a chiudere i battenti e in questi ultimi due giorni il consumo alle pompe è salito del 50 per cento per la paura di non trovarne più nei prossimi giorni. Anche gli aeroporti di Roissy e Orly sono minacciati dalla fine del cherosene, visto che l’oleodotto che li approvvigiona è fermo da venerdì. Su questo versante Sarkò ha attivato i margini di manovra che ha, sbloccando gli stock di riserva, sgomberando con le forze dell’ordine qualche deposito e favorendo approvvigionamenti dall’estero, in Italia soprattutto. Lo inquieta di più l’adesione al movimento degli studenti. Se finora oltre alla partecipazione alle manifestazioni e all’occupazione di qualche centinaia di scuole non sono andati, i liceali potrebbero essere le truppe di riserva del movimento. I prossimi appuntamenti Dalla settimana prossima potrebbero ad esempio aderire alla strategia della penuria del carburante e del blocco del traffico anche i trasportatori. Venerdì i sindacati dei camionisti hanno chiamato a solidarizzare col movimento e lunedì mattina si prenderanno le prime decisioni nelle assemblee. Intanto continua lo sciopero ad oltranza alle ferrovie e nei mezzi pubblici, che finora non ha causato grossi problemi ma potrebbe sempre amplificarsi. Rispetto al muro contro muro, anche la segretaria del Ps Martine Aubry ha indicato nella sospensione del voto al Senato una strada onorevole per uscire dall’impasse. Ma Sarkozy non può e non vuole arretrare; ne andrebbe della sua credibilità e della sua rielezione nel 2012. Sarkò resta invece fiducioso di portare a casa il risultato. Martedì è già prevista un’altra giornata di mobilitazione dei sindacati, mentre mercoledì il Senato dovrebbe varare la riforma che progressivamente, da qui al 2018, innalzerà l’età pensionabile. L’Eliseo scommette che una volta approvata la riforma i sindacati si divideranno, gli studenti andranno in vacanza e il movimento dopo un colpo di coda si spegnerà. Una scommessa appunto. 16 ottobre 2010
2010-10-14 Fiom in piazza a Roma: Maroni vede già scontri "Il lavoro è un bene comune. Sì ai diritti, no ai ricatti". È con questo slogan che i metalmeccanici scendono in piazza il 16 ottobre. Da Palermo a Bolzano, da Cagliari a Pescara, in migliaia si ritrovano a Roma per far valere i propri diritti e quelli di tutti i lavoratori. "Dire, come noi facciamo, che "il lavoro è un bene comune" – scrivono sulla loro rivista, "Punto Fiom" – vuole anche dire che il lavoro deve tornare a essere interesse generale di questo paese e che quindi occorre che le imprese e le istituzioni investano sul lavoro, sulla formazione e sulla crescita". E Maroni già vede incidenti "Il rischio c'è ed è elevato". Roberto Maroni, a Porta a Porta, mette in guardia sull'ordine pubblico in occasione della manifestazione della Fiom in programma sabato prossimo a Roma. "Sono sicuro che la Fiom saprà gestire, evitando che i violenti possano fare danno -ha detto il ministro dell'Interno- Ma il rischio c'è, lo hanno già detto i servizi al Copasir, perchè c'è il rischio di una infiltrazione di stranieri". Immediata la replica di Cremaschi, Fiom: "Maroni provoca".
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L’appuntamento è alle 13.30 in due diverse piazze. Per i manifestanti che arriveranno dall’Abruzzo, dall’Alto Adige, dalla Calabria, dalla Campania, dal Lazio, dalla Lombardia, dalle Marche, dal Molise, dalla Sicilia, dal Trentino e dall’mbria il ritrovo sarà a piazza della Repubblica, vicino la stazione Termini. Mentre per chi dovesse arrivare dalla Basilicata, dall’Emilia Romagna, dal Friuli Venezia Giulia, dalla Liguria, dal Piemonte, dalla Puglia, dalla Sardegna, dalla Toscana, dalla Valle D’Aosta e dal Veneto il punto di incontro sarà piazzale dei Partigiani, di fronte la stazione Ostiense. Da qui, i cortei attraverseranno Roma, fino a giungere a piazza San Giovanni per il comizio finale. Molte le adesioni arrivate finora. Dall’associazione dei partigiani a Emergency, da Sabina Guzzanti a Moni Ovadia, tutti si dicono vicini alla lotta dei metalmeccanici. Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Don Andrea Gallo e Margherita Hack dalle colonne di MicroMega rivolgono un appello "alla società civile, associazioni, club, volontariato, gruppi viola, e a tutte le personalità che hanno il privilegio e la responsabilità della visibilità pubblica, perché si impegnino tutti, individualmente e direttamente, a fare del 16 ottobre una indimenticabile giornata di passione civile". Democrazia, Lavoro, Diritti, Legalità, Contratto saranno tra le parole chiave di sabato prossimo. Ma tema di discussione centrale sarà anche l’unità tra i sindacati. "Come Fiom abbiamo presentato in Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare che, tra le altre cose, chiede che diventi un diritto il fatto che tutti gli accordi, per essere validi devono essere approvati dalla maggioranza delle persone coinvolte. Anche quello che sta succedendo in questi giorni, a partire dalla vicenda Fiat, indica che questo è il tema decisivo per poter ricostruire un’azione unitaria". 13 ottobre 2010
2010-10-09 Bonanni: fisco e lavoro, perchè è meglio una piazza tutta nostra di Oreste Pivettatutti gli articoli dell'autore Sentiamo Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, mentre va in scena la giornata del fisco e del lavoro: la manifestazione a Roma, insieme con la Uil, che chiede "meno fisco per il lavoro, più lavoro per l’Italia". Due piazze del Popolo, prevede Bonanni. Orgoglio sindacale, affermazione di una identità e di una originalità, mentre continua il braccio di ferro con la Cgil. Ma, scusi Bonanni, su "meno tasse e più lavoro" siamo d’accordo tutti e ci risulta che all’inizio per questo obiettivo abbiate lavorato insieme. Potrebbe testimoniare Agostino Megale. Perché arrivare divisi? "Perché in questi ultimi mesi ci siamo allontanati, così tanto che credo sia meglio per tutti arrivare a una piazza tutta nostra con richieste tutte nostre". Richieste però spesso condivise… "Anche molti contratti li abbiamo fatti assieme, tranne quello dei metalmeccanici… Dopo la distanza si è acuita, ma la distinzione può far bene a noi e può far bene alla Cgil: tutti dobbiamo riflettere sulle ragioni del contrasto e sui modi per ricostruire l’unità"". La piazza senza la Cgil serve anche a dimostrare alla Cgil quanto è forte la Cisl. Non crede che i lavoratori abbiano enormemente bisogno di un sindacato unito? "La mia idea è che non ci sia alternativa all’unità. Ma non ci si può riunire senza un chiarimento generale. Altre volte ci siamo rimessi assieme in qualsiasi modo pur di rimetterci assieme. Non ci siamo evitati brutte cadute. Possiamo con serietà tornare insieme se ciascuno prende coscienza che il primo carattere delle nostre organizzazioni è il pluralismo: siamo fatti di culture diverse, che sono la ricchezza di questo sindacato, di un sindacato che non ha eguali in Europa. Riconosciuto questo, ci si deve porre il problema della convivenza democratica all’interno di una realtà plurale, al di fuori di ogni tentazione egemonica, lontani da ogni vizio ideologico, con regole democratiche che dovranno anche stabilire le responsabilità delle maggioranze e delle minoranze. Per essere chiaro: se a maggioranza si decide di imboccare una strada, poi non si può contestare la validità di quella scelta a colpi di minoranza…". Parliamo di Pomigliano? "Non si può pensare di contrabbandare una minoranza per una maggioranza. Nessuno alla Cisl, che tra i lavoratori attivi non è seconda, pretende di assoggettare gli altri alle nostre idee. Non vogliamo neppure che succeda il contrario. Le regole valgono per i vertici sindacali e allo stesso modo per i lavoratori. I vertici sindacali sono chiamati alla responsabilità di prospettare indicazioni alla propria base e a questo punto i lavoratori votano ciò che è stato loro prospettato, approvano o non approvano. Semplice. Senza risse, quelle risse che caratterizzano le assemblee dagli anni settanta in poi, quando capita che pochi, rumorosi e facinorosi, sequestrino nei fatti la volontà della maggioranza". Parliamo di democrazia. Ma, leggendo e ascoltando, sembra che tutto il problema sia la Fiom. "La Fiom rappresenta un problema serio per la Cgil. La Cgil non vuol perdere la Fiom, ma la Fiom rischia di perdere la Cgil. La Cgil non può pretendere di avere tutto e il contrario di tutto, la moglie ubriaca e la botte piena, altrimenti si finisce a civettare con i centri sociali, che lanciano le uova e che ritengo incompatibili con il sindacalismo democratico. Se non si facesse chiarezza su questi problemi, succederebbe a noi quello che capita ai partiti, che si alleano per le elezioni, il più delle volte poi si litigano, di certo non costruiscono un’alternativa. Per il resto, si va avanti, questione di sfumature. Siamo sindacalisti, siamo capaci di concludere accordi: l’acqua del mare va sempre a riva. Abbiamo firmato insieme e in pace fior di contratti, senza un’ora di sciopero, contratti che tutta Europa ci invidia". Non pare che la Cgil si rifiuti di discutere di democrazia sindacale e di rappresentanza. E ci potrebbero essere altri temi comuni: la legalità o il contratto del pubblico impiego. Ci dia una buona notizia, ci dica quando si riprende a discutere insieme. Il sindacato è una solida barriera allo sfascio di questo paese. "Aspetto il nuovo segretario della Cgil per riaprire questo discorso e spetterà al nuovo segretario riaprire questo discorso…". È questione di giorni… Intanto la cassa integrazione si avvia a toccare quota un miliardo: 925 milioni di ore nei primi nove mesi dell’anno. "Che la situazione sia grave è evidente. Una società impazzita in un gioco a scaricabarile, in cui ciascuno accusa l’altro. Quando dico "ciascuno", mi riferisco nell’ordine a governo centrale, regioni, comuni. Nessuna collaborazione e non c’è una "testa" che sappia proporre con coraggio strumenti fondamentali per la ripresa. Ci sono dati significativi e drammatici: il reddito pro capite sceso di sette punti in dieci anni, mentre si attende un ulteriore calo di altri cinque punti nel prossimo quinquennio, il costo per unità di prodotto cresciuto di venti punti in dieci anni, mentre in Germania è sceso di dieci punti e in Francia di sette. Si possono elencare molte cause: l’energia troppo cara, le infrastrutture carenti, l’istruzione scollegata dal mondo del lavoro…". Fa bene a dirlo nel giorno di tante manifestazioni contro la Gelmini… "Potrei continuare. Non se ne esce senza una seria politica che incentivi gli investimenti in Italia: meno tasse, colpendo le rendite finanziarie, lottando duramente contro l’evasione fiscale, meno burocrazia, servizi più efficienti, più conoscenza, più cultura, più giustizia sociale per aiutare la ripresa dei consumi… Su questi punti incalzeremo il governo. Ma, ripeto, siamo un paese acefalo. Nessuno che si metta alla guida di iniziative risolute". 09 ottobre 2010
2010-09-29 Metalmeccanici, Film e Uilm firmano deroghe a contratto Federmeccanica, Film e Uilm hanno raggiunto l'accordo sulle deroghe al contratto nazionale dei metalmeccanici. La possibilità di definire deroghe al contratto nazionale era prevista dal contratto firmato nell'ottobre 2009 e vale per il periodo 2010-2012. La Fiom non aveva siglato il contratto del 2009 e quindi non ha partecipato alla trattativa sulle deroghe stesse. Per Epifani la firma è una scelta sbagliata anche per Confindustria e Federmeccanica, per Landini della Fiom si è consumato "uno strappo democratico gravissimo". In caso di crisi aziendale o di sviluppo occupazionale le imprese metalmeccaniche e i sindacati potranno definire deroghe al contratto nazionale su tutte le materie, a esclusione dei minimi salariali e degli scatti di anzianità, oltre naturalmente ai diritti individuali derivanti da norme inderogabili di legge. Ecco in sintesi una scheda su cosa prevede l'accordo firmato oggi da Federmeccanica e Fim e Uilm sulla possibilità di definire "intese modificative" al contratto nazionale. CONDIZIONI: le intese modificative saranno possibili solo per "favorire lo sviluppo economico ed occupazionale mediante la creazione di condizioni utili a nuovi investimenti, o all'avvio di nuove iniziative" o per "contenere gli effetti economici e occupazionali derivanti da situazioni di crisi aziendale". Si potrà trattare quindi solo in caso di crisi o di sviluppo. MATERIE: non sono definite le materie sulle quali si può discutere ma solo quelle non derogabili, ovvero "i minimi tabellari, gli aumenti periodici d'anzianità e l'elemento perequativo, oltrechè i diritti individuali derivanti da norme inderogabili di legge". CHI NEGOZIA: le intese sono definite a livello aziendale con l'assistenza delle associazioni industriali e delle strutture territoriali delle organizzazioni sindacali stipulanti. OBIETTIVI: Le intese dovranno indicare gli obiettivi che si intendono conseguire, la durata (qualora di natura sperimentale o temporanea), i riferimenti puntuali agli articoli del contratto oggetto di modifica. SILENZIO ASSENSO: le intese sottoscritte sono trasmesse per la loro validazione alle parti che hanno stipulato il contratto (Federmeccanica e Fim e Uilm nazionali, ndr) e, "in assenza di pronunciamento, trascorsi 20 giorni di calendario dal ricevimento, acquisiscono efficacia e modificano, per le materie e la durata definite, le relative clausole del Ccnl". VERIFICA: Sei mesi prima della scadenza del contratto (fine 2012) "le parti si incontreranno per verificare funzionamento ed efficacia di quanto concordato e apportare eventuali integrazioni o correzioni qualora ritenuto necessario". 29 settembre 2010
Epifani e Landini: deroghe, un errore grave La Fiom non ha partecipato alla trattativa sulle deroghe del contratto nazionale dei metalmeccanici da Federmeccanica. E il sì di Film e Uilm viene giudicato molto negativamente sia da Epifani che da Landini. L'accordo raggiunto "è una scelta sbagliata per Confindustria e Federmeccanica". Lo ha detto il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, alla manifestazione di sostegno alla giornata di protesta dei sindacati europei. "Questa scelta porterà inevitabilmente ad una cancellazione di un contratto nazionale di settore degno di questo nome" ha detto ancora Epifani che lancia un messaggio alla Confindustria: "dove non è stata isolata, la Cgil si è assunta le proprie responsabilità e i contratti sono migliori per tutti. Questo è ormai chiaro ed evidente". "Questo è uno strappo democratico gravissimo". Il segretario della Fiom, Maurizio Landini, non ha esitazioni nel commentare la firma all'intesa sulle deroghe del contratto dei metalmeccanici. Uno strappo gravissimo, dice a margine della manifestazione della Cgil a Piazza Farnese a Roma, "perché non hanno nessun mandato dei lavoratori a firmare e apre un percorso a chi vuole cancellare il contratto nazionale". Secondo Landini "qui siamo in presenza di un tentativo esplicito di cancellare i contratti nazionali. Noi non abbiamo nessuna intenzione di accettare questa logica perché è sbagliata per i lavoratori". Quindi "credo ci siano ulteriori ragioni per i metalmeccanici e non solo di partecipare alla manifestazione del 16 ottobre a Roma". 29 settembre 2010
Crisi, oggi Cgil in piazza per dire no all'austerità Per dire no all'austerità e per rivendicare misure che favoriscano il lavoro, la giustizia sociale e la solidarietà, la Cgil promuove oggi una manifestazione, a Roma in Piazza Farnese a partire dalle ore 16.30, in occasione della giornata di azione europea promossa dalla Confederazione Europea dei Sindacati (Ces). La mobilitazione coinvolgerà, infatti, non solo Roma ma altre capitali del vecchio continente, con una grande manifestazione in programma a Bruxelles. "Una giornata che punta a far diventare significativo il grido d'allarme che da tempo qui in Italia denunciamo". Così il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, spiega il senso della giornata. "In quasi tutti i paesi europei - aggiunge - i tagli hanno colpito il lavoro, lo sviluppo e l'occupazione. Per questo la Ces ha immaginato una grande giornata di lotta e di mobilitazione che in Italia terremo a Roma per dare dimostrazione dell'unità d'azione delle nostre battaglie - conclude - con quelle della Confederazione europea". La manifestazione di Roma verrà introdotta dal segretario generale della Cgil Roma e Lazio, Claudio Di Berardino. Interverranno poi Ingrid Sehrbrock della Dgb (Germania); Javier Doz della Cc.Oo. (Spagna); Georgios Dassis della Gsee (Grecia); Eric Aubin della Cgt (Francia). Le conclusioni saranno affidate al segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Tema fondamentale della giornata sarà anche la lotta alla precarietà nel settore della conoscenza. Tra gli interventi, infatti, è previsto quello del precario palermitano della scuola - noto alle cronache per lo sciopero della fame - Giacomo Russo. La manifestazione - che ospiterà anche il gruppo musicale Tetes de Bois - verrà trasmessa in diretta audio e video sulla webtv della Cgil Ma Roma sarà solo una delle piazze coinvolte domani. La mobilitazione promossa dalla Ces investirà tante altre capitali del continente europeo e avrà il suo epicentro a Bruxelles dove, riferisce la Confederazione europea, sono attese circa 100mila persone che sfileranno nelle strade della capitale belga in concomitanza dell'incontro dei ministri europei delle finanze. In altri paesi europei si terranno scioperi e manifestazioni: ci sarà lo sciopero generale in Spagna, continueranno le proteste unitarie in Francia, manifestazioni sono in programma in Portogallo, Irlanda, Lettonia, Polonia, Cipro, Romania, Repubblica Ceca, Lituania e Serbia. In Italia inoltre, parallelamente a quella di Roma, sono previste manifestazioni a Napoli e a Venezia alla luce di un contesto particolarmente difficile. Alla manifestazione di Bruxelles - dove la stessa Cgil sarà presente con una delegazione guidata dal segretario confederale, Fulvio Fammoni -, prenderanno parte numerose rappresentanze sindacali provenienti da diversi paesi europei: Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Finlandia, Grecia, Ungheria, Polonia, Portogallo, Spagna, Romania, Gran Bretagna, Norvegia, e altri ancora. "Daremo voce alle preoccupazioni circa il contesto economico e sociale - ha detto il segretario generale della Ces, John Monks -. Siamo particolarmente preoccupati per l'aumento disoccupazione e la crescita delle diseguaglianze. Per rispondere all'aumento della precarietà la risposta deve essere lavoro di qualità. Questo il messaggio - ha concluso il numero uno della Confederazione europea - che vogliamo trasmettere al presidente della Commissione europea Barroso e all'attuale presidente del Consiglio europeo Leterme, che incontreremo al termine della manifestazione". 28 settembre 2010
Operai Fiat, inammissibile il ricorso Fiom sul reintegro a Melfi Il ricorso della Fiom sulle modalità con cui la Fiat aveva attuato il reintegro dei tre operai dello stabilimento di Melfi (Potenza) licenziati nel luglio scorso è stato dichiarato "inammissibile" dallo stesso giudice del lavoro che aveva emesso il provvedimento di annullamento dei licenziamenti. L'udienza durante la quale la Fiom aveva presentato la sua istanza si è svolta il 21 settembre scorso. Il sindacato aveva contestato la decisione della Fiat di riammettere i tre licenziati permettendo loro di svolgere attività sindacale ma non di tornare a lavoro sulle linee produttive.In una nota, i legali della Fiat hanno evidenziato che "nel dichiarare inammissibile l'istanza della Fiom, il Tribunale di Melfi ha confermato trattarsi di richiesta estranea al nostro ordinamento processuale sottolineando che la stessa costituisce 'tentativo, che oltrepassando i limiti dell'analogia, si caratterizza per essere un'iniziativa creativa e di politica legislativa, inibita all'ordine giudiziariò". 29 settembre 2010 2010-09-27 Ocse, salari: l'Italia peggio Grecia, Irlanda e Spagna I salari netti italiani sono mediamente inferiori non solo a quelli di Paesi come Stati Uniti, Germania, Francia, Regno Unito, ma anche agli stipendi di altri Paesi europei che sembrerebbero in maggiori difficoltà economiche, come Grecia, Irlanda e Spagna. È quanto risulta dal Rapporto Ocse Taxing Wages, prendendo in considerazione la tabella sul salario medio di un singolo senza carichi di famiglia (calcolata in dollari e a parità di potere d'acquisto). I salari italiani risultano però più generosi rispetto a quelli dei portoghesi, polacchi, ungheresi. In coda alla classifica i messicani. L'Italia si colloca per gli stipendi al 23/o posto, con guadagni inferiori al 16,5% rispetto alla media dei trenta Paesi che fanno parte dell'organizzazione di Parigi. I dati sono riferiti al 2009 e l'Italia si colloca nella stessa posizione dell'anno precedente. Il salario annuale netto del lavoratore medio è in Italia di 22.027 dollari, contro i 26.395 della media Ocse, i 28.454 della Ue a 15 e i 25.253 della Ue-19. La classifica riguarda il salario netto annuale medio di un lavoratore single senza carichi di famiglia. È calcolato in dollari e a parità di potere d'acquisto. Se si guarda alla classifica del guadagno medio di un lavoratore con famiglia, unico percettore di reddito con a carico coniuge e due figli, il reddito netto degli italiani sale a 26.470 euro ma resta inchiodato, anche in questo caso, al 23/o posto della classifica Ocse. 11 maggio 2010
Dipendenti, persi 5000 euro in 10 anni. Epifani: intervento urgente sui salari I lavoratori dipendenti italiani hanno perso in dieci anni oltre 5mila euro di potere d'acquisto. Lo fa sapere la Cgil nel suo rapporto sulla crisi dei salari presentato oggi nel quale spiega che nel decennio le retribuzioni hanno avuto, a causa dell'inflazione effettiva più alta di quella prevista, una perdita cumulata del potere di acquisto di 3.384 euro ai quali si aggiungono oltre 2 mila euro di mancata restituzione del fiscal drag che porta la perdita nel complesso a 5.453 euro. Così, dal 2000 al 2010 - secondo un rapporto Ires-Cgil - c'è stata una perdita cumulata di potere d'acquisto dei salari lordi di fatto di 3.384 euro (solo nel 2002 e nel 2003 si sono persi oltre 6.000 euro) che, sommata alla mancata restituzione del fiscal drag, si traduce in 5.453 euro in meno per ogni lavoratore dipendente alla fine del decennio. In Italia esiste "un grande problema che riguarda l'abbassamento dei salari anche legato al prelievo fiscale", sottolinea il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, che chiede "un intervento urgente che sgravi il lavoro dipendente" riequilibrando il peso del prelievo a favore dei salari. I salari, secondo Epifani, pagano al momento di più di altri redditi ed è necessaria una "svolta" che affronti il problema delle retribuzioni. 27 settembre 2010
2010-09-24 Marcegaglia smentisce Berlusconi "Italia meglio di altri? Non è vero" "Quando si dice che siamo andati meglio di altri Paesi non è vero, siamo stati fortemente colpiti dalla crisi". La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, lo ha detto all'assise degli industriali toscani. Ed oggi, ha aggiunto, c'è la "sensazione che stiamo uscendo dalla crisi con una capacita di crescita inferiore alla media europea". Per la leader degli industriali "l'Italia ha un problema serio di crescita". In questa fase della crisi "il peggio è alle spalle", dice, ma "siamo comunque in un quadro di incertezza siamo comunque in un quadro di incertezza. LAVORO NON CONTA PARLAMENTARI "Vogliamo che politica si concentri su crescita e occupazione", dice la leader degli industriali, Emma Marcegaglia, che chiede così di accantonare il dibattito "sui temi che leggiamo in questi giorni sui giornali". "I problemi dell'occupazione non attendo i passaggi di parlamentari da una parte all'altra", pretendono "risposte serie e immediate", ha indicato la presidente di Confindustria. In Italia è necessaria "una crescita di almeno il 2% l'anno", altrimenti non "riusciremo a riassorbire la disoccupazione, a tenere in piedi il tessuto produttivo, ad aumentare il benessere di tutti". 24 settembre 2010
Fincantieri, operai in corteo con la maglietta "Fateci il bacino" Indossano una maglia con la scritta 'Fateci il bacino' gli operai della Fincantieri di Castellammare di Stabia (Napoli) che sono in corteo nelle strade della città per la difesa dello stabilimento navale dopo le voci sulla possibile chiusura. In corteo ci sono circa duemila persone. Ai lavoratori si sono uniti gli studenti di tutte le scuole superiori, i commercianti, rappresentanti di tutte le forze politiche. Numerosi gli striscioni. Oltre a quello degli operai Fincantieri, ci sono quelli degli operai dell'indotto, del Consiglio comunale, di lavoratori della sanità privata e della Meridbulloni, altra importante realtà industriale stabiese da tempo in crisi. 24 settembre 2010
2010-09-22 Fincantieri, cortei e picchetti. Domani incontro con i sindacati Non si ferma la protesta degli operai della Fincantieri a Palermo. Anche domani i lavoratori sfileranno in corteo, replicando dunque la manifestazione di oggi che ha provocato notevoli disagi per via di blocchi in un tratto di autostrada all'ingresso nella città. Il concentramento sarà davanti ai cancelli dello stabilimento da dove gli operai raggiungeranno la sede di Confindustria a Palermo. Domattina all'associazione degli industriali è in programma una riunione tra sindacati e azienda nell'ambito della trattativa sulla procedura di cassa integrazione proposta dal gruppo di Trieste per 470 dei 500 operai in organico per un totale di 52 settimane. Fim, Fiom e Uilm, nell'ultimo incontro all'ufficio provinciale del lavoro, avevano chiesto a Fincantieri una relazione dettagliata sulle commesse acquisite o in fase di acquisizione e il rispetto del protocollo firmato poco tempo fa con la Regione siciliana su una serie di investimenti nel cantiere per potenziare le infrastrutture. I sindacati, inoltre, sono preoccupati per l'impatto che il piano industriale avrà sui lavoratori dell'indotto, circa mille persone molte delle quali senza possibilità di paracadute sociale. Nel piano è prevista la riduzione dell'attività produttiva a Palermo dove non si dovrebbero più costruire navi. La manifestazione di oggi si è conclusa con un incontro alla presidenza della Regione tra i sindacati e il capo di gabinetto del governatore Raffaele Lombardo, volato nel primo pomeriggio a Roma per impegni istituzionali. Fim Fiom e Uilm hanno chiesto l'apertura di un tavolo istituzionale coordinato proprio da Lombardo per discutere del futuro di Fincantieri. "La Regione ha stanziato 44 milioni di euro per la ristrutturazione di due bacini - dice Francresco Piastra della Fiom di Palermo - ma si tratta di fondi Fas bloccati dal governo Berlusconi. I tecnici della presidenza ci hanno spiegato che i bandi sono già pronti, manca solo l'ok da Roma per assegnare i fondi Fas". Monfalcone Un'assemblea dei lavoratori si è tenuta stamani anche nello stabilimento Fincantieri di Monfalcone (Gorizia), nel corso della quale le Rsu hanno illustrato ai lavoratori gli esiti del convegno sulla cantieristica navalmeccanica, svoltosi ieri a Roma. "Pretendiamo - ha riferito il coordinatore della Fiom-Cgil nella Rsu, Moreno Luxich - di capire quali indirizzi intende adottare il governo per far fronte alla situazione del comparto. Quello che riteniamo inaccettabile da parte dell'azienda è il mancato coinvolgimento dei sindacati nella stesura di una bozza di piano industriale che rischia - ha sottolineato - di mettere sulla strada 600 dipendenti". Dopodomani intanto sarà a Monfalcone il segretario nazionale della Fiom, Maurizio Landini, per valutare le azioni da intraprendere in occasione della manifestazione di protesta in programma a Roma, davanti a Palazzo Chigi, il primo ottobre. Castellamare di Stabia Anche davanti allo stabilimento di Castellammare di Stabia (Napoli) i lavoratori della Fincantieri sono al terzo giorno di presidio e questa mattina da un megafono posizionato su un'auto si sono rivolti alla cittadinanza con un appello: "Partecipate alla manifestazione che si terrà il 24 settembre". Tutta la città è stata inoltre tappezzata da manifesti funebri con la scritta: "Se chiude Fincantieri muore Castellammare". E striscioni con appelli a Berlusconi e alla necessità di potersi rivolgere a un ministro dello Sviluppo campeggiano intorno al cantiere. "Cari commercianti, cittadini e studenti, il nostro cantiere purtroppo è destinato a chiudere - hanno urlato anche oggi i lavoratori - Questa notizia è sconvolgente per noi ma soprattutto per tutta la città, anche perchè si tratta dell'unica realtà industriale che occupa circa duemila persone tra dipendenti Fincantieri e dipendenti dell'indotto. Per questo vi chiediamo di partecipare venerdì 24 settembre ad una manifestazione che partirà da piazza Amendola". I lavoratori chiedono, inoltre, alla cittadinanza un ulteriore gesto di partecipazione alla lotta nella giornata del primo ottobre, quando tutti i dipendenti Fincantieri manifesteranno a Roma per la cantieristica navale. "In quella stessa giornata - affermano rivolgendosi ai negozianti di Castellammare di Stabia - vi chiediamo di serrare almeno per un'ora le vostre attività commerciali in segno di solidarietà nei nostri confronti. Sappiamo che chiediamo uno sforzo enorme, ma da soli non riusciremo a vincere e abbiamo bisogno del vostro aiuto". 22 settembre 2010
2010-09-20 Da Fincantieri a Acquaservizi. Operai di nuovo sui tetti e sulle gru Clima teso a Castellammare di Stabia dove gli operai della Fincantieri si sono ritrovati, sin dalle prime ore del mattino, dinanzi ai cancelli dello stabilimento. Tre operai della Fincantieri di Castellammare di Stabia sono saliti su una gru all'interno dello stabilimento per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica sul problema occupazionale del sito cantieristico. Uno dei tre lavoratori è sceso dal braccio meccanico dopo qualche ora, mentre due suoi colleghi sono ancora arrampicati sulla gru. I sindacati hanno proclamato uno sciopero di 8 ore per turno. Domani a Roma è previsto un attivo di tutti i sindacati per valutare la crisi del comparto. Le notizie dei giorni scorsi hanno accresciuto tra le maestranze, che attendevano l'arrivo di nuove commesse, l'angoscia e la preoccupazione per il futuro. Particolarmente tesi sono i più giovani. Nel pomeriggio nella sede del Comune di Castellammare di Stabia è fissata una conferenza dei capigruppo alla quale, secondo quanto si apprende, dovrebbero partecipare anche il sindaco Luigi Bobbio ed il presidente del Consiglio comunale. Ma la tensione è giunta anche negli altri cantieri della azienda. Sciopero dei lavoratori questa mattina allo stabilimento Fincantieri di Genova Sestri. Gli operai si sono riuniti in assemblea ad inizio turno e poi sono scesi in corteo all'interno dello stabilimento, con un presidio all'esterno dei cancelli.L'astensione dal lavoro è durata circa 2 ore. A Palermo, oltre 500 tute blu, tra dipendenti del cantiere e dell'indotto, questa mattina hanno incrociato le braccia per dire no al prolungamento, di circa un anno, del regime di cassa integrazione. Le Rsu di Fiom Fim e Uilm hanno deciso di restare a oltranza a bordo della piattaforma Scarabeo 8 della Saipem, per un'occupazione che durerà giorno e notte, in attesa di chiarimenti da Fincantieri. La protesta è nata dopo la notizia che la nave andrà via il 10 ottobre per continuare la riparazione altrove. Appena ieri dalla Fiom era arrivato il monito che sottolineava come gli operai fossero "pronti a lottare in difesa del posto di lavoro e della fabbrica anche con azioni clamorose". I timori del sindacato sono concentrati, in particolare, sui mille esuberi dovuti al "ridimensionamento della fabbrica ad una officina". In serata interviene il ministro Sacconi. Il governo convocherà le parti di Fincantieri "per rimettere nei corretti binari il confronto sul futuro della società che allo stato dichiara di non avere definito alcuna ipotesi", così il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che tuttavia fa "appello a tutte le istituzioni e le organizzazioni sindacali perchè siano isolati gli agitatori professionali nel nome del primario interesse dei lavoratori".
Protesta anche a Ercolano Un ex lavoratore di 'Acquaservizi' la ditta che svolgeva commesse per la Gori è salito sul tetto dell'azienda in via Trentola ad Ercolano (Napoli) con una bottiglietta di benzina. Sul posto sono presenti polizia e carabinieri, uomini del 118 e Vigili del Fuoco oltre ad una folta rappresentanza di ex dipendenti. I 57 lavoratori di Acquaservizi e i 42 della cooperativa Fenice Call Center sono in protesta da giorni preoccupati per il futuro lavorativo e chiedono risposte a Gori e al consiglio dell'Ato3. "Dopo ripetuti incontri, Gori e Ato3 continuano a non dare risposte concrete per la soluzione definitiva della vertenza dei lavoratori di Acquaservizi e della cooperativa Fenice call center - dice Umberto Amodio, un dipendente Acquaservizi - Ad oggi la realtà è che Gori e Ato3 continuano a 'litigare' tra di loro lasciando non risolta la vertenza". Al momento è in corso una riunione del Cda della Gori che - da quanto si apprende dai lavoratori in protesta - oltre all'approvazione del bilancio dovrebbe discutere anche della vertenza in atto.
20 settembre 2010
Alitalia: ipotesi di oltre 1400 esuberi. I sindacati chiedono un tavolo Torna lo spettro degli esuberi all'Alitalia. A due anni dalla privatizzazione e il passaggio alla cordata guidata da Colaninno, la compagnia aerea starebbe studiando un piano di ridimensionamento del personale da attuare entro dicembre, che potrebbe coinvolgere circa 1.200-1.400 dipendenti, ai quali andrebbero aggiunti i contratti di 600 precari da non rinnovare. Una ipotesi che l'azienda "non conferma" e che lascia interdetti i sindacati, i quali si dichiarano senza informazioni al riguardo, attendono informazioni dalla compagnia e chiedono, se le voci fossero confermate, l'apertura di un immediato confronto. Più duro il Pd con il capogruppo in commissione Trasporti alla Camera, Michele Meta secondo cui "se fosse confermata la notizia del piano di esuberi cui starebbe lavorando Alitalia, sarebbero fondate le nostre preoccupazioni su una privatizzazione gestita malissimo dal Governo che, senza garantire benefici al trasporto aereo italiano, ha semplicemente scaricato 3 miliardi di euro di debiti sulle spalle dei contribuenti abbandonando i lavoratori al loro destino". Secondo i documenti del piano il numero dei dipendenti scenderebbe così dai 14.000 attuali ai 12.600 "ai livelli previsti dal Piano Fenice". Il tema, pur senza parlare di esuberi, sarebbe stato trattato in una convention con 400 dipendenti tenuta ad inizio settembre della quale sarebbe stato anche riportato un resoconto, poi cancellato ("era un refuso", dicono in Alitalia secondo il quotidiano), sul sito intranet della società. Del ridimensionamento - secondo l'articolo - c'è traccia anche in alcune slide della convention che illustrava azioni finalizzate ad un risparmio finale di 108 milioni nel secondo semestre dell'anno, sotto la voce "vendita servizi manutenzione e materiali". Su questo l'azienda, è scritto, ammette che "alcune esternalizzazioni verranno effettuate negli scali periferici". Dai sindacati arrivano le prime reazioni: "Prendo atto della "non smentita dell'azienda"- spiega Andrea Cavola dell'Usb - Dico solo che qualche settimana fa l'amministratore delegato Rocco Sabelli in una convention con qualche centinaio di dipendenti Alitalia ha tranquillamente detto che prevedeva 1.500 uscite di cui 750 stagionali e 750 che avrebbe gestito con piccole esternalizzazioni. Lo ha detto davanti a centinaia di persone". "Attenderemo nei prossimi giorni le nuove azioni dell'azienda - afferma il sindacalista - È strano che un'azienda che 2 anni fa venne regalata e liberata di tutti i debiti, alleggerita di 10.000 dipendenti e ha avuto tutti gli ammortizzatori, dopo appena due anni parla di 1.500 esuberi". Dalla Filt-Cgil Mauro Rossi afferma come "Se le notizia sugli esuberi riportate dalla stampa venissero confermate andrebbe aperto immediatamente un confronto". E il presidente della regione Lazio Renata Polverini spera che la notizia non sia vera anche perchè "ai lavoratori che rappresentano un bacino occupazionale importante per la nostra regione che va salvaguardato", "non si possono chiedere altri sacrifici". 20 settembre 2010
2010-09-17 Nasce la nuova Fiat separata in due società "E' un'assemblea storica per la Fiat. Nasceranno due Fiat forti, ambiziose, con persone pronte a realizzare gli obiettivi". Lo ha detto il presidente, John Elkann, aprendo l'assemblea degli azionisti del Lingotto, convocata per deliberare sullo spin-off. Elkann ha ricordato come dallo scorporo nascano una Fiat "che con l'accordo con la Chrysler si é molto rafforzata" e la Fiat Industrial "meno conosciuta che però nei settori in cui opera è una delle società più grosse con 60 mila dipendenti, 70 stabilimenti, un fatturato di 30 miliardi". NO PAURA FUTURO VOGLIAMO COSTRUIRLO "In Fiat non abbiamo paura del futuro e vogliamo costruirlo". Lo ha detto il presidente della Fiat John Elkann all'assemblea degli azionisti convocata per approvare lo spin off. Le parole del Elkann sono state sottolineate da un applauso. MARCHIONNE, CON SCISSIONE NUOVO CAPITOLO STORIA FIAT La scissione "permetterà all'azienda di iniziare un nuovo capitolo della sua storia" Lo ha detto l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, l'assemblea degli azionisti, convocata per deliberare sullo spin-off. MARCHIONNE, MAGGIOR LIBERTA' AZIONE ANCHE PER ALLEANZE Le due società nate dalla scissione "avranno maggiori libertà di azione anche nel caso maturino possibilità di stringere alleanze". Lo ha detto l'ad della Fiat Sergio Marchionne, all'assemblea degli azionisti convocata per approvare lo spin off. MARCHIONNE, E' MOMENTO GIUSTO PER PROCEDERE A SCISSIONE "E' questo il momento giusto per procedere alla scissione. E' una scelta che risponde a una logica di crescita e autonomia". Lo ha affermato l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, illustrando l'operazione di spin-off agli azionisti. Marchionne ha ricordato che i mercati finanziari auspicavano da tempo la scissione, ma negli anni della crisi si è preferito "mantenere inalterata la struttura del gruppo" per concentrare tutte le forze sul risanamento "che ha richiesto un grande sforzo". "Ora però - ha aggiunto - questo processo è completato. E il business dell'Auto, grazie alla partnership con Chrysler, ha raggiunto una massa critica per muoversi in modo autonomo". MARCHIONNE, OGNI GRUPPO PARTIRA' CON 2,5 MLD DEBITO Fiat e Fiat Industrial inizieranno ad operare con un indebitamento netto industriale pari a 2,5 miliardi di euro per ognuno dei due gruppi visto che il target attuale del Gruppo Fiat per il 2010 è superiore a 5 miliardi di euro. Lo ha sottolineato l'ad Sergio Marchionne all'assemblea degli azionisti in corso al Lingotto. MONTEZEMOLO ASSENTE, IN INDIA CON FERRARI All'assemblea degli azionisti della Fiat non partecipa l'ex presidente del gruppo (e tuttora consigliere di amministrazione), Luca Cordero di Montezemolo, che si trova in India con la Ferrari, tuttora membro del consiglio di amministrazione. La compagine azionaria della Fiat è formagta da Exor, che detiene una quota del 30,42%, Capital Research 4,77%, Blackrock 2,83%, Norges Bank al 2,02%. Le azioni proprie detenute dal gruppo sono pari al 3,23%. 16 settembre 2010
2010-09-11 E Tremonti disse: "La sicurezza sul lavoro è un lusso" di Bianca Di Giovannitutti gli articoli dell'autore Le regole gli hanno sempre dato un po’ fastidio, che si trattasse di fisco, di ambiente, di impresa, di Europa. Per lui tutto va "semplificato": è questo il segno della modernità, la chiave dello sviluppo. È un credo a cui Giulio Tremonti si è sempre dichiarato fedele, a dispetto dei mille cambiamenti di fronte, degli innumerevoli guizzi logici a cui ci ha abituati. Un credo condiviso, certo, con le schiere di finti liberisti senza mercato che affollano le platee confindustriali. Ma l’ultima esternazione non dev’essergli riuscita bene. Quel "la sicurezza sul lavoro è un lusso che non possiamo permetterci", dichiarato al Berghem Fest, quell’incitazione a "rinunciare ad una quantità di regole inutili: siamo in un mondo dove tutto è vietato tranne quello che è concesso dallo Stato" ha innescato tali e tante polemiche, da costringere il ministro a una scomposta (e non riuscita) retromarcia. Prima è intervenuta la sua portavoce ("Tremonti si riferiva alla giurisdizione europea, la sicurezza del lavoro resta essenziale"), poi lo stesso ministro con un intervento sul Corriere della Sera. E qui la "pezza" è stata peggiore del buco. Secondo il ministro, infatti, occorre una distinzione tra grandi imprese (dove le regole europee servono) e le piccole, dove si creano invece "costi artificiali e sanzioni erratiche". Ancora una volta l’invocazione per il piccolo, l’artigiano, l’impresa familiare, che tanto suda, tanto si sacrifica, e poco ottiene dallo Stato "occhiuto" e ingiusto. Una visione diventata ormai un santino nei salotti del centrodestra. Peccato che non sia esattamente così. Peccato che (come ieri ha ricordato il senatore Pd ex Cgil Paolo Nerozzi) proprio tra i "piccoli" si segnala il maggior numero di incidenti. Nelle imprese edili subappaltattrici, nelle piccole aziende agricole in cui gli stranieri perdono la vita (guarda caso) sempre nel primo giorno di lavoro. Cioè vengono regolarizzati solo quando muoiono. È questo il "magico" mondo che Tremonti vorrebbe lasciare senza vincoli e senza controlli. La vecchia deregulation che finora non ha portato né ricchezza, né sviluppo. Manovra Quanto a quel recupero in corsa, quell’assicurazione sulla sicurezza del lavoro che "resta essenziale", quelle parole oggi appaiono assolutamente poco credibili. Con l’ultima manovra varata prima dell’estate si è ridotta del 50% la spesa per gli ispettori. Vero, si escludono esplicitamente gli ispettori del lavoro. Ma il comma successivo applica il taglio alle automobili di servizio di tutti. ispettori senza auto, senza possibilità di visitare cantieri e zone agricole. Tutto in nome dell’austerità dei conti. Altro che bene irrinunciabile. Si è rinunciato anche per una manciata di milioni. Così come, sempre nella manovra, si è aperta la strada all’anarchia d’impresa, eliminando quei pochi "paletti" che ancora regolamentano lo sviluppo delle attività. Da destra poi, proprio sulla 626, sono partiti subito i siluri, sull’onda delle richieste confindustriali. La legge varata dal governo Prodi - grazie a cui le pesanti cifre delle vittime stavano lentamente ridimensionandosi - è stata subito "rivisitata". Si sarebbe voluto fare di più, depenalizzare, svincolare, destrutturare, ma si dovette fare i conti allora con il richiamo del Presidente Giorgio Napolitano. Dal Quirinale arrivò un pesante monito scritto, in cui si faceva rilevare che con quelle correzioni "il nostro ordinamento giuridico risulta seriamente incrinato da norme oscuramente formulate, contraddittorie, di dubbia interpretazione o non rispondenti ai criteri di stabilità e certezza della legislazione". Altro che semplificazione: si è fatto di tutto per rendere le norme incomprensibili. E quindi inattuabili. 11 settembre 2010
Tre operai morti a Capua. Napolitano indignato Tre operai sono morti in un incidente sul lavoro a Capua (Caserta). Stavano lavorando alla bonifica di una cisterna nello stabilimento della multinazionale olandese DSM spa. Sono stati investiti da esalazioni probabilmente dovute ad un processo di fermentazione che si è innescato quando gli operai hanno aperto la cisterna. Uno dei tre ha tentato di soccorrere i suoi compagni, ma è rimasto coinvolto anch'egli nell'incidente. Un morto anche a Pistoia. Napolitano: "Indignato" "Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in una giornata funestata da più infortuni sul lavoro, a Pistoia e a Capua, nell'esprimere la commossa partecipazione al dolore delle famiglie e delle comunità colpite, raccoglie la diffusa indignazione per il ripetersi di incidenti mortali causati da gravi negligenze nel garantire la sicurezza dei lavoratori in operazioni di manutenzione nei silos simili a quelle che già più volte in precedenza hanno cagionato vittime": è quanto si legge in una nota del Quirinale. "Il Capo dello Stato - conclude la nota - confida nella rapidità e nel rigore degli accertamenti da compiere e nella definizione delle normative di garanzia da adottare e far rispettare". L'incidente I tre operai deceduti all'interno di un silos della ditta farmaceutica Dsm di Capua sono morti per asfissia. Questa è l'unica certezza che, per il momento, è stata avanzata dagli investigatori che stanno lavorando per risalire alle cause dell'incidente sul lavoro. Secondo quanto confermato dai vigili del fuoco di Caserta quando i tre corpi sono stati estratti dalla cisterna il loro aspetto era cianotico, testimonianza che erano privi di ossigeno. "Non si sa, però, se abbiamo o meno respirato fumi tossici e che cosa abbia tolto loro l'ossigeno - ha detto l'ingegnere dei Vigili del fuoco Giovanni Dedona - quando i cadaveri sono stati esaminati dal medico del 118 è stato appurato che si è trattato di asfissia". I corpi senza vita erano distanti tra loro: due sono stati, infatti, rinvenuti quasi in superficie mentre il terzo era nel fondo del silos alto circa 12 metri. Per estrarre il cadavere, infatti, è stato necessario che i vigili del fuoco si calassero con particolari attrezzature all'interno della cisterna. Le vittime Si chiamavano Antonio Di Matteo, 63 anni, originario di Macerata Campania, Giuseppe Cecere, 50 anni, originario di San Prisco, Comuni del casertano, e Vincenzo Russo, 43 anni, originario di Casoria in provincia di Napoli. All'esterno dell'industria chimica - la "Bms", ex Pierrel, sulla Statale Appia che da San Tammaro porta a Capua, quasi all'ingresso della città - si sono radunati i familiari delle tre vittime. In preda alla disperazione, attendono notizie dai soccorritori e dalle forze dell'ordine che stanno presidiando i cancelli. Sono giunti anche numerosi residenti nella zona che, appresa la notizia, stanno portando la loro solidarietà ai familiari degli operai decedeuti. Infortunio mortale sul lavoro anche a Pistoia Stava svolgendo lavori di manutenzione Marius Birt, l'operaio di 36 anni morto stamani nell'azienda "3F Ecologia", a Pescia (Pistoia). Birt lavorava alla "3F Ecologia" da sette anni e viveva in un'abitazione ricavata all'interno del complesso industriale. Al momento dell'incidente, con Birt c'era il cognato, anche lui dipendente della ditta. Sembra che Birt sia stato colpito alle spalle da un cancelletto della pressa su cui stava svolgendo lavori di manutenzione. La procura ha disposto l'autopsia. 11 settembre 2010
La crisi influisce anche qui: incidenti sul lavoro in calo del 6,3% Anche sui morti sul lavoro influisce la crisi economica che dal 2008 ha bloccato l'Italia. Le morti sul lavoro hanno toccato nel 2009 il minimo storico. Secondo i dati dell'Inail, diffusi in luglio, mai dal dopoguerra - per l'esattezza dal 1951, inizio delle rilevazioni statistiche - si era registrato un livello, seppur ancora drammatico, così basso: 1.050 le vittime nel 2009. Un numero in flessione del 6,3% sul 2008 (quando i casi mortali erano stati 1.120). In linea generale, continua a calare anche il numero degli infortuni, scesi a quota 790.000 (dagli 875.144 del 2008), con una flessione annua del 9,7% che risulta la più alta dal 1993. Come detto, in parte, incide la crisi dello scorso anno, con il calo occupazionale e produttivo. In controtendenza, invece, l'andamento delle malattie professionali, per le quali il 2009 risulta un anno record quanto a denunce: il 15,7% in più sul 2008, il valore più alto degli ultimi 15 anni. Sulla riduzione dei casi registrati e denunciati all'Istituto, ha infatti influito la congiuntura negativa del 2009, con il calo degli occupati (-1,6% per l'Istat) e delle ore effettivamente lavorate. Tra le novità per la prima volta gli infortuni tra i lavoratori stranieri risultano in flessione: dai 143.641 casi del 2008 si è passati ai 119.193 dello scorso anno, con un calo del 17%; mentre per i casi mortali, scesi a 150 dai 189 dell'anno precedente, il calo si attesta al 20,6%. In generale, il calo maggiore ha riguardato gli infortuni in "occasione di lavoro", quelli cioè avvenuti effettivamente sul luogo di lavoro, per i quali il numero delle denunce si è ridotto del 10,2%, a fronte di un calo del 6,1% degli infortuni "in itinere", ossia durante il tragitto casa-lavoro; rispettivamente -7,5% e -2,7%, invece, i decessi. Anche se, sempre nell'ambito degli infortuni mortali, quelli occorsi su strada a lavoratori come autotrasportatori, rappresentanti di commercio, addetti alla manutenzione stradale pur essendo scesi dai 338 casi del 2008 ai 303 del 2009 (-10,4%), continuano a rappresentare quasi un terzo del totale (28,8%). Ancora: la flessione degli incidenti risulta molto più accentuata per gli uomini (-12,6%) rispetto alle donne (-2,5%). E più evidente al nord e nell'Industria (-18,8%) invece che nei Servizi (-3,4%) e nell'Agricoltura (-1,4%). 11 settembre 2010
2010-09-08 Un fumogeno colpisce Bonanni della Cisl Dopo le contestazioni di sabato scorso contro Renato Schifani oggi alla Festa nazionale del Pd il copione si ripete. Questa volta a irrompere in piazza Castello nella sala Bobbio non sono i grillini ma un gruppo che si autodefinisce "Coordinamento torinese precari", cioè una cinquantina di persone tra studenti universitari, precari metalmeccanici, ma anche insegnanti e appartenenti ai centri sociali. Fumogeni, spintoni e uno striscione con la frase "Marchionne comanda e Bonanni obbedisce" e infine una marea di volantini che riportano una banconota da 50 euro con la faccia del leader della Cisl e la dicitura "Il denaro è un buon servo e un cattivo padrone". Scatta la bagarre e Bonanni dopo pochi minuti se ne va senza proferire parola accompagnato dal coro dei contestatori "Bonanni non parla più". Dal palco di piazza Castello Enrico Letta cerca di respingere la contestazione gridando più volte "siete antidemocratici", mentre in platea interviene la polizia per allontanare i contestatori. "Riteniamo inqualificabile invitare un personaggio come Bonanni tra i principali artefici della svendita del contratto nazionale dei metalmeccanici", dice Gianluca, tra le fila dei contestatori. Nella bagarre Enrico Letta chiama a raccolta i giornalisti per dichiarare tutto il suo sdegno per quanto accaduto e solidarietà al leader della Cisl Raffaele Bonanni. Gravissime secondo Letta le responsabilità delle forze dell'ordine a Torino. "Poteva essere un dramma - dice l'esponente del Pd - la situazione è sfuggita di mano e occorrerà analizzare come sia potuto succedere". "Voi non avete niente a che fare con la democrazia. Siete il contrario di cui ha bisogno il Paese. Siete antidemocratici". Così Enrico Letta, alla Festa del Pd per partecipare al dibattito con Raffaele Bonanni, dopo che il leader della Cisl è stato contestato ed ha dovuto abbandonare il palco. "Stò bene ma sono molto turbato. Senza la presenza dei militanti della Cisl presenti oggi in piazza a Torino poteva accadere ancora qualcosa di più grave. Per questo spero che tutti riflettano su quanto è accaduto e abbassino i toni". Lo ha dichiarato il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, dopo le contestazioni alla Festa del Pd. "Ci sono ancora ambienti torbidi in giro che cercano solo la violenza senza alcun legame con il mondo del lavoro il sindacato", ha aggiunto. 08 settembre 2010 Vedi tutti gli articoli della sezione "Italia"
Il pugno del padrone. Finmeccanica scarica il contratto delle tute blu di Rinaldo Gianolatutti gli articoli dell'autore Sotto il tallone di Sergio Marchionne si strappa la tela delle relazioni industriali improntate alle regole e al rispetto dei contratti. In nome di una malintesa modernità, da mesi in Italia si fanno a pezzi i diritti consolidati del lavoro, una lunga storia di rapporti duri e però costruttivi tra imprese e sindacati e, in conclusione, si altera la dialettica democratica. La disdetta del contratto dei metalmeccanici del 2008 che scade all’inizio del 2012, l’ultimo firmato anche dalla Fiom, da parte di Federmeccanica è un ulteriore passo di un processo chiaro e coerente ispirato dal governo e finalizzato a destrutturare il sistema dei diritti e delle regole che hanno finora governato il mondo del lavoro. Federmeccanica si è adeguata al diktat della Fiat e fa davvero sorridere il maldestro tentativo del leader degli industriali meccanici Pierluigi Ceccardi di difendere un simulacro di autonomia sostenendo di non aver ricevuto pressioni dal Lingotto. Dalla prossima settimana Federmeccanica assieme a due sindacati minoritari (il numero di iscritti di Fim-Cisl e Uilm complessivamente è inferiore a quello della Fiom) discuterà le deroghe da apportare al contratto nazionale dei metalmeccanici, in particolare il confronto inizierà dal settore dell’auto come richiesto da Marchionne. Ma non ci sarà nulla da discutere, il contratto dell’auto c’è già: è il "modello Pomigliano" che sarà imposto a tutte le fabbriche della Fiat e poi esteso all’indotto. Le deroghe sono già scritte, non c’è nulla da inventarsi, tantomeno da discutere. I sindacati, quelli che ci stanno, saranno chiamati a sottoscrivere il documento imposto da Marchionne per Pomigliano dove sarà la Fiat a decidere se e quando pagare la malattia o quando sarà possibile scioperare. Il nuovo clima, quello ispirato dalla filosofia di Marchionne, si respirà già a Melfi e a Mirafiori con i licenziamenti punitivi e il rifiuto del Lingotto di rispettare le sentenze della magistratura e persino di accogliere gli appelli del Quirinale e del cardinale Bertone. La Fiat e Federmeccanica ritengono di poter evitare con questa mossa le battaglie legali della Fiom, ma probabilmente la valutazione è sbagliata. Certo le aziende meccaniche, e poi presumibilmente anche quelle di altri settori rappresentate in Confindustria che vorranno chiedere deroghe (perchè la Fiat sì e gli altri no? Mica sono scemi), pensano di poter ridisegnare i rapporti con i sindacati e i lavoratori usando lo strappo prodotto da Marchionne. Ma, se questa sarà la strada, se non ci sarà un tentativo responsabile di rimettere assieme i cocci e di ricomporre attorno al tavolo la plurale rappresentatività dei sindacati, compreso il maggior sindacato italiano, allora Marchionne e i suoi fans raccoglieranno ancora qualche agiografia sulla grande stampa, magari eviteranno qualche causa in tribunale ma saranno i responsabili di una stagione di conflitti e di tensioni sui luoghi di lavoro. Certo questo paese è strano: per una settimana tutti elogiano e invidiano il modello tedesco dove i lavoratori sono dentro i centri decisionali delle imprese, poi Marchionne e soci denunciano il contratto dei metalmeccanici per fare quello che vogliono e passare sopra tutto e tutti 07 settembre 2010
2010-09-07 Federmeccanica disdice il contratto nazionale metalmeccanici Il direttivo di Federmeccanica ha dato mandato al presidente Pierluigi Ceccardi di comunicare fin d'ora il recesso dal contratto nazionale siglato il 20 gennaio 2008. Il prossimo 15 settembre, ha spiegato Ceccardi, si terrà a Roma una riunione "ricognitiva e progettuale, solo con chi ha firmato l'accordo interconfederale del 15 aprile 2009 (non con la Fiom, ndr) per iniziare una trattativa, che è un film tutto da scrivere, vedremo poi cammin facendo". Quanto alla Fiom, secondo il numero uno di Federmeccanica, "non riconoscendo il rinnovo del contratto sottoscritto lo scorso 15 ottobre, non può partecipare al tavolo, ma il nostro auspicio è che si ravveda, riconosca quel contratto, che possa partecipare anche lei". Il consiglio direttivo di Federmeccanica ritiene "urgente una regolamentazione condivisa del sistema di rappresentanza, sulla cui necessità esiste generale consenso e disponibilità dichiarata dalle parti", ha continuato Ceccardi a seguito dell'incontro che si è tenuto oggi a Milano, spiegando che tale regolamentazione è prevista dall'accordo interconfederale del 15 aprile 2009, non sottoscritto dalla Cgil. Alla domanda se l'auspicio è che anche l'organizzazione guidata da Guglielmo Epifani possa sedersi al tavolo, Ceccardi ha replicato: "Assolutamente sì, l'auspicio è che le confederazioni attivino al più presto un tavolo per regolamentare la materia per via pattizia". Secondo il presidente di Federmeccanica "dobbiamo cambiare le relazioni sindacali, le aziende non sono più governabili se cinque persone che scioperano fanno chiudere uno stabilimento di 500, questa non è democrazia, è prevaricazione". Le reazioni "Per noi il contratto del 2008 era già decaduto dal punto di vista formale e sostanziale e quindi non si tratta di alcuna novità", ha commentato il numero uno della Fim Cisl, Farina. Il fatto che Federmeccanica abbia disdetto il contratto siglato nel 2008 "non cambia assolutamente nulla", fa sapere Rocco Palombella, segretario generale della Uilm. "Abbiamo il nostro contratto rinnovato un anno fa - ha aggiunto il sindacalista -. La decisione è ininfluente, non modifica nessun tipo di orientamento e di percorso per quanto riguarda la mia organizzazione". La Cgil è di diverso parere: "Una decisione grave e irresponsabile", ha detto il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. "È uno strappo - osserva - alle regole democratiche del nostro Paese, in quanto si pensa di concordare con sindacati minoritari la cancellazione del contratto nazionale impedendo ai lavoratori metalmeccanici di poter decidere sul loro contratto". Domani nella riunione del comitato centrale della Fiom "prenderemo tutte le decisioni più opportune", aggiunge Landini. "Le regole sulla rappresentanza andrebbero rispettate adesso perché c'è un contratto nazionale del 2008 firmato da tutti e approvato con referendum dai lavoratori metalmeccanici", afferma il segretario generale della Fiom commentando l'invito di Federmeccanica a regolamentare il sistema di rappresentanza. "Quel contratto - aggiunge - rimane in vigore, altri sono illegittimi e non sono mai stati sottoposti ad alcuna verifica democratica con i lavoratori direttamente interessati. La democrazia bisognerebbe praticarla sin da ora". Quanto all'incontro del 15 settembre, Landini spiega che "la Fiom non parteciperà a tavoli che cancellano il contratto nazionale. Non partecipiamo perchè non sono trattative ma semplicemente dettature della Fiat". 07 settembre 2010
Bersani: "Un errore" La decisione di Federmeccanica è "un errore, ci stiamo mettendo su una strada che non porta alla soluzione dei problemi". Ne è convinto Pier Lugi Bersani, che, intervenendo al convegno del Pd sulla settimana sociale dei cattolici, sottolinea che occorre "riconoscere la necessità di relazioni industriali nuove, ma impostarle dividendo lavoratori e organizzazioni dei lavoratori non va bene. Ttti - aggiunge il segretario del Pd - devono ragionare con la testa aperta", ma "la chiave utile è quella di chiedere una sponda alla normativa con una legislazione anche nuova e dall'altro mettere responsabilità nella dimensione aziendale con la garanzia di percorsi di partecipazione dei lavoratori". E aggiunge: "Mi spiace che si prenda questo abbrivio che credo che non porterà niente di buono". Per bersani bisogna evitare di considerare che c'è chi "è nell'ottocento e chi nel 2000. Siamo tutti nel 2000". Sul fronte legislativo, ad esempio, Bersani pensa che "se non c'è accordo tra le confederazioni deve intervenire la normativa" e deve dire la sua anche sui temi della "sicurezza, malattia, controllo della malattia e salario minimo di cui- chiude bersani- sarebbe ora di parlare". 07 settembre 2010
Vendola: "È un errore che non aiuterà la Fiat" "È un errore che non aiuterà le imprese, non aiuterà la Fiat e non aiuterà Marchionne". Così il governatore della Puglia, Nichi Vendola, commenta la disdetta comunicata da Federmeccanica del contratto nazionale siglato il 20 gennaio del 2008. "Marchionne - osserva Vendola - colloca in Italia una battaglia che ha sempre meno a che fare con obiettivi di competitività e produttività. Sembra una battaglia di ridefinizione degli assetti politici e culturali di questo Paese e questo è possibile perchè c'è un governo che invece di fare l'arbitro è sceso in campo e ha preso a calci negli stinchi i lavoratori". 07 settembre 2010
2010-08-29 Bagnasco sulla Fiat: "Seguire le parole di Napolitano" ''Da un parte l'auspicio che tutti facciamo e' che si risolva la vertenza Fiat nel modo migliore per tutti, dall'altra parte le parole che il Capo dello Stato ha detto mi pare siano proprio una linea di azione valida per tutti''. E' stato stamani a Genova l'invito dell'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, fatto a margine delle celebrazioni per il 520/mo anniversario dell'apparizione della Madonna della Guardia. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva esortato affinche' sui ''tre lavoratori licenziati poi reintegrati a Melfi si rispetti la decisione dei giudici''. Sulla vertenza Fiat e la disoccupazione crescente in Italia il cardinale Bagnasco ha lanciato un appello alla politica: ''Il lavoro e' fondamentale per costruirsi una famiglia. Ripeto: speriamo che attraverso un dialogo insistente e intelligente si possa arrivare a una soluzione definitiva ed equa per tutti''. ''Una nuova classe politica, cristiana nei fatti non nelle parole, e' un richiamo da sempre. Fa parte della fede di ogni credente essere in modo intelligente coerente con la propria fede e presente nelle diverse responsabilita' sociali, civili e politiche'', ha quindi aggiunto l'arcivescovo di Genova. 29 agosto 2010
2010-08-28 Marchionne: "Stop al conflitto operaio-padrone". Poi attacca Marchionne 1: comportamenti intollerabili. "È inammissibile tollerare e difendere alcuni comportamenti, come la mancanza di rispetto delle regole e gli illeciti che in qualche caso sono arrivati anche al sabotaggio": è uno dei passaggi dell'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne al meeting di Cl, riferendosi alla vicenda di Melfi e dei tre lavoratori reintegrati dal giudice del lavoro (Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli) ma ai quali l'azienda vuole vietare di lavorare. "Un sistema corretto di relazioni industriali - ha proseguito - deve garantire che gli accordi stipulati vengano effettivamente applicati. In democrazia funziona così, altrimenti è il caos. Rispettare un accordo è un principio sacrosanto di civiltà. Non credo sia onesto usare il diritto di pochi per piegare i diritti di molti" Preceduto, fuori, da un volantinaggio della federazione della sinistra emiliano-romagnala, la platea del meeting lo ha accolto con applausi. Quirinale: l'Italia apprezza gli sforzi. Lo dice in una nota il capo dello Stato di cui vi riferiamo in altra notizia. La nota. Il manager non aveva potuto evitare una risposta a Napolitano che aveva invitato l'azienda a rispettare le regole. Marchionne ha dichiarato di aver scritto una lettera al capo dello Stato spiegando le ragioni dell'azienda e di voler accogliere l'invito rivolto dal Colle. "Ho un grandissimo rispetto per lui come persona e per il suo ruolo di Presidente della Repubblica e accetto da lui anche l'invito a cercare di trovare una soluzione a questo problema". Marchionne 2: nuovo patto sociale. Più in generale l'ad del Lingotto ha proposto un nuovo "patto sociale": "Non siamo più negli anni Sessanta bisogna tralasciare l'idea della contrapposizione tra capitale e lavoro, tra operaio e padrone". Ha puntato il dito contro la "paura di cambiare" che c'è in Italia e ha detto di essere disposto a incontrare Epifani, che aveva proposto un incontro tra Cgil, Fiom e l'amministratore. "Sono totalmente aperto a parlare con Epifani, è una persona che rispetto e lo considero intellettualmente onesto". Ma premette: "Bisogna saltare sul treno prima che lasci la stazione e l'unica cosa che so della Cgil è che non hanno firmato l'accordo su Pomigliano, che è la prima fase di Fabbrica Italia", il progetto industriale del Lingotto per gli stabilimenti italiani. Barozzino, operaio di Melfi. Barozzino, uno dei tre lavoratori, all'ad risponde tramite agenzie: "Invito Marchionne a venire vedere realmente cosa succede negli stabilimenti in Italia, visto che gira tutti quegli in America. Se non ha paura della verità". E la Fiom non si tira indietro. "La sostanza del suo discorso - commenta Giorgio Cremaschi - è di puro stampo reazionario. Come un padrone delle ferriere dell'Ottocento, Marchionne ha spiegato che non ci deve essere conflitto tra padroni e operai, cioè che comandano solo i padroni, e che nella globalizzazione i diritti e la dignità del lavoro sono quelli che vengono definiti dal mercato". I tre operai ai cancelli. Anche oggi si sono presentati davanti ai cancelli all'inizio del turno delle 14, ma, come ieri, senza varcare i tornelli, Barozzino, Lamorte e Pignatelli: continueranno a sostare davanti alla fabbrica fino a quando non sarà ripristinata la loro "dignità di uomini e di lavoratori", ovvero fino a quando potranno tornare alla catena di montaggio. Da sinistra volantinaggio contro l'ad. Sul volantinaggio e il presidio che hanno accolto al Meeting Marchionne. I coordinatori regionali dell'Emilia Romagna Nando Mainardi (Prc) e Rita Lodi (Pdci) spiegano perché: "E' in corso nel paese un'offensiva brutale, e la Fiat ne è la testa d'ariete, che punta a distruggere i diritti dei lavoratori, la Costituzione e la democrazia; un'offensiva che se frega dello stato di diritto, come è avvenuto con i tre lavoratori di Melfi, di cui la Fiat non accetta il reintegro". La Cisl: sì a patto sociale. "La Cisl accetta la sfida lanciata da Marchionne per l`intero progetto Fabbrica Italia, riguardante un nuovo patto sociale tra sindacati-lavoratori e azienda, in cui si lascino alle spalle i vecchi schemi superati dai tempi e basati su un antagonismo secco tra impresa e lavoratori". Lo sostiene il segretario confederale della Cisl Luigi Sbarra, responsabile del Dipartimento industria. 26 agosto 2010
Tremonti: "Su austerity rileggere Berlinguer" Giulio Tremonti invita a rileggere gli scritti dell'ex segretario del Pci Enrico Berlinguer sulla austerity. "È utile rileggere - spiega al meeting di Cl - gli scritti del 1977 di Enrico Berlinguer sull'austerity. Si tratta di un ragionamento sulle responsabilità nelle politiche di bilancio che può costituire una base politica di riduzione per i prossimi anni in tutta la UE". "Siamo orgogliosi e convinti della politica che con il governo abbiamo fatto": lo dice il ministro dell'Economia Giulio Tremonti al meeting di Rimini. Rivolto alla platea di Cl, Tremonti ha detto: "Il presidente del Consiglio mi ha incaricato di salutarvi". Dopodiché ha manifestato orgoglio per quanto fatto dal governo: "Sulla sicurezza, e facciamo le nostre scuse alla malavita, sulla scuola, sull'università, sulla Pubblica amministrazione, sui cantieri aperti, sul contrasto alle emergenze e tra queste la crisi economica. In tutti questi temi abbiamo ragione di essere orgogliosi". Così come la crisi, "anche la ripresa si presenta con margini molti ampi di incertezza, di disomogeneità, di discontinuità". È quanto affermato il Ministro dell'Economia Giulio Tremonti, nel suo intervento al meeting di Comunione e Liberazione. D'altronde, secondo Tremonti, "con la globalizzazione siamo passati dall'età della certezza a quella dell'incertezza, dal G7 al G20". Insomma, per il ministro dell'Economia, in quest'economia globalizzata, anche la ripresa "è terra incognita per i grandi come per i piccoli, a occidente come ad oriente". La globalizzazione, secondo Tremonti, "è la causa della crisi con gli squilibri enormi che ha portato: pensare che la crisi sia dipendente da altro - ha sottolineato il titolare del dicastero di via XX Settembre - è inappropriato". "Per l'Europa - ha spiegato Tremonti - il gong della crisi ha segnato la fine del mondo coloniale: prima potevamo vendere le merci come volevamo, ma oggi non è così, adesso tutto è competitivo, tutto è piano, tutto è simmetrico". 25 agosto 2010
2010-08-25 Vertice d'emergenza del governo Berlusconi Sul Lago Maggiore, a villa Campari a Lesa, concluso il vertice tra Berlusconi e il ministro delle Riforme e leader della Lega Umberto Bossi per decidere le sorti del governo. Hanno partecipato anche Tremonti, Cota, Calderoli e Maroni. "Si va avanti così senza Casini e senza l'Udc per realizzare il programma" ha detto il leader della Lega, Umberto Bossi, lasciando villa Campari a Lesa, dove ha incontrato il presidente del Consiglio. A chi gli ha chiesto se ci saranno elezioni anticipate, Bossi ha replicato: "No, al momento non si fa niente". Dopo la rottura - definitiva - con i finiani Berlusconi intendeva far sopravvivere il governo fino al processo breve aprendo magari all'Udc e, chissà, all'Api di Rutelli. Ma la Lega resta contraria. Maroni lo ribadisce: nessuna apertura ad altre forze, senza maggioranza si va al voto. Sul tavolo ci sono i rapporti con l'Udc, eventuali elezioni anticipate, il documento programmatico in cinque punti che farà da cartina di tornasole sulle intenzioni dei finiani. Il presidente del Consiglio era atterrato in elicottero nella sua Villa Campari. Bossi è arrivato con la delegazione leghista. La villa acquistata dal premier nel 2008 è appartenuta a Cesare Correnti, patriota del Risorgimento e ministro del Regno d'Italia. Sul muro di cinta del parco, lo ricorda una lapide scolpita due anno dopo la sua morte: "A Cesare Correnti, raro e potente ingegno che il 4 ottobre del 1888 chiudeva in questa sua villa una vita tutta sacra alla patria". La targa è stata scolpita nel muro due anni dopo la morte di Correnti. Berlusconi ha inaugurato la residenza il 29 settembre del 2008 per il suo 72esimo compleanno e quello di Silvio junior, secondo figlio di Marina, nato lo stesso giorno del premier nonno. 25 agosto 2010
Pd: "Melfi, si ascolti Napolitano" BERSANI "È indispensabile non far cadere il senso profondo dell'appello del presidente Napolitano sul caso Fiat di Melfi; il richiamo cioè ad un confronto pacato e serio sull'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto del mercato globale. In questo richiamo c'è l'esigenza di un dialogo di cui Fiat e sindacati, senza esclusioni o posizioni pregiudiziali, devono trovare la chiave", dice il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani dopo l'appello venuto dal capo dello Stato sulla vicenda di Melfi. "Credo che la ricerca di una composizione del caso dei tre operai di Melfi che ricevono una retribuzione senza poter lavorare non possa attendere i mesi che inevitabilmente ci separano dalla decisione in sede giurisdizionale, che andrà comunque rispettata". "Avessimo un governo, potrebbe venirne in questo senso, e nelle forme giuste, un contributo. Nella nostra situazione e nella contingenza estrema che si è creata, credo debba venire adesso dall'azienda una parola di disponibilità e di buona volontà per la ricerca di una soluzione". MARCEGAGLIA La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, è "ottimista" sul fatto che l'accordo su Pomigliano possa essere recepito nell'ambito della nuova riforma del contratto nazionale che prevede deroghe. Lo ha detto al Meeting di Comunione e liberazione precisando che con "Federmeccanica abbiamo già fissato alcune date. Sono molto ottimista che si possa arrivare a questo accordo se non fosse possibile l'alternativa sarebbe un contratto ad hoc per il settore auto". La Marcegaglia ha spiegato che "ci siamo incontrati il 28 luglio con Marchionne e abbiamo deciso di andare avanti insieme e abbiamo detto che grazie alla riforma del contratto si possono fare delle deroghe al contratto nazionale per far applicare Pomigliano. Se possibile andremo avanti". Le scelte fatte da Fiat nei confronti dei tre operai licenziati e reintegrati dal Giudice del Lavoro "non sono in disaccordo con quanto deciso dal giudice", dice la leader degli industriali al meeting di Rimini. "Bisogna considerare e rispettare i diritti dei tre lavoratori", sottolinea, ma anche "quelli degli altri lavoratori che volevano lavorare durante uno sciopero, e i diritti dell'impresa". Per Emma Marcegaglia "il vero tema è un altro", è quello di poter garantire le condizioni necessarie per gli investimenti che Fiat vuole fare in Italia, e in particolare per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco al centro del confronto dopo l'accordo separato con i sindacati (non firmato dalla Fiom). "Parliamo di 20 miliardi" e di una azienda "che non fa delocalizzazioni ma, al contrario, decide di investire in Italia". Accordi così "devono essere rispettai e portati avanti". E questo sembra oggi "non possibile". Non si può "bloccare un carrello e bloccare così la produzione" se l'obiettivo degli accordi è aumentare la produttività e rendere così possibili gli investimenti. Per questo "bisogna cambiare radicalmente le relazioni industriali, non in un modo cinese come qualcuno dice, ma guardando ad esempi come la Germania". 25 agosto 2010
I tre operai di Fiat Melfi: "Grazie presidente" "Dopo tanto tempo per la prima volta ritorno a vivere. Grazie presidente". Giovanni Barozzino, uno dei tre operai dello stabilimento Fiat di Melfi (Potenza) licenziato e reintegrato dal giudice del lavoro di Potenza, ringrazia il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per aver risposto, "anche inaspettatamente per la velocità", alla lettera che gli era stata inviata ieri. "Non entreremo neanche oggi in fabbrica ma saremo qui ogni giorno, al turno delle ore 14: ci aspettiamo novità positive per domani": così Barozzino e Antonio Lamorte hanno risposto all'Ansa sulle loro intenzioni in vista del cambio turno. Non è ancora arrivato Marco Pignatelli, il terzo operaio licenziato dalla Fiat e reintegrato dal giudice del lavoro, l'unico dei tre ad essere solo tesserato Fiom, senza incarichi sindacali. La risposta di Napolitano. "Cari Barozzino, Lamorte e Pignatelli, ho letto con attenzione la lettera che avete voluto indirizzarmi e non posso che esprimere il mio profondo rammarico per la tensione creatasi alla FIAT SATA di Melfi in relazione ai licenziamenti che vi hanno colpito e, successivamente, alla mancata vostra reintegrazione nel posto di lavoro sulla base della decisione del Tribunale di Melfi". Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha così risposto ai tre lavoratori della Fiat Sata di Melfi che si erano rivolti a lui. "Anche per quest'ultimo sviluppo della vicenda - ricorda il capo dello stato - è chiamata a intervenire, su esplicita richiesta vostra e dei vostri legali, l'Autorità Giudiziaria: e ad essa non posso che rimettermi anch'io, proprio per rispetto di quelle regole dello Stato di diritto a cui voi vi richiamate". "Comprendo molto bene come consideriate lesivo della vostra dignità percepire la retribuzione senza lavorare - scrive ancora Napolitano -. Il mio vivissimo auspicio - che spero sia ascoltato anche dalla dirigenza della FIAT - è che questo grave episodio possa essere superato, nell'attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria, e in modo da creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell'attività della maggiore azienda manufatturiera italiana e dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale". 25 agosto 2010
2010-08-24 Tirrenia, governo convoca sindacati Dopo un lungo pressing dei sindacati, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Altero Matteoli ha convocato per il 6 settembre prossimo un tavolo di confronto sulla privatizzazione di Tirrenia. E ha inviato ai sindacati (Uiltrasporti, Orsa e Federmar Cisal) un invito a differire lo sciopero di 48 ore del 30 e 31 agosto. Ma la Uiltrasporti va avanti, confermando la protesta, disposta a violare anche la precettazione. E resta, così, a rischio il rientro a casa di 15-20mila passeggeri. Il ministro, ricordando che fino al 5 settembre fare scioperi è vietato dalla regola della franchigia estiva, ha spiegato che lo slittamento della riunione, che la Uiltrasporti aveva chiesto prima dello sciopero, è necessario perchè "qualche prospettiva si è aperta" e quindi vuole presentarsi all'incontro con "qualcosina in più" di concreto. In sostanza, con un quadro più chiaro e novità che potrebbe aver raccolto dall'amministratore straordinario di Tirrenia, Giancarlo D'Andrea, che deve occuparsi di trovare un acquirente. Ma, per il senatore dell'Italia dei Valori Stefano Pedica, il ministro "non ha soluzioni reali". In campo sono in due ad aver dichiarato interesse per il gruppo di navigazione. Mediterranea Holding, dopo essersi vista respingere da Fintecna (la finanziaria di Stato che ha il 100% di Tirrenia) la richiesta di slittamento dell'offerta agli inizi di agosto, torna alla carica con una proposta di acquisto di tutti gli asset di Tirrenia e della controllata siciliana Siremar, garantendo "il mantenimento dei livelli occupazionali e il rispetto rigoroso di tutti i servizi, in particolar modo di quelli che fruiscono delle sovvenzioni statali". La cordata guidata al 36% dalla regione Siciliana ha convocato per il 31 agosto l'assemblea dei soci per l'aumento di capitale. Su un altro fronte, il presidente di Moby, Vincenzo Onorato, che vuole acquistare solo Tirrenia (senza Siremar, dunque), nei prossimi giorni contatterà D'Andrea per avviare una trattativa. "Unica soluzione" possibile per Tirrenia, prospettata oggi dal sottosegretario allo Sviluppo economico Stefano Saglia, è una divisione in "good e bad company", come quella adottata per Alitalia, con la vendita delle sole parti buone. Ipotesi che fa temere al segretario nazionale Ugl trasporti Roberto Panella "decisioni già prese senza il coinvolgimento del sindacato", e ritenuta una soluzione da scongiurare dal capogruppo del Pd in commissione Trasporti alla Camera, Michele Meta. Matteoli ha detto di non saperne nulla e ha osservato che "se non si trova una soluzione per il 30 settembre", scadenza indicata dall'Unione europea per concludere la privatizzazione di Tirrenia e delle controllate regionali Siremar (Sicilia), Saremar (Sardegna), Toremar (Toscana) e Caremar (Campania), "dovremo prorogare le concessioni e trovare un accordo in Europa". 24 agosto 2010
Napolitano risponde ai tre operai Fiat Giorgio Napolitano esprime " vivissimo auspicio - che spero sia ascoltato anche dalla dirigenza della FIAT - che questo grave episodio possa essere superato, nell'attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria, e in modo da creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell'attività della maggiore azienda manufatturiera italiana e dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale". Il presidente della Repubblica risponde così all'appello dei tre lavoratori della Fiat di Melfi. 24 agosto 2010
Sul caso Fiat Melfi, scontro fra Camusso, Cgil, e Bonanni, Cisl Fa scattare scintille il caso Fiat Melfi, con i tre operai reintegrati dal giudice del lavoro ma costretti dall'azienda a non lavorare con successiva denuncia penale della Cgil. I lavoratori oggi si sono presentati alla fabbrica ma non sono entrati. Fanno appello a Napolitano: non siamo parassiti, siamo lavoratori con dignità. "Non è che c'è qualcuno che siccome investe ha diritto di violare le regole. Con una logica così si va all'infinito", sostiene il vicesegretario generale della Cgil, Susanna Camusso, riferendosi alla Fiat. "Chi non rispetta le regole è la Fiom", replica il numero uno della Cisl, Raffaele Bonanni. Ospiti della trasmissione Radio Anch'io, i due sindacalisti sono stati protagonisti di un botta e risposta che ha preso spunto dal reintegro dei tre operai di Melfi. La Fiat "non deve perdersi in rincorse deleterie per noi ma anche per l'azienda stessa e l'opinione pubblica, che deve avere al centro l'importanza di un investimento da 20 miliardi di euro in sei anni, con una delocalizzazione al rovescio", afferma Bonanni, sostenendo che ora il Lingotto "sta facendo il gioco della Fiom, sta spostando l'attenzione su un problema assolutamente residuale. Il fatto importante - ribadisce - è l'investimento. Il giudice gli ha dato ragione, applicasse la sentenza e non andasse dietro la Fiom che vuole questo: fa scioperi che non gli riescono, non rispetta la maggioranza dei sindacati, non rispetta niente. Ha bisogno di questi duelli per far vedere che esiste". Di qui la replica di Camusso che respinge le accuse rivolte all'organizzazione. "Non penso che siamo caduti in una trappola", afferma dicendosi "stupita" di come "un grande sindacato come la Cisl non capisca che se non si rispettano quelle forme basilari che stanno all'origine delle relazioni sindacali" non si può andare avanti. "Bisognerebbe dire alla Fiat che fa parte di un sistema, di un Paese che ha delle regole e che quelle regole vanno rispettate da tutti", aggiunge Camusso, evidenziando che la Cgil considera "importantissimo che la Fiat investa; noi l'abbiamo chiesto, rivendicato e sostenuto" Una lettera per dire al presidente della Pepubblica che vogliono tornare a sentirsi uomini, "non parassiti". I tre operai licenziati a luglio e poi reintegrati Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, sono tornati anche oggi davanti all'ingresso dello stabilimento. I tre operai ieri hanno detto no alla proposta dell'azienda di farli rientrare nello stabilimento relegandoli, però, in una saletta a fare esclusivamente attività sindacale, lontani 400 metri dall'area di produzione. Oggi non hanno provato a rientrare, mentre hanno scritto una lettera a Napolitano: "Non abbiamo fatto nulla", dice Barozzino, "chiediamo l'intervento delle istituzioni affinché ci venga restituita la nostra dignità di lavoratori e di cittadini". "Le sentenze vanno rispettate anche quando non ci fanno piacere". Il ministro Altero Matteoli commenta così il caso dei tre operai licenziati a Melfi, e reintegrati dal giudice del Lavoro. "Se il nostro è uno stato di diritto - ha detto il ministro al Meeting di Rimini - non lo può essere a fasi alterne. C'è una sentenza e va rispettata". 24 agosto 2010
2010-08-23 Fiat ai tre operai reintegrati: non potete lavorare Sono usciti dallo stabilimento Fiat di Melfi, per l'azienda potranno fare attività sindacale in una saletta ma non tornare al loro posto di lavoro i tre operai rientrati con una sentenza: hanno deciso di far uscire Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli i legali della Fiom, dopo che un avvocato e un ufficiale giudiziario sono entrati in fabbrica, dove hanno avuto conferma che l'azienda accetterebbe la loro presenza a patto che i tre occupino una saletta e svolgano solo attività sindacale, senza tornare al lavoro sulle linee di produzione. Una linea che vuole umiliare. Lina Grosso, legale della Fiom, intende presentare una denuncia penale alla Procura della Repubblica di Melfi (Potenza). "Quella della Fiat è una strategia autoritaria inaccettabile", attacca il segretario confederale del sindacato di Corso d'Italia, Vincenzo Scudiere. L'azienda viola "le più elementari regole democratiche", rincara il leader della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, La Fiat replica: nostri provvedimenti legittimi, abbiamo fiducia nei giudici. I tre operai licenziati dalla Fiat e reintegrati dal giudice del lavoro di Melfi hanno passato i tornelli che danno accesso alla stabilimento, ma sono stati immediatamente bloccati dai vigilantes che li hanno portati in un ufficio. Il turno di lavoro dovrebbe cominciare alle 14. L'entrata dei tre operai, due dei quali delegati Fiom, è stata salutata con un applauso dei lavoratori. Al momento non è dato sapere se potranno tornare alla catena di montaggio. L'azienda, infatti, ha invitato i tre lavoratori a restare a casa fino al 6 ottobre, giorno in cui è fissata l'udienza di appello. Contro l'azione della Fiat la Fiom-Cgil ha proclamato uno sciopero dalle 14 alle 16 nell'azienda di Melfi. L'astensione dal lavoro riguarda il secondo e terzo turno. Davanti ai cancelli dello stabilimento sono presenti anche il coordinatore nazionale del settore auto della Fiom-Cgil, Enzo Masini, e il segretario della Fiom Basilicata, Emanuele De Nicola. "Spero di riuscire ad entrare perché voglio andare a lavorare". Marco Pignatelli, intervistato dalle tv, è il terzo dei tre operai dello stabilimento della Fiat di Melfi che il giudice del lavoro ha reintegrato con un decreto, condannando l'azienda piemontese per comportamento antisindacale per il licenziamento di luglio. La Fiat ha già fatto sapere agli stessi operai di volerli tenere a casa pur essendo disposta a stipendiarli, fino al 6 ottobre data dell'udienza per il ricorso presentato dalla stessa Fiat. "Da quello che la Fiat ci ha scritto penso che non ce la faremo - dice Barozzino - se sarà così, vedremo di muoverci con denunce. C'è la disposizione di un giudice che dice che siamo reintegrati. Noi non abbiamo fatto niente. Cosa ci aspettiamo? Il 6 ottobre c'è la prima udienza del loro ricorso, spero che andrà bene". Fuori dallo stabilimento ci sono tre volanti dei carabinieri e due della polizia mentre sono in allerta i vigilanti dello stabilimento, oltre ad una telecamera allestita in un gabbiotto per riprendere eventuali incidenti. L'avvocato Lina Grosso farà denuncia penale per la mancata esecuzione della sentenza di reintegro. Il legale della Fiom ha detto ai giornalisti anche chiederà al giudice del lavoro che ha riammesso i tre operai di "stabilire con esattezza le modalità del loro reintegro. È inaccettabile la posizione della Fiat, che vuole relegare i tre operai in una saletta sindacale, mentre il giudice li ha reintegrati nel loro posto di lavoro. In questo modo non si esegue la sentenza". Per la Sata S.p.A. "non avvalersi della sola prestazione di attività lavorativa dei tre interessati, che costituisce prassi consolidata nelle cause di lavoro e che ha l'obiettivo di evitare ulteriori occasioni di lite tra le parti in causa, trova ampia e giustificata motivazione nei comportamenti contestati che si riflettono negativamente sul rapporto fiduciario fra azienda e lavoratori".
23 agosto 2010
Un paese al contrario di Felicia Masoccotutti gli articoli dell'autore "Ci presenteremo al lavoro, lo hanno ordinato i giudici. Io alle 13.30 mi recherò allo stabilimento di Melfi insieme ai miei due compagni. Se per l’azienda un decreto è carta straccia, se ne assume la responsabilità". Giovanni Barozzino, uno dei tre operai licenziati dalla Fiat a Melfi oggi sarà ai cancelli, alla ripresa del secondo turno, quello delle 14 il suo, dopo lo stop per ferie dello stabilimento. Lui è stato fermo perché colpito da una sanzione che il giudice ha però definito illegittima. Lo ha reintegrato, insieme ai due compagni, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli. Ma la Fiat non vuole la sua "prestazione", glielo ha comunicato con un telegramma. Li pagherà, saranno a libro paga fino al 6 ottobre, ma devono restare casa. Uno schiaffo, a cui nessuno - non la Fiom che si è opposta ai licenziamenti, né i lavoratori - intendono prestare l’altra guancia. Così oggi ai cancelli dello stabilimento nella piana di Melfi ci saranno anche polizia e carabinieri "nel caso non ci dovessero far entrare", continua Barozzino. Le forze dell’ordine non hanno un atto ingiuntivo, non possono cioè costringere i vigilantes di Fiat a far entrare i lavoratori. Ma verbalizzeranno ogni cosa e la loro testimonianza servirà in caso di un eventuale processo contro il Lingotto. Penale, questa volta, ex articolo 650 del codice, quello che reprime la mancata osservanza di un provvdimento giudiziario. È la Fiom a ventilare l’ipotesi. Il sindacato, a cui appartengono i tre lavoratori, due sono delegati, ha infatti diffidato formalmente la Fiat a rispettare il decreto che il giudice del lavoro ha emanato il 9 agosto giudicando illegittimi i licenziamenti e rilevando "l’antisindacalità" della condotta aziendale. "È nella nostre facoltà - è la replica della Fiat - L’ordinanza viene ottemperata con il reintegro nelle funzioni e con il relativo trattamento economico. Ma l’azienda può dispensare i dipendenti dal prestare lavoro". È una "prassi consueta", si aggiunge. Non quando c’è una condotta antisindacale di mezzo, spiegano dalla Fiom. È ormai un braccio di ferro. Ai cancelli, quindi. "Noi non siamo parassiti, vogliamo il nostro posto di lavoro. Cosa significa vi paghiamo lo stipendio?", ha chiesto Barozzino a nome dei tre. Li "accompagnerà" un presidio organizzato dalla Fiom a cavallo dei due turni. Anche per "informare i lavoratori", ha spiegato Emanuele Di Nicola, segretario della Fiom lucana: "Marchionne non può pensare che le leggi dello Stato siano rispettate solo per fare profitto, ma devono essere rispettate anche quando di mezzo ci sono i lavoratori". I sindacatiA respingere la scelta del Lingotto non è solo la Fiom, anche le altre organizzazioni sindacali - Fim, Uilm e Ugl - si schierano contro la decisione di Torino. E sia pure con i distinguo di sempre, almeno su questo si ritrovano d’accordo: il decreto "va rispettato". Anche il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, si rivolge alla Fiat: "Si attenga al verdetto dei giudici" se non altro- aggiunge - per non essere "l’altra faccia della Fiom, di rincorrere le sue provocazioni", a scapito del progetto Fabbrica Italia. "L’azienda sbaglia a non garantirne il rientro", sostiene il numero uno della Fim, Giuseppe Farina. E rende il clima delle relazioni industriali sempre più "pesante", avverte il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, dicendo no ad "atti di imperio". Un "no" condiviso dalle forze dell’opposizione, Pd, Idv e Pdci e Federazione della sinistra non hanno dubbi: no alle prepotenze, si reintegrino i lavoratori come disposto dal giudice. "Il comportamento Fiat chiama in causa tutto il sindacato, non solo La Fiom - chiosa la leader dello Spi-Cgil, Carla Cantone - Lo Spi rappresenta una generazione che ha conquistato i diritti che la Fiat calpesta. Anche per questo siamo indignati e a fianco della Fiom. Non si può accettare che Costituzione, Statuto dei lavoratori, diritti e dignità, siano così sfacciatamente calpestati". Intanto, a metà settembre Fim, Uilm e Federmeccanica metteranno a punto le deroghe al contratto da applicare in Fiat. 23 agosto 2010
2010-08-19
Cnr, dopo anni di lavoro e ricerca c'è solo il precariato. Per statuto di Luciana Ciminotutti gli articoli dell'autore Il capitale della conoscenza senza un futuro. Precari per tutta la vita. Succede al Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) dopo l’approvazione del nuovo statuto che riguarda il destino professionale di quasi 4mila ricercatori. Dopo anni di apprendistato e contributi di sapere dati al principale organismo di ricerca pubblico nazionale e al Paese, una moltitudine di figure professionali che ruota intorno alla scienza italiana si ritrova alla porta senza alcuna possibilità di un contratto a tempo indeterminato. Il contestatissimo articolo 4 del nuovo statuto prevede che i vari contratti non standard (leggi precari) non possano superare in nessun caso i 10 anni nelle loro svariate forme: assegno di ricerca, borsa di studio, co.co.co. "Dopo sei fuori dall’ente, anche se sei un ricercatore valido e non di rado eccellente", spiega Mariangela Spera, ricercatrice precaria all’Istc (Scienze e tecnologie della cognizione). E dire che dopo le proteste delle settimane scorse di ricercatori e sindacati, la norma è stata modificata e gli anni di precariato sono passati da 6 a 10. Altro cambiamento ottenuto con la mobilitazione, il conteggio del precariato entrerà in vigore con lo statuto, dunque non sarà retroattivo. Per Marinella Vicaretti, 36 anni, tecnologa al ministero dell’Ambiente, non è una vittoria: "Mi occupo di inquinamento atmosferico e sono precaria dal 2002, ora so che avrò altri 10 anni di precariato davanti e senza uno sbocco, mi dite che logica ha stare parcheggiati 20 anni in un ente?". "Noi – continua Vicaretti – avevamo chiesto lo stralcio di queste norme. Dunque no, non siamo soddisfatti". "Una cosa - aggiunge Spera - sarebbe stata progettare un limite alla precarietà in virtù di concorsi per il tempo indeterminato da fare in futuro, e una cosa è limitare la vita delle persone e dello stesso Cnr che con il continuo turn over vedrà sicuramente diminuire la qualità della ricerca". Molto discussa è anche la norma che mette un rigido e invalicabile tetto di spesa per il personale. "Vogliono ridurre la pianta organica - dice ancora Spera - ma c’è a monte un progetto di svilimento della ricerca. Noi campiamo soprattutto sui progetti europei, siamo noi ricercatori a procacciare risorse al Cnr. D’ora in poi avendo meno persone e meno formate si vinceranno meno progetti europei e quindi arriveranno meno soldi nelle casse del Consiglio. E vogliono vendere questo statuto come un risparmio di risorse… Ci domandiamo come mai sia stato votato quasi dall’unanimità, persino dal presidente, quando è evidente che queste norme mortificano lo spirito e la natura dell’ente". "I cambiamenti sono stati solo di facciata". Rosa Ruscitti, di Flc-Cgil, è lapidaria. "Noi chiedevamo di regolamentare il precariato per aiutare i giovani che si avvicinano alla ricerca. Invece ora non c’è modo di essere assunto a tempo indeterminato". Per questo le proteste non si fermeranno. Ora la questione è in mano alla Gelmini, che ha 60 giorni per convalidare lo statuto. "Cgil, Cisl e Uil scriveranno al ministro per chiedere ulteriori modifiche", conclude Ruscitti dando appuntamento a settembre sotto al Miur. "Il problema -ammette Vicaretti– è costruire forme di protesta visibili, se sciopera la ricerca per 3 giorni a chi interessa?". 18 agosto 2010
2010-08-04 Accordo sugli esuberi Telecom Saranno 3.900 tutti volontari Accordo fatto sugli esuberi Telecom. Al termine di una maratona negoziale durata oltre venti ore, governo, azienda e sindacati (Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil e Ugl) hanno trovato la quadra e raggiunto un'intesa che prevede 3.900 uscite, tutte volontarie, contro gli oltre 6.800 esuberi previsti dal piano triennale. La vicenda, che era cominciata sotto i peggiori auspici a metà luglio con l'avvio delle procedure di licenziamento per 3.700 dipendenti, si conclude dunque in modo positivo e con la soddisfazione di tutte le parti in causa. Nessuno, infatti, verrà licenziato unilateralmente, così come sembrava all'inizio. I 3.900 che verranno invitati a lasciare l'azienda da qui alla fine del 2012 lo faranno solo su base volontaria: di questi, 3.700 sono 'nuovì esuberi, mentre 200 sono "rimanenze" del triennio 2008-2010. L'accordo prevede poi una sorta di rete d'emergenza per i lavoratori meno tutelati, fatta di corsi di formazione per la ricollocazione professionale all'interno dell'azienda e di contratti di solidarietà: ne beneficeranno 1.100 lavoratori non coperti da ammortizzatori sociali, 450 dipendenti della controllata Ssc e 470 addetti del servizio di informazioni abbonati 1254, che si trovano già in queste condizioni e che usufruiranno di un rinnovo di due anni. È infine prevista la possibilità di riallocare i 40 lavoratori ex Tils nel gruppo. Nell'arco del triennio, inoltre, Telecom si impegna a non effettuare societarizzazioni o esternalizzazioni per le attività di Customer Operations, e nemmeno l'esternalizzazione di attività informatiche o di staff, comprese HR Services e SSC (cioè per il settore delle risorse umane e dell'informatica). "L'accordo è un segnale di maturità da tutte le parti: sindacato, azienda e governo", ha commentato il viceministro alle Comunicazioni, Paolo Romani, che con Maurizio Sacconi era sceso in campo con la convocazione del tavolo all'indomani dell'invio delle prime lettere di licenziamento. In una fase in cui non si contano gli accordi separati, quello su Telecom vede invece la firma di tutte le sigle. E proprio la forza dell'unità sembra essere stato l'elemento vincente: secondo la Cgil, infatti, "la forte tenuta unitaria del sindacato è stata fondamentale per il risultato raggiunto", mentre la Cisl parla di "grande conquista del sindacato". A giudizio della Uil l'intesa segna il ritorno a un "buon sistema di relazioni industriali" e l'Ugl parla di "accordo che rimette al centro il lavoratore". Per l'azienda, infine, l'ad Franco Bernabè ha dichiarato che "la firma di questo accordo, che realizza interamente i nostri obiettivi di efficienza previsti nel Piano, garantisce il rispetto e la tutela dei lavoratori". 04 agosto 2010
2010-07-29 Fiat, la Newco fuori da Confindustria. Disdetti accordi su permessi sindacali Via libera a 'Fabbrica Italia Pomigliano', la newco registrata dalla Fiat il 19 luglio alla Camera di commercio di Torino. Il Lingotto ha comunicato ai sindacati firmatari dell'accordo per lo stabilimento di Pomigliano che da fine settembre i lavoratori saranno riassunti dalla nuova società. È quanto riferiscono i sindacati di categoria al termine dell'incontro che si è svolto all'Unione industriali di Torino. 'Fabbrica Italia Pomiglianò, controllata da Fiat Partecipazioni che non fa parte di Confindustria. Nella newco confluiranno anche i circa mille lavoratori della Ergom, azienda dell'indotto Fiat. Il segretario generale Fismic, Roberto Di Maulo. "Sono partiti tutti gli ordini degli investimenti - ha spiegato Di Maulo e ad agosto si procederà a ripulire l'area che dovrà ospitare la nuova lastratura per la Panda". Inoltre già da fine settembre la newco potrà riassumere il personale da Fiat Auto. Non ci saranno licenziamenti - ha aggiunto Di Maulo a questo proposito - il personale passerà da Fga alla newco". "Abbiamo richiesto - ha detto ancora - che prima che parta il nuovo investimento si definisca in maniera conclusiva la regolamentazione del nuovo rapporto di lavoro collettivo". La casa automobilistica torinese ha comunque dato formale disdetta degli accordi sul monte ore di permessi sindacali. La decisione avrà effetti a partire dalla fine del 2010. 29 luglio 2010
Epifani: "Operazione pericolosa contro Confindustria e contro il sindacato" di Rinaldo Gianolatutti gli articoli dell'autore Nessun passo avanti, nessuna apertura. Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, è molto deluso dall'incontro con Sergio Marchionne: "Ha ribadito le sue posizioni, al limite del ricatto. Se non fate quello che dico io me ne vado altrove perché la Fiat è un gruppo mondiale e posso scegliere dove fabbricare. Non ci sono cambiamenti nel suo diktat, né oggi, bisogna sottolinearlo, ci sono certezze sui volumi produttivi e sugli investimenti del gruppo in Italia. Resta tutto avvolto nell'incertezza ma la strada scelta dal Lingotto non conviene a nessuno, nemmeno all'azienda". Epifani, la Cgil non condivide il piano Marchionne e così i nuovi modelli vengono spostati in Serbia. "Non è così. Lo stesso Marchionne ha detto che il trasferimento in Serbia è stato deciso per una questione di tempi, perché Mirafiori non sarebbe stata pronta. La verità è che Marchionne continua a promettere investimenti che restano confusi, chiede una nuova organizzazione del lavoro, nuovi ritmi, deroghe alle leggi e al contratto nazionale ma poi non c'è la certezza di cosa produrranno le fabbriche italiane. L'incontro è stato deludente, non capisco l'ottimismo del governo, di Cisl e Uil. Il futuro degli stabilimenti italiani oggi è in dubbio. Né il governo né la Regione Piemonte sono riusciti a convincere Marchionne a fare un passo in avanti". Fabbrica Italia, dice Marchionne, è un progetto aziendale, non un piano condiviso. Quindi: ci state o no? "Se Fabbrica Italia è una proposta aziendale perché non farla diventare un progetto condiviso dai lavoratori, dai sindacati, dalle istituzioni, perché non renderla più forte con il consenso e la partecipazione di tutti? Ci sono le condizioni, se la Fiat vuole, di riaprire il negoziato e trovare un accordo ampio, su produzioni, organizzazione del lavoro, saturazione degli impianti. L'obiettivo principale della Cgil e della Fiom è di mantenere e di rafforzare l'industria dell'auto in Italia, di consentire alla Fiat di realizzare in sicurezza i suoi investimenti, di rendere più efficienti le fabbriche, di garantire i posti di lavoro. Noi ci stiamo e siamo disposti a dare il nostro importante contributo, nel rispetto della Costituzione, delle leggi dello Stato, dei contratti". Ma Marchionne non ne vuole sapere di contratti e di tutto il resto. La Cgil si ostina su questi argomenti mentre Marchionne vuole uscire da Federmeccanica e denunciare il contratto nazionale di lavoro. Lui è già nel futuro, è "inarrivabile" come dice il Corriere della Sera... "Marchionne sta compiendo un'operazione molto pericolosa che danneggia l'intero sistema delle relazione industriali. Uscire da Federmeccanica e derogare dal contratto vuol dire, prima di tutto, dare uno schiaffo alla Confindustria e alla signora Marcegaglia. Se la Confindustria non è in grado di far rispettare gli accordi ai suoi associati quale credibilità potrà avere con le controparti? Marchionne vuole davvero passare sopra tutto, distruggere anni di storia di relazioni industriali, vuole farla finita con i corpi intermedi di rappresentanza? È un rischio molto grave, soprattutto in un paese colpito da una crisi profonda, dove la tenuta del tessuto sociale è in forte pericolo". Forse Marchionne, alla pari di Berlusconi, si accontenta di tenere la Cgil fuori dalla porta. Non le pare? "Non voglio pensare che un gruppo importante come la Fiat possa ricercare la sistematica esclusione del più grande sindacato italiano. Sarebbe un gravissimo errore, perché fabbriche con migliaia di dipendenti e produzioni molto complesse non si governano trasformandole in caserme. La Cgil e la Fiom restano in campo con la piena disponibilità a negoziare e a trovare un accordo nell'interesse di tutti. Se, invece, la Fiat sceglierà un'altra strada ne prenderemo atto". Il sindaco Chiamparino ha detto che il sindacato, e si riferiva alla Cgil e alla Fiom, non è stato all'altezza della sfida Fiat, che Mirafiori non può pagare per Pomigliano... "Il giudizio di Chiamparino è sbagliato. Che cosa vuol dire, che cosa c'entra Pomigliano con Mirafiori? Il sindaco non ha capito che, comunque, la produzione di Torino sarebbe stata trasferita in Serbia, come ha detto lo stesso Marchionne? E poi bisogna chiarire una volta per tutte: se la politica, anche la sinistra, ritiene che un sindacato moderno sia quello che accoglie tutte le richieste delle imprese a partire dalla Fiat senza fare obiezioni, allora è bene ribadire che questo non è il modello di sindacato che appartiene alla Cgil. Forse il sindaco di Torino ritiene che la Cgil e la Fiom non siano abbastanza responsabili davanti a una sfida come quella della Fiat? Bene, invito lui e la Fiat a metterci alla prova". La verità, comunque, è che di fronte a Fabbrica Italia la capacità di analisi e di risposta del sindacato e della politica, in particolare delle forze progressiste, sono state insufficienti, è stato impiegato un armamentario vecchio mentre Marchionne fa la parte del modernizzatore in maglioncino. "Non c'è dubbio che ci siano difficoltà perché l'operazione Fabbrica Italia è ambiziosa e impegnativa per tutti. Ma vorrei aggiungere che la difficoltà più grande è quella di trovarsi di fronte non a disegno industriale, condivisibile o meno, ma a una filosofia del ricatto che ispira le trattative, o meglio: le comunicazioni ai sindacati, e sostanzialmente si basa su un solo principio". Quale sarebbe questo principio? "L'azienda è al centro di tutto, vado a produrre dove mi conviene e tutto il resto non conta. Vado dove gli operai costano meno e posso sfruttarli di più, dove i governi mi danno soldi e non mi fanno pagare le tasse. Marchionne, forse, è un po' troppo americano, per questo rischia di compiere gravi errori". Se questo è il principio che ispira Marchionne, allora la Fiat in Italia durerà poco? Che idea si è fatto della strategia di Marchionne, dove sta andando? "Il suo primo, principale fronte è l'America. Non ci sono dubbi. Deve riportare in Borsa la Chrysler, rimborsare il maxi-prestito e cercare di sfruttare la congiuntura positiva del mercato. Poi nel medio termine è possibile la fusione tra Fiat e Chrysler, speriamo che ci sia ancora spazio per l'Italia e per l'Europa. Per questo è importante oggi difendere e sviluppare una forte industria dell'auto in Italia". Non teme che la linea dura di Marchionne possa far presa su altre imprese che affrontano pesanti ristrutturazioni? "Penso che le imprese italiane non seguiranno questa strada che porterebbe dritti dritti alla balcanizzazione delle relazioni industriali dove comanda il più forte. Mi chiedo e chiedo alle aziende intelligenti: conviene buttare a mare un grande patrimonio di relazioni industriali per colpire momentaneamente lavoratori e sindacati, per fare la faccia dura? No, non credo che seguiranno Marchionne perché già oggi nel nostro paese grandi imprese italiane e multinazionali nella chimica, nel tessile, nell'industria degli occhiali, si accordano con il sindacato per ristrutturare le attività produttive al fine di restare in Italia e difendere l'occupazione". Cosa succede adesso? "Attendiamo di conoscere le scelte ufficiali di Marchionne, se esce da Confindustria, se denuncia il contratto, come e se manterrà gli impegni per le fabbriche Fiat in Italia. La Cgil e la Fiom sono pronte a riprendere il confronto per garantire all'azienda di raggiungere gli obiettivi ambiziosi che si è data. Se il governo non si limitasse, come ho detto, a fare il notaio ma mettesse in campo qualche idea di politica industriale darebbe un bel contributo. D'altra parte ricordo che tutta la partita Fiat iniziò a Palazzo Chigi, lì dovrebbe tornare". 29 luglio 2010
2010-07-28 La newco per Pomigliano c'è Oggi il tavolo con il governo "Ci sono solo due parole che al punto in cui siamo richiedono di essere pronunciate una è sì, l'altra è no". Così l'Ad Fiat Sergio Marchionne al tavolo tra governo, azienda, sindacati ed enti localisulle prospettive del gruppo. "Sì vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana, no vuol dire lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui ad essere inefficiente e inadeguato a produrre utile e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro". "VOGLIAMO UN Sì O UN NO" "Si vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana - ha proseguito - per darle la possibilità di competere. Non vuol dire lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui ad essere inefficiente e inadeguato a produrre utili e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro". Marchionne ha poi precisato: "Se in Italia non è possibile contare sul fatto che chi assume un impegno lo porta avanti fino in fondo - con coerenza e con senso di responsabilità - dovremo andare altrove. Non ci sono alternative. Chi interpreta questa come una minaccia non ha la minima idea di che cosa significhi competere sul mercato. Siamo disposti - ha aggiunto - a farci carico di tutti gli investimenti necessari e ad assumerci il rischio di impresa che è collegato a un progetto così ambizioso. Non siamo disposti - ha concluso - a mettere a rischio la sopravvivenza dell'azienda. Anche questo va considerato nel momento in cui si sceglie se dire sì o no a Fabbrica Italia". FUORI DA CONFINDUSTRIA La Fiat potrebbe lasciare Confindustria e disdettare il contratto di lavoro dei metalmeccanici, però solo alla sua scadenza fissata al 2012. Lo ha annunciato l'amministratore delegato Sergio Marchionne nel corso dell'incontro a Torino con i rappresentanti di Governo, enti locali e sindacati sottolineando che, tuttavia, l'argomento sarà affrontato a partire da domani nella riunione con le categorie dei metalmeccanici. "Si parla molto della possibilità che Fiat decida la disdetta dalla Confindustria e - ha detto - quindi dal contratto dei metalmeccanici alla sua scadenza. Sono tutte strade praticabili, di cui si discuterà domani al nuovo tavolo convocato con il sindacato nazionale". Marchionne ha aggiunto che "se è necessario siamo disposti anche a seguire queste strade ma - ha concluso - non è questa la sede per entrare nei dettagli". Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, chiede alla Fiat di confermare tutti i numeri contenuti nel piano industriale e di garantire il pieno utilizzo di tutti i siti italiani. "Fabbrica Italia è un progetto importante - ha detto Sacconi secondo quanto riferiscono fonti presenti all'incontro a Torino - i numeri contenuti devono essere riconfermati. È giusto che Fiat faccia gli investimenti, garantendo il pieno utilizzo degli impianti". CHIAMPARINO Il piano industriale "sarebbe insostenibile se dovesse venire meno Mirafiori dal punto di vista sociale ed economico". È quanto sostenuto dal sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, secondo quanto si apprende, intervenendo al tavolo tra azienda, governo, sindacati ed enti locali, in corso presso la sede della regione Piemonte a Torino. 28 luglio 2010
Epifani: "Riaprire confronto con Fiom" Sullo stabilimento di Pomigliano "la cosa migliore è riaprire un confronto con la Fiom". Ne è convinto il leader della Cgil Guglielmo Epifani arrivato a Torino per il tavolo tra Governo, Fiat, sindacati ed enti locali. "La cosa migliore prima di avventurarci su strade che non si sa dove possano portare è andare al confronto con la Fiom e lavorare per trovare una mediazione", ha detto Epifani. 28 luglio 2010
2010-07-27 Fiat, nasce la Newco per la fabbrica di Pomigliano Nasce Fabbrica Italia Pomigliano, società iscritta al registro delle Imprese della Camera di Commercio di Torino e controllata al 100% da Fiat Partecipazioni. La società ha sede legale a Torino ed il capitale sociale è di 50mila euro. Sergio Marchionne è presidente della società Fabbrica Italia Pomigliano Spa, sarà affiancato in Consiglio da Alessandro Baldi, Camillo Rossotto e Roberto Russo. La nuova società risulta essere stata iscritta al Registro delle Imprese della Camera di Commercio di Torino il 19 luglio scorso. L'oggetto sociale della newco è "l'attività di produzione, assemblaggio e vendita di autoveicoli e loro parti. A tal fine può costruire, acquistare, vendere, prendere e dare in affitto o in locazione finanziaria, trasformare e gestire stabilimenti, immobili e aziende". Inoltre la società "può compiere le operazioni commerciali, industriali, immobiliari e finanziarie, queste ultime non nei confronti del pubblico, necessarie o utili per il conseguimento dell'oggetto sociale, ivi comprese l'assunzione e la dismissione di partecipazioni ed interessenze in enti o società, anche intervenendo alla loro costituzione". La nascita di Fabbrica Italia Pomigliano è un passo preliminare per la costituzione di una nuova società, una new company in cui riassumere, con un nuovo contratto, i 5.000 lavoratori attuali della fabbrica campana. Si tratta del progetto Futura Panda a Pomigliano, per il quale la Fiat ha raggiunto un accordo con i sindacati il 15 giugno, non firmato dalla Fiom. 27 luglio 2010
2010-07-25 Bonanni: "Marchionne non può giocare allo sfascio" di Luigina Venturellitutti gli articoli dell'autore L’unico segno visibile di disappunto, forse di delusione, mostrato dal leader Cisl sta in quel generico "amministratore delegato". Raffaele Bonanni non nomina mai per nome Sergio Marchionne, il manager a cui ha creduto per il rilancio di Pomigliano, e che ora toglie a Mirafiori la produzione della nuova monovolume. Ma quando parla si mostra fiducioso, al ridimensionamento del cuore industriale del Lingotto dice di non credere. Segretario, si aspettava o temeva una simile decisione della Fiat? "Ho trovato singolare che l’amministratore delegato l’abbia annunciata a mezzo stampa, soprattutto in un momento di grande confusione come questo. Nel metodo, mi sarei aspettato più sobrietà". E nel merito? "Io non credo al ridimensionamento di Mirafiori. La Fiat è liberissima di portare la produzione della prossima monovolume in Serbia, a me può anche non importare, se sceglie lo stabilimento torinese per una produzione equivalente o addirittura più prestigiosa". Per ora un’alternativa non c’è. "Ed è questa l’unica cosa che andremo a chiedere al tavolo di mercoledì prossimo: la Fiat mantiene l’obiettivo di raggiungere in Italia la cifra di un milione e 400mila veicoli prodotti dagli attuali 600mila? In tal caso, quali sono questi veicoli e dove verranno realizzati?". Al tavolo ci sarà anche il governo, che però non ha nulla da offrire, nemmeno un ministro dello Sviluppo economico quale interlocutore. Si è parlato anche di lei quale successore di Scajola. "Che uno dei principali paesi industriali europei sia senza un ministro dello Sviluppo economico durante una crisi come quella attuale, è un fatto grave che si commenta da sé. Ma nessuno mi ha mai proposto di ricoprire la carica, né io ho alcuna intenzione di accettarla, visto che ho promesso alla Cisl che sarei rimasto fino all’ultimo giorno del mio mandato". Intanto, però, l’inerzia dell’esecutivo sulla vicenda Fiat si fa sentire. "Il primo danno di questa assenza di direzione è stata proprio la chiusura di Termini Imerese. Ancora aspettiamo le altre proposte per quel sito". Sta sempre in piedi il famoso progetto Fabbrica Italia? "Stiamo parlando di investimenti per 20 miliardi di euro da effettuare nei prossimi sei anni, che stabilizzeranno l’occupazione per almeno una ventina. Fino a qualche mese fa, queste erano le preoccupazioni degli interessati alla confusione: si sposterà negli Stati Uniti, si sposterà in Brasile, si sposterà in Polonia. Ma niente di tutto ciò è avvenuto". Si riferisce alla Fiom e alla vicenda Pomigliano? "Certo. Noi ci siamo presi le nostre responsabilità perché abbiamo bisogno di quell’investimento, anche come indicazione agli altri investitori nazionali e internazionali, magari intenzionati a lasciare il Paese. Senza investimento non c’è lavoro e senza lavoro non ci sono diritti. Mi viene in mente la vicenda Alitalia. Anche allora noi della Cisl ci prendemmo le nostre responsabilità per far nascere la nuova società, e proprio qualche giorno fa Air France ha annunciato 4mila licenziamenti". Ma lei si fida ancora di un’azienda che su Pomigliano ha preteso ed ottenuto molto, ma poi ha deciso di andarsene in Serbia? "L’amministratore delegato della Fiat non può prestarsi al gioco dello sfascismo". Si riferisce sempre alla Fiom? "Sì. Se venisse ridimensionato lo stabilimento di Mirafiori, non si capirebbe la logica Fiat, che presterebbe il fianco a chi gioca per far fallire gli investimenti sulla pelle dei lavoratori. Perché io non giudico altrimenti la Fiom, che ha fatto una discussione incomprensibile su Pomigliano e non so quali diritti costituzionali". Veramente si trattava del diritto di sciopero. "Nell’accordo non c’è alcun divieto di sciopero. Si dice solo di non favorire lo sciopero in determinate circostanze, durante gli straordinari nel diciottesimo turno, per consentire all’azienda di completare le proprie commesse". Ma lei crede davvero a quanto ha detto Marchionne? Che porterà la monovolume in Serbia a causa del comportamento di un sindacato sgradito, "poco serio" per la precisione, a Pomigliano? Questo preferisco sentirmelo dire mercoledì dall’azienda stessa. Nel gioco del caleidoscopio dei media, una virgola può diventare un poema. Ma dovesse ripetere una simile spiegazione, sarei preoccupato. Sarebbe una spiegazione senza fondamento, perché altre forze serie e maggioritarie si sono prese la responsabilità di quell’accordo". Per Pomigliano si parla anche di una "newco" dove riassumere i dipendenti favorevoli all’accordo e dove non applicare il contratto nazionale dei metalmeccanici. "La newco non è una novità, anche lo stabilimento di Melfi ha una ragione sociale diversa da quella della Fiat, non ci sarebbe alcun problema, purchè venissero riassunti tutti gli attuali dipendenti, nessuno escluso. Ma noi non accetteremo mai di disdire il contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici. Ci è costato molto impegno raggiungerlo, ed ha prodotto buoni risultati". La Fiat, però, sembra intenzionata a scriversi da sola "la nuova cultura del lavoro", come l’ha chiamata l’Herald Tribune. La globalizzazione impone una svolta nelle relazioni industriali. Il sindacato non può limitarsi all’antagonismo spingendo le aziende internazionali a fuggire in posti più convenienti, ma deve puntare a relazioni partecipative, che responsabilizzino i lavoratori nelle imprese. In questo modo si costruiranno anche più forti personalità democratiche, perchè il populismo si fonda nella verticalizzazione del potere. Mi piacerebbe che di questo discutessero le forze progressiste del Paese, invece di limitarsi al ruolo di fiamme fatue dei cimiteri". La strada delle relazioni partecipative con le imprese, però, conduce sempre più lontano dalla Cgil. "Noi stiamo aspettando la Cgil. Il nostro obiettivo politico é riavvicinarci, ma con una strategia, non con la testa rivolta all’indietro ogni volta che una realtà disordinata la prende per la giacca. Il problema è la Fiom e la Cgil dovrebbe risolverlo. In fondo, firma tutti i contratti di categoria tranne quello dei metalmeccanici. Mi sembra che ci siano le condizioni perché rimetta in discussione la decisione presa due anni fa sull’accordo interconfederale". 25 luglio 2010
2010-07-22 Fiat, Marchionne: produrremo in Serbia. Bersani: è un annuncio sorprendente La Fiat produrrà la nuova monovolume "Lo" in Serbia. Il nuovo insediamento partirà subito e prevede un investimento complessivo da un miliardo di euro, di cui 350 milioni circa dal Lingotto (400 milioni dalla Bei, 250 da Belgrado), per una produzione di 190mila unità l'anno che sostituirà la "Multipla", la "Musa" e la "Idea" che attualmente vengono fatte a Mirafiori. "Produrremo in Serbia la monovolume, ma con sindacati più seri si faceva a Mirafiori", sostiene l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, in un'intervista a un quotidiano nazionale. "Senza il problema di Pomigliano - spiega Marchionne - avremmo puntato sull'Italia. Dobbiamo poter produrre senza rischi di interruzioni". E aggiunge: "A Pomigliamo abbiamo deciso di andare avanti e lo faremo coi sindacati che hanno scelto di condividere le responsabilità... Dire che non m'interessa la sorte dei dipendenti è una grandissima cavolata. Comunque non duplicheremo Pomigliano, ma decideremo impianto per impianto. Dobbiamo soprattutto convincere i sindacati di modernizzare i rapporti industriali in Italia". L'ad ribadisce che la Fiat "non può assumere rischi non necessari in merito ai suoi progetti sugli impianti italiani: dobbiamo essere in grado di produrre macchine senza incorrere in interruzioni dell'attività". Le parole di Marchionne hanno scatenato la reazione dei sindacati e della politica. "Marchionne annuncia la chiusura di Mirafiori e tutti i suoi attacchi al sindacato e ai lavoratori sono solo una copertura e un pretesto per cancellare la sostanza: la Fiat non è più italiana e disinveste dall'Italia", ha detto il Presidente della Fiom, Giorgio Cremaschi. "In realtà la Fiat con Marchionne è diventata una compagnia low cost che insegue i bassi salari e i finanziamenti pubblici in giro per il mondo". A Mirafiori, alla porta principale, la 2, e alla 9, si è svolto un presidio della Fiom-Cgil. È un'iniziativa organizzata in vista dello sciopero nazionale dei lavoratori del gruppo Fiat, indetto dalla Fiom per domani, per protestare contro i licenziamenti e contro la scelta di Fiat di non pagare il premio di risultato a fine luglio. "Immagino che lo sciopero di domani si caricherà però anche di altri significati, alla luce dell'intervista a Sergio Marchionne, osserva Giorgio Airaudo, segretario regionale della Fiom-Cgil. Intervista in cui l'Ad del Lingotto annuncia che la nuova Monovolume 'L0, destinata ad essere prodotta a Mirafiori, verrà invece dirottata in Serbia. Dopo l'esperienza di Pomigliano il Lingotto non si fida più dei sindacati italiani. "È sorprendente questo annuncio. Non ho capito quale tipo di ragioni si portano per dire che in Serbia ci sono condizioni che non si troverebbero a Torino. Su questo servono chiarimenti", spiega Pier Luigi Bersani. "Rispetto alla realtà torinese - ha proseguito il segretario del Pd - ho colto una colpevolizzazione che non ha riscontro con la realtà: è una città con la più antica cultura industriale, ha visto di tutto, ristrutturazioni, flessibilità. Non si può fare spallucce". Bersani ha poi scandito l'acronimo della Fiat: "Fabbrica italiana auto Torino", e ha concluso: "Partiamo da lì". Gli impegni di Fiat nell'ambito di "fabbrica italia" consistevano nel produrre la monovolume a Mirafiori: "Io - dice il sindaco di Torino Sergio Chiamparino - trovo non accettabile che sia lo stabilimento di Mirafiori, il primo che ha creduto nella possibilità di un rilancio dell'intero progetto Fiat in italia, a pagare le conseguenze di un accordo dimezzato su Pomigliano". Chiamparino lancia un appello a Fiat e parti sociali. "È un appello - ha precisato Chiamparino - da una parte all'azienda perché prima di assumere una decisione rifletta: c'è un problema di affidabilità reciproca quando si assumono degli impegni. E rivolgo un appello anche alle parti sociali perché si sforzino di comprendere che un progetto come "fabbrica Italia" ha delle caratteristiche quasi rivoluzionarie per la situazione produttiva del nostro paese e quindi bisogna guardarlo con occhi nuovi rispetto al passato". "Un governo serio, che fa gli interessi generali del Paese, bloccherebbe ogni delocalizzazione e prenderebbe le difese dei sindacati", commenta il segretario nazionale del Pdci, Oliviero Diliberto. "Gli annunci di Marchionne - aggiunge Diliberto - sono una miscela esplosiva di arroganza, prepotenza e menefreghismo, propri di chi segue solo biechi interessi di parte, a discapito della dignità e dei diritti dei lavoratori e di un Paese intero. Se anche su questo il ministro Sacconi tace - conclude - significa che in Italia non c'è un governo ma una dependance di Confindustria". Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, incontrerà "nei prossimi giorni" l'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne. "Vedrò Marchionne nei prossimi giorni - ha detto Marcegaglia - ci confronteremo un po' in generale". Il numero uno di viale dell'Astronomia ha sottolineato che è "importante per seguire l'investimento a Pomigliano e raggiungere i livelli di produttività richiesti. Credo che tutto questo vada fatto cercando di evitare comunque conflitti troppo pesanti, che non fanno bene a nessuno. Ma dall'altra parte - ha aggiunto - senza mollare sugli obiettivi di produttività. Il tema è complesso". 22 luglio 2010
L’isola dei cassintegrati a Roma "Berlusconi ci dia delle risposte" di Luciana Ciminotutti gli articoli dell'autore Racconta con un fil di voce Antonello, 54 anni che da quando è in cassa integrazione ha dovuto ritirare il figlio grande dall’università. Per la più piccola, quindicenne, spesso non ci sono neppure i soldi per la merenda a scuola. "Andiamo avanti con i prestiti di amici e parenti, capisce fino a che punto mi sono dovuto umiliare?". Per questo l’unica polemica di dignità che gli è rimasta, parafrasando De Andrè, è quella di essere uno dei cinque "duri e puri" che imperterriti da oltre 146 giorni occupano l’isola dell’Asinara. I cassintegrati della Vinyls, il colosso della chimica ora fermo, stanno ottenendo solidarietà soprattutto sul web con la loro pagina Facebook (più di 30mila "amici") e con il loro blog, nel quale raccontano giorno dopo giorno la dura vita di chi ha scelto di occupare pacificamente due luoghi simbolo della Sardegna (oltre all’isola dell’Asinara, la Torre Aragonese di Porto Torres) per vedere rispettato il basilare diritto al lavoro. Ieri un centinaio di rappresentanti degli stabilimenti di Marghera, Ravenna e Porto Torres sono giunti a Roma, sotto Montecitorio, per la mobilitazione organizzata dalla Cgil e dalla Filctem per dare una scossa alla vertenza della Vinyls. Il loro interlocutore naturale sarebbe il ministro allo sviluppo economico che però, come dice Pinuccio, "non c’è per problemi di casa". La questione è, quindi, tutta in mano a Berlusconi al quale si rivolge Alberto Morselli, segretario generale della Filctem-Cgil: "Se la chimica è strategica, come più volte detto a parole, il presidente del Consiglio lo dimostri una volta per tutte. Innanzitutto, chieda ad Eni di salvare Vinyls e di istruire un piano industriale di rilancio nel settore; faccia rispettare l'impegno di riavvio degli impianti assunto dai commissari straordinari; salvi i posti di lavoro e l'integrità del ciclo del cloro". "La previsione è che si ripartirebbe,- dice Morselli - dopo che anche gli arabi della Ramco hanno gettato la spugna, da un nuovo bando internazionale annunciato dal sottosegretario Saglia nell'incontro del 15 giugno scorso. Ma la gara sembra ancora tutta da scrivere. Ogni giorno che passa c'è il rischio che i commissari non abbiano neppure i soldi per pagare gli stipendi". Intanto gli operai restano in cassa integrazione e non mollano le occupazioni. A Porto Torres hanno piantato delle croci per terra, "perché la chiusura dell’azienda rappresenta la morte economica del territorio", spiega Pinuccio e gli fa eco Emanuele, "nel sassarese c’è una disoccupazione giovanile del 42%, se viene chiuso anche il nostro stabilimento sono altri giovani a spasso, esperti in chimica, mi dite dove si ricollocano?". "Cappellacci si deve prendere le sue responsabilità – dice Massimiliano - la Regione Sardegna ha il suo ruolo da giocare nella vertenza". Intanto mettono sul tavolo un dato: l’Italia l’anno scorso ha acquistato da Francia, Belgio, Inghilterra e Germania (paesi con il costo del lavoro uguale o superiore al nostro) 750 mila tonnellate di Pvc. Il mercato quindi per il prodotto della Vinyls c’è. "Ma com’è - si chiedono gli operai cassintegrati - che questo paese non ha una politica industriale?". 20 luglio 2010
Fiat, via libera allo spin-off Due società del Lingotto Via libera dal Consiglio di amministrazione della Fiat allo spin off dell'Auto dagli altri settori. In una nota Fiat spiega che oggi il cda "ha approvato la scissione parziale proporzionale, con cui Fiat S.p.A. intende trasferire ad una società di nuova costituzione, Fiat Industrial S.p.A. alcuni elementi dell`attivo (prevalentemente partecipazioni) relativi ai business dei veicoli industriali, motori 'industrial & marinè, macchine agricole e per le costruzioni oltre a debiti finanziari". "Con la scissione, queste attività saranno separate da quelle automobilistiche e dalla relativa componentistica, che includono Fiat Group Automobiles, Ferrari, Maserati, Magneti Marelli, Teksid, Comau e FPT Powertrain Technologies (attività di motori e trasmissioni per autovetture e veicoli commerciali leggeri). Dalla data di efficacia della scissione, che si assume possa essere il primo gennaio 2011, le azioni di Fiat Industrial saranno assegnate agli azionisti Fiat sulla base di un rapporto uno a uno", chiarisce Fiat. Successivamente, Fiat e Fiat Industrial saranno quotate separatamente presso il mercato telematico azionario di Milano e opereranno in modo separato come società quotate indipendenti con i rispettivi management e consigli di amministrazione. La scissione - sottolinea il Lingotto - darà chiarezza strategica e finanziaria ad entrambi i business e permetterà loro di svilupparsi strategicamente in modo indipendente l`uno dall`altro. Inoltre, il Consiglio ritiene che l`operazione consentirà la giusta valutazione sui mercati dei capitali di entrambe le società. La scissione sarà pienamente proporzionale: ciascun azionista riceverà un numero di azioni della stessa categoria uguale al numero di azioni Fiat della medesima categoria possedute alla data di efficacia della scissione. Alla data di efficacia della scissione gli azionisti di Fiat Industrial saranno quindi gli stessi azionisti di Fiat. In conseguenza della scissione il patrimonio netto di Fiat sarà ridotto di 3.750.346.053 euro. Tale riduzione (raggiunta attraverso una corrispondente riduzione del capitale sociale e delle riserve) non darà luogo a cancellazione di azioni, ma sarà attuata con una riduzione proporzionale del valore nominale di ciascuna categoria di azioni che, dalla data di efficacia della scissione, sarà pari a 3,50 euro. Di conseguenza, il capitale sociale di Fiat Industrial sarà aumentato di 1.913.178.892 euro, inoltre 1.837.167.161 euro saranno attribuiti a Fiat Industrial attraverso le altre riserve. Il numero e le categorie di azioni - ed i relativi diritti - di Fiat Industrial replicheranno esattamente il numero e le categorie - ed i relativi diritti - di Fiat. Il valore nominale di ciascuna categoria di azioni di Fiat Industrial sarà pari a 1,50 euro. Queste variazioni entreranno in vigore alla data di efficacia della scissione e non troveranno quindi applicazione con riferimento al bilancio 2010. Le azioni proprie attualmente possedute dalla Fiat, che rappresentano circa il 3% del capitale sociale, non saranno trasferite a Fiat Industrial. Dopo la scissione, la Fiat deterrà quindi circa il 3% di Fiat Industrial. 21 luglio 2010
2010-07-01 Fiat, no unanime della Fiom all'accordo su Pomigliano È stato approvato all'unanimità il documento della Fiom che ribadisce il no del sindacato all'accordo, "così com'è, con la Fiat, per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco" e l'avvio in questo mese a una iniziativa itinerante che partirà da Termini Imerese per toccare le maggiori piazze italiane fino ad arrivare a Roma alla presidenza del Consiglio dei ministri. Lo ha ha deciso l'assemblea dei delegati Fiom di tutta Italia riuniti oggi al teatro Gloria. Hanno circa 1.500 persone tra delegati, operai, Rsu e segretari nazionali, regionali e provinciali. Nel documento la Fiom ha inoltre ringraziato gli operai di Pomigliano "per non essersi piegati al ricatto della Fiat". Lo stabilimento Fiat di Termini Imerese "non può chiudere" e l'azienda deve dire al più presto le sue intenzioni in merito alla questione. Lo ha affermato il leader della Fiom Maurizio Landini all'assemblea nazionale. "Su Termini Imerese, se si vuole evitare la chiusura di quella fabbrica, si dica già da adesso, e non nel 2011, cosa fare. La Fiat a Termini - ha ribadito Landini - vuole chiudere nel 2011. Se vuole smettere di fare auto trovi oggi soluzioni alternative e se spunta fuori qualcuno che vuole fare auto, siccome ha una responsabilità sociale, lavori affinché questo avvenga". Landini ha concluso: "La Fiat dica che è disponibile a soluzioni industriali che possano portare occupazione, compreso soluzioni di altri produttori di auto". A fianco dei lavoratori della Fiat di Pomigliano d'Arco sono scesi anche gli extracomunitari di Rosarno. Una delegazione di lavoratori, impiegati nei campi della cittadina calabrese, ha raggiunto i delegati Fiom all'assemblea generale in corso di svolgimento a Pomigliano d'Arco, dove ha espresso la propria solidarietà agli operai del Giambattista Vico. "I ragazzi di Rosarno - ha spiegato un loro rappresentante dal palco - hanno avuto il coraggio di dire basta alle condizioni di lavoro cui erano sottoposti. E per questo sono vicini agli operai che hanno avuto il coraggio di dire no ad un accordo che peggiorerebbe le condizioni di lavoro in fabbrica". La Panda andrà a Pomigliano "nonostante tutto". Lo ha detto il ministero del Lavoro, Maurizio Sacconi, intervenuto alla trasmissione "Un giorno da pecora" su Radio 2. Sacconi ha rilevato che una maggioranza "netta e inequivoca" ha detto sì all'accordo al referendum, che "non è stato facile. Molti in questo Paese hanno storto la bocca, quante bocche storte, c'è un'Italia che quando si profila una soluzione positiva è disperata e cerca una negatività di recupero: gli va male". 01 luglio 2010
2010-06-23 Fiom: "Ora una trattativa vera, pronti a soluzione" di Massimo Franchitutti gli articoli dell'autore Una vittoria? "No, una lezione di dignità da parte dei lavoratori, nonostante un ricatto senza precedenti". Dopo il fallito plebiscito di Marchionne, il neo-segretario Fiom Maurizio Landini ha la stessa faccia dei giorni scorsi "perché - spiega - c’è la consapevolezza di stare dalla parte dei diritti e il risultato del referendum lo conferma". In pochi anche a corso Trieste si aspettavano che il "No" toccasse quota 36 per cento. Di certo nessuno potrà sostenere che i 1700 voti siano tutti della Fiom, che di iscritti a Pomigliano ne ha soli 600. Maglietta bianca sotto la camicia, in una saletta stampa mai così stipata di telecamere, le sue parole sono misurate. Non è stata una settimana facile per i metallurgici della Cgil. La tensione era palpabile e dunque è il momento di rivendicare "l’unanimità di ogni decisione presa". Dalle urne di Pomigliano arriva "una lezione per tutti". Soprattutto per Marchionne, verrebbe da dire. Lo stesso Marchionne che negli stessi minuti in cui Landini parla batte alle agenzie il comunicato Fiat che parla di "lavorare con le parti sindacali che si sono assunte la responsabilità dell’accordo (...) per individuare le condizioni di governabilità". Ancora senza la Fiom, dunque. Se l’avesse davanti, a Marchionne il reggiano Landini chiederebbe una cosa sola: "Di assumere fino in fondo la storia delle relazioni sindacali di questo paese, che sono una ricchezza anche per la Fiat. Che se è vero che l’Italia non è gli Stati Uniti, è vero pure che la crisi è partita da là anche a causa del fatto che non ci sono relazioni sindacali e gli stessi diritti per i lavoratori". E allora l’invito per la Fiat è sempre valido: tornare al tavolo per "aprire, finalmente, una trattativa" perché "una soluzione condivisa è meglio di un atto di forza". Tutti gli chiedono cosa succederà ora. E Landini non può rispondere: "Non dipende da noi, ma dalla Fiat". Il rischio che l’azienda possa decidere di schedare chi ha votato "No" o, addirittura, di licenziarli? "Faremo rispettare in ogni sede i diritti dei lavoratori e dei sindacalisti". E la possibilità di un ritorno in Polonia? "In quel caso sarebbe la Fiat, e non noi, a dire un grande "No" e lo farebbe per ragioni molto meno nobili delle nostre". L’unica cosa certa è che la Fiom "rimane a Pomigliano". Portando avanti la battaglia, dopo che "per giorni e giorni tutti hanno commentato un documento senza averlo letto". E "quel documento" è così grave da "avere una valenza generale" perché darebbe il là all’idea che si possa "scambiare più investimenti con meno diritti". E allora il primo luglio assemblea di tutti i delegati Fiat proprio a Pomigliano. "I risultati di Melfi e gli scioperi negli altri stabilimenti parlano chiaro: i lavoratori Fiat sono consapevoli del rischio che stanno correndo". Un punto di partenza anche dopo la ritrovata sintonia con la casa madre Cgil. Magari l’intervista di Epifani al Corriere non è piaciuta, ma "i giorni sono passati e le posizioni ora sono le stesse. Con una sola punzecchiatura: "Certo, vedere i capisquadra di Pomigliano fare volanti con le dichiarazioni di un dirigente della Cgil Campania non è stato un gran spettacolo...". 23 giugno 2010
Lo strappo di Pomigliano di Rinaldo Gianolatutti gli articoli dell'autore Il voto di Pomigliano d’Arco, con tutto il suo carico di tensioni , speranze e purtroppo divisioni tra i lavoratori, non è la conclusione contrastata di un percorso. È, invece, solo la prima tappa di "Fabbrica Italia" il progetto che Sergio Marchionne ha delineato per la Fiat da qui al 2014, una sfida totale, industriale e anche culturale, al mondo del lavoro, alla politica, alle istituzioni. Dopo il referendum, se il Lingotto confermerà l’investimento di 700 milioni di euro e non metterà in campo altre impreviste soluzioni, niente sarà più lo stesso nelle relazioni industriali in casa Fiat, ma si può facilmente immaginare che sulla strada del recupero di competitività attraverso la compressione dei diritti contrattuali e costituzionali dei lavoratori si avvieranno molte altre aziende. Il mondo sembra andare al contrario: in Cina gli operai scioperano e protestano per ottenere salari dignitosi e migliori condizioni di lavoro, in Italia invece in nome di una non ben definita modernità smantelliamo le conquiste sindacali, civili frutto di lotte decennali. Se davvero partirà il progetto di Pomigliano (Marchionne non ha sciolto la riserva) poi toccherà a Mirafiori, a Melfi, a Cassino, alla Sevel. Per Termini Imerese, invece, la Fiat non ha lasciato speranze: "Sarebbe una pazzia non chiuderla" ha sentenziato Marchionne. Il modello Pomigliano, se sarà implementato, verrà poesteso alle altre fabbriche italiane, probabilmente sarà calibrato sulle esigenze produttive e organizzative di ciascuna fabbrica da Torino alla Basilicata. Inutile dire che il timore del "contagio", dell’estensione del programma di Marchionne da Pomigliano alle altre fabbriche preoccupa migliaia di dipendenti. Perchè nessuno, tanto meno i sindacati, si oppone a perseguire nuovi, ambiziosi obiettivi di produzione, ma quello che giustamente allarma è che questo possa avvenire a scapito del sistema di garanzie, dei diritti dei lavoratori. D’altra parte è inutile farsi illusioni. Il clima politico, la linea del governo, il tifo della Confindustria, anche le timidezze della sinistra, tutto pare concorrere per favorire il successo del "ricatto" della Fiat: vi offro il lavoro, zitti e fate come dico io. Marchionne vuole un cambiamento radicale dell’organizzazione del lavoro e delle relazioni industriali, la sua ambizione è trasferire in Italia il modello della fabbrica Tychy, in Polonia. In sintesi queste sono le condizioni preliminari che il Lingotto esige per investire in Italia: 18 turni settimanali per tutti gli impianti, revisione degli accordi sindacali, piena flessibilità della forza lavoro, contenimento del costo del lavoro, pieno utilizzo degli ammortizzatori sociali. Con questa dote Marchionne è pronto a fare la sua parte e a concedere una speranza alle fabbriche, ai lavoratori italiani con investimenti di circa 20 miliardi di euro in cinque anni. La Fiat intende portare la produzione di auto in Italia dalle 650mila unità del 2009 a 1,4 milioni nel 2014, una cifra che rappresenterà circa un quarto dell’intera produzione Fiat-Chrysler stimata in 6 milioni di vetture. Il raddoppio della produzione avverrà tramite la saturazione degli impianti esistenti, più turni, più produttività. I numeri non lasciano dubbi. Mirafiori, la storica cattedrale dei metalmeccanici, tra cinque anni avrà una capacità produttiva di oltre 300 mila vetture con una saturazione degli impianti che passerà dal 64% all’88%. A Cassino la produzione passerà da 100mila a 400mila auto. Melfi, il "prato verde" del sogno della fabbrica non conflittuale, produrrà almeno 400mila vetture. A Pomigliano, se i lavoratori fanno i bravi e seguono Marchionne, ci sarà la Nuova Panda, 250mila auto all’anno. La Sevel di Val di Sangro passerà da 100mila a 250mila veicoli. Obiettivi ambiziosi, forse temerari che, se conseguiti, consentiranno a Fiat Auto di raddoppiare il fatturato da 26 a 51 miliardi di euro. Davanti a un disegno industriale, di potere, di questa dimensione. di questa forza risultano quasi marginali le osservazioni, le critiche, le lotte di chi cercando un lavoro e un reddito per vivere non dimentica i diritti e la dignità. Ma oggi l’Italia è questa. Ora vedremo cosa farà Marchionne. 23 giugno 2010
2010-06-22 La giornata più lunga Pomigliano verso il sì tra ricatti e disperazione Oggi Pomigliano ha votato. E ha deciso. Le tute blu dello stabilimento Fiat del Napoletano hanno affrontato una prova inedita, forse la più importante della loro vita lavorativa: dire sì o no ad un'intesa con l'azienda. E decidere, così, il futuro della loro fabbrica. E della loro vita. In tanti, quasi tutti, hanno votato. L'esito si saprà tra qualche ora, ma intanto i lavoratori aspettano. E sperano. Su 4.881 aventi diritto, secondo l'ultimo dato aggiornato, si erano recati alle urne in 4.584, quasi il 94%. Un'adesione altissima, dice la Uilm. "Un robusto viatico per il futuro della fabbrica", aggiunge la Fim Cisl. Ma nessuno, allo stabilimento Fiat di Pomigliano, oggi aveva voglia di sorridere. Volti scuri, sia all'entrata sia all'uscita dei turni. Tute blu silenziose, molte a testa bassa. In un giorno in cui anche la cassa integrazione è stata annullata, proprio per consentire la partecipazione alle votazioni, la rabbia era tanta. E la preoccupazione ancora di più. Lina ha 30 anni e in Fiat ci lavora da nove anni. Arriva davanti ai cancelli alle 14. Occhialini tondi, sembra quasi una prof. È diplomata e la scorsa notte, ammette, non ha chiuso occhio. "Sono in ansia ma voglio essere ottimista, devo esserlo per forza, qui si sta parlando del nostro futuro", ammette. Futuro, appunto. Lo urlano a squarciagola i sostenitori del no al referendum, coloro che se la prendono con "Marchionne, l'infame, che vuole cancellare i diritti costituzionali" e che si oppongono all'intesa siglata lo scorso 15 giugno tra la Fiat e tutte le sigle sindacali, tranne la Fiom, inveendo anche contro i sostenitori del sì. Al centro di tutto il 'progetto Pandà a Pomigliano, vale a dire 700 milioni di investimenti e quindi la salvezza dello stabilimento. Questo Lello lo sa bene. Ecco perchè, con una moglie in attesa di due gemelli oggi confessa di aver votato sì. Cita la nonna e un proverbio napoletano: "O mangi questa minestra o ti butti dalla finestra". Come dire "per noi che vogliamo lavorare non c'era altra scelta che per il si". E sono proprio alcune tute blu a difendere l'accordo messo sotto accusa dalla Fiom, anche oggi. Escono dai cancelli e a testa alta dicono: "Sulla Fiat sono state dette solo bugie. Non è vero che sono violati i diritti costituzionali". Giuseppina Castaldi, 21 anni in azienda, spiega: "È un piano più rigoroso ma a noi sta bene". Carlo De Simone, reparto verniciatura, dal 1990 in azienda, va anche oltre. "I nostri diritti sono tutelati e poi abbiamo anche un ritorno economico grazie al turno di notte, 3mila euro lordi l'anno". In tanti, per la verità, lasciano intendere di aver votato sì, "perchè non abbiamo altre scelte". "Dopo che ti hanno lasciato per due anni morire di fame con la cassa integrazione, ora come fai a scrivere no su quel foglio?", dice ancora Lello. Ma c'è chi, chiaro e tondo, dice di aver votato no. È Mario Di Costanzo, da 11 anni a Pomigliano, rsu della Fiom. Descrive un clima di intimidazione, forte, che oggi c'è stato all'interno dello stabilimento. "Qualche capo ha chiesto di fotografare il voto e poi hanno mandato sms 'Se voti no perdi il lavorò". Nel pomeriggio, quando il cielo si riempie di pioggia, dai cancelli escono Bruno e Salvatore, entrambi alla catena di montaggio. "Gli operai della Fiat sono coraggiosi", premettono e poi dicono: "Abbiamo votato no. Non abbiamo paura di perdere il lavoro e non ci sentiamo nemmeno in colpa". Qualcuno canta Bella Ciao quando gli operai entrano. E intanto, a tarda serata, davanti allo stabilimento arrivano i pullman blu, pronti a riportare gli operai a casa. Qualcuno prova a chiedere all'uscita dai turni: come è andata, oggi è stato il vostro giorno? Ciro, tuta blu da 20 anni, si gira e sorride. Poi si ferma un attimo e risponde: "Noi siamo lavoratori, mica siamo quelli che decidono...". 22 giugno 2010
Un'ora di sciopero a Termini Imerese dopo l'insulto di Marchionne Sciopero di un'ora allo stabilimento Fiat di Termini Imerese. Nel corso di un'accesa assemblea dei lavoratori si è discusso su come proseguire la protesta che ha come primo obiettivo le scelte e le parole dell'amministratore delegato Sergio Marchionne che recentemente ha accusato le tute blu di avere incrociato le braccia lunedì scorso solo per vedere la partita dei mondiali Italia-Paraguay. Un attacco definito dai sindacati come provocatorio e rozzo. Lo stabilimento, nelle previsioni dell'azienda, chiuderà a fine 2011 e sono in corso le trattative al ministero dello Sviluppo economico per individuare un nuovo produttore. I delegati sindacali alle 14 hanno riunito il consiglio di fabbrica chiamato a decidere in ordine a una nuova ora di sciopero, dopo quella di oggi dalle 9.20-10.20. E dalle 17.50 alle 18.50 è fissata una nuova assemblea per gli operai del secondo turno. Sono infuriati i lavoratori e i sindacati. Sanno che la Fiat se ne andrà a fine 2011 e si sentono le pedine della partita che Marchionne sta giocando a Pomigliano d'Arco dove domani si celebrerà il referendum. "La Fiat - dice Vincenzo Comella della Uilm - non può abbassare in questo modo il livello della discussione. Sappiamo che ciò è funzionale agli effetti contrattuali della battaglia in corso a Pomigliano. Noi, però, non accettiamo che si screditino gratuitamente lavoratori e sindacati". Comella, riguardo alle accuse dell'amministratore delegato spiega che il mercoledì precedente la partita Italia-Paraguay, "senza che noi lo sollecitassimo, i vertici ci avevano dato la disponibilità a rimodulare l'orario di lavoro e a utilizzare la pausa mensa per vedere la partita. Poi, venerdì alle 14, hanno improvvisamente cambiato parere. Una mossa studiata a tavolino perché avevano messo in conto che la reazione a un atto arrogante sarebbe stato lo sciopero". Per Comella "bisogna poi mettersi nella testa di questi lavoratori che saranno messi fuori dal gruppo a fine 2011 senza al momento una prospettiva". E va ripresa la vertenza per due obiettivi: capire i piani industriali degli investitori e le risorse che ci mettono; e costringere Fiat a rimanere al tavolo fino a quando non saranno definiti le garanzie e il futuro dei lavoratori di Termini. 21 giugno 2010
Pomigliano d'Arco, decidono i lavoratori Urne aperte dalle 8 Sono già oltre 1.250 i dipendenti dello stabilimento Fiat Gianbattista Vico di Pomigliano d'Arco che questa mattina hanno espresso il proprio voto nel referendum sull'accordo che dovrebbe garantire la produzione della nuova Panda in Campania. I 9 seggi allestiti per le operazioni di voto sono aperti dalle 8 di questa mattina e resteranno attivi fino alle 21. Secondo il dato registrato alle 10 dalle organizzazioni sindacali, dei 5.200 lavoratori un quinto ha già espresso il proprio voto. Intanto, davanti all'ingresso 2 dello stabilimento di Pomigliano d'Arco circa 200 lavoratori aderenti ai Cobas e alla Cgil si sono radunati per manifestare pacificamente contro il referendum. Le operazioni di voto si stanno svolgendo regolarmente senza incidenti. L'intesa firmata con la Fiat lo scorso 15 giugno da tutte le sigle sindacali, tranne la Fiom, potrebbe essere decisiva per il destino dello stabilimento, dei 700 milioni di investimenti per portare la produzione della Panda dalla Polonia a Pomigliano e, dunque, per il futuro lavorativo degli oltre 5mila Fiat e dei 15mila impiegati nell'indotto. Il quesito, al quale i lavoratori dovranno rispondere con una croce sul "Sì" o sul "No", è: "Sei favorevole all'ipotesi d'accordo del 15 giugno 2010 sul progetto "Futura Panda" a Pomigliano?". Alla vigilia del referendum, il Pd ha ribadito un sì, fra il prudente e il sofferto. È una posizione "scomoda" nel centrosinistra, tenendo conto che le altre opposizioni, da una parte e dall'altra, dall'Idv alle varie formazioni della Sinistra radicale, bocciano senza mezzi termini un tipo di accordo che comporta delle deroghe al contratto nazionale sul diritto di sciopero. Il sì dei Democratici assume diverse sfumature, che vanno dal realismo del responsabile Lavoro Stefano Fassina - che sottolinea che il Pd "ha sempre detto di essere per il sì" e rileva che " il documento proposto dalla Fiat ha dei punti da rivedere, ma è chiaro che l'investimento di Pomigliano ha valore strategico a cui non è possibile rinunciare" -, alla prudenza di Enrico Letta, che fissa dei 'palettì che i Democratici non si sentono di sorpassare: "quell'accordo - precisa - è un 'unicum'. Non può essere ripetibile, come se fosse un modello. È legato a caratteristiche specifiche di quello stabilimento, come l'abuso in passato di certi diritti". "È un ricatto mafioso", sentenzia invece il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero, per il quale l'accordo darà luogo "non a un referendum, ma a un plebiscito: perchè la gente non è libera. Quindi finirà come 'devè finire". "Domani ci sarà una farsa - aggiunge Maurizio Zipponi, responsabile Lavoro e welfare dell'Idv - perchè il quesito con cui dovranno confrontarsi i lavoratori è: vuoi essere licenziato subito o preferisci rinunciare ad alcuni tuoi diritti a partire da quello di sciopero?". "Domani a Pomigliano ci sarà un referendum per importare in Italia il modello di contrattazione polacco", protesta davanti a Montecitorio Marco Rizzo leader di "Comunisti-Sinistra Popolare" (CSP). Ne è convinto anche l'eurodeputato Idv Luigi De Magistris: "l'accordo rischia di essere una "palestra" di preparazione per future intese altrettanto pericolose e reazionarie, distruttive del Cnl e dello Statuto dei lavoratori". Per l'Udc, non è rilevante parlare di referendum: perché, dice Pier Ferdinando Casini, "Pomigliano è molto di più, è una grande questione nazionale. È lì - aggiunge - che dobbiamo dimostrare se l'Italia vuole rimanere un Paese industrializzato. "Ho fiducia nelle lavoratrici e nei lavoratori e nella loro concretezza", dice il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, che conclude, ottimista: "Credo che ci siano le condizioni per un largo consenso senza nè vinti nè vincitori, se non l'unica vittoria affidata agli investimenti e ai posti di lavoro". 22 giugno 2010
Da Melfi a Mirafiori, l'attesa nelle altre fabbriche La tensione che grava sullo stabilimento di Pomigliano D'Arco, dove si attendono con ansia i risultati del referendum sul piano Fiat, raggiunge anche le altre fabbriche del gruppo, da Mirafiori a Termini Imerese, passando per Melfi. E la solidarietà alle tute blu di Pomigliano arriva anche dai dipendenti dell'ex Alfa Romeo di Arese. Insomma, dopo le proteste dei giorni scorsi l'agitazione continua a serpeggiare dentro e fuori i cancelli delle fabbriche del Lingotto. MIRAFIORI: Tra le tute blu dello stabilimento torinese la preoccupazione resta alta: molti pensano che il 'modello Pomiglianò sarà applicato anche negli altri impianti italiani del gruppo. La mobilitazione, quindi, non si ferma e oggi è andata avanti la raccolta firme a supporto della lettera aperta presentata dalla Fiom e indirizzata a Sergio Marchionne. MELFI: Anche qui la paura del "contagio", l'estensione dei contenuti dell'accordo sottoposto a referendum, si fa sentire, anche se con i dovuti distinguo tra i sindacati, come del resto accade nelle altre altre fabbriche. Se per il segretario regionale della Fiom-Cgil, Emanuele De Nicola, la consultazione sul piano della Fiat è "illegittima", secondo il segretario regionale della Fismic, Marco Roselli "l'accordo è una condizione necessaria per i futuri investimenti in Italia". Dello stesso avviso, il segretario provinciale della Uilm-Uil, Vincenzo Tortorelli, che spiega: "L'intesa è importante per il Sud e per l'indotto di Melfi". TERMINI IMERESE: Gli operai attendono l'esito del referendum di Pomigliano senza nascondere che è proprio il progetto di trasferimento della produzione della Panda dalla Polonia allo stabilimento campano ad aver decretato la fine della loro fabbrica. Il timore maggiore, spiega il segretario provinciale della Fiom, Roberto Mastrosimone, è il disinteresse calato sul futuro dello stabilimento: "Tutti sono concentrati su Pomigliano, ma nessuno pensa a dare risposte a 2.200 lavoratori. Per ora tutto è fermo e, soprattutto, ci inquieta il silenzio della politica". EX ALFA ROMEO ARESE: Qui i dipendenti hanno hanno protestato contro il piano Fiat su Pomigliano bloccando la portineria sud-ovest dello stabilimento. Solidarietà alle tute blu dello stabilimento campano del Lingotto è anche arrivata dai lavoratori della Piaggio, che questa mattina hanno scioperato dalle 9 alle 11. 22 giugno 2010 |
il SOLE 24 ORE per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.ilsole24ore.com/2011-07-22
2011-07-20 La guerra fuori dal tempo della Fiom Cronologia articolo 20 luglio 2011 Forse sarebbe interessante conoscere l'opinione di un sindacalista dell'impianto Fiat in Polonia che ha dovuto cedere la produzione della Panda ai colleghi italiani di Pomigliano. Sarebbe interessante sapere che ne pensa dell'annuncio fatto ieri dalla Fiom di una raffica di ricorsi individuali proprio contro il contratto che renderà possibile quel trasferimento di produzione a costi competitivi. Forse proprio dalla Polonia potrebbe venire una lezione sulla globalizzazione e le sue durissime regole del gioco. Che solo la Fiom sembra non voler accettare. E ciò suona ancora più singolare nel momento in cui anche la Cgil ha avallato un insieme di regole che rende possibile alcune deroghe ai vecchi contratti per far aumentare la produttività degli impianti e l'esigibilità effettiva del diciottesimo turno (troppo spesso rimasta in passato solo sulla carta). La salva di ricorsi individuali targati Fiom suona ancor più fuori dal tempo nel momento in cui un giudice ha già dichiarato più che legittimi quegli accordi. Forse è tempo di prendere atto di come certe guerriglie sindacali siano un lusso di chi pretende di essere un po' sigla confederale e un po' Cobas. Soprattutto se in gioco ci sono investimenti rilevanti, rilevantissimi per tutto il Paese.
2011-07-04 Nella bozza della manovra sospensione per le condanne superiori a 20 milioni. Vi può rientrare il lodo Mondadori di Giovanni NegriCronologia articolo 4 luglio 2011 Giudice obbligato a congelare le maxicondanne in primo grado e in appello. Questo il significato di due disposizioni introdotte nell'ultima versione della manovra. Modificando due norme del Codice di procedura civile viene stabilito il vincolo, sinora era prevista una semplice facoltà, per l'autorità giudiziaria di sospendere l'esecuzione della condanna da 10 milioni in poi, in primo grado, e da 20 milioni in avanti in appello. La sospensione scatta fino al verdetto del successivo grado di giudizio (appello o Cassazione). La parte interessata al blocco dovrà presentare una cauzione. In una prima versione della norma si disponeva in senso contrario sanzionando fino a 10mila euro le istanze di sospensione manifestamente infondate. video Napolitano indica alla sinistra una cultura di governo documenti La platea e la norma articoli correlati Bersani: un insulto al Parlamento la norma che sospende i riarcimenti. Idv: Napolitano non firmerà Vedi tutti " A potere beneficiare della novità, una volta in vigore, potrà essere Fininvest che attende in questi giorni la sentenza di appello nella causa sul Lodo Mondadori. In primo grado Fininvest è stata condannata a risarcire al gruppo De Benedetti 750 milioni di euro a titolo di risarcimento del danno subito per la corruzione nella vicenda giudiziaria che si concluse con l'assegnazione della casa editrice al gruppo di Silvio Berlusconi. Per effetto della norma, Fininvest, se condannata, con il pagamento di una cauzione, eviterà comunque ogni pagamento sino alla pronuncia di Cassazione. LA PRIMA VERSIONE All'articolo 283 del codice di procedura civile è aggiunto, infine, il seguente comma: "Se l'istanza prevista dal comma che precede è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l'ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L'ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio". QUELLA ATTUALE Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 283, dopo il primo comma è inserito il seguente: "La sospensione prevista dal comma che precede è in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a dieci milioni di euro se la parte istante presta idonea cauzione". b) all'articolo 373, al primo comma, dopo il secondo periodo è inserito il seguente: "La sospensione prevista dal presente comma è in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a venti milioni di euro se la parte istante presta idonea cauzione".
Manovra al Colle: imposta di bollo per i depositi titoli. Il ministro Romani smentisce tagli agli incentivi per le rinnovabili Cronologia articolo 4 luglio 2011 Nuova imposta di bollo variabile per i depositi titoli. Lo prevede il testo definitivo del decreto legge sulla Manovra che é stato trasmesso al Quirinale e che Radiocor anticipa. Si passa da 10 euro per quello mensile a 120 per quello annuale; dal 2013, poi, per importi sotto i 50mila euro da 12,50 euro a 150 e per quelli sopra i 50mila euro da 31,66 a 380 euro. Il decreto è di 39 articoli e due allegati e dovrà essere esaminato e controfirmato da Giorgio Napolitanoprima della sua pubblicazione in Gazzetta. video Napolitano indica alla sinistra una cultura di governo documenti La platea e la norma articoli correlati L'Ocse promuove la manovra italiana: in linea con le nostre raccomandazioni Nella bozza della manovra sospensione per le condanne superiori a 20 milioni. Vi può rientrare il lodo Mondadori Vedi tutti " Sovrattassa auto di 10 euro In arrivo anche una sovratassa di dieci euro per ogni chilowatt di potenza oltre i 225. Il decreto legge manovra nella sua versione definitiva mette a punto la misura sulle auto potenti. Sì all'election day Nel testo il Capo primo é dedicato al taglio dei costi della politica, stipendi, benefit, auto e voli blu, finanziamento ai partiti ed election day, tutto a partire dalle prossime elezioni. Tra le novità, spicca un ulteriore taglio del 10% al finanziamento dei partiti politici "cumulando così una riduzione complessiva del 30 per cento". A decorrere dal 2012 scatta "l'election day". Le elezioni Amministrative e quelle Politiche si volgeranno "in un'unica data nell'arco dell'anno". Lo prevede l'art. 7 della manovra. Se "nel medesimo anno" si svolgono anche le elezioni Europee, l'election day si terrà "nella data stabilita per le elezioni del Parlamento Europeo". Aerei blu solo per le prime 5 alte cariche dello Stato Aerei Blu poi solo per le 5 massime cariche dello Stato. Lo prevede l'art. 3 del testo della Manovra inviato al Quirinale dal titolo "Aerei Blu". "I voli di Stato devono essere limitati al presidente della Repubblica, ai presidenti di Camera e Senato, al premier e al presidente della Corte Costituzionale" recita il primo comma. Il secondo comma prevede che le "eccezioni" siano "specificamente autorizzate, soprattutto con riferimento agli impegni internazionali e rese pubbliche sul sito della presidenza del Consiglio dei ministri, salvi i casi di segreto per ragioni di Stato". Confermati invece i limiti delle auto blu. Li prevede l'art. 2 del testo della Manovra. "La cilindrata delle auto di servizio non può superare i 1600 cc". Fanno eccezione le auto in dotazione al Capo dello Stato ai presidenti del Senato, della Camera e della Corte Costituzionale, al presidente del Consiglio e "le auto blindate adibite ai servizi istituzionali di pubblica sicurezza". Le auto blu attualmente in servizio "possono essere utilizzate solo fino alla loro dismissione o rottamazione e non possono essere sostituite". Con un Dpcm sono poi disposti "modalità e limiti di utilizzo delle autovetture di servizio al fine di ridurne numero e costo".
La Manovra è stata trasmessa al Colle. Sì all'imposta di bollo variabile per i depositi titoli Cronologia articolo 4 luglio 2011 Nuova imposta di bollo variabile per i depositi titoli. Lo prevede il testo definitivo del decreto legge sulla Manovra che é stato trasmesso al Quirinale e che Radiocor anticipa. Si passa da 10 euro per quello mensile a 120 per quello annuale; dal 2013, poi, per importi sotto i 50mila euro da 12,50 euro a 150 e per quelli sopra i 50mila euro da 31,66 a 380 euro. Il decreto é di 39 articoli e due allegati e dovrà essere esaminato e controfirmato da Giorgio Napolitano prima della sua pubblicazione in Gazzetta. Sovrattassa auto di 10 euro In arrivo anche una sovratassa di dieci euro per ogni chilowatt di potenza oltre i 225. Il decreto legge manovra nella sua versione definitiva mette a punto la misura sulle auto potenti. Nel testo il Capo primo é dedicato al taglio dei costi della politica, stipendi, benefit, auto e voli blu, finanziamento ai partiti ed election day, tutto a partire dalle prossime elezioni. Tra le novità, spicca un ulteriore taglio del 10% al finanziamento dei partiti politici "cumulando così una riduzione complessiva del 30 per cento". Aerei blu solo per le prime 5 alte cariche dello Stato Aerei Blu poi solo per le 5 massime cariche dello Stato. Lo prevede l'art. 3 del testo della Manovra inviato al Quirinale dal titolo "Aerei Blu". "I voli di Stato devono essere limitati al presidente della Repubblica, ai presidenti di Camera e Senato, al premier e al presidente della Corte Costituzionale" recita il primo comma. Il secondo comma prevede che le "eccezioni" siano "specificamente autorizzate, soprattutto con riferimento agli impegni internazionali e rese pubbliche sul sito della presidenza del Consiglio dei ministri, salvi i casi di segreto per ragioni di Stato". Confermati invece i limiti delle auto blu. Li prevede l'art. 2 del testo della Manovra. "La cilindrata delle auto di servizio non può superare i 1600 cc". Fanno eccezione le auto in dotazione al Capo dello Stato ai presidenti del Senato, della Camera e della Corte Costituzionale, al presidente del Consiglio e "le auto blindate adibite ai servizi istituzionali di pubblica sicurezza". Le auto blu attualmente in servizio "possono essere utilizzate solo fino alla loro dismissione o rottamazione e non possono essere sostituite". Con un Dpcm sono poi disposti "modalità e limiti di utilizzo delle autovetture di servizio al fine di ridurne numero e costo". Sì al taglio degli incentivi per ridurre le bollette energetiche Confermato pure il taglio del 30% degli incentivi per alleggerire le bollette energetiche. "Allo scopo di ridurre il costo finale dell'energia per i consumatori e le imprese - si legge nel testo del provvedimento - a decorrere dal 1° gennaio 2012, tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni, comunque gravanti sulle componenti tariffarie relative alle forniture di energia elettrica e del gas naturale, previsti da norme di legge o da regolamenti sono ridotti del 30% rispetto a quelli applicabili alla data del 31 dicembre 2010". Sarà però il ministro dello Sviluppo economico a rideterminare l'entità degli incentivi, dei benefici e delle altre agevolazioni. Benzina, ok no-oil e self, ma niente sigarette Nel testo finale della manovra ci sono anche le nuove norme sulla razionalizzazione della rete dei carburanti, con la possibilità di vendita di prodotti no-oil e l'estensione massiccia dei self service. Rispetto alle prime bozze, però, sparisce la possibilità di vendita di tabacchi, che viene invece sostituita con quella di "pastigliaggi", vale a dire caramelle, merendine e dolciumi preconfezionati. L'articolo 28 della manovra conferma invece le prime indiscrezioni: ogni impianto dovrà essere dotato di self service con pagamento anticipato che dovrà funzionare anche in presenza del gestore; i distributori potranno vendere alimenti, bevande, quotidiani, periodici e, appunto, pastigliaggi; vengono introdotte differenti tipologie contrattuali per l'approvvigionamento; il fondo per la razionalizzazione della rete potrà essere usato (massimo per il 25%) per contributi alla chiusura degli impianti; i comuni dovranno individuare gli impianti da chiudere. L'esame parlamentare della manovra per la conversione in legge del decreto inizierà al Senato. Per domani è prevista una conferenza dei capigruppo che potrebbe definire i tempi della prima lettura da parte di palazzo Madama.
4 luglio 2011 - 13:04 energia. rinnovabili. indiscreto. ci risiamo. calderoli ripropone il taglio degli incentivi. ci risiamo. a quanto mi risulta da più fonti diverse, il ministro della semplificazione roberto calderoli avrebbe ripresentato la norma taglia-incentivi su luce e gas. giovedì scorso il testo, dopo la discussione in pre-consiglio, era stato proposto al consiglio dei ministri ed era stato bloccato dal ministro dello sviluppo economico, paolo romani. ne avevo scritto diffusamente in queste pagine, con molti commenti dei lettori, e in un articolo pubblicato sull'edizione cartacea sole 24 ore. ora il testo tornerebbe all'attenzione, sotto forma di aggiunta all'articolo 35 della manovra. il testo di giovedì scorso era: 10. allo scopo di ridurre il costo finale dell’energia per i consumatori e le imprese, a decorrere dal 1° gennaio 2012, tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni comunque gravanti sulle componenti tariffarie relative alle forniture di energia elettrica e del gas naturale, previsti da norme di legge o da regolamenti, sono ridotti del 30% rispetto a quelli applicabili alla data del 31 dicembre 2010.
11. in attuazione del comma 10, con decreto del ministero dello sviluppo economico, adottato su proposta dell’autorità del gas e dell'energia elettrica entro 90 giorni, è rideterminata l’entità degli incentivi, benefici e agevolazioni. (chi copia, linki la fonte) difficilmente calderoli ha lasciato uguale il testo, perché la versione di giovedì avrebbe prodotto effetti preoccupanti: - riduzione del 3% delle bollette dei luce e gas, con finalità di ridare alla lega nord il consenso della base delle piccolissime imprese e dei consumatori domestici dell'alta italia - modestissimo effetto di immagine perché il 3% non si sente nelle bollette, e basta uno scherzo delle quotazioni del petrolio per rendere invisibile ogni beneficio - riduzione del 30% degli incentivi alle fonti rinnovabili di energia, con arrabbiatura delle migliaia di famiglie che hanno messo i pannelli solari sul tetto (soprattutto in lombardia e veneto) - riduzione del bonus sociale che assegna uno sconto sulle bollette delle famiglie povere - riduzione degli incentivi cip6 a raffinerie con gassificazione, centrali turbogas ciclo combinato, inceneritori con ricupero di energia - riduzione dei sussidi alle fs (la corrente dei treni), all'industria dell'alluminio primario (come alcoa), all'acciaieria thyssenkrupp di terni - riduzione dei fondi per gli oneri nucleari (sogin) e altre voci. (ringrazio il senatore del pd francesco ferrante)
2011-07-03 Manovra: ecco chi vince e chi perde con il nuovo prelievo sulle rendite. BoT e fondi alla prova della riforma di M. Cellino. All'interno un articolo di L. SerafiniCronologia articolo 03 luglio 2011 Tutti pronti con la calcolatrice: i risparmiatori per fare i conti con i propri investimenti, le banche per riformulare le offerte in modo da non lasciarsi sfuggire clienti e, anzi, di partire al contrattacco per conquistarne nuovi. L'armonizzazione al 20% dell'aliquota sulle rendite finanziarie contenuta nella delega per la riforma fiscale non sarà certo un fulmine a ciel sereno (se ne parla da almeno un decennio), ma qualche cambiamento nei comportamenti di investimento delle famiglie e nelle strategie allo sportello potrebbe pur provocarlo. Vista a grandi linee, la riforma tenderà ad avvantaggiare i conti correnti bancari in tutte le sue forme (tradizionali, online, deposito vincolato): finora erano tassati al 27%, a breve il prelievo si ridurrà al 20%. Al contrario, altre forme di impiego del denaro quali azioni, obbligazioni, fondi comuni di investimento, Etf, certificati di investimento, pronti contro termine, buoni postali fruttiferi subiranno un aumento dell'aliquota dal 12,5% attuale al 20%. I titoli di Stato saranno invece esclusi dalla manovra e la trattenuta su BoT, BTp e simili resterà invariata al 12,5%. Sotto l'aspetto pratico, l'investitore non andrà incontro a una vera e propria rivoluzione: se l'intenzione è quella di investire in un'azione, lo si continuerà a fare, indipendentemente dal fatto che le cedole e le eventuali plusvalenze realizzate siano tassate al 20% e non più al 12,5%. Qualcosa potrebbe invece cambiare sulla gestione della liquidità a breve termine e di ogni giorno: lì le differenze di rendimento sono più risicate, la battaglia si gioca sul filo dei centesimo e ogni pur piccolo aggiustamento può essere significativo. Chi sale e chi scende Tanto per fare qualche esempio, fatto salvo il rendimento dei BoT annuali (che resta pari all'1,87%, salvo le spese per le commissioni di acquisto), la manovra frena i rendimenti di pronti contro termine (da 1,55% a 1,42%, vedi grafico a fianco), dei fondi comuni e degli Etf sulla liquidità (rispettivamente 0,68% e 1,37%), dei buoni postali (1,24%). Il tutto a vantaggio dei conti corrente bancari, non tanto di quelli tradizionali, che offrono soltanto le briciole (0,34%), quanto degli strumenti online ad alto rendimento o a capitale vincolato che grande diffusione hanno avuto fra i risparmiatori negli ultimi anni. È verosimile che su questi prodotti si giocherà la maggiore battaglia fra le banche per assicurarsi nuova clientela, oltre che una raccolta tutto sommato a buon mercato. Il risparmiatore dovrà invece prestare l'attenzione di sempre: continuando giustamente a misurare le differenze in termini di centesimi, ma valutando con cura le caratteristiche di ciascuno strumento. Molti dei conti corrente vincolati sono costruiti con pronti contro termine come sottostante e finora hanno avuto un innegabile vantaggio fiscale, che da domani sarà però destinato a esaurirsi con effetti evidenti sui rendimenti.
Per le banche italiane una tassa da 250 milioni di Laura SerafiniCronologia articolo 03 luglio 2011 La maggiorazione dello 0,75% sull'Irap carico delle banche italiane determinerà un aggravio complessivo a loro carico di circa 250 milioni di euro. Focalizzando la misurazione sui primi cinque gruppi bancari nazionali l'aumento d'imposizione è pari a circa 150 milioni. La stima, seppure un po' approssimativa, si deduce scorrendo i dati pubblicati dalla Banca d'Italia nella relazione annuale 2010. La voce da prendere a riferimento per calcolare gli effetti della maggiorazione è il costo del personale, perchè l'Irap colpisce soprattutto il costo del lavoro. A fine 2010 il sistema bancario ha sostenuto spese per il personale pari a 32,9 miliardi di euro e pagando un'Irap (al 4,25%) stimabile in almeno 1,4 miliardi. I primi cinque istituti di credito hanno sostenuto spese per il personale pari 20,2 miliardi, pagando un'Irap stimabile in circa 890 milioni. Le tasse pagate complessivamente dal sistema creditizio nel 2010 ammontano comunque a 4,2 miliardi a fronte di un utile netto 7,9 miliardi a livello di sistema. L'onere aggiuntivo a carico delle banche, comunque, non è sufficiente a stimare il gettito che scaturirebbe per lo Stato con la maggiorazione e questo perchè quell'incremento Irap probabilmente andrà a colpire anche assicurazioni società finanziarie. Dovrebbe restare, comunque, nell'ordine delle centinaia di milioni di euro all'anno. I motivi per comprendere lo "stupore e lo sconcerto" che l'ultima versione della manovra ha creato tra banchieri e operatori del settore sono abbastanza evidenti. La prospettiva di una tassazione separata al 35% sulle attività da negoziazione non era certo stata accolta con piacere, tant'è vero che probabilmente è stata la pressione del sistema bancario a farla saltare. Ma la soluzione alternativa emersa venerdì nella manovra preoccupa molto, perchè la maggioranza sull'Irap va a colpire anche il settore tradizionale della banche (sostanzialmente l'erogazione del credito) che rappresenta i 3/4 dell'attività bancaria, mentre solo un quarto è rappresentato dal trading, cui ricorrono in modo più massiccio le banche estere, soprattutto quelle d'investimento. L'attività di lobbing del mondo bancario prosegue serrata in queste ore, con la speranza di ottenere un'ulteriore modifica. Non piace nemmeno l'ipotesi di una stangata sull'imposta di bollo per il deposito titoli, destinata a salire da 34,2 a 120 euro per ogni deposito a prescindere dal valore dei titoli depositati. E per quanto si tratti di una gabella che peserà solo sui clienti e non sugli istituti di credito, nel mondo bancario c'è sconcerto perchè in questo modo non c'è alcuna progressività della tassazione. Risulterà, dunque, molto più colpito il piccolo risparmiatore che tiene nel deposito titoli o bond da cassettista per qualche migliaio di euro, rispetto a chi ha grandi patrimoni investiti in obbligazioni o azioni. articoli correlati Manovra: ecco chi vince e chi perde con il nuovo prelievo sulle rendite. BoT e fondi alla prova della riforma È molto probabile che entrambe le novità introdotte dalla manovra saranno il piatto forte delle due riunioni al vertice che l'Abi, l'associazione bancaria, ha convocato per la prossima settimana: sono in programma la riunione del comitato di presidenza e del comitato esecutivo, anche in vista dell'assemblea annuale prevista per il 13 luglio. La rivoluzione sulla tassazione delle rendite finanziarie ha destato invece meno malumore. "È un allineamento a quello che succede in tutta Europa e mi sembra che ci si muova in maniera assolutamente coerente", è stato il commento dell'a.d. di IntesaSanPaolo, Corrado Passera. Qualche preoccupazione, però, aleggia tra i gestori dei fondi che vedono la tassazione sulle plusvalenza da quote dei fondi passare dal 12,5 al 20 per cento. La consapevolezza che l'armonizzazione sarebbe stata cosa inevitabile c'era, certamente, anche perchè nel resto d'Europa è già così da tempo. I dubbi sono sugli effetti che la tassazione può avere sulla concorrenza, avvantaggiando prodotti che in questa fase di mercato - in cui i risparmiatori privilegiano investimenti con il minor tasso di rischio - sono competitivi per i fondi, che non riescono a garantire rendimenti elevati. In particolare, sono i prodotti tipo conto deposito, che garantiscono rendimenti più elevati rispetto a un conto corrente classico, raggiungendo anche il 3% netto. Per questi prodotti la tassazione scende dal 27 al 20 per cento, rendendoli più competitivi. L'effetto positivo per i conti correnti tradizionali invece è quasi nullo, considerato che gli interessi riconosciuti oggi sono molto vicini allo zero. I NUMERI 50 milioni - L'impatto sui "big" A tanto viene calcolato l'impatto della maggiorazione dello 0,75% sull'Irap sui conti dei primi cinque gruppi bancari nazionali. 890 milioni - L'Irap versata Sempre i primi cinque maggiori istituti di credito italiani hanno versato per il 2010 circa 890 milioni di euro per assolvere l'Irap. 4,2 miliardi - Imposte a carico delle banche A tanto ammontano le imposte 2010 a carico dell'intero sistema creditizio italiano a fronte di utili per 7,9 miliardi. GLI EFFETTI Il "no" al balzello sul trading L'ipotesi di un incremento dell'Imposta regionale sulle attività produttive va a sostituire la prospettiva di una tassazione al 35% per le attività di trading Il numero - 120 euro La nuova imposta di bollo sul dossier titoli
Il Quirinale: non abbiamo ancora ricevuto la manovra. Schifani apre sul testo: non è intoccabile di Celestina DominelliCronologia articolo 3 luglio 2011 La manovra non è ancora giunta alla firma del capo dello Stato, Giorgio Napolitano. La precisazione arriva direttamente dal Quirinale nel tentativo di correggere le indiscrezioni secondo cui il decreto per la correzione dei conti pubblici sarebbe stato trasmesso al Colle già da venerdì. Poche righe di un comunicato considerato evidentemente necessario dal Quirinale per spazzare via qualsiasi dietrologia. "A tutt'oggi la presidenza del Consiglio non ha ancora trasmesso al Quirinale il testo del decreto legge". E, in serata, anche fonti dell'esecutivo smentiscono l'invio del provvedimento al Quirinale: il decreto sarà trasmesso lunedì al capo dello Stato per la firma. Scontro sull'"ammazza rinnovabili". Prestigiacomo: escludo reintroduzione Intanto si accende lo scontro attorno alla norma che taglia del 30% la componente della bolletta elettrica e del gas destinata a finanziare le agevolazioni e che, secondo le ultime indiscrezioni, sarebbe stata reintrodotta nell'ultima versione del decreto. Un cambio in corsa escluso però dal ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo. "Non vedo come ciò possa accadere. Il Consiglio dei Ministri, dopo ampio e approfondito dibattito, ha approvato la manovra senza quella norma. Non comprendo come si possa ipotizzare una sua reintroduzione". documenti La platea e la norma articoli correlati Pensioni, sindacati e opposizione contro la stretta. Bonanni: norma socialmente ingiusta Tutte le novità della manovra da 47 miliardi Vedi tutti " Pd: nota del Quirinale dimostra work in progress Anche il Pd, per bocca del senatore Francesco Ferrante (Pd), ha ventilato l'ipotesi del ritorno nel decreto della norma che taglia le agevolazioni per le energie verdi. "La nota del Quirinale conferma il fatto che sulla manovra il governo alle prese con un work in progress. Risulterebbe da fonti qualificate che nella versione delle ultime ore sia stata reinserita la norma "ammazza rinnovabili" fortemente voluta dal ministro Calderoli, e che il Consiglio dei Ministri aveva cassato. Se così fosse sarebbe un atto di forza gravissimo". Schifani apre all'opposizione: manovra non è un totem intoccabile In attesa dell'invio del testo al Colle, tiene banco comunque la polemica attorno alla stretta sulle pensioni che ieri aveva provocato la rivolta dei sindacati e di tutta l'opposizione, ma anche l'aut aut della Lega ("le pensioni non toccano", aveva tuonato ieri sera Umberto Bossi da un comizio nel bergamasco). Il presidente del Senato, Renato Schifani, prova a gettare acqua sul fuoco. "La manovra non si può considerare come un totem intoccabile. Può essere corretta in via parlamentare. mi auguro anche con il contributo dell'opposizione, senza che venga stravolta". Un'apertura alla collaborazione rilanciata anche dal vicepresidente della commissione Lavoro, Giuliano Cazzola (Pdl). "Sui tagli alla rivalutazione delle pensioni sarà opportuno trovare, magari al Senato, in sede di conversione del decreto, come ha lasciato intendere il presidente Schifani, soluzioni più equilibrate". La replica del Pd: bene Schifani ma parli al governo Le aperture della maggioranza trovano la pronta risposta del Pd. Con la capogruppo dei democratici al Senato, Anna Finocchiaro, che apprezza l'invito al dialogo di Schifani a cui ricorda che "la nostra disponibilità al confronto non è mai venuta meno in Parlamento. Io credo che però l'appello al confronto costruttivo andrebbe rivolto più esplicitamente al governo, che in 3 anni di legislatura raramente ha perseguito questo obbiettivo". Restano poi in piedi le critiche contro la stretta sulle pensioni. "Oggi vengono coinvolti nei tagli 4,4 milioni di pensionati. Quello che aggiungo è che mentre Sacconi ripete la litania che le pensioni non vengono toccate - attacca l'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano (Pd), invece accade sempre che con le pensioni si fa sempre cassa". Mentre il capogruppo dell'Idv al Senato, Felice Belisario, invita il governo a compiere una pausa di riflessione. "Si fermi un attimo e rifletta: una manovra pessima che può scatenare tensione sociale e che per questo non può essere imposta con l'ennesimo voto di fiducia".
Sulle pensioni lo stop sarà per fasce. Sindacati all'attacco di Davide ColomboCronologia articolo 3 luglio 2011 Il blocco totale o parziale (45%) della rivalutazione delle pensioni nel biennio 2012-2013 – misura che garantirà una riduzione della spesa previdenziale pari a 2,2 miliardi entro il 2014 – si applicherà per fasce. Ragion per cui tutti gli assegni continueranno a beneficiare dell'indicizzazione al carovita anche se in misura progressivamente inversa rispetto all'entità della pensione. A precisare come funzionerà la misura introdotta in manovra è una nota dell'Inps. Le pensioni più basse fino a tre volte il minimo, ovvero fino a un importo di 1.428 euro mensili, anche l'anno prossimo saranno rivalutate per intero. Le pensioni tra tre e cinque volte il minimo - nello scaglione tra 1.428 e 2.380 euro mensili - saranno invece rivalutate al cento per cento nella fascia fino a 1.428 e al 45 per cento nella fascia fino a 2.380. Le pensioni oltre cinque volte il minimo – ovvero superiori a 2.380 euro mensili - saranno infine rivalutare al 100 per cento nella fascia fino a 1.428 euro e al 45 per cento nella fascia da 1.428 a 2.380. Solo per la quota di assegno che supera quest'ultima soglia la rivalutazione sarà azzerata. L'intervento sull'indicizzazione degli assegni, che riguarderà, secondo l'Inps, 4,4 milioni di pensionati, ieri ha scatenato i sindacati, uniti nel respingere una misura che il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, ha definito "socialmente ingiusta". In questo modo, ha osservato Bonanni, si rendono "ancora più vulnerabili quei pensionati che negli ultimi quindici anni hanno già visto ridursi il potere di acquisto delle loro pensioni". Dura anche la reazione della Cgil, per cui è intervenuta la segretaria confederale Vera Lamonica: "Siamo assolutamente contrari - ha sottolineato - e ci opporremo con tutti gli strumenti della mobilitazione. È una misura inaccettabile, iniqua e vessatoria che ancora una volta colpisce gli stessi e non le grandi ricchezze. È il segno di una manovra che scarica su lavoratori e pensionati il costo del risanamento e non colpisce la ricchezza". grafici Gli effetti della manovra sul pensionamento per le donne Proteste per la nuova stretta sulle rivalutazione sono giunte anche dal fronte politico. Cesare Damiano (Pd), autore in veste di ministro del Lavoro del governo Prodi dell'ultimo intervento analogo che però riguardava gli assegni superiori otto volte il minimo, ha parlato di misura inaccettabile "che colpisce non le pensioni ricche ma quelle medie e che conferma il carattere di ingiustizia sociale di questo provvedimento". Nino Lo Presti, capogruppo di Fli in commissione Bilancio alla Camera sottolinea poi che la stretta "creerà ancora più disagio nelle fasce più deboli". E contro queste ultime "continueremo ad andare" ha sottolineato il vicepresidente dei deputati dell'Udc, Gian Luca Galletti, "almeno fino a quando non si faranno riforme vere". Secondo l'Idv, infine, "la manovra è una truffa, scarica il peso sul prossimo governo, non contiene misure strutturali, non rilancia l'economia ed offende pure i cittadini". Nel corso delle riforme del sistema pensionistico degli anni Novanta il meccanismo di indicizzazione degli assegni è stato più volte rimodulato. L'intervento più lontano nel tempo risale alla riforma Amato (1992) quando l'indicizzazione venne ridotta prima che il meccanismo venisse modificato con l'adeguamento degli assegni non più alla dinamica dei salari ma a quella dei prezzi. Qualche anno dopo (1994) il primo governo Berlusconi intervenne nuovamente, con l'aggancio della rivalutazione all'inflazione programmata. Poi fu la volta del governo Dini, che con il varo della sua riforma (legge 335/1995) realizzò il blocco generalizzato per tutte le pensioni, anche per le più basse. Infine l'ultima stretta voluta dal governo Prodi (2007) con il blocco per un solo anno degli adeguamenti delle pensioni superiori otto volte il minimo. LE PRINCIPALI MISURE PREVIDENZIALI Sale l'età di vecchiaia catterà dal 2020 il graduale aumento fino a 65 anni dell'età di pensionamento delle donne nel settore privato. Da quell'anno ci vorrà un mese in più (60 anni e un mese) per lasciare il lavoro. Poi i requisiti anagrafici vengono incrementati via via fino al 2032 Pensione e attesa di vita Dal 2014 il momento del pensionamento verrà definito, oltre che dalla finestra unica, anche sulla base dell'aspettativa di vita del lavoratore secondo le proiezioni Istat. In fase di prima attuazione questo ulteriore posticipo non potrà superare i tre mesi Rivalutazione bloccata Le pensioni più basse, fino a 3 volte il minimo, ovvero fino a 1.428 euro mensili, saranno sempre rivalutate al 100%. Le pensioni tra 3 e 5 volte il minimo saranno rivalutate al 45%. Stop alla rivalutazione per quelle oltre 5 volte il minimo. Il blocco sarà per fasce LE REAZIONI Chi si salva dalla sforbiciata I trattamenti fino a tre volte il minimo, cioè fino a un importo di 1.428 euro mensili, saranno rivalutati per intero Il numero - 2,2miliardi Il risparmio cumulato entro il 2014
2011-07-02 Tutte le novità della manovra da 47 miliardi di Marco Mobili Cronologia articolo 01 luglio 2011 ROMA - La tassa sulle transazioni finanziare dell'1,5 per mille potrebbe uscire definitivamente di scena. Così come la tassazione separata del 35% sul trading finanziario sembra essere destinata a trasformarsi in un'addizionale del 7%. Giallo, poi, per tutta la giornata di ieri sul superbollo da applicare ai Suv: Berlusconi ha confermato il ritocco al rialzo del bollo per le auto di lusso, mentre poco prima il sottosegretario all'Economia, Luigi Casero, al Tg4, annunciava che il superbollo non sarebbe entrato in manovra. E alla fine del Cdm il ministro Galan tornava a parlare del superbollo. grafici L'entità della manovra e le principali misure articoli correlati Via libera alla manovra. Berlusconi: avremo la fiducia. Tremonti: "Pareggio nel 2014 obiettivo etico" Su trading e banche meno oneri Addio Ice, la rete estera passa alla Farnesina Vedi tutti " Le scelte definitive tra le diverse ipotesi alternative messe sul tappeto ieri in Cdm saranno prese soltanto nella mattinata di oggi. Alle otto del mattino, infatti, il gabinetto del ministro Tremonti si riunirà per chiudere il lavoro sul testo del decreto legge. Il provvedimento, limature a parte, è stato approvato ieri dal Consiglio dei ministri con l'obiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014. E in serata con una nota di Via XX settembre il ministro ha precisato che "siamo già a tre quarti della strada verso il pareggio di bilancio" e che "nel decreto sono contenute tutte le norme di aumento delle entrate e di riduzione della spesa pubblica, in modo da centrare tanto su quest'anno, quanto sul prossimo triennio tutti gli obiettivi di impegno europeo". Non solo. Nel testo della nota viene ricordare che "l'avanzo primario italiano è già maggiore di quello degli altri paesi europei e continuerà a migliorare. Quanto è stato fatto in questi anni e sarà fatto nei prossimi è riportare la spesa pubblica sulla linea di sviluppo del prodotto interno lordo". Una volta sciolti gli ultimi nodi, anche la quantificazione delle misure sarà definita nel dettaglio. Da fonti del Governo, comunque, l'entità della manovra alla fine si dovrebbe attestare sui 47 miliardi complessivi: per quest'anno l'intervento sarebbe pari a circa 1,5 miliardi; 5,5 nel 2012 e 20 miliardi per ciascuno degli anni 2013-2014. Per la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale la data ipotizzata sarebbe quella di lunedì prossimo. Dopo di che la manovra approderà all'esame di Palazzo Madama per tornare alla Camera prima della pausa estiva e incassare rapidamente il via libera definitivo. La conferenza dei capogruppo di Montecitorio ha già calendarizzato al 25 luglio prossimo l'approdo in Aula del Ddl di conversione. Nel testo approdato a Palazzo Chigi, rispetto alle prime bozze fatte circolare nei giorni scorsi per il confronto politico all'interno della maggioranza, è comparsa anche una possibile alternativa al ritorno della tassa sui contratti di borsa. La rivolta degli operatori (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) sembrerebbe aver spinto l'Economia a valutare l'ipotesi di introdurre, in luogo del fissato-bollato, un possibile aumento dell'imposta di bollo applicata ai depositi titoli. La norma è tutta ancora da definire, così come la possibile addizionale, ora ipotizzata al 7%, che potrebbe sostituire il prelievo a tassazione separato del 35% sul trading finanziario ipotizzato fino ieri. LIBERALIZZAZIONE PROFESSIONI
2011-06-24 Nel 2025 ritiro posticipato di 13 mesi S.Pa.Cronologia articolo24 giugno 2011 Si vive più lungo. Si va in pensione più tardi: due o tre mesi aggiuntivi di lavoro ogni triennio. Le pensioni si annunciano, ancora una volta, come uno dei piatti forti del menu della manovra pluriennale da 43-45 miliardi alla quale sta lavorando il governo. Nel mirino sembra esserci il meccanismo che lega i requisiti anagrafici per ottenere la pensione agli incrementi della speranza di vita. Un meccanismo da molti considerato il fiore all'occhiello del sistema previdenziale italiano e che è guardato con interesse sia dalla Ue sia da molti Stati europei alle prese con il problema del controllo della spesa. Ma andiamo con ordine. Già ora è previsto che - a partire dal 2015 - i requisiti di età per accedere al pensionamento saranno adeguati ogni tre anni per tenere conto dell'aumento della speranza di vita. La legge n. 122/2010 (che ha convertito il Dl 78) ha stabilito che in fase di prima applicazione, la crescita dei requisiti non potrà superare i 3 mesi e che il secondo adeguamento, in deroga alla regola della periodicità triennale, sarà effettuato con decorrenza 1° gennaio 2019 (per uniformarne la periodicità temporale alla rideterminazione dei coefficienti di trasformazione delle pensioni). Se le anticipazioni circolare in queste ore saranno confermate, tra le possibili misure della manovra pluriennale che sarà varata la prossima settimana, ci sarà anche una norma finalizzata ad accelerare questo percorso. Il piano allo studio prevede di far debuttare il meccanismo con due anni d'anticipo, quindi nel gennaio 2013. Gli adeguamenti successivi dovrebbero poi avere cadenza triennale (in perfetta armonia con la revisione dei coefficienti di trasformazione): il secondo adeguamento nel 2106, il terzo nel 2019 e così di seguito. Le tabelle pubblicate in questa pagina provano a simulare l'impatto dell'anticipo dell'applicazione del nuovo meccanismo (si tratta solo di ipotesi, in quanto il compito di disciplinare l'adeguamento è già ora affidato a un futuro decreto dei ministeri del Lavoro e dell'Economia). Con la progressione che il nuovo meccanismo dovrebbe introdurre a partire dal 2013, servirà un anno di età in più (13 mesi, per l'esattezza) per andare in pensione nel 2025. In pratica, per ottenere la pensione di anzianità un lavoratore dipendente dovrà avere un'età di 62 anni e un mese e un autonomo iscritto all'Inps di 63 anni e un mese. Stesso incremento è previsto per l'accesso alla prestazione di vecchiaia. Naturalmente, non va scordato che questa novità si aggiungerebbe a quella in vigore dal 1° gennaio e che ha modificato le regole per la decorrenza della pensione, di allungando di fatto il periodo di permanenza al lavoro. Per il lavoratori dipendenti, infatti, l'assegno, può essere materialmente percepito solo dal 13° mese successivo al raggiungimento dei requisiti (19° mese per gli autonomi). In futuro, quindi, la permanenza al lavoro si allungherà ancora: nel 2028, per esempio, un uomo del settore pubblico raggiungerà i requisiti per l'anzianità al compimento dei 62 anni e 3 mesi, ma potrà andare in pensione solo quando avrà compiuto 63 anni e 3 mesi (il 13° mese dopo il raggiungimento del requisito).
2011-05-08 Marchionne: Chrysler a breve restituirà il prestito, interessi compresi, a Stati Uniti e Canada Cronologia articolo8 maggio 2011 In questo articolo Media Argomenti: Scuola e Università | Sergio Marchionne | Chrysler | Nelson Mandela | Canada | Fiat | Stati Uniti d'America | Toledo | ANSA Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 08 maggio 2011 alle ore 18:27. * ascolta questa pagina * * * * Marchionne: Chrysler a breve restituirà il prestito, interessi compresi, a Stati Uniti e Canada (Reuters - Rebecca Cook)Marchionne: Chrysler a breve restituirà il prestito, interessi compresi, a Stati Uniti e Canada (Reuters - Rebecca Cook) L'amministratore delegato di Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne, torna a spiegare l'evoluzione dell'alleanza tra le due aziende automobilistiche e spiega con orgoglio i risultati ottenuti soprattutto negli Stati Uniti, dopo l'accordo con la Casa Bianca. Chrysler era data per fallita - è il messaggio di Marchionne - ora è tornata in utile, anche se ancora molto c'è da fare per garantire sviluppo. In poco più di un anno e mezzo - ha spiegato Marchionne all'Università di Toledo in Ohio, dove ha ricevuto un Mba ad honorem - ha rinnovato il 75% della sua gamma e "a breve" restituirà, "interessi compresi", il prestito concesso meno di due anni fa dai governi di Stati Uniti e Canada. I risultati del primo trimestre, ha poi sottolineato, "rappresentano più di un semplice ritorno all'utile". "Abbiamo avuto successo nel lanciare 16 nuovi modelli in soli 19 mesi - ha poi spiegato - La quota di mercato sta aumentando e lunedì scorso Chrysler ha annunciato il suo primo utile netto trimestrale da quando ha iniziato a operare nel giugno 2009". "Due anni fa era stata condannata a morte da una vasta parte degli analisti finanziari, dalla stampa e dall'opinione pubblica". Ma con l'aiuto del presidente Obama "ci siamo rimboccati le maniche e lavorato per trasformarla", ha sottolineato infine Marchionne che ha comunque ammesso che molto resta "da realizzare con impegno e umiltà". foto L'assemblea degli azionisti Fiat Jobs, Profumo, Ferrero, Gates, Marchionne. Quando il manager o l'imprenditore è insostituibile Vedi tutti " articoli correlati * Chrysler, 4 modelli made in Fiat * Utili e fatturato contro vendite, il vero volto del Lingotto * Due anni per concretizzare la rimonta Vedi tutti " Con impegno e responsabilità condivise si possono anche affrontare e sconfiggere "le scandalose ineguaglianze che esistono nel mondo di oggi". Così Marchionne si è poi rivolto ai "leader del futuro", ovvero agli studenti dell'Università di Toledo che ricevono oggi il diploma. E, dopo aver fatto gli "auguri" a tutte le mamme presenti nella Savage Arena del campus in occasione della Festa della Mamma, ha spiegato agli studenti i "risultati che si possono ottenere quando ci sono obiettivi chiari, una forte motivazione e un'enorme passione". Chrysler, appunto, ne è un esempio. "Era stata sentenziata a morte due anni fa dagli analisti finanziari, dalla stampa e dal pubblico. Ma invece di accettare la sentenza, con l'aiuto della presidenza Obama, ci siamo rimboccati le maniche e lavorato per trasformarla". Marchionne, al quale è stato conferito dall'Università di Toledo un Mba ad honorem in business administration, mette in evidenza come i risultati positivi del primo trimestre rappresentano "lo spirito di decine di migliaia di persone che, dopo aver accusato la crisi, hanno trovato la forza di andare avanti" e "dell'orgoglio di Chrysler, società che è andata all'inferno ed è tornata ed è determinata a riguadagnare il giusto posto nel panorama automobilistico globale". Marchionne - riporta l'Ansa - ha citato Einstein, Nelson Mandela e un brano di Zorba il Greco di Nikos Kazantzakis. "Il potere del libero mercato in un'economia globale non è in discussione. Nessuno può fermare o alterare come il mercato si muove. E questo campo di gioco aperto è la garanzia che chiunque può competere. Ma l'efficienza non è e non può essere l'unica cosa che regola la vita. Ci sono problemi più grandi per i quali il mercato non è in grado di offrire soluzioni. Ci sono aree del mondo in uno stato di totale squilibrio, dove la povertà e la mancanza di potere di classi sociali significa che una revisione del sistema è necessaria. Il mondo che vogliamo non è qualcosa che possiamo delegare ad altri. Il futuro non è solo responsabilità dei governi, è una responsbailità individuale e collettiva, è una sfida che richiede un impegno concertato e condiviso".
2011-05-01 Sacconi: arriva una nuova riforma dell'apprendistato. Camusso: la Carta è la base del nostro futuro di Nicoletta Cottone e Claudio TucciCronologia articolo1 maggio 2011 In questo articolo Media Argomenti: Attività sindacale | Musica | Susanna Camusso | Maurizio Sacconi | Neri Marcoré | Luca Barbarossa | Eugenio Finardi | Ennio Morricone | Venezia Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2011 alle ore 15:34. * ascolta questa pagina * * * * Sacconi: arriva una nuova riforma dell'apprendistato. Camusso: la Carta è la base del nostro futuroSacconi: arriva una nuova riforma dell'apprendistato. Camusso: la Carta è la base del nostro futuro Ha preso il via in piazza San Giovanni a Roma il concertone del primo maggio organizzato da Cgil, Cisl e Uil. La ventiduesima edizione della manifestazione, che si svolge in concomitanza con la beatificazione di papa Wojtyla, ospiterà una parata di star. Una giornata all'insegna del tricolore, con tre versioni dell'inno di Mameli: la prima, tra rock e taranta affidata a Eugenio Finardi, la seconda, corale, con artisti e politici ai microfoni, la terza, orchestrale, sotto la direzione di Ennio Morricone. Ore 16,45. Satira in musica con Marcoré e Barbarossa Satira in musica al concerto del primo maggio. "Immunitaà" è il titolo della canzone cantata da Luca Barbarossa e Neri Marcoré. Sulle note di "Felicità" l'improvvisato duoreinterpreta il grande successo di Albano e Romina del 1982, ma con chiare allusioni alla vita politica attuale e agli ultimi avvenimenti. articoli correlati * Negozi aperti tra le contestazioni. A Roma presidio dei precari in via del Corso Ore 16,14. Fratelli e sorelle d'Italia benvenuti a Roma "Fratelli e sorelle d'Italia benvenuti qui a Roma", ha detto Neri Marcorè aprendo il concerto in una piazza San Giovanni gremita. Il conduttore ha ricordato che "oggi è la festa del lavoro e l'Italia è una Repubblica fondata sul...",chiedendo al pubblico di migliaia di giovani in piazza la risposta: "lavoro". "Siamo in periodo di par condicio e quindi se si parla di uno si deve parlare anche dell'altro.Così se dico Sudtirolo devo dire Quarticciolo, e se dico San Giovanni devo dire allora tutte le altre piazze con tutti i nomi. Lasciamo quindi da parte tutto e festeggiamo e cantiamo e siamo felici". Marcorè ha ricordato che è "un primo maggio speciale perché dedicato all'Unità d'Italia". Ore 13,22. Sacconi: in arrivo la riforma dell'apprendistato Ha atteso il Primo Maggio, il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, per annunciare la nuova riforma per il contratto di apprendistato, che - ha detto parlando a Venezia - sarà presentata la prossima settimana. "La nuova riforma per l'apprendistato unisce apprendimento e lavoro - ha spiegato il ministro - le famiglie verranno informate ogni tre mesi sui vari percorsi che possono essere utili ai figli, in modo da canalizzare dove possibile gli studi". In cambio, ha proseguito Sacconi, "noi ai giovani chiediamo di accettare il loro primo lavoro anche se è lontano dai loro sogni e dalle loro aspettative, dobbiamo riconoscere dignità ad ogni lavoro". Un accenno poi alle difficoltà di Vinyls, l'industria chimica di Porto Marghera: "ci sono tavoli in piedi - ha detto - la mia attenzione sarà massima". Ore 12,30. Camusso: la Costituzione è la base del nostrio futuro "Divisi i sindacati sono più deboli": così la leader della Cgil, Susanna Camusso, ha aperto una Festa del Lavoro nel segno dell'invito alla coesione rivolto ieri ai sindacati dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Camusso ha anche ricordato l'importanza della Costituzione. "La storia del nostro Paese è fondata sul lavoro - ha detto - e per questo l'articolo 1 della Costituzione non può essere cambiato: è lo specchio della nostra storia ed è la base del nostro futuro". La Camusso ha anche evidenziato che "bisogna cambiare un'agenda politica che scarica i problemi della crisi su lavoratori, pensionati, giovani". E ha aggiunto: "Se diciamo che non bisogna rassegnarsi, dobbiamo dire anche che cambiare è possibile". Ore 12. Bonanni: essere uniti per sostenere l'economia L'unità sindacale è un fattore importante perchè "è necessaria se si vuole sostenere l'economia", ha rilanciato Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. Che ha aggiunto: Festeggiamo anche qui a Marsala il Papa operaio, uno scavatore di pietre che ha fatto tanto al lavoro e ai giovani". Bonanni ha ricordato: "Risuonano ancora le sue parole sul sindacato. È stato un uomo che si è battuto tutta la vita per dare dignità al lavoro". Ore 10,45. Angeletti: individuare obiettivi comuni Per il leader della Uil, Luigi Angeletti l'unità sindacale è l'unità "delle persone che lavorano". Lo scontro, ha aggiunto, "non risolve nulla, non risolve i nostri problemi": per questo, spiega, per lavorare nell'interesse del Paese e dei lavoratori "dobbiamo ritrovare una maggiore unità e la capacità di individuare obiettivi comuni".
2011-04-16 Landini: la Fiom ricorrerà in tribunale contro le newco Fiat Cronologia articolo16 aprile 2011Commenta In questo articolo Media Argomenti: Tribunali e organi della giustizia | Sergio Marchionne | CGIL | Fiat | Torino | Fiom | Maurizio Landini Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2011 alle ore 13:26. * ascolta questa pagina * * * * Maurizio Landini (Agf)Maurizio Landini (Agf) "La prossima settimana, molto probabilmente già lunedì, la Fiom nazionale depositerà a Torino un'azione legale nei confronti della Fiat". Lo ha annunciato il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, nel corso di una conferenza stampa, in occasione dell'assemblea nazionale dei delegati della Cgil. Due sono le principali ragioni, la costituzione delle newco da parte del Lingotto violerebbe norme italiane ed europee e avrebbe carattere antisindacale "volta a estromettere la Fiom". articoli correlati * Gli imprenditori che fanno un affare quando si ricomprano le aziende di famiglia * Tremonti: dobbiamo fare di più ma l'Italia sta meglio di altri. La produzione dipende anche dagli industriali * Marcegaglia: sì al confronto, no alla marcia indietro sui contratti Vedi tutti " Sulla trattativa per l'ex Bertone Landini ha poi spiegato che la Fiom andrà all'incontro sulla vertenza per lo stabilimento Fiat di Grugliasco (ex Bertone) tra l'amministratore delegato Sergio Marchionne e i sindacati se la riunione "sarà confermata, come è stato annunciato". È quanto ha fatto sapere il segretario generale dei metalmeccanici della Cgil nel corso di una conferenza stampa in occasione dell'Assemblea nazionale dei delegati della Cgil, aggiungendo che l'incontro rappresenta "un elemento di novità", e ha aggiunto "andremo a questo tavolo e ascolteremo". Anche, ha sottolineato Landini, il sindacato è in attesa di conoscere orario e luogo ufficiale dell'incontro.
La Fiat vara la "newco" Cronologia articolo28 luglio 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 28 luglio 2010 alle ore 08:07. * * * * Si chiama Fabbrica Italia Pomigliano spa ed è stata iscritta il 19 luglio al Registro imprese della Camera di commercio di Torino. È la newco che dovrà assorbire i dipendenti destinati a produrre dal 2011 la Panda con un nuovo contratto di lavoro. La società è controllata al 100% da Fiat partecipazioni e ha come amministratore delegato Sergio Marchionne. Il manager, che domani vedrà i sindacati, parteciperà oggi al tavolo convocato dal ministro del Lavoro Maurizio Sacconi per discutere dell'ipotesi di trasferimento da Mirafiori alla Serbia della futura monovolume L0. Su questo punto il ministro afferma che "la partita è ancora aperta" e auspica che non si arrivi a "scelte unilaterali". Tra le ipotesi al vaglio di Fiat, la non iscrizione della newco al sistema confindustriale e quindi la possibilità di non aderire al contratto dei metalmeccanici. Sembra allontanarsi, invece, la possibilità che il gruppo intero esca da Federmeccanica. Il vertice di Confindustria è al lavoro con Marchionne per trovare una soluzione.
Thyssen, fu omicidio volontario, Il pm Guariniello: svolta epocale. La società: sentenza incomprensibile di Marco FerrandoCronologia articolo16 aprile 2011Commenta In questo articolo Media Argomenti: Giustizia | Francesca Traverso | Cesare Zaccone | Laura Longo | Antonio Boccuzzi | Gian Carlo Caselli | Cosimo Cafueri | Gerald Priegnitz | Torino Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2011 alle ore 09:33. * ascolta questa pagina * * * * I parenti delle vittime in aula durante l'udienzaI parenti delle vittime in aula durante l'udienza Omicidio volontario per l'amministratore delegato, omicidio colposo per i cinque dirigenti Thyssenkrupp. Con questa sentenza si è chiuso, ieri sera a Torino, il primo grado del processo Thyssen, a 1.226 giorni dall'incendio che nella notte del 6 dicembre 2007 uccideva sette operai al lavoro nella linea cinque dell'acciaieria del gruppo tedesco. Un episodio che, secondo la Corte d'Assise di Torino, non fu un incidente ma un vero e proprio omicidio commesso con dolo eventuale da Herald Espenhahn (l'ad condannato a 16 anni e mezzo di reclusione) e colposo per gli altri cinque dirigenti (Marco Pucci, Cosimo Cafueri, Giuseppe Salerno, Gerald Priegnitz e Daniele Moroni), ai quali sono andate condanne comprese tra i 10 e i 13 anni. La Corte ha accolto in toto le richieste dell'accusa, e nel caso di Daniele Moroni, le ha addirittura ritoccate all'insù, aumentando la pena dai 9 anni richiesti a 10 anni e 10 mesi. In totale, gli anni di reclusione previsti dalla sentenza sono 81 più 8 mesi, ai quali vanno aggiunti risarcimenti a sei zeri per le parti civili: due milioni e mezzo a Regione Piemonte, Comune e Provincia di Torino, 400mila euro ai sindacati Fim-Fiom-Uilm e Cub, 100mila a Medicina democratica, oltre tre milioni ai parenti e agli ex colleghi delle vittime (in totale circa 7 milioni). Non solo: la Corte ha anche previsto che la sentenza venga pubblicata su alcuni quotidiani nazionali e affissa nel comune di Terni, dove ha sede l'azienda. articoli correlati * Dall'inferno in fabbrica alle condanne: la vicenda ThyssenKrupp * Rogo Thyssen: fu omicidio volontario. L'ad condannato a 16 anni e mezzo di reclusione * Thyssen, la Fiom denuncia: "Chi lascia l'azienda costretto a rinunciare ai ricorsi" Vedi tutti " "Una sentenza incomprensibile e inspiegabile" per la Thyssenkrupp, "una sentenza storica" per il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, che ha ricordato come si tratti della prima volta in cui viene ammesso il dolo, per quanto eventuale, e dunque l'omicidio, in un caso di morte sul lavoro. "Si tratta - ha aggiunto – del salto più grande di sempre in tutta la giurisprudenza in materia di incidenti sul lavoro. Questa pronuncia deve fare sperare i lavoratori e far pensare gli imprenditori". Guariniello ha sostenuto l'accusa insieme alle colleghe Laura Longo e Francesca Traverso. Così come preannunciato dalla presidente della Corte, Maria Iannibelli, la sentenza è arrivata poco dopo le 21: in aula c'erano circa 200 persone, per lo più parenti delle vittime ed ex colleghi, tra i quali il deputato Antonio Boccuzzi, unico operaio sopravvissuto all'incendio e testimone chiave durante il processo ("avevamo l'esigenza di questo risarcimento morale"). Presente anche il procuratore capo Gian Carlo Caselli e il team della Procura per scaramanzia seduto negli stessi posti occupati durante le 90 udienze del processo. La lettura della lunga sentenza, prima con le condanne e poi con l'elenco delle parti civili ha richiesto oltre mezz'ora, durante la quale il pubblico ha rispettato quel clima composto che i giudici avevano chiesto in mattinata. Appena uscita la corte, poi, un lungo applauso liberatorio, al quale si è aggiunto quello delle altre persone che aspettavano fuori dal palazzo di giustizia. "Diciamo che una condanna non è mai una vittoria - ha commentato ancora Guariniello - né una festa, però questa condanna può significare molto per la salute e la sicurezza dei lavoratori". "Siamo totalmente insoddisfatti, vedere cose di questo tipo è sconsolante", ha commentato invece Cesare Zaccone, avvocato della difesa. A chi gli chiedeva che cosa possa aver influito sulla decisione dei giudici, l'avvocato ha allargato le braccia e rivolto all'aula gremita di parenti, telecamere, fotografi e giornalisti, ha detto: "Tutto questo". Circa le intenzioni della difesa, il legale ha poi spiegato che sicuramente ricorreranno in appello, anche se "non credo otterremo molto di più". Ha parlato di sentenza forte che rende giustizia alle famiglie", Piero Fassino, candidato del centrosinistra a sindaco di Torino. "So - ha detto - che questa sentenza non potrà riportare Rocco, Angelo, Antonio, Rosario, Bruno, Roberto e Giuseppe ai loro cari ma so anche che essa potrà restituire ai familiari e ai loro compagni di lavoro un senso di giustizia". Sulla stessa linea il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino: "è una sentenza commisurata alla gravità del fatto, destinata a diventare giurisprudenza". E il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota: "I piemontesi sentono ancora il dolore di quella tragedia e in questo giorno sono vicini alle famiglie delle vittime. È importante che sia arrivata una sentenza in un tempo ragionevole pur in un processo così complesso". Mentre per Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, "si indica un nuovo sistema con cui fare indagini e affrontare il tema. Questo richiede un impegno ulteriore di tutto il sindacato".
Mercedes Bresso: vidi le vittime morire. È una sentenza di portata storica Cronologia articolo16 aprile 2011Commenta In questo articolo Argomenti: Giustizia | Mercedes | Bresso Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2011 alle ore 16:48. * ascolta questa pagina * * * * Quella sul rogo della Thyssen "è una sentenza storica perchè per la prima volta si riconosce che il non aver fatto gli investimenti necessari alla sicurezza ha messo in grave rischio coloro che lavoravano in quel momento nella fabbrica". Lo ha detto ai microfoni di CNRmedia, Mercedes Bresso, governatore del Piemonte all'epoca dell'incidente nello stabilimento. "Credo - ha aggiunto Bresso - che sia un segnale di attenzione della magistratura e della giustizia al lavoro, in un momento in cui anche i fatti giapponesi ci dimostrano quanta poca attenzione si faccia ai temi della sicurezza, malgrado le leggi, malgrado le norme che derivano dalla tragica vicenda di Seveso". "All'inizio - racconta Mercedes Bresso ricordando i giorni della tragedia - c'era solo un morto ma si sapeva che c'erano dei feriti gravi. Andai personalmente nei diversi ospedali torinesi, soprattutto al CTO. Ho visto queste persone ancora vive, ho visto si fa per dire, perchè erano bendate e al di là di un vetro - precisa l'ex governatrice - e ho assistito purtroppo alla morte di tutti e alla lotta disperata dei medici per salvarli".
Sommerso, un freno da 120 miliardi. Nel 2010 meno evasione grazie a maggiori controlli e redditometro di Marco Mobili e Dino PesoleCronologia articolo16 aprile 2011 In questo articolo Argomenti: Pil | Mario Draghi | Italia | Inps | Agenzia Entrate | Confindustria | Istat | Germania | Francia Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2011 alle ore 11:15. L'ultima modifica è del 16 aprile 2011 alle ore 11:16. * ascolta questa pagina * * * * Il fisco frena la crescita? Questione fondamentale, decisiva per un Paese che da un decennio è inchiodato a ritmi di crescita tra lo 0 virgola e l'1% o giù di lì. La pressione fiscale nel 2010, ha certificato l'Istat, è risultata pari al 42,6% del Pil, mezzo punto in meno rispetto al 43,1% del 2009, ma non vi è da farsi molte illusioni perché, stando alle ultime stime del Governo, aggiornate con il nuovo Def, si scenderà al 42,5% a fine 2011, per poi risalire al 42,7% nel 2012 e tornare nuovamente al 42,6% nel 2013 e al 42,5% nel 2014. Potrebbe andare diversamente con un debito pubblico che viaggia verso il 120% del Pil e che assorbirà quest'anno il 4,8% del Pil, vale a dire oltre 70 miliardi di spesa per interessi? In realtà, il problema non è tanto nel livello complessivo della tassazione, quanto nella distribuzione del carico fiscale per categorie di contribuenti. I dati parlano chiaro: l'incidenza reale su quanti pagano integralmente imposte e contributi è del 51,4 per cento. Siamo tre punti sopra la media di eurolandia come pressione fiscale complessiva (quella fotografata dalle statistiche ufficiali, ovviamente). Da elaborazioni del Centro studi di Confindustria su dati della Commissione europea, risulta che nel 2009, ultimo anno utile per le comparazioni internazionali, siamo al sesto posto dopo Danimarca (49%), Svezia (47,8%), Belgio (45,3%), Austria (43,8%) al pari della Francia e sopra Paesi del calibro della Germania (40,7%) e Regno Unito (36,2%). L'imposizione fiscale complessiva sulle imprese, stando ad alcune recenti simulazioni, si attesta da noi al 58%, contro il 43% della Germania, il 40% della Gran Bretagna e il 29% della Spagna. La Francia è al 60 per cento. Riccorriamo all'abusato, ma sempre valido refrain: chi paga per intero le imposte deve sostenere una sorta di tassa aggiuntiva, occulta, per colmare quell'imponente buco di gettito provocato da chi al contrario si sottrae, con i mille espedienti dell'italico ingegno, al dovere fiscale. Si tratta di 120-125 miliardi l'anno, l'equivalente di 4-5 manovre correttive, con un sommerso che i dati Istat fotografano tra il 16,3 e il 17,5% del Pil: ai valori attuali dai 255 ai 275 miliardi. L'evasione della base teorica dell'Iva è del 28,8 per cento. Peggio di noi (dati 2006) c'è solo la Grecia con il 30,2%, mentre il gettito totale evaso equivale al 2,3% del Pil. Sarebbe ingeneroso ignorare che negli ultimi anni, per l'effetto congiunto dell'incremento dei controlli e dell'affinamento dell'attività di riscossione, tornata sotto l'ombrello pubblico di Equitalia, i risultati annuali della lotta all'evasione siano incoraggianti. Gli ultimi dati si riferiscono al 2010 e ammontano a 25 miliardi di maggiori incassi. Di questi, 10,5 miliardi sono frutto di contrasto all'evasione fiscale vera, con il potenziamentio del redditometro e la caccia ai tesori nascosti nei paradisi fiscali. Altri 6,6 miliardi sono in realtà minori uscite per l'erario, perché frutto della stretta sulle compensazioni indebitate avviata nel gennaio 2010, che sta dando risultati incoraggianti. A tali importi vanno aggiunti 1,9 miliardi di maggiori incassi garantiti da Equitalia e, nel contrasto al sommerso, vanno considerati anche i 6,4 miliardi recuperati dall'Inps sul fronte contributivo. Risultati apprezzabili, ma la realtà offerta dai dati del ministero, relativi all'anno di imposta 2009, confermano che la strada è ancora lunga e tortuosa. Emerge che si è appena cominciato ad aggredire il moloch: il 49,07% (20,4 milioni di soggetti) dichiara redditi Irpef inferiori a 15mila euro l'anno e il 41,3% (circa 17 milioni) dichiara redditi tra i 15mila e i 35mila euro. Il 90,2% dei contribuenti dichiara meno di 35mila euro, e solo lo 0,17% dichiara redditi superiori a 200mila euro. La radiografia più recente dell'Agenzia delle Entrate sull'evasione mette in luce che il contribuente evade in media 17,87 euro ogni 100 euro d'imposta versati al Fisco. Se si escludono redditi di lavoro dipendente, pensioni, interessi sui BoT e conti correnti, il peso dell'evasione sul dichiarato arriva a 38,41 centesimi. In questo contesto, facciamo senz'altro nostre le considerazioni di Mario Draghi alla Cattolica di Milano del 21 marzo scorso: aumentare le aliquote fiscali è fuori discussione. Comprometterebbe l'obiettivo della crescita, sottoporrebbe i contribuenti onesti a un'insopportabile vessazione. Le aliquote andrebbero diminuite, man mano che si recuperano evasione ed elusione. "Non resta che il controllo della spesa, ma un controllo selettivo, orientato dalla distinzione fra ciò che favorisce la crescita e ciò che la ostacola. Scelte politiche sagge non possono che poggiare su una valutazione capillare degli effetti anche macroeconomici di ogni voce di spesa". Gli squilibri del prelievo pesano su impresa e lavoro. Se guardiamo al cuneo fiscale e contributivo, osserviamo come pesi al 109,9% della retribuzione netta, contro il 103,6% della Germania, il 96,9% della Francia e il 48,1% del Regno Unito. Ma c'è una parte dell'economia italiana che non ha subìto gli effetti della recessione. Dopo la lenta flessione del 2001-2007, la quota del sommerso sul Pil dell'economia nascosta (shadow economy nei confronti internazionali) è tornata a salire nel 2008 (ultimo dato disponibile) al 16,9 per cento. Secondo l'analisi del Centro studi Confindustria dell'autunno scorso, l'incremento "è bruscamente accelerato nel 2009", tanto che il peso del sommerso ha superato il 20% del Pil. Dunque, il valore reale dell'evasione va proiettato su dimensioni superiori ai 120 miliardi delle stime ufficiali.
2011-04-14 Marcegaglia: sì al confronto, no alla marcia indietro sui contratti Cronologia articolo14 aprile 2011 In questo articolo Media Argomenti: Imprese | Cisl | Uil | Emma Marcegaglia | Susanna Camusso | CGIL | Confindustria Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 17:27. * ascolta questa pagina * * * * Sì al confronto, ma no a marce indietro sui contratti. Così il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, dopo l'incontro di oggi con il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. La proposta della Cgil, che è in via di definizione, "la stiamo studiando - ha detto Marcegaglia - Ci sono alcuni punti su cui loro non amano la logica delle deroghe, parlano di contratti più sottili, i temi sono leggermente diversi. L'incontro è un momento di riflessione L'incontro di oggi, ha tenuto a sottolineare poi la presidente degli industriali a margine della pre-assise che si è svolta oggi in Unindustria in vista della assise del 7 maggio a Bergamo di Confindustria e Piccola industria, "fa parte di incontri che noi abbiamo regolarmente, ovviamente con Cisl e Uil, con Cgil, con altre associazioni d'impresa e con l'Ugl. Non c'è niente di particolare, è solo un momento di riflessione. Loro hanno fatto una proposta di revisione degli assetti contrattuali e stiamo ragionando sulla rappresentanza che rimane un tema aperto sul quale vorremmo arrivare ad un accordo, non c'è niente di straordinario. Normali rapporti che teniamo con tutti". Unire le forze in un momento di difficoltà del Paese Confindustria, ha rilevato Marcegaglia, sta valutando la proposta di Corso Italia sulla riforma contrattuale. "La stiamo studiando - ha detto la presidente degli industriali - ci sono alcuni sui quali é in corso il dibattito: la Cgil non ama delle deroghe, parlano di contratti più sottili. I temi sono leggermente diversi. È in corso una riflessione - ha concluso - noi non siamo interessati a separazioni, siamo interessati a cercare, invece, in un momento di difficoltà del Paese, di unire le forze, ovviamente non possiamo tornare indietro rispetto a quello che abbianmo fatto e tutte le mosse che abbiamo fatto in questi tre anni". articoli correlati * Marcegaglia: bene le reti d'impresa. Tremonti: la solitudine degli industriali è durata pochi giorni * Marcegaglia: preoccupati da interventismo dello Stato in economia * Marcegaglia: l'Italia è un Paese diviso, gli imprenditori si sentono soli come mai
La solitudine delle imprese è una richiesta per la crescita La solitudine delle imprese "non é certo una richiesta di aiuto ma é invece una richiesta di politica per la crescita che riguarda il Governo e tutti noi", ha detto la numero uno degli industriali in merito al dibattito sulla solitudine delle imprese innescato nei giorni scorsi dalle dichiarazioni della leader degli industriali. "Il tema della solitudine - ha spiegato interpellata a margine dell'incontro preparatorio con gli imprenditori di Lazio, Abruzzo e Molise per le Assise generali di Confindustria e piccola industria - non vuol dire che noi cerchiamo protezione, anzi ci sono tante energie e competenze e dobbiamo fare molto per migliorarci. Quello che ci serve é levarci alcuni pesi che non ci permettono di essere sufficientemente competitivi. Non chiediamo aiuti chiediamo che alcuni elementi per favorire la crescita vengano finalmente fatti: parliamo di semplificazione, di una attenzione alla ricerca e all'innovazione, di fare partire i finanziamenti per le infrastrutture in una logica di rispetto ed equilibrio dei conti pubblici che abbiamo sempre appoggiato". Secondo Marcegaglia é necessario tornare a parlare di crescita: "Mi sembra - ha concluso - che il dibattito si é riacceso su questo punto e se ho contribuito a farlo mi fa piacere di averlo fatto".
Ai top manager italiani un assegno post crisi da 300 milioni di euro CLASSIFICA 2010
Banche italiane puntano a dividendi alti, come e forse più di prima. Lo dicono al Ft Passera (Intesa) e Vigni (Mps) di Elysa FazzinoCronologia articolo14 aprile 2011 In questo articolo Argomenti: Banco Popolare | Banca del Monte dei Paschi di Siena | Ubi Banca | Ft Passera | Intesa Sanpaolo | Andrea Enria | Giulio Tremonti | Mario Draghi | Banca d'Italia Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 13:54. * ascolta questa pagina * * * * Nella foto l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera (Agf)Nella foto l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera (Agf) Le banche italiane intendono tornare a pagare dividendi agli stessi livelli raggiunti prima della crisi finanziaria, o a livelli "anche più alti". Lo hanno detto al Financial Times, in due interviste separate, l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, e il direttore generale di Monte dei Paschi di Siena, Antonio Vigni. "Ribaltando la strategia" dei dividendi affermata fino a pochi mesi fa, i banchieri hanno affermato che, una volta incamerati i fondi delle emissioni azionarie, riprenderanno a distribuire in dividendi la metà o più degli utili annuali. "Non ci sono restrizioni", ha detto Passera al Ft. "In questo mondo incerto è importante prendere impegni sui dividendi. Saranno molto alti, superiori al 50%". Vigni ha detto che i dividendi saranno "in linea" con il "payout ratio" del 40-50% di prima del 2008, "tra i più alti pagati dalle banche globalmente", precisa il Ft. Soltanto sei mesi, fa notare il Ft, le banche italiane erano "rassegnate" all'idea che avrebbero dovuto dimezzare il rapporto dividendi-utili, in seguito alle pressioni della Banca d'Italia, che sollecitava il taglio dei dividendi per rafforzare il capitale trattenendo gli utili. Ma la posizione della Banca d'Italia, guidata da Mario Draghi, e del ministro dell'Economia Giulio Tremonti è cambiata, spiega il quotidiano britannico. Entrambi hanno aumentato le pressioni sulle banche affinché si adeguino agli standard sui capitali richiesti da Basilea III, che ufficialmente entrano pienamente in vigore nel 2019. In una sorta di "effetto domino", sono così arrivati annunci di aumenti di capitale da parte delle quattro principali banche italiane: dall'inizio dell'anno – osserva il Ft - Banco Popolare, Ubi Banca, Intesa e Mps hanno annunciato raccolta di capitale per un importo complessivo di 10,5 miliardi di euro. Fino a poco tempo fa, Passera sosteneva che Intesa non aveva bisogno di emissioni azionarie. Ma – si legge - il messaggio delle autorità italiane ed europee, oltre che di buona parte dei mercati, era quello di arrivare presto al nuovo livello di capitale considerato "normale". Passera ha segnalato anche che i capitali ottenuti dalla vendita o da offerte pubbliche di società partecipate come Fideuram potranno essere utilizzati per finanziare acquisizioni. L'ad di Intesa si aspetta che tali vendite porteranno 5 miliardi di euro nei prossimi anni. Non avendone più bisogno per rafforzare il capitale, guarderà ad acquisizioni nell'Est europeo (Polonia) e nel Mediterraneo (Egitto). Nell'intervista, Passera è, secondo il Ft, "restio" a precisare quando sono arrivate le pressioni da parte di personaggi come Draghi, Tremonti e Andrea Enria, il presidente italiano dell'Autorità bancaria europea. Ma ammette che è stato "solo nelle ultime settimane". Le banche italiane, ricorda il quotidiano, hanno registrato un ristagno dei prezzi azionari in parte a causa dei capital ratio non in linea con i rivali europei, in parte a causa delle deboli prospettive di crescita italiane. Passera ritiene che il suo piano strategico triennale affronti anche queste preoccupazioni. E, a proposito delle statistiche sulla crescita, osserva: "L'Italia non esiste". Le nove regioni in testa, dove la banca ha il 60% del proprio business, "se fossero un paese sarebbe in cima alle classifiche europee". L'ad di Intesa sottolinea la necessità di investire almeno 100 miliardi di lire nei prossimi cinque anni nelle infrastrutture italiane. Parlando al Financial Times, Passera inoltre difende la propria ricerca di una "soluzione italiana" per Parmalat, importante quando un'impresa si trova al termine di "una lunga catena di imprese rilevanti in termini di occupazione".
Montezemolo a Tremonti: "Visti i dati sulla mancata crescita c'è poco da ironizzare" Cronologia articolo14 aprile 2011Commenta In questo articolo Argomenti: Politica | Emma Marcegaglia | Luca Cordero di Montezemolo | Giulio Tremonti Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 12:59. * ascolta questa pagina * * * * "C'è poca ironia da fare vista la situazione di mancata crescita e di mancate iniziative di politica economica". Così Luca Cordero di Montezemolo commentando la battuta di Giulio Tremonti sugli industriali rimasti soli. "È meglio metterci tutti con meno battute e invece impegnarci di più per avere più risultati. Condivido totalmente l'opinione di Emma Marcegaglia per quanto riguarda gli industriali". "Il paese reale sta reagendo e si sta dando da fare" Presentando oggi a Roma un accordo per una iniziativa di solidarietà a sostegno della ricerca, Montezemolo ha detto che "c'è un paese reale che sta reagendo e si sta dando da fare". Alla domanda di alcuni cronisti su quanta distanza vi sia tra il paese reale e quello che si sta discutendo in Parlamento, Montezemolo ha risposto che "iniziative come queste dimostrano che c'è un paese che ha voglia di fare e non di occuparsi solo degli affari propri - ha continuato -. Sono quelli che chiamo gli italiani ignoti, che sono la grande forza di questo paese, malgrado una politica sempre più lontana dai problemi, dalle esigenze vere e da scelte coraggiose che bisogna assolutamente fare per guardare al futuro, a cominciare da non trascurare la ricerca".
Affari americani di Finmeccanica di Claudio GattiCronologia articolo14 aprile 2011 In questo articolo Media Argomenti: Imprese | PDL | Eni | Jeffrey Smith | Stati Uniti d'America | Juventus | Giuseppe Orsi | Stefano Ricucci | Pierfrancesco Pacini Battaglia Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 10:22. L'ultima modifica è del 14 aprile 2011 alle ore 10:22. * ascolta questa pagina * * * * Affari americani di Finmeccanica. Nella foto Pierfrancesco Guarguaglini, presidente di Finmeccanica, e la moglie Marina Grossi, ad di SelexAffari americani di Finmeccanica. Nella foto Pierfrancesco Guarguaglini, presidente di Finmeccanica, e la moglie Marina Grossi, ad di Selex Questa è la storia di un manager di Stato e di due faccendieri. Non un manager qualsiasi, né due faccendieri come tanti altri. Ognuno dei tre, a modo suo, un fuoriclasse. Cominciamo con il manager: sposato, tre figlie, tifosissimo della Juventus, Pier Francesco Guarguaglini - Piero per gli amici - a 74 anni è stato appena confermato alla presidenza di Finmeccanica, la sesta maggiore azienda italiana. Da tempo è uno dei manager più pagati e potenti d'Italia. Tra stipendi, bonus e incentivi negli ultimi sette anni ha accumulato quasi 25 milioni di euro. Cavaliere del Lavoro, insignito della Légion d'Honneur francese e membro della Giunta di Confindustria, è stato amministratore delegato di Oto Melara e di Fincantieri, e dall'aprile 2002 è presidente e amministratore delegato di Finmeccanica (carica che cederà a Giuseppe Orsi). Veniamo ai faccendieri. Due persone molto diverse per età e stile ma che in comune hanno il rapporto con Guarguaglini. E la tecnica di arricchirsi creando scatole vuote da "riempire" con commesse di Finmeccanica. Uno si chiama Pierfrancesco Pacini Battaglia, detto Chicchi, e fu uno dei protagonisti di Mani Pulite. Definito dai giudici "il banchiere un gradino sotto a Dio", è stato condannato a sei anni nella vicenda dei fondi neri Eni. A lui dedicheremo la puntata di domani. articoli correlati * Appalti Enav, nuova ordinanza di custodia cautelare per Lorenzo Cola e un imprenditore romano * Quei lavori mai eseguiti a Punta Raisi Oggi ci occupiamo dell'altro, Lorenzo Cola, detto Lollo, che per Guarguaglini è stato a lungo qui in America, tra New York e Washington. Quarantacinque anni, giubbotto di pelle e tatuaggio sul collo del genere guerrieri maori, a Dio non si è mai avvicinato e non è un banchiere, anche se il suo know how è quello di muovere denaro dietro le quinte. Per ben tre volte le sue attività sono emerse in altrettante inchieste giudiziarie in Italia: una archiviata, una pendente e la terza che ha portato prima al suo arresto e poi alla sua condanna. Accusato di riciclaggio internazionale in concorso con Gennaro Mokbel, presunto capo dell'associazione per delinquere dell'inchiesta Telecom Sparkle/Fastweb, il 21 marzo scorso ha patteggiato una pena di 3 anni e 4 mesi. Dopo il suo arresto, nel luglio scorso, il presidente e ad di Finmeccanica ha ammesso di avere rapporti con lui, ma lo ha indicato come un semplice "consulente" portato da Ernst & Young e non persona di sua fiducia. In un comunicato del 10 gennaio 2011, Finmeccanica ha spiegato che "il suo ruolo era essenzialmente limitato a una pur importante acquisizione sul mercato americano e non il millantato ruolo di "consulente globale"". Il riferimento è all'acquisto della Drs, la società americana comprata da Finmeccanica nel maggio 2008 per 3,4 miliardi di euro, la più ambiziosa acquisizione della storia del gruppo, fatta nella patria delle maggiori aziende militari del mondo. Per questa operazione Il Sole 24 Ore ha appurato che Guarguaglini si affidò a Lorenzo Cola, persona senza arte né parte e priva di qualsiasi professionalità riconosciuta.
La crescita e le risposte che il Paese esige di Guido GentiliCronologia articolo14 aprile 2011 In questo articolo Argomenti: Imprese | Confindustria | Mario Draghi | Giulio Tremonti | CGIL | Luca Ricolfi | Emma Marcegaglia | Fiat | Italia Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 10:23. L'ultima modifica è del 14 aprile 2011 alle ore 10:23. * ascolta questa pagina * * * * Crescita, parola facile e scomoda. Facile perché sulla bocca di tutti da una quindicina d'anni, oggetto di innumerevoli analisi, programmi e promesse politiche. Scomoda perché quando provi ad afferrarla ti ritrovi, se va bene, con uno zero-virgola (o un uno-virgola) in mano. Poco Pil, poca crescita, meno consumi, molto fisco e stipendi bassi, economia intorpidita. Insomma un Paese fiacco, adagiato sui ricordi degli anni ruggenti del "miracolo", ma più capace, ecco il problema, a dividersi che a unirsi su pochi, fondamentali punti. Le cifre e le indicazioni presentate dal Governo confermano quanto il tema della crescita sia scomodo. Le previsioni viaggiano al ribasso: il Pil crescerà quest'anno dell'1,1%, nel 2012 dell'1,3% e nel 2013 dell'1,5%. Troppo poco, a fronte peraltro di un debito pubblico che resta inchiodato attorno al 120% del Pil. È vero che il debito privato delle famiglie (indicatore che peserà nelle valutazioni di Bruxelles) è quasi la metà di quello della media Ue (44,4% rispetto ad 82,3%). Ed è altrettanto vero che il debito delle imprese non finanziarie, a conferma della solidità di fondo del sistema, è pari all'83,8% contro il 120,8% della media europea. Infine, come non considerare positivo il fatto, certificato dal Fondo monetario, che la spesa pubblica è scesa sotto quota 50% del Pil e che finalmente ricompare (+0,2%) un avanzo primario al netto degli interessi sul debito? Tutto questo è vero, "ma". Nessuna illusione, spiega il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Non c'è alternativa tra rigore e crescita, il principio della prudenza fiscale non è temporaneo ma è la politica necessaria per gli anni a venire. Dunque, è il messaggio, se ne facciano tutti una ragione: gli altri ministri, la maggioranza, il Parlamento tutto, le parti sociali. C'è spazio (a costo sostanzialmente zero) per ridurre le strozzature che frenano l'economia e per altri tagli, non per finanziare una ripresa in deficit. Saranno i frutti del piano-riforme (Sud, infrastrutture, incentivi dai fondi europei in prima battuta, lavoro, pensioni, fisco, sanità e federalismo da qui al 2020, come previsto dall'agenda europea) a rimettere in carreggiata l'Italia. Ragionevole. Di più: doveroso, se qualcuno ancora pensa che un'allegra politica pubblica di sostegno possa essere messa in campo avendo già sulle spalle il terzo debito pubblico del mondo in uno scenario internazionale minato dalle incertezze. Ma dobbiamo chiudere qui ogni altro discorso? Visto che la stagione della bassa crescita non accenna ad esaurirsi, è altrettanto ragionevole chiedersi (lo ha fatto ieri il Governatore Mario Draghi) come ritrovare le nostre capacità di sviluppo, quelle stesse sperimentate con impareggiabile determinazione nel secondo dopoguerra. In questo caso il metodo viene prima dei numeri. Su "La Stampa" il professor Luca Ricolfi, commentando il richiamo della presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, sulla "solitudine" delle imprese, si è domandato se si può tornare a crescere riproponendo uno schema d'analisi sul quale tutti sono d'accordo da molti anni. Anche se poi la medicina non viene somministrata al malato Italia. Non sarà, osserva Ricolfi, perché mancano le priorità e perché lo stesso mondo delle imprese non fa una battaglia vera, fatta di obiettivi concreti? In un Paese dove la cultura del mercato è stata storicamente avversata e dove la scena e il restroscena politici continuano a occupare un po' tutti gli spazi del confronto pubblico ostacolando qualsivoglia soluzione pragmatica, l'osservazione è più che pertinente. Tanto è vero che il "mondo delle imprese", pur con tutti i suoi oggettivi limiti (aziende troppo piccole e sottocapitalizzate) sul terreno che gli è proprio è riuscito sempre nel miracolo della crescita. Nel passato ormai remoto, quando era schiacciato dal peso devastante delle partecipazioni statali; l'altro ieri, quando con l'avvento dell'euro è venuta meno la pratica delle svalutazioni competitive; ieri quando, a seguito della crisi più grave dal 1929, ha affrontato una nuova fase di ristrutturazione competitiva, riposizionandosi sui mercati di tutto il mondo. Magari in silenzio, ma con successo e mostrando sul campo una tenacia e una spinta all'innovazione senza eguali. Battaglie. A volte di resistenza, a volte d'attacco. Fuori dai confini nazionali, sul territorio in Italia, a Roma. Quella che ha portato nel 2009 alla riforma (non sottoscritta dalla Cgil) della contrattazione, chiudendo una stagione che datava dal 1993 e aprendone un'altra che ha condotto ad accordi innovativi in molte aziende, a partire da Fiat, cos'è stata se non una sfida con obiettivi concreti per le imprese, i lavoratori e lo stesso sistema Italia? Nessun dubbio: si può fare sempre meglio. A cominciare dalla selezione delle priorità per favorire la crescita, che per sua natura non può nutrirsi di immobilismo, sia pure il più virtuoso. Meno burocrazia e meno fisco: due casi concreti per sentirci tutti, cittadini e imprese, un po' meno soli. È ragionevole o no pensare che si possa trovare un minimo di unità di azione, a cominciare dalla politica, e ottenere qualche risultato pratico in un tempo altrettanto ragionevole (e dunque non lontano anni) senza per questo attentare alla stabilità della finanza pubblica? guido.gentili@ilsole24ore.com
Politica industriale? Su vasta scala di Pier Luigi Bersani *Cronologia articolo14 aprile 2011 In questo articolo Argomenti: Libere professioni | Mario Draghi | Air France | Alitalia | Finmeccanica | Sergio Marchionne | Governo Berlusconi | Italia | Fiat Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 09:44. L'ultima modifica è del 14 aprile 2011 alle ore 10:08. * ascolta questa pagina * * * * La politica industriale di un Paese come l'Italia deve muovere dalle diversità. E deve essere capace di suonare tutti i tasti del pianoforte. Non c'è futuro industriale per noi se si rinuncia completamente alla chimica, alla siderurgia, all'auto, settori niente affatto in declino ma in evoluzione. Ovviamente nei settori a larga economia di scala, o hai il fisico per correre da solo, o devi metterti in compagnia. E i Governi possono favorire i grandi accordi industriali extranazionali, come anche possono aiutare a sbagliare. Spendere tre miliardi di euro per fare una nuova compagnia aerea italiana è stato un grave errore da parte del Governo Berlusconi perché sarebbe bastato ben meno di un miliardo di euro per integrare l'Alitalia con Air France e Klm e mettere la nostra voce in un soggetto più grande. E avremmo così difeso meglio l'italianità: sono certo che nel futuro sarà facile capirlo. Per aziende come Finmeccanica, la cui committenza fa spesso riferimento agli Stati nazionali, si può addirittura parlare di diplomazia economica. Ma non è vero che questo interesse per le grandi dimensioni debba andare a scapito delle realtà più piccole. Il made in Italy oggi viaggia attraverso medie imprese che operano in settori anche di nicchia, con una rete commerciale internazionale. La strategia deve essere duplice: da un lato, bisogna comunque favorire il rafforzamento dimensionale dell'impresa e dare quantomeno un carattere stabile ai finanziamenti necessari, dall'altro è necessario intensificare la rete di collegamenti interni fra i singoli produttori. Il pubblico può aiutare la media impresa a internazionalizzarsi e la piccola a rafforzarsi in un sistema a rete. Anche attraverso il supporto dei servizi e la liberalizzazione delle professioni: negli anni Settanta i commercialisti aiutarono l'espansione della piccola impresa, oggi abbiamo bisogno di una nuova generazione di professionisti che aiutino l'impresa nell'export e nella competizione sui mercati emergenti. Il rifiuto della destra corporativa a consentire l'avvio di un modello italiano di società professionali è stato ed è, secondo me, un danno gravissimo. (...)L'internazionalizzazione della Fiat è stata certamente un fatto importante. La competizione nel settore auto è spietata perché nel mondo c'è una capacità produttiva ormai largamente superiore alla possibilità di assorbimento del mercato. Senza alleanze, senza strategie valide, non si può sopravvivere. Ma ora si tratta di capire dove si collocherà il baricentro della nuova Fiat e quali progetti prenderanno forma in Italia. Sono molto interessato al piano Fabbrica Italia annunciato da Sergio Marchionne. I contenuti, però, sono ancora da chiarire. Del piano annunciato si conosce solo una piccola parte e, in particolare, non si sa abbastanza delle fondamentali attività di ricerca, che restano un punto cruciale per comprendere quale sarà il ruolo del nostro Paese anche nella produzione.
Definite le regole per le pensioni dei lavori usuranti Cronologia articolo14 aprile 2011 In questo articolo Argomenti: Normativa sulle pensioni | Cesare Damiano | Maurizio Sacconi | Consiglio dei Ministri | Pd Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 06:45. * ascolta questa pagina * * * * Via libera definitivo in Consiglio dei ministri al decreto legislativo che riconosce il diritto al pensionamento anticipato per i lavoratori impegnati in attività usuranti. Fermo il requisito dei 35 anni di contributi, dal 2013 sull'età per il pensionamento e sulla quota tra anzianità anagrafica e contributi ci sarà uno sconto di tre anni rispetto ai requisiti "normali" per l'assegno di anzianità. Potrà lasciare il lavoro a 58 anni (e a quota 94, se si considera il mix tra anzianità anagrafica e contributi versati) chi ha effettuato turni di notte (per 78 notti) e chi ha lavorato in gallerie, cave e miniere, in cassoni ad aria compressa, in spazi sottomarini, sulle "linee catena". Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha salutato il varo del provvedimento parlando di un atto con cui "si completa il processo di riforma del sistema previdenziale". Il testo, che arriva dopo almeno vent'anni di discussione, rappresenta "un atto di giustizia sociale" ha detto l'ex ministro Cesare Damiano (Pd), autore del decreto mai approvato nella passata legislatura: "Si riconosce il diritto a chi fatica nel lavoro ed è esposto a rischi particolari sul luogo di lavoro ad andare in pensione prima degli altri". Servizio u pagina 29
Apprendistato e Statuto nell'agenda di Sacconi Davide ColomboCronologia articolo14 aprile 2011 In questo articolo Argomenti: Formazione | CGIL | Maurizio Sacconi | Statuto Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 06:37. * ascolta questa pagina * * * *
ROMA. Nella "short list" delle politiche per il lavoro prossime venture contenuta nel Programma nazionale di riforma che è stato approvato ieri dal governo spicca senza dubbio la riforma dell'apprendistato. Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha in mano una delega pesante (appena rinnovata dal "collegato lavoro"; legge 183/2010) per il rilancio di questa forma contrattuale particolarmente indicata per l'impiego dei giovani. E a fine ottobre è stata siglata un'intesa fra governo, regioni e parti sociali (Cgil compresa) per una mappatura della normativa applicabile sui diversi territori e settori di attività. L'obiettivo è quello di superare gli ostacoli che tutt'ora frenano l'utilizzo di questo contratto, ancora caratterizzato da forte incertezza su aspetti operativi fondamentali come i titoli che consentono l'assunzione, l'espletamento degli obblighi formativi, le regole della formazione interna, la figura del tutor, la certificazione della formazione. Sacconi punta sul nuovo apprendistato, soprattutto in questa fase di graduale uscita dalla crisi economica, per rendere più occupabili i lavoratori con basse qualifiche. Si punta in particolare sulla promozione dell'apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, mentre per l'apprendistato "professionalizzante" – una delle quattro forme previste, la più diffusa nell'industria e nel terziario – si punterà ad ottenerne un'attuazione uniforme e immediata su tutto il territorio nazionale. L'altro obiettivo indicato nel Pnr e raggiungibile nel breve-medio periodo, almeno stando agli auspici del ministro Sacconi, è il disegno di legge delega sullo Statuto dei lavori. L'obiettivo è quello di arrivare a un nuovo Testo unico in materia di lavoro per semplificare il quadro attuale. Un set di norme capace di assicurare un nucleo di diritti universali e indisponibili per tutti i lavoratori dipendenti, compresi i lavoratori a progetto e le monocommittenze, mentre alla contrattazione collettiva sarebbero affidate le altre tutele che "potranno essere definite nelle aziende e nei territori con intese anche in deroga alle leggi e valorizzando il ruolo degli organismi bilaterali". Ieri Maurizio Sacconi ha rilanciato un appello alle parti sociali perché si pronuncino al più presto sulla bozza del Ddl delega: "La crescita - ha detto il ministro - dipende dalle politiche pubbliche ma anche dalle parti sociali perché un contributo fondamentale deve essere offerto dalla regolazione sia normativa sia da contratto".
2011-04-12 Marchionne: a Pomigliano e Mirafiori ci hanno lasciati soli N. P. Cronologia articolo12 aprile 2011 In questo articolo Argomenti: Imprese | Cisl | Italia | CGIL | Enrico Letta | Udc | Pierluigi Bersani | Pubblica Amministrazione | Susanna Camusso Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2011 alle ore 06:37. * ascolta questa pagina * * * * ROMA "Nella battaglia per Pomigliano e Mirafiori siamo stati soli". L'ad della Fiat, Sergio Marchionne si unisce alla denuncia della presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia: il Paese è diviso e mai come ora gli imprenditori si sentono soli. La stessa analisi è quella che arriva dall'amministratore delegato della Fiat. Non si tratta dell'impegno dei singoli: "Il ministro Sacconi ha fatto il massimo in quelle condizioni, ha cercato di inquadrare il discorso nel modo giusto. Il Governo ha fatto il massimo". Anche dal sindacato è arrivato un appoggio che Marchionne riconosce: "Bonanni e Angeletti hanno capito l'importanza della nostra mossa e ci sono stati vicini". Ma non basta: è il sistema Paese nel suo complesso che non tutela le imprese per renderle più competitive: "Le difficoltà che stiamo incontrando alla Fiat riflettono una mancanza di coesione. È il sistema che continua a costringere la Fiat a difendersi per questo piano di investimenti nel Paese, lo trovo ridicolo e strano, non mi è mai successo nella vita e spero non succeda con gli investitori stranieri, che dovremmo piuttosto incoraggiare", ha concluso Marchionne, facendo anche un riferimento all'ingresso in politica dell'ex presidente Fiat e Confindustria, Luca di Montezemolo: "Idee ne ha tante, è una scelta sua, non so se la presidenza di Confindustria possa pesare. Spesso gli consiglio di non farlo. Come gestore in Ferrari ha fatto un lavoro incredibile". Ma se dal mondo imprenditoriale arrivano consensi all'allarme lanciato dalla Marcegaglia, la politica si divide, con la maggioranza che snocciola i risultati dell'Esecutivo e l'opposizione che invece condivide le preoccupazione del mondo imprenditoriale, bocciando l'azione del Governo. La Marcegaglia è "ingenerosa" per il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi: "In passato ha apprezzato le azioni del Governo che abbiamo condiviso, a giorni realizzeremo altre riforme". Evita polemiche dirette il ministro dello Sviluppo, Paolo Romani, che è in Afghanistan con una missione di imprese di Confindustria: "La nostra risposta è nei fatti, quotidianamente. Come ai tavoli con le aziende: le critiche pubbliche non corrispondono al confronto che le aziende hanno con me". Il ministro della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, ha detto che ci sarà una "frustata" che sarà concretizzata a maggio, convinto che le imprese "non sono mai state lasciate sole" e ricordando "l'obiettivo di ridurre i costi della burocrazia del 25% entro il 2012". A sinistra, il leader del Pd, Pierluigi Bersani, invita la presidente di Confindustria al dialogo: "Siamo a disposizione. Le aziende sono state lasciate sole da un Governo che parlava di crisi psicologiche, che non si occupa né di imprese né di lavoro ma processi e giustizia". Enrico Letta, vicesegretario Pd, propone una sessione parlamentare speciale sull'economia. Anche il leader Udc, Pierferdinando Casini, definisce le parole della Marcegaglia "l'umore dell'Italia che lavora" e per Gianfranco Fini, Fli "sono la fotografia onesta del rapporto tra politica e imprese". Stavolta sono d'accordo tra loro anche i numeri uno di Cgil e Cisl, Susanna Camusso e Raffaele Bonanni: "Marcegaglia ha ragione, dal governo nessuna scossa".
Contratto unico, suggestione fuori dal tempo di Michele TiraboschiCronologia articolo12 aprile 2011 In questo articolo Argomenti: Contratti di lavoro | Marco Biagi | CGIL | Tiziano Treu | Gianfranco Fini | Maurizio Sacconi | Statuto Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2011 alle ore 09:13. * ascolta questa pagina * * * * Cancellare, per decreto, il precariato? Abbattere il regime di apartheid tra protetti e non protetti che caratterizza, più di altri, il nostro mercato del lavoro? La soluzione, per qualcuno, c'è. Ed è anche semplice. Basta obbligare tutte le imprese ad assumere unicamente con contratti di lavoro a tempo indeterminato. È questa, nella sostanza, la proposta di "contratto unico" rilanciata anche dal presidente della Camera, Gianfranco Fini. La suggestione – e il limite – della proposta del "contratto unico" è tutta qui. Nell'irragionevole convinzione, che nessuno ha mai osato avanzare neppure nei regimi comunisti, di poter ingabbiare la multiforme e sempre più diversificata realtà dei moderni modi di lavorare e produrre in un unico schema contrattuale. Vietando, di conseguenza, le forme di lavoro coordinato e continuativo, ancorché genuine. Comprimendo in una rigida casistica le ipotesi di legittimo ricorso al lavoro a termine, che sarebbe vietato anche quando esiste una plausibile ragione tecnica, organizzativa o produttiva. Negando la valenza formativa ed educativa del lavoro, nei contratti d'ingresso incentivati per i gruppi svantaggiati e l'apprendistato per i giovani. Contratti che sarebbero eliminati per una flessibilità pura, nei primi tre anni, malamente bilanciata da una monetizzazione della piena libertà di licenziamento. Una simile soluzione penalizzerebbe non solo le imprese, ma prima ancora i lavoratori. A partire dai giovani e dai molti esclusi dal mercato e che paradossalmente, ancor più di oggi, sarebbero vittime sacrificali. Predestinate non più al "precariato" ma, peggio, al lavoro "nero". Perché a essi sarebbero preclusi, in nome di una malintesa e irrealistica standardizzazione delle tutele, non solo stage, contratti tramite agenzia, rapporti a contenuto formativo e collaborazioni a progetto, ma anche, almeno nei primi tre anni con un medesimo datore o committente, tutti i regimi di tutela della stabilità dell'occupazione. Tre anni di "prova lunga" e senza articolo 18 all'insegna del "finalmente nessuno più discriminato" perché tutti privati della stabilità reale del posto. Tre lunghi anni, peraltro, neppure "compensati", come avviene oggi per i 600mila apprendisti, da un possibile addestramento e inserimento mirato nel lavoro attraverso la formazione. Con il rischio, se non confermati al termine del triennio, di dover inesorabilmente ripartire da zero. Proprio come avviene oggi. I sostenitori del contratto unico ribattono che nessuno ha sin qui prospettato alternative. Ma questo non è vero se si ricorda il progetto di Statuto dei lavori, elaborato nel 1998 da Marco Biagi per Tiziano Treu e ora rilanciato da Maurizio Sacconi nel suo Libro Bianco sul futuro del modello sociale. E proprio il perno del ragionamento dello Statuto dei lavori, e cioè l'occupabilità delle persone, è diventato ora il baricentro dell'accordo sul rilancio dell'apprendistato dello scorso 27 ottobre tra Governo, Regioni e tutte le parti sociali, Cgil inclusa. Un accordo che individua nelle competenze, nella formazione e nella integrazione tra scuola e lavoro le vere leve della stabilità occupazionale dei giovani. Invero, a quanti insistono con l'idea irrealistica del contratto unico, si può in fondo ribattere che non c'è davvero bisogno di inventare qualcosa di nuovo. Cos'altro è, infatti, l'apprendistato se non una forma di ingresso a fasi successive nel lavoro attraverso un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con una prova, un inserimento in modalità formativa e infine, al termine del periodo di apprendimento, la possibilità (ma non l'obbligo) di stabilizzazione senza soluzione di continuità in ragione delle competenze acquisite dal giovane? Tiraboschi@unimore.it
2011-03-10 Marcegaglia: no al direttorio tra Germania e Francia Nicoletta PicchioCronologia articolo15 marzo 2011 In questo articolo Argomenti: Scuola e Università | Italia | Fundan University | Libera Università Internazionale degli Studi Sociali | Emma Marcegaglia | Columbia Britannica | Germania | Portogallo | Confindustria Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2011 alle ore 06:37. * ascolta questa pagina * * * *
ROMA Un'Europa più protagonista, capace di ritrovare la fiducia, concentrata sulla crescita oltre che sul contenimento dei conti pubblici. Si è sempre definita europeista Emma Marcegaglia e lo è anche quando chiede alla Ue di "ripensare se stessa, per non diventare marginale in un mondo che cambia velocemente" e di reagire alle "grandi discontinuità strategiche" in atto. "Servono più liberalizzazioni, una maggiore apertura del mercato, che sarebbe un booster per la crescita, con le riforme a costo zero al centro dell'attenzione". Bisogna evitare che con la crisi i paesi Ue cedano alla tentazione di "chiudersi in se stessi, creando barriere. Sarebbe un ritorno all'Europa della paura". Ma la presidente di Confindustria solleva anche un'altra questione che riguarda la governance europea: "È vero che la Germania ha una leadership chiara, noi imprenditori la consideriamo il nostro benchmark. Una germanizzazione della Ue e un direttorio franco-tedesco non sono però una buona scelta". Piuttosto "bisogna dare più spazio alle istituzioni comunitarie, che devono diventare sempre più forti, coinvolgendo i paesi meno competitivi che sono parte integrante dell'Europa". Accanto a sé, diretto destinatario delle sue parole, la Marcegaglia ha il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso: la Luiss, l'università di Confindustria di cui la Marcegaglia è presidente, lo ha insignito della laurea honoris causa in giurisprudenza. Una scelta che testimonia non solo l'indirizzo internazionale dell'ateneo romano, ma soprattutto la sintonia con i valori che Barroso persegue nel suo ruolo e che ha ripetuto ieri nella Lectio magistralis, di fronte ai professori e al rettore della Luiss, Massimo Egidi: maggiore coordinamento europeo; un modello di crescita basato sull'economia di mercato sociale; la creazione di un mercato unico vero e proprio dal quale, ha ammesso Barroso, siamo lontani, la considerazione della Ue come un "progetto politico" che si fonda su valori come libertà, crescita, dignità umana. "Le parole dette dal presidente della Commissione sono il credo di Confindustria e della Luiss", ha sottolineato la Marcegaglia, che ha individuato proprio nella tappe della vita di Barroso il ruolo della Ue come "patto per la pace": è nato in Portogallo, in un periodo in cui il paese era ancora sotto un regime autoritario, ora stato democratico e membro dell'Europa. Inevitabile il riferimento al Nord Africa: "La Ue deve aver un ruolo fondamentale non solo nell'emergenza o nella gestione dei flussi migratori: deve contribuire ad un processo di libertà e democrazia con un progetto politico-economico". E soprattutto "parlare con una voce unica, altrimenti nella politica estera il suo ruolo è depotenziato".
2011-02-17 Fiom Cgil: su Pomigliano faremo ricorso di Claudio TucciCronologia articolo17 febbraio 2011 * Leggi gli articoli * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 17 febbraio 2011 alle ore 15:27. * * * * "È chiaro che siamo dinanzi a una violazione della legge. Lo abbiamo ribadito al tavolo di oggi 17 febbraio spiegando che siamo dinanzi a una evidente cessione di ramo d'azienda. Non altro". Lo ha detto il segretario regionale della Fiom Cgil, Andrea Amendola, uscendo dalla sede dell'unione industriali di Napoli, dove si è tenuto un incontro per illustrare il piano industriale per lo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco, che che prevede il via alle assunzioni dal prossimo 7 marzo. Fuori pochi manifestanti, operai della Fiom e Slai Cobas. Dentro, oltri ai sindacati, Giorgio Giva, responsabile delle relazioni istituzionali di Fiat, il direttore dello stabilimento partenopeo Salvatore Garofalo, che è anche ad della newco creata per Pomigliano. Al tavolo anche la Fiom, invitata dal Lingotto in quanto c'erano relazioni sindacali con Fiat automobile group che reggeva Pomigliano prima della newco. Fiom è uscita alle ore 13.30: "È stata farsa perchè non hanno dato garanzie sulle assunzioni", ha detto Amendola. Valuteremo il tribunale competente "Quello che sta avvenendo a Pomigliano è quanto previsto dall'articolo 2212 del codice civile - prosegue Amendola - e noi come Fiom Cgil presenteremo un ricorso giudiziario affinchè venga accertato". Per il leader campano della Fiom "non potrebbe essere diversamente perchè la produzione avverrà nello stesso stabilimento, con gli stessi operai e si produranno sempre delle auto, la Panda anzichè l'Alfa". La Fiom della Campania insomma valuterà nelle prossime ore presso quale tribunale civile verrà depositato il ricorso per l'accertamento di quanto sostenuto. "Oggi abbiamo ribadito quello che stiamo dicendo da tempo - conclude Amendola - e noi siamo disposti ad andare fino in fondo". Non c'è un piano industriale Anche Slai Cobas ha portato al tavolo le sue richieste di chiarimento su "un piano industriale che non c'è", ma senza che fossero oggetto di confronto, tanto da provocare una nota in cui si preannunciano denunce per comportamento antisindacale. La parte informativa della riunione, quella cui appunto Fiom interveniva per le passate relazioni industriali, è terminata alle ore 14 con una sospensione di mezz'ora. Le parti, quelle che hanno sottoscritto l'accordo per Fabbrica Italia, le cui prime assunzioni sono previste a marzo, si rivedranno per approfondire le modalità di avvio della produzione a Pomigliano sulla base del nuovo quadro normativo aziendale. Come applicare l'accordo Secondo quanto emerso dalla prima parte dell'incontro i lavoratori del Giambattista Vico dovranno consegnare le proprie dimissioni per poi essere assunti nella newco Fabbrica Italia Pomigliano, e quindi sottoscrivere il nuovo contratto di lavoro stabilito dall'accordo tra Fiat e sindacati lo scorso 29 dicembre. Stessa sorte toccherà ai lavoratori dell'Ergom, che entreranno nella newco a partire dal prossimo aprile, e dei quali si discuterà in un incontro separato in programma per l'11 marzo prossimo.
2011-02-15 Marchionne (in giacca e cravatta) alla Camera: la Fiat ha progetti ambiziosi per l'Italia Cronologia articolo15 febrraio 2011Commenti (15) * Guarda le foto * Leggi i documenti * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2011 alle ore 09:57. * * * * L'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, è impegnato dalle 10 in un'audizione presso le Commissioni Attività produttive, commercio, turismo e Traporti, poste e telecomunicazioni riunite nella Sala del Mappamondo di Montecitorio. Marchionne, in un'inedita versione giacca e cravatta (d'obbligo per accedere alla Camera), ha iniziato il suo intervento ricordando il recente passato della Fiat, uscita da una crisi dovuta alla sua resistenza ai cambiamenti. Su Fiat si "è aperto un ampio e lungo dibattito; si è sentita molta politica, molta ideologia ma poca aderenza alla realtà e conoscenza dei fatti - ha esordito Marchionne - Il fatto di essere qui in Parlamento è la dimostrazione del rispetto per questo Paese e le istituzioni e la fiducia che abbiamo nel futuro dell'azienda e dell'Italia". "Nessuno può accusare la Fiat di comportamenti scorretti, di vivere alle spalle dello Stato o di voler abbandonare il Paese. Abbiamo progetti ambiziosi che partono dall'Italia", continua l'amministartore delegato di Fiat. Il motivo che ha spinto Fiat alle sue iniziative risiede nella "necessità di cambiamento, indispensabile elemento per sopravvivere e avere successo". Marchionne ha poi sottolineato che Fiat era un'azienda che nel 2004 perdeva 4 milioni al giorno compresi il weekend. Dobbiamo "garantire a Fiat di restare al passo con la realtà e il mercato e assicurare ad azienda e lavoratori prospettive solide", ha aggiunto. Il fronte Fiat-Chrysler, alleanza culturale prima che di business "Non è solo vero che la Fiat abbia salvato Chrysler, è vero anche il contrario", ha detto l'ad di Fiat, per il quale l'alleanza è determinante per il futuro della Fiat: "Le ha consentito di diventare un produttore completo, ampliando la gamma in un modo che la Fiat da sola non avrebbe potuto fare". Il futuro di Fiat e Chrysler, pertanto, è "legato a doppio filo. Entrambe avranno enormi benefici da questo legame. Entro il 2014 - ricorda - supereremo un milione di vetture prodotte". Marchionne ha sottolineato anche come l'alleanza Fiat-Chrysler sia "molto più profonda del mero business. è un'integrazione culturale basata su rispetto e unità, dove non c'è posto per nazionalismi e arroganza di chi vuole insegnare. Muove dalla volontà di imparare dall'altro. Si tratta di uno straordinario gruppo di persone che si ascoltano, sono due culture che si uniscono. E' questa la vera forza della nostra partnership". "La Fiat ha il cuore in Italia, ma la testa in più posti" "Stiamo lavorando al risanamento della Chrysler e per un aumento della quota Fiat. Speriamo che Chrysler sia quotata nel prossimo futuro. Quando ci saranno due entità legali quotate in due mercati diversi si porranno problemi di governance. La scelta della sede legale non è stata ancora presa e sarà condizionata da alcuni elementi di fondo", ha detto l'amministratore delegato della Fiat, sottolineando che saranno determinanti l'accesso ai mercati finanziari e un ambiente favorevole allo sviluppo del settore manifatturiero. "Se si realizzeranno questi obiettivi, il nostro Paese sarà adatto per la sede legale". Per le direzioni, invece, bisognerà avere una visione più ampia: "Se il cuore della Fiat sarà in Italia la testa - ha sottolineato Marchionne - dovrà essere in più posti: Torino, Stati Uniti, Brasile ma anche Asia". "Se si realizzeranno le condizioni" rispetto al progetto Fabbrica Italia, "allora il nostro Paese sarà in grado di mantenere la sede legale". I conti e gli investimenti di Fiat Fiat si aspetta un fatturato di "64 miliardi di euro" al 2014 e di "100 miliardi di euro con Chrysler": per Marchionne il fatturato sarebbe "quasi il doppio di quello dell'anno scorso". Fiat, sul totale di 20 miliardi di euro di investimenti previsti per l'Italia, destinerà 4 miliardi a Fiat Industrial e 16 alla Spa, di cui "il 65% per Fiat Group Automobiles, il 15% per i marchi di lusso e il 20% per i motori e le attività della componentistica". "Nell'ambito degli investimenti previsti - ha aggiunto Marchionne - per Fiat Group Automobiles, i costi relativi alle attività di ricerca e sviluppo sono compresi tra i 3,5 e i 4 miliardi di euro". Il lancio della nuova Panda "avverrà entro la fine di quest'anno", mentre "il prossimo anno introdurremo sul mercato americano la versione elettrica della 500". Nel 2011 il lancio di 7 nuovi modelli Nel corso dell'audizione Marchionne ha anche annunciato il lancio di sette nuovi modelli per il 2011. "Abbiamo presentato pochi modelli l'anno scorso per scelta strategica", ha detto l'ad, sottolineando che questa decisione è stata presa per l'eccessiva debolezza del mercato. Dunque, "il lancio di nuovi modelli è stato riposizionato a partire dalla seconda metà del 2011: presenteremo sette modelli nuovi, una proposta anche troppo aggressiva per il mercato ancora basso". E proprio il 2011, ha continuato, sarà "l'anno in cui si avrà il picco più alto degli investimenti". L'ad del Lingotto ha precisato che "la componente più significativa degli investimenti" sarà destinata all'auto: "tra i veicoli commerciali ci saranno 34 nuovi modelli nel giro di cinque anni, due terzi dei nuovi modelli saranno prodotti da Fiat, mentre 13 da Chrysler". Saranno invece due i marchi globali: "Alfa Romeo e Jeep, e stiamo lavorando perché l'Alfa possa tornare sul mercato americano entro la fine del 2012". A Cassino e a Melfi non c'è urgenza di intervenire L'amministratore delegato di Fiat è poi tornato sul futuro degli stabilimenti Fiat di Cassino e Melfi. "Su Cassino e Melfi non c'è urgenza di intervenire perché hanno prodotti ben accolti dal mercato". Entro fine anno, ha aggiunto Marchionne, a Pomigliano si produrrà la nuova Panda. E a Termini Imerese "la Fiat è disponibile a collaborare ma solo se viene risolto il problema occupazionale e tutti i lavoratori riceveranno una lettera di assunzione da parte della nuova proprietà". Marchionne ha quindi aggiunto che "non abbiamo mai chiesto condizioni di lavoro cinesi o giapponesi, solo condizioni minime di competitività che sono quelle su cui dobbiamo confrontarci con i competitor europei. Gli accordi servono solo a far funzionare meglio la fabbrica, senza la rinuncia ad alcun diritto, lasciando inalterate le condizioni positive non solo del contratto nazionale ma anche degli accordi in Fiat". "Non vogliamo lasciare l'Italia. Ma il paese deve migliorare in competitività" "Fiat non ha nessuna intenzione di abbandonare l'Italia", ha ribadito Marchionne. "Fiat fa parte di questo Paese, rappresenta un pezzo della sua storia e vogliamo che rappresenti un pezzo importante del suo futuro". Ma da "un esame serio e lucido della situazione italiana" emerge che il nostro Paese "sconta da anni un forte deficit di competitività; in qualunque classifica sui posti dove aprire un'impresa l'Italia è indietro, mentre è nella top ten per i costi. Gli investimenti stranieri sono ridotti al minimo, molte aziende hanno chiuso, altre si sono trasferite all'estero". Per l'amministratore delegato di Fiat l'Italia ha una "cronica performance al di sotto della media europea e ha vissuto tre fasi recessive in 10 anni. La scarsa competitività dell'Italia rappresenta un grave handicap ed è una minaccia perché comprime redditi e salari". Fabbrica Italia "non era un atto dovuto" e per realizzare il progetto "non abbiamo mai chiesto sovvenzioni né aiuti di Stato per portarlo avanti. La verità - ha detto Marchionne - è che la Fiat è l'unica grande azienda che ha deciso di investire in questo paese in modo strutturale". "Il piano che abbiamo presentato è la nostra scommessa - ha aggiunto. È il nostro modo per dire che l'Italia non è un paese da abbandonare ma una sfida che si può vincere". Il nodo dei contratti: "Siamo pronti ad aumentare i salari come in Germania" "Se riusciamo a portare l'utilizzo degli impianti dall'attuale 40% all'80%, siamo pronti ad aumentare i salari portandoli ai livelli della Germania. E anche al passo successivo, come ho già detto, che è la partecipazione dei lavoratori agli utili dell'azienda", ha detto l'ad di Fiat, che ha sottolineato come negli accordi per Pomigliano e Mirafiori "non c'è nessuna clausola che penalizzi i lavoratori. Non abbiamo mai chiesto condizioni di lavoro cinesi o giapponesi. Abbiamo semplicemente chiesto di poter contare su condizioni minime e di competitività. Vengono mantenute inalterate - ha detto - tutte le condizioni positive che sono previste non solo dal nostro contratto collettivo, ma anche da tutti i trattamenti che la Fiat nel tempo ha riconosciuto alle proprie persone".
Licenziamenti con vecchie regole Aldo BottiniCronologia articolo17 febbraio 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 17 febbraio 2011 alle ore 06:38. * * * *
Sono solo quattro righe inserite nella legge di conversione del milleproroghe, ma sulla loro interpretazione è facile prevedere che si scriverà molto di più. La norma approvata al Senato dispone che "in sede di prima applicazione" le nuove disposizioni relative al termine di 60 giorni per l'impugnazione del licenziamento acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011. L'intenzione dichiarata di chi ne ha promosso l'inserimento nel decreto milleproroghe è quella di "congelare" per tutto il 2011 i nuovi termini di decadenza previsti dal Collegato Lavoro (60 giorni per l'impugnazione stragiudiziale e 270 per il ricorso al giudice) per licenziamenti, contratti a termine, somministrazione, co.co.co., trasferimenti, cessioni d'azienda. Si è parlato anche di "riapertura" dei termini per impugnare i contratti a termine già conclusi alla data di entrata in vigore del Collegato. Si tratta ora di capire cosa accade ai licenziamenti già soggetti, prima del Collegato, al termine di decadenza dei 60 giorni: il differimento dell'efficacia delle modifiche comporta l'applicazione delle vecchie regole. Ne consegue che il licenziamento dovrà, come prima, essere impugnato stragiudizialmente entro 60 giorni, ma l'impugnazione non diventerà inefficace se non seguita, nei successivi 270 giorni, dal deposito del ricorso al giudice (o dalla richiesta di arbitrato o di conciliazione). Nonostante la norma citi espressamente il solo termine di 60 giorni, il differimento di efficacia dovrebbe riguardare anche il successivo termine decadenziale, sia perché strettamente connesso al primo, sia in virtù del richiamo operato dalla norma al primo comma dell'articolo 32 del Collegato, che riguarda entrambi i termini. A questo punto (se la norma sarà definitivamente approvata), i licenziamenti intimati e impugnati stragiudizialmente nel corso del 2011 saranno soggetti al solo termine prescrizionale di cinque anni. Allo stesso modo il "congelamento" dovrebbe applicarsi a tutte le fattispecie (diverse dal licenziamento) a cui il Collegato ha esteso il doppio termine di decadenza. Quindi i contratti a termine (ma anche i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, i trasferimenti, i rapporti di somministrazione eccetera) che verranno a scadenza dopo l'approvazione della legge e fino al 31 dicembre 2011 non dovranno essere impugnati entro 60 giorni. Non scatterà alcun successivo termine di 270 giorni. Al 31 dicembre 2011 però riacquisterà efficacia la norma del Collegato che applica i termini anche ai contratti a termine già conclusi, che quindi dovranno essere impugnati stragiudizialmente entro i successivi 60 giorni. Il problema più delicato riguarda invece i contratti a termine scaduti prima dell'entrata in vigore del Collegato (24 novembre 2010) che, come noto, avrebbero dovuto essere impugnati entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge (e cioè entro il 24 gennaio 2011). Proprio con riferimento a tali contratti si è parlato in questi giorni di "riapertura dei termini". Ma non è detto che questo possa essere l'effetto della norma inserita nel decreto milleproroghe. Per i contratti a termine non impugnati entro il 24 gennaio 2011 si è già verificata una decadenza, che una legge successiva non può sanare, a meno che non lo disponga espressamente. In altre parole, la norma di cui si discute congela i termini per il periodo successivo alla sua approvazione, ma non può riaprire un termine già scaduto, non contenendo alcuna disposizione transitoria o previsione di retroattività. A meno di non voler ritenere implicita la retroattività, magari facendo leva sull'espressione "in sede di prima applicazione". Quel che è certo è che, anche su questo punto, il contenzioso non mancherà. © RIPRODUZIONE RISERVATA I DUE PASSAGGI 01 | LA NOVITÀ In sede di prima applicazione, le disposizioni relative al termine di 60 giorni per l'impugnazione del licenziamento acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011. Passa dunque dal 24 gennaio al 31 dicembre 2011 il termine per proporre l'impugnativa del licenziamento da parte dei lavoratori il cui contratto a tempo determinato sia cessato prima dell'entrata in vigore del Collegato lavoro 02 | IL PROBLEMA Per i contratti a termine non impugnati entro il 24 gennaio si è già verificata una decadenza, che una legge successiva può sanare solo se lo disponga espressamente. Il Milleproroghe congela i termini per il periodo successivo alla sua approvazione, ma non può riaprire un termine già scaduto: non c'è una previsione di retroattività
2011-02-10 Fiat conferma al governo che avrà cuore italiano e investirà i 20 miliardi previsti da Fabbrica Italia articoli di Bricco, Colombo, Ferrando e Pogliotti, RiottaCronologia articolo12 febbraio 2011 * Leggi gli articoli * Guarda i video * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 12 febbraio 2011 alle ore 09:40. * * * * Fiat conferma al governo il proprio impegno con 20 miliardi di euro di investimenti per portare a un milione e 400mila la produzione di veicoli negli stabilimenti italiani. È questo il cuore del confronto che stamattina ha visto sedersi al tavolo di Palazzo Chigi il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, affiancato dal sottosegretario Gianni Letta e dai ministri Maurizio Sacconi (Welfare) e Paolo Romani (Sviluppo economico), e i vertici del Lingotto: l'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne e il presidente John Elkann. Che, come si legge nella nota diffusa al termine del confronto, "hanno confermato al governo l'intenzione di perseguire gli obiettivi di sviluppo della multinazionale italiana". Intervista a John Elkann: "Da Exor all'Italia, tutti dobbiamo ora imparare a vivere con il dubbio" (di Gianni Riotta) Sviluppo sostenibile e Cina le sue passioni (di Marco Ferrando) Risorse, ricerca e produzione la posta in palio nel paese (di Paolo Bricco) Fiat: vertice a palazzo Chigi tra governo e azienda. Marchionne lancia la 500 negli Usa (di Davide Colombo e Giorgio Pogliotti) Romani e Sacconi: Fiat rimarrà con cuore italiano I numeri sono quelli già resi noti: 20 miliardi di euro di investimenti da parte di Fiat e Fiat Industrial e una crescita della produzione nel nostro paese da 650mila e 1 milione e 400mila auto. L'ad di Fiat ha quindi indicato al governo ed agli enti locali piemontesi che delle condizioni perchè la testa del gruppo resti a Torino "se ne parlerà nel 2014". "Fiat è una grande multinazionale che si sta espandendo nel mondo ma che rimane con un cuore italiano", ha commentato Romani dopo l'incontro. Per il ministro l'ad Marchionne e il presidente Elkann hanno "confermato di voler investire in Italia", considerando il nostro Paese "un punto di partenza per una azienda che vuole investire nel mondo intero, anche aprendo nuovi mercati". Mentre il suo collega del Welfare si è detto sicuro che "la Fiat rimarrà a Torino non andrà a Detroit". Lunedì sera tavolo governo-sindacati su Termini Imerese Nel corso del tavolo, a cui è seguito un confronto allargato agli enti locali con il governatore del Piemonte, Roberto Cota, il presidente della provincia di Torino, Antonio Saitta, e il sindaco del capoluogo piemontese Sergio Chiamparino, si è tornati anche sul futuro di Termini Imerese. "Il Governo ha detto a Fiat che ha fatto fino in fondo il suo dovere, togliendo dal campo le tensioni che ci sarebbero state con una chiusura di Termini Imerese", ha sottolineato al termine il ministro Romani ricordando che nell'area industriale di Termini Imerese si insedieranno "sette nuove iniziative produttive" con un forte aumento dell'occupazione complessiva rispetto al numero attuale dei dipendenti Fiat e dell'indotto, da circa 1.500 occupati a circa 3.300. Lunedì sera è previsto il tavolo al ministero con i sindacati. Ci saranno, ha indicato Romani, i segretari generali di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, e il segretario confederale della Cgil Vincenzo Scudiere (e non il segretario generale Susanna Camusso). Sacconi: serve governabilità stabilimenti Nella conferenza stampa seguita all'incontro Sacconi ha poi sottolineato che, in vista della realizzazione di nuovi prodotti a Melfi e Cassino, dopo gli accordi di Pomigliano e Mirafiori la questione, non è "ipotizzare accordi fotocopia", ma "in tutte le realtà va risolta la piana utilizzazione degli impianti attraverso la tempestiva esigibilità dell'adattamento dei moduli lavorativi. Il futuro di Fiat, il suo radicamento in Italia, l'effettiva realizzazione degli altri investimenti ipotizzati sono condizionati alla governabilità degli stabilimenti". Sacconi non ha risparmiato poi un riferimento anche a chi, come la Fiom-Cgil, sostiene che con gli accordi firmati in Italia si va a colpire il lavoro che incide sui costi del gruppo solo per il 7%: "È una grande stronzata, per dirla in inglese", ha spiegato Sacconi. "Bisogna stabilire l'incidenza del costo del lavoro sui costi fissi e stabilire come quel 7% possa generare un ritorno rispetto al grado di utilizzazione degli impianti".
Intervista a John Elkann: "Da Exor all'Italia, tutti dobbiamo ora imparare a vivere con il dubbio" di Gianni RiottaCronologia articolo12 febbraio 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 12 febbraio 2011 alle ore 09:34. * * * * Quando era ancora solo un laureando al Politecnico di Torino, il nonno, l'avvocato Agnelli, gli diede l'incarico di guidare il gruppo di manager, informatici e giornalisti che doveva far transitare l'intero universo collegato alla Fiat, dai metalmeccanici, a La Stampa, la Ferrari, la Juventus, la finanza, nel mondo, allora neonato, del web. Qualcuno era scettico che il giovane John Elkann ce la facesse, avrebbe sbagliato nel cedere troppo ai più anziani o avrebbe fatto l'arrogante? Invece John Elkann, "l'ingegnere" come tanti lo chiamano ora, se la cavò, tra Torino e Silicon Valley, nel primo incarico complesso di una carriera e una vita complesse: "Duro destino avere un destino" scriveva Italo Calvino. Fiat conferma al governo che avrà cuore italiano e investirà i 20 miliardi previsti da Fabbrica Italia Dopo dieci anni, ora sposato, con due figli, presidente di Fiat, John Elkann assume ora anche la carica di amministratore delegato di Exor e riflette con il Sole 24 Ore sulla nuova squadra che ha messo in campo e le sfide dei prossimi, turbolenti ed affascinanti, sviluppi dell'economia globale: "Negli ultimi anni abbiamo riorganizzato, abbiamo semplificato, molto lavoro e molto tempo sembra passato da quando ci chiamavamo Ifi, Ifil, si ragionava e discuteva di spin off. Ora facciamo i conti con una unica società di investimento, Exor. Fiat si è molto rafforzata e abbiamo messo delle solide basi per costruire il nostro futuro". Solo poco tempo fa il Financial Times e l'Economist non scommettevano un penny sul futuro della Fiat: "Vero, si è trattato di un rilancio straordinario. Ma l'auto non è un'industria facile. La sovracapacità del mercato mondiale è un handicap per tutti. La crescita dei paesi emergenti, dove siamo presenti in forze, ha cambiato l'equazione. Vedere Fiat che è presente in Europa, in Brasile e negli Stati Uniti, con l'alleanza con Chrysler, è una grande opportunità, parliamo di un mercato immenso. È il frutto di un duro lavoro, compiuto da tutta l'azienda, il cui merito va soprattutto a Sergio Marchionne". A desso in Exor Tobias Brown diventa chief investment officer, con la responsabilità su tutti gli investimenti, e Alessandro Nasi diventa responsabile delle attività negli Usa. Qualcuno in Italia già parla di "trasferimento" a Hong Kong: ma quali sono le caratteristiche del gruppo oggi, globale, familiare o torinese? XXI secolo o tradizione? "Le contraddizioni e i paradossi fanno parte della vita. Riuscire a conciliare le differenze, senza dover escludere o negare le diversità, è la chiave di tutto, anche per le aziende. Consideriamo una società come la nostra: cerca di prendere il meglio della tradizione di aziende familiari - noi siamo nell'industria da oltre un secolo ormai, stiamo parlando di cinque generazioni - ma al tempo stesso risponde alle esigenze di professionalità del tempo globale. La squadra comprende Tobias Brown, dialogo con lui già da qualche anno, è un investitore di grande esperienza, che ha l'Asia nel Dna, non deve "impararla" perché la vive, come persona e sul lavoro. Alessandro Nasi rappresenterà la mia famiglia in America: porta con sé una grande esperienza di lavoro e ha passato più della metà della sua vita negli Stati Uniti. Enrico Vellano avrà la responsabilità della struttura che svolgerà le funzioni centrali della società, con base a Torino". Parla quasi da senior adesso, solo poco tempo fa tanti lo chiamavano più "Jaki" che "ingegnere": che effetto le fa? "Ho 34 anni, e quando lavoro fuori dall'Italia spesso non sono neppure più il più giovane intorno al tavolo. So di rappresentare una storia secolare, ma sono anche consapevole che i mercati che dobbiamo affrontare rispettano e ammirano il nostro passato, ma poi giudicano senza sconti il nostro presente. E qui Exor non vuole restare indietro". Com'è il mondo degli affari di oggi dalla sua nuova posizione? "Dobbiamo ragionare, e ragioneremo, di investimenti a lungo termine. Le vedute di breve hanno logorato tutti. Pensi all'America, che lei ben conosce. New York è come un porto di mare, una grande base mercantile e in Europa spesso colpisce la nostra fantasia. Ma è il Midwest, Chicago, l'America delle radici - dove gruppi familiari come il nostro, nella manifattura e nella finanza continuano ad esistere ancor oggi - che ne costituiscono l'ossatura. Ho visto il Superbowl, la finale del campionato di football americano, a casa di una di queste famiglie ed ero colpito dalla loro vitalità. Ci sono realtà familiari, in America e non solo, con cui abbiamo molte affinità e da cui possiamo imparare: i Walton dei supermercati Wal Mart, i Ridley, i Pritzker". Exor va a Hong Kong, la Fiat va a Detroit, addio Italia, addio Torino: sarà così? Un destino ineludibile? "No, e dipende da noi. Quel che ho capito è che sopravvivono solo le organizzazioni capaci di evolversi e di adattarsi. Dobbiamo, ciascuno di noi e le nostre aziende, rimetterci sempre in discussione, partendo dalla realtà non dai nostri desideri o aspirazioni. Ogni istituzione, non importa quanto antica, deve guardare al presente senza ansia, con la serena consapevolezza che non saprai mai cosa accadrà - vedi le notizie che ci arrivano mentre parliamo dall'Egitto, chi le avrebbe previste solo poche settimane fa?". Torniamo sul caso Fiat italiana o meno, tanti aspettano di sapere come la pensa il nipote dell'Avvocato. "Partiamo dalla sfida fondamentale che abbiamo lanciato e vinto. Se la dimentichiamo così in fretta, se dimentichiamo che poco tempo fa pochissimi erano disposti a scommettere sulla nostra sopravvivenza, esperti del ramo inclusi, scontiamo il lavoro fatto da tutti in Fiat. Guardiamo all'alleanza Chrysler: che cosa sarebbe oggi di Fiat senza Chrysler? Saremmo come prima? Oggi siamo una realtà multipolare e questo è una grande forza". Sergio Marchionne chiede spesso, con grinta che a qualcuno non piace, perché mai Fiat, perché mai qualunque azienda dovrebbe investire in Italia, oggi. Lei cosa risponde? "Intanto la migliore risposta l'ha data la Fiat, che ha già grossi investimenti in Italia e ne ha programmati altri. Ciò detto, è un fatto che l'Italia debba guardare a quegli indicatori che la danno indietro alla media dell'Unione europea sulle performances economiche. Penso per esempio alla produttività, alla competitività. Ho parlato ieri con Emmanuel Rahm, l'ex braccio destro di Barack Obama che sta adesso correndo per essere sindaco democratico di Chicago: la sua campagna è portare a Chicago investimenti, infrastrutture, creare occupazione e ridurre i costi. Quando ho visto la sua energia mi son chiesto: perché non ci battiamo anche noi? Sostengo il mio paese, ma per favore senza ipocrisie e senza nascondersi anche quel che non funziona. Il nostro è un grande paese e all'estero tanti lo ammirano, ma dobbiamo accettare di misurarsi senza paura con il futuro". Negli anni duri, prima e dopo la morte di suo nonno Gianni e di Umberto Agnelli, e prima quando il lutto di Giovannino Agnelli l'aveva lanciata in prima linea così giovane, le è mai venuto in mente partita perduta, non ce la faremo, la Fiat è spacciata e toccherà a me la sconfitta dopo un secolo? "Non sono mai stato pessimista. Ho sempre vissuto invece con il dubbio, come è giusto: anche quando le cose vanno bene occorre non abbassare la guardia. Dobbiamo imparare a convivere con l'incertezza e il cambiamento e la chiave sta proprio in questo: non dare nulla per acquisito". Condivide il vertice con Marchionne, forse l'uomo del giorno in Italia, amato, criticato, detestato, invidiato. Chi è davvero l'uomo dal pullover? "È una persona che ha studiato molto, che conosce la filosofia, la storia, il diritto. Che ha un approccio profondo alla vita e al lavoro. Chiede molto ai suoi collaboratori, ma ancora di più a se stesso. Ricorda la pubblicità Amarcord, con cui lanciammo la 500? Ecco là dentro c'è Sergio". Dove si vede tra dieci anni ingegnere? "Lavoriamo sul lungo termine: il che sembra un paradosso in un mondo impaziente. Invece è la chiave del successo, far vivere valori tradizionali con le sfide del presente. Sono sereno, fiducioso".
2011-02-04 Accordo separato per il pubblico impiego. Brunetta: il salario accessorio non sarà toccato di Claudio TucciCronologia articolo4 febbraio 2011Commenti (3) * Leggi gli articoli * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2011 alle ore 10:41. * * * * Il salario accessorio dei dipendenti pubblici non sarà toccato. Lo ha detto - secondo quanto si apprende - il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta ai sindacati nel corso dell'incontro a palazzo Chigi sui premi di poduttività nella pubblica amministrazione, che dovrebbero partire quest'anno. "Abbiamo regolato - ha detto il ministro - la fase di transizione per flessibilizzare gli effetti del blocco della contrattazione nazionale fino al 2013 senza mettere in discussione un nuovo modello contrattuale e la riforma del pubblico impiego. Vogliamo valorizzare tanto l'uno e l'altra tenendo conto del blocco". Camusso: si parli anche di precari e rsu Secca la replica del segretario generale della Cgil Susanna Camusso: "Siamo pronti a una discussione che tenga conto di tutto, anche dell'emergenza precari e della necessità di procedere con urgenza alle elezioni delle Rsu, altrimenti la Cgil non é interessata". L'intesa presentata dal ministro Brunetta, secondo Camusso, non é frutto di un confronto. "L'accordo é già pronto - secondo Camusso - non é risultato di un confronto e parte dalla riforma del modello contrattuale che la Cgil non ha firmato". Per il Governo, oltre a Brunetta, erano presenti all'incontro il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Per i sindacati sono presenti i segretari generali di Cgil, e Cisl, Susanna Camusso e Raffaele Bonanni, e il segretario confederale della Uil, Paolo Pirani. Accordo separato Il Governo ha presentato un'ipotesi di accordo sui premi di produttività per i dipendenti del pubblico impiego. Nel merito, spiegano da palazzo Vidoni, l'accordo tocca due temi fondamentali quali i premi individuali (che la riforma Brunetta prevede in base a fasce di merito) e il sistema delle relazioni sindacali. Al fine di non pregiudicare le attuali retribuzioni dei dipendenti pubblici si è stabilito che i premi previsti dalla riforma Brunetta possano essere finanziati solo con le risorse derivanti da risparmi di gestione, secondo quanto previsto comma 17 dell'art. 61 del decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133/2008 (il cosiddetto "dividendo dell'efficienza"). Quanto alle relazioni sindacali, l'accordo prevede una direttiva all'Aran per trattare un contratto collettivo quadro che tenga conto dell'intera cornice normativa vigente in materia ai fini dell'applicazione del decreto legislativo n. 150/2009. La Cgil ha lasciato il tavolo L'accordo è stato firmato da Cisl e Uil. La leader della Cgil, Susanna Camusso ha invece lasciato il tavolo. Questo il suo commento: "L'accordo firmato da Cisl e Uil sui salari di produttività nel pubblico impiego "è una presa in giro dei lavoratori" e per questo la Cgil non l'ha firmato". "Il testo - ha spiegato Camusso - non affronta i problemi urgenti che abbiamo. La Finanziaria taglia il 50% dei lavoratori precari della pubblica amministrazione. Non si fa la riforma dell'amministrazione con il taglio della contrattazione nazionale (bloccata fino al 2013). Siamo di fronte - ha aggiunto - a dei sindacati che corrono in soccorso di un Governo un pò claudicante". Bonanni: unici in Europa a mantenere intatti i salari Diversa la reazione di Cisl e Uil. La Cisl, ha detto Bonanni, considera l'accordo appena raggiunto sul salario accessorio "un accordo importante perchè chiarisce definitivamente che le buste paga del pubblico impiego saranno esattamente quelle che erano". "Cisl e Uil hanno potuto ottenere - ha sottolineato Bonanni - situazioni molto diverse dei dipendenti inglesi, spagnoli e francesi che non solo hanno avuto un blocco del salario ma la decurtazione. L'Italia è l'unico caso - ha concluso - nel quale si è riusciti a mantenere intatti i salari". Pirani: nemmeno un euro è stato tolto alle buste paga Per Pirani, della Uil, "Questo accordo, pur nel blocco dei contratti, non diminuisce neanche di un euro le retribuzioni dei pubblici dipendenti ma anzi dà la possibilità di erogazioni ulteriori". I risparmi, ha aggiunto, "andranno su base della valutazione del merito e della produttività ad aumentare le retribuzioni dei pubblici dipendenti". Pirani ha anche precisato che saranno mantenuti per la scuola gli scatti di anzianità. Nei prossimi giorni, ha proseguito Pirani, ci sarà un tavolo all'Aran "per un nuovo sistema delle relazioni sindacali che rimetta al centro la contrattazione per una riforma con i lavoratori e non contro i lavoratori". È stato inoltre chiesto a Letta "una convocazione a palazzo Chigi con i rappresentanti delle autorità locali e delle regioni che non possono e non devono sottrarsi a questo confronto".
2011-01-23 Sull'Irpef la trattativa finale di Gianni TrovatiCronologia articolo23 gennaio 2011 Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2011 alle ore 13:57. Sblocco dell'addizionale Irpef e ridisegno dell'imposta municipale sugli immobili, garanzie sulla dinamica del gettito e battesimo della tassa di soggiorno. Sono i punti principali, accanto all'ampliamento della tassa di soggiorno a tutti i comuni, su cui si eserciteranno domani i tavoli di confronto fra il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, il collega alla Semplificazione Roberto Calderoli e i sindaci per fare uscire dalle secche il decreto sul federalismo municipale e portarlo il più "coperto" possibile alla prova finale in bicamerale. Il governo venerdì ha offerto un'apertura sostanziale alle richieste dei comuni; ora, oltre a "spaccare il capello in quattro" come annunciato da Calderoli, si tratta di far decidere la politica. Addizionale Irpef È il cuore della partita, perché spendibile da subito: i sindaci la chiedono da mesi, perché il congelamento delle entrate lascia come unica leva quella delle tariffe. Già negli ultimi due anni le richieste per trasporti, asili nido e rifiuti sono cresciute in modo vigoroso ma, è l'obiezione diffusa, le tariffe sono regressive, perché riguardano da vicino chi ha più bisogno dei servizi comunali e cioè le famiglie con i redditi medio-bassi. La via d'uscita passerebbe dalla scelta di lasciare ai sindaci la possibilità di ritoccare già con i bilanci di quest'anno, che devono essere chiusi entro marzo, le aliquote dell'Irpef comunale, senza alzare almeno per ora il tetto massimo dello 0,8 per cento (con l'eccezione di Roma); la decisione riguarderebbe soprattutto le città (come Venezia, Brescia o Milano) che sono state sorprese dal congelamento nel 2008 con aliquote basse o a zero. Le pressioni sul tema esercitate dai sindaci finora hanno prodotto un'addizionale futuribile, che dovrebbe sostituire progressivamente la compartecipazione Irpef del 2%, ma il meccanismo non avrebbe effetti sui conti 2011. Il nodo più delicato, come mostra l'esperienza del decreto sul fisco regionale, è come far andare d'accordo una rinata libertà fiscale dei sindaci con la clausola di invarianza della pressione che presidia tutta la riforma. Imposta municipale Anche sull'Imu sul possesso degli immobili i numeri si incrociano con i nodi politici. Finora, nonostante le promesse del primo testo del decreto, l'aliquota di riferimento non è mai stata messa nero su bianco, anche perché la nuova base imponibile imporrebbe una cifra più alta. I tecnici al lavoro per il governo hanno sempre assicurato che il passaggio, grazie anche all'abolizione di alcune imposte come l'Irpef sui redditi fondiari, sarebbe stato a costo zero per i contribuenti, ma un'aliquota del 10,6 per mille (come quella che emergerebbe dai calcoli attuali) rispetto al 6,4 per mille medio dell'Irpef ordinaria ha anche un problema di "presentabilità" politica. La bozza di mercoledì ha provato a rimandare alla legge di stabilità il compito di fissare il valore di riferimento della nuova tassa, ma l'idea è stata bocciata dai comuni: "Questa ipotesi azzera l'autonomia", hanno ribattuto, senza contare che i bilanci preventivi hanno un orizzonte triennale e quindi imporrebbero di conoscere con certezza la dinamica delle entrate. L'idea che si è fatta strada ora è quella di cambiare i confini della base imponibile, che arruolerebbe in formula piena, con l'aliquota ordinaria, gli immobili strumentali delle imprese; per loro l'abbattimento del 50% sull'aliquota, anziché automatico, sarebbe rimandato alla scelta dei singoli comuni. Il meccanismo amplia gli immobili tassati, e secondo i calcoli girati ieri e venerdì sui tavoli del governo permetterebbe di fissare le richieste fra il 7,4 e il 7,8 per mille, cioè un numero molto più simile a quello offerto oggi dall'Ici ordinaria: a pagare il conto sarebbero le imprese, ma i comuni potrebbero avere la possibilità anche di modulare le richieste in base alle categorie di soggetti economici (come accade per l'Irap).
Strappo di Veltroni su lavoro e fisco Lina PalmeriniCronologia articolo23 gennaio 2011 Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2011 alle ore 08:14. TORINO. Dal nostro inviato Il ritorno al Lingotto tre anni dopo, da minoranza e senza leadership, cambia di nuovo registro a quello che era il Pd di Walter Veltroni. Questa è una tappa in avanti, meno emotiva e più razionale, che strappa con i vertici del partito sui temi del lavoro e mescola ricette liberali con quelle progressiste come correnti miste, fredde e calde. Sullo sfondo l'ambizione di stabilire un'equità dei doveri e non solo delle opportunità, "un interclassismo dinamico", come l'ha chiamato Giorgio Tonini che molta parte ha avuto nella scrittura di questo manifesto "per il dopo Berlusconi". E così accanto all'appoggio incondizionato a Sergio Marchionne su Mirafiori questo Pd mette sul tavolo anche la richiesta di legare il contratto dell'ad Fiat ai risultati industriali più che agli andamenti di Borsa di breve periodo. E, accanto a un fisco che riconosca la soggettività delle partite Iva, spunta una tassa patrimoniale su quel decimo della popolazione più ricca (in termini di patrimonio non di reddito) come contributo straordinario per la riduzione del debito pubblico. Pierluigi Bersani ascolta in prima fila. Dirà che è possibile trovare un "punto di sintesi" ma sui temi del lavoro la distanza appare molto ampia, come fa notare Paolo Gentiloni quando gli rimprovera un eccesso di "reticenza" su Fiat. Ma le differenze si annullano sulla fase politica attuale. Quel richiamo di Veltroni a "un governo di tutti, ma non un ribaltone, che affronti l'emergenza e faccia il federalismo" è un'apertura alla Lega per disarcionare il premier su cui si ritrova tutto il partito. L'exit strategy da Silvio Berlusconi è quella che compatta il leader e l'ex leader su uno stesso slogan: tutto è meglio di lui. Meglio sarebbe la stessa maggioranza ma con un nuovo premier. E meglio sarebbe perfino il voto se il Cavaliere resta: un voto a cui anche i veltroniani andrebbero con un fronte da Vendola a Fini. Insomma, polemiche bandite tant'è che Bersani parla di una "sfumatura" che lo separa da Veltroni. Ma è il capitolo economico la vera sfumatura tra i due Pd. Il primo strappo del Lingotto sta nel definire un partito che non sia più identificato con la spesa pubblica. La prima priorità di questa agenda 2020, che ha l'ambizione di somigliare a quella tedesca, è infatti di ridurre il debito pubblico dell'80% con tre mosse: fissare una patrimoniale come contributo straordinario sulla scia dell'eurotassa; controllare la spesa corrente con l'obiettivo vincolante di farla aumentare annualmente della metà della crescita del prodotto nominale; valorizzare il patrimonio pubblico conferendo una quota significativa a un'apposita società. Il secondo strappo, il più forte, è sul lavoro. Perché il "sì sofferto" a Mirafiori per Veltroni diventa un punto di partenza avanzato per fare un balzo verso la partecipazione dei lavoratori all'impresa, nuove regole di rappresentanza, nuovi contratti decentrati e nuovo statuto dei lavoratori. Qui un solo nome viene citato, Pietro Ichino, che non piace molto alla maggioranza bersaniana. Di Ichino si cita il progetto sulla rappresentatività (il sindacato maggioritario ha il diritto di negoziare per tutti) e il "diritto unico del lavoro" per riunificare mondo dei precari e garantiti. Qui Paolo Gentiloni chiama in campo un riformismo liberale che contamini il nuovo welfare e tutto l'assetto redistributivo, togliendo peso alla politica nell'economia "incluse le banche: che fine ha fatto Unicredit?". E sul fisco è Beppe Fioroni che senza perifrasi parla di un partito che "deve collocarsi sul dopo Visco, per l'attenzione alle piccole imprese". Ed è sempre lui a mettere l'accento sulla famiglia per creare una "no tax area". Insomma, una no-stop di proposte con poca musica, pochi video – tranne un Anthony Giddens in accappatoio bianco su cui i tecnici hanno lavorato ore per stringere l'inquadratura – e nessuna narrazione.
Un patto con imprese e banche per gestire le aziende confiscate Serena UccelloCronologia articolo23 gennaio 2011 Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2011 alle ore 08:14. Arriva a Milano con il treno delle dieci, prima tappa via Freguglia in tribunale. "Ho un appuntamento con il presidente Pomodoro", spiega il prefetto Mario Morcone. Due ore, e poi di corsa verso via Vida, alla sede di Emergency, "ci hanno contattato per verificare la possibilità di una collaborazione". In mezzo il prefetto, che da maggio è a capo dell'Agenzia nazionale per i beni confiscati, racconta i progetti in cantiere e lascia dedurre che questa trasferta milanese non è un appuntamento isolato ma quasi una costante della sua agenda. Perché? "Perché a breve - dice - apriremo una sede dell'Agenzia anche qui". E per quanto non voglia sbilarciarsi su una data, fa capire che è questione di poco tempo. "A febbraio apriamo a Palermo e poi...". Poi la Lombardia. Il lavoro parte da lontano e l'incontro con il presidente Livia Pomodoro ne è una conferma. "All'interno del piano strategico per la giustizia a Milano - spiega - il presidente ha dedicato una parte proprio alla materia della gestione e del riutilizzo dei beni confiscati". L'obiettivo, racconta, è quello di mettere insieme tutti i soggetti in grado di dare un contributo efficace, "e noi - dice - come agenzia stiamo cercando di dare una mano". Il punto di partenza è che servono competenze per mantenere o rendere nuovamente produttive 195 aziende. È questo infatti il numero delle imprese confiscate in Lombardia. Numero (aggiornato a dicembre del 2010) che posiziona la regione al terzo posto dopo Sicilia (516) e Campania (268) e che indica un significativo balzo rispetto all'anno precedente quando le società confiscate erano 165 (665 invece gli immobili, diventati quest'anno 762). In totale i beni strappati alla criminalità organizzata dal 1982 (anno in cui viene varata la legge Rognoni-La Torre) ad oggi sono 11.152 (9.787 immobili e 1.365 imprese, in crescita rispetto al 2009 quando gli immobili erano 9.198 e le le aziende 1.223). Difficile stimare l'ammontare complessivo del loro valore, tuttavia per farsi un'idea si può considerare che dentro ci sono gioielli come il Castello di Miasino in provincia di Novara (valutato 4,6 milioni di euro) o il Parco dei templari ad Altamura, un complesso turistico in provincia di Bari che vale quasi 16 milioni e mezzo. Passando dalle confische ai sequestri il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ama ripetere che il loro tasso di incremento negli ultimi anni è stato del 300% per un valore totale di 20 miliardi, il 20% è costituito da aziende. Se dunque le ultime indagini, si pensi ai trecento arresti dello scorso luglio, hanno fatto capire come lo storico asse criminale Sicilia-Calabria-Lombardia è inossidabile, ora Milano pare voler recuperare centralità anche sul piano del contrasto. E, in particolare, in un segmento preciso quale appunto la gestione e il riutilizzo dei beni confiscati. "In questa fase - racconta Morcone - è importante coinvolgere il mondo imprenditoriale e finanziario". Nel primo caso per recuperare quelle competenze gestionali che non sempre hanno gli amministratori nominati dai tribunali. Servono cioè i manager del settore privato per aiutare gli amministratori a salvare le aziende, "ci serve una sorta di tutoraggio". Una concreta best practice concreta c'è già ed è il protocollo siglato con l'unione industriale di Napoli. Ma va esattamente in questa direzione anche la disponibilità avanzata dal presidente di Assolombarda, Alberto Meomartini, e prima ancora il protocollo firmato a Milano, un anno fa, tra Confindustria e ministero dell'Interno. Quanto all'aiuto delle banche questo è inevitabile per risolvere almeno un paio di questioni centrali. "Stiamo cercando con l'Abi di trovare una soluzione in particolare per due problemi - dice Morcone -. Un terzo dei beni immobili, per lo più in Sicilia, sono infatti gravati da ipoteche. L'altra questione riguarda i fidi che vengono meno non appena un'azienda viene posta sotto sequestro. Ora dobbiamo, da un lato, evitare che venga interrotto il flusso dei finanziamenti, dall'altro tutelare da rischi gli istituti di credito. Per farlo stiamo pensando all'istituzione di un fondo di garanzia e di chiedere il sostegno di alcune fondazione bancarie". A fronte di vantaggi evidenti che derivano dal riutilizzo dei beni confiscati, esistono infatti una serie di criticità con cui deve misurarsi chi gli amministra, a partire dal loro stato di salute. Qualche indicazione su queste criticità le fornisce un'analisi di Rosa Laplena, esperta nella gestione dei beni confiscati (si veda Il Sole 24 ore-Sud del 19 gennaio) che in cifre restituisce la sua esperienza. "Il 33% circa delle aziende con dipendenti arrivate alla confisca definitiva - scrive - versano in una situazione debitoria grave con un altissimo potenziale di perdita dei posti di lavoro. Il trend nei fatturati si presenta così: positivo 8%, negativo 54%, costante il 21%, non rilevato il 17%, hanno avuto ripercussioni negative nel mercato per il 54,2%, nei rapporti con i clienti per il 45,8% e il 45,4% anche con le banche". Come a dire che, nonostante le potenzialità, molte attività arrivano nella mani dello Stato in una situazione di sostanziale pre-crisi. A complicare la gestione, in alcuni casi, l'assetto della proprietà. Non sempre cioè il sequestro e la confisca riguardano il 100% di un immobile, qualche volta si tratta solo di quote. Situazione che rende assai difficile la riassegnazione. Ancora più arduo se si tratta delle aziende. Un'idea, suggerita, da diversi operatori è l'introduzione del cosiddetto "sequestro per equivalente". Invece cioè di intervenire su una parte di immobile o di azienda, si suggerisce di procedere, per un ammontare equivalente, su conti correnti o su beni di valore tale da garantirne la disponibilità integrale. Sul strada delle possibili soluzioni si inserisce l'idea lanciata da Legacoop. Accanto cioè all'ormai collaudata esperienza che ha portato alla creazione di cooperative per la gestione dei terreni confiscati, potrebbe presto svilupparsi un modello analogo per rilevare le aziende in difficoltà. "Siamo pronti - spiega il presidente Giuliano Poletti - a mettere a disposizione di quei dipendenti che vogliano creare delle cooperative per salvare la propria azienda la nostra esperienza e i nostri servizi finanziari".
2011-01-21 I sindacati: priorità alla rappresentanza Giorgio PogliottiCronologia articolo21 gennaio 2011 Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2011 alle ore 06:36. Il "ciclone" Marchionne ha modificato l'agenda sindacale: in cima c'è il nodo della rappresentanza, insieme al contratto dell'auto, da sciogliere in tempi brevi per far rientrare le "anomalie" di Pomigliano e Mirafiori. Mentre la proposta di Federmeccanica – consentire contratti aziendali sostitutivi di quelli nazionali – potrà essere oggetto del confronto sul modello contrattuale in vigore dal 22 gennaio del 2009, che ha carattere sperimentale e prevede una verifica prima della scadenza quadriennale. Le tre partite aperte sono strettamente connesse. L'ultima in ordine temporale è la proposta votata mercoledì dal direttivo di Federmeccanica, bocciata da tutte le sigle, anche dalla Cisl che è l'organizzazione più dialogante e favorevole al pontenziamento della contrattazione di secondo livello. Il segretario generale aggiunto, Giorgio Santini, tende a ridimensionare gli effetti pratici della decisione: "Nella proposta l'eccezione conferma la regola – commenta – perchè si consentirebbe ad altre imprese di seguire l'esempio della Fiat, ma siamo convinti che non ci siano altri gruppi di pari dimensioni che lo faranno. Non ci attendiamo una fuga di massa dal modello contrattuale". Il sistema del 2009 (non firmato dalla Cgil) basato su due livelli contrattuali, rende possibili le deroghe aziendali, con l'unico vincolo che vi sia un'autorizzazione in ambito nazionale di chi ha firmato il contratto, affinchè non si crei dumping contrattuale. Questo schema, peraltro, è stato condiviso dai chimici della Cgil, anche se Corso d'Italia è da sempre contraria alle deroghe. Ma la proposta di Federmeccanica rappresenta un passo ulteriore rispetto alle deroghe, consentendo in casi specifici di rendere il contratto aziendale alternativo a quello nazionale, per rispondere alle esigenze di maggiore flessibilità. "Ne potremo discutere nell'ambito della verifica del modello contrattuale prevista nel 2012 – continua Santini –. Vanno salvaguardati i due livelli, rafforzando la contrattazione aziendale che non deve diventare sostitutiva rispetto al contratto nazionale che potrà diventare più leggero". La verifica potrebbe "sanare" anche la rottura con la Cgil, unica organizzazione che non ha firmato l'accordo di palazzo Chigi del 2009. Quell'accordo, secondo la leader Susanna Camusso, rappresenta un "vulnus" con effetti anche sulla vicenda Fiat: "Mi permetto di dire a Confindustria che bisognava pensarci prima – ha detto – che dividersi sulle regole avrebbe causato una progressiva deriva della rappresentanza. Se non ci si riconosce reciprocamente è difficile ottenere l'esigibilità degli accordi e trovare punti di mediazione". Proprio sul tema della rappresentanza si cerca un'intesa che, però, pare difficile raggiungere in tempi brevi. I sindacati restano divisi: la proposta della Cgil è stata respinta da Cisl e Uil che considerano come unico punto di riferimento il documento unitario del maggio del 2008. Il punto critico sono le regole per rendere vincolanti le intese separate quando hanno il consenso della maggioranza. Quanto al contratto specifico dell'auto, in vista del prossimo appuntamento al tavolo negoziale fissato per lunedì, Fim e Uilm giudicano "inopportuna e sbagliata" la proposta di Federmeccanica. E ricordano che il contatto nazionale dei metalmeccanici scade alla fine del 2012, difendendo l'attuale articolazione su due livelli.
"Più flessibilità con regole concordate" Nicoletta PicchioCronologia articolo21 gennaio 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2011 alle ore 06:36. * * * *
ROMA È rimasto stupito dal clamore suscitato dalla proposta del direttivo della Federazione. Dalle reazioni immediate nel mondo del sindacato e della politica, divisi tra favorevoli e contrari sull'ipotesi di rendere alternativo il contratto nazionale e quello aziendale. "La nostra è una proposta da valutare, un invito a ragionare nel solco indicato dall'accordo interconfederale del 2009, che ha inserito un sistema di deroghe ampio rispetto al contratto nazionale. Si tratta di prenderne atto, prevedendo in modo trasparente un contratto collettivo tagliato sulla singola realtà d'impresa, fermi restando alcuni contenuti minimi comuni", spiega Pierluigi Ceccardi, presidente di Federmeccanica. Si tratta di una novità comunque importante... È utile chiarire i termini della questione che mi sembra abbia sollevato un polverone improprio. Tutto nasce da un comunicato stampa emesso al termine di una riunione del nostro Consiglio direttivo che dà conto della discussione che c'è stata. Tra le altre cose vi si legge che il Consiglio ritiene necessario procedere rapidamente sulla via della flessibilizzazione del nostro modello contrattuale proseguendo lungo il percorso aperto dall'accordo interconfederale del 15 aprile 2009. A questo proposito ritiene anche che sarebbe utile prendere in considerazione l'ipotesi di integrare quell'accordo con la previsione della possibile alternatività tra contratto specifico per determinate situazioni aziendali e contratto nazionale. Si vuole cancellare o comunque ridurre la portata del contratto nazionale? La proposta non intende certo cancellare il contratto nazionale, ma consentire una più chiara definizione di un sistema contrattuale flessibile e adattabile alle esigenze aziendali laddove necessario. Il contratto nazionale manterrebbe la sua funzione per la stragrande maggioranza delle aziende. Quello che dico è confortato anche dall'esperienza tedesca, dove questo problema è stato affrontato con qualche anno di anticipo rispetto a noi. Questo tema della flessibilità contrattuale è particolarmente sentito in un settore come il nostro che è fortemente esposto alla competizione globale e nel quale operano numerose imprese multinazionali. Segnalo che in alcuni casi l'impossibilità di avere un contratto aziendale con regole conformi a quelle proprie degli altri stabilimenti è un potente freno ad insediare stabilimenti nel nostro paese mentre tutti sappiamo quanto bisogno abbiamo di attrarre capitali esteri. Federmeccanica, con questo cambiamento, non rischia di veder diminuito il suo ruolo? Direi proprio di no. Non abbiamo alcun orticello da difendere ma non siamo neanche degli autolesionisti. Il contratto nazionale resta lo strumento principale del sistema contrattuale e gli accordi aziendali sarebbero comunque dentro le regole generali concordate, con un ruolo immutato, e forse addirittura accresciuto, di assistenza alle imprese per il sistema nelle sue articolazioni territoriali. In Italia però, viste le reazioni, questa ipotesi non sembra essere matura... Non sono d'accordo e vorrei richiamare i seguenti fatti: la presidente Marcegaglia ha annunciato per la primavera una proposta rivolta ai sindacati per farne la base dei futuri contratti. Nel governo, il ministro Sacconi proprio in questi giorni ha parlato di contratti aziendali che devono essere "sovraordinati" rispetto a quelli nazionali; nell'opposizione, il senatore Ichino ha dedicato a questo tema una ingente mole di lavoro di analisi e di proposta; sul piano delle relazioni sindacali, Fiat e sindacati hanno firmato un contratto sostitutivo del contratto collettivo dei metalmeccanici pur facendo ad esso ripetuti riferimenti. Si aggiunga a tutto ciò che nel nostro contratto di categoria abbiamo disciplinato un sistema che consente contratti aziendali ampiamente derogatori di quello nazionale con il solo vincolo del rispetto dei minimi. Mi domando allora se non valga la pena prendere atto di questo insieme di evidenze convergenti e rendere chiaro e trasparente il principio che laddove ci sia l'esigenza condivisa da imprese e lavoratori di avere un contratto collettivo completamente tagliato e cucito sulla propria realtà d'impresa questo possa essere possibile fermi restando alcuni contenuti minimi comuni. Non si rischia di aprire la strada ad accordi pirata fatti per sottrarsi alle regole comuni? Nel comunicato del Consiglio direttivo, insieme alla suggestione sulla possibile alternatività dei contratti, si torna a rivolgere un forte invito alle Confederazioni affinché si apra il confronto sul sistema di rappresentanza che, secondo noi, deve avere l'obiettivo di condividere e garantire regole certe per la stipula dei contratti, a qualsiasi livello, certezza nella loro applicazione senza diritti di veto delle minoranze, regole e procedure impegnative per tutti circa l'esercizio del diritto di sciopero. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL CONFRONTO L'accordo del 2009 - La base di partenza, nel dibattito sul futuro delle relazioni industriali, è l'accordo quadro per la riforma del modello contrattuale siglato nel gennaio del 2009. Accordo fondato sul "doppio livello": contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria e contrattazione di secondo livello. Con la possibile introduzione di deroghe. La svolta della Fiat - Nel panorama delle relazioni industriali una forte discontinuità arriva con i contratti Fiat per Pomigliano d'Arco e per Mirafiori. Lingotto e sindacati firmano un contratto sostitutivo del contratto collettivo dei metalmeccanici. Le newco dovrebbero rientrare in Confindustria nel momento in cui la confederazione degli industriali varerà un contratto ad hoc per l'auto. Il dibattito sui contratti - La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia (nella foto con il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi) ha annunciato per la primavera una proposta rivolta ai sindacati per farne la base dei futuri contratti. Il ministro Sacconi ha parlato di contratti aziendali che devono essere "sovraordinati" rispetto a quelli nazionali. La proposta Federmeccanica - Il Consiglio direttivo di Federmeccanica ha aperto il dibattito sulla previsione della possibile alternatività tra contratto specifico per determinate situazioni aziendali e contratto nazionale.
2011-01-17 Camusso: su Mirafiori stiamo valutando se ricorrere ai giudici Cronologia articolo16 gennaio 2011Commenti (6) Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2011 alle ore 16:15. Rispetto alla Fiom la Cgil ha sempre "dato lo stesso giudizio sulla qualità di quell'accordo", così come sul fatto che "non si conosce il piano industriale Fiat e che siamo di fronte a una partita non chiara e il governo non ha fatto il suo dovere". Susanna Camusso, leader della Cgil, torna così sul referendum di Mirafiori, ospite di Lucia Annunziata su Raitre di "In mezzo'ora". La numero uno del sindacato di Corso d'Italia, però, marca la distanza rispetto alla Fiom su un tassello. "Noi pensiamo che non si può essere fuori da quella fabbrica - aggiunge Camusso -. Bisogna essere dentro la fabbrica e non fuori dai cancelli". Confindustria ha delle responsabilità Dal salotto tv di Raitre Camusso invia poi un messaggio alla leader di viale dell'Astronomia, Emma Marcegaglia. "Credo che Confindustria ha una parte delle responsabilità di quanto avvenuto" nella vicenda Fiat. Innanzitutto spiega la segretaria della Cgil perché "nel 2009 firmò un accordo separato". Alla domanda poi se gli industriali escano indeboliti da questa partita Camusso ha risposto: "Lo temo, anche per Confindustria c'è il tema delle regole e della certezza di rappresentanza: e se c'è un'idea che si può entrare e uscire questo rende deboli". Possibile ricorso alla magistratura Quanto alla possibilità di ricorrere contro alcuni punti dell'accordo sottoscritto il 23 dicembre scorso e non siglato dalla Fiom, Camusso è chiarissima. "Credo - ha detto - che non sia mai sufficiente dire che si vuole ricorrere alla magistratura, cosa che tra l'altro se riterremo opportuno faremo. Valuteremo, ci sono sicuramente dei diritti che non sono a disposizione di nessun accordo sindacale, ma non basta. Non si può affidare la presenza sindacale al ricorso alla magistratura". Tra gli aspetti che potrebbero essere difesi in tribunale c'è quello legato allo sciopero limitato dalla clausola di responsabilità: "Noi interpretiamo così la clausola di responsabilità e qualdo abbiamo detto a Fiat di cambiarla tutto questo non è avvenuto". Domani, ha poi annunciato il segretario, la Cgil invierà a Cisl e Uil la proposta del sindacato su democrazia e rappresentanza sindacale, approvata ieri dal direttivo, "per definire, più che cambiare, le regole". (Ce. Do.)
2011-01-16 Camusso a Fiom: bisogna essere dentro la fabbrica e non fuori dai cancelli Cronologia articolo16 gennaio 2011Commenta Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2011 alle ore 16:15. Rispetto alla Fiom la Cgil ha sempre "dato lo stesso giudizio sulla qualità di quell'accordo", così come sul fatto che "non si conosce il piano industriale Fiat e che siamo di fronte a una partita non chiara e il governo non ha fatto il suo dovere". Susanna Camusso, leader della Cgil, torna così sul referendum di Mirafiori, ospite di Lucia Annunziata su Raitre di "In mezzo'ora". La numero uno del sindacato di Corso d'Italia, però, marca la distanza rispetto alla Fiom su un tassello. "Noi pensiamo che non si può essere fuori da quella fabbrica - aggiunge Camusso -. Bisogna essere dentro la fabbrica e non fuori dai cancelli". Confindustria ha delle responsabilità Dal salotto tv di Raitre Camusso invia poi un messaggio alla leader di viale dell'Astronomia, Emma Marcegaglia. "Credo che Confindustria ha una parte delle responsabilità di quanto avvenuto" nella vicenda Fiat. Innanzitutto spiega la segretaria della Cgil perché "nel 2009 firmò un accordo separato". Alla domanda poi se gli industriali escano indeboliti da questa partita Camusso ha risposto: "Lo temo, anche per Confindustria c'è il tema delle regole e della certezza di rappresentanza: e se c'è un'idea che si può entrare e uscire questo rende deboli". Possibile ricorso alla magistratura Quanto alla possibilità di ricorrere contro alcuni punti dell'accordo sottoscritto il 23 dicembre scorso e non siglato dalla Fiom, Camusso è chiarissima. "Credo - ha detto - che non sia mai sufficiente dire che si vuole ricorrere alla magistratura, cosa che tra l'altro se riterremo opportuno faremo. Valuteremo, ci sono sicuramente dei diritti che non sono a disposizione di nessun accordo sindacale, ma non basta. Non si può affidare la presenza sindacale al ricorso alla magistratura". Tra gli aspetti che potrebbero essere difesi in tribunale c'è quello legato allo sciopero limitato dalla clausola di responsabilità: "Noi interpretiamo così la clausola di responsabilità e qualdo abbiamo detto a Fiat di cambiarla tutto questo non è avvenuto". Domani, ha poi annunciato il segretario, la Cgil invierà a Cisl e Uil la proposta del sindacato su democrazia e rappresentanza sindacale, approvata ieri dal direttivo, "per definire, più che cambiare, le regole".
Ripartiamo tutti da Torino di Gianni RiottaCronologia articolo16 gennaio 2011 Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2011 alle ore 08:10. La storica vittoria dei sì al referendum di Mirafiori cancella le opposte propagande di questi giorni e onora i lavoratori della Fiat, tutti, quelli che si sono espressi a favore del piano Marchionne e quelli che lo hanno bocciato. Sottoposti a una pressione mediatica volgare, costretti da slogan senza criterio, "Se votate sì siete servi", "Se votate no siete comunisti", hanno deciso di testa loro, come chi conosce bene Torino, e i suoi operai e tecnici, non ha mai dubitato. Come faranno ora gli estremisti del no a dire che gli operai non ci stanno, visto che la metà ha accettato la svolta dell'innovazione? O proveranno a dire che l'han fatto "sotto ricatto", offendendo chi ha compiuto una libera scelta? Dall'altra parte i pasdaran del sì, e anche in questo campo ci sono stati eccessi di albagia, devono prendere atto che le tute blu si son spaccate, e a salvare la giornata per i riformisti son venuti i colletti bianchi, gli impiegati. A guardare ancora più da vicino la fabbrica – come è obbligatorio sempre, per chi di lavoro si voglia occupare davvero – si vedrà come i no abbiano prevalso, più largamente, nelle sezioni dove le mansioni restano più pesanti. L'accordo di Torino non è dunque una "vittoria della Fiat", un "successo personale di Marchionne", o il "debutto del giovane Elkann" come troppi dicono, applaudendo o fischiando. È la presa d'atto da parte della più grande fabbrica italiana, della capitale industriale del paese e della classe operaia più antica che, o si producono auto secondo lo standard mondiale di produzione di auto, o la produzione di auto si perde. Il resto son chiacchiere, il modello tedesco, i sogni meravigliosi di Olivetti, la Renault francese: se lo stesso Landini della Fiom andasse a guidare Mirafiori, presto dovrebbe fare i conti con Asia, America Latina, Europa e accettare le inesorabili regole globali. Il successo chiama ora tutti a un grande senso di responsabilità, in un'Italia con un caos politico ancora aperto, un forte debito pubblico e nella crisi dell'euro che si stenta a governare. Marchionne ha, con una spallata, aperto la porta del presente. Ora occorre intraprendere un percorso che porti tutti, non solo la Fiat o Mirafiori, nel futuro. Ognuno dovrà fare la sua parte. Il governo, scuotendosi da una certa sonnecchiosa attesa. L'opposizione, mettendo da parte le faide, e ragionando sulle proposte di nuova rappresentanza. La Confindustria che ha incoraggiato e difeso la battaglia di Fiat, ma che ora deve proteggere tutto l'esercito delle imprese, grandi e no, e impedire che il rancore di chi si sente battuto e non accetta la sconfitta, generi risentimenti in altre fabbriche e distretti. I sindacati che han vinto, la Cisl di Bonanni, la Uil, Ugl, devono tornare a dialogare con i battuti, perché altrimenti un sordo logorio prevarrà. La Cgil di Camusso che può vantare un no forte ma sconfitto, e chiedere dunque alla Fiom riottosa di non rinunciare alla rappresentanza per un velleitario puntiglio di ideologia. Altro che "firma tecnica". Qui si tratta, se Fiom non vuole lasciare i suoi sostenitori nel campo di Agramante della frustrazione, di stare bene dentro il conflitto del XXI secolo, ma ragionando. E infine la Fiat, che può dispiegare finalmente progetti, investimenti, nuovi modelli, governance, sinergia con la Chrysler, dimostrando che i critici più occhiuti hanno sbagliato e che Fabbrica Italia non è slogan, ma laboratorio. Di questo parla lo scontro Fiat, di come l'Italia deve e può stare nel XXI secolo. E se inquadrate il voto di Mirafiori nel Dossier economia Italia che Il Sole 24 Ore ha preparato oggi, in esclusiva, con la Banca d'Italia, vedrete come un campione di 481 imprese rivendichi, a nome di tutta la manifattura italiana, il diritto di non essere lasciato solo nel mare della crisi. Ascoltate le voci di chi non ha ai cancelli della fabbrica né telecamere, né politici in cerca di spot. Sentite il malessere profondo di chi deve, a sua volta, tentare di navigare nel mare della globalità ma non ha ancora sufficienti contatti internazionali. Ridurre al silenzio chi in Italia si ostina a produrre ricchezza e lavoro vanificherebbe perfino il risultato di Mirafiori: perché o entriamo tutti nell'industria della globalità, o non ci entra nessuno. Cosa chiedono nel nostro Dossier economia Italia le aziende? Accesso al credito. Monitoraggio dei prezzi delle materie prime, di cui nessuno discute e ragiona da noi. Ancora riflessioni e innovazioni sul costo del lavoro. Un sistema fiscale meno punitivo. Difesa del personale qualificato, che i momenti negativi possono disperdere. Occhio all'inflazione. E naturalmente stabilità politica, ma non mascherata da una perenne rissa, giusto mentre la crisi divide l'euro e l'Europa.ù Sfogliare oggi questo giornale, dallo storico risultato di Mirafiori al grido di allarme delle aziende, illustra l'agenda del 2011 italiano. Avanti nei grandi stabilimenti con innovazione e investimenti, avanti nelle piccole e medie imprese che innervano di lavoro i territori. Senza fughe in avanti, senza attese di un passato che non tornerà: mai più. Dalla Fiat oggi si può davvero ripartire, per portare l'intero sistema della produzione italiana, il secondo in Europa, a ricreare occupazione per i giovani, sviluppo, ricerca, benessere. Se non ora, quando? twitter@riotta
Marchionne sul voto alla Fiat: ha vinto il coraggio di chi vuol cambiare. Il testo della lettera Cronologia articolo15 gennaio 2011Commenti (5) Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2011 alle ore 12:20. Votando sì all'accordo di Mirafiori i lavoratori "hanno scelto di prendere in mano il loro destino, di assumersi la responsabilità di compiere una svolta storica e di diventare gli artefici di qualcosa di nuovo e di importante". L'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, commenta così in una nota la vittoria dei sì al referendum di Mirafiori. "In un paese come l'Italia, che é sempre stato legato al passato e restio al cambiamento, e il referendum di ieri in parte lo ha dimostrato, la scelta di chi ha votato sì è stata lungimirante - aggiunge Marchionne -. Rappresenta la voglia di fare che si oppone alla rassegnazione del declino. Rappresenta il coraggio di compiere un passo avanti contro l'immobilismo di chi parla soltanto o aspetta che le cose succedano". COMMENTO / Ora si può (anzi si deve) passare ai fatti (di Nino Ciravegna) A Mirafiori vince il sì con il 54% dei voti. La lunga notte del referendum DOCUMENTI 1 / Il testo integrale della dichiarazione di Marchionne DOCUMENTI 2/ Il testo dell'accordo di Mirafiori
Ora i "no" prendano coscienza dell'accordo Con la loro scelta nel referendum i lavoratori di Mirafiori "hanno dimostrato di avere fiducia in se stessi e nel loro futuro", hanno dimostrato "il coraggio di compiere un passo avanti contro l'immobilismo di chi parla soltanto o aspetta che le cose succedono". Quindi un messaggio a quanti hanno sostenuto il no all'intesa."Mi auguro che le persone che hanno votato no, messe da parte le ideologie e i preconcetti prendano coscienza dell'importanza dell'accordo che salvaguarda le prospettive di tutti i lavoratori". Dicendo sì all'accordo, prosegue l'ad nella nota, i lavoratori "hanno chiuso la porta agli estremismi, che non portano a nulla se non al caos, e l'hanno aperta al futuro, al privilegio di trasformare Mirafiori in una fabbrica eccellente". L'accordo non intacca i diritti dei lavoratori L'accordo di Mirafiori, che ha avuto l'ok dai lavoratori dello stabilimento Fiat, ragiona ancora l'amministratore delegato, "e che è stato al centro di così tante polemiche, serve solo a far funzionare meglio la fabbrica, senza intaccare nessun diritto". Non penalizza i lavoratori in nessun modo, continua Marchionne, "e mantiene inalterate tutte le condizioni positive che sono previste non solo dal contratto collettivo ma anche da tutti i trattamenti che la Fiat nel tempo ha riconosciuto alle proprie persone". Il piano per Mirafiori è molto ambizioso Marchonne è poi tornato sul programma previsto per Mirafiori. "Il piano per questo stabilimento è molto ambizioso. La società che verrà costituita tra Fiat e Chrysler - osserva - ci permetterà di installare a Mirafiori una nuova piattaforma per costruire Suv di classe superiore, sia per il marchio Jeep sia per l'Alfa Romeo, da esportare in tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti. Questo ci consentirà di raggiungere un livello di produzione molto elevato, fino a 280mila unità l'anno, aprendo anche la strada ad una possibile crescita dell'occupazione". (Ce.Do.))
15 gennaio 2011 A Mirafiori verranno prodotte 250-280mila auto l'anno. Ecco i modelli previsti Nella fabbrica italiana vetture di alta gamma e sport utility con i marchi Jeep e Alfa Romeo. A regime la fabbrica produrrà 250-280 mila vetture l'anno di Mario Cianflone e Corrado Canali Mirafiori: un futuro tra (compatte sportive) berline, station wagon e Suv. Il piano industriale presentato lo scorso 21 aprile prevede innanzitutto che nella storica fabbrica torinese verrà prodotta a partire dal 2013 la versione a cinque porte della MiTo. Una vettura che dovrebbe dare una spinta alle vendite della due volumi del biscione nata nel 2008 e che a quella data avrà l'età giusta per rifarsi il trucco ed essere offerta anche con comode porte dietro. Sempre attenendosi al piano ufficiale a Mirafiori è prevista la produzione del restyling della Giulietta e si tratta di una rivisitazione importante perché da questa nascerà anche la variante deputata allo sbarco negli Usa di Alfa Romeo previsto per il 2012. Il tutto ovviamente se il brand non verrà ceduto (a Volkswagen, per esempio) ma su questo punto, nei giorni scorsi al Salone di Detroit sia Marchionne sia Elkann sono stati categorici: Alfa non si tocca. Mirafiori sarà anche la culla di un Suv appartenente al segmento D. E i veicoli sport utility sono fondamentali per il gruppo al fine di competere in Europa e nel mercato globale, rappresentano un settore poco presidiato da Fiat, se si esclude la Sedici che, eredità del fallito matrimonio con Gm e gemello del Suzuki Sx4, finirà la sua carriera nel 2012. Fiat ha dunque l'esigenza di proporre un Suv compatto per contrastare i best seller europei (uno fra tutti il Nissan Qashqai) e ora, oltretutto, nell'orbita del Lingotto vi è un brand iconico e leggendario del mondo dei Suv e fuoristrada: Jeep, un marchio che sta festeggiando in questi giorni il 70.esimo compleanno. Proprio per sferrare l'offensiva nel terreno dei Suv ecco che in aggiunta ai modelli previsti dal piano di aprile, Fiat ha dichiarato che a Mirafiori saranno costruite anche due sport utiliy/crossover di taglia media basati sulla piattaforma Compact, ovvero sulla struttura che dà vita alla Giulietta. Si tratta di un pianale modulare che può essere allungato e allargato per adattarsi a vari modelli. E anche espanso nel passo e nella carreggiata nonché è predisposto per le quattro ruote motrici. I due modelli avranno sia il marchio Jeep sia quello Alfa Romeo e in quest'ultimo caso segnerà il debutto del biscione dal cuore sportive in uno dei settori più dinamici e combattuti dell'industria dell'automobile. Mirafiori, inoltre, potrà ospitare (nulla è definito) anche le linee per la Giulia la medio-grande che sostituirà la 159, anche famigliare. La vettura però, stando alle affermazioni fatte da Marchionne in una tavola rotonda con la stampa italiana a margine del Salone di Detroit, è stata definita dal numero uno del gruppo come "auto più idonea" per gli Usa e avrà una base americana. Si tratterà con tutta probabilità di un'evoluzione della citata piattaforma Compact e battezzata D-Evo, ovvero una variante adeguatamente ridimensionata e già predisposta per rispettare le normative americane. Ma nella banca degli organi del gruppo c'è un'altra piattaforma che potrebbe far sognare gli alfisti: la Lx - a trazione posteriore - che sostiene la 300 e la futura Thema. Non si tratterebbe, però, di un'operazione di re-badging: la vettura dovrebbe avere una carrozzeria a 4 porte con forme da coupé, mentre la lunghezza dovrebbe superare i 5 metri. Tra i motori dovrebbe esserci un inedito motore 3.0 V8 TB MultiAir biturbo da oltre 400 cavalli di potenza, destinato soprattutto al mercato USA. Per Alfa Romeo è prevista sempre a Mirafiori una Suv che dovrebbe condividere la piattaforma delle nuove Jeep Grand Cherokee e Dodge Durango. La scelta di utilizzare il grande fuoristrada americano per produrre la Suv del marchio del Biscione si inserisce nella già annunciata volontà del gruppo di garantire ad ogni nuovo veicolo la stessa alta qualità e tecnologia avanzata della nuova Jeep Grand Cherokee, che verrà rivista a fondo sfruttando le evoluzioni dei sistemi elettronici e puntando sulla maggiore sportività di questo modello. La 4×4 del Biscione monterà propulsori a quattro cilindri e V6 sia benzina che turbodiesel. Sempre a Mirafiori, infine, potrebbe essere prodotta la nuova Sport Utility Maserati, per la quale si ipotizzano due propulsori prestigiosi: il 3.6 V6 già montato dalla Jeep (però sovralimentato) e il 4.7 V8 già adottato da Maserati Quattroporte, GranTurismo e GranCabrio.
Camusso: bocciato il modello autoritario. Bersani: rispettare il voto ma anche il disagio degli operai di Celestina Dominelli Cronologia articolo15 gennaio 2011Commenti (2) * Leggi gli articoli * Leggi i documenti * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2011 alle ore 10:49. * * * * La vittoria del sì al referendum Fiat di Mirafiori raccoglie il plauso del ministro del Welfare Maurizio Sacconi che è il primo a commentare il risultato della consultazione diffuso in mattinata dallo storico stabilimento del Lingotto. "L'esito del referendum apre una evoluzione nelle relazioni industriali - spiega il ministro - soprattutto nelle grandi fabbriche che dovrebbe consentire un miglior uso degli impianti e una effettiva crescita dei salari". Ora, aggiunge poi il ministro davanti alle telecamere di Skytg24, "si apre una fase che deve concretamente condurre all'investimento promesso dall'azienda". Mentre il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, sottolinea come "la vittoria del sì è uno snodo fondamentale per la costruzione del futuro di Mirafiori. Adesso Fiat ha tutte le carte in regola per tornare a essere una grande azienda multinazionale italiana". A Mirafiori vince il sì con il 54% dei voti. La lunga notte dello stabilimento Fiat Bersani (Pd): rispettare esito ma anche disagio operai "Adesso quel risultato va rispettato, e va rispettato anche per quel tanto di disagio che rappresenta. Quindi ora Fiat mantenga gli impegni e si rivolga a tutti i lavoratori". Così il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, giunto ad Ancona, commenta il risultato del referendum a Mirafiori. Mentre per l'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano (Pd) la vittoria del sì "è avvenuta a denti stretti e questo ci deve far riflettere". Ad ogni modo, aggiunge, "bisogna rispettare il voto dei lavoratori. Ora Marchionne deve dire dove mette i soldi promessi, stabilimento per stabilimento". Dall'Api di Francesco Rutelli giunge una nota di apprezzamento "per un risultato che è segno di grande responsabilità da parte dei lavoratori di Mirafiori. Ora la Fiat - prosegue Rutelli - deve dimostrare di sapere mantenere gli impegni per gli investimenti, per la dignità del lavoro e, soprattutto, per creare delle automobili che vengano comperate dal pubblico". Fini: fabbriche aperte, senza lavoro non si tutelano i diritti Lapidario ma chiaro il commento del presidente della Camera, Gianfranco Fini. "Per tutelare i diritti dei lavoratori le fabbriche devono essere aperte. Senza lavoro non possono esserci diritti". Secondo il leader di Fli, giunto a Messina per una convention sul lavoro, "senza legalità non ci può essere la condizione necessaria per la ripresa economica ed è necessario snellire la giustizia". Mentre il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, sottolinea che "nel sì di Mirafiori c'è una grande saggezza, e c'è un doppio messaggio: siamo disponibili a fare sacrifici perchè la produttività è un valore; ma attenzione, alla Fiat e a Marchionne: non tiriamo la corda, sono sacrifici pesanti". Dal Pdl arriva poi il giudizio del vicepresidente dei deputati, Osvaldo Napoli, che parla "di svolta nel sistema delle relazioni industriali che consente alla Fiat di affrontare le sfide della globalizzazione con le carte giuste". Vendola: vittoria amara per l'ad di Fiat Critica invece la sinistra. Secondo il leader di Sel, Nichi Vendola, poi, "per Marchionne è la vittoria più amara e per la Fiom la sconfitta più gratificante". Mentre per il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, "l'esito clamoroso del referendum a Mirafiori dimostra chiaramente che, pur sotto ricatto, non esiste il consenso per far funzionare l'azienda perché sono stati calpestati i diritti di chi concretamente lavora per costruire le automobili". Per l'ex presidente della Camera, Fausto Bertinotti, "la sinistra come tale, così come si è manifestata nella vicenda Fiat, non è stata capace di stare dalla parte degli operai e quindi gli operai si vendicano. La sinistra non è stata capace di creare un'alternativa non solo a Berlusconi ma anche a Marchionne". Cgil: bocciato modello autoritario. Uil: decisione sofferta Nel mondo sindacale il 54% di sì all'accordo separato sottoscritto il 23 dicembre scorso (leggi il documento) provoca reazioni differenti. Per il segretario della Cgil. Susanna Camusso, "il voto di Mirafiori, per il quale Rsu e iscritti Fiom si sono spesi, dimostra che non c'è la possibilità di governare la fabbrica senza il consenso dei lavoratori e quindi nega il ritorno del modello autoritario delle fabbriche-caserme. Sappiano Marchionne e Confindustria che così non si governa". Diversa la valutazione del numero uno della Uil, Luigi Angeletti, "la decisione è stata sofferta. Alla fine hanno vinto le ragioni del lavoro. Il sì all'accordo ci fa vedere con più ottimismo il futuro di Mirafiori e dell'industria automobilistica nel nostro paese". Da stasera,ragiona il numero uno della Uilm, Rocco Palombella, "non più tensioni e contrapposizioni nel medesimo spazio di lavoro perché ora la scommessa è sulla prospettiva che ha Mirafiori. Si realizzeranno nuova produzione, salvaguardia dei livelli occupazionali e il possibile aumento degli stessi". Mentre per il numero uno della Fismic, Roberto Di Maulo, "adesso che ha vinto il sì bisogna lavorare con pazienza e ricostruire le ragioni di largo consenso che necessita un investimento così importante". Fiom: Marchionne rifletta su quel 46% di no La Fiom, che non ha sottoscritto l'intesa, punta i riflettori sulla percentuale di no all'intesa. "È un 46% dignitoso e orgoglioso - dice Giorgio Airaudo, responsabile del settore auto - su cui Fiat dovrebbe riflettere. Se fossi Marchionne rifletterei molto su questo voto", sottolinea ancora Airaudo che ricorda come per la vittoria dei sì sia stato "determinante" il voto degli impiegati che tra l'altro "a Mirafiori ricoprono prevalentemente ruoli di capo". Molto battagliero si mostra poi il presidente del comitato centrale della Fiom, Giorgio Cremaschi. "La maggioranza degli operai di Mirafiori- dice - ha fatto un atto di coraggio. È stata una sconfitta politica per Marchionne, il voto dà forza a tutti noi e andremo avanti per rovesciare l'accordo-vergogna".
Marcegaglia: vince la nostra strategia Nicoletta PicchioCronologia articolo16 gennaio 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2011 alle ore 08:12. * * * *
ROMA. Contenta per la vittoria dei sì: "Ora l'azienda ha tutte le condizioni per dare seguito all'investimento su Mirafiori". Emma Marcegaglia ha seguito con grande interesse l'esito del referendum. Ed ora, ad urne appena chiuse, già guarda avanti, proprio riflettendo sulla vicenda Fiat: servono relazioni industriali più moderne. Più adeguate ai tempi rapidi della globalizzazione, alle esigenze delle imprese di essere più produttive, più competitive, più flessibili. Una strada che, sottolinea la presidente di Confindustria, ha voluto imboccare subito, appena arrivata al vertice della confederazione. Firmando, già all'inizio del 2009, una riforma della contrattazione. Senza la Cgil, sollecitata fino all'ultimo momento a dare il suo via libera. "Per più di dieci anni si è rimasti immobili, aspettando la Cgil". Il sì di Mirafiori, per lei, è una doppia soddisfazione: "È la conferma di tre anni di linea di Confindustria. Se Cisl e Uil hanno firmato l'accordo il 23 dicembre, è stato anche grazie al contributo dato dal nostro atteggiamento: si decide con chi ci sta, a maggioranza, senza aspettare chi non vuole la modernizzazione". Ora alza l'asticella della sfida: "Mirafiori è certamente una svolta importante. Noi come Confindustria dobbiamo andare avanti, dare risposte a tutto il sistema produttivo, che è complesso e variegato". Occorrono quindi "regole su misura per settori e aziende. Non il Far West: alcuni principi condivisi dove ognuno può trovare la sua soluzione, mantenendo obiettivi comuni come una maggiore efficienza, produttività, riduzione di assenteismo". Una Confindustria che si riforma e si presenta diversa di fronte ai suoi interlucutori? Il processo è già avviato. Si tratta di intensificarlo. È un argomento che abbiamo discusso nel comitato di presidenza dei giorni scorsi: al più presto, al massimo entro la primavera, prepareremo una proposta su come far stare dentro la confederazione mondi diversi. La presenteremo ai sindacati, perchè sarà la base dei futuri contratti. C'è sintonia con Sergio Marchionne, che ha sollecitato, in Italia, un nuovo modo di lavorare. È una risposta alle imprese e anche a chi, in questi giorni, ha contrapposto una Confindustria conservatrice ad una Fiat innovatrice? Ho ascoltato e letto molte sciocchezze. Ripeto: già l'accordo del 2009 prevedeva la possibilità di deroghe, aumentando la flessibilità. Ma bisogna andare oltre, e rapidamente. Prendendo atto delle diverse realtà: gli alimentaristi, per esempio, hanno voluto un contratto nazionale più pesante rispetto ad altre categorie per aumentare la produttività, i tessili sono riusciti a ristrutturare il settore all'interno del contratto nazionale, i chimici invece hanno previsto deroghe, ma senza conflitti con la Cgil. Magari guardando ad altri paesi, come la Germania, dove per esempio le aziende che aderiscono alla Gasamtmetall non sono obbligate ad applicare il contratto nazionale? Questo sarà uno dei punti da approfondire. La Germania è un esempio da osservare. Questa possibilità non ha creato uno smottamento delle relazioni sindacali: solo una percentuale del 7% applica esclusivamente il contratto aziendale. Una flessibilità che si adatterebbe proprio al caso Fiat, visto che l'azienda ha deciso di non iscrivere le due newco di Pomigliano e Mirafiori a Confindustria. Sarà solo temporaneo? Ho già un accordo con Sergio Marchionne e con John Elkann, per far sì che nel più breve tempo possibile le newco rientrino nella confederazione, nel momento in cui faremo una normativa ad hoc per l'auto. Pomigliano e Mirafiori sono fuori: nascono come newco perché non applicano le regole sulla rappresentanza. La Fiat aveva questa esigenza nell'immediato, ma non è un argomento che si può affrontare e risolvere in pochi giorni. Priorità all'investimento, quindi. Anche come messaggio che in Italia si può... Sì. Oggi l'Italia può dimostrare che può continuare ad avere un'industria dell'auto forte e competitiva a livello globale. E abbiamo fatto capire, anche di fronte ai paesi stranieri, che nel nostro paese si può venire ad investire. La Fiom a Mirafiori è fuori dalle Rsa. Susanna Camusso, laeder della Cgil, le ha mandato un messaggio diretto: non si possono fare accordi ad excludendum. E domani invierà a Confindustria, Cisl e Uil la proposta Cgil sulla rappresentanza. Disponibili a discutere? Certamente siamo disponibili. È dal 2004 che aspettiamo una proposta. Nel 2008 i sindacati avevano raggiunto un accordo che prevedeva la validità erga omnes per gli accordi approvati al 51 per cento. Poi la Cgil si è tirata indietro. Auspichiamo che il sindacato trovi una posizione unitaria per cominciare a discuterne. Però ci devono essere alcuni punti chiari. Quali? No al potere di veto delle minoranze, se la maggioranza firma. I contratti una volta firmati devono essere applicati e rispettati. E non va bene nemmeno il referendum sempre su tutto proposto dalla Fiom. L'assemblearismo non è la soluzione: deve valere il principio di rappresentanza. Poi chiediamo un accordo tra le parti, non una legge. Questo è un tema che riguarda le parti sociali, non la politica. Il numero uno della Fiom, Maurizio Landini, ha detto anche ieri no ad una adesione tecnica e chiede di riaprire la trattativa, dicendo che il risultato è stato straordinario. Continuerà a dare battaglia... Mi auguro che Landini non ricorra alla via giudiziaria, ostacolando l'applicazione dell'accordo. Piuttosto spero che aderisca: una ripertura della trattativa non è nemmeno immaginabile. Il si comunque ha vinto per poco più del 54%. Era prevedibile? Se si pensa alla storia di Mirafiori, sì. In questo stabilimento sono stati bocciati quasi tutti gli accordi, è il simbolo di una fabbrica dove la conflittualità è alta. Anche stavolta, come negli anni '80, sono stati i colletti bianchi i protagonisti del cambiamento. La vittoria del no al montaggio e alla lastratura è un segnale di disagio per i nuovi ritmi di lavoro? Gli impiegati probabilmente si rendono più conto di come si muove il mondo e dell'andamento dei mercati. Quanto all'accordo e all'organizzazione del lavoro, vengono rispettati gli standard internazionali e non vengono lesi i diritti dei lavoratori. Le modalità per frenare l'assenteismo sono accettabili ed anche sul diritto di sciopero, paesi come la Germania prevedono che ci sia un consenso dell'80% per proclamare uno sciopero contro gli accordi. La crisi non è finita e l'Italia soffre di crescita bassa. Come sta procedendo il tavolo con le parti sociali su crescita e produttività che si è avvitato in autunno, proprio su sua iniziativa? La Cgil è al tavolo: un modo per riallacciare il dialogo? Ci siamo messi d'accordo su tutti i punti: Mezzogiorno, burocrazia, ricerca e innovazione, fisco, ammortizzatori sociali. Prima che scoppiasse la vicenda Mirafiori, eravamo vicini a un'intesa anche sull'ultima questione rimasta aperta, la produttività. Non vorrei che, dopo il referendum, la Cgil si irrigidisse. Su quali principi stavate lavorando? Maggiore diffusione della contrattazione aziendale, modalità per attrarre gli investimenti, necessità di una discussione sulla rappresentanza. Un documento che poi, una volta concluso, le parti presenteranno al governo, come possibile programma a medio termine per modernizzare il paese... C'è bisogno urgente di interventi e di riforme. Da anni l'Italia cresce meno degli altri paesi, ma con un andamento del Pil attorno all'1% non si crea ricchezza adeguata per dare risposte alla disoccupazione giovanile, alla tenuta del sistema imprenditoriale, non si creano sufficienti posti di lavoro. Insomma, non aumenta il benessere. Capisco il rigore dei conti pubblici, è necessario. Ma bisogna crescere per lo meno al 2 per cento. Un obiettivo raggiungibile, ma occorre mettere al centro l'agenda della crescita. Con quali interventi? Tagli alla spesa pubblica improduttiva, riforma fiscale, ricerca e innovazione, Mezzogiorno. Promuoveremo molto presto un'iniziativa per riportare al centro dell'agenda politica il tema della crescita. Chiederemo un cambio di passo. Noi imprese siamo pronte a fare la nostra parte. Confindustria sarà sempre in prima linea ad incalzare la politica. È di nuovo una fase turbolenta... Viviamo un momento difficile. Ma la politica non deve abdicare al suo ruolo di occuparsi del futuro del paese. © RIPRODUZIONE RISERVATA DICE DEI SINDACATI Susanna Camusso Segretario generale della Cgil "Auspichiamo che si arrivi a una posizione unitaria dei sindacati, ma basta poteri di veto delle minoranze" Bonanni-Angeletti Segretari generali di Cisl e Uil "Se si è firmato l'accordo del 23 dicembre, è anche grazie al nostro atteggiamento: si decide con chi ci sta, con chi vuole la modernizzazione" Maurizio Landini Segretario generale della Fiom "Mi auguro che non ricorra alla via giudiziaria ostacolando l'applicazione dell'accordo. Piuttosto aderisca, riaprire la trattativa non è immaginabile"
I costi del nuovo corso del Lingotto? Non cercate alla voce globalizzazione UNIVERSTÀ LUISS GUIDO CARLI ROMA Cronologia articolo16 gennaio 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2011 alle ore 08:12. * * * * di Pietro Reichlin I referendum su Mirafiori e Pomigliano hanno suscitato un dibattito che va oltre il contesto delle relazioni industriali e delle normative contrattuali. Diversi commentatori hanno preso spunto dalla vicenda per riflettere sulla relazione tra mercato e democrazia, sugli effetti della globalizzazione e della concorrenza e, di conseguenza, suggerire una sorta di spartiacque tra "destra" e "sinistra", tra liberismo e socialdemocrazia. Secondo Ulrich Beck (sulla Repubblica del 10 gennaio) la richiesta di aumentare ritmi di lavoro e produttività aziendale costituisce "l'emancipazione dell'economia dai vincoli nazionali e democratici". Si tratta, dunque, di scegliere se obbedire alla logica della concorrenza globale o preservare l'interesse della collettività nazionale e della democrazia. Secondo Giorgio Galli (la Repubblica dell'8 gennaio) la vicenda dimostrerebbe che gli interessi della Fiat prevalgono su quelli del paese. Un accordo sindacale riflette sempre il potere contrattuale delle parti coinvolte, ed è naturale che la sinistra parteggi per i lavoratori. Tuttavia un accordo va giudicato sulla base delle condizioni di mercato. Il settore dell'auto è estremamente competitivo, i prezzi calano insieme ai margini di profitto. La ragione è che la produzione mondiale è eccedentaria ed esistono troppi player sul mercato. Nel 2009 le imprese automobilistiche tedesche hanno ridotto l'orario di lavoro per 60mila operai, il cui salario è diminuito di quasi il 9 per cento. Il numero di contratti a termine nel settore è diventato il più alto di tutto il paese e il peso della contrattazione aziendale (rispetto a quella nazionale) è molto aumentato. I nostri stabilimenti sono meno produttivi di quelli esteri e, senza nuovi investimenti e una diversa organizzazione del lavoro, Fiat Auto in Italia produce in perdita. Qual è, dunque, il contenuto pratico delle argomentazioni di Beck e di Galli? Se si pensa che lo stato debba continuare a sussidiare il settore auto, allora veramente gli interessi del paese sarebbero distorti a favore dell'industria automobilistica. È un'ipotesi già percorsa tante volte nel passato (vedi alla voce Alitalia) con scarso profitto per la collettività. I costi delle ristrutturazioni industriali non sono la conseguenza della globalizzazione e dell'apertura dei mercati. Più semplicemente, la globalizzazione impedisce che tali costi siano pagati sotto forma di rendite di monopolio o tasse per i contribuenti. La politica ha il compito di migliorare le infrastrutture, il capitale umano e le regole entro le quali si risolvono i conflitti tra imprese e lavoratori, in modo da aumentare gli investimenti diretti e generare innovazioni che rendano meno penoso il lavoro di fabbrica e più elevati i livelli salariali. Il patto implicito che ha consentito la nascita e la sopravvivenza dell'impianto di Pomigliano nel corso degli ultimi 30 anni consisteva nella disponibilità dei contribuenti a coprire le perdite dell'impresa, o quella dei consumatori a sopportare i costi delle svalutazioni valutarie. Questo patto ha permesso di contenere la conflittualità, ma ha avuto un costo elevato: sia in termini di maggiori tasse e prezzi, sia perché ha disincentivato innovazione e conversione industriale a favore di attività più produttive. La libertà dei movimenti di capitale non deve essere valutata da un punto di vista esclusivamente economico. Questo è, forse, il messaggio contenuto nelle critiche di Beck e Galli. L'afflusso d'investimenti condiziona modelli manageriali, condizioni di lavoro, ma anche istituzioni e modelli sociali. Non vi è dubbio che la politica debba avere interesse a preservare garanzie e modelli di convivenza civile che la comunità nazionale ritiene necessari, anche in contraddizione con il volere delle parti direttamente interessate. Ad esempio, è necessario varare una riforma della rappresentanza sindacale che non escluda sindacati importanti dalle aziende. Ma è possibile che questi modelli di convivenza sociale siano messi in pericolo dal nuovo contratto di Mirafiori e Pomigliano? Se, come pare ragionevole, la risposta alla domanda fosse negativa, ne discende che è stato giusto lasciare ai soli lavoratori la scelta se accettare o meno le condizioni di Marchionne.
Non solo Marchionne: a vincere è l'innovazione Cronologia articolo16 gennaio 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2011 alle ore 08:12. * * * * di Franco Debenedetti Senza la dimensione industriale della Fiat, il valore simbolico dell'auto, la determinazione di Marchionne, non avremmo il sì di Mirafiori, il fatto che si sia potuto scegliere tra il sì e il no a un piano industriale innovativo. Adesso si tratta di rendere questo risultato normale, guardando a questo risultato per quello che è, in generale e per tutti. Dobbiamo cioè ragionare "etsi Marchionne non daretur". Per questa radicale innovazione nelle relazioni industriali, tutti hanno messo in campo tutte le loro armi. Adesso conviene accantonare sia gli argomenti contingenti (validità e prospettive effettive del piano Fiat), sia quelli generici (perché molte sono le cause del nostro declino di produttività, e non tutte stanno nelle officine), sia quelli indifendibili (anche senza arrivare a parlare, come pure si è fatto, di schiavitù), e fare chiarezza. e Legge e contratti. Le leggi stabiliscono diritti uguali per tutti e stabili nel tempo; i contratti servono per adattare gli interessi reciproci, tenendo conto delle circostanze. La legge è necessaria perché al suo interno si eserciti la libertà contrattuale. I contratti per definizione sono suscettibili di recesso e hanno clausole di scadenza: sostenere che garantiscono diritti immodificabili è un controsenso. r Contratti aziendali in deroga. Definiscono i termini di una "scommessa" su un progetto industriale proposto dal management: obiettivi, modalità organizzative per realizzarli, benefici per i lavoratori. Ai fini della produttività più importante ancora è il confronto competitivo tra piani e visioni strategiche diverse. Per questo è necessario il pluralismo sindacale, perché i lavoratori possano scegliere tra criteri diversi di valutazione, senza essere vincolati né a un no aprioristico né a degli aprioristici sì, che pure sembrano essere il criterio di qualche dirigente sindacale. t Completamento del quadro normativo. Con Mirafiori, si è detto, si attua la democrazia sul luogo di lavoro. Ma democrazia significa anche vincolo per tutti di rispettare il contratto approvato dalla maggioranza per la sua durata, e questo vincolo ora fa acqua da almeno due gravi falle: possibili difficoltà in fabbrica (maggiori o minori senza la presenza ufficiale della Fiom?); e, anche nella soluzione adottata dalla Fiat, non è a prova di magistrati. Questi potrebbero obiettare la perdurante validità del contratto dei metalmeccanici del 2008, o contestare l'interruzione dei rapporti di lavoro e la conseguente disapplicazione della disciplina europea del trasferimento del ramo d'azienda. u Il ruolo del governo. Se completata, questa è una grande riforma: ma il governo, incomprensibilmente, sembra non interessato a intestarsela. Il ministro Sacconi, con la sua contrarietà a ogni intervento per legge su questa materia (su cui pure gravano tante leggi difettosamente) ha guadagnato la contrapposizione di Fiom e Cgil, e ha evitato le insidie di un percorso parlamentare quando più vive erano le polemiche. Ma ora, dopo tanto discutere e dividersi, sarebbe grave compromettere il risultato di Mirafiori mantenendo aree d'incertezza sulla sua praticabilità ed estendibilità. E poi ci sono anche i molti per cui non deve essere stato facile né senza problemi votare sì a Mirafiori: hanno diritto a un quadro di certezza, per partecipare alla scommessa che hanno deciso di accettare, e, sperabilmente per tutti, per vincerla.
Per impresa e sindacato la salita arriva adesso UNIVERSITÀ BOCCONI MILANO Giuseppe BertaCronologia articolo16 gennaio 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2011 alle ore 08:11. * * * * di Giuseppe Berta Stanno per spegnersi i riflettori che per una settimana sono stati puntati su Mirafiori. Ed è possibile che la fabbrica torni a essere relegata in quell'area opaca dove la si confina quando non è più teatro di punte di conflitto tali da attrarre l'interesse dei media. Peccato, perché dopo il referendum sta per incominciare una nuova, ennesima vita per la fabbrica-simbolo dell'industrialismo italiano. La consultazione dei lavoratori non è stata infatti un punto di arrivo, ma di partenza. Segna l'inizio di una trasformazione che dovrà adattare l'impianto perché possa ospitare le lavorazioni dei nuovi modelli d'auto destinati a far entrare nel vivo l'alleanza tra Fiat e Chrysler. Cambieranno le linee di produzione e l'assetto organizzativo dello stabilimento, preparando così l'ambiente che dovrà essere regolato dai nuovi criteri di lavoro su cui si è accanita la controversia degli ultimi giorni. Turni e pause cesseranno di essere evocati come spunti di polemica nei talk-show televisivi per costituire di nuovo la materia su cui si eserciteranno coloro sui quali ricade il compito di assicurare il funzionamento della fabbrica, tecnici dell'azienda e rappresentanti sindacali. Chi si sia davvero inoltrato nelle 36 dense pagine dell'intesa di Mirafiori, e negli ancora più articolati allegati che la corredano, ha compreso che ora quelle norme e quelle procedure attendono di essere messe in pratica mediante un lavoro meticoloso e continuo di aggiustamento. La contrattazione collettiva non si esaurisce mai, in un caso complesso come quello di Mirafiori, nella definizione di alcune regole: esse devono venire calate nella realtà nei processi organizzativi per conseguire operatività ed efficacia. I negoziati non si concludono con la firma di un accordo; esigono in seguito una gestione attenta e paziente, dove si mettono alla prova competenza e rappresentatività effettiva. Passati i momenti dello scontro, è questa la fase che attende ora Mirafiori e i diversi attori che compongono il suo sistema. Una fase che impone a ognuna delle parti di assolvere a un compito impegnativo. Per l'impresa si tratta di costruire un'organizzazione del lavoro in grado di sollecitare il consenso attivo della popolazione di fabbrica. Non basta più, come ai tempi di Valletta, garantire il salario e la stabilità del posto agli operai per garantirsi la loro adesione. Oggi la produzione di fabbrica deve rivolgersi all'intelligenza delle persone, oltre che alle loro braccia. È un requisito fondamentale per poter vincere la gara della qualità che sta rimodellando il sistema dell'auto su scala internazionale. I sindacati che hanno firmato l'accordo del 23 dicembre devono attrezzarsi a loro volta per compiere un salto di qualità. Per gestire il cambiamento occorre investire in cultura, elevare il proprio profilo sulla questione della partecipazione dei lavoratori, dimostrare di saper interpretare il ruolo che s'impone al sindacato industriale dell'Occidente per rimanere ancora da protagonista sulla scena della globalizzazione. È un problema attuale anche per un'organizzazione con la storia e la tradizione della Fiom, rivelatasi abile nel condurre una vasta campagna di mobilitazione contro l'accordo Fiat. Ma che non può restare prigioniera di un ruolo di esclusiva opposizione, scegliendo di parlare nelle piazze più che nelle fabbriche, se non vuole isterilire la propria base di sostegno. Il confronto necessario con la Cgil dovrà servire proprio a uscire da un'impasse che altrimenti diverrà un fattore di disgregazione delle relazioni industriali. Sarebbe più che mai utile un rinnovato impegno sindacale per ridefinire le tutele e i diritti di cittadinanza sociale dei lavoratori in un mondo economico in perenne rivolgimento. Per tutti questi motivi varrebbe la pena di non disinteressarsi di Mirafiori, anche adesso che il referendum è alle spalle. Perché una moderna cultura della fabbrica e del lavoro industriale è indispensabile a un paese che deve ritrovare il proprio slancio.
"Io, capo, alla frontiera del montaggio" Nino CiravegnaCronologia articolo16 gennaio 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2011 alle ore 08:11. * * * *
TORINO. Dal nostro inviato Li chiamano impiegati, 40 anni fa erano definiti, spregiativamente, capetti. Nell'80 hanno promosso e fatto la marcia dei 40mila, giovedì e venerdì il loro voto ha pesato in modo determinante sul referendum. Adesione massiccia al sì, hanno votato in 441, solo 20 hanno barrato la casella del no. Li chiamano impiegati, in realtà sono tecnici con professionalità elevate, hanno mansioni che richiedono competenze di robotica e meccatronica, specializzazioni inimmaginabili pochi anni fa. Gestiscono squadre o complessi programmi informatici, rischiano di diventare i "colpevoli" della sconfitta del no. Rischia di riaprirsi una frattura che sembrava superata, Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom, non ci ha girato intorno: "Marchionne ha vinto - ha detto ieri - solo grazie ai voti dei suoi 400 capi e 40 uomini dell'ufficio del personale". "Ma anche noi siamo lavoratori e siamo dipendenti, proprio come gli operai". Il signor G. è un capetto, per dirla alla sindacalese. Ha votato sì, "la mia decisione ha seguito lo stesso processo della gran parte dei votanti: ho pensato che devo fare di tutto per mantenere il posto di lavoro, so bene che in una situazione di crisi così diffusa sarebbe difficile riallocarmi o riqualificarmi. Giuro, nessuna pressione dall'alto, anche perché nel segreto dell'urna non ti controlla Marchionne né il delegato sindacale. Decidi solo tu". Il signor G. è un capo Ute, unità tecnologica elementare, gestisce una cinquantina di operai al reparto montaggio, terra di frontiera, con una sindacalizzazione spinta: nell'immaginario collettivo è dove si concentra il lavoro pesante, alienante e ripetitivo. Capo al montaggio, lavoro difficile. "La cosa che mi ha più turbato, ferito, in questo referendum - spiega il signor G., entrato in fabbrica nell'88 come semplice operaio, passando via via a competenze maggiori - è stato il livello di propaganda che ha portato a una disinformazione quasi scientifica. Io ho cercato in tutti i modi di tranquillizzare la mia squadra, ho spiegato che, accordo in mano, non cambia niente per chi lavora seriamente. Ma molti hanno ascoltato chi urlava di più, in tanti si sono limitati a leggere i volantini o singole parti dell'accordo evidenziate in modo subdolo". C'è un qualche punto dell'accordo che semplificherà il suo lavoro di capo Ute? "Ci sono punti che ci permetteranno di lavorare meglio. Meglio per tutti, non solo per me. Il caso degli straordinari è esemplare: prima il sindacato concordava gli straordinari, ma spesso la gente non si presentava, mettendo in difficoltà tutta la squadra. L'accordo prevede 120 ore di straordinario obbligatorio che, per inciso, significa un notevole aumento del reddito. Così potremo seguire meglio le esigenze dei clienti, che troppo spesso abbiamo dimenticato". C'è un punto specifico dell'accordo particolarmente odiato dal suo team? "La riduzione, 10 minuti, della pausa, sono state create tensioni inutili. A dicembre ho fatto vedere ai miei un articolo di Repubblica, che non può certo definirsi un giornale antisindacale, in cui si evidenziava come nelle fabbriche dei concorrenti europei le pause erano inferiori". La riduzione della pausa mette ansia, pesa. Il signor G. non è d'accordo: "Io ho lavorato nelle vecchie linee, so come era organizzato il reparto qualche decennio fa: gli operai dovevano alzare pezzi pesanti , facevano un lavoro fisicamente impegnativo, molto ripetitivo. Oggi non è più così, i robot alleviano la fatica, nelle Ute si cambiano spesso per mansioni proprio per evitare logorio a singole muscolature, diventa tutto meno alienazione. Questo lavoro di squadra tutela loro, mentre io ho il vantaggio di avere persone che, conoscendo più mansioni, possono coprire tutte le necessità". Un lavoro fisico meno intenso, per questo il signor G. dice "che dieci minuti in meno non sono un dramma, c'è stata troppa propaganda. Non si rischia di perdere il lavoro per paura di una pausa più corta". Cosa succederà adesso? Lunedì Mirafiori è ferma per cassa integrazione, "da martedì mi sono ripromesso di portare serenità nella squadra, fare clima. Cercherò di tranquillizzare i più esasperati, dopo la propaganda bisogna tornare a ragionare".
Da Mirafiori un sì al fotofinish Paolo BriccoCronologia articolo16 gennaio 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2011 alle ore 08:11. * * * *
TORINO. Dal nostro inviato Nessun plebiscito a favore dell'accordo siglato da Sergio Marchionne e da tutte le sigle sindacali, ad eccezione della Fiom-Cgil. Ma, ancora una volta, nella storia della Fiat la strada della modernizzazione e del rifiuto dell'antagonismo è tracciata dagli impiegati. Al referendum di Mirafiori, dopo un lungo testa a testa fra gli operai, divisi da soli 9 voti (2.315 si contro 2.306 no), a risultare decisivo è stato il seggio 5, quello appunto degli impiegati. Su 440 voti validi, 420 sono stati per il sì. Alla fine, in tutto si sono contati 2.735 sì (54%) e 2.325 no (46%). Dunque, con una scarto che diversi osservatori hanno giudicato inferiore rispetto alle attese l'accordo per i nuovi investimenti a Mirafiori, con la costituzione della newco Fiat-Chrysler, è stato approvato dai lavoratori. Management e proprietà, ieri mattina, sono intervenuti. "I lavoratori – ha detto l'amministratore delegato Sergio Marchionne – hanno scelto di prendere in mano il loro destino, di assumersi la responsabilità di compiere una svolta storica e di diventare gli artefici di qualcosa di nuovo e di importante. In un paese come l'Italia, che è sempre stato legato al passato e restio al cambiamento, e il referendum di ieri in parte lo ha dimostrato, la scelta di chi ha votato sì è stata lungimirante". Ha aggiunto il presidente della Fiat e di Exor, John Elkann: "Sono grato a chi ha avuto fiducia nel futuro e nella Fiat. La loro scelta apre nuove prospettive per tutte le donne e gli uomini che lavorano in fabbrica a Mirafiori. Ha prevalso la volontà di essere ancora in gioco: dimostreremo che in Italia è ancora possibile costruire grandi automobili capaci di farsi apprezzare nel mondo. Ora bisogna archiviare le polemiche e le contrapposizioni, affrontando le sfide che abbiamo davanti in modo costruttivo. Per parte mia, ribadisco il pieno e convinto sostegno della mia famiglia". In realtà, sul tema della contrapposizione la Fiom di Torino sembra poco propensa ad abbassare i toni. Nella sede di Via Sacra San Michele 31, dove c'è anche la redazione di quanto resta di "Nuova Società", la raffinata rivista diretta da Saverio Vertone nella seconda metà degli anni Settanta, il responsabile nazionale dell'auto, Giorgio Airaudo, ha ironizzato: "Marchionne ha un problema perché in sette mesi, dal referendum di Pomigliano a quello di Mirafiori, il no al suo progetto ha guadagnato dieci punti. Non è poco". E, in merito alla tipologia degli impiegati delle Carrozzerie, ha aggiunto: "L'amministratore delegato è stato salvato dai suoi uomini. Non sono colletti bianchi, ma capi della gerarchia più stretta, alcuni della tecnostruttura del Personale e altri amministrativi e tecnologi. Gli operai, invece, sono stati con noi". Per il leader Fiom Maurizio Landini si tratta di "un risultato straordinario e inaspettato, grazie ai lavoratori che hanno difeso la loro dignità: ora sarebbe un atto di saggezza da parte di Fiat riaprire la trattativa". Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, non offre la stessa lettura dei numeri. "La vittoria anche tra gli operai e non solo tra gli impiegati è un fatto inequivocabile e importante. Nessuno può metterlo ora in discussione". Bonanni ha poi aggiunto: "Spero che adesso tutti abbassino i toni e si impegnino a rispettare la volontà dei lavoratori, ritrovando le ragioni del dialogo e dell'unità all'interno dello stabilimento. La Cisl lavorerà per questa prospettiva. Siamo convinti che l'importanza e la qualità dell'investimento della Fiat a Mirafiori servirà a sanare la frattura e le divisioni tra i lavoratori". Certo, il passaggio non è stato indolore con le Carrozzerie spaccate quasi a metà. "Come per tutti i veri cambiamenti, la decisione è stata sofferta. Alla fine hanno vinto le ragioni del lavoro", ha commentato il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, che si è detto ottimista sul futuro dell'industria dell'auto italiana. E Nanni Tosco, segretario della Cisl di Torino e uno dei leader del fronte del sì, ha sottolineato le ricadute locali dell'investimento del Lingotto: "Siamo finalmente arrivati al punto di partenza. All'inizio di un percorso. Oggi come sindacato ripartiamo e dopo la trattativa dobbiamo fare in modo che l'accordo si realizzi".
"Modello tedesco per la svolta vera nelle relazioni" Marco FerrandoCronologia articolo16 gennaio 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2011 alle ore 08:11. * * * *
TORINO Prima, durante e dopo il referendum i distinguo e le prese di posizione dentro al Pd restano tante, troppe. Ma ora, proprio a partire dal disagio emerso dalle urne di Mirafiori il Partito democratico ha davanti a sé "l'occasione per creare un'alternativa politica diversa dalla sinistra che pone solo dei veti, dalla destra assente, da un Berlusconi improvvido tifoso", e in questo modo per "accreditarsi come sinistra credibile di governo". All'indomani del voto al referendum sull'accordo del 23 dicembre, finito come da pronostico sul filo di lana, il sindaco di Torino Sergio Chiamparino tenta un gesto coraggioso, e prova a rilanciare: "Ora il Pd ha il dovere di offrire una posizione chiara per un sistema di relazioni industriali completamente nuovo. La mia idea? Un modello alla tedesca, che responsabilizzi i sindacati e coinvolga di più i lavoratori". Il punto di partenza, per Chiamparino, "sono le tesi formulate da Pietro Ichino, ma anche l'incontro di sabato prossimo qui a Torino con Walter Veltroni", appuntamento che potrebbe trasformarsi in una vera e propria "prova di maturità per il Pd". La proposta è interessante ma suona un po' paradossale dopo tutte le divisioni interne al partito che hanno scandito il lungo e contrastato percorso di avvicinamento al referendum. Io ci credo e lavoro perché si vada in questa direzione. Abbiamo bisogno di una proposta chiara, che in tempi brevi sia spendibile in termini politici ma anche con la Fiat e gli stessi operai. Partiamo da loro: dal risultato di Mirafiori emerge una spaccatura fortissima. Una spaccatura ma anche una grande prova di democrazia. So bene che molti hanno votato con la testa più che con il cuore, e forse per questo alla fine hanno prevalso i sì; il merito è stato di chi ha fatto prevalere l'elemento della responsabilità su quello del disagio, e non è poco. Secondo Fausto Bertinotti in questo frangente la sinistra si è rivelata incapace di stare con gli operai. Non mi pare che gli operai siano solo quelli dei Cobas, o della Fiom. Gli altri chi sono? Francamente sono un po' stufo della supponenza di una certa sinistra che pensa di rappresentare l'universo. Adesso basta con le affermazioni di principio, è ora di sporcarsi le mani e ricostruire. A partire da dove? Facendo chiarezza, ognuno per quel che può: la Fiat fornisca qualche dettaglio in più sul piano Fabbrica Italia, Confindustria e i sindacati si diano da fare per mettere a fuoco un nuovo sistema di relazioni, il governo favorisca questo tavolo e chiarisca se l'auto e la mobilità sostenibile sono fattori di politica industriale. A chi spetta il primo passo? No saprei, ma per quanto riguarda Mirafiori la Fiat dovrà cercare di riallacciare tutte le forme possibili di dialogo, anche perché tra le novità entreranno in vigore tra 18 mesi e quindi il tempo non manca. Mentre al Pd, che – almeno per il momento – risulta all'opposizione propone la sua ricetta alla tedesca. Penso a un modello nuovo che assegni la responsabilità della competitività e dell'affidabilità del lavoro al sindacato, e che porti l'impresa a coinvolgere di più i lavoratori. Anche perché non si può andare avanti così, con questa continua inquietudine. Basta con i referendum? Spero che adesso la Fiat si preoccupi di creare un clima di rassicurazione su quello che avverrà in Italia nei prossimi anni, e dica qualcosa di più specifico sulle ricadute del piano industriale. Deluso dal suo amico Marchionne? Come gli ho già detto sono convinto che rotture così forti come quella di Mirafiori possano diventare feconde solo se sono accompagnate da un investimento forte nella cultura dei rapporti tra impresa e lavoro. Credo che per rendere comprensibile l'intera operazione ci vorrebbe un po' del clima dell'Olivetti anni '50: all'inizio c'era stato qualche tentativo in questa direzione, ma adesso mancano da troppo tempo. Senza qualche segnale di distensione il modello-Marchionne rischia il fallimento? Non so, però mi sembra necessario che anche la Fiat si decida ad aprire una fase nuova nel rapporto con i lavoratori, se non altro per non fare la figura di un'azienda basata sul comando, o sull'unilateralità delle relazioni.
2011-01-15 "Serve più produttività per salvare il lavoro" An.Fr.Cronologia articolo15 gennaio 2011 Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2011 alle ore 08:11. "Penso che la Fiat avrà davanti a se un futuro molto florido se otterrà un accordo con i suoi operai. Così è avvenuto in Germania dove in molte imprese sono stati sottoscritti accordi di produttività. Salvare il lavoro, preservare un'attività industriale. Se questi sono gli obiettivi mi sembra un buon accordo". Michael Spence, premio Nobel all'economia 2001 e docente in diverse prestigiose università statunitensi (tra cui Stanford e New York University), risponde così a chi gli chiede cosa ne pensa del referendum su Mirafiori, a cui sono appesi i destini della Fiat in Italia. I sindacati che hanno firmato l'accordo, secondo Spence, hanno fatto la scelta giusta. E Sergio Marchionne le mosse appropriate (spinoff del l'auto e partnership con Chrysler) per consentire all'azienda di navigare nell'economia globale. Il tema della globalizzazione è al centro della lezione che il premio Nobel ha tenuto alle giornate dell'economia cooperativa, che Legacoop ha organizzato nella sede del Sole 24 Ore. Un intervento incentrato sul tema della sfide imposte dalla crescente competitività delle economie emergenti. Professore bisogna diventare un po' cinesi per competere con la Cina? C'è una parte di verità in questa affermazione. Le economie emergenti in generale stanno diventando competitive in sempre più settori dell'economia. A suo avviso è un fenomeno irreversibile? Occorre essere realisti e rendersene conto. Non lo si può arrestare a meno di chiudere per sempre l'economia globale. La flessibilità è indispensabile per qualsiasi impresa voglia farvi fronte. Le scelte di Fiat sono corrette a suo avviso ? Se questo accordo va nella direzione di salvare posti di lavoro la scelta dell'azienda e dei sindacati firmatari va nella direzione giusta. Guardando le decisioni di Marchionne, lo scorporo dell'auto e l'alleanza con Chrysler, mi pare di vedere le mosse giuste per consentire all'azienda di navigare nell'economia globale.
Vent'anni passati a fare auto Paolo BriccoCronologia articolo15 gennaio 2011 Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2011 alle ore 08:11. TORINO. Dal nostro inviato Altro che perdita della centralità della classe operaia. Per alcune settimane sono sembrate tornare in auge le analisi raffinate pubblicate da Mario Tronti e da Raniero Panzieri sui Quaderni Rossi, che cinquant'anni fa si ostinavano a ritenere il lavoratore il bullone e l'architrave del sistema sociale anche se, in fondo, con la loro profezia marxista venata di pessimismo avevano già capito come sarebbe andata a finire con la modernizzazione economica e l'estenuazione della lotta di classe. In questi giorni l'Italia è rimasta come appesa alla scelta compiuta ieri e giovedì dai 5.431 lavoratori della Fiat. Gente delle Carrozzerie di Mirafiori. Una volta l'aristocrazia della classe operaia. Adesso, invece, lo specchio di un manifatturiero che, nel suo nocciolo duro più antico, mostra i punti di forza e i limiti di un intero sistema: portatore di una sapiente cultura del lavoro tecnico-manuale che risale alle origini del nostro capitalismo, ma allo stesso tempo con dei gangli umani fragili perché con molti anni sulle spalle, scarsa istruzione e redditi schiacciati drammaticamente verso il basso. Sono loro, però, gli uomini e le donne di Mirafiori che, qualunque cosa si pensi dell'esito del referendum, con il loro voto hanno ridefinito la prospettiva industriale e hanno ridisegnato il profilo dello scenario politico-sindacale del paese dei prossimi anni. Dunque, per una volta, in una economia ormai sempre più terziarizzata la tuta blu di Mirafiori è uscita dalla minorità psicologica e culturale in cui è restata confinata in tutti questi anni ed è tornata a contare. Secondo fonti aziendali, Mirafiori è rimasta davvero una roccaforte degli operai, che sono 4.968 su 5.431 dipendenti, dunque la stragrande maggioranza. E, peraltro, una roccaforte assai sindacalizzata. Qui un lavoratore su due ha una tessera in tasca. Una penetrazione delle sigle confederali e alternative non irrilevante, se si pensa che, nella metalmeccanica italiana, non più del 30% dei lavoratori decide di iscriversi a un sindacato. Le donne non sono poche: il 28,3%, più di una su quattro. E tutte quante, quelle a favore del sì come quelle a favore del no, hanno iniettato nel dibattito di questi giorni la forza emotiva delle madri di famiglia desiderose di trovare un equilibrio fra l'esigenza di conservare il posto di lavoro, la vita familiare e i tempi e i metodi della nuova fabbrica, nella prospettiva della conversione dal post-fordismo al post-toyotismo del World class manufacturing. Sì, perché in questa vicenda tutti questi elementi privati hanno contato non poco: pazienza per chi non ha un legame familiare ma, stando all'ultima analisi compiuta da Fim-Cisl sulla composizione sociale delle Carrozzerie, il 75% è sposato o convive. Fra questi, il 40% ha il coniuge o il partner privo di reddito. E, al di là della stabilità o meno della relazione, un dipendente delle Carrozzerie su tre ha almeno un figlio. Gli uomini e le donne. I giovani e i vecchi. Mirafiori non è soltanto un organismo industriale segnato dal tempo. È anche una comunità in cui il dato anagrafico ha influenzato le scelte e gli umori, fra la voglia di dire no tanto mi faccio un po' di mobilità e poi vado in pensione e la spinta a dire sì per una generazione che ha visto i suoi fratelli maggiori, oggi sessantenni e settantenni, piegati nel 1980 dalla marcia dei quarantamila e dal loro stesso sindacalismo di stampo soreliano. Sempre secondo l'analisi della Fim-Cisl, alle Carrozzerie l'età media è di 48 anni. In particolare, scendendo nel dettaglio si scopre che il 15% dei lavoratori ha meno di 35 anni, il 25% è fra i 35 e i 39 anni, il 45% ha fra i 40 e i 49 anni e il 15% è oltre i 50 anni. Dunque, la Mirafiori di oggi non può non essere più stanca e malata di molti altri stabilimenti, della Fiat e di altre imprese della metalmeccanica italiana. Anche perché, al di là di qualunque retorica modernista e modernizzatrice, stare in linea è una cosa dura e usurante. Nessuno l'ha mai negato. Non a caso, il tasso di assenteismo dovuto alla malattia a Mirafiori, non per questioni di indisciplina ma in virtù di una età media che rende più soggetti ai problemi fisici, è pari al 7,25%, ben al di sopra del 4% riscontrato nel settore. E, questo, vale ancora di più se si pensa che, in media, la gente di Mirafiori ha una anzianità aziendale di 20 anni. Una vita trascorsa in linea mica da osservatore sociale che spiega i cambiamenti dell'industria, ma come operaio che ogni giorno deve riuscire a raggiungere alcuni risultati produttivi. E che, peraltro, non ha nemmeno una preparazione culturale in grado di aumentarne la caratura tecnica e la identità professionale, facendogli compiere il definitivo salto verso l'uomo che almeno in parte domina la macchina: il 5% ha una licenza elementare, il 65% ha fatto la scuola media inferiore, il 13% ha un semplice attestato di qualifica professionale e il 17% il diploma di scuola media superiore. Tanto che, alla fine, il 65% di loro sono operai non specializzati, di terzo livello. Dunque la gente di Mirafiori, quando va bene, porta a casa 1.250 euro al mese, 900 se è in cassintegrazione. paolo.bricco@ilsole24ore.com
La sfida del lavoro inizia a Mirafiori e si gioca nel mondo Cronologia articolo15 gennaio 2011 Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2011 alle ore 10:09. Gentile direttore, ho letto molti articoli sulla proposta di Marchionne per gli investimenti in Italia. Si è parlato di rivoluzione, di atto anticostituzionale, di fine della Confindustria, eccetera. Il solito grave difetto di non guardare alla cosa in sé e cioè l'esigenza d'investire soldi avendo una ragionevole prospettiva di ricavare un utile. Si tratta dell'annoso problema della bassa produttività nei grandi gruppi italiani sia industriali che nei servizi. Non si riesce a guardare in faccia la realtà che dice che si tratta di lavorare di più e meglio per ridurre i costi e stare sui mercati. Si tratta di limitare l'assenteismo, gli scioperi frequenti, la rigidità dei tempi di lavoro (straordinari quando servono). È chiaro che il lavoro in fabbrica ben regolato è solo la condizione necessaria ma non sufficiente per fare profitti. Ci vogliono una buona strategia, buoni prodotti, eccetera. Di queste cose si deve parlare e non perdersi in discorsi lontani dalla realtà. Roberto Longoni
Caro Longoni, mentre scriviamo è in corso lo spoglio delle schede a Mirafiori sul referendum a proposito del piano Marchionne. Sa cosa mi ha colpito mentre, nel corso di una diretta Sky con Sarah Varetto, ascoltavo le voci ai cancelli? La serietà dei lavoratori di Torino. La loro determinazione, abbiano dichiarato di dire sì o no all'accordo. Ho vissuto per quattro anni a Torino: non è facile trovare in Italia gente migliore dei lavoratori di quella città, che ha inventato l'industria in Italia (tra tantissime altre cose dalla radio, alla tv, al cinema, alla moda). Chi dice di sì, guardi gli articoli di Ciravegna, Ferrando, Ferrante, Antonioli e degli altri colleghi, lo fa non per difendere il libero mercato utopico, e chi vota no non lo fa perché spera che Landini si insedi al Palazzo d'Inverno. Chi vota sì vuol difendere il lavoro, e chi ha votato no fa una scommessa - a nostro giudizio sbagliata - che Marchionne stia bluffando. Vedremo domani se prevarrà il senso di realtà o la paura del futuro. Vedremo se i lavoratori daranno ragione allo scrittore Fruttero che nell'intervista al Sole ha chiesto "Torino torni leader dell'innovazione italiana!". Di certo chi vuole difendere il lavoro in Italia deve accettare la sfida del mondo. Il Sole è il giornale delle imprese che sanno di dovere vivere nel mondo, ma è ormai consapevolezza che l'intera classe dirigente deve accettare. Un click day difficile Anche l'Inail ha avuto il suo click day, ma come altri più blasonati ha lasciato molto scontento e proteste. Alle ore 14 di giovedì era prevista l'apertura dello sportello per l'invio delle domande di contributo per investimenti finalizzati al miglioramento della salute e sicurezza sul lavoro. È stato un flop su tutta la linea! Già nelle prime ore della mattinata il sistema non funzionava, con continui blocchi e rallentamenti. All'Inail, resisi conto della situazione, hanno pensato di bloccare i servizi interni per alleggerire il sistema, ma alle 14 questo era bloccato e moltissimi richiedenti non hanno potuto inviare la domanda. I fondi a disposizione sono stati impegnati dai pochi fortunati che sono riusciti, chissà per quale miracolo, ad inoltrare la domanda. I telefoni degli uffici locali e regionali sono stati presi d'assalto ma hanno squillato invano o con risposte inadeguate. Conclusione; sistema informatico inadeguato alla bisogna, fondi insufficienti, personale non preparato (numero verde &Co.). Un bravo agli organizzatori! Filippo Raffa Consulente - Roma
Il Giappone in Europa Gentile direttore, il ministro delle Finanze giapponese ha annunciato l'intenzione di Tokyo di comprare i bond europei di nuova emissione, ipotizzando una quota intorno al 20 per cento. Così il Giappone segue l'esempio della Cina che aveva acquistato titoli europei, fra cui quelli di Grecia e Spagna, in funzione della stabilizzazione finanziaria. In realtà, dietro questa operazione di Giappone e Cina c'è una accorta e prudente azione difensiva. Infatti, da un po' di anni, sono tornate a cantare le sirene del protezionismo, e anche da noi alcuni partiti sostengono la necessità di dazi doganali per le merci asiatiche. La maniera più forte per scoraggiare queste proposte consiste appunto nel comprare il debito pubblico dei paesi europei. L'astuzia asiatica si rivela infinitamente più complessa e raffinata di quanto possano pensare gli analisti occidentali. Lettera firmata
Controlli a prescindere Gentile Direttore, con la giustificazione della caccia agli evasori, lo stato ha adottato delle vere e proprie "punizioni collettive" che colpiscono indiscriminatamente tutti i cittadini, e il cui vero intento mi pare sia quello d'impossessarsi "a prescindere" di parte del risparmio degli italiani. E che dire degli accertamenti di vario genere induttivi con inversione dell'onere della prova su cui ormai si fonda il diritto tributario materiale? O della pletora di enti e soggetti di vario tipo e di più che dubbia utilità, la cui sopravvivenza è assicurata dal "prelievo delle decime" da chi esercita attività produttive? Insomma, lo stato nel tentativo di evitare il proprio fallimento, rischia di far "fallire" la nazione! Gregorio Gallo Ravello (Sa)
Stop agli slogan, si rifletta sul futuro dell'industria di Giuseppe BertaCronologia articolo15 gennaio 2011 Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2011 alle ore 08:06. Protagonisti per una settimana della scena mediatica, i lavoratori di Mirafiori hanno reagito alla mobilitazione dell'opinione pubblica nei loro confronti con una partecipazione altissima al referendum sull'accordo del 23 dicembre. Da oggi in poi, quando i risultati definitivi potranno essere vagliati nella loro completezza, si potrà commentare e stabilire se l'attenzione dei media abbia giocato in un senso o nell'altro. Certo, l'insistenza con cui si è seguito il clima interno alla fabbrica, attraverso un presidio ininterrotto di televisioni e giornali ai cancelli, deve aver influito sulla decisione di recarsi ai 10 seggi in cui è stato distribuito il voto di Mirafiori. L'appuntamento ha finito così col diventare uno di quelli che non si devono mancare, perché i mezzi di comunicazione l'hanno chiamato "storico" in largo anticipo sul suo esito (e le cui conseguenze non potranno essere immediatamente calcolate). Ha fatto bene o no a Mirafiori e alle prospettive del lavoro industriale in Italia la tempesta mediatica di questi giorni? Se stiamo alla comprensione dell'accordo e dei suoi contenuti effettivi, la risposta non può che essere negativa. La furia con cui per quasi una settimana ci si è gettati su un testo sindacale che, diciamo la verità, è una lettura ostica per i non addetti ai lavori, non ha favorito per nulla un giudizio equilibrato. Chi ha davvero provato a misurarsi con i 14 punti e le 36 cartelle di cui consta il prodotto finale di un negoziato tormentato, interrotto e poi ripreso, fino alla convalida affidata al voto di ieri e dell'altro ieri? Pochi, pochissimi hanno tentato di farlo; i più, tra quanti vi si sono accostati senza appartenere al mondo sindacale, gli avranno al massimo dato uno scorsa, senza soffermarsi sulle sue clausole e tanto meno sui suoi impegnativi allegati, riguardanti la nuova organizzazione del lavoro, i sistemi dei turni e delle pause. Se l'avessero letto con la cura necessaria, forse avrebbero capito che il suo significato non può essere racchiuso in una formula apodittica e perentoria. Soprattutto, il confronto di questa settimana non ha sollecitato quasi nessuno a interrogarsi sulla fabbrica e il suo mutamento. Si è preferito sovente rifugiarsi negli stereotipi; alludere a luoghi di lavoro che paiono incapaci di trasformazione e si riproducono nel tempo uguali a se stessi. Come se la fabbrica non fosse una sede naturale dell'innovazione e i comportamenti che essa ospita non fossero soggetti, al pari di ogni rapporto sociale, a un'evoluzione. È stata persa così un'occasione, quella che avrebbe consentito di uscire dalle rappresentazioni stereotipe del lavoro per riportare l'accento sull'organizzazione industriale e il suo cambiamento. Coloro che hanno sposato le ragioni del "no" al referendum hanno preferito riferirsi a un ambiente di fabbrica immutabile, con una scenografia fissata una volte per tutte sulle immagini di "Tempi moderni". Quasi che l'ultima parola sulla fabbrica l'abbia detta tanti anni fa Céline nel suo "Viaggio al termine della notte", con la descrizione allucinata di Highland Park da dove uscivano le auto "modello T" di Henry Ford e l'unica esistenza possibile era "una specie di esitazione tra l'inebetimento e il delirio". Non è questa la realtà d'oggi dei grandi complessi industriali dell'auto di tutto il mondo, negli Stati Uniti come in Europa, ma anche nelle economie più giovani e in sviluppo. Nel secolo di storia che ci divide dall'invenzione della linea di montaggio, si sono succeduti i paradigmi organizzativi, mentre si sono avvicendate le culture del lavoro e sono mutate le identità e i profili lavorativi. È tutto questo che occorrerebbe documentare ora, dopo sei mesi passati a discutere prima della sorte di Pomigliano d'Arco e poi di quella di Mirafiori. Il referendum lascia sicuramente dietro di sé un denso deposito di lacerazioni e di risentimenti. Potranno essere superati, se gli eventi di queste giornate non verranno semplicemente rimossi e serviranno invece a riaccendere un interesse sul lavoro industriale, su cui è caduta da tempo una pesante coltre d'opacità. Ma ciò richiede il risveglio di una capacità analitica riferita all'organizzazione industriale che è stata un patrimonio di imprese e sindacati per un tratto importante della nostra storia. Essa non merita di essere piegata alle logiche polemiche che hanno dominato fino a queste ultime ore. Deve essere ricostituita e rafforzata per rilanciare l'esperienza industriale italiana.
2011-01-13 Camusso contro Marchionne e Berlusconi. Marcegaglia: siamo dalla parte della Fiat Cronologia articolo12 gennaio 2010Commenti (32) Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2011 alle ore 13:08. "Il presidente del Consiglio sta facendo una gara con l'amministratore delegato della Fiat tra chi fa più danno al nostro paese". Il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, reduce dal botta e risposta di martedì 11 con l'ad della Fiat, Sergio Marchionne, commenta così le parole del premier Silvio Berlusconi che, sulla vicenda Fiat, aveva detto che in mancanza di accordi nella direzione della flessibilità le imprese e gli imprenditori avrebbero "buone motivazioni per spostarsi in altri paesi". Intanto resta tesa la situazione a Torino alla vigilia del referendum su Mirafiori. Da Berlino, Marcegaglia: "Noi siamo dalla parte della Fiat" "Noi siamo dalla parte della Fiat speriamo e pensiamo che il referendum su Mirafiori possa passare. E' un momento importante in cui fare un passo in avanti". E' il commento della presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, al termine del vertice bilaterale Italia-Germania in cui anche il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si è schierato sulle posizioni di Sergio Marchionne. Dopo il referendum, ha spiegato Marcegaglia, "riparleremo della rappresentanza. Siamo disponibili a trattare su questo, ma prima serve un accordo tra Cgil, Cisl e Uil". Marcegaglia ha inoltre sottolineato che "Fiat vuole fare un investimento e chiede di governare le fabbriche, non c'è nessuna lesione dei diritti. Il problema è reale: l'Italia non attrae investimenti esteri, c'è scarsa produttività. Nessuno vuole distruggere nulla, né ledere diritti ma ottenere cose che ci sono già in molti altri paesi, a cominciare dalla Germania". I dettagli dell'alleanza Fiat-Chrysler alla Consob Le dichiarazioni di Berlusconi "Noi riteniamo assolutamente positivo lo sviluppo che sta avendo la vicenda con possibilità di accordo tra sindacati e azienda in direzione di una maggiore flessibilità dei rapporti, del lavoro", ha detto Berlusconi, sull'accordo per Mirafiori tra Fiat e sindacati, nel corso della conferenza stampa con il cancelliere tedesco, Angela Merkel. E nel caso in cui il referendum dovesse bocciare l'intesa, Berlusconi osserva: "Dobbiamo dire - ha aggiunto Berlusconi - che ove questo dovesse accadere, le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri paesi. Ci auguriamo che la vicenda possa avere esito positivo". Immediata la reazione del segretario del Partito democratico, Pierluigi Bersani: "Berlusconi non se ne accorge perché è un miliardario ma noi paghiamo a lui uno stipendio che gli sembrerà misero per occuparsi dell'Italia e fare gli interessi del paese e non per fare andare via le aziende". Bersani ha giudicato "vergognose" le parole del premier. Vendola contestato dalla Fismic Tensione, urla, liti e slogan hanno accolto il leader di Sinistra Ecologia e Libertà, Nichi Vendola ai cancelli di Mirafiori a causa di una contestazione organizzata dai sindacalisti della Fismic. Dapprima alcuni aderenti a questo sindacato hanno urlato davanti a fotografi e telecamere, intimando a Vendola di andarsene, "perchè il comunismo è finito". Questa decina di attivisti è stata fronteggiata da altrettanti sostenitori di Vendola e tra i due schieramenti sono volati insulti, minacce e qualche sputo. "Ho percepito l'incredibile paura della Fiat che ha sentito il bisogno di ordinare al proprio sindacato giallo una contestazione ad uso dei mass media, di cui non mi sono nemmeno accorto", ha commentato il governatore della Puglia secondo cui "la Fiat ha paura che i lavoratori leggano il contratto". Scritte contro Marchionne a Mirafiori "Fiat = sfruttatori e assassini rottamiamo Marchionne e i suoi scagnozzi": questa la scritta su uno striscione firmato Collettivo Comunista Piemontese, con il simbolo di una stella e della falce e martello appeso alla Porta 2 di Mirafiori accanto a molti altri striscioni, manifesti e bandiere che oggi sono comparsi nel principale ingresso utilizzato dagli operai delle Carrozzerie. Come si svolgerà il referendum La commissione elettorale che dovrà gestire le operazioni di voto e scrutinio del referendum alla Fiat Mirafiori (composta da rappresentanti di tutte le sigle sindacali, Fim, Fiom, Uilm, Fismic, Ugl e Cobas) ha confermato che le votazioni sull'accordo siglato lo scorso 23 dicembre si terranno domani e dopodomani. In particolare, domani i lavoratori del terzo turno potranno votare dalle 22 per tre ore, mentre dalle 8.45 di venerdì voteranno i lavoratori del primo turno e dalle 15.45 quelli del secondo turno. La Fiom accusa l'azienda Dopo il botta e risposta tra Marchionne e il segretario della Cgil Susanna Camusso, resta teso il clima in fabbrica tra l'azienza e la Fiom. La Fiat sta svolgendo delle assemblee aziendali con i lavoratori delle Carrozzerie di Mirafiori per spiegare i termini dell'accordo raggiunto con i sindacati eccetto la Fiom. E sono proprio i metalmeccanici della Fiom a criticare duramente questa scelta. "Le assemblee aziendali - commenta Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom - la dicono lunga su quanto sia libero il referendum della Fiat. È evidente che la rappresentanza dei lavoratori è stata subappaltata all'azienda, che sta dicendo ai lavoratori che l'accordo distribuito dalla Fiom, unico sindacato a farlo, non è l'ultima versione: ci chiediamo - sottolinea Airaudo - in quale luogo segreto è stata scritta l'ultima versione e se i firmatari sanno su cosa voteranno i lavoratori". L'azienda ha confermato le assemblee precisando tuttavia che si tratta di un'attività "che rientra nelle proprie prerogative". La Cisl: "Il sì segnerà una svolta" Il referendum di Mirafiori "con l'auspicata vittoria dei sì, segnerà una fase di svolta e di rilancio produttivo e occupazionale non solo per Torino ma anche per l'intero paese perché darà il via all'intero Progetto Fabbrica Italia della Fiat con investimenti annunciati di 20 miliardi di euro nei prossimi 5 anni, il raddoppio della produzione di auto (1,4 milioni di vetture), l'attivazione di nuovi modelli, la certezza della occupazione ai lavoratori diretti e dell'indotto". Lo sottolinea in una nota Luigi Sbarra, segretario confederale della Cisl. "L'accordo per Mirafiori sottoscritto da tutti i sindacati tranne la Fiom - continua Sbarra - non era affatto scontato e non si poteva ottenere con il ricorso al conflitto a oltranza e alle polemiche ideologiche". I cartelli sui monumenti di Torino "Io sto con Torino, Non me ne vado". Un cartello con questa scritta era appeso al collo del Duca Emanuele Filiberto in sella al Caval 'd Brons, in piazza San Carlo, e del Conte Verde, davanti a Palazzo Civico a Torino. E lo stesso su altri monumenti della città. Un'iniziativa dei giovani dell'associazione Terra del Fuoco che arriva alla vigilia del referendum a Mirafiori.
2011-01-12 Camusso contro Marchionne e Berlusconi. Marcegaglia: siamo dalla parte della Fiat Cronologia articolo12 gennaio 2010Commenti (7)
Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2011 alle ore 13:08. "Il presidente del Consiglio sta facendo una gara con l'amministratore delegato della Fiat tra chi fa più danno al nostro paese". Il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, reduce dal botta e risposta di martedì 11 con l'ad della Fiat, Sergio Marchionne, commenta così le parole del premier Silvio Berlusconi che, sulla vicenda Fiat, aveva detto che in mancanza di accordi nella direzione della flessibilità le imprese e gli imprenditori avrebbero "buone motivazioni per spostarsi in altri paesi". Intanto resta tesa la situazione a Torino alla vigilia del referendum su Mirafiori. Da Berlino, Marcegaglia: "Noi siamo dalla parte della Fiat" "Noi siamo dalla parte della Fiat speriamo e pensiamo che il referendum su Mirafiori possa passare. E' un momento importante in cui fare un passo in avanti". E' il commento della presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, al termine del vertice bilaterale Italia-Germania in cui anche il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si è schierato sulle posizioni di Sergio Marchionne. Dopo il referendum, ha spiegato Marcegaglia, "riparleremo della rappresentanza. Siamo disponibili a trattare su questo, ma prima serve un accordo tra Cgil, Cisl e Uil". Marcegaglia ha inoltre sottolineato che "Fiat vuole fare un investimento e chiede di governare le fabbriche, non c'è nessuna lesione dei diritti. Il problema è reale: l'Italia non attrae investimenti esteri, c'è scarsa produttività. Nessuno vuole distruggere nulla, né ledere diritti ma ottenere cose che ci sono già in molti altri paesi, a cominciare dalla Germania". I dettagli dell'alleanza Fiat-Chrysler alla Consob Le dichiarazioni di Berlusconi "Noi riteniamo assolutamente positivo lo sviluppo che sta avendo la vicenda con possibilità di accordo tra sindacati e azienda in direzione di una maggiore flessibilità dei rapporti, del lavoro", ha detto Berlusconi, sull'accordo per Mirafiori tra Fiat e sindacati, nel corso della conferenza stampa con il cancelliere tedesco, Angela Merkel. E nel caso in cui il referendum dovesse bocciare l'intesa, Berlusconi osserva: "Dobbiamo dire - ha aggiunto Berlusconi - che ove questo dovesse accadere, le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri paesi. Ci auguriamo che la vicenda possa avere esito positivo". Immediata la reazione del segretario del Partito democratico, Pierluigi Bersani: "Berlusconi non se ne accorge perché è un miliardario ma noi paghiamo a lui uno stipendio che gli sembrerà misero per occuparsi dell'Italia e fare gli interessi del paese e non per fare andare via le aziende". Bersani ha giudicato "vergognose" le parole del premier. Vendola contestato dalla Fismic Tensione, urla, liti e slogan hanno accolto il leader di Sinistra Ecologia e Libertà, Nichi Vendola ai cancelli di Mirafiori a causa di una contestazione organizzata dai sindacalisti della Fismic. Dapprima alcuni aderenti a questo sindacato hanno urlato davanti a fotografi e telecamere, intimando a Vendola di andarsene, "perchè il comunismo è finito". Questa decina di attivisti è stata fronteggiata da altrettanti sostenitori di Vendola e tra i due schieramenti sono volati insulti, minacce e qualche sputo. "Ho percepito l'incredibile paura della Fiat che ha sentito il bisogno di ordinare al proprio sindacato giallo una contestazione ad uso dei mass media, di cui non mi sono nemmeno accorto", ha commentato il governatore della Puglia secondo cui "la Fiat ha paura che i lavoratori leggano il contratto". Scritte contro Marchionne a Mirafiori "Fiat = sfruttatori e assassini rottamiamo Marchionne e i suoi scagnozzi": questa la scritta su uno striscione firmato Collettivo Comunista Piemontese, con il simbolo di una stella e della falce e martello appeso alla Porta 2 di Mirafiori accanto a molti altri striscioni, manifesti e bandiere che oggi sono comparsi nel principale ingresso utilizzato dagli operai delle Carrozzerie. Come si svolgerà il referendum La commissione elettorale che dovrà gestire le operazioni di voto e scrutinio del referendum alla Fiat Mirafiori (composta da rappresentanti di tutte le sigle sindacali, Fim, Fiom, Uilm, Fismic, Ugl e Cobas) ha confermato che le votazioni sull'accordo siglato lo scorso 23 dicembre si terranno domani e dopodomani. In particolare, domani i lavoratori del terzo turno potranno votare dalle 22 per tre ore, mentre dalle 8.45 di venerdì voteranno i lavoratori del primo turno e dalle 15.45 quelli del secondo turno. La Fiom accusa l'azienda Dopo il botta e risposta tra Marchionne e il segretario della Cgil Susanna Camusso, resta teso il clima in fabbrica tra l'azienza e la Fiom. La Fiat sta svolgendo delle assemblee aziendali con i lavoratori delle Carrozzerie di Mirafiori per spiegare i termini dell'accordo raggiunto con i sindacati eccetto la Fiom. E sono proprio i metalmeccanici della Fiom a criticare duramente questa scelta. "Le assemblee aziendali - commenta Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom - la dicono lunga su quanto sia libero il referendum della Fiat. È evidente che la rappresentanza dei lavoratori è stata subappaltata all'azienda, che sta dicendo ai lavoratori che l'accordo distribuito dalla Fiom, unico sindacato a farlo, non è l'ultima versione: ci chiediamo - sottolinea Airaudo - in quale luogo segreto è stata scritta l'ultima versione e se i firmatari sanno su cosa voteranno i lavoratori". L'azienda ha confermato le assemblee precisando tuttavia che si tratta di un'attività "che rientra nelle proprie prerogative". La Cisl: "Il sì segnerà una svolta" Il referendum di Mirafiori "con l'auspicata vittoria dei sì, segnerà una fase di svolta e di rilancio produttivo e occupazionale non solo per Torino ma anche per l'intero paese perché darà il via all'intero Progetto Fabbrica Italia della Fiat con investimenti annunciati di 20 miliardi di euro nei prossimi 5 anni, il raddoppio della produzione di auto (1,4 milioni di vetture), l'attivazione di nuovi modelli, la certezza della occupazione ai lavoratori diretti e dell'indotto". Lo sottolinea in una nota Luigi Sbarra, segretario confederale della Cisl. "L'accordo per Mirafiori sottoscritto da tutti i sindacati tranne la Fiom - continua Sbarra - non era affatto scontato e non si poteva ottenere con il ricorso al conflitto a oltranza e alle polemiche ideologiche". I cartelli sui monumenti di Torino "Io sto con Torino, Non me ne vado". Un cartello con questa scritta era appeso al collo del Duca Emanuele Filiberto in sella al Caval 'd Brons, in piazza San Carlo, e del Conte Verde, davanti a Palazzo Civico a Torino. E lo stesso su altri monumenti della città. Un'iniziativa dei giovani dell'associazione Terra del Fuoco che arriva alla vigilia del referendum a Mirafiori.
Marchionne agli operai di Mirafiori: abbiate fiducia nel futuro e in voi stessi Cronologia articolo12 gennaio 2011 * Leggi gli articoli * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2011 alle ore 20:31. * * * * Chrysler chiuderà il 2011 in pareggio e l'utile netto salirà gradualmente entro il 2014 a 3 miliardi di dollari. Lo ha confermato l'amministratore delegato, Sergio Marchionne, parlando alla platea della Global Automative Conference organizzata da Deutsche Bank a Detroit. Nell'ambito del piano quinquennale i ricavi della casa americana sono previsti in crescita dai 42 miliardi del 2010 a 67 miliardi nel 2014 con l'utile operativo in rialzo a circa 5 miliardi. Marchionne ha anche confermato - spiega l'agenzia Radiocor-Il Sole 24 Ore - i target 2010 di Chrysler rivisti in rialzo nei mesi scorsi e stima per Chrysler una generazione cash di circa 500 milioni rispetto a attese precedenti di un cash negativo di un miliardo e volumi complessivi pari a 1,6 milioni di unità, tra auto e camion (è la prima conferma ufficiale dei volumi di vendita). L'incremento rispetto al 2009, quando Chrysler ha portato i libri in Tribunale e Marchionne, in seguito all'ingresso di Fiat nel capitale, ha preso in mano le redini della situazione, è stato pari al 17%. "Dal Chapter 11 non è emersa solo una nuova Chrysler, ma una nuova Chrysler con un partner per la vita". Così l'a.d. di Chrysler, Sergio Marchionne, che parlando a un seminario sul settore automotive organizzato da Deutsche Bank ha rilevato che "ogni giorno, attraverso tutte le decisioni che prendiamo, cementiamo l'impegno incancellabile di entrambe le società di costruire un gruppo automobilistico che non sarà necessariamente il più grande, ma il migliore a livello di solidità, redditività, eccellenza tecnica e a livello di brand". La quotazione di Chrysler "L'attuale accordo sul progetto di Ipo di Crysler prevede l'operazione nel 2013, ma siamo molto avanti e credo che questa data sarà anticipata", ha inoltre detto Marchionne, che ha così ribadito la possibilità di un ingresso in Borsa della casa americana già nella seconda metà di quest'anno. "Naturalmente - ha aggiunto - la decisione di anticipare l'Ipo dipende dal futuro andamento di Chrysler, dalla performance dei mercati azionari e dalle indicazioni del cda. La nostra priorità é creare una struttura in cui Chrysler possa contare su un finanziamento che facilita il rimborso di quanto dovuto al Governo prima dell'Ipo". "L'era degli sprechi è finita - ha concluso Marchionne - Perdere tempo, soldi e opportunità disperdendo risorse fisiche e intellettuali - ha aggiunto - non è solo economicamente distruttivo, è immorale". Il referendum a Mirafiori Alla vigilia del referendum sull'accordo nello stabilimento torinese di Mirafiori, l'amministratore delegato della Fiat ha rivolto un appello ai dipendenti del gruppo: "Ai lavoratori di Mirafiori dico di avere fiducia nel futuro e in loro stessi. Niente altro". Fuori dall'albergo Mgm a Detroit, mentre salutava calorosamente il presidente del sindacato americano, Uaw, Marchionne ha evocato il segretario generale della Fiom: "Mi piacerebbe tanto avere con (Maurizio) Landini lo stesso rapporto che ho con Bob King". " Mi piacerebbe davvero - ha aggiunto - perchè bisognerebbe condividere il futuro con le parti sociali. Noi ci abbiamo provato".
Tensione a Mirafiori alla vigilia del referendum. Camusso contro premier e Marchionne Cronologia articolo12 gennaio 2010Commenti (5) Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2011 alle ore 13:08. "Il presidente del Consiglio sta facendo una gara con l'amministratore delegato della Fiat tra chi fa più danno al nostro Paese". Il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, reduce da un botta e risposta con l'ad della Fiat, commenta così le parole del premier Silvio Berlusconi che, sulla vicenda Fiat, aveva detto che in mancanza di un accordo le imprese e gli imprenditori avrebbero avuto "buone motivazioni per spostarsi in altri paesi". Intanto resta tesa la situazione a Torino alla vigilia del referendum su Mirafiori. I dettagli dell'alleanza Fiat-Chrysler alla Consob Vendola contestato dalla Fismic Forte tensione, urla, liti e slogan hanno accolto il leader di Sinistra Ecologia e Libertà, Nichi Vendola ai cancelli di Mirafiori a causa di una contestazione organizzata dai sindacalisti della Fismic. Dapprima alcuni aderenti a questo sindacato hanno urlato davanti a fotografi e telecamere, intimando a Vendola di andarsene, "perchè il comunismo è finito". Questa decina di attivisti è stata fronteggiata da altrettanti sostenitori di Vendola e tra i due schieramenti sono volati insulti, minacce e qualche sputo. "Ho percepito l'incredibile paura della Fiat che ha sentito il bisogno di ordinare al proprio sindacato giallo una contestazione ad uso dei mass media, di cui non mi sono nemmeno accorto", ha commentato il governatore della Puglia secondo cui "la Fiat ha paura che i lavoratori leggano il contratto" Scritte contro Marchionne a Mirafiori "Fiat = sfruttatori e assassini rottamiamo Marchionne e i suoi scagnozzi": questa la scritta su uno striscione firmato Collettivo Comunista Piemontese, con il simbolo di una stella e della falce e martello appeso alla Porta 2 di Mirafiori accanto a molti altri striscioni, manifesti e bandiere che oggi sono comparsi nel principale ingresso utilizzato dagli operai delle Carrozzerie. Come si svolgerà il referendum La commissione elettorale che dovrà gestire le operazioni di voto e scrutinio del referendum alla Fiat Mirafiori (composta da rappresentanti di tutte le sigle sindacali, Fim, Fiom, Uilm, Fismic, Ugl e Cobas) ha confermato che le votazioni sull'accordo siglato lo scorso 23 dicembre si terranno domani e dopodomani. In particolare, domani i lavoratori del terzo turno potranno votare dalle 22 per tre ore, mentre dalle 8.45 di venerdì voteranno i lavoratori del primo turno e dalle 15.45 quelli del secondo turno. La Fiom accusa l'azienda Dopo il botta e risposta tra Marchionne e il segretario della Cgil Susanna Camusso, resta teso il clima in fabbrica tra l'azienza e la Fiom. La Fiat sta svolgendo delle assemblee aziendali con i lavoratori delle Carrozzerie di Mirafiori per spiegare i termini dell'accordo raggiunto con i sindacati eccetto la Fiom. E sono proprio i metalmeccanici della Fiom a criticare duramente questa scelta. "Le assemblee aziendali - commenta Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom - la dicono lunga su quanto sia libero il referendum della Fiat. È evidente che la rappresentanza dei lavoratori è stata subappaltata all'azienda, che sta dicendo ai lavoratori che l'accordo distribuito dalla Fiom, unico sindacato a farlo, non è l'ultima versione: ci chiediamo - sottolinea Airaudo - in quale luogo segreto è stata scritta l'ultima versione e se i firmatari sanno su cosa voteranno i lavoratori". L'azienda ha confermato le assemblee precisando tuttavia che si tratta di un'attività "che rientra nelle proprie prerogative". I cartelli sui monumenti di Torino "Io sto con Torino, Non me ne vado". Un cartello con questa scritta era appeso al collo del Duca Emanuele Filiberto in sella al Caval 'd Brons, in piazza San Carlo, e del Conte Verde, davanti a Palazzo Civico a Torino. E lo stesso su altri monumenti della città. Un'iniziativa dei giovani dell'associazione Terra del Fuoco che arriva alla vigilia del referendum a Mirafiori.
2011-01-11 Landini (Fiom) alla Cgil: bisogna far saltare l'accordo di Mirafiori. Botta e risposta Camusso - Marchionne Cronologia articolo11 gennaio 2011Commenti (15) Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2011 alle ore 11:59. Stando fuori dalle fabbriche non si può ripartire, ricostruendo i rapporti di forza. Così il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, si rivolge alla Fiom parlando della vertenza Mirafiori, nel corso dell'intervento con cui ha aperto l'assemblea delle Camere del lavoro. Secondo Camusso, se al referendum di Mirafiori dovesse vincere il sì, "un esito che non ci auguriamo, ma che non possiamo escludere", ci sarebbero conseguenze "sulla condizione del lavoro, sulla libertà dei lavoratori", con l'esclusione della Fiom e, di conseguenza, della Cgil. "Su questo - ha sottolineato Camusso - dobbiamo continuare a riflettere, domandandoci se è l'unica conclusione possibile. Lo dobbiamo a chi voterà no. Il cuore della contraddizione sta nei processi produttivi. Se non si riparte da lì", dall'esterno degli stabilimenti "non si possono ricostruire le condizioni per ripartire e ricostruire i rapporti di forza. Se non siamo dentro le fabbriche, diventiamo dipendenti non aiutati da altri". In serata il segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, a margine dell'assemblea nazionale delle Camere del lavoro promossa dalla Cgil, parlando di Mirafiori ha detto: "Bisogna far saltare l'accordo, renderlo non applicabile ed essere in grado di riconquistare i diritti che in termini sindacali significa riaprire la trattativa e considerare la vertenza ancora aperta". "Tutto il sindacato, tutta la Cgil lo capisca", ha aggiunto. Marchionne insulta ogni giorno l'Italia "Se Fiat può affermare di avere un piano e lo tiene nascosto è anche perché c'è un governo che non fa il suo lavoro. Un Governo tifoso, promotore della riduzione dei diritti, così tifoso che non ha il coraggio di vedere che quando l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne insulta ogni giorno il nostro Paese e le sue possibilità, non offende solo i cittadini e i lavoratori di questo Paese ma in realtà dice delle qualità del governare e delle risposte che vengono date". Così il segretario generale della Cgil, in un passaggio della relazione introduttiva, ha parlato di Sergio Marchionne. La replica di Marchionne: "Non si può confondere il cambiamento con un insulto" "Non si può confondere il cambiamento con un insulto all'Italia" ha replicato da Detroit l'a.d. del gruppo Fiat, Sergio Marchionne, alle dichiarazioni di Susanna Camusso. "Se insulto significa introdurre un nuovo modello di lavorare in Italia mi assumo le mie responsabilità - ha affermato Marchionne - ma non lo é. L'ho detto ripetutamente e lo continuo a ripetere. E' un messaggio totalmente coerente con la strategia industriale di questo gruppo. Siamo assolutamente convinti che il modo di operare industrialmente in Italia, anche sulla base della nostra esperienza internazionale, deve essere rinnovato". Marchionne ha aggiunto: "stiamo cercando di cambiare una serie di relazioni che storicamente hanno guidato il sistema italiano. In questo sono assolutamente colpevole. Stiamo cercando di cambiarlo, di aggiornarlo e di renderlo competitivo. Non si può confondere questo con un insulto all'Italia. Anzi, vogliamo più bene noi all'Italia in questo senso qua, cercando di cambiarla. Il vero affetto é cercare di fare crescere le persone e farle crescere bene. Stiamo cercando di farlo a livello industriale". "Chi perde il referendum accetti la sconfitta" E sul referendum sul destino di Mirafiori, l'ad di Fiat ha aggiunto: "In qualsiasi società civile quando la maggioranza esprime un'opinione, anche con il 51%, la minoranza ha perso. Quando si perde, si perde. Io ho perso tantissime volte in vita mia, sono stato zitto e sono andato avanti. Non ho reclamato. Se vince il sì venerdì (giorno del referendum), ha vinto il si", e il discorso é chiuso. Non possiamo fare le votazioni 50mila volte. Capisco che nessuno vuole perdere, ma una volta che ha perso, ha perso".
New York Times: Chrysler risorge con Fiat, i necrologi erano prematuri di Elysa FazzinoCronologia articolo11 gennaio 2011Commenti (1) Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2011 alle ore 14:45. Chrysler risorge. Contro ogni pronostico delle case automobilistiche rivali, "la più travagliata e la più piccola" delle Big Three si sta tirando su. "I necrologi erano prematuri", scrive il New York Times, ricordando che un anno fa si scommetteva su quanto sarebbe ancora durata. Invece, Chrysler sta guadagnando terreno grazie a un’offensiva di modelli nuovi, "in gran parte prodotti in collaborazione con Fiat". E il gruppo torinese aumenta automaticamente la sua quota in Chrysler dal 20% al 25%, avendo raggiunto il primo traguardo previsto dall’accordo di partnership benedetto dal governo Usa. L’exploit di Sergio Marchionne, Ceo di Chrysler e Fiat, è sotto i riflettori dell’Auto Show di Detroit e della stampa americana. "Non mi hanno ancora chiesto: Sarà qui l’anno prossimo?", scherza Marchionne. Dopo avere stabilizzato le vendite l’anno scorso, nota il Nyt, Chrysler è nel mezzo di "un blitz di prodotti" che secondo i dirigenti dell’azienda e gli analisti industriali dovrebbe aiutarla a rimborsare i prestiti governativi e a riemergere quest’anno come società quotata. Il Nyt sottolinea che finora la strada è stata difficile per Chrysler, che ha tardato a riprendersi rispetto a General Motors e Ford. Ma l’aggiunta di modelli nuovi e rinnovati ha contribuito a fare aumentare le vendite di Chrysler negli Stati Uniti del 16% nel 2010. "Ora, per la prima volta da parecchi anni, l’azienda appare in posizione per guadagnare quote di mercato". A Detroit, Chrysler ha svelato la nuova versione della sua berlina "ammiraglia", la Chrysler 300. I nuovi sviluppi della partnership con Fiat hanno un titolo a parte sul Nyt: "La quota di Fiat in Chrysler sale al 25%", dopo che la casa italiana ha raggiunto uno dei tre traguardi fissati nell’accordo. Fiat ha ottenuto "automaticamente " il 5% in più dopo che Chrysler ha avuto dal governo Usa il via libera per cominciare a produrre un motore a quattro cilindri per la nuova Fiat 500, a bassi consumi. Fiat potrà salire al 35% fabbricando un veicolo Chrysler basato sulla tecnologia Fiat capace di fare almeno 40 miglia per gallone e vendendo modelli Chrysler attraverso la rete internazionale Fiat di dealer. Il produttore italiano potrà ottenere la maggioranza acquistando ulteriori partecipazioni dopo avere rimborsato i prestiti governativi. "Marchionne - ricorda il Nyt - ha detto la scorsa settimana che spera di ripagare i prestiti e arrivare al 51% nel corso del 2011, prima di un’Ipo nella seconda metà dell’anno". Il manager lunedì ha rassicurato i contribuenti che riavranno i soldi investiti in Chrysler. E ha precisato che Chrysler sarebbe stata in utile nel 2010 se non fosse stato per il pagamento degli interessi. Intanto "Ford progetta di assumere più di 7mila lavoratori", titola ancora il New York Times da Detroit. Nei prossimi due anni, la casa automobilistica conta di reclutare 4.000 lavoratori a ore e 750 salariati quest’anno e altri 2.500 lavoratori a ore nel 2012. Le assunzioni riflettono l’ottimismo delle previsioni per i prossimi anni per il settore automobilistico, dopo un triste 2009 e un 2010 di "modesto miglioramento". I nuovi posti aumenterebbero del 15% la forza lavoro di Ford, "una piccola frazione dei posti eliminati negli ultimi anni". Ford occupa circa 42mila lavoratori negli impianti Usa, contro i 103mila di una decina d’anni fa. Le vendite di Ford sono salite del 15% nel 2010 e la sua quota di mercato è aumentata per il secondo anno consecutivo. Con le nuove assunzioni, Ford avrebbe lo stesso numero di lavoratori a ore negli Usa che General Motors, che pure ha fatto drastici tagli e ora ha 53mila lavoratori. Ford e General Motors hanno detto la scorsa settimana che si aspettano quest’anno un aumento complessivo delle vendite nel settore i 13,5 milioni di veicoli. Anche il Wall Street Journal mette in risalto il ritorno in forze di Chrysler. "Solo un anno fa, Marchionne passava innumerevoli ore a difendere il suo piano, che alcuni osservatori consideravano improbabilmente ambizioso…". Ora a Detroit è in mostra una Chrysler "molto più sicura di sé". "Il rimbalzo di Chrysler – anche se ancora esitante – è una svolta significativa", osserva il Wsj, che ricorda come due anni fa, Chrysler e General Motors siano rimaste in piedi solo grazie ai salvataggi del governo."Oggi i produttori Usa stanno inscenando un rilancio sensazionale". La ripresa di Detroit, tuttavia, "non sarà completa finché Chrysler non svolterà": E secondo il Wsj, Chrysler ha ancora parecchia strada da fare. L’azienda fa soldi in termini operativi, ma per il 2010 registrerà una perdita netta. Un problema, nota il Wsj, è rappresentato dal ribasso delle vendite ai consumatori. L’aumento delle vendite di Chrysler l’anno scorso, infatti, è stato in gran parte trainato dalle vendite a clienti come le agenzie di autonoleggio, in genere meno redditizie rispetto alle vendite a singoli consumatori. "Quest’anno sarà cruciale".
Marcegaglia: Confindustria e Fiat sono sulla stessa sponda di Nicoletta PicchioCronologia articolo11 gennaio 2011Commenti (1) Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2011 alle ore 08:14. La domanda la fa lei, direttamente, a Giorgio Airaudo, segretario nazionale Fiom e responsabile auto: "Se malauguratamente, e spero non accada, dovessero vincere i no, quale sarebbe il piano B della Fiom? Si perderebbe l'auto a Torino e l'occupazione". Emma Marcegaglia lo incalza più volte, seduta accanto al sindacalista, nello studio di Porta a Porta, dedicato ieri sera al referendum di giovedì e venerdì alla Fiat di Mirafiori, dal quale dipenderà la decisione dell'ad, Sergio Marchionne, di investire o no a Torino. Un accordo "importante, che non lede i diritti dei lavoratori", sottolinea la presidente di Confindustria, soffermandosi anche sui rapporti tra la Confederazione e il Lingotto. "Siamo sulla stessa sponda". E spiega perchè: "Dopo dieci anni in cui non si è parlato di relazioni sindacali Confindustria nel 2009 ha siglato un accordo su nuovi assetti contrattuali con Cisl e Uil, sotto l'occhio attento del governo. In questo accordo è prevista la possibilità di deroghe al contratto nazionale, che vanno rispettate con sanzioni, per imprese e lavoratori". È già stato avviato un percorso di riforma delle relazioni industriali, "senza la Cgil, che non ha voluto firmare". Ciò dimostra, ha continuato la Marcegaglia, "che guardiamo avanti, come la Fiat. Ed è sbagliato dire, come ho sentito in questi giorni, che Confindustria è conservatrice e Fiat innovatrice". Il fatto che le due newco di Pomigliano e Mirafiori oggi siano fuori da Confindustria per la presidente è temporaneo: "Quando faremo il contratto dell'auto con certe caratteristiche, dovrebbero rientrare". Niente polemiche, quindi. È l'investimento e l'occupazione che secondo la presidente degli industriali, il tema prioritario, come hanno sottolineato anche gli altri ospiti della trasmissione favorevoli all'intesa, Luigi Angeletti, leader della Uil, una delle confederazioni firmatarie, e il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. Airaudo è convinto che, se dovessero vincere i no, la Fiat non sposterà i suoi investimenti fuori dall'Italia: "L'effetto sarà di riaprire la trattativa". Ma non lo pensano nè la Marcegaglia, nè Sacconi. "Forse non abbandonerebbe del tutto il paese, ma Mirafiori sarebbe la seconda vittima designata dopo Termini Imerese nella razionalizzazione di un gruppo che ormai è una multinazionale". Un rischio serio anche per la presidente di Confindustria: "Penso e spero che vincano i sì. Sbaglia chi dà per sconato che la Fiat non sposterà all'estero la produzione italiana. Le aziende sono libere di decidere dove investire, noi non attraiamo investimenti esteri ed anche le imprese italiane investono poco per i problemi dell'Italia, che vanno dalle relazioni industriali alle infrastrutture e alle altre questioni strutturali". Insomma, "andare a vedere il gioco di Marchionne sarebbe una follia". E se Airaudo si è rivolto a Marchionne dicendo "non è un Dio, non è infallibile, vorremmo sapere i numeri del piano industriale" la Marcegaglia ha parlato agli "amici della Fiom" affermando che "nel mondo le cose vanno così, o si sta nella competizione internazionale o si esce dal mercato. La Fiom accetti l'accordo e chieda in cambio più chiarezza sugli investimenti". In trasmissione Renato Mannheimer ha presentato un sondaggi su come voterebbero gli italiani: il si vincerebbe con il 56%, una percentuale che sale all'80% tra i simpatizzanti del centro-destra, mentre tra quelli di centro-sinistra il no vincerebbe, ma solo con il 56%, a riprova delle divisioni del Pd e dintorni. Quanto ai contenuti dell'accordo, per la Marcegaglia si fa riferimento "agli standard internazionali". Non si ledono diritti, si punta ad una maggiore produttività, con aumenti di salario. Infine, il timore che, dopo le scritte con le stelle a cinque punti a Torino, ritorni il terrorismo: "Non c'è il rischio di un ritorno su vasta scala - ha spiegato Sacconi - ma che pulviscoli si concentrino su obiettivi singoli e non protetti".
Cresce la preoccupazione per le minacce ai sindacati Francesco AntonioliCronologia articolo11 gennaio 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2011 alle ore 06:37. * * * *
TORINO Giornata tesa e plumbea, ieri a Torino. Alla scritta minacciosa con stella a cinque punte (peraltro non iscritta in un cerchio come quella delle Br) apparsa nella notte di domenica contro Sergio Marchione, in città se ne sono aggiunte altre per i sindacati favorevoli all'accordo su Mirafiori. "Se Cisl ricatta... attacchiamo": spray nero sul portone della sede regionale in via sant'Anselmo. Anche la Uil è nel mirino: "Unione italiana lacché, servi dei padroni, Marchionne infame" è il florilegio apparso vicino alla Uilp di via Santa Chiara; poco lontano, a Porta Palazzo, sulle targhe Uil-Fpl, la frase "Tirapiedi di Marchionne". Unanime lo sdegno di società civile, forze politiche e sindacali, Cgil compresa: "Solo il confronto democratico è garanzia per i lavoratori". È preoccupato il sindaco Sergio Chiamparino: "Un ulteriore segnale d'allarme che non va sottovalutato". Secondo il primo cittadino "già altre volte da forme di antagonismo estremo sono nati episodi di violenza e il terrorismo stesso è nato come prolungamento di comportamenti antagonisti estremi". Per questo Chiamparino ha rivolto un appello "a tutti coloro che hanno responsabilità politiche e pubbliche" perché si adoperino "con ogni sforzo possibile per isolare coloro che evocano o praticano la violenza come forma di iniziativa politica". Nuove Brigate Rosse? Movimenti eversivi? Dalla Questura di Torino non escludono alcuna pista, ma invitano a non cedere all'emotività e a congetture eccessive: "Conosciamo molto bene le criticità di Torino e le sue diverse anime, anche quella antagonista – spiega un dirigente Digos –; siamo impegnati nelle indagini e nella prevenzione. Faremo di tutto perché i giorni del referendum si svolgano senza problemi". Gli investigatori, in buona sostanza, pur non avendo segnali di ritorno agli anni 70, ipotizzano che qualcuno possa inventarsi qualche gesto dimostrativo approfittando della ghiotta occasione. Dal Salone dell'auto di Detroit Sergio Marchionne ha voluto commentatare l'accaduto: "Quelle scritte sono fuori posto – ha dichiarato l'a.d. Fiat –. Non per il mio coinvolgimento personale, ma perché riflettono una mancanza di civiltà che non è opportuna per l'Italia e per nessun altro Paese. Siamo fiduciosi: prevalga l'aspetto razionale e l'ideologia politica resti fuori dalla fabbrica". Il clima, sotto la Mole, non è dei migliori. Il sociologo Marco Revelli (figlio di Nuto, lo scrittore che diede voce al mondo dei "vinti"), osservatore attento delle vicende torinesi, raccomanda molta prudenza: "I paragoni storici con gli anni di piombo sono fuori luogo perché non ci sono le condizioni. Soprattutto – avverte – sono sintomo di pigrizia mentale. Calma: a ogni atto va dato il suo peso. Non ci vuole nulla a prendere una vernice spray... Direi: niente dietrologie, ma preoccupiamoci per le famiglie dei metalmeccanici, che qui a Torino sono molte. Intendiamoci, ogni violenza va condannata – precisa lo studioso subalpino –, ma l'aut aut della Fiat non è un'increspatura del mare, è un vero e proprio tsunami, difficilissimo da digerire. Provo malessere fisico di fronte alla scelta cui sono chiamati i lavoratori. C'è esasperazione. Semmai, più che violenza verso gli altri, io avrei timore per quella verso se stessi con atti autolesionistici o contro i propri cari. Questi sono i possibili drammi da non sottovalutare". f.antonioli@ilsole24ore.com
All'angolo i riformisti della Fiom Paolo BriccoCronologia articolo11 gennaio 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2011 alle ore 06:37. * * * *
TORINO. Dal nostro inviato "Eh, eh. Airaudo pensava di essere furbo, ma Landini è più astuto di lui", sibila un vecchio dirigente della Fiom. Che aggiunge: "Con la lettera sollecitata nel fine settimana ai delegati di Mirafiori contro il si tecnico voluto dalla Camusso, la partita è chiusa". La disfida fra i due non è soltanto un episodio da petite histoire, con il romagnolo Maurizio Landini innervosito dal protagonismo del piemontese Giorgio Airaudo, responsabile nazionale dell'auto, capello lungo e eloquio brillante, la tentazione della politica con i corteggiamenti prima di Chiamparino, quando ancora c'era l'ipotesi di una lista civica del sindaco uscente, e poi dai vendoliani di Sinistra Ecologia e Libertà, per una candidatura a primo cittadino coccolata e poi accantonata. È soprattutto lo spegnersi dell'ultimo refolo di "riformismo" dentro alla Fiom. La componente torinese, che preferirebbe il sindacato dentro alla fabbrica e non sui camper fuori sulla strada, è stata messa in un angolo. Altro che sì alla newco, come prospettato anche dal segretario torinese Federico Bellono. Niente più disallineamento rispetto alla leadership del segretario Landini e alla primazia psico-culturale di Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato Centrale. La cancellazione di ogni opzione riformistica, per quanto teorica ed esercitata con non troppo coraggio dal partito di Mirafiori, fa il paio con un'idea nuova che in centodieci anni di storia dei metalmeccanici non era mai comparsa: il ricorso sistematico ai tribunali per tutelare gli interessi della classe operaia. Non a caso Landini ha un rapporto stretto con Maurizio Zipponi, già segretario della Fiom di Brescia che, dopo un passaggio in Rifondazione Comunista, è approdato al giustizialismo dipietrista dell'Italia dei Valori. E, soprattutto, Landini ha elaborato una strategia che, per le newco di Pomigliano e di Mirafiori, prevede una pioggia di ricorsi alla magistratura del lavoro. "Ma ce lo vedete Bruno Trentin che va dal pretore del lavoro?", ironizza Angelo Pichierri, uno dei principali studiosi della società industriale e post-industriale. "La deriva della Fiom - continua Pichierri - è un incrocio fra il dipietrismo di oggi e l'irrazionalismo massimalista di Arthur Scargill che nel 1984 guidò i minatori inglesi alla sconfitta finale con Margaret Thatcher". La spinta dei metalmeccanici, nella storia del nostro paese, non ha riguardato soltanto la Cgil. I metalmeccanici della Cisl, in alcuni passaggi degli anni Settanta, hanno avuto una forza di impatto perfino maggiore, perché priva del contrappeso e del contenimento ideologico e strategico-tattico del Partito Comunista. Soltanto che qualunque pulsione estremista veniva ricondotta in un quadro di razionalizzazione riformista e riformatrice, grazie al lavoro intellettuale, prima che politico e "del comando", di leader sofisticati quali Bruno Trentin, educato ad Harvard, e Bruno Manghi che, fra la Torino della Fiat e l'Italsider di Taranto, ha insegnato a pensare la politica e l'economia a una generazione intera di sindacalisti cattolici. E, per usare una categoria schmittiana, l'unitarietà del comando era garantita dal sindacato centrale, se non centralistico, anche rispetto ai metalmeccanici. Una lunga storia di reductio ad unum, quando il pluralismo dei metalmeccanici diventava autonomismo, che, per circoscrivere il campo alla Cgil, prende il via nel 1955, quando con il suo carisma Giuseppe Di Vittorio azzera i vertici dei metalmeccanici, sconfitti alle elezioni delle commissioni interne nella Fiat di Vittorio Valletta, e arriva fino al 1991, quando a guidare la Fiom viene mandato da Trentin, senza consultare nessuno, Fausto Vigevani, un socialista che designa come responsabile dell'auto la Camusso la quale, nel 1996, su una vertenza aziendale di Alfa Romeo si sarebbe scontrata con Claudio Sabattini, divenuto nel mentre segretario generale, e avrebbe perso. Oggi, nella dialettica fra riformismo di matrice comunista e socialista e massimalismo autonomista metalmeccanico, due cose sono mutate: le classi dirigenti e il quadro politico che si è liquefatto. Osserva l'economista Patrizio Bianchi, nel 1980 chiamato da Beniamino Andreatta a fare il segretario della commissione del piano auto al ministero del Bilancio: "La qualità delle élite di allora era un'altra cosa. Un uomo come Trentin pensava di potere incidere sui processi di lungo periodo. E ne aveva gli strumenti. Inoltre, l'attuale sgretolazione del quadro politico della sinistra non giova a razionalizzare i processi. Dentro ai sindacati confederali e nella stessa Fiom". E, a questo proposito, ti viene in mente la confidenza di un sindacalista di lungo corso: "Sergio Garavini, leader comunista e segretario della Fiom, nelle conversazioni private ci ripeteva sempre che, ai nostri, dovevamo tenere la cinghia corta". © RIPRODUZIONE RISERVATA LA GUIDA DI TRENTIN pPer l'economista Patrizio Bianchi era diversa la qualità delle élite di un tempo: "Trentin pensava di incidere sui temi di lungo periodo e ne aveva gli strumenti" L'ERA DI VIGEVANI pNel 1991 a guidare la Fiom venne chiamato da Trentin Fausto Vigevani, un socialista che designa la "moderata" Susanna Camusso alla guida del settore auto LA SPINTA CISL pLe tute blu Cisl negli anni '70 hanno svolto un ruolo di spinta notevole ma ogni estremismo veniva ricondotto, da leader come Bruno Manghi, all'interno di un quadro riformista IL PASSATO
Bersani frena la Fiom e sceglie la linea Camusso Lina PalmeriniCronologia articolo11 gennaio 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2011 alle ore 06:36. * * * *
ROMA. Non uno strappo ma una distanza sì. Pierluigi Bersani, per la prima volta sulla vertenza Fiat, marca una differenza tra il Pd e la Fiom aiutato dalla posizione della Cgil di Susanna Camusso. "Rispetteremo l'esito del referendum tra i lavoratori". Questa frase, in apparenza lapalissiana, è stato il modo in cui il segretario ha allontanato il partito da Maurizio Landini, leader dei meccanici Fiom, che quel referendum nè lo riconosce nè lo rispetta visto che lo ritiene illegittimo. Dietro la scelta di Bersani non c'è solo il gioco di sponda con la Cgil ma anche l'impossibilità di schierare i Democratici sull'isolamento della Fiom nonostante si dia atto della violazione delle regole di rappresentanza e di democrazia sindacale. E soprattutto c'è un tentativo di rimettere in equilibrio il rapporto con gli altri sindacati che ieri il leader Pd ha incontrato subito dopo Landini. Un tentativo che è apparso chiaro ai rappresentati di Fim e Uilm – Giuseppe Farina e Giovanni Contento – che dopo il faccia a faccia con il segretario hanno ricordato le "timidezze e i ritardi di Pomigliano" e notato che invece "ora c'è un avvicinamento sulle nostre posizioni". Un riassestamento della rotta, dunque, al punto da far dire a Farina: "Secondo me Bersani voterebbe sì al referendum. Non può dirlo ma aver parlato di investimenti irrinunciabili e di rispetto per l'esito del referendum lo avvicina a chi ha firmato l'accordo". A frenare ci pensa Stefano Fassina che ieri era insieme al segretario e a Emilio Gabaglio nell'incontro con i sindacati. "Per chi voterei io? Rifiuto la domanda, non sono un operaio. E comunque un partito non può dare indicazioni di voto nè sostituirsi a un sindacato". Eppure proprio su quel "sì" al referendum detto per primo da Piero Fassino – candidato sindacato di Torino – nel Pd si è aperto uno squarcio che ancora resta. "Non possono bastare le graduali correzioni di ieri su cui peraltro siamo stati aiutati dalla Camusso. Ora è necessario che il Pd si smarchi e faccia un passo ulteriore arrivando a un chiarimento finale con la Fiom per aiutare un riavvicinamento tra Cgil, Cisl e Uil. In questo modo possiamo ritagliarci un ruolo attivo nella costruzione di nuove relazioni sindacali". Questo diceva ieri Giorgio Tonini, senatore del Pd molto vicino a Veltroni, che annuncia nuove proposte all'appuntamento del Lingotto il 22 gennaio (ci saranno anche Gary Hart e Anthony Giddens). Ma prima di quella data c'è la Direzione del partito del 13 che, casualmente, sarà pure il primo giorno di referendum a Mirafiori. Dunque, è giovedì che ci sarà il primo affondo nonostante le posizioni critiche dei veltroniani e degli ex popolari vicini alla Cisl, abbiano già "costretto" Bersani a correggere la rotta. Proprio come si è visto ieri. Le divisioni potrebbero attenuarsi, infatti, proprio grazie a quel "rispetto per l'esito del referendum" chiesto ieri dal segretario, insieme "all'esigenza di scrivere nuove regole sulla rappresentanza che garantiscano sia l'esigibilità degli accordi che i diritti individuali e i diritti sindacali di chi dissente". Insomma, si cerca uno strappo mite con la Fiom. Anche sugli investimenti – "siamo assolutamente interessati che si realizzino" - e nell'incalzare il Governo – "esca dalla sua latitanza" – Bersani ha trovato più sintonia con Fim e Uilm che con i meccanici Cgil. Il punto è che ormai la Fiom si dà per persa, presa com'è dall'abbraccio con Nichi Vendola che infatti domani sarà ai cancelli di Mirafiori.
La dieta che frutterà 2,6 miliardi di euro Francesco Gaeta Cronologia articolo11 gennaio 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2011 alle ore 06:36. * * * * Un cambio di marcia dopo un rettifilo "tirato". Se il referendum di dopodomani a Mirafiori sarà per Fiat la prima curva utile a inquadrare il futuro che le si stende davanti, un bel pezzo di strada è già stato fatto tra le scocche e le linee di montaggio negli stabilimenti del Lingotto. È un percorso che attiene all'organizzazione del lavoro e ha smagrito organici e tempi, ha ridotto le temperature dei forni di essicazione e delle acque di raffreddamento, ha abbattuto carichi e costi di energia necessari a ogni veicolo. La dieta non è nuova, si chiama world class manifacturing, metodo Toyota aggiornato in chiave europea. Per dirla con Luciano Massone, responsabile dell'attuazione di wcm in Fiat group, si riassume in tre zero: "Zero difetti di qualità, zero scorte, zero guasti". Fin qui, applicandosi da monte a valle della catena di assemblaggio, il wcm ha tolto il primo giro di adipe al corpaccione del Lingotto, portando tra 2006 e 2009 un risparmio di 730 milioni. Ma ora arriva la fase II, e l'idea è di mettere mano in profondità alle linee: la previsione è di 2,6 miliardi di risparmio aggregato al 2014. Sempre che il malato tenga. Tre medici per una dieta Arrivato a Torino nel 2004, Sergio Marchionne chiama quasi subito ad occuparsi della dieta wcm Stefan Ketter, studi globalizzati (ingegneria a Monaco e mba all'Insead) e già quasi 20 anni nell'automotive: 10 in Bmw, uno in Audi, sette in Volkswagen. Nel 2005, Ketter diventa responsabile del manufacturing Fiat e si ritrova al fianco Luciano Massone, che gli stabilimenti italiani li ha girati tutti, lato risorse umane. Prima di cominciare, i due ingaggiano il guru del wcm, il giapponese Hajime Yamashina, cattedra a Kyoto in mechanical engineering e nutrito carniere di consulenze nel nostro paese (Pirelli, Ansaldo e Indesit). Inizia così, da Cassino e Melfi, non a caso i più evoluti tra gli stabilimenti Fiat, la cura della produttività, e i risultati si vedono in fretta. A marzo 2005 ogni Croma che usciva da Cassino gravava sui bilanci per un costo medio di manutenzione in garanzia di 39,2 euro, nel marzo 2007 si è scesi a 21,1. Il perché del miglioramento lo spiega il dato di Melfi, esemplificato su carte Fiat in un diagramma che segna i passi degli operai della linea intorno a una scocca: tra 2006 e 2009 le operazioni che non apportano valore aggiunto - tra errori, sprechi e inefficienze - calano del 60 per cento. Meno passi e movimenti inutili, tempi più ristretti, più output a qualità elevata Mentre Marchionne chiude i conti con Gm e rilancia quelli del Lingotto, il wcm si estende. Mirafiori, Tichy (Polonia), Pomigliano, poi Iveco, camion e trattori. Quando nel giugno 2009 l'ad allarga il perimetro Fiat a Chrysler, Massone e Ketter sono tra i manager che con lui decollano all'alba da Torino per spaccare in due la settimana tra il Piemonte e Detroit. Ora il kick-off nel mondo Usa è completo e coinvolge 27mila addetti con l'attiva partecipazione dello Uaw, sindacato azionista. Una questione aperta Da un punto di vista tecnico, del world class manufacturing si può pensare quel che si vuole. Che sia solo una risciacquatura del metodo Toyota, come dichiara il consulente aziendale Gianfilippo Cuneo, convinto che "just in time e ottimizzazione dei tempi e processi non sono delle novità". O che sia un modello organizzativo affetto da "ossessione tecnostrutturale", come pensa Luca Solari, docente di Organizzazione aziendale alla Statale di Milano, perché basato su "metriche che misurano il miglioramento collegandolo sempre alla riduzione del costo a sua volta collegato alle forme d'inefficienza". Si può perfino adombrare che altro non sia che un ritorno mascherato del taylorismo di vecchia scuola: tempi e metodi aggiornati all'era dei robot e degli operai conduttori. La discussione è aperta anche nel sindacato. "Non è un ritorno all'antico - rassicura Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom -. Si tratta solo dell'ennesima tecnica per ottimizzare il rapporto tra uomo e macchina, e prosciugare i tempi morti. Non sono contrario, ma neanche disposto a condividere l'entusiasmo che noto in Fiat. Il wcm non è un nuovo dio pagano che darà vita alla fabbrica del futuro. Io chiedo semplicemente che le prestazioni previste dal wcm siano misurabili e verificabili per via elettronica, attraverso un software condiviso tra azienda e sindacato. In modo da modificarne i tempi se sono tali da "imbarcare" gli operai sulle linee, cioè costringerli a rincorrere il lavoro". Atteggiamento "laico" per una gestione condivisa, insomma. Resta il fatto che il cambio di rotta apportato dal wcm rispetto all'era pre-Marchionne è evidente. Sul piano della cultura aziendale, e dunque proprio nei rapporti tra azienda e sindacato. "L'impresa è un soggetto sociotecnico - sintetizza Giuseppe Volpato, docente a Venezia di Economia aziendale, e autore di diversi libri sul mondo Fiat –. L'assunto taylorista che separa con il bisturi la progettazione (agli ingegneri) dall'esecuzione (agli operai) non tiene più se si vuole innalzare la qualità su livelli giapponesi. Il wcm è un tentativo di risposta. Riassumo con un esempio: le migliorie da apportare alla temperatura di un forno di verniciatura possono arrivare solo da chi osserva ogni giorno il risultato dell'essiccatura. Ovvero da chi sta alle linee". Un cambio di bordo, che presuppone un doppio timone manager-operai fin qui inedito, e interroga per prima la Fiom. "Il modello wcm - continua Solari - obbliga il sindacato a ragionare in chiave comparativa con altri stabilimenti rispetto ad indicatori numerici di sintesi. E richiede ai rappresentanti dei lavoratori una competenza organizzativa e di processo di produzione più che un know how esclusivamente negoziale. Infine, spinge i singoli stabilimenti a massimizzare i propri risultati rendendo più difficile la rappresentanza unitaria delle singole istanze". Se il rischio futuro è la frammentazione della rappresentanza, resta da chiarire quale sarà la contropartita - economica o di partecipazione alle scelte d'impresa - che Marchionne metterà sul tavolo del poker che ha avviato con le controparti. Gli effetti sui conti Quel che è certo è che la dieta wcm in Fiat andrà avanti. Sono i conti a dirlo. La revisione dei layout produttivi negli impianti di Italia e Polonia ha portato in quattro anni a una riduzione media del 50% delle operazione che sulle linee non apportano valore aggiunto. Ha abbattuto del 26% i costi della logistica negli stabilimenti europei e permesso un risparmio del 20% del costo unitario di energia per vettura prodotta. Ma la vera svolta arriverà quest'anno. Se gli operai di Mirafiori approveranno come a Pomigliano l'accordo su turni, pause e straordinari, gli impianti saranno radicalmente rivisti. Una grossa parte degli investimenti stanziati servirà ad ammodernare le linee e renderle ancor più servoassistite e performanti. Assemblaggio con meno tempi morti e minore spreco d'energia. Se così sarà anche negli altri impianti Fiat, da oggi fino al 2014 il risparmio sulle linee produttive proseguirà al ritmo del 6% annuo, per un totale cumulato di 1,9 miliardi, che si sommeranno ai 730 milioni limati tra 2006 e 2009. La dieta continuerà. Bisognerà convincere - e si vedrà con quali argomenti - che dimagrire con questo metodo è un bene per tutti. francesco.gaeta@ilsole24ore.com© RIPRODUZIONE RISERVATA Uomini chiave Hajime Yamashina Mechanical Engineering Università Kyoto Il guru. È il sensei, il maestro giapponese del wcm,world class manufacturing. In Fiat è arrivato come consulente nel 2005, dopo esperienze nell'automotive Usa Stefan Ketter responsabile manufacturing Fiat Group Il supermanager.Prima di arrivare a Torino, quasi 20 anni tra Bmw, Audi e Volkswagen. È l'uomo che sta innestando il wcm in casa Fiat Giorgio Airaudo responsabile settore auto Fiom Il sindacalista. Torinese, è uomo chiave della Fiom per il s ettore automotive. Sul wcm: "Nessuna chiusura a priori, è un metodo da verificare con l'azienda" IL MODELLO WCM IN 10 PAROLE AApproccio gestionale Il wcm, world class manifacturing, è un metodo di gestione dell'impresa volto ridurre gli errori e gli sprechi della produzione e ricercare il miglioramento continuo della qualità. Rappresenta una sintesi dell'approccio toyota, basato sulla responsabilizzazione degli operativi e di quello taylorista, con un focus decisivo sulla misurazione BBarriere zero Nel modello tradizionale di organizzazione del lavoro, le attività produttive sono sempre state isolate e separate sia in ingresso (rapporto con i fornitori) sia in uscita (rapporto con il mercato) e ottimizzate in relazione alla capacità produttiva installata. Con il wcm si attua una completa apertura dello stabilimento alle dinamiche interne ed esterne: il flusso è continuo, trasparente, misurabile, modificabile. CConfigurazione layout I luoghi di lavoro devono essere ottimizzati per ridurre al minimo i costi delle inefficienze. Questo richiede di ristrutturare gli spazi, di ottimizzare i movimenti degli operatori, di modificare il layout delle linee di produzione. DDriver Nel sistema wcm, il driver centrale è costituito dall l'orientamento al cliente, che deve diventare un valore di tutto il sistema produttivo ed essere rappresentato a tutti i lavoratori nello svolgimento delle loro attività IIncidenti ridotti Il pilastro centrale del sistema wcm è la sicurezza e la riduzione del numero di incidenti MMisurazione continua Il sistema wcm ricorre a metriche che consentano di misurare il miglioramento collegandolo sempre alla riduzione del costo e delle inefficienze (quelli che nel sistema Toyota vengono detti Muda) RResponsabilità diffusa Il sistema prevede un forte coinvolgimento degli operai che sono esposti a forti investimenti di formazione e assumono un ruolo decisionale caratterizzato da maggiore autonomia. Aumenta in parallelo anche responsabilità nel seguire gli standard e nel gestire la manutenzione degli attrezzi e dei luoghi di lavoro SStabilimenti in gara Il sistema wcm implica la competizione tra stabilimenti della stessa impresa o di imprese diverse, generando quindi una spinta esterna rispetto alla spinta interna del modello Toyota classico. Tutto ciò ha riflessi per il sindacato: lo spinge a ragionare in chiave comparativa con altri stabilimenti rispetto ad indicatori numerici di sintesi. E richiede una competenza organizzativa e di processo di produzione più che un know how negoziale TTempi Il sistema scompone le mansioni nelle sue diverse fasi e prevede un tempo specifico per ciascuna di esse, ricordando da vicino il sistema di Misurazione Tempi e Metodi dell'organizzazione scientifica del lavoro di Taylor, del quale rappresenta una versione evoluta e adatta a produzioni lean ZZero errori È il target di tutte le aree di intervento: zero sprechi, zero scorte, zero difetti, zero guasti, zero interruzioni
2011-01-10 10 gennaio 2011 Marchionne a Detroit: Fiat salita al 25% in Chrysler. Tante alternative a Mirafiori in caso di vittoria del no STAMPA INVIA IN EMAIL ingrandisci testo riduci testo condividi Condividi le notizie più importanti Tutte le icone rimandano a servizi web, esterni al sito ILSOLE24ORE.COM, che consentono di organizzare online le proprie informazioni e condividerle con la propria community di riferimento. Attraverso questi strumenti è possibile classificare, taggare, votare, commentare o salvare tutti i contenuti online che preferisci. I servizi da noi scelti: OKNOtizie OKNOtizie OKNOtizie è un sistema di editoria sociale in cui gli utenti possono proporre e votare le notizie più interessanti del web. Wikio Wikio Wikio é un motore di ricerca news gestito dagli utenti che tramite i loro voti generano delle classifiche. Del.icio.us Del.icio.us Servizio di social bookmarking che consente di aggregare elenchi di bookmark creati dagli utenti classificandoli con un sistema di tag. Digg Digg Sito web di aggregazione e condivisione delle notizie, dai siti editoriali e dai blog, sulla base delle segnalazioni e del gradimento tra gli utenti.
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Landini (Fiom): per noi la vertenza con Fiat rimane aperta Cronologia articolo10 gennaio 2010Commenti (3) * Leggi gli articoli * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 10 gennaio 2011 alle ore 15:14. * * * * "Per noi la vertenza con la Fiat rimane aperta, non è conclusa, e lo sciopero generale del 28 gennaio ha questo senso". Lo ha detto il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, spiegando che in Emilia Romagna lo sciopero generale sarà anticipato al 27 gennaio a causa di una festività. In piazza ci sarà anche la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso. Nel corso di una conferenza stampa a Roma, Landini ha ribadito l'intenzione di "non firmare" l'accordo di Mirafiori "qualsiasi sia l'esito del referendum" per i contenuti, spiega, e "perché é anche contro le norme statutarie di Fiom e Cgil". Il Pd deve prendere una posizione La Fiom Cgil si aspetta che il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani "ascolti" le ragioni del sindacato sul no all'accordo per lo stabilimento di Mirafiori e "prenda una posizione" sulla vertenza e sul referendum previsto a partire dall'ultimo turno di giovedì 13. Oggi Bersani incontrerà Landini. "Ci aspettiamo che Bersani ci ascolti - ha detto Landini - rifletta sul nostro punto di vista e ci capisca. Ci auguriamo che ci ascolti, che prenda una posizione e decida cosa fare". La Cgil sostiene la Fiom Landini ha poi detto che nel corso dell'incontro di ieri con la segreteria della Cgil è emerso un esplicito sostegno alla Fiom. "È stata una discussione franca, importante e utile. Abbiamo valutato di come ci si trova in una situazione mai vissuta prima dove è a rischio lo stesso sindacato confederale", ha sottolineato. "Abbiamo discusso le iniziative di lotta da mettere in atto per respingere l'attacco della Fiat. Non si può cedere a una grave regressione dei diritti. Fiom e Cgil - ha concluso - considerano grave e inaccettabile l'accordo su Mirafiori e su Pomigliano". E avverte: "Se altre aziende tenteranno di fare come la Fiat devono sapere che si aprirà un conflitto senza precedenti". Solidarietà a Marchionne Netta comunque la disapprovazione per le scritte delle Brigate Rosse a Torino contro l'ad di Fiat Sergio Marchionne. Per Landini: si tratta di una decisa condanna di ogni forma di violenza e di ogni forma di critica e di battaglia politica antidemocratica. Parole condivise da Susanna Camusso. I due sindacati hanno invitato tutti i lavoratori che saranno coinvolti nella scelta e l'opinione pubblica in generale "a non cadere in trappole mediatiche o peggio folcloristiche". Le iniziative di protesta "Da Pomigliano a Mirafiori difendiamo ovunque il contratto e i diritti", questo lo slogan della manifestazione del 28 gennaio. "Otto ore di sciopero sono un sacrificio per i lavoratori - ha sottolineato Landini - ma è necessaria una risposta alla gravità della situazione". La Fiom ha poi annunciato l'inizio di una raccolta di firme sui luoghi di lavoro aperta anche a tutti i cittadini che "non vogliono accettare quanto avviene alla Fiat", ha spiegato Landini. Intanto lo stabilimento Fiat di Termini Imerese ha ripreso questa mattina l'attività, ma solo per una settimana. Il 17 gennaio infatti i lavoratori saranno collocati nuovamente in cassa integrazione per un giorno, e altrettanto è previsto per il 24 gennaio. Un ulteriore periodo di Cig, la Cassa integrazione guadagni, è programmato dal 28 gennaio al 6 febbraio. La Fiat chiuderà definitivamente la fabbrica il 31 dicembre.
Marcegaglia: Confindustria e Fiat sulla stessa sponda, Fiom firmi e dopo chieda chiarezza su investimenti Cronologia articolo10 gennaio 2010Commenta * Leggi gli articoli * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 10 gennaio 2011 alle ore 20:25. * * * * L'accordo di Mirafiori "è importante nasce sulla scia di un percorso fatto da Confindustria con alcuni sindacati: non lede i diritti, spinge a fare più produttività e aumentare i salari". Parola del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che, durante la registrazione di Porta a Porta ha spiegato che Confindustria e Lingotto sono sulla stessa sponda. L'accordo Fiat, ha spiegato Marcegaglia, "è un accordo importante che cambierà le relazioni industriali. Alcuni giornali in questi giorni - ha ricordato - hanno dipinto Confindustria da una parte e Fiat dall'altro: chi dice queste cose fa finta di non sapere quanto è successo ultimamente. La mia Confindustria, dopo gli esami, con l'occhio attento del Governo, nel 2009 ha fatto un nuovo accordo sul sistema contrattuale. La Cgil é stata al tavolo fino alla fine però non decideva e alla fine abbiamo deciso di andare avanti". Dopo accordo auto newco aderiranno a Confindustria Il numero uno degli industriali è poi tornata sulla non adesione a Confindustria delle newco costituite per Mirafiori e Pomigliano, Marcegaglia ha osservato: "A dicembre ho parlato con Marchionne a New York, la logica è che se si farà il contratto per l'auto le newco potrebbero rientrare". La presidente ha poi invitato la Fiom a sottoscrivere l'accordo. "La Fiom accetti l'accordo e in cambio chieda più chiarezza sugli investimenti". Una richiesta immediatamente rispedita al mittente. "No - replica Giorgio Airaudo, segretario nazionale della Fiom - prima Marchionne ci dica quali investimenti intende fare; non firmiamo cambiali in bianco". Con il no Marchionne potrebbe lasciare l'Italia Quanto al futuro della Fiat e della sua presenza in Italia, Marcegaglia ha pronunciato parole molto chiare."Non darei per scontato che Marchionne resti in Italia in caso di un no. O si sta nella competizione internazionale o si esce dal mercato - ha spiegato nel corso del programma tv - certo è una responsabilità sociale ma deve rispondere agli investitori e a chi gli presta i soldi; quindi, se ci sono condizioni migliori di investimento in Serbia, Brasile, Polonia, non mi meraviglierei se le cose andassero così".
Bersani incontra Landini: sintonia su rappresentanza, confronto continua Cronologia articolo10 gennaio 2011 * Leggi gli articoli * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 10 gennaio 2011 alle ore 19:06. * * * * Sintonia sul tema della rappresentanza e comune preoccupazione per le libertà sindacali. Finisce con questo esito l'atteso incontro tra il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, e il numero uno della Fiom Maurizio Landini alla vigilia del referendum su Mirafiori in programma giovedì e venerdì. "Siamo venuti per far conoscere le nostre ragioni, abbiamo punti di vista in comune e in particolare la preoccupazione per la fiat e le libertà sindacali. C'è bisogno di continuare una discussione". In particolare sulla rappresentanza, riferisce ancora il leader delle tute blu della Cgil, "Bersani pensa sia un tema da affrontare e discutere in parlamento. Noi come noto abbiamo presentato una proposta di legge di iniziativa popolare per evitare accordi separati". Nessuna decisione del Pd sullo sciopero Fiom Quanto allo sciopero annunciato dalla Fiom per il 28 gennaio l'incontro non scioglie il nodo sulla posizione del Pd. "Non ne abbiamo parlato", chiarisce Giorgio Airaudo, responsabile nazionale auto della fiom. "Il Pd aspetterà il voto e vedrà cosa decidono i lavoratori. Non credo - chiude - che ci sarà una indicazione di voto da parte di Bersani". Che ha ribadito, riferisce il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina,"quelle che sono le nostre posizioni, ovvero il riconoscimento del risultato del referendum, la condivisione delle preoccupazioni sulla carenza di regole per quanto riguarda la democrazia sui luoghi di lavori e sulla rappresentanza e la irresponsabile assenza del Governo, per il mancato apporto sulla politica industriale. La situazione - ha aggiunto Fassina - sarebbe stata meno pesante se il governo fosse stato più presente". Bersani bacchetta la politica industriale del governo Nel corso dell'incontro, poi, secondo quanto riferiscono alcuni partecipanti, il segretario Bersani avrebbe infatti manifestato le sue perplessità sulla politica industriale dell'esecutivo "Se io fossi stato ministro - ragiona il segretario - avrei chiamato Marchionne e gli avrei chiesto di chiarire tutte le implicazioni del piano industriale della Fiat". Secondo il leader Pd, infatti, gli investimenti da parte del lingotto vanno verificati e su questo aspetto devono impegnarsi, da una parte il governo e anche Confindustria. In ogni caso, il leader democratico conferma la piena disponibilità del partito a sostenere una azione politica per recuperare condizioni democratiche nella rappresentanza dei lavoratori. Si tratta di una sollecitazione che Bersani rivolge in primo luogo alle parti sociali ma indipendentemente da questo, assicura, "il Pd farà la sua parte". (Ce. Do.)
2011-01-09 La partita Fiom ipoteca per la Cgil Paolo BriccoCronologia articolo09 gennaio 2011 Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2011 alle ore 08:11. MILANO "Facciamo fatica a intenderci. È sempre difficile conoscere l'orto del vicino. Certo, però, la Fiom tende a isolarsi. Mi farebbe piacere che i suoi dirigenti capissero di più i problemi della cassiera dell'ipermercato o della ragazza incinta che lavora da un notaio". Franco Martini è un uomo di buonsenso, apprezzato dentro alla Cgil per il suo pragmatismo. Fratello dell'ex presidente della Regione Toscana, Claudio Martini, oggi guida la Filcams, il terziario che esprime il 6% degli iscritti totali della Cgil, all'incirca la stessa quota della Fiom. "Vorrei che anche loro - continua Martini - adottassero il punto di vista che ogni giorno devo adottare io. Un sindacato moderno non può soltanto confrontarsi con i problemi della classe operaia. Deve anche trattare con la solitudine delle persone". La Cgil non è un monolite. Nelle ultime settimane la questione Mirafiori ha attribuito ai metalmeccanici una centralità che ha fatto spiccare, con la dura lucentezza di una vecchia chiave a stella da fabbrica degli anni Settanta, la loro compattezza ideologica e le loro radici in un Novecento di cui perpetuano, nel 2010-2011, i riti e i miti. E ha oscurato le ragioni degli altri: i sindacalisti che non si possono permettere troppa ideologia e il cui riformismo nasce da un confronto continuo con i cambiamenti indotti dalla globalizzazione, multinazionali e Pmi nel mare aperto dei mercati, produttività delle fabbriche e diritti dei lavoratori, inclusi quelli con una minore cifra politica in senso classico. La segretaria generale, Susanna Camusso, è impegnata nella complessa operazione di impedire processi disgregativi ponendo rimedio alle spinte frazionistiche di una Fiom che, nello scontro con Sergio Marchionne, ha preso a muoversi come un corpo autonomo. "La Fiom è parte fondamentale della Cgil - dice la bersaniana Valeria Fedeli, leader dei tessili -. Sui diritti costituzionali, come quello di sciopero o di rappresentanza, siamo con loro. Però, fra noi e loro, deve prendere il via un dibattito serio. Loro sono loro. Noi siamo tutto il resto della Cgil: dopo il 2009, dunque dopo la mancata firma del nostro sindacato all'accordo sul modello contrattuale, tutte le categorie della Cgil hanno rinnovato i contratti insieme alle altre sigle. La Fiom non l'ha fatto. Perché?". Fra i riformisti del sindacato, dunque, nessuna voglia di conventio ad excludendum. Allo stesso tempo, con questa dirigenza dei metalmeccanici, una resa dei conti non può mancare. La partita, però, non si limita al confronto fra la Camusso e il segretario dei metalmeccanici Maurizio Landini. All'interno della Cgil più riformista, si sovrappongono le stratificazioni. Ci sono personalità formatesi dentro alla tradizione comunista (come Martini e Fedeli) e altre dentro a quella socialista, prima fra tutte la Camusso. E, sull'attività sindacale in sé e per sé, sussistono idee e pratiche che si sono modellate su diversi paesaggi industriali: l'identità ideologica della Fiom nasce dentro la grande fabbrica fordista dove ancora oggi restano gli ultimi operai in carne e ossa, qualcosa di abbastanza simile alle tute blu degli ultimi cinquant'anni di capitalismo italiano, qualcosa di molto distante dagli operai-piccoli imprenditori delle filiere e dei distretti. Nelle prossime settimane queste impostazioni differenti, a tratti inconciliabili, non potranno non confrontarsi. La road-map è già prefissata: oggi la segreteria della Cgil e quella della Fiom, martedì 11 e mercoledì 12 a Chianciano l'assemblea nazionale delle Camere del lavoro, giovedì 13 e venerdì 14 il referendum a Mirafiori, sabato 15 il direttivo nazionale della Cgil e venerdì 28 gennaio lo sciopero indetto dai metalmeccanici. Al termine di questo calendario, si capirà quali saranno i rapporti di forza fra le diverse anime che compongono il corpaccione della Cgil (a fine 2009 oltre 5,7 milioni di iscritti). Dal punto di vista tecnico-tattico, si comprenderà cosa faranno i dirigenti dell'area di Nichi Vendola e Paolo Ferrero "Lavoro e società" (in segretaria nazionale rappresentata da Nicola Nicolosi), finora con la Camusso ma sempre più affascinati dalle sirene massimaliste della Fiom e poco convinti dalla linea del segretario di apporre una firma tecnica all'accordo di Mirafiori, in caso di vittoria dei sì al referendum. E, sotto il profilo strategico, si verificherà se i riformisti, che per ora riconoscono alla Camusso una leadership non solo formale, potranno muoversi in un contesto in cui l'agenda non sarà più fissata da una categoria come la Fiom che, in termini di iscritti, pesa per non più del 6% e che, al congresso del maggio 2009, ha ottenuto il 17% dei voti, contro l'83% della mozione Epifani-Camusso. Dunque, proprio il referendum di Mirafiori e una eventuale firma tecnica produrranno effetti sistemici in grado di modificare i rapporti fra minoranza massimalista e maggioranza riformista. "Nessuno mette in dubbio la tradizione e la qualità del gruppo dirigente della Fiom - riflette a questo proposito Onorio Rosati, segretario generale della Camera del Lavoro di Milano - però c'è un elemento che proprio non funziona. Ed è la differenza fra il loro livello nazionale e il loro livello locale. In sede nazionale, dicono sempre di no. Quando, lontano dai riflettori, sorgono problemi locali, la Fiom è invece molto più pragmatica. Trova gli equilibri e firma le intese". Questa divaricazione fra dimensione nazionale e locale produce una speciale ideologia della buona sconfitta. "Storicamente - nota Rosati - la Fiom ha teorizzato l'indipendenza del sindacato. Sono convinti di potere fare da soli e meglio degli altri. E, alla fine, arrivano a sostenere, come fa Landini, che se a Mirafiori prevalgono i sì, non sarà una sconfitta. Non è vero: se vincono i sì, sarà una sconfitta. Ricominciano dal senso delle parole, per cortesia". Ricominciare dal significato delle parole è una operazione essenziale, secondo Rosati, anche per evitare di costruire un vocabolario in cui la complessità viene cancellata e il modello di relazioni industriali, seppur in chiave antitetica e contrappositiva, è soltanto quello "neo-marchionnesco". "Le relazioni industriali italiane - conferma Fedeli, allenatasi nella palestra della ristrutturazione del tessile - sono articolate e vanno modulate, in maniera originale, sempre più secondo i cambiamenti imposti dalla globalizzazione. Non si può permettere che tutto sia schiacciato sullo scontro Fiom-Fiat". Dunque, è interesse della Cgil più riformista e negoziatrice evitare che una ipotetica sconfitta della Fiom a Mirafiori la prossima settimana divenga la sconfitta di tutto il sindacato. Molti aspetti rifiutati dai metalmeccanici per Pomigliano e Mirafiori sono già applicati dagli alimentaristi (il 5% degli iscritti alla Cgil). "Su turni e orari di lavoro - spiega la segretaria Stefania Crogi, di estrazione socialista - abbiamo una contrattazione aziendale molto significativa". Come nel caso di un'altra meno nota "Pomigliano". Carrefour aveva cancellato il contratto aziendale. "Una risposta traumatica - dice Martini - a una competitività che, nella Gdo, è su scala globale". Il tavolo fra sindacati e impresa ha ora recuperato il premio aziendale e la pausa. Questa ipotesi sarà sottoposta alle assemblee dei lavoratori nei prossimi giorni. "L'importante è fare di tutto per restare dentro al sistema", nota Martini. Che con malizia aggiunge: "Se in Carrefour ci fosse stato Marchionne, il risultato non l'avremmo ottenuto perché, come Cgil, ci avrebbe tagliato fuori". Chissà. Certo, però, un Marchionne della grande distribuzione, al tavolo, avrebbe trovato il riformista Martini e non il massimalista Landini.
Bombassei, Marchionne terrà fede agli investimenti su Mirafiori. Il sì al referendum è fuori discussione Cronologia articolo9 gennaio 2011 Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2011 alle ore 14:52. "Marchionne finora ha fatto quello che ha detto e, se si è impegnato sugli investimenti, vi terrà certamente fede". Lo ha detto il vicepresidente di Confindustria e membro del cda di Fiat Industrial, Alberto Bombassei, nel corso della trasmissione "In 1/2 h" di Lucia Annunziata su Rai Tre. "In questo momento in cui dobbiamo tenere - ha spiegato Bombassei - perchè la crisi non è finita - come ha detto il ministro dell'Economia Giulio Tremonti- e attraversiamo una fase difficile, teniamoci cari i posti di lavoro". Per il vicepresidente di Confindustria, "ben vengano quindi le modifiche al contratto se mantengono i posti di lavoro". Secondo Bombassei, quello dell'ad della Fiat, Sergio Marchionne, "non è un ricatto" ma sono "le condizioni minimali" per poter investire. Referendum su Mirafiori, il 51% di sì sarebbe comunque maggioranza Riferendosi al referendum su Mirafiori, Bombassei ha detto di credere che "un eventuale 51% di sì sarebbe comunque una maggioranza", sperando comunque "che possa passare con una percentuale più elevata". "Vedo del resto - ha aggiunto Bombassei - anche da dichiarazioni di elevate personalità sul territorio che c'è un'adesione importante a questo accordo" Landini, Italia senza politica industriale Alla trasmissione di Lucia Annunziata ha partecipato anche il leader della Fiom,Maurizio Landini, secondo cui "in Italia la politica industriale non esiste, l'unico esercizio che fa il governo è dire che le imprese possono fare quello che vogliono".
2011-01-08 Fim e Uilm frenano sull'esito a Torino: "non è scontato" Giorgio PogliottiCronologia articolo08 gennaio 2011 Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2011 alle ore 08:12. ROMA Con l'avvicinarsi della scadenza del referendum di Mirafiori del 13-14 gennaio dal fronte del sì arriva un invito alla prudenza: "l'esito non è scontato", bisogna augurarsi di "ottenere il 50% più uno dei voti a favore" sostiene Bruno Vitali, responsabile del settore auto Fim-Cisl, prendendo le distanze dai sindacalisti che nei giorni scorsi avevano azzardato l'80% di consensi all'intesa separata del 23 dicembre. Le dichiarazioni sono tutte all'insegna della cautela, in linea con l'ad della Fiat, Sergio Marchionne, che sin dal principio ha detto che sarebbe stato sufficiente il 51% dei sì per confermare l'investimento. "Spero in una vittoria del sì – sostiene il leader della Cisl, Raffaele Bonanni – ma poi bisogna fare nuovi modelli e saperli vendere, ma questo tocca all'azienda". A spingere alla cautela, spiega Vitali, sono almeno tre esperienze: il voto con cui il reparto Powertrain (ex meccaniche) di Mirafiori nel 2007 bocciò l'accordo unitario sui 17 turni "che poi furono introdotti unilateralmente dall'azienda senza le maggiorazioni economiche concordate". Inoltre la maggioranza dei lavoratori Fiat votò contro l'accordo sulla riforma del welfare nel 2007 del Governo Prodi e una proposta sul lavoro straordinario nel sabato nel 2006. "Sono contrario a fare previsioni - aggiunge il numero uno della Uilm, Rocco Palombella - quelle dell'80% di voti favorevoli non sono attendibili. Mi aspetto qualcosa in meno di quello che è stato raggiunto a Pomigliano (63%, ndr). A Mirafiori il voto di protesta è sempre stato molto forte". I lavoratori inizieranno a tornare in fabbrica a partire da lunedì (i primi 800 dei 5.500 coinvolti dal referendum), mentre la maggior parte rientrerà a Mirafiori mercoledì prossimo. Il fronte del sì punta sui "volantini" per spiegare le ragioni dell'accordo. "Abbiamo organizzato due assemblee prima di Natale – continua Vitali – molto partecipate, abbiamo ottenuto il mandato dei lavoratori, anche se nella seconda ci sono state contestazioni di militanti Fiom. In fabbrica non c'è un clima sereno e le assemblee rischiano di diventare controproducenti, quindi la prossima settimana ci limiteremo a diffondere volantini in fabbrica tra gli operai e ad appenderli nelle bacheche". Sul fronte opposto ieri la confederazione Usb e i Cobas hanno costituito il Comitato per il no, mentre la Fiom che non ha dato indicazione di voto considerando illegittimo il referendum, ha chiesto di organizzare due assemblee in fabbrica, il 12 e il 13 gennaio, prima dell'apertura delle urne. "Sappiamo che alcuni nostri iscritti a Mirafiori vogliono costituire i comitati del no tra lunedì e martedì", annuncia il responsabile auto della Fiom, Giorgio Airaudo. Che non fa previsioni sull'esito del voto: "Non sono abituato a giocare d'azzardo – afferma Airaudo – mi occupo dei lavoratori ed ho registrato molta preoccupazione per il loro futuro e per le condizioni peggiorative previste dall'accordo che è stato firmato in tutta fretta a fabbrica chiusa". In vista della riunione di domani delle segreterie di Cgil e Fiom – convocate per un difficile tentativo in extremis di superare le divisioni – Airaudo getta acqua sul fuoco: "A differenza da quanto accadde per Pomigliano, a Mirafiori abbiamo la stessa valutazione negativa dell'accordo. A dividerci dalla Cgil è la strategia da mettere in campo per garantire la rappresentanza della Fiom nello stabilimento". Intanto 46 economisti di diverse università italiane hanno scritto una lettera sottolineando che l'accordo per Mirafiori si basa su "un vago piano industriale, poco credibile sui livelli produttivi, tanto da rendere improbabile ora ogni valutazione sulla produttività". Secondo questo gruppo di economisti che sostengono la linea della Fiom, l'accordo "riduce le libertà e gli spazi di democrazia, aprendo uno scontro che riporterebbe indietro l'economia e il paese".
2011-01-05 Cgil convoca il direttivo sulle nuove regole. A Mirafiori referendum il 14 gennaio di Giorgio PogliottiCronologia articolo05 gennaio 2011 Questo articolo è stato pubblicato il 05 gennaio 2011 alle ore 06:37. L a Cgil prepara una proposta sulla rappresentanza e la democrazia sindacale: per sabato 15 gennaio è stato convocato il direttivo. Se ne discuterà anche nella due giorni di Chianciano dell'11 e 12 gennaio, alla presenza del segretario generale. Susanna Camusso, in occasione del precedente direttivo, spiegò di non considerare "sufficiente dire che si può raggiungere un'intesa sui temi della democrazia e della rappresentanza partendo dal documento unitario del maggio del 2008", perché quello schema "stava dentro un percorso unitario" che è saltato. Intanto, secondo fonti sindacali, il referendum a Mirafiori si terrà il 14 gennaio. Divergenze tra le sigle sui criteri della rappresentanza Un elemento di dissenso rispetto a Cisl e Uil riguarda il criterio di misurazione della rappresentanza che determina chi sta al tavolo o chi fa le trattative. Per Camusso serve una percentuale di consenso più ampia del 51% applicato nella pubblica amministrazione (su cui c'è il consenso di Cisl e Uil), bisogna "provare a utilizzare il criterio della rappresentanza per favorire la costruzione delle coalizioni e percorsi di mandato e non semplicemente criteri maggioritari". Sul tema è polemica con la minoranza interna di Gianni Rinaldini che aveva giudicato "scandaloso" che non si sia ancora avviato il confronto negli organismi dirigenti. Come è noto la partita sulla rappresentanza è strettamente legata alla vertenza Fiat. Referendum a Mirafiori il 14 gennaio Oggi verrà ufficilizzata la data del referendum di Mirafiori; si prevede verrà organizzato il 14 gennaio. La Fiom, isolata sul fronte sindacale, ieri ha incontrato il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, che ha annunciato la partecipazione del suo partito allo sciopero del 28 gennaio (lunedì è previsto l'incontro con i leader di Pd e Sel). Per Rocco Palombella (Uilm) la Fiom "é fuori dalla storia e dalla realtà".
Referendum illegittimo, non si vota sotto ricatto Giorgio PogliottiCronologia articolo05 gennaio 2011 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 05 gennaio 2011 alle ore 06:37. * * * *
ROMA All'indomani del faccia a faccia con Susanna Camusso, il leader della Fiom, Maurizio Landini, conferma che l'esito del referendum di Mirafiori non sarà vincolante. Per ricucire con la numero uno della Cgil non è stato sufficiente il colloquio di tre ore di lunedì sera a Corso d'Italia. Il prossimo appuntamento è per domenica, quando si riuniranno le due segreterie per cercare una posizione comune. Landini perchè non accoglie la proposta di Camusso di rispettare la decisione che sarà presa dalla maggioranza dei lavoratori a Mirafiori? Al segretario generale ho ricordato che siamo a favore dello strumento referendario, ma è inaccettabile che le uniche due volte che si consente ai lavoratori di votare è perchè lo ha deciso la Fiat. Con il ricatto che se vince il sì va bene, altrimenti si chiude la fabbrica. I delegati Fiom a Mirafiori faranno campagna per il no. In caso di vittoria festeggerete, nonostante le conseguenze? L'obiettivo della campagna per il no è riaprire la trattativa. Affinchè il voto sia libero la precondizione è che se prevale il no si convoca il tavolo. Inoltre non si può far prendere a 5mila lavoratori la responsabilità di superare il contratto nazionale: è come se ai torinesi si chiedesse di pronunciarsi sull'uscita dall'Italia. Ma Marchionne la pensa diversamente. Con il 51% dei no salta l'investimento perchè non sarà garantita la governabilità dello stabilimento. Non ci prendiamo questa responsabilità, abbiamo spiegato che quel voto non è libero, quindi il referendum è illegittimo. Lasciamo ai lavoratori la libertà di voto. Trovo scandaloso il comportamento del governo, in qualsiasi paese non si lascerebbe andar via un'azienda importante come la Fiat, scaricando tutto sui lavoratori. Concorda almeno sul fatto che a Mirafori i lavoratori guadagneranno di più per l'aumento della paga base e gli incrementi dei turni? È propaganda, a Mirafiori aumenta la prestazione lavorativa, non il salario. Inoltre i lavoratori avranno un solo livello contrattuale invece di due, visto che il loro contratto si sostituisce a quello nazionale. È scandaloso che in tempi di delocalizzazione un imprenditore per investire ponga come precondizione l'impegno di tutti al rispetto degli accordi, come ha fatto Marchionne? La Fiat ha delocalizzato più degli altri, la produzione di Volkswagen o Renault nei rispettivi paesi è molto più alta. Noi l'investimento lo vogliamo, ma mi spiega perchè nel resto delle aziende metalmeccaniche ci sono migliaia di accordi con la nostra firma? La scorsa settimana alla Lamborghini motori del gruppo Volkswagen abbiamo firmato l'intesa con l'impegno dell'azienda ad applicare il contratto del 2008. I tedeschi in Italia non fanno come Marchionne, investono come migliaia di altre aziende senza chiedere deroghe. Ma il cuore del piano Marchionne è il raddoppio della produzione di auto che si può conseguire se, di fronte alla ripresa della domanda, gli impianti potranno marciare a pieno regime. È comprensibile che prima di investire Marchionne voglia essere sicuro che nessuno si metta di traverso? La Fiat non ha voluto confrontarsi sulle nostre proposte. A Pomigliano eravamo d'accordo sui 18 turni, andando oltre il contratto nazionale, ed abbiamo proposto di sperimentare modelli di prevenzione del conflitto sulle linee di produzione. La Fiat ha fatto una scelta strategica, ha voluto imporre un nuovo modello di relazioni con principi che violano la Costituzione. Come replica a chi, anche nella Fiom, sollecita un cambio di strategia visto che le vostre mobilitazioni non hanno prodotto risultati? Vi accusano di aver fatto irrigidire la Fiat, considerato che a giugno nell'intesa di Pomigliano non si parlava del ritorno alle Rsa che comporta la vostra esclusione dalla fabbrica, in quanto non firmatari di accordi aziendali. Non è vero, la Fiat sin dall'inizio ha detto che avrebbe costituito le newco per assumere i dipendenti chiamandoli a sottoscrivere le nuove condizioni di lavoro. Una volta che hai firmato, peraltro, se qualcosa non va non puoi opporti con uno sciopero. Ma non è la Fiat a decidere se la Fiom sparisce, lo decidono i lavoratori. Da parte nostra con iniziative giuridiche contrasteremo questo piano che segnerebbe la fine del sindacato confederale, in favore di un sindacalismo aziendalista. Questo è un problema che investe tutti i sindacati non solo la Fiom, rifletta Bonanni. © RIPRODUZIONE RISERVATA Susanna Camusso Segretario Cgil Sergio Marchionne Amm. del. Fiat Raffaele Bonanni Segretario Cisl "Le ho ricordato che è singolare votare soltanto perché lo ha deciso la Fiat" "Non si è confrontato sulle nostre proposte e impone principi anti-costituzionali" "Questa sarebbe la fine del sindacato confederale ma il problema è di tutti, Bonanni rifletta" DICE DI LORO
2011-01-04 L'uomo che parlava ai mercati. Al debutto la Borsa premia la doppia Fiat di Marchionne di Giuseppe BertaCronologia articolo4 gennaio 2011Commenti (2) Questo articolo è stato pubblicato il 04 gennaio 2011 alle ore 08:03. L'ultima modifica è del 04 gennaio 2011 alle ore 07:35. Con la quotazione distinta in Borsa di Fiat e di Fiat Industrial si è compiuto, oltre che un passaggio determinante nell'assetto d'impresa, una trasformazione destinata a incidere sulla struttura e sul carattere dell'industria italiana. Scindendo il comparto delle autovetture da quello dei veicoli industriali e delle macchine movimento terra, la Fiat ha definitivamente abbandonato la propria configurazione novecentesca e, insieme con essa, un modello di crescita fondato sull'aggregazione di attività non omogenee. In questo senso, il nostro paese dismette, probabilmente in via definitiva, la forma della conglomerata, che aveva contraddistinto la formazione e lo sviluppo del Gruppo Fiat, facendone quel formidabile aggregato di capacità economica, di potere e di influenza sociale che tutti gli italiani hanno conosciuto. Piazza Affari premia la doppia Fiat (di Andrea Malan e Antonella Olivieri) Marchionne: Fiat può produrre a Mirafiori con o senza Fiom Quella forma d'impresa era collegata alla struttura proprietaria dell'azienda, al rilievo di una famiglia che ne ha reso così peculiare l'evoluzione. Dire Fiat per tutto il secolo scorso ha significato evocare una realtà che non era soltanto economica e produttiva perché era in grado di esercitare un ruolo pubblico duttile e pervasivo, connesso alla varietà della sua presenza all'interno della società italiana. Questa storia fuori dell'ordinario, che ha scandito il percorso dell'Italia lungo il XX secolo, è giunta a un punto d'approdo, come ha detto ieri Sergio Marchionne alla Borsa di Milano, in coincidenza con l'avvio di una storia sicuramente diversa, tutta da scrivere. Non è un caso che l'artefice della scissione della Fiat sia anche il manager che dal suo arrivo a Torino nel 2004 ha potuto avvalersi di un nuovo modello di governance aziendale. In precedenza, la forte personalità di Giovanni Agnelli aveva reso più sfumate e incerte le linee di demarcazione fra la proprietà e il management. Marchionne, subentrato alla Fiat nel momento in cui la sua condizione era più precaria e la sua sorte incerta, ha potuto operare in un quadro in cui è diventata netta la separazione delle responsabilità e delle sfere d'influenza fra l'azionista di riferimento e il manager a cui questi ha concesso la propria fiducia. I passi successivi sono stati resi possibili dal profilo manageriale assunto dalla Fiat, secondo un cambiamento analogo a quello di un'altra grandissima impresa familiare, la Ford. Oggi Alan Mulally, che ha riportato la Ford - unica tra le case di Detroit - a una robusta posizione di mercato senza ricorrere agli aiuti del governo americano, ha la stessa libertà d'azione di Marchionne. Segno che la forma proprietaria non costituisce più un vincolo per la guida manageriale delle imprese dell'auto, le quali tendono tutte a muoversi secondo una medesima la logica. Proprio tale logica ha condotto alla scissione della Fiat in due tronconi. Se l'obiettivo diventa la valorizzazione di ogni specifico business nella cornice di una crescita globale, allora conviene dare a ogni settore la libertà di movimento che gli occorre per potenziare la propria capacità di sviluppo. In altri termini, se l'auto ha fatto da battistrada perseguendo l'alleanza con la Chrysler, ora tocca agli altri settori muoversi con la stessa autonomia, ricercando le condizioni per acquisire anch'essi maggiori dimensioni su scala globale. Questa strategia proietta inevitabilmente verso il mondo quello che fino all'altro ieri è stato il gruppo Fiat. È significativo che l'ultimo atto di Marchionne del 2010 sia stato il varo del nuovo stabilimento per la produzione d'auto in Brasile. La scacchiera su cui dovranno giocare tutte le attività facenti capo alle due Fiat di oggi è quella globale e costituisce un grave errore di prospettiva attardarsi, come si fa ancora in Italia, a ragionare isolando dal resto ciò che avviene entro i nostri confini nazionali. D'ora in avanti, sarà bene abituarsi a considerare le cose da un'altra angolatura, per esempio valutando congiuntamente la dinamica del mercato dell'auto in Europa e in America, perché l'una è destinata a interagire con l'altra e a condizionarla. In questo senso, Marchionne sta mettendo fine anche a quella anomalia che ha reso la Fiat un'azienda diversa da tutte le altre, quasi un soggetto politico prima ancora che economico, un "potere forte" della nostra costituzione materiale. La sua scommessa, come si è visto fin da ieri a Piazza Affari, avrà come esclusivo metro di misura il successo sui mercati mondiali, senza passare più dal confronto con la politica e gli interessi organizzati dell'Italia. Chi oggi lamenta le difficoltà che nell'immediato dovranno essere sopportate nel nostro paese, omette il vantaggio derivante da una radicale distinzione tra economia e politica, un timbro di chiarezza da cui l'Italia ha soltanto da guadagnare nel lungo periodo.
2011-01-01 Marchionne è l'uomo dell'anno. Riapriamo il nostro futuro in 365 giorni. Sondaggio di Gianni RiottaCronologia articolo31 dicembre 2010Commenti (21) Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2010 alle ore 08:20. L'ultima modifica è del 31 dicembre 2010 alle ore 07:30. Il futuro busserà con forza alla porta dell'Italia in questo 2011. Sarà duro, di crisi, perché chi chiacchiera di riprese veloci o è travolto dalle feste o non sa cosa dice. I buoni numeri americani, l'eccellente performance 2010 dei paesi nuovi, la tenuta tedesca, non nascondono quello che gli economisti più saggi sanno: vivremo un "new normal", una normalità fatta di costumi, produzioni, ritmi e culture diverse. Ha ragione il nostro Alberto Alesina a richiamarci alla realtà, il mercato ha conosciuto scacchi e fallimenti tra la fine del XX e l'esordio del XXI secolo. Ma sta traendo centinaia di milioni di uomini dalla fame in America Latina, in Asia e presto in Africa, dopo averlo fatto con i nostri nonni e bisnonni in Europa e America. Non è la globalizzazione ad avere ridotto e messo a rischio il lavoro tradizionale nel nostro mondo, è la tecnologia che ha ridotto il numero di addetti per tanti mestieri, dalla fabbrica, ai servizi, alle burocrazie. Il nuovo lavoro si creerà dal sapere nuovo, dall'innovazione, da start-up capaci di disegnare il magico triangolo della ricchezza 2.0: laboratori di ricerca e università, aziende che cambiano ogni giorno, infrastrutture fisiche e immateriali di rete, intessute dall'amministrazione pubblica. Così il mondo si è messo in movimento, così il mondo si batterà nel 2011 per creare ricchezza e per contendersi quella esistente. Così il mondo va, dalla Cina che compra debito greco, mettendo un piede in Europa come ha fatto in Africa mentre tiene d'occhio il mercato dei minerali rari, agli Stati Uniti che il professore Kennedy conferma in declino ma che il giovane presidente Obama vuol tenere in corsa, al Brasile liberista dell'ex presidente Lula (che si tiene il pessimo Battisti in omaggio ai vecchi gauchisti), all'India incapace di controllare i conflitti etnici, di liberarsi della burocrazia, ma forte nel software e nell'uso intelligente del background orientale e britannico. Per l'Italia, ferma, ipnotizzata dal passato e dalle sue fruste contese, in scacco tra il dominatore della politica degli ultimi tre lustri, Silvio Berlusconi, incapace di riformare l'economia, e un'opposizione incapace di riformare se stessa, sarà un anno cruciale. Chi si illudesse di passarlo traccheggiando, con un governo in bilico, una politica biliosa, un giornalismo isterico, un sindacato nostalgico di un'industria che non esiste più, imprese incapaci di misurarsi con la globalità, l'opinione pubblica chiusa su se stessa, perderebbe 365 decisivi giorni. Quanto tempo sprechiamo a baloccarci col passato! La riforma Gelmini è elogiata dai suoi fan come "killer del 1968" e deprecata dai suoi critici come "killer del 1968". Sergio Marchionne riceve gli applausi di chi lo considera il "matador della concertazione burocratica seguita all'autunno caldo del 1969" e i fischi di chi lo detesta per la stessa, inane, ragione. La destra insulta la sinistra come "comunista", la sinistra replica dando alla destra dei "fascisti". Naturalmente le speranze, le utopie, le ideologie, le dittature, i fallimenti, i sogni e le sconfitte del Novecento nulla c'entrano. E troppi, dai fracassoni del Pdl ai duri della Fiom, incapaci di analizzare il presente usano il passato per demonizzare gli avversari. Nel 2011 dovrà essere l'intera classe dirigente italiana, nell'accademia e nella produzione, nella cultura e nella politica, di fede e laica, giovane e no, nella finanza, nell'amministrazione, al nord e al sud, a maturare e ad assumersi la responsabilità del futuro. Non sarà la batracomiomachia Pro e Contro Berlusconi a dirimere le difficoltà. Non sarà la sopravvivenza del governo, legato infine a un pugno di voti raccattati per caso o per necessità, non saranno le elezioni anticipate, per la seconda volta dal 2008, a salvarci dal dilemma. Illudersi che la "colpa" sia delle Caste e delle Cricche che tanto detestiamo serve a poco, se non a fare le fortune degli indignati cronici. È colpa di tutti noi, e segnatamente di chi occupa posti di responsabilità a qualunque titolo, se non riusciremo a rinnovarci, perduti in un labirinto da noi stessi costruito. Abbiamo scelto con i colleghi del Sole 24 Oreil Ceo della Fiat-Chrysler Sergio Marchionne come uomo dell'economia italiana 2010e non perché ne condividiamo ogni singola mossa, né perché non ne vediamo i singoli errori e ritardi, o le accelerazioni solitarie e gli strappi. Lo abbiamo scelto perché, senza indugi, ha posto la nostra classe dirigente davanti al dilemma della post modernità: o si compete con il mondo secondo le regole del mondo, o il mondo inesorabile ci lascia alle spalle. Spiace vedere il sindacato dividersi, spiace vedere una sigla storica come la Fiom attardarsi a parlare di "diritti" come se anche brasiliani, serbi, cinesi, africani non avessero "diritto" alla dignità. Il vero diritto al lavoro che la Costituzione tutela è creato da un'economia capace di competere oggi, non ai tempi dell'inchiesta di Engels sulla classe operaia di Manchester. Uomini di senno come Fassino, Chiamparino, il giuslavorista Ichino invitano il Pd ad accettare la sfida di Marchionne, senza sconti e senza censure. Tutto il futuro della segretaria Cgil Camusso è rinchiuso in questo bruciante esordio: o tiene insieme i suoi nella modernità, o finirà con i sindacalisti del Museo delle Cere del Passato, roboanti nei comizi, inutili a difendere il lavoro italiano. Bonanni ci sta provando, lasciarlo solo è assurdo. Noi del Sole abbiamo scritto prima di tutti che l'impatto profondo della crisi finanziaria sarà sulla società, con la crisi del ceto medio e dei suoi consumi studiata da Raghuram Rajan. E se i consumi si restringono sarà difficile riavviare le imprese. Ma l'idea, già così inutile negli anni Settanta, che ci sia un "caso italiano", una formula "nostrana" per salvare compagnie aeree, di automobili, riformare le università, innovare i mercati, oggi ci atterra.Solo guardando al futurosenza paura ritorneremo quel che eravamo e possiamo ancora essere: italiani padroni, non vittime, del nostro destino. È questo l'augurio affettuoso che facciamo alle lettrici (siete tante, una ogni tre dei nostri lettori: grazie!) e ai lettori. Di un 2011 in cui tutta l'Italia, come l'Angelo della Storia immaginato dal filosofo Walter Benjamin da un disegno di Paul Klee, pur con lo sguardo fisso al passato sappia volare al futuro. Benjamin diceva che dalle macerie del passato nasce il progresso e per questo c'è chi gli ha dato del pessimista, sbagliando, perché la verità è l'opposto. Non importa di quante macerie siano ingombri il nostro passato e presente. Da ogni frammento è possibile costruire il progresso nel futuro: e se non ne saremo capaci noi italiani, chi mai lo sarà? Buon anno 2011 dunque. SONDAGGIO / Vota l'uomo o la donna dell'anno gianni.riotta@ilsole24ore.com twitter@riotta
2010-12-30 Pomigliano, aumenti medi di 30 euro Giorgio PogliottiCronologia articolo30 dicembre 2010 ROMA Aumenti retributivi a regime di 360 euro l'anno (circa 30 euro al mese), un nuovo inquadramento professionale aggiornato alle nuove condizioni di lavoro, con l'esclusione dal sistema di rappresentanza dei sindacati non firmatari dell'intesa: sono questi i caposaldi del nuovo contratto dello stabilimento di Pomigliano firmato ieri dalla Fiat con Fim, Uilm, Ugl metalmeccanici, Fismic e l'Associazione dei quadri. È stato così definito il nuovo assetto contrattuale per i 4.600 lavoratori della Fabbrica Italia Pomigliano che verranno assunti a partire da gennaio per produrre la nuova Panda che sarà sul mercato tra l'autunno e la fine del prossimo anno. Iniziamo dagli effetti economici dell'intesa. La paga base aumenta da un minimo di 77 euro ad un massimo di 107 euro rispetto al contratto nazionale – in media tra 80 e 85 euro – per l'accorpamento di voci già esistenti in busta paga con un effetto moltiplicatore sugli scatti di anzianità (che si azzerano e ripartono da capo), sulle maggiorazioni di turno e di straordinario. Ma il vero aumento è di 20-30 euro lordi mensili a regime per tutti, con una novità: l'incremento è di 70 euro per la fascia chiamata in gergo "terzo livello Erp" – sono alcune centinaia di dipendenti, considerati team leader, con specifiche mansioni – che nel nuovo inquadramento diventa la "prima fascia della nuova quarta categoria". Per i neo assunti alla Newco verrà azzerata l'anzianità aziendale, mentre gli scatti maturati verranno inglobati in un superminimo individuale non assorbibile. Per ogni prestazione di lavoro notturno – a Pomigliano si lavorerà la domenica notte, considerato il diciottesimo turno – sono previsti 180 euro netti (anche in virtù della detassazione del notturno al quale si applica la cedolare secca al 10%), pari ad un incremento del 60,50%. Per effetto della nuova turnazione – si passa dai precedenti 10 a 18 turni – gli operai turnisti avranno un incremento di 250-300 euro al mese, secondo i calcoli dei sindacati firmatari dell'intesa. Un'altra importante novità riguarda la semplificazione dell'inquadramento professionale; si passa dai 7 livelli previsti dal contratto nazionale a 5 gruppi professionali, con fasce intermedie all'interno dei gruppi per facilitare gli avanzamenti professionali. "È stata accolta dalla Fiat una rivendicazione che il sindacato ha fatto negli ultimi tre rinnovi contrattuali – sostiene Bruno Vitali (Fim-Cisl) – considerando che i 7 livelli erano stati definiti nel 1972, abiamo aggiornato e reso aderente il nuovo inquadramento alle effettive prestazioni svolte in fabbrica". Per le relazioni industriali si torna alla situazione ante accordo interconfederale del 1993 sulle Rsu, con l'applicazione dell'articolo 19 della legge 300 (lo Statuto dei lavoratori) che riconosce le rappresentanze sindacali aziendali, escludendo i sindacati non firmatari dell'accordo, in questo caso la Fiom. Che, infatti, protesta (si veda l'articolo di fianco). Soddisfatto il leader della Cisl, Raffaele Bonanni: "Il Sud ha bisogno come il pane di accordi come quello di Pomigliano – sostiene –. Mentre un sindacato minoritario pensa solo al conflitto e ad organizzare scioperi, tutti gli altri sindacati pensano a come far uscire i lavoratori e le loro famiglie dalla precarietà e dall'incertezza". Per il segretario della Uil campana, Giovanni Sgambati "con l'accordo si conferma l'investimento di 700 milioni per Pomigliano, si definisce un sistema di regole moderno, creando le condizioni per essere competitivi in un settore in cui si è persa capacità produttiva". Roberto Di Maulo (Fismic) sottolinea che "l'accordo raggiunto è positivo e contiene aspetti normativi e retributivi migliori del contratto metalmeccanico". Per Giovanni Centrella (Ugl), "c'è bisogno che il Lingotto prosegua il suo piano per tutti gli altri stabilimenti. Noi siamo pronti a fare la nostra parte". www.ilsole24ore.com Il testo dell'accordo © RIPRODUZIONE RISERVATA Come cambia il lavoro a Pomigliano PRIMA DELL'ACCORDO VETTURE PRODOTTE E MODELLI 78.500 nel 2008 36.000 nel 2009 Alfa 147, Alfa 159, Alfa gt USO DEGLI IMPIANTI DI PRODUZIONE 5 giorni su 7 Niente lavoro il sabato Orario di lavoro: 40 ore settimanali TURNI 10 turni settimanali 2 turni giornalieri di 8 ore ciascuno: __ 1° dalle 6 alle 14 con mezz'ora retribuita per il pranzo; __ 2° dalle 14 alle 22 con mezz'ora retribuita per la cena LAVORO STRAORDINARIO E PAUSE Limite 40 ore settimanali senza contrattazione 2 pause di 20 minuti ciascuna COMMISSIONE PARITETICA DI CONCILIAZIONE Assente DOPO L'ACCORDO 270.000 a regime Futura Panda 6 giorni su 7 24 ore su 24, sabato compreso Orario di lavoro: 40 ore settimanali 18 turni settimanali 3 turni giornalieri di 8 ore ciascuno: __ 1° dalle 6 alle 14 con mezz'ora retribuita per il pranzo all'interno; __ 2° dalle 14 alle 22 con mezz'ora retribuita per la cena all'interno; __ 3° dalle 22 alle 6 del giorno successivo con mezz'ora retribuita per la refezione all'interno; Fino a 120 ore pro capite all'anno senza trattativa 3 pause di 10 minuti ciascuna. Indennità: di prestazione collegata alla presenza è stata concordata in misura di 0,1813 euro lordi per ora Le parti riconoscono alla commissione la qualità di sede preferenziale per esaminare le specifiche situazioni che concretizzino il mancato rispetto degli impegni assunti dalle organizzazioni sindacali firmatarie dell'accordo
l rischio ricorrente del sindacato d'opposizione Giuseppe BertaCronologia articolo30 dicembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2010 alle ore 06:43. di Giuseppe Berta L e relazioni industriali, che possono attraversare lunghi periodi di opacità, acquistano a volte improvviso rilievo, fino a conquistare un'imprevista centralità nell'arena politica. È successo in passato, con il grande scontro sulla revisione della scala mobile, che a metà degli anni 80 radicalizzò il confronto tra il governo e l'opposizione comunista in Parlamento e nelle piazze fino a sfociare nel referendum del 1985, un passaggio importante nella storia politica italiana. Ma spesso è stata proprio la Fiat ad accendere l'interesse e a scatenare le polemiche sul mondo del lavoro e della produzione. La più grande impresa italiana è stata uno dei teatri maggiori del conflitto nell'Italia repubblicana: lo è stata negli anni del "miracolo economico", ma anche più di recente, per esempio nel 1988, quando i sindacati si divisero sul premio di risultato, con una divaricazione tra le organizzazioni dei metalmeccanici di Cisl e Uil, da un lato, e Fiom-Cgil dall'altro, che non aveva nulla da invidiare, quanto ad asprezza di toni, al clima di oggi. Sfogliando le cronache di allora, si può notare che i giudizi con cui venne bollato quell'accordo separato sono assai simili a quelli odierni. Anche all'epoca si parlò della volontà di escludere la Fiom e di restringere il campo della contrattazione aziendale ai soli sindacati "amici". Negli anni seguenti, la frattura venne ricomposta, anche se lasciò dietro di sé un durevole sostrato di diffidenza tra le varie sigle sindacali. Se guardassimo solo alla storia, potremmo essere tutto sommato autorizzati a credere che i contrasti col tempo sono destinati a rientrare e anche le opposizioni più rigide a sopirsi. La vita di fabbrica, per fortuna, ha una sua densa materialità, che finisce col piegare alle esigenze di regolazione concreta le controversie ideologiche, specie quando appaiano gravate di un sovraccarico di retorica. Occorre infatti entrare nel dettaglio delle procedure che formano l'involucro necessario all'attività lavorativa. E allora, di fronte agli aggiustamenti pratici, prevale la ricerca dei dispositivi capaci di assicurare la continuità della prestazione di lavoro. L'intesa raggiunta ieri a Pomigliano d'Arco si colloca nel solco dell'attuazione della newco che dovrà assumere la gestione dello stabilimento Fiat. È ovvio che, a meno di una settimana dal nuovo accordo separato per Mirafiori e in attesa che sia convalidato dal referendum tra i lavoratori, la normativa definita a Pomigliano divenga motivo ulteriore per rinfocolare la protesta della Fiom, subito pronta a dichiarare uno sciopero per il 28 gennaio. A questo punto, i metalmeccanici della Cgil sembrano risoluti a voler giocare una partita estremamente difficile e rischiosa. A giudicare dalle dichiarazioni, si direbbe che la Fiom intenda soprattutto accreditarsi come sindacato di opposizione, anzi come una forza determinante dell'opposizione sociale nel paese e nelle fabbriche. Pare improbabile che miri davvero a rovesciare il risultato del prossimo referendum; piuttosto, punta a raccogliere il dissenso di tutti coloro che non accettano la strategia della Fiat e la vedono connessa a un disegno di stabilizzazione sociale. Ormai, nemmeno la Fiom può pensare che agli stabilimenti italiani della Fiat verrà garantito un futuro senza l'introduzione della nuova organizzazione del lavoro e degli orari e senza il sistema di regole e di sanzioni che l'accompagna. Di fatto, sa che la nuova normativa dovrà passare, ma conta di capitalizzare nel tempo il proprio atteggiamento di resistenza. Potrà farlo? Sì, se si approderà a un contratto per il settore dell'auto, tale da riportarlo nella tipologia dei contratti collettivi sotto l'egida della Confindustria. Un simile contratto potrebbe riassorbire i contenuti degli accordi di Pomigliano e di Mirafiori, ma in una cornice in cui varrebbero di nuovo le regole consuete per le rappresentanze di base. In tal caso, la Fiom potrebbe giovarsi del proprio potere di contestazione. Ma è chiaro che il percorso verso il contratto dell'auto esige tempo e non ci si potrà arrivare che dopo aver superato le tormentate questioni del presente. Intanto, ieri si è accentuata la tensione sempre più evidente tra la Fiom e la sua confederazione, che si sta riverberando sulla sinistra, ormai divisa anch'essa tra il "sì" e il "no" alla Fiat. Per tornare alle lezioni del passato, merita ricordare che la lacerazione del 1988 alla Fiat poté essere sanata anche grazie al fatto che, dopo, a guidare la Fiom fu chiamato un valente dirigente sindacale – e riformista autentico – come Fausto Vigevani.
Sacconi: "Ha vinto il pragmatismo" - Presidente Copasir - Ministro dello sviluppo Massimo D'AlemaCronologia articolo30 dicembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2010 alle ore 06:37. L'accordo di Pomigliano nasce da "esigenze pratiche e non da disegni ideologici". In altre parole, per il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, "consolida l'investimento promesso, e già avviato, mentre migliora le condizioni retributive e le potenzialità di progressione reddituale e professionale dei lavoratori". E quand'è così "ben venga un'utile discontinuità nel sistema di relazioni industriali, soprattutto là ove il vecchio impianto politico-culturale fondato sull'inesorabile conflitto sociale ha prodotto bassi salari e bassa produttività", continua Sacconi. Il ministro dello Sviluppo, Paolo Romani, aggiunge che "questo accordo consente all'Italia di giocare ancora un ruolo nel settore automobilistico e apre una nuova fase di crescita e produzione industriale per una delle più importanti fabbriche del mezzogiorno e dell'Italia intera". E quindi "ritardare, se non addirittura opporsi ad una logica di rilancio non farebbe il bene né dell'azienda, né dei lavoratori, né del sistema economico", secondo Romani. Tanto omogenea la linea governativa quanto piena di crepe quella del Pd. Con Massimo D'Alema, presidente del Copasir che sostiene che "i lavoratori giudicheranno il valore dell'accordo". Dal canto suo D'Alema osserva che l'intesa è "accettabile nella parte produttiva perché prevede rinunce ai lavoratori ma anche forti investimenti e garanzie occupazionali. Quello che non è accettabile è la decisione politica della Fiat di escludere chi non condivide gli accordi". L'auspicio è comunque che "i lavoratori votino a favore" anche se "a Marchionne direi che escludere chi dissente non è una buona regola perché il dissenso va rispettato". Diversa la lettura che della "discontinuità" e della "nuova fase" di cui parlano Sacconi e Romani fornisce un documento stilato dai tre esponenti del Pd Stefano Fassina, Gianfranco Morgando e Paola Bragantini. Gli accordi per Mirafiori e Pomigliano consentono "investimenti preziosi e irrinunciabili, capaci di fornire serie prospettive di sviluppo e occupazione, ma nello stesso tempo producono strappi ingiustificabili sulle regole". Al contrario Sergio D'Antoni, responsabile dell'organizzazione e delle politiche sul territorio e già segretario della Cisl, dice che "l'accordo su Pomigliano è da accogliere con soddisfazione e ottimismo perché‚ risponde a due assolute priorità: la salvaguardia dei livelli occupazionali e l'aumento dei salari dei lavoratori". Il leader dell'Idv Antonio Di Pietro dice di "comprendere e rispettare il voto degli operai Fiat di Pomigliano, "sottoposti ad un vero e proprio ricatto", ma annuncia che continuerà "a lottare affinché a prevalere siano realmente i diritti dei lavoratori e non i tentativi di Marchionne che vuole smantellarli".
La Fiom proclama uno sciopero di 8 ore Cronologia articolo30 dicembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2010 alle ore 06:36. ROMA Contro l'accordo separato di Mirafiori per venerdì 28 gennaio la Fiom ha indetto uno sciopero di 8 ore dei metalmeccanici. Ma il documento del Comitato centrale è stato approvato a maggioranza con 102 voti a favore, nessun contrario e 29 astenuti, tra questi il leader della minoranza riformista Fausto Durante, che sollecitano un cambio di strategia. "Il voto di oggi conferma che tutta la Fiom è unita contro un accordo che giudichiamo inaccettabile" ha commentato il leader delle tute blu, Maurizio Landini, chiamando in causa il Lingotto: "L'obiettivo strategico della Fiat è chiaro, provare a cancellare in modo definitivo il sistema dei diritti individuale e collettivi nel lavoro", ma "non si illudano, non è con gli accordi separati che cancelleranno il più grande sindacato dei metalmeccanici". Sul referendum di Mirafiori la Fiom intendeva riproporre il modello adottato per Pomigliano, dire agli operai di non andare al voto "per non essere esposti a pressioni", giudicando il referendum illegittimo. Ma alla fine Landini ha dovuto accettare un compromesso con l'ala torinese di Giorgio Airaudo. Le Rsu di Mirafiori intendono costituire i comitati del no all'intesa raggiunta tra Fiat, Fim, Uilm, Fismic e Ugl lo scorso 23 dicembre. Per la minoranza interna, Durante ha sollecitato una strategia diversa da parte della Fiom "visto che finora non si è riusciti ad influire né sulle posizioni di Fiat né su quelle degli altri sindacati". Anche sul referendum c'è dissenso con la maggioranza della Fiom: "Sono convinto che con un nostro impegno diretto possa affermarsi il no – spiega Durante –, ma se vincesse il sì la Fiom dovrebbe apporre una sigla tecnica di adesione critica ponendosi il problema di come gestire l'accordo, senza lasciare i lavoratori soli, privi di rappresentanza". Con il ritorno al sistema di rappresentanza sindacale delle Rsa in vigore prima del 1993, infatti, anche a Mirafiori come a Pomigliano la Fiom rischia di perdere i diritti sindacali (dai permessi alla facoltà di indire assemblee). Sul versante opposto il presidente del comitato centrale della Fiom, Giorgio Cremaschi: "Qualunque esito avrà il voto, noi non firmeremo". La Cgil pur non avendo dato seguito alla richiesta della Fiom di proclamare uno sciopero generale, ha fatto sentire il suo sostegno per voce del segretario confederale Vincenzo Scudiere: "L'accordo di Mirafiori nasconde una natura politica che mira a cancellare la Fiom – ha detto –. Non è quest'ultima l'anomalia ma è la Fiat a fare politica". Intanto è polemica per l'attacco lanciato da Cremaschi ai leader di Cisl e Uil: "Angeletti dice che la Fiom ha smesso di essere un sindacato per essere un movimento politico in cerca di visibilità? È solo l'autodifesa di un sindacato totalmente in mano all'azienda. Angeletti e Bonanni sono la vergogna del sindacalismo italiano". Duro il commento di Giorgio Santini (Cisl): "Le parole di inaccettabile istigazione alla violenza nei confronti dei leader di Cisl e Uil vanno condannate nel modo più netto, al di là di ogni questione di dialettica sindacale". Anche per Paolo Pirani (Uil) le affermazioni di Cremaschi "con tutto il portato di istigazione alla violenza in esse contenute, confermano che il gruppo dirigente della Fiom si configura come un movimento politico di antagonismo sociale".
Il rischio ricorrente del sindacato d'opposizione Giuseppe BertaCronologia articolo30 dicembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2010 alle ore 06:43. di Giuseppe Berta L e relazioni industriali, che possono attraversare lunghi periodi di opacità, acquistano a volte improvviso rilievo, fino a conquistare un'imprevista centralità nell'arena politica. È successo in passato, con il grande scontro sulla revisione della scala mobile, che a metà degli anni 80 radicalizzò il confronto tra il governo e l'opposizione comunista in Parlamento e nelle piazze fino a sfociare nel referendum del 1985, un passaggio importante nella storia politica italiana. Ma spesso è stata proprio la Fiat ad accendere l'interesse e a scatenare le polemiche sul mondo del lavoro e della produzione. La più grande impresa italiana è stata uno dei teatri maggiori del conflitto nell'Italia repubblicana: lo è stata negli anni del "miracolo economico", ma anche più di recente, per esempio nel 1988, quando i sindacati si divisero sul premio di risultato, con una divaricazione tra le organizzazioni dei metalmeccanici di Cisl e Uil, da un lato, e Fiom-Cgil dall'altro, che non aveva nulla da invidiare, quanto ad asprezza di toni, al clima di oggi. Sfogliando le cronache di allora, si può notare che i giudizi con cui venne bollato quell'accordo separato sono assai simili a quelli odierni. Anche all'epoca si parlò della volontà di escludere la Fiom e di restringere il campo della contrattazione aziendale ai soli sindacati "amici". Negli anni seguenti, la frattura venne ricomposta, anche se lasciò dietro di sé un durevole sostrato di diffidenza tra le varie sigle sindacali. Se guardassimo solo alla storia, potremmo essere tutto sommato autorizzati a credere che i contrasti col tempo sono destinati a rientrare e anche le opposizioni più rigide a sopirsi. La vita di fabbrica, per fortuna, ha una sua densa materialità, che finisce col piegare alle esigenze di regolazione concreta le controversie ideologiche, specie quando appaiano gravate di un sovraccarico di retorica. Occorre infatti entrare nel dettaglio delle procedure che formano l'involucro necessario all'attività lavorativa. E allora, di fronte agli aggiustamenti pratici, prevale la ricerca dei dispositivi capaci di assicurare la continuità della prestazione di lavoro. L'intesa raggiunta ieri a Pomigliano d'Arco si colloca nel solco dell'attuazione della newco che dovrà assumere la gestione dello stabilimento Fiat. È ovvio che, a meno di una settimana dal nuovo accordo separato per Mirafiori e in attesa che sia convalidato dal referendum tra i lavoratori, la normativa definita a Pomigliano divenga motivo ulteriore per rinfocolare la protesta della Fiom, subito pronta a dichiarare uno sciopero per il 28 gennaio. A questo punto, i metalmeccanici della Cgil sembrano risoluti a voler giocare una partita estremamente difficile e rischiosa. A giudicare dalle dichiarazioni, si direbbe che la Fiom intenda soprattutto accreditarsi come sindacato di opposizione, anzi come una forza determinante dell'opposizione sociale nel paese e nelle fabbriche. Pare improbabile che miri davvero a rovesciare il risultato del prossimo referendum; piuttosto, punta a raccogliere il dissenso di tutti coloro che non accettano la strategia della Fiat e la vedono connessa a un disegno di stabilizzazione sociale. Ormai, nemmeno la Fiom può pensare che agli stabilimenti italiani della Fiat verrà garantito un futuro senza l'introduzione della nuova organizzazione del lavoro e degli orari e senza il sistema di regole e di sanzioni che l'accompagna. Di fatto, sa che la nuova normativa dovrà passare, ma conta di capitalizzare nel tempo il proprio atteggiamento di resistenza. Potrà farlo? Sì, se si approderà a un contratto per il settore dell'auto, tale da riportarlo nella tipologia dei contratti collettivi sotto l'egida della Confindustria. Un simile contratto potrebbe riassorbire i contenuti degli accordi di Pomigliano e di Mirafiori, ma in una cornice in cui varrebbero di nuovo le regole consuete per le rappresentanze di base. In tal caso, la Fiom potrebbe giovarsi del proprio potere di contestazione. Ma è chiaro che il percorso verso il contratto dell'auto esige tempo e non ci si potrà arrivare che dopo aver superato le tormentate questioni del presente. Intanto, ieri si è accentuata la tensione sempre più evidente tra la Fiom e la sua confederazione, che si sta riverberando sulla sinistra, ormai divisa anch'essa tra il "sì" e il "no" alla Fiat. Per tornare alle lezioni del passato, merita ricordare che la lacerazione del 1988 alla Fiat poté essere sanata anche grazie al fatto che, dopo, a guidare la Fiom fu chiamato un valente dirigente sindacale – e riformista autentico – come Fausto Vigevani. 2010-12-29 Dopo Berlusconi anche Bossi plaude all'accordo Fiat. Ma Marchionne e Mirafiori agitano il Pd di Celestina DominelliCronologia articolo29 dicembre 2010Commenti (4) Questo articolo è stato pubblicato il 29 dicembre 2010 alle ore 11:27. Il via libera del premier era arrivato qualche giorno fa. "È un accordo storico e positivo. Si tratta di una intesa innovativa e di un investimento importante per il paese". Poche parole pronunciate da Silvio Berlusconi per benedire l'intesa su Mirafiori siglata giovedì scorso da Fiat e sindacati , (leggi il testo dell'accordo) Ieri, poi, anche il leader della Lega Umberto Bossi ha elogiato l'accordo. "Se si sono accorti anche i sindacati - osserva il senatùr - vuol dire che qualcosa da cambiare c'era". Quanto alla chiusura della Fiom (che non ha sottoscritto l'intesa) il segretario del Carroccio taglia corto. "È d'accordo la Cgil. Io penso che qualcosa da cambiare c'era, d'altra parte la cosa più grave sarebbe che la Fiat vada all'estero perché fin quando sta qui possiamo trattare, e ora bisogna superare il momento difficile". Un milione di vetture all'anno. È questo l'obiettivo in Brasile (di Sergio Marchionne) Retribuzioni più alte nell'intesa di Pomigliano. Quanto "pesa" il Lingotto? Oltre 62 miliardi all'anno (articoli di Giorgio Pogliotti e Paolo Bricco) La provocazione di Vendola Se nella maggioranza si registrano solo giudizi positivi, l'accordo di Mirafiori crea invece parecchie fibrillazioni all'interno del Pd. Dove convivono anime diverse: gli ex diessini legati alla Cgil, ma anche gli ex popolari vicini soprattutto alla Cisl. Con Nichi Vendola, leader di Sel, che getta benzina sul fuoco sottolineando come il rigetto dell'accordo Fiat, definito "un atto di arroganza padronale", è "un punto dirimente per costruire una coalizione". Un sasso lanciato nello stagno democratico con l'obiettivo, nemmeno troppo velato, di provocare uno spostamento a sinistra del suo asse. E le repliche non si fanno attendere. L'endorsement di Fassino Chiarissimo è il sostegno dell'ex segretario dei Ds, Piero Fassino, torinese doc. "Se fossi un lavoratore della Fiat voterei sì all'accordo, tuttavia l'azienda deve avvertire la responsabilità di compiere atti per favorire un clima più disteso". Ma l'ex ministro getta anche uno sguardo oltre, al referendum su Mirafiori, per rimarcare che nel caso di un eventuale no all'intesa "quelli che pagherebbero sarebbero solo i lavoratori, perché l'azienda potrebbe trasferire la produzione negli Stati Uniti o altrove". Ma l'accordo divide i democratici Il richiamo di Vendola trova però qualche seguito tra i democrats soprattutto nella sinistra del partito con Vincenzo Vita che sollecita il Pd ad avere "un giudizio contrario forte e netto perché è uno di quei casi in cui ambiguità e incertezze minano dalle fondamenta la natura stessa del partito riformista". Di avviso diverso è invece Giorgio Merlo che risponde direttamente al leader di Sel."Se l'accordo è una discriminante allpora no si può dar vita a una coalizione dove sono prevalenti massimalismi ed estremismi politici e sindacali". A sbarrare la strada a Vendola intervengono poi gli ex popolari, in testa Franco Marini che da vecchio leader della Cisl pronuncia un giudizio netto, simile a quello di Fassino. Se fosse capitato a lui, osserva, avrebbe detto "sì" all'intesa e aggiunge che "si è perso anche troppo tempo". Sulla stessa linea si colloca poi l'ex ministro Beppe Fioroni. "Un partito riformatore deve avere il coraggio di guardare avanti. Quell'accordo è frutto del lavoro di imprese e sindacati e spetta alla politica avere il coraggio di affrontare le nuove sfide". Analogo giudizio giunge anche dall'ala veltroniana che, per bocca di Giorgio Tonini, insiste. "Il Pd è il partito del cambiamento e non della conservazione". Più o meno lo stesso refrain pronunciato da Alessia Mosca, vicina a Enrico Letta e membro della sua associazione Trecentosessanta, che attacca Vendola "teologo della conservazione" e colpevole "di lucrare sulle paure dettate dalla crisi". Il giudizio del segretario Bersani Nel Pd convivono dunque posizioni differenti. Mentre il responsabile economico dei democratici, Stefano Fassina, si limita a sottolineare che il partito non entra nel merito dell'accordo ma "valuta l'aspetto della democrazia sindacale considerato un pezzo fondamentale della democrazia" per cui "non si può negare rappresentanza alla parte dei lavoratori che dissente". Pierluigi Bersani, invece, aveva posto l'attenzione sulle luci dei nuovi investimenti di Fiat ma anche sulle ombre delle relazioni sindacali chiedendo, qualche giorno fa, che il tema fosse affrontato in Parlamento. "L'iniziativa della Fiat è molto forte. Se porterà, come io spero, a sollecitare una riforma, che ci vuole, dei meccanismi di partecipazione e rappresentanza del mondo del lavoro, sarà un fatto che avrà un esito buono. Se, invece, porterà, come è anche possibile, a una disarticolazione dei rapporti sociali, allora sarà un fatto molto negativo". L'associazione pro-Fiom di Bertinotti e Cofferati Chi invece abbraccia in toto la linea Fiom di rigetto dell'accordo è la neonata associazione "Lavoro e libertà", promossa da autorevoli esponenti politici come Fausto Bertinotti, Sergio Cofferati, Stefano Rodotà, Rossana Rossanda. Sorta per combattere, scrivono gli ideatori, "fermare e rovesciare la deriva autoritaria" suggerendo di "ridare centralità politica al lavoro. Riportare il lavoro, il mondo del lavoro, al centro dell'agenda politica: nell'azione di governo, nei programmi dei partiti, nella battaglia delle idee".
Il "salto" della Lega che ora tifa Marchionne Lina PalmeriniCronologia articolo29 dicembre 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 29 dicembre 2010 alle ore 06:36. Cinque anni fa, Stefano Allasia e Roberto Cota decidevano di rilevare un negozio chiuso e aprire la prima sezione leghista di fronte ai cancelli di Mirafiori. "Fu un azzardo – racconta il torinese Allasia – ma oggi posso dire che è stato un investimento". Cota non era Governatore del Piemonte né forse pensava di diventarlo e Allasia, che allora aveva 31 anni, era consigliere regionale di opposizione e tuonava a giorni alterni contro la Fiat. Come peraltro facevano i big del Carroccio lanciando slogan anti-Fiat sul tipo di "Roma ladrona": il concetto più o meno era lo stesso. Un ritornello contro il Lingotto che si è sentito fino a pochissimo fa, visto che l'ultima dichiarazione di Roberto Calderoli contro Marchionne è della fine di ottobre quando intimava: "Hanno la memoria corta sugli aiuti di Stato. La verità è che gli italiani, la Fiat, se la sono già comprata due volte. Si scordino altri incentivi". Ora, invece, dalle parti della Lega e in quella sezione di Mirafiori quel concetto ha fatto un'inversione a "U". "Quello era il passato: per 20 anni la Fiat ha chiesto solo soldi. Ora noi diamo sostegno politico all'accordo su Mirafiori perché Marchionne vuole investire e garantire un futuro al territorio", così Allasia, oggi deputato, spiega una torsione "ideologica" piuttosto forte. Certo, quando si deve governare un territorio, come sta accadendo al Carroccio in Piemonte, si passa più in fretta dalla propaganda al realismo. Ma qui lo scarto è perfino più profondo visto che la Lega si è sempre voluta connotare anti-Fiat per apparire il più possibile pro-piccole aziende. Un'identità cercata al contrario, con un'avversione. "Quando ero consigliere regionale, mi scagliavo contro la Fiat per i regali che riceveva dall'amministrazione senza dare nulla in cambio. Ora gli investimenti ci sono, c'è un accordo, Cota dice che gli impegni si stanno mantenendo. Anche perché – e Allasia arriva al punto – le stesse piccole aziende dell'indotto ci dicono che è la strada giusta". Ecco, la base elettorale è una buona ragione per cambiare idea. E lo stesso vale per gli operai che da tempo subiscono l'appeal della Lega. "Meno diritti? Ma l'alternativa qual è? E poi a Mirafiori le condizioni di lavoro restano più che dignitose. Accorciare una pausa non è ledere un diritto, restare senza lavoro lo è". Allasia è la voce di un territorio che si prepara al voto comunale a Torino e la Fiat è un test. Sarà per questo che il Carroccio ora ci va piano. E sarà anche per questo che ieri Piero Fassino, candidato Pd per succedere a Sergio Chiamparino diceva "se fossi un lavoratore della Fiat voterei sì al referendum". Ma l'ex segretario Ds è sempre stato vicino alle ragioni del riformismo anche se con una grande capacità di mediare. Come quella che sta usando in questi giorni la segreteria di Bersani alle prese che una frattura fortissima nel partito e fuori. Da un lato nasce l'associazione "Lavoro e libertà" – già ribattezzata anti-Marchionne – a cui partecipano autorevoli esponenti del Pd come Sergio Cofferati e Paolo Nerozzi accanto a Fausto Bertinotti e Stefano Rodotà per "combattere, fermare e rovesciare la deriva autoritaria" contro i diritti, "a sostegno della Fiom". Dall'altro lato c'è Modem, l'area di minoranza di Veltroni-Fioroni-Gentiloni che non a caso lancia la sfida ai vertici Pd proprio a Torino, dal Lingotto, il 22 gennaio per rivendicare – si vedrà quanto – le ragioni di una politica riformatrice. "Il Pd è il partito del cambiamento non della conservazione", ripeteva ieri Giorgio Tonini, esponente di quell'area, che spiegava "quella di Marchionne è una sfida per capovolgere l'attuale situazione consentendo alta produttività e alti salari". Su questa scia si leggeva pure la dichiarazione apparsa sul sito di TrecentoSessanta, l'associazione di Enrico Letta, che se la prendeva – anche sulla vicenda Fiat – contro Vendola "teologo della conservazione". E allora ecco che nel Pd Stefano Fassina, responsabile economico, cerca la mediazione schierandosi con Federmeccanica: "Per uscire da questa situazione serve un accordo sulla rappresentanza e sulla democrazia sindacale che fissi le regole per validare i contratti. La proposta del presidente di Federmeccanica è la soluzione e, tra l'altro, il suo appello a Confindustria, le posizioni della Camusso e di Bonanni, indicano che ci sono le condizioni per l'intesa". Le alleanze politiche c'entrano anche con la Fiat. Perché sulle regole il Pd cerca l'asse con il terzo polo più che con Vendola o Di Pietro che parla di "accordo Mirafiori incostituzionale". Nell'Udc, dove si è sempre tifato per la Fiat e per le posizioni di Cisl e Uil, oggi l'attenzione è spostata sul "nuovo assetto di relazioni industriali che Marchionne ha trasferito in Italia secondo regole di competitività globale", spiega Gianluca Galletti, deputato centrista, esperto di temi economici. "Condivido – aggiunge – Susanna Camusso quando dice che la Fiom non può continuare a dire "no" a prescindere. E, credo, che dopo tante critiche ai ritardi della politica, anche i partiti abbiano ragioni per criticare le parti sociali. È una nuova stagione sindacale e ora è il momento per nuove regole". Ma la sintonia c'è pure con il Pdl che, con Maurizio Sacconi, ha scommesso su una nuova fase di relazioni sindacali più snelle, meno burocratiche, legate ai territori, come accadde nell'accordo 2009. Ma stavolta l'obiettivo è più ambizioso: il recupero della Cgil. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Quanto pesa il Lingotto? Oltre 62 miliardi all'anno Paolo BriccoCronologia articolo29 dicembre 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 29 dicembre 2010 alle ore 06:35. * * * *
Di che cosa parliamo quando parliamo di Fiat? L'automotive italiano è un tessuto industriale articolato. C'è il gruppo di Torino e ci sono migliaia d'imprese impegnate in una filiera caotica ma efficiente che rende la dorsale padana - che dal capoluogo piemontese raggiunge Vicenza e innerva la Lombardia e l'Emilia Romagna - il sistema probabilmente più competitivo d'Europa: livelli tecnologici tedeschi e prezzi italiani. La struttura non è gerarchica, ma il baricentro resta Torino. Non fosse altro perché nell'auto, ormai non troppo distante per complessità scientifico-organizzativa dall'aeronautica e dall'aerospazio, gli investimenti in ricerca e sviluppo restano significativi: soltanto le case produttrici se li possono permettere e sono i loro laboratori a studiare le innovazioni radicali - in particolare i nuovi motori e i nuovi modelli d'ingegnerizzazione - che poi vengono travasate verso i componentisti. Questi ultimi dispongono di autonome capacità d'innovazione, ma resta fondamentale la pressione esercitata dall'alto dalle case produttrici, che produce nell'intera filiera una spinta industriale verso il miglioramento continuo. Quindi, con un effetto a catena, ecco i componentisti distillare conoscenze e competenze ai subfornitori e cosi via, fino ai più piccoli protagonisti del sistema. Le cifre in gioco nel nostro paese sono difficili da fissare con precisione. Stando alla relazione finanziaria al 31 dicembre del 2009, in Italia l'intero gruppo Fiat (non solo l'auto, ma anche i trattori, i robot, le macchine movimento terra) ha 64 siti fra stabilimenti e sedi non prettamente manifatturiere e può contare su poco più di 80mila occupati. Dal lato dei ricavi, l'intero gruppo Fiat ha fatturato l'anno scorso in Italia 12,7 miliardi. Sempre secondo i documenti forniti al mercato dal Lingotto, il fatturato globale dell'auto, riferito non solo all'Italia ma a tutto il mondo, è stato di 26 miliardi di euro. L'azienda non dichiara nemmeno agli analisti quanto fattura con l'auto nel nostro paese. Proviamo a fare una stima ragionevole. Dai bilanci risulta che il prezzo medio a cui il Lingotto vende un'autovettura uscita dai suoi stabilimenti ai suoi rivenditori è di 10.844 euro. Si tratta di un prezzo medio mondiale. Se s'ipotizza che la cifra per l'Italia possa essere intorno agli 11mila euro e la si moltiplica per le 721.921 macchine vendute nel 2009, ecco che si potrebbe formulare l'ipotesi che il fatturato contabile dell'auto in Italia sfiori gli 8 miliardi. Se invece si considerano gli automezzi prodotti in Italia e si ragiona su una stima di sostanza e non formale (una quota potrebbe finire su bilanci non italiani) il calcolo è di poco diverso: il gruppo di Torino ha prodotto in Italia l'anno scorso 782.561 fra auto, veicoli commerciali leggeri e pesanti. A questo punto, si arriva a poco meno di 9 miliardi. In ogni caso, che si consideri il fatturato contabile o di sostanza, i numeri sono quelli. Numeri interessanti, perché costituiscono una buona base per calcolare qual è l'impatto della Fiat sul resto dell'economia. Secondo gli analisti dell'Osservatorio sulla componentistica di Torino istituito dalla Camera di commercio della città (dove il presidente è Alessandro Barberis, dal 1982 al 1993 amministratore delegato di Magneti Marelli e per un breve periodo numero uno del Lingotto) e dall'Anfia, 100 euro fatturati dalla Fiat ne producono almeno 250 nell'indotto: un calcolo che include tutti, dai fornitori che progettano in tre dimensioni parti del motore, ai designer, fino ai titolari delle ditte di pulizia che tengono in ordine gli uffici e le linee produttive della Fiat e dei componentisti. Nelle imprese della filiera le commesse della Fiat genererebbero altri ricavi per circa 22,5 miliardi. Ecco che il Lingotto, fra ricavi diretti e ricavi generati nelle altre imprese automotive, produce un giro d'affari aggregato per una trentina di miliardi. C'è, poi, l'altrettanto interessante questione sull'impatto delle attività del gruppo Fiat sul mondo non direttamente automotive. Proviamo a usare la stima del fatturato contabile: i ricavi Fiat nell'auto dovrebbero valere 8 miliardi. Il resto potrebbe valere circa 5 miliardi. In questo caso, l'effetto prodotto sul resto del sistema economico italiano è di equivalenza fra ordini e fatturato, più qualcosina che viene generata nelle transazioni. A questo punto è stimabile che - fra camion, robot, siderurgia, componenti, macchine movimento terra - 100 euro di fatturato di Fiat ne producano 120 nelle altre imprese. A quel punto i 5 miliardi diventano 6 miliardi. In tutto, le attività non direttamente riconducibili all'auto, in maniera diretta o indiretta, valgono 11 miliardi. Torniamo alla questione dell'auto, che rappresenta l'incognita politicamente più sensibile. Abbiamo detto che esiste un legame molto stretto con la Fiat. E sussistono dei dubbi sulla possibilità di avere un sistema complesso e articolato come una filiera senza una testa pensante, in grado di catalizzare risorse finanziarie sulla ricerca, di elaborare strategie commerciali e di definire un posizionamento sui mercati globali: tutti fattori difficili da gestire in piccole e medie strutture. Secondo l'Osservatorio sulla componentistica, l'intera filiera dell'automotive - tenendo fuori Fiat - ha generato ricavi pari a 42 miliardi. Una ventina di miliardi sono dovuti alle attività ottenute con le altre case produttrici, in un processo di diversificazione che ha portato la filiera a orientarsi anche verso i produttori stranieri, in particolare tedeschi e francesi. Al di là della possibilità o meno che esista un sistema acefalo, è difficile pensare che una regressione dell'attività di Fiat in Italia non incida su una filiera che già l'anno scorso ha visto i fatturati aggregati calare in media del 16,9% (più del totale del manifatturiero, che è sceso del 15,5%). Con una questione in più: il futuro della filiera italiana sarà determinato dalla scelta o meno di Fiat non solo di produrre negli stabilimenti del nostro paese, ma anche di progettare le prossime piattaforme qui o altrove. Il valore aggiunto materiale e immateriale, che scende giù per i rami nell'albero di un automotive italiano che storicamente ha avuto come unico tronco il gruppo di Torino, si concentra e prende forma e forza proprio intorno alla concezione e all'ideazione delle future piattaforme. Distogliendo però lo sguardo dal futuro, e provando invece a sintetizzare di che cosa parliamo quando parliamo di Fiat, si può fare una buona stima ragionevole. Nove miliardi di fatturato auto che generano altri 22,5 miliardi. In tutto, fanno 31,5 miliardi di fatturato all'anno. Considerando i fili ad alta tensione che collegano Torino con tutto il resto della filiera e assumendo che è difficile pensare a un sistema privo di un produttore nazionale anche per quanto riguarda le attività dei componentisti e dei subfornitori non connesse a Fiat (un'altra ventina di miliardi) ecco che potremmo azzardare un numero finale, dato dall'influenza diretta o indiretta del gruppo di Torino sull'intero automotive: 51,5 miliardi. A questa somma, giusto per capire bene di cosa parliamo quando parliamo di Fiat, vanno aggiunti i 5 miliardi delle attività industriali non auto che, a loro volta, producono nel resto del sistema produttivo italiano altri 6 miliardi di ricavi. In tutto, fanno 11 miliardi. Unendo la doppia dimensione, auto e non auto, e considerando l'influenza diretta e indiretta del Lingotto, ecco che il fatturato aggregato complessivo collegato in qualche maniera alla Fiat diventa di 62,5 miliardi. Una stima prudenziale e relativa soltanto alla dimensione più spiccatamente industriale, dato che in ogni caso non tiene conto degli effetti moltiplicatori che, giù nel profondo della società e dell'economia del nostro paese, l'attività del gruppo di Torino produce sui consumi e sugli investimenti dei dipendenti e sui redditi da capitale. © RIPRODUZIONE RISERVATA FATTORI E TOTALI 9 miliardi Fatturato auto È la stima dei ricavi del comparto chiave della Fiat 2,5 Moltiplicatore per l'indotto Ogni 100 euro di fatturato Fiat dell'auto genera 250 euro di fatturato nelle aziende fornitrici 31,5 miliardi Fatturato totale Sono i ricavi del settore auto Fiat, tra azienda e indotto 5 miliardi Fatturato non auto È la quota di ricavi Fiat derivanti da camion, robot, siderurgia, macchine movimento terra 11 miliardi Fatturato totale Sono i ricavi complessivi del settore industriale Fiat non-auto comprensivi dell'indotto 51,5 miliardi Impatto Fiat sul sistema auto italiano Ai 31,5 miliardi di ricavi del gruppo Fiat (azienda più indotto) vanno aggiunti altri 20 miliardi che l'automotive italiano non legato al Lingotto produce per altre case automobilistiche. 62,5 miliardi Impatto del sistema Fiat sul sistema italiano È la stima che si ottiene aggiungendo ai 51,5 miliardi del sistema auto Fiat (comprensivo dell'indotto non legato al Lingotto) la parte industriale Fiat derivante da altre attività (11 miliardi, compreso l'indotto): trattori, macchine movimento terra, camion, robot, siderurgia
2010-12-27 Sacconi "fiducioso" sulla Camusso. A Roma il tavolo per le 4.600 assunzioni Fiat-Chrysler di Pomigliano Cronologia articolo28 dicembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 28 dicembre 2010 alle ore 09:08. "Sono fiducioso, la Cgil alla fine sarà della partita perché il sindacato italiano nella sua grandissima maggioranza è disponibile, come ha già dimostrato in molti casi, ad accrescere la produttività del lavoro". Lo dice, in un'intervista a Repubblica, il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, dopo l'accordo per Mirafiori, sottolineando di aver trovato nelle parole del segretario della Cgil, Susanna Camusso, "alcuni accenti positivi". "Fuori da questo progetto - aggiunge Sacconi - rimane una ridotta ideologizzata", mentre dal segretario è arrivata una "speranza di condividere con le altre organizzazioni sindacali e con la Confindustria un quadro di regole funzionali alla maggiore competitività". Quella della rappresentanza, comunque, "è una materia tipicissima delle parti sociali" e "un intervento del governo sì sarebbe autoritario". Saranno quindi industria e sindacati a riscrivere le regole. L'accordo raggiunto per Mirafiori, (LEGGI IL TESTO DELL'ACCORDO) peraltro, "dimostra che i salari anche in Italia possono crescere" mentre "il diritto di sciopero resta intatto. L'ipotesi si riferisce a sanzioni che liberamente i firmatari hanno accettato nel caso di una loro proclamazione di sciopero incoerente con lo stesso accordo. Non scomoderei i diritti". E non c'è nemmeno lesione della libertà sindacale, perché "chi si assume la responsabilità di firmare un accordo può anche ottenere un canale privilegiato di dialogo con la controparte, ma gli altri continuano ad essere liberi di associarsi e di organizzarsi". E se il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, dalle colonne della Stampa, invita la Camusso e i suoi a rispettare quello che decidono la maggioranza dei sindacati, parole meno concilianti arrivano dal leader di sinistra ecologia e libertà, Nichi Vendola in una intervista al quotidiano "Il Piccolo" di Trieste. Parlando della proposta dell'ad di Fiat, Sergio Marchionne dice: "Non è solo una sfida arrogante contro il mondo del lavoro. È l'idea di un restringimento secco degli spazi di democrazia in questo Paese". Giuseppe Fioroni del Pd commenta invece positivamente l'accordo di Mirafiori: "Nella crisi ci vuole coraggio, conservare significa recedere e perdere tutto". Oggi a Roma è un altro giorno importante per il gruppo Fiat-Chrysler. Lingotto e sindacati (tutti tranne Fiom-Cgil, che oggi riunisce il comitato esecutivo per un eventuale sciopero) cercano l'accordo sul nuovo contratto di lavoro (salari, orari, scatti di anzianità e diritti sindacali) con il quale verranno riassunti i lavoratori di Pomigliano d'Arco. Una procedura che partirà già da gennaio e riguarderà oltre 4.600 lavoratori che produrranno la nuova panda. Di fatto: la prima stretta di mano veramente importante per il nuovo corso Fiat che dovrà raddoppiare la produzione di auto nel Belpaese. Il confronto è iniziato alle ore 11 e i tempi di attesa si preannunciano lunghi. Federmeccanica: ora un accordo sulla rappresentanza. L'accordo di Mirafiori "consente un altro importante passo avanti per la realizzazione di un grande progetto industriale come Fabbrica Italia". Però "ora si deve aprire un tavolo sulla rappresentanza". È l'appello che lancia a Confindustria e sindacati il presidente di Federmeccanica, Pierluigi Ceccardi, perché "un conto è concludere un contratto senza la firma della Fiom, un altro è gestire le relazioni industriali in azienda senza una organizzazione che rappresenta una parte cospicua dei lavoratori". Nel cambiamento delle relazioni industriali la Fiat "dà uno strattone che accelera il processo", ma il Lingotto "sta vivendo un'esperienza unica ed eccezionale" su "un altro pianeta rispetto alla realtà italiana". Federmeccanica "rappresenta almeno 12mila aziende con circa un milione di lavoratori e deve trovare soluzioni in cui il sistema si riconosca". Le scelte, per Ceccardi, sono solo due: "O ogni azienda va per conto proprio e si organizza come può", oppure "si decide di stare in un sistema che adotta regole comuni" che "devono essere sempre più flessibili e adattabili alle singole realtà". Il contratto nazionale, insomma, "ha ancora il suo ruolo importante da svolgere, ma non può essere una gabbia, come sembra pensare la Fiom, ma uno strumento per gestire le relazioni industriali". Quanto al contratto auto, per Ceccardi va definito all'interno del contratto metalmeccanico, altrimenti "il rischio è che i contratti nazionali si moltiplichino e il loro ruolo si ampli. Se così fosse dovremmo riverificare gli obiettivi che ci eravamo dati".
2010-12-24 Berlusconi: a Mirafiori accordo storico, nel 2011 la ripresa. "Speriamo che Casini si ravveda" Cronologia articolo24 dicembre 2010Commenta Questo articolo è stato pubblicato il 24 dicembre 2010 alle ore 11:27. "Se pensiamo alle difficoltà economiche e di altra natura è del tutto legittimo guardare al bicchiere mezzo pieno". Il 2011 sarà "l'anno della ripresa". Silvio Berlusconi, intervenendo a Mattino 5, fa un bilancio positivo per il governo nel 2010, come del resto ha fatto ieri nella conferenza stampa di fine anno. "Ci sono tantissime cose positive - spiega il premier - Abbiamo vinto anche le elezioni regionali, gli unici in Europa, nonostante i molti ostacoli contro le nostre liste nel Lazio da parte di una magistatura politicizzata. E dopo le elezioni, gli italiani hanno apprezzato il nostro modo di governare al punto che io stesso registro un concenso del 56,4% che ha del miracoloso se si pensa a quello che i giornalisti di sinistra e delle tv di Stato dicono contro di me". Il risultato più importante "Il risultato più importante - spiega il premier - è la tenuta dei conti pubblici riconosciuta da istituzioni internazionali e dalle agenzie di rating". Berlusconi cita anche gli "straordinari successi con lotta alla criminalità organizzata" e il merito di "non aver mai messo le mani le tasche degli italiani" per le tasse. L'anno prossimo Quanto al 2011, "ritengo - afferma - che sarà un anno di ripresa di cui già abbiamo iniziato a cogliere qualche segnale". "Non possiamo escludere altre turbolenze della area euro - conclude - l'Italia è al riparo da attacchi speculativi, ed è merito del governo che ha tenuto in ordine i conti pubblici ma soprattutto delle famiglie e delle imprese dei lavoratori. Per i mercati le aspettative contano molto - sottolinea - Se si fosse aperta una crisi di governo le conseguenze avrebbero potuto esser gravi, e per questo sentiamo il dovere di continuare a governare". L'accordo su Mirafiori "È un accordo storico". Così Berlusconi ha invece commentato l'intesa tra Fiat e sindacati raggiunta ieri. Il premier, sempre parlando a 'Mattino5', si augura che l'azienda automobilistica possa mantenere la produzione in Italia , evitando il trasferimento all'estero degli impianti. Il successore e lo scontro con Fini Silvio Berlusconi inoltre ribadisce quanto detto ieri nella conferenza di fine anno: nel 2013 potrebbero emergere suoi successori per la premiership attingendo da personalità giovani del partito e del governo. Il premier ha parlato di "protagonisti" che potrebbero "in un prossimo futuro" assumere responsabilità di governo. Ma Gianfranco Fini dovrebbe dimettersi? "È una valutazione che attiene alla sua coscienza ed alla sua dignità, lui ormai è all'opposizione contro la sua maggioranza...". Berlusconi risponde così. La riforma della giustizia "Dovremo completare la riforma della giustizia entro fine legislatura. È un'emergenza grave e drammatica soprattutto per i più deboli. Le indebite ingerenze dell'ordine giudiziario nelle vite dei cittadini rappresentano una vero attacco alla democrazia, per questo non rinunceremo mai al nostro progetto. Gran parte della magistratura, persino la Corte costituzionale, emettono sentenze troppe volte orientate". Il dialogo con l'Udc "Speriamo che Casini si ravveda". E' l'auspicio di Berlusconi che continua a sperare in un appoggio dell'Udc al governo. "Vedremo se lui ha perso una grande occasione: poteva sostituire con i sui parlamentari i parlametari di Fli. Speriamo che si ravveda". Comunque, Berlusconi di dice "convinto che andremo avanti. Dobbiamo ampliare i numeri della nostra maggioranza alla Camera e lo stiamo facendo. Abbiamo buone prospettive, credo che avremo i numeri per portare termine le riforme. Se non sarà possibile non ci sarà altra soluzione che andare alle urne ma faremo di tutto perché ciò non accada. Sarebbe negativo per tutto il paese, e per tutta l'Europa e la zona dell'euro". Così Casini respinge le offerte di Berlusconi e Bersani: confrontiamoci in Parlamento L'audiomessaggio Nel pomeriggio della vigilia, Berlusconi è inoltre intervenuto sul sito dei "promotori della libertà" con un audiomessaggio: "Entro il 2012 il ritmo di crescita dell'Italia tornerà ai livelli pre-crisi. Lo afferma la Commissione europea che ha recentemente ribadito il giudizio positivo sulle modalità con le quali il governo italiano, il nostro governo ha affrontato la più grave emergenza finanziaria dal 1929 a oggi". "Il nostro obiettivo primario resta dunque e sempre la governabilità - ha aggiunto il premier - ma ove non riuscissimo a mettere insieme una maggioranza sufficiente per approvare le riforme, l'unica scelta possibile sarebbe quella di ricorrere al voto popolare". "Intendiamoci - ha proseguito - io sono convinto che interrompere la legislatura sarebbe un grave danno per il paese e quindi opereremo affinché‚ questa eventualità non si realizzi, ma se non riuscissimo ad avere quella maggioranza necessaria per far approvare dal Parlamento le riforme che sono indispensabili per il nostro paese non ci sarà altra scelta che tornare dal popolo sovrano".
2010-12-23 Mirafiori: oggi si decide. Nell'agenda sindacale torna l'organizzazione del lavoro in fabbrica di Giuseppe BertaCronologia articolo23 dicembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2010 alle ore 08:04. Intesa vicina per Mirafiori (di Nicoletta Picchio) Se nella giornata di oggi verrà raggiunta un'intesa sindacale per lo stabilimento di Mirafiori, necessaria all'avvio della joint-venture tra Fiat e Chrysler, vorrà dire che la strada del cambiamento delle relazioni industriali passa ancora una volta da Torino. Il nuovo accordo è destinato a segnare l'ingresso della globalizzazione nella sfera diretta dei rapporti di lavoro e della loro regolazione. Mirafiori non è Pomigliano d'Arco. Se anche norme e istituti già presenti nel contratto per lo stabilimento campano della Fiat entreranno in quello per Mirafiori, saranno differenti il valore e il significato del documento. La fabbrica torinese rappresenta, dal punto di vista storico, il volto pubblico della Fiat e un accordo valido per lo stabilimento in cui, il 5 agosto 1971, fu siglato il contratto divenuto poi, per molti anni, la pietra angolare delle relazioni industriali all'interno del gruppo, è chiamato a costituire un paradigma. Difficile dunque non considerare la sua portata e i suoi effetti. A Mirafiori per la prima volta saranno utilizzati, per la definizione della cornice di regole contrattuali che servirà a governare la fabbrica, dei criteri che tengono conto di standard competitivi internazionali, come internazionale è il metodo del World Class Manufacturing, la nuova organizzazione del lavoro che verrà introdotta nella produzione Fiat (e di cui finora si è parlato troppo poco). Le relazioni industriali, pur declinate all'interno di differenti sistemi giuridici e sindacali, dovranno avere un nucleo comune, tale da corrispondere a un assetto organizzativo che permetterà di misurare i livelli di efficienza delle unità produttive del nuovo gruppo automobilistico derivante dall'alleanza tra Fiat e Chrysler. Nella visione di Sergio Marchionne, è evidente che ciò che conta è proprio la creazione di questa base produttiva omogenea, retta da standard internazionali, con cui l'involucro delle relazioni industriali non può essere in contraddizione. In questo senso, il World Class Manufacturing implica modelli di comportamento sindacale meno difformi ed eterogenei di quanto siano stati fino adesso. Il nodo fondamentale consiste nella responsabilità dell'organizzazione sindacale rispetto alla piena funzionalità operativa della fabbrica. Lo scontro sul contratto Le controversie che da sei mesi fanno da sfondo al confronto prima su Pomigliano e in seguito su Mirafiori si sono appuntate soprattutto tra lo scarto esistente fra le norme che la Fiat vuole introdurre nei suoi contratti di stabilimento e la struttura del contratto nazionale di categoria dei metalmeccanici. Un divario valutato dalla Fiom-Cgil come una sottrazione di diritti e una lesione della tradizione sindacale italiana. Specularmente opposta l'ottica dell'azienda, che muove dalla richiesta di rispettare le esigenze produttive, in modo da assicurare una pronta risposta alle variazioni della domanda di mercato. È chiaro, a questo punto, che il vincolo globale non può che prevalere, con la forza naturale delle cose. Ma il sindacato italiano, nel suo complesso, compirebbe un errore se non scegliesse di misurarsi con la nuova prospettiva delle relazioni industriali che sta emergendo a Mirafiori. Anzitutto, perché un sindacato industriale non può evitare di calibrare le sue politiche sulla globalizzazione e, da questa angolatura, l'esperienza Fiat può servire, come già è avvenuto in passato, per mettere a fuoco problemi importanti anche per le altre componenti dell'industria italiana. In secondo luogo, perché Mirafiori rimette al centro dell'azione sindacale la questione dell'organizzazione del lavoro, un cavallo di battaglia del sindacato di un tempo, caduto troppo a lungo nel disuso. È come se le organizzazioni dei lavoratori avessero deciso di rinunciare a un patrimonio di esperienze che era stato una volta il nocciolo vitale delle loro politiche contrattuali sul luogo di lavoro. Certo, le condizioni sono mutate e i problemi della produttività non possono più essere elusi, ma dalla ripresa di questi temi in una nuova chiave il sindacato italiano non ha che da guadagnare, specie per quanto riguarda lo sviluppo della propria capacità di rappresentanza e di contrattazione. Tornare a discutere di produttività, salari e nuovi sistemi di orario non può che far bene a un mondo sindacale isterilito da procedure centralistiche sorrette per troppo tempo da un rimando rituale alla concertazione. Il decentramento negoziale, spesso evocato senza poi tradursi in pratica anche per il dilagare della crisi, può quindi essere posto alla prova nei suoi contenuti qualificanti, che attengono alla produzione della ricchezza e non solo alla sua ridistribuzione. A Mirafiori la Fiat ha sfidato ancora una volta i sindacati. Ma, anche in questa occasione come nelle precedenti, li sollecita di fatto a ripensare al loro modo d'essere, alle forme della tutela dei lavoratori che esercitano, a come far valere nel vivo dei processi contrattuali la loro rappresentatività. A rilanciare il mestiere sindacale nell'età della globalizzazione.
2010-12-19 Stretta finale per salvare l'investimento Giorgio PogliottiCronologia articolo19 dicembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 19 dicembre 2010 alle ore 08:12. ROMA L'investimento Fiat per Mirafiori è in bilico: la settimana prossima sarà decisiva per capire se è possibile raggiungere un'intesa. Entro Natale, al più tardi entro la fine dell'anno, è stata fissata la scadenza dall'ad Sergio Marchionne per la verifica sulla governabilità degli stabilimenti italiani. L'attenzione è rivolta all'incontro di domani che si terrà alle 14 tra Federmeccanica, Fiat, con Fim, Uilm, Fismic e Uglm (non la Fiom che non ha firmato il contratto del 2009) per attivare la commissione paritetica nazionale che dovrà individuare norme specifiche per il settore auto. Altre indicazioni potranno arrivare martedì dallo stesso Marchionne che, rientrato dagli Usa, sarà a Torino per un brindisi con le maestranze. Si riprende a trattare, dunque, dopo la rottura consumata lo scorso 3 dicembre al tavolo tra sindacati e Fiat che sollecita un contratto specifico per l'impianto di Mirafiori – dove verrà costituita una Newco per la joint venture con gli americani di Chrysler – destinato alla produzione di auto e Suv di classe superiore. La richiesta di Fiat è stata respinta da Fim e Uilm, convinte che le deroghe concordate con Federmeccanica all'interno del contratto nazionale potessero bastare per rendere esigibili le richieste di Fiat. Ma con il trascorrere delle settimane è aumentata la preoccupazione dei leader sindacali che possa saltare l'investimento da 1 miliardo annunciato per Mirafiori, e si sono sparse voci sulla presunta volontà di soci internazionali di fare marcia indietro. L'investimento rappresenta la salvezza per Mirafiori, essendo prevista l'uscita di produzione tra il 2010 e il 2011 di tutti i modelli, fatta eccezione per l'alfa Mito. Così dalla scorsa settimana è cresciuto il pressing dei leader di Cisl e Uil, affinchè si raggiunga presto un'intesa. Ieri Raffaele Bonanni si è fatto portavoce di queste preoccupazioni: "Non vorrei che si scambiassero lucciole per lanterne – ha detto il numero uno della Cisl–, la prima questione è l'investimento e la Cisl ha già dimostrato a Pomigliano che siamo per questa logica. Ma lo stesso Marchionne deve anche riuscire a capire che c'è lui, ci sono i sindacati, c'è Confindustria e c'è una comunità che vuole essere rassicurata: ci vuole più equilibrio". Preoccupato anche Rocco Palombella (Uilm): "L'investimento è appeso ad un filo sottile, da lunedì lavoreremo per individuare una cornice ad hoc, come chiesto da Fiat. Per una fase transitoria un contratto aziendale potrebbe recepire le intese, nel frattempo si potrebbe lavorare ad una disciplina specifica all'interno del contratto nazionale".
Il silenzio alla Quinta Porta di Mirafiori di Paolo BriccoCronologia articolo19 dicembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 19 dicembre 2010 alle ore 08:10. Prima, a inizio settimana, ecco il tam tam soffocato nella culla di una manifestazione dei capi Fiat pro Marchionne che, fatte le debite proporzioni, avrebbe avuto la stessa funzione della marcia dei quarantamila del 1980: stop con gli antagonismi, si torna a lavorare forti del miliardo di euro per Mirafiori accettando fino in fondo la sfida della globalizzazione che nei prossimi anni imporrà una dura selezione nelle case produttrici. Poi, sabato, il flop del presidio della Fiom alla porta cinque di Mirafiori. Nemmeno mille partecipanti. Tanto che, per assenza del "minimo sindacale", nessuno si è sognato di trasformarlo in un corteo che arrivasse al Lingotto. Alla porta cinque sono mancati i cittadini comuni. La Fiom-Cgil torinese ci sperava. Anche perché una adesione massiccia avrebbe rafforzato, dentro alla Fiom nazionale, la sua posizione: non solo polemica con il manager italo-canadese, ma anche una serie di distinzioni che la avvicinano al segretario generale della Cgil Susanna Camusso e la distanziano dal presidente del Comitato centrale della Fiom Giorgio Cremaschi (il segretario subalpino Federico Bellono: "Non c'è un veto pregiudiziale all'ipotesi di una newco"). Le strade di Torino, invece, sono rimaste deserte. Oggi chi viene allo scoperto e si schiera, a favore o contro Marchionne non importa, rappresenta una minoranza. Prevale una maggioranza silenziosa a Mirafiori, il luogo simbolo della grande impresa che ha ancora 14mila dipendenti, e in tutta la città che è stata la capitale dell'industria italiana e del suo industrialismo, inteso come crogiolo di cultura produttiva, sapienza tecnica e codici culturali. Forse una spiegazione a questa indifferenza va ricercata nella rapida riduzione del corpo industriale della Fiat e nella terziarizzazione di Torino: un passaggio ai servizi che porta a minore ricchezza, fa perdere identità e disgrega la coesione sociale. Un fenomeno da tenere sotto osservazione in una Italia che non può rinunciare alla sua specializzazione manifatturiera (nelle grandi come nelle piccole fabbriche) e che la prossima settimana, con il tavolo sull'auto di lunedì e il discorso di Natale di Marchionne ai dirigenti di martedì, si giocherà un pezzo del suo futuro.
Intervista Federico Bellono: "Dico sì alla Newco se non lede i diritti" Cronologia articolo19 dicembre 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 19 dicembre 2010 alle ore 14:28. * * * * "Non esiste alcuna pregiudiziale verso la newco". Federico Bellono, il segretario della Fiom-Cgil di Torino che ha preso il posto del leader storico Giorgio Airaudo ora responsabile nazionale dell'auto, scandisce bene queste parole conversando con Il Sole 24 Ore ai cancelli dell'ingresso 5 di Mirafiori.
Cosa intende quando sottolinea che non c'è una pregiudiziale verso la newco? Intendo che il problema è di contenuti. Certo, se la newco di Mirafiori dovesse assomigliare a quella di Pomigliano, è chiaro che saremmo contrari. Ma, sulla figura giuridica, non possiamo incartarci. Dipende dal progetto industriale. Il salvataggio di parte della Pininfarina tramite la cessione all'imprenditore Rossignolo è ben avvenuto tramite una newco. In qualche maniera la Fiom torinese, per quanto faccia parte della maggioranza landiniana, si distingue dalla posizione di Cremaschi che dice no per definizione alla newco e si avvicina a quella della Camusso. Non cadiamo in ideologismi e in distinzioni che, al di fuori del nostro sindacato, interessano a poche persone. Siamo pragmatici. Dipende da quello che viene messo nella newco. Se newco significa meno diritti, è evidente che diciamo no anche noi. E, per ora, la nuova società Fiat-Chrysler sembrerebbe avere il profilo di Pomigliano. Ecco che non ci sta bene. Quali sono le condizioni per cui aprireste un dialogo sulla newco? Il rispetto dei contratti nazionali e degli accordi integrativi. Non si può scaricare il bisogno di competitività sui lavoratori erodendo i loro diritti e i loro salari. Questo deve essere chiaro. Dentro questo schema siamo disponibili a tornare a discutere di organizzazione del lavoro. Un argomento di cui abbiamo parlato tutti troppo poco. Sì, però qualunque cambiamento organizzativo va inserito in una cornice di relazioni industriali che per voi della Fiom sembrerebbero intangibili. Non è vero. Per quanto mi riguarda l'importante è che la cornice dei diritti sia ben salda. E Marchionne finora ha mandato in tutte le salse il messaggio che, lui, questa cornice vuole romperla. Però, va ben chiarito che, all'interno di questa cornice, si possono operare dei cambiamenti in grado di consentire la conciliazione del rispetto dei lavoratori e l'acquisizione di una maggiore competitività per l'impresa. Fino a mettere in discussione il contratto nazionale? Quello naturalmente no. Però, certo, per l'auto ci sono almeno due ipotesi che, a mio avviso, sono state poco considerate. E finora è stato un errore. In primo luogo, per l'auto si potrebbe prospettare un trattamento simile a quello della siderurgia: il contratto nazionale dei metalmeccanici da modificare inserendo una serie di capitoli pensati apposta per l'automotive. Oppure si potrebbe mantenere il contratto nazionale dei metalmeccanici e poi avere un contratto di secondo livello pensato per l'auto. Senza ipocrisie: sapendo che quest'ultimo sarebbe tagliato sulle esigenze della Fiat. Bellono, oggi ai cancelli ottocento-mille manifestanti erano un po' pochi. Non sono d'accordo. Abbiamo indetto il presidio tre giorni fa. Non abbiamo avuto il tempo per organizzare una iniziativa che, comunque, ha visto la partecipazione anche di molti operai non iscritti alla Fiom. Inoltre, da metà settimana la Carrozzeria di Mirafiori si è svuotata per la cassintegrazione. Certo, non potevamo con questo numero fare il corteo nelle vie della città fino al Lingotto. Però, il dato politico è che, giocando in anticipo, siamo riusciti a stoppare la marcia degli impiegati e dei dirigenti che, con un tam tam sotterraneo, qualcuno avrebbe voluto organizzare. Li abbiamo brucia
2010-12-18 Fiom conclude il presidio con centinaia di persone, nessuna contromanifestazione Cronologia articolo18 dicembre 2010Commenta Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2010 alle ore 12:18. ato il presidio della Fiom davanti alla porta 5 dello stabilimento Fiat di Mirafiori. Per i rappresentanti sindacali hanno partecipato un migliaio di persone, 700 per la questura. A differenza di quanto auspicato o previsto da alcune voci, davanti al Lingotto non si è svolta nessuna manifestazione in favore di un accordo tra Fiat e sindacati. Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom, commenta: "Non si può agitare lo spettro della marcia dei quarantamila. Servirebbe esattamente l'opposto: se ci fosse un'opinione pubblica capace di mobilitarsi, anche la Fiat dovrebbe tenerne conto". La Fiom ha annunciato che sono state raccolte 2.780 firme (su un totale di 5.500 dipendenti) per la petizione contraria un accordo sulla base del modello di Pomigliano ma favorevole all'investimento. "Se le mettessero in fila - dicono i promotori - sarebbero lunghe più di cento metri". Duro Paolo Ferrero (Rifondazione comunista) "Quello di Marchionne è un ricatto mafioso". Questa è l'opinione di Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista, presente al presidio. "Marchionne - dice Ferrero - non sta facendo il lavoro di un imprenditore: ha una impresa garantita negli Stati Uniti con Obama e nei mercati emergenti, ma usa la Fiat come una clava per demolire i diritti dei lavoratori". Secondo Ferrero,"Marchionne gioca a poker: dice 'O va come dico io oppure chiudò, è la strategia di un ricattatore". "Marchionne - sottolinea Ferrero - non sta difendendo la vita della Fiat, nessun produttore europeo lavora nelle condizioni in cui punta l'ad di Fiat". "Il suo obiettivo - prosegue - è di peggiore le condizioni dei lavoratori smontando il sistema contrattuale italiano. O lo si ferma, o bisogna nazionalizzare la Fiat acquistandola a un euro. È l'unico modo per salvare i posti di lavoro". "Una squadra è in campo, l'altra per adesso è rimasta negli spogliatoi" "Una squadra è in campo, l'altra per adesso è rimasta negli spogliatoi", ha proseguito Airaudo. "È necessario - dice Airaudo - che riprenda una trattativa vera che dia un futuro a Mirafiori e che permetta di uscire rapidamente dalla cassa integrazione, perchè siamo di fronte a un anno che sarà ancora durissimo". "Non si può - aggiunge - replicare il modello di Pomigliano pensando di impoverire i lavoratori e riducendo le libertà di associazione sindacale". "Siamo pronti - sottolinea il segretario Fiom - a fare le auto, però vorremmo conoscere per intero il piano industriale della Fiat: basta giocare a nascondino con i lavoratori, che non sono bambini e non vanno sgridati. Sono uomini e donne - conclude - che lavorano e chiedono impegni e sicurezza per il loro futuro". "Non diamo per scontato che Fiat possa andare via da Termini Imerese" "Non diamo per scontato che la Fiat possa andare via da Termini Imerese. È vero, l'ha dichiarato ed è nel suo programma che lascerà il sito siciliano nel 2011, ma la Fiat deve fare la sua parte e non può andar via dalla sera alla mattina, lasciando ad altri il compito di risolvere problemi che sono anche del Lingotto. L'azienda deve essere parte attiva nel trovare soluzioni: si chiama responsabilità sociale dell'impresa". Ha detto invece a Termini Imerese il segretario della Fiom Maurizio Landini. "Noi pensiamo che si è perso troppo tempo - ha aggiunto - Dall'incontro di martedì prossimo, dove saranno illustrate le sette proposte giunte per Termini Imerese si deva aprire una fase nuova e verificare che esistano nuove attività che gfarantiscanop una prospettiva industriale e occupazionale di 2.000 lavoratori della Fiat e del Lindotto". "La Fiat - ha concluso Landini - non può semplicemente decidere di chiudere e andarsene". L'opinione di Piero Fassino "Non bisogna rassegnarsi. Bisogna, invece creare le condizioni per individuare un percorso che consenta un accordo, che permetta alla Fiat di realizzare l'investimento e al tempo stesso salvaguardi le condizioni e i diritti fondamentali dei lavoratori". Questa è l'opinione di Piero Fassino in merito allo stop della trattativa sul piano di rilancio di Mirafiori espressa a margine dell'assemblea provinciale del Pd Torino nel corso della quale ha sciolto le riserve sulla sua discesa in campo per le primarie che individueranno il candidato sindaco del centro sinistra a Torino. "Naturalmente - ha aggiunto Fassino - si tratta di un percorso stretto e non agevole, ma non impossibile. Credo che sia responsabilità del Governo e dell'insieme delle forze politiche incoraggiare le parti a creare condizioni favorevoli all'accordo". Gli imprenditori con Marchionne: ha ragione il mondo accelera, difficile competere senza svolte (di Paolo Bricco)
Su Torino il fantasma della marcia dei 40mila Paolo BriccoCronologia articolo18 dicembre 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2010 alle ore 08:13. * * * *
TORINO. Dal nostro inviato In una città barocca nelle architetture e scura per l'inverno, con un passato sempre un po' monarchico nelle istituzioni politiche e nel potere industriale, le memorie del Novecento e le attese per il XXI secolo si mescolano come riverberi sul Po. Dopo la rottura fra Fiat e sindacati su Mirafiori, tanti, dalle case popolari di Falchera ai club dei gentlemen in piazza San Carlo si chiedono se Marchionne deciderà davvero di smontare, un pezzo alla volta, il più antico palcoscenico industriale italiano. E mentre al centro si fa shopping tanti parlano, pur col garbo riservato dei sabaudi, dell'ultimo fantasma della marcia dei quarantamila del 1980, quando i dirigenti e i quadri scesero in piazza sancendo la fine dell'occupazione della fabbrica e la sconfitta del sindacato. E, da lunedì, in fabbrica e in città girano voci su una nuova manifestazione dei dirigenti e dei quadri, stavolta a favore del piano di investimento di Marchionne. Tutti, dall'azienda alle associazioni dei capi e dei quadri Fiat, le hanno però fin qui smentite, ombre elusive di fine autunno. "Un ragionamento magari qualcuno l'avrà fatto - riflette Nanni Tosco, segretario della Cisl di Torino - ma, che io sappia, non ha portato a nulla". Aggiunge Roberto Di Maulo, segretario del Fismic: "Sms sono girati sui telefonini degli addetti alla Carrozzeria, però non è mai stato chiaro il mittente. E, in ogni caso, ogni tentativo è per ora caduto". Per contrastare subito queste voci la Fiom ha organizzato per questa mattina, alle 9,30, alla porta cinque di Mirafiori un contro-presidio. "Non credo che ci sarà una manifestazione pro-Marchionne. Forse qualcosa di spontaneo. Ma nulla di organizzato", dice Maurizio Magnabosco, a lungo capo del personale di Fiat Auto e "papà" di Melfi, uomo legato a Umberto Agnelli e oggi a capo dell'Amiat, la società di gestione dei rifiuti del Comune di Torino. Ma se ci fosse la marcia dei quarantamila dell'era informatica, lei parteciperebbe? "No. Perché Marchionne ha ragione su tutta la linea ma serve la trattativa per risolvere il problema". E, così, in una Torino più umida del solito che attende martedì il ritorno del manager italo-canadese dagli Stati Uniti in occasione del discorso di Natale ai dirigenti, prende forma una doppia reazione, davvero molto torinese nel Dna: ragione nella sostanza a Marchionne, dubbi sottovoce per lo stile, nuovo per la felpata tradizione italiana delle relazioni industriali e della rappresentanza. "Bisogna fare tutto il possibile - dice il presidente dell'Unione industriale di Torino, Gianfranco Carbonato - perché la Fiat confermi l'investimento. Se serve un contratto ad hoc come Pomigliano, bene. Però, non è consigliabile fare per ogni stabilimento un contratto diverso. Serve un accordo quadro per l'auto". Una posizione espressa in modo originale ieri, in una lettera al Foglio di Giuliano Ferrara, da un'altra piemontese, la presidente di Confindustria Cuneo Nicoletta Miroglio, che ha risposto a una intervista molto critica verso il sistema della rappresentanza di Carlo Callieri, ex capo delle relazioni industriali della Fiat con Cesare Romiti ma anche, dal 1992 al 1996, vicepresidente di Viale dell'Astronomia. "Se oggi Confindustria può vantare un rapporto di collaborazione serena e fattiva con le forze sindacali e in primo luogo con la Cisl di Bonanni e la Uil di Angeletti - ha scritto la Miroglio riferendosi all'impegno di Emma Marcegaglia - è soprattutto merito del suo paziente lavoro di cucitura di rapporti, basato sulla reciproca stima. Mi sorprendo che tutto questo lavoro possa essere definito da Callieri una "fuffa associativa"". E, aggiunge l'imprenditrice che siede anche nel cda del Sole: "Se si segue questa strada, i complessi problemi della grande Fiat finiranno per ricadere sulla presidenza di Confindustria, che ha il merito di avere voluto gestire fin dall'inizio una vicenda stravolgente. Esito pericoloso. Per Confindustria. Ma anche per la Fiat". Una parte consistente della base imprenditoriale appoggia, senza distinguo, Marchionne. "Marchionne ha ragione, punto e basta. Ha dimostrato con i risultati che si può partire da un'azienda decotta, risanarla e lanciarla nel mondo. Torino ha comperato Detroit", dice con entusiasmo Sergio Signori, titolare della Aspotec di Pinerolo (stampaggio di lamiere, undici addetti e un fatturato pari a 1,7 milioni di euro). "Lui - continua Signori - sta facendo moltissimo. É il sistema paese, politica inclusa, che non gli sta dietro. Non soltanto i sindacati più antagonisti. Mica è colpa sua. Noi siamo tutti con lui". Nello stato d'animo della comunità piemontese, c'è quasi un senso di sospensione per quanto sta per accadere. "Mi auguro che nessuno faccia una manifestazione spontanea in opposizione a quella della Fiom - dice a questo proposito Carbonato - perché, in questa fase, qualunque forma di radicalizzazione sarebbe inopportuna". Fra oggi e martedì prossimo, comunque, si appurerà se qualcuno in maniera spontanea vorrà manifestare il suo appoggio a Marchionne. "Anche se - osserva Luciano Pregnolato, nel 1980 leader della "mitica" Quinta Lega sindacale di Mirafiori - al massimo un ipotetico parallelismo sarebbe non con la marcia dei quarantamila, ma con il corteo di giugno a Pomigliano". Intanto, al di là dei fantasmi del passato, corre la diplomazia cittadina. Nei giorni scorsi le Rsu di Fim, Uilm e Fismic hanno domandato in forma riservata a Sergio Chiamparino, che ha manifestato più di un assenso convinto all'operato del manager italocanadese in questi ultimi tempi ("una sfida da accettare, quella di Marchionne"), di prendere in mano il bandolo della matassa. Per esempio, con un dibattito pubblico. La richiesta è poi caduta. Il sindaco è però pronto a tornarci sopra. "Se una mia iniziativa servisse a ricomporre il quadro - spiega Chiamparino - sarei disponibile a farla anche il giorno di Natale. Però, dovrebbe essere qualcosa di inclusivo, che coinvolga anche la Fiom". In qualche maniera, dunque, si stanno creando le condizioni perché il primo cittadino, che sa anche quanto la vicenda Mirafiori possa contare nella sua corsa alla segreteria del Partito Democratico, attivi un dialogo con la Fiom torinese che, con Giorgio Airaudo, prova a distinguersi dall'egemonia psicologica di Cremaschi su Landini e ad avvicinarsi alla linea di Susanna Camusso non ponendo un niet pregiudiziale all'ipotesi di una newco per Mirafiori. "Anche se - osserva Tosco della Cisl - quella netta distinzione della Fiom Cgil di Torino è durata poco. Alla fine della fiera, noi vogliamo firmare. E loro?". Intanto, tutti aspettano il ritorno di Marchionne dagli Stati Uniti. "Alla fin fine - riflette Magnabosco - Marchionne vuole fare la stessa cosa che ho fatto io a Melfi. Lui propone una newco con Chrysler. Io, per Melfi, ho costituito una società a parte che non doveva applicare gli integrativi Fiat. Ogni Uno che usciva dallo stabilimento costava centomila lire in meno: una enormità". E, così, quasi fosse il protagonista venuto da fuori di "A che punto è la notte", Marchionne riesce a creare un senso di attesa e a scompaginare le geometrie preordinate, ripetitive e misteriose dell'immobilismo della Torino immobile, in fondo ancora novecentesca, dei romanzi di Fruttero e Lucentini. © RIPRODUZIONE RISERVATA I PROTAGONISTI DEL TERRITORIO Maurizio Magnabosco Ex capo del personale di Fiat Auto Sergio Chiamparino Sindaco di Torino Gianfranco Carbonato Presidente Unione Industriale Giorgio Airaudo Responsabile settore auto della Fiom Nicoletta Miroglio Presidente Confindustria Cuneo Nanni Tosco Segretario della Cisl di Torino p Il sindaco è pronto a organizzare un incontro pubblico anche nel giorno di Natale se ciò favorisse un possibile accordo p L'ex dirigente Fiat non ritiene possibile un'azione organizzata pro-Marchionne. "In ogni caso – spiega – è la trattativa la via per risolvere il problema" p Per l'imprenditore l'investimento del Lingotto va confermato, per questo è utile un contratto quadro dedicato al settore auto p Tra le speranze di chi punta all'accordo, vi è quella di trovare nella Fiom torinese una sponda più "pragmatica" rispetto alla linea di Landini p Replica a Callieri: l'impegno di Confindustria garantisce rapporti sereni con gli altri sindacati: "Non si può dire che si tratta di fuffa associativa" p Il sindacato resta diviso sulle prospettive. Fim, Uilm e Fismic partecipano lunedì al tavolo Federmeccanica sull'auto, assente la Fiom
Pressing su Marchionne Attilio GeroniCronologia articolo18 dicembre 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2010 alle ore 08:13. * * * *
MILANO I sindacati duellano sul futuro delle relazioni industriali in Italia, sottoposte all'"uragano Marchionne", e il governo preme sulla Fiat affinché le promesse d'investimento diventino impegni concreti. È, secondo il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani, la migliore moneta di scambio tra occupazione e flessibilità. Una flessibilità alla tedesca, evidentemente, e non alla cinese o messicana, come sembra essere portata a credere la Fiom, che oggi davanti ai cancelli di Mirafiori ha organizzato un presidio contro il ritorno della cassa integrazione alle carrozzerie e alle presse dello stabilimento. Romani si è detto ieri convinto "che Fiat abbia intenzione di mantenere le promesse rispetto agli investimenti, alle piattaforme che intende portare in Italia, spalmate sui siti che già esistono, ad eccezione di Termini Imerese su cui stiamo trovando una soluzione". La moral suasion governativa si è accompagnata al riconoscimento del ruolo catalizzatore che l'amministratore delegato del gruppo automobilistico sta giocando nella ridefinizione dei rapporti sindacali nell'industria. Romani auspica che tali relazioni rinnovate, "come Marchionne ha in testa, possano rappresentare un punto di partenza e non un punto di conflitto perché questo investimento avvenga". L'obiettivo ultimo del governo, ha continuato il ministro, è che l'Italia resti un grande paese manifatturiero, com'è oggi, secondo in Europa soltanto alla Germania. Da parte della Fiom, ieri, non vi è stato alcun segnale di distensione. Polemica aspra con Raffaele Bonanni della Cisl, definito da Giorgio Cremaschi, presidente del comitato centrale della sigla metalmeccanica di Cgil, "complice di un attacco alla democrazia"; presidio previsto da stamattina ai cancelli di Mirafiori contro la cassa integrazione: stop del lavoro tra gennaio e febbraio alle carrozzerie sulle linee della Musa e della Idea e alle presse tra la fine del mese e gennaio. Resta molta incertezza invece sulla possibile manifestazione pro-Marchionne, sempre oggi a Torino, vista da molti come la possibile replica della marcia dei 40mila, nell'ottobre 1980, atto storico con cui Fiat fece breccia nel sindacato (si veda l'articolo a fianco).
2010-12-11 Newco Mirafiori fuori da Confindustria. Marcegaglia: un contratto solo per l'auto Cronologia articolo10 dicembre 2010Commenti (2) Questo articolo è stato pubblicato il 10 dicembre 2010 alle ore 13:54. "Per la Fiat questa joint venture con Chrysler, se va avanti, non deve far parte di Confindustria". Lo ha detto l'ad di Fiat, Sergio Marchionne parlando con i cronisti a New York. E lo ha indicato anche il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia: "La newco di Mirafiori tra Fiat e Chrysler nasce fuori da Confindustria. Lavoriamo da oggi - ha aggiunto - Confindustria, Fiat e Federmeccanica per fare un contratto auto in linea con le esigenze di Fiat. Appena ci sarà Fiat rientrerà in Confindustria". Sui tempi il numero uno di Confindustria ha indicato primavera come un obiettivo plausibile. Marcegaglia: il contratto nazionale rimarrà II percorso che Fiat e Confindustria stanno avviando per un contratto per il settore auto ha precisato il numero uno di Confindustia "in passato lo abbiamo fatto per la siderurgia, domani se ce lo chiederà qualche altro settore lo faremo, sempre nell'ambito comunque del contratto nazionale: chi dice che noi stiamo distruggendo insieme a Fiat, o spinti da Fiat, il contratto nazionale dice qualcosa che non é assolutamente vero, il contratto rimarrà". Aperture dalla Cisl, Fiom sul piede di guerra Sulla questione di un contratto per l'auto intento si registrano le prime aperture da parte del sindacato. Giuseppe Farina, segretario generale Fim Cisl, ha "confermato in ogni caso l'interesse ad approfondire il tema". Al momento, di contratto dell'auto ne hanno parlato Fiat e Confindustria: su questo non abbiamo cambiato opinione, continuiamo a ritenerla una scelta non necessaria per portare avanti il Progetto Fabbrica Italia, e tuttavia per realizzarlo c'é bisogno anche del consenso del sindacato". Netta invece la chiusura della Fiom. Durissimo il commento di Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato Centrale della Fiom: "Quello della signora Marcegaglia è un atto di sudditanza tale che dovrebbe fare indignare non solo i sindacati e i lavoratori, ma anche gli industriali. Ha deciso di sciogliere la Confindustria". E poi ha aggiunto: "In ogni caso per noi comincia la guerra totale a Marchionne". Marchionne: non si possono fermare gli investimenti Interrogato sulla tempistica su un'eventuale uscita e poi rientro nell'associazione di viale dell'Astronomia, Marchionne ha risposto che "la macchina deve stare nel mercato nel 2012. I conti alla rovescia siamo bravi tutti a farli" ma la necessità dell'azienda è di "lavorare e sviluppare" i modelli. Quanto all'ipotesi della creazione di una federazione dell'industria automobilistica, il numero uno di Fiat ha detto che potrebbe essere la soluzione, almeno temporanea, per i rapporti tra il Lingotto e Confindustria. Dopo tre giorni di indiscrezioni di ogni genere, la soluzione al contenzioso che si era aperto anche fra Fiat e Confidustria al momento della rottura tra Fiat e sindacato della settimana scorsa è stata trovata rapidamente: "Ci è bastata una mezz'ora per definire l'intesa – ha detto ancora Marcegaglia – la verità è che ci sono troppe regole e burocrazie che alla fine non aiutano la crescita ed è su questo, sulla crescita che ci dobbiamo concentrare". Il tema crescita e competitività del resto ha dominato le riunioni di ieri del Council for United States and Italy che si sono tenute in mattina a New York proprio sotto la presidenza di Sergio Marchionne e di David Heleniak. Durante il dibattito sono emerse critiche per le rigidità e per la mancanza di crescita in Italia. Lo stesso Marchionne, a un certo punto del dibattito, ha chiesto alla Marcegaglia che cosa avrebbe scelto se avesse avuto una bacchetta magica per migliorare le cose: "Intanto ridurre del 50% almeno la burocrazia, poi destinare il 2% del Pil all'investimento, infine vorrei un'aliquota fiscale per le aziende, oggi del 68%, simile a quella tedesca che è a venti punti in meno". È dunque in questo contesto difficile, in cui la concorrenza globale ci tiene il fiato sul collo, che occorre chiedersi quale sarà la reazione dei lavoratori a questo nuovo approccio deciso da Marchionne e Marcegaglia: "Penso che sarà positiva, c'è la volontà di rafforzare la produzione in Italia nel momento in cui l'economia non va bene e c'è la volontà di gestire in modo serio gli stabilimenti senza nessuna lesione dei diritti nelle richieste fatte dalla Fiat" ha detto Marcegaglia. Marchionne ha anticipato di aver saputo di una raccolta di 2.500 firme fra i lavoratori Fiat, ma se certi atteggiamenti oltranzisti resteranno, allora "l'investimento andrà da un'altra parte" e l'indicazione dei responsabili che tengono in ostaggio non solo la Fiat ma l'intero processo di sviluppo in Italia per Marchionne è chiarissma: "Chi fa dichiarazioni all'impazzata è la Fiom. Ovviamente hanno un punto di vista che cercano di portare avanti e che io non condivido minimamente, zero. Penso che l'intransigenza che abbiamo visto fino ad ora andrà a bloccare lo sviluppo del Paese". mplatero@ilsole24ore.us
2010-12-10 Marchionne e Marcegaglia: la newco con Chrysler nasce fuori da Confindustria Cronologia articolo10 dicembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 10 dicembre 2010 alle ore 13:54. "Per la Fiat questa joint venture con Chrysler, se va avanti, non deve far parte di Confindustria". Lo ha detto l'ad di Fiat, Sergio Marchionne parlando con i cronisti a New York. E lo ha indicato anche il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia: "La newco di Mirafiori tra Fiat e Chrysler nasce fuori da Confindustria. Lavoriamo da oggi - ha aggiunto - Confindustria, Fiat e Federmeccanica per fare un contratto auto in linea con le esigenze di Fiat. Appena ci sarà Fiat rientrerà in Confindustria". Le richieste di Fiat, ha spiegato Marcegaglia "non sono folli, non sono una lesione di diritto". Marchionne ha poi risposto ad una domanda sul colloquio che ha avuto nella tarda serata newyorkese di ieri con la Marcegaglia. "Ieri sera - ha detto - abbiamo parlato di tutto. Questo è il risultato delle discussioni di stanotte con lei". Marchionne: non si possono fermare gli investimenti "Può darsi che sia la soluzione giusta". Così l'ad di Fiat, Sergio Marchionne ha risposto ai cronisti che gli chiedono se la creazione di Federauto, una federazione dell'industria automobilistica, potrebbe essere la soluzione, almeno temporanea, per i rapporti tra il Lingotto e Confindustria. "Comunque - ha aggiunto Marchionne - aspettiamo loro. Quando sono pronti entriamo. Non si possono fermare gli investimenti. Non posso aspettare. La macchina mi serve". Interrogato sulla tempistica su un'eventuale uscita e poi rientro nell'associazione di viale dell'Astronomia, Marchionne ha risposto che "la macchina deve stare nel mercato nel 2012. I conti alla rovescia siamo bravi tutti a farli" ma la necessità dell'azienda è di "lavorare e sviluppare" i modelli. Senza intesa no investimenti Senza un accordo "l'investimento non si fa. Ci sono tantissimi siti produttivi, la Fiat è un grande gruppo con 240 mila dipendenti di cui meno di un terzo in Italia". Marchionne ha poi ribadito che la mancanza di un accordo "sarebbe un grandissimo dispiacere".
2010-12-03 Fiat potrebbe salire al 51% di Chrysler prima del 2013. Salta la trattativa per Mirafiori di Andrea MalanCronologia articolo3 dicembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2010 alle ore 15:34. Salta la trattativa tra Fiat e sindacati per Mirafiori: non ci sono le condizioni per proseguire Fiat potrebbe salire al 51% di Chrysler (e successivamente fondersi con l'azienda americana) molto prima di quanto previsto finora. Lo scenario, evocato da un report della Barclays Bank, è reso possibile da una serie di clausole del cosiddetto Operating Agreement di Chrysler Llc, un documento di 168 pagine che governa la gestione della nuova azienda (uscita dal Chapter 11) e i suoi rapporti con Fiat. Il punto chiave è quello alla Sezione 3.5b del documento, che prevede per Fiat la possibilità di anticipare l'esercizio delle opzioni per salire al 51% anche prima dell'Ipo di Chrysler, purché quest'ultima abbia restituito tutti i prestiti ricevuti dai governi di Usa e Canada; se l'acquisto delle quote avverrà prima dell'Ipo Fiat pagherà un multiplo dell'Ebitda di Chrysler; multiplo che non potrà in ogni caso essere superiore a quello di Fiat stessa (post scissione) – un'operazione più conveniente, probabilmente, che non acquistare dopo l'Ipo a prezzi di mercato. I dettagli dell'operazione Vediamo più in dettaglio come potrebbero andare le cose. In primo luogo, Fiat potrà salire dal 20% al 35% a costo zero al verificarsi di una serie di eventi legati alla collaborazione tra le due aziende;Sergio Marchionne prevede che i tre eventi si verifichino entro la fine del 2011, ma potrebbero andare in porto anche prima (vedi tabella); per ogni evento che non si sia verificato entro il gennaio 2013, peraltro, Fiat potrà comunque acquistare una partecipazione del 5% esercitando un primo diritto di call. Parallelamente, il Lingotto ha diritto di acquistare un altro 16% che la porterebbe fino al 51 per cento. Fiat può esercitare queste opzioni call dal gennaio 2013 al giugno 2016, o anche prima a partire dal momento in cui Chrysler avrà rimborsato integralmente i finanziamenti concessi dal governo Usa e del Canada (in ogni caso, prima di quest'ultimo evento Fiat non potrà possedere più del 49% del capitale di Chrysler). Nel corso dell'ultima conference call con gli analisti per i risultati del 3° trimestre 2010 di Chrysler, Marchionne ha detto che sta negoziando con le banche per nuovi finanziamenti che consentano di ridurre l'onere degli interessi (che su alcuni prestiti arriva al 20% annuo) e ha spiegato che conta di chiudere i negoziati verso la metà dell'anno. A quella data, quindi, potrebbe essere in condizione di restituire i fondi governativi e avere mano libera. Le convenienze del Lingotto Perché potrebbe convenire al Lingotto esercitare tutte le opzioni di acquisto e salire al 51% di Chrysler prima dell'Ipo? La spiegazione è nella norma contrattuale che regola il prezzo di acquisto delle azioni: tale prezzo sarà pari, in caso di acquisto prima dello sbarco a Wall Street, a un multiplo dell'Ebitda, più precisamente la media dei multipli di altre aziende automobilistiche, ma in ogni caso non eccedente il multiplo di Fiat. Nel caso in cui al momento dell'esercizio di queste opzioni call Chrysler sia una società quotata, invece, il prezzo sarà pari alla media dell'ultimo periodo di quotazione. L'analisi di Barclays Secondo gli analisti di Barclays, tra la prima ipotesi e la seconda ci sarebbe una differenza di 2 miliardi di euro. Il loro ragionamento parte dall'ipotesi che Fiat spa, dopo lo scorporo di camion e trattori, avrà un multiplo EV/Ebitda (il rapporto tra prezzo di Borsa e Mol) di 1,4, simile a quello di Peugeot, contro un'ipotesi di 4 per Chrysler (con uno sconto di 100punti base rispetto a Ford). Fiat, ipotizzano gli analisti, potrebbe abbassare ancora in proprio multiplo cedendo la Ferrari. Se l'acquisto pre-Ipo è conveniente per la Fiat, è in grado Sergio Marchionne di indirizzare gli eventi in questa direzione? Per accendere nuovi prestiti e rimborsare quelli pubblici Sergio Marchionne, numero uno sia di Fiat che di Chrysler, avrà bisogno dell'approvazione del consiglio d'amministrazione, dove Fiat ha tre membri su nove (che saliranno a quattro una volta raggiunto il 35%); gli serve dunque il vie libera dei sindacati o del Tesoro Usa. Ma il manager italo-canadese ha un'arma a suo vantaggio: se finora il ritorno in Borsa di Chrysler era stato ipotizzato per la fine del 2011, l'Operating Agreement dà a Fiat il diritto di posporre l'Ipo fino al 2013. È quindi perfettamente ipotizzabile un do ut des in cui gli azionisti pubblici acconsentano a una "salita" anticipata del Lingotto in cambio dell'Ipo che consentirebbe loro di cedere rapidamente le quote. Due anni impegnativi per Fiat In questo scenario, le cessioni di cui si è parlato nei giorni scorsi (Ipo di Ferrari, possibili vendite di Alfa Romeo e/o Magneti Marelli) sarebbero verosimilmente necessarie a finanziare l'acquisto delle azioni Chrysler addizionali: non dimentichiamo che i prossimi due anni saranno teoricamente i più impegnativi per Fiat dal punto di vista degli investimenti, proprio in un periodo che si annuncia difficile per il mercato dell'auto in Europa. Se questo scenario, per il momento "fanta", andasse in porto, Fiat e Chrysler potrebbero essere pronte per la fusione già nel 2012. Tra un mese Fiat sarà quotata in Borsa da sola: l'andamento delle azioni post-scorporo darà una prima indicazione di come la pensa il mercato.
Salta la trattativa per Mirafori. Fiat potrebbe salire al 51% di Chrysler prima del 2013 Cronologia articolo3 DICEMBRE 2010Commenti (8) Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2010 alle ore 13:12. Fiat potrebbe salire al 51% di Chrysler prima del 2013 (di Andrea Malan) Al termine di una riunione ristretta con i sindacati la Fiat "ha preso atto che non esistono le condizioni per raggiungere una intesa sul piano di rilancio dello stabilimento di Mirafiori". È quanto afferma in una dichiarazione lo stesso Lingotto. La trattativa sul piano per Mirafioriè dunque finita. A chiudere il confronto è stata la Fiat. I sindacati avevano infatti proposto di riprenderlo tra qualche giorno per poter valutare complessivamente le proposte della società. L'interruzione é avvenuta su un punto nodale, spiegano le fonti, vale a dire che "la cornice contrattuale della jv creata per Mirafiori nell'ultimo passaggio non prevede alcun riferimento all'accordo nazionale", il che ha spinto, non solo la Fiom, ma anche le altre sigle a "dover riconsiderare" la proposta. "La nostra priorità adesso - ha indicato un rappresentante della Fiom - é che da lunedì, con il rientro dei lavoratori dalla cassa integrazione, vengano organizzate assemblee e si informino i lavoratori". L'azienda ha detto, aggiungono le fonti, che "informerà l'a.d. del gruppo, Sergio Marchionne, di quanto accaduto, ma che al momento non esistono le condizioni per definire una nuova data di incontro. Non é per niente scontato che la trattativa possa riprendere". "Non sono stupito dalla piega che il confronto ha preso. Da Pomigliano diciamo che la Fiat vuole costruire un suo contratto aziendale al posto di quello nazionale. È stato un errore seguirli sulla strada delle modifiche contrattuali e delle deroghe". Lo afferma Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom, a proposito dell'andamento della trattativa su Mirafiori. "Vogliono un loro contratto e usare quello nazionale come un supermercato dai cui scaffali prendere di volta in volta quello che gli serve", aggiunge Airaudo. "La Fiat è la prima importante azienda italiana - conclude l'esponente della Fiom - che ci porta fuori dal contratto nazionale e dalle regole sociali ed europee. Una specie di zona franca". Secondo Eros Panicali (Uilm nazionale) l'investimento sullo stabilimento torinese di Mirafiori "deve essere fatto, si deve trovare una soluzione". "Noi - dice - non abbiamo interrotto la trattativa, avevamo chiesto alcuni giorni per fare una valutazione complessiva con i lavoratori e la risposta dell'Azienda, che non ci è piaciuta, è stata la presa d'atto che non ci sono le condizioni per fare l'investimento. Questo noi lo riteniamo inaccettabile". Panicali spiega: "Abbiamo sottoscritto un contratto nazionale, la Fiat vuole applicare un contratto fuori dal sistema contrattuale e noi, sottoscrittori di contratti nazionali, abbiamo qualche perplessità". Per la Cisl la rottura della trattativa sullo stabilimento Fiat di Mirafiori "è solo una sospensione del confronto. Non vengono certo da noi gli ostacoli e le difficoltà a concludere positivamente la trattativa". Lo ha dichiarato il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. "sperare che nel confronto in corso a Torino non vengano poste pregiudiziali o fatte 'sceneggiate' tipiche dei tavoli politici, ma prevalga invece - ha detto Bonanni - il senso di responsabilità e la necessità di portare avanti l`investimento nell`interesse della comunità torinese e del paese. Occorre sviscerare per la Cisl ogni aspetto pur di arrivare ad una soluzione condivisa dalla Fiat e dai sindacati". Dello stesso tenore la posizione del segretario generale della Uil, Luigi Angheletti: "È ciò che succede in confronti complessi e difficili come quello in corso con la Fiat. Per garantire un futuro a migliaia di lavoratori e allo stabilimento simbolo di questa azienda, all'accordo non c'é alternativa né per i sindacati né per la Fiat". Una ripresa del dialogo è auspicata anche dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. "L'investimento ipotizzato da Fiat per lo stabilimento di Mirafiori é talmente importante per il futuro dei lavoratori, del territorio, dell'intero gruppo e dell'economia italiana da meritare la ripresa del dialogo tra le parti con priorità di attenzione a quegli aspetti sostanziali che consentono la piena utilizzazione degli impianti con i conseguenti incrementi retributivi detassati". Secondo il ministro "ciò richiede l'abbandono di ogni pregiudizio e di ogni rigido formalismo da parte di tutti per ricercare ciò che unisce nel nome del lavoro e dell'impresa. Faccio appello alla responsabilità di tutti gli attori del negoziato - conclude Sacconi - affinché intelligenza ed esperienza conducano a far prevalere il bene comune". Nessun riflesso particolare in Borsa. Fiat ha limato parzialmente i guadagni a Piazza Affari dopo l'annuncio della mancata intesa su Mirafiori. A circa tre ore e mezza dalla chiusura della Borsa, le azioni del Lingotto guadagnano comunque l'1,04% a 13,62 euro (con un volume di scambi pari a oltre 13 milioni e 780mila pezzi). Nella prima parte della seduta, molto positiva per la casa di Torino, il titolo aveva toccato un massimo di 13,70 euro. Fiat potrebbe salire al 51% di Chrysler prima del 2013 (di Andrea Malan)
Stretta finale tra Fiat e sindacati per Mirafiori Cronologia articolo03 dicembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2010 alle ore 06:44. Stretta finale per lo stabilimento Fiat di Mirafiori. Ieri sera il Lingotto ha presentato una bozza di accordo ai sindacati che prevederebbe un nuovo contratto collettivo per le tute blu che lavoreranno per la nuova joint venture tra Fiat e Chrysler. Il nuovo contratto, a quanto si apprende, farebbe riferimento all'attuale contratto nazionale dei metalmeccanici per quanto attiene a fondo pensioni Cometa, inquadramento dei lavoratori, provvedimenti disciplinari, ferie, permessi retribuiti e festività. La pausa mensa dovrebbe essere spostata a fine turno. La clausola di esigibilità proposta dal Lingotto ai sindacati prevede che se questi ultimi non rispettano gli impegni presi l'azienda si rivarrà sull'organizzazione sindacale e non sul singolo lavoratore a differenza dell'accordo siglato per Pomigliano. Oggi nuovo incontro, possibile una intesa separata tra Fiat, Fim, Uilm e Fismic, senza Fiom.
2010-10-28 Camusso: risposte dal governo o sciopero, l'Italia non merita questa classe politica Cronologia articolo27 novembre 2010Commenta Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2010 alle ore 10:41. A Roma è il giorno della manifestazione nazionale della Cgil, con lo slogan "Il futuro è dei giovani e del lavoro". In piazza San Giovanni, in una piazza gremita e festante il segretario generale Susanna Camusso ha fatto il suo primo discorso dopo la nomina. Il battesimo di folla. Il cosiddetto ddl "collegato" sul lavoro è "una legge crudele e ingiusta", che il Parlamento "ha fatto male ad approvare", ha detto Camusso aprendo il suo intervento sul palco di piazza San Giovanni, gremita da migliaia di partecipanti. La segretaria ha poi iniziato a elencare il programma della Cgil: "Noi vogliamo che si combatta l'evasione fiscale e che dalla tassazione sui patrimoni e le rendite finanziarie si trovino i soldi per abbassare le tasse sul lavoro. La considero una questione di legalità perché legalità è libertà", ha aggiunto. La Cgil, inoltre, continuerà a dire "no" alle richieste di deroghe al Contratto nazionale di lavoro: "Il contratto nazionale è un diritto universale per i lavoratori e a Confindustria dico che le deroghe sono un danno per i lavoratori ma anche per le imprese. Gli appalti a maggior ribasso e le deroghe sono la stessa cosa. Si chiamano concorrenza sleale, non certo sviluppo". Una considerazione è stata rivolta anche al ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini, che in mattinata si era detta stupita per la partecipazione congiunta di studenti e pensionati alla manfestazione della Cgil: il ministro dell'Istruzione, ha detto Camusso, "non vede fare appelli su YouTube, ma vada in Parlamento e ritiri il ddl, aprendo così un tavolo di confronto, perché solo in questo modo si costruisce una riforma dell'Università". E sempre rivolta alla Gelmini, Camusso ha aggiunto che è la ministra "che sta con i baroni, quando decide che per entrare all'Università bisogna fare un percorso ad ostacoli di contratti a termine". Sulla questione FiatMirafiori, la segretaria della Cgil ha affermato: "Vogliamo sapere qual è il futuro della Fiat, perché la sensazione è che progressivamente la sua "testa" stia andando in Usa. E' importante sapere che a Mirafiori ci sarà produzione, ma questo non ci basta". "Non si dica che il nostro è un Paese di clandestini - ha poi aggiunto, rivolgendosi al ministro dell'Interno Roberto Maroni - sono le leggi del paese che li stanno rendendo clandestini, negando loro i diritti. Il ministro con una grande faccia tosta ieri ha dichiarato che c'è un articolo di legge che dice che tutti quei lavoratori irregolari che denunciano il datore avranno il permesso di soggiorno. Questo non è possibile perché nel momento in cui lo fanno diventano clandestini". "Vorremmo - ha concluso il segretario - che il governo cominci a dire la verità, cominciando a riferirci cosa sta discutendo in Europa sulla legge di stabilità e sul patto di stabilità. Non vorremmo trovarci improvvisamente peggio di altri", ha aggiunto, concludendo poi che "abbiamo scioperato e continueremo a scioperare. Il nostro paese non merita questa classe politica, queste manifestazioni di machismo da parte dei potenti". All'inizio della manifestazione, Camusso aveva anche detto che lo sciopero generale sarebbe stato deciso secondo l'esito della giornata. Più decisa l'opinione di Maurizio Landini, segretario generale della Fiom-Cgil, per il quale "bisogna arrivare allo sciopero generale. Il problema non è solo la politica del governo ma anche quella di Confindustria.La prossima settimana - ha aggiunto - c'è un direttivo della Cgil, la discussione è da fare e tutto ciò che resta da indicare è una data". E sul piano per il Sud varato dal Consiglio dei ministri la Cgil sospende il giudizio, perché, aveva detto Camusso, bisogna "capire se è un elenco di buone intenzioni o un piano concreto. Ci siamo peraltro stupiti - ha proseguito - che nel giro di un pomeriggio da un annuncio di 75 miliardi di euro si è arrivati a cento. Visto che ci dicono che non ci sono mai risorse vorremmo capire". Alla manifestazione hanno partecipato politici come Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola: per il segretario di Sel "ci sono due Italie: quella peggiore è barricata nel "Palazzo" e ha paura della possibilità di perdere il potere, vive la propria crisi caricandone le conseguenze sul paese. Poi c'è un'Italia migliore, quella che patisce il prezzo di una drammatica condizione di regressione sociale e civile e che oggi fa sentire la sua meravigliosa, pacifica e democratica ribellione. L'Italia migliore è oggi con la Cgil". Bersani, invece, commenta la situazione del governo: "Condivido le preoccupazioni di Napolitano, ma è evidente che la crisi politica c'è ormai da sette o otto mesi. Questo governo porta all'instabilità e all'incertezza, noi vogliamo un governo che parta dalla stabilità sui grandi fatti economico-finanziari e metta in campo un po' di riforme. È soltanto questo che può dare un po' di sicurezza alla prospettiva, se va avanti così l'incertezza può solo aumentare". In piazza anche migliaia di studenti: "Noi non vogliamo questa riforma" gridano in coro i ragazzi sventolando striscioni contro il governo e il ministro Gelmini: "Dimissioni", "La scuola va a rotoli e i politici...". Alcuni studenti hanno acceso anche dei fumogeni di color viola e verde prima di partire da piazza della Repubblica.
2010-10-26 Marcegaglia: da Marchionne un appello a guardare ai problemi veri. Epifani: a Berlino l'avrebbero cacciato dall'inviato Claudio TucciCronologia articolo26 ottobre 2010Commenti (11) Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2010 alle ore 12:12. NAPOLI. Emma Marcegaglia frena su ipotesi di elezioni anticipate e lancia un nuovo appello al governo: "È ora di occuparsi dei problemi veri del paese, e in primo luogo di crescita e produttività che sono vere e proprie emergenze", ha detto parlando a margine della XVIIesima giornata nazionale Orientagiovani, a Napoli. "Continuo a pensare - ha detto il presidente degli industriali - che il paese non possa permettersi una crisi, non possa permettersi di andare alle elezioni anticipate e a una campagna elettorale disastrosa in un momento come questo. Richiamo ancora una volta tutti a un senso di attenzione e di bene per il paese". Riferendosi all'incontro della settimana scorsa con il premier, Silvio Berlusconi, la leader di viale dell'Astronomia ha affermato che con "il presidente del Consiglio abbiamo parlato di riforme, di fisco, innovazione e Mezzogiorno. Abbiamo parlato delle priorità, delle azioni economiche da portare avanti". E per domani, dal tavolo tra Confindustria, Abi, Rete imprese Italia e sindacati, su competitità e crescita sono attese novità. "Domani dovrebbe essere già una riunione operativa dove arriviamo a conclusioni positive", ha aggiunto Marcegaglia, che ha spiegato: "L'idea è di arrivare a posizioni comune su tre o quattro temi. Pensiamo di farlo su ricerca e innovazione, Sud, e ammortizzatori sociali". Emma Marcegaglia ha parlato anche di Fiat, sottolineando che le parole dell'ad Sergio Marchionne, "senza Italia faremo meglio", "sono parole che non devono dividere, ma unire", ha detto. E ha aggiunto: "Nessuno mi sembra abbia detto di voler lasciare l'Italia. Se un imprenditore decide di lasciare e chiudere gli stabilimenti non va in televisione, li chiude e basta". Secondo Marcegaglia, quindi le dichiarazioni di Marchionne vanno lette piuttosto come un invito "a guardare i problemi dell'Italia, i problemi di competitività e produttività, dei quali parliamo spesso e da molto tempo, e cercare di risolverli". Del resto, "il gap per le imprese italiane è un dato tecnico e non riguarda solo la Fiat ma tutte le aziende". Sulla questione è intervenuto da Firenze Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil: "Cosa sarebbe successo in Germania se l'amministratore delegato di un grande gruppo avesse parlato in tv e non davanti al suo comitato di sorveglianza? In Germania l'avrebbero cacciato". Epifani è tornato anche su Termini Imerese, dove, "allo stato, è tutto fermo. Si avvicinano i tempi entro cui bisogna dare una risposta sennò si chiude la fabbrica. C'è uno scarto tra annunci, volontà di provocare e i risultati che si portano a casa. Ma anche Termini fa parte di Fabbrica Italia" Marcegaglia ha anche auspicato che la Fiom torni al tavolo di trattativa con l'azienda. "La contrapposizione continua - ha sottolineato - non risolve i problemi". Di qui l'invito, che come Confindustria facciamo sempre, ha precisato, "a risedersi a un tavolo". In altre aziende - ha detto Marcegaglia - la Fiom sta venendo incontro alle esigenze degli imprenditori: é importante che lo faccia anche con il primo gruppo del Paese". Sul fronte invece dell'emergenza rifiuti in provincia di Napoli, la Marcegaglia ha detto che "c'è ancora una volta il rischio che ci siamo infiltrazioni della camorra, e questo è gravissimo". Basta con l'immobilismo totale che dura da troppo tempo, prosegue: "Bisogna fare cose strutturali che non sono mai state fatte". E per avere un esempio di cosa si può fare, aggiunge: "Non bisogna andare in Danimarca o in Svezia, basta andare a Salerno che in due anni è passato dal 7 al 75% nella raccolta differenziata". Fatto che dimostra che "anche in Campania si può fare". "Io chiedo - conclude - che veramente al di là delle colpe del passato, bisogna che le amministrazioni provinciali, regionali, e anche il governo, agiscano per mettere in piedi subito questa strumentazione". Rivolgendosi, infine, alla platea dei giovani presenti in sala, Marcegaglia ha sottolineato come l'Italia possa tornare a crescere in modo importante, soprattutto attraverso "la tecnologia, la tecnica e la ricerca". Un invito infine ad "andare avanti": "nonostante i momenti difficili gli italiani, soprattutto i giovani, hanno speranza e vogliono andare avanti e noi dobbiamo creare le condizioni per farglielo fare".
2010-10-24 Marchionne: qui utili zero, ma se mi lasciano fare Fabbrica Italia posso aumentare gli stipendi Fiat di Paolo BriccoCronologia articolo24 ottobre 2010Commenta Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2010 alle ore 19:43. Il più zuccheroso conduttore della Tv italiana, amato dai bambini, dagli anziani e dalla sinistra tutta, alle prese con il manager più rude e diretto, affamatore di Pomigliano e di Melfi nella vulgata della sinistra stessa, area sentimentale Pd e area operaista tosta à la Fiom-Cgil. A "Che tempo che fa" Fazio Fazio ha intervistato Sergio Marchionne. E, come da consueto registro stilistico televisivo e con il garbo dell'antico ragazzo che si è diplomato al liceo Chiabrera di Savona, Fazio ha subito cercato di mettere a suo agio Marchionne: "Uno dei massimi manager mondiali…tutti lo attendono…ci chiediamo come mai abbia scelto di accettare il nostro invito…". Il manager italo-canadese, che oltre all'ormai tradizionale maglioncino blu si è presentato in studio dimagritissimo (dopo la registrazione racconterà di essere a dieta ferrea, niente carboidrati, niente vino e niente dolci), ha riconosciuto un attestato di stima al conduttore televisivo: "Sono venuto qui, perché qui si può parlare in pace". Quindi, da parte di Fazio, subito un'altra apertura favorevole a Marchionne, genere Stachanov dei mercati globali: "Ma è vero che lavora venti ore al giorno?". Al che perfino l'amministratore della Fiat ha precisato che no: "Diciotto, sì. Mi chiede perché lo faccio? Per senso del dovere". E, dopo un breve passaggio sulla sua formazione culturale da giovane ("ho studiato filosofia, perché è la filosofia che permette di porsi in relazione con l'uomo. Il resto, dalla tecnica all'industria all'economia, viene dopo"), Marchionne ha ricordato i tratti essenziali del suo progetto: Fabbrica Italia vale 20 miliardi di investimenti, ma per renderlo operativo ci vuole la piena governabilità degli stabilimenti e dei processi industriali. Dunque, un atteggiamento diverso da parte dei sindacati, che consenta di migliorare le condizioni di contesto. Che, in Italia, non sono buone né per la Fiat, né per qualunque altro operatore. "L'Italia è al centodiciottesimo posto su centotrentanove per efficienza del lavoro ed è al quarantottesimo posto per la competitività del sistema industriale. "Negli ultimi dieci anni il nostro paese non ha saputo reggere il passo con gli altri. Non c'è nessuno straniero che investe qui. E gli attacchi verso la Fiat di questi giorni non aiutano a richiamare investimenti dall'estero". A questo proposito, è entrato nel merito delle ultime vicende: "Guardate che il sistema di tre pause ogni 10 minuti, anziché due da venti minuti, proposto per Pomigliano e Melfi, è già applicato a Mirafiori. Fa parte degli sforzi per ridisegnare il processo di produzione. E, poi, i dieci che si perdono sono pagati". Quindi, giusto per ricordare quali sono i termini puramente bilancistici della questione, Marchionne ha sottolineato una cosa in sé e per sé molto spiacevole: "Quest'anno abbiamo annunciato che faremo oltre 2 miliardi di utile operativo. Guardate che nemmeno un euro è fatto in Italia. Io sto dicendo che, se dovessi togliere la parte italiana, la Fiat farebbe meglio". Per chiarire bene i termini della questione: "Non posso gestire una divisione in perdita per sempre". Finora, nessuna scelta letale per il nostro paese è stata presa: nel senso che, andando contro i consigli dei suoi collaboratori, Marchionne ha deciso di investire su Pomigliano, riportando in Italia la produzione di un modello, la nuova Panda, la cui produzione era prevista in Polonia. Una scelta di responsabilità sociale: "Pensate alla camorra e al disastro di una chiusura". Anche se non si può chiedere a un gruppo privato di compiere sempre e soltanto scelte antieconomiche. A Fazio, che con un tono da amarcord ricordava come quando lui era piccolo tutte le macchine in circolazione fossero Fiat, ha detto di rifiutare l'equazione Fiat-azienda semistatale: il passato è archiviato, i rapporti fra mano pubblica e aziende automobilistiche sono sempre esistiti (si vedano i soldi di Obama per Chrysler e della Bei per lo stabilimento di Fiat in Serbia), l'importante è che i debiti si ripaghino e che si abbia un rapporto equilibrato con gli stati. A questo proposito ha aggiunto: "Qualsiasi debito verso lo stato italiano è stato ripagato, non voglio ricevere un grazie, ma non accetto che mi si dica che chiedo assistenza finanziaria. Gli incentivi? Vanno a vantaggio del consumatore. E, poi, sette auto su dieci sono straniere. Dunque hanno riguardato tutti i produttori". Poi, dopo avere scherzato sul fatto che nel nostro paese la malattia della politica contagia molti imprenditori ("io in politica? Scherziamo? Faccio il metalmeccanico: produco auto, camion e trattori"), è entrato nel merito dell'Italia come piattaforma produttiva: "La proposta che abbiamo fatto è dare alla rete industriale di Fiat la capacità di competere con i paesi vicini a noi. In cambio io sono disposto a portare il salario dei dipendenti al livello degli altri. Il salario cambierà se cambierà il sistema di produzione in Italia. Può darsi che sia un cambiamento difficile da sopportare, ma vogliamo migliorare i 1.200 euro di stipendio dei nostri dipendenti". A Pomigliano, per esempio, l'aumento lordo del salario è intorno ai 3.500 euro, con un orario settimanale che, inclusi gli straordinari, è pari a 34 ore. In questo, il rapporto con il sindacato italiano è un problema: "Serve un progetto condiviso. Non posso accettare che tre persone mi blocchino un intero stabilimento. Questa è anarchia, non è democrazia". Quindi, ha aggiunto: "Oltre la metà dei nostri dipendenti non è iscritta a un sindacato. Solo il 12,5% dei dipendenti è iscritto alla Fiom". Specificando poi che "a Pomigliano abbiamo cercato di assegnare la responsabilità della gestione di uno stabilimento ai sindacati, per gestire insieme a loro le anomalie. Quando il 50% dei dipendenti si dichiara ammalato in un giorno preciso dell'anno, vuol dire che c'è una anomalia". Fazio, con quell'aria studiata da passante spaesato e un po' timido, gli ha chiesto quale sia questo giorno. E Marchionne ha avuto buon gioco a rispondere: "Dipende da che partita di calcio c'è".
2010-10-17 La piazza riavvicina Fiom e Cgil, ma tra Epifani e Bonanni ora c'è l'abisso di Celestina DominelliCronologia articolo17 ottobre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 17 ottobre 2010 alle ore 16:27. Il giorno dopo la grande manifestazione di piazza San Giovanni, il corteo della Fiom di sabato continua a far discutere. E soprattutto sembra aver acuito le distanze tra la Cgil, che dal palco è tornata a ventilare lo sciopero generale con Guglielmo Epifani, e le altre sigle sindacali. A partire dalla Cisl di Raffaele Bonanni, il cui nome riecheggiava ieri in molti slogan e striscioni. Oggi il numero uno del sindacato di via Po, interpellato dal Tg3, è tornato sulla piazza delle tute blu per esprimere tutta la sua delusione. "È scandaloso che, al posto di buttare acqua sul fuoco, si possa buttare anche della benzina; così come è scandaloso che una anifestazione sindacale ospiti cartelli ingiuriosi e inviti alla violenza. È una faccia dell'Italia che fa preoccupare ogni persona di buon senso". Insomma, il ricompattamento tra Landini ed Epifani, concordi nel lanciare lo sciopero generale, accentua le divisioni del mondo sindacale. E Bonanni non ne fa mistero. "La Fiom non è demonizzata, è la Fiom che demonizza gli altri. Ogni qualvolta qualcuno non è d'accordo, la Fiom lo demonizza, anche la stessa Cgil e, naturalmente, la Cisl e la Uil". Lo aveva detto anche stamane, in un colloquio con il Corriere della Sera. Quanto, riportando indietro l'orologio alla manifestazione di Cisl e Uil della scorsa settimana, aveva ribadito che si tratta "di due piazze distanti anni luce. Nella nostra non c'è cartello politico né uno slogan contro e non c'era un politico e né un partito". Ieri, invece, la piazza affollatissima di San Giovanni si presentava come un grande manto rosso per via dei caschi e delle bandiere delle tute blu della Fiom, ma a far capolino nei due cortei c'erano anche tanti vessilli della sinistra extraparlamentare e molti volti noti della politica: da Vendola a Di Pietro, da Diliberto a Ferrero, e poi diversi esponenti del Pd (Damiano, Marino, Fassina). Non il segretario Pierluigi Bersani, però. Rimasto lontano dalla piazza per le divisioni del suo partito e che al termine della manifestazione fa giungere un messaggio distensivo ("è una voce che va ascoltata"). Ma la scelta dei democratici di non aderire ufficialmente al corteo Fiom solleva anche oggi nuove polemiche. A parlare per primo è l'ex premier Massimo D'Alema. "Alle manifestazioni partecipano le persone, non i partiti, che come ha giustamente detto Bersani devono saper ascoltare e capire". E la "grande e pacifica" manifestazione della Fiom è "una dimostrazione di quanto è profondo il malessere nel mondo del lavoro". Sposa la linea del segretario anche Marco Follini, che però si spinge oltre. "Il fatto che Letta e Bersani fossero lì mi sembra importante - dice l'ex centrista - ma poiché di democratici ce ne erano tanti altri vorrei ribadire che per me il Pd non può essere il braccio politico della Cgil". Le divisioni tra i democratici sulla partecipazione al corteo Fiom provocano reazioni anche all'interno del centro-destra. Dove prima il il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto e poi il ministro Gianfranco Rotondi bacchettano i democratici. "Col suo commento alla manifestazione di ieri - attacca Cicchitto - Bersani cerca di esorcizzare, senza riuscirci, un cumulo di contraddizioni". Mentre Rotondi parla "di manifestazione importante" e punta il dito contro i democratici: "La nota stonata - avverte il titolare del dicastero dell'Attuazione del programma di governo - è rappresentata dal Pd che continua a navigare a vista spinto dalle correnti delle sue contraddizioni e ambiguità". E anche il ministro Sacconi, che già ieri aveva parlato di "una piazza della sinistra inadatta a governare", è tornato a stigmatizzare il corteo Fiom da cui, dice, "il gruppo dirigente del Pd non è indipendente". Intanto oggi l'Osservatorio Cig della Cgil ha diffuso gli ultimi dati secondo cui a settembre sono 640mila i lavoratori in cassa integrazione. Con la conseguenza che, nei primi nove mesi dell'anno, si è registrata una riduzione del reddito di oltre 3,5 miliardi di euro, più di 5.500 euro per ogni singolo lavoratore. Quanto alla Cig, l'aumento rispetto al mese precedente è del 34,8%, per un totale pari a 103, 2 milioni di ore. Nel periodo gennaio-settembre, poi, l'incremento delle ore di cassa integrazione è comunque stato del 50,5% se confrontato con lo stesso periodo del 2009, a quota 925,6 milioni di ore autorizzate. Per quanto riguarda la cassa integrazione in deroga, si registra invece un calo rispetto al mese precedente -8,9%, ma nei primi nove mesi dell'anno l'incremento è stato del 344% con punte altissime nell'edilizia (+1.532%).
Cgil pronta allo sciopero generale Giorgio PogliottiCronologia articolo17 ottobre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 17 ottobre 2010 alle ore 06:37. ROMA Dopo la manifestazione del 27 novembre, "se non ci saranno risposte, la Cgil è pronta a proseguire la mobilitazione anche con uno sciopero generale". L'annuncio fatto da Guglielmo Epifani dal palco di una piazza San Giovanni stracolma di manifestanti – con la coda del corteo che non riusciva ad entrare – ha contribuito a scaldare gli animi delle "tute blu" della Cgil: "Il Paese sta rotolando, da mesi è lasciato a sè stesso, c'è una situazione sociale molto pesante che richiede un cambiamento profondo delle politiche economiche", è il ragionamento di Epifani che ha fissato alcuni paletti per indire lo stop di tutti i lavoratori, sollecitato con forza dalla Fiom: "Lo sciopero è una delle armi, non l'unica – ha detto Epifani, nel suo ultimo intervento da segretario generale – va usata con intelligenza, perchè è un grande sacrificio economico, lo dobbiamo preparare per bene, portando tutto il mondo del lavoro con le giuste proposte". Nonostante i timori della vigilia, la manifestazione per "i diritti, il lavoro, il contratto" si è svolta senza alcun incidente. Da tutta Italia sono arrivati metalmeccanici, dipendenti pubblici, pensionati, studenti, precari, una fiumana che si è mischiata in piazza alla variegata galassia della sinistra radicale (da Rifondazione a Sinistra e Libertà, all'Idv, al movimento di Beppe Grillo), dell'associazionismo (Emergency, Arci) e dei centri sociali, mentre si sono viste poche bandiere del Pd. Dagli organizzatori non è arrivato alcun dato ufficiale sulla partecipazione che comunque appare ben superiore agli 80mila dichiarati dalla Questura: "La piazza è gremita, non si riesce ad entrare contateci voi" si è limitato a dire il numero uno della Fiom, Maurizio Landini, per evitare la consueta guerra dei numeri. Lo stesso Landini ha bollato duramente come "castronerie di ministri" l'allarme lanciato dal titolare degli Interni, "si dovrebbero vergognare" ha detto chiamando in causa il ministro del Welfare, per "essere arrivato a invocare il morto" (Sacconi aveva detto che le azioni contro le sedi di Cisl e Uil sono opera di una minoranza accettata, fino a quando arriverà il morto, ndr). Non sono mancati gli striscioni e i cori per sbeffeggiare i leader di Cisl e Uil (sono state distribuite finte banconote da 50 euro con il volto di Bonanni), del governo e l'ad della Fiat, Sergio Marchionne, nei due cortei che hanno sfilato pacificamente per le strade di Roma. Anche se durante il comizio finale un nutrito gruppo antagonista del Red block ha occupato l'area sotto il palco riservando fischi all'intervento di Epifani – in molte occasioni subissati dagli applausi dalla gran parte della piazza – accolto da continui slogan inneggianti allo sciopero generale, tanto da spingere il leader di Rete 28 aprile (su posizioni tradizionalmente vicine alla sinistra radicale), Giorgio Cremaschi, a far più volte cenno di smetterla con le contestazioni. Con l'annuncio dello sciopero generale Epifani ha conquistato la platea di piazza San Giovanni – nonostante i "se" e i "ma" – così come con l'invito all'unità nella Cgil e con i segnali distensivi alla Fiom, dopo i rapporti difficili delle precedenti stagioni: "Di questa grande manifestazione pacifica e non violenta il merito è vostro anche se qualcuno fa il furbo ed evoca situazioni disastrose – ha aggiunto –. A volte abbiamo litigato, ma abbiamo bisogno di tenere unita la Cgil perchè il pluralismo è anche la nostra ricchezza". In queste mobilitazioni Epifani non si sente solo, tanto da invitare Cisl e Uil ad interrogarsi: "In tutta Europa i sindacati scioperano insieme, da noi in campo c'é solo la Cgil e questo indebolisce il fronte del movimento dei lavoratori, soprattutto in un momento di crisi, in cui é invece necessario lottare insieme". Epifani si è anche soffermato sui ripetuti blitz ai danni delle sedi della Cisl: "Capisco la vostra rabbia – ha detto – ma una sede sindacale non appartiene a questo o a quel segretario generale, ma a tutti coloro che oggi come ieri hanno creduto a quegli ideali". Al segretario generale della Cisl che il sabato precedente aveva evocato "una, 10, 100, 1.000 Pomigliano", il leader della Cgil ha replicato invocando i "10, 100, 1000, 10mila accordi che abbiamo fatto, che la Fiom ha fatto, dove si salvano il lavoro, i diritti e l'occupazione", per concludere che "la Cgil non lascerà sola la Fiom in queste battaglie contro le deroghe ai contratti con cui si cerca di cancellare il contratto nazionale". Su questo punto Landini ed Epifani sembrano sulla stessa lunghezza d'onda: "L'obiettivo è quello di cancellare il diritto dei lavoratori a contrattare – ha sostenuto il segretario della Fiom – vogliono farci tornare indietro di 100 anni". Per Landini "quando si teorizza che se si vogliono i diritti ci vogliono le fabbriche bisogna ricordare che siamo già in presenza di fabbriche senza diritti", il rischio è che l'articolo 1 della Costituzione "risulti trasformato in l'Italia è una repubblica fondata sullo sfruttamento del lavoro".
2010-10-16 Fiom e Cgil si ricompattano nella piazza di San Giovanni e lanciano lo sciopero generale Cronologia articolo16 ottobre 2010Commenta Questo articolo è stato pubblicato il 16 ottobre 2010 alle ore 13:40. Fiom e Cgil si ricompattano nella piazza di San Giovanni nel giorno della manifestazione indetta dal sindacato delle tute blu di Corso Italia. Ma soprattutto confermano che "se non arriveranno risposte" sarà sciopero generale. Parlano all'unisono Guglielmo Epifani e Maurizio Landini e spazzano via le voci di contrasti all'interno del sindacato. "In assenza di risposte - annuncia Epifani - continueremo la nostra iniziativa anche con lo sciopero generale. È una delle armi che può essere utilizzata, anche se non è l'unica". Dunque è questa la prossima tappa, ma lo sciopero, avverte il numero uno della Cgil, "dobbiamo prepararlo bene, portando tutto il mondo del lavoro con le giuste proposte". E dal Pd, presente in piazza ma senza un'adesione formale, giunge l'auspicio del segretario Pierluigi Bersani. "Quella che si è fatta sentire pacificamente oggi in piazza San Giovanni è una voce che va ascoltata". Epifani quasi non trattiene l'emozione davanti a quella che è la sua "ultima" piazza. A breve infatti passerà il testimone alla sua vice Susanna Camusso. "È un grande onore per me chiudere il mio mandato in questa piazza, davanti alle lavoratrici e ai lavoratori metalmeccanici". Quindi il segretario del sindacato di Corso Italia bacchetta il governo e il suo operato. "Ci vuole una politica economica radicalmente diversa perché questa politica ha umiliato il paese". Un paese che, aveva detto nel pomeriggio arrivando a San Giovanni, "sta rotolando, da mesi è lasciato a se stesso". Poi Epifani rispedisce al mittente le critiche su una possibile emarginazione della Cgil dopo le ultime scelte compiute al tavolo sulla riforma dei contratti. "Non siamo isolati né in Italia, né in Europa". Quanto alle presunte divisioni tra la Cgil e la Fiom, Epifani spazza via le tensioni delle scorse settimane e scandisce bene. "La Cgil - ribadisce - non lascerà solo la Fiom nelle battaglie per i diritti perché sono le nostre battaglie e sono quelle che ci hanno guidato, quelle che ci hanno fatto dire no quando altri hanno firmato e noi, invece, non abbiano chinato la testa". Quasi le stesse parole pronunciate poco prima sul palco da Landini. "Noi alla Fiat abbiamo detto di no. Alla Federmeccanica abbiamo detto di no, perché quando si vogliono cancellare i diritti e il contratto diremo sempre di no", aveva detto un combattivo segretario della Fiom davanti a migliaia di persone che gridano "sciopero, sciopero, sciopero generale". Il segretario delle tute blu della Fiom aveva così rivolto prima lo sguardo al passato, al no della Fiom all'accordo separato sullo stabilimento Fiat di Pomigliano e a quello sulle deroghe al contratto. "Siamo un sindacato che vuole fare accordi. Lo facciamo tutti i giorni nelle fabbriche. Allora se si vuole far funzionare le fabbriche si riapra la trattativa e si permetta ai lavoratori di dire sì o no". Prima di Epifani, anche Landini aveva rimarcato la necessità di uno sciopero generale. "Abbiamo il dovere di continuare questa battaglia - aveva detto dal palco - e per continuare è necessario che si arrivi a proclamare lo sciopero generale". Poi il numero uno della Fiom aveva ripetuto quanto detto nei giorni scorsi dopo le polemiche su possibili infiltrazioni al corteo di oggi, paventate dal titolare dell'Interno, Roberto Maroni. "Se i ministri possono dire castronerie che a volte dicono - ragiona il numero uno della Fiom - è perché siamo noi che garantiamo a tutti di poter parlare e dire il loro pensiero". Ma il riferimento era anche al titolare del Welfare, Maurizio Sacconi, che da Prato, dal convegno di Confindustria sulle Pmi, aveva parlato "di una piazza di sinistra inadatta a governare". Landini però non ci sta e ribatte a distanza. "Questa piazza - aveva sottolineato il capo delle tute blu - ha la forza di dire che non solo è una manifestazione democratica e pacifica ma che se c'è la democrazia è perché chi lavora e produce l'hanno conquistata". Tra i manifestanti tante le bandiere rosse del sindacato delle tute blu ma anche dei partiti della sinistra extraparlamentare. Migliaia di persone avevano raggiunto nel pomeriggio San Giovanni per assistere al comizio finale della manifestazione. Arrivando nella piazza il leader della Cgil Epifani era tornato a ribadire la natura non violenta del corteo di oggi. "Finora mi pare una manifestazione larga, partecipata e pacifica, e mi sembra che tutto vada bene". Sui numeri dei cortei, però, nessuna cifra ufficiale. "La piazza è gremita, la gente non riesce ad entrare, le strade intorno sono piene. Contateci voi", aveva risposto Landini a chi chiedeva quanti fossero i partecipanti. Solo l'ex segretario della Fiom, Giorgio Cremaschi, si era spinto più in là. "Saremo circa 1 milione - aveva detto nel pomeriggio -. È difficile, però, fare delle stime precise perchè, mentre erano già in corso gli interventi, la coda del corteo principale era ancora a Santa Maria Maggiore, a qualche chilometro da qui". La questura, in serata, parla di "buon esito della manifestazione grazie alle forze dell'ordine ma anche al senso di responsabilità dimostrato dai circa 80mila partecipanti ai due cortei". La capitale aveva così accolto l'invasione pacifica dei manifestanti arrivati da tutta Italia per partecipare all'appuntamento organizzato dal sindacato dei metalmeccanici della Cgil. E mentre il corteo di Epifani scorreva verso piazza San Giovanni un lavoratore aveva ncalzato il segretario esprimendogli a voce alta la necessità di fare "uno sciopero generale". "Lo faremo, lo faremo", era stata la risposta sintetica battuta dalle agenzie. Tra i partecipanti poi anche tanti volti noti della politica.C'era l'ex pm Antonio di Pietro che con l'Idv aveva aderito alla manifestazione e che aveva parlato dell'appuntamento di oggi come di "una rivedicazione di identità, di cittadinanza da parte di persone che non ne possono più di essere trattate come besti". E c'era anche il governatore della Puglia e leader di Sel, Nichi Vendola, accolto da una ovazione mentre arrivava al corteo partito dal piazza della Repubblica. "La politica - aveva spiegato Vendola - deve mettere al centro della contesa pubblica il lavoro e la sua dignità". Con lui alla testa del corteo anche Paolo Ferrero, segretario del Prc, e Oliviero Diliberto, numero uno dei Comunisti italiani. Mentre il numero uno dei centristi, Pier Ferdinando Casini, intervistato da SkyTg 24 da lontano aveva lanciato un monito. "I partiti che sono scesi in piazza con la Fiom oggi sono "fuori da un disegno di governo riformista alternativo a Berlusconi". Il Pd in piazza ma nessuna adesione formale. Dopo le polemiche dei giorni scorsi circa una partecipazione ufficiale alla manifestazione il Pd aveva invece optato per la partecipazione, ma senza aderire come sigla. E per i democratici c'erano l'ex ministro Cesare Damiano, Ignazio Marino e Stefano Fassina. "È una bella manifestazione, partecipata e pacifica, che mette al centro i problemi dei lavoratori. Siamo qui con i lavoratori - aveva spiegato Fassina - per raccogliere le domande importanti che vengono dal mondo del lavoro. Nel Pd abbiamo valutazioni diverse, ma - assicura - siamo tutti dalla parte dei lavoratori". Più o meno le stesse parole di Damiano. "Il Pd deve stare dove ci sono i lavoratori",aveva sottolineato l'ex ministro del Lavoro. Ma Marino polemizza contro la scelta del Pd di non aderire formalmente alla manifestazione. "Il Pd - dice - è un grande partito popolare che trova il suo consenso nelle persone che sono qui oggi in questa piazza per dire le cose che noi diciamo in Parlamento. Allora mi chiedo per quale motivo non essere in piazza oggi". I cortei senza incidenti. Diversi gli slogan gridati dalla folla ma tutti incentrati principalmente sul tema del lavoro: "nessun'azienda deve essere chiusa, nessun lavoratore deve essere licenziato", si legge su uno striscione bianco. Mentre a lettere cubitali erano sfilate per i due cortei le parole "diritti, democrazia e lavoro". "Pomigliano ce lo ha insegnato come si comporta un vero sindacato", urla invece un gruppo di lavoratori. Non era poi mancato chi sfilava esibendo foto e striscioni contro gli altri leader sindacali, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, e il presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Nel corteo anche due caricature del premier e del leader della Lega Umberto Bossi, con cartelli al collo: "la crisi c'è ma non per me". In marcia c'erano anche gli operai della Fiat e dell'indotto di Termini Imerese, quelli di Eutelia e di Pomigliano d'Arco, ma anche i tre operai di Melfi reintegrati. E nonerano mancati anche inviti al segretario generale della Cgil a riprendere la lotta: "Sciopero generale", invocava uno striscione. E dal palco Epifani e Landini non hanno deluso le aspettative. (Ce. Do.)
La Fiom divide gli eredi di Seattle. Una parte dei no global aderisce al corteo, un'altra lo contesta di Serena DannaCronologia articolo16 ottobre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 16 ottobre 2010 alle ore 09:49. I gruppi e i movimenti che oggi si divideranno tra chi contesta e chi invece aderisce alla manifestazione della Fiom sono figli del defunto movimento no-global, nato a Seattle nel 1999 e spinto in ogni città e università del mondo grazie proprio alla velocità di quella rivoluzione tanto contestata allora. Il sogno no-global, un po' Manu Chao e un po' Naomi Klein – che metteva insieme insegnanti e ragazzi dei centri sociali, papa boys e drag queen, migranti e avvocati – venne spezzato dalla violenza dei black bloc contrapposti alla polizia a Genova, nel 2001. Oggi una parte importante degli eredi, che si riunisce sotto l'etichetta "Uniti contro la crisi" e comprende l'area degli ex-disobbedienti e i gruppi per i diritti dei cittadini, prova a ripartire da quell'esperienza: "Il Social forum non rinascerà mai – spiega Anubi Lussurgiu D'Avossa, attivista che guidò la Pantera e oggi, papà di due bambini, insiste con la politica – ma l'adesione alla rete di realtà molto diverse tra loro nasce dalla volontà di riprendere lo spirito che portò il movimento a Genova". Quello che rende possibile l'unione delle ex-tute bianche di Luca Casarini con le associazioni dei consumatori è la consapevolezza che la crisi della sinistra classica non ha rafforzato i movimenti, ma li ha spaccati. "La fine dei partiti ha travolto anche noi che li contestavamo", sottolinea Anubi, attento osservatore delle evoluzioni del movimento. "Uniti contro la crisi" ha scelto come interlocutore sindacale la Fiom e come politico di riferimento Nichi Vendola. L'obiettivo è, secondo D'Avossa, "ricostruire la sinistra in Italia e superare la crisi economica". Il nemico numero uno è Sergio Marchionne, o meglio, come direbbe un uomo che sognando sui movimenti ha passato la vita, Fausto Bertinotti, il "marchionnismo", la "dittatura del mercato" che si sta imponendo sulla democrazia. Le battaglie vanno dal diritto allo studio a quello per la pensione, dall'ambientalismo ai fondi fondi per la ricerca: "Appoggiano la Fiom perché è il sindacato che sta portando avanti una lotta estrema contro il mondo dell'impresa, come ognuno di loro, nei diversi settori, cerca di fare", continua D'Avossa. Nella mappa dell'antagonismo italiano, a fare loro compagnia ci sono gli storici centri sociali italiani che, ai tempi dell'iPad e delle agenzie interinali, profumano ormai di "tradizione". Al punto che Alex Foti, mente della MayDay Parade (la manifestazione itinerante dei precari che si tiene in contemporanea al 1° maggio dei lavoratori), li definisce "un patrimonio di capitale umano: luogo di trasferimento delle passioni antifasciste, antiproibizioniste e antirazziste". Realtà che, come Officina 99 con i disoccupati a Napoli o l'ex Carcere di Palermo con le iniziative contro la mafia, fanno un lavoro legato al territorio in cui operano, spesso aprendo le porte a politici e sindacalisti. Centri nati per la contestazione e che oggi offrono servizi e intrattenimento a basso costo (dal Forte Prenestino di Roma al Cantiere di Milano). Accanto a essi, è cresciuta la rete dei movimenti sociali più vicini ai linguaggi della contemporaneità. "Le nostre campagne – spiega Rafael Di Maio, attivista del centro sociale romano Acrobax – fanno spesso uso della comunicazione per proporre un nuovo concetto di welfare, basato sul reddito garantito e sulla libertà della Rete". Sono militanti nati dagli sbagli di Indymedia e dalla certezza che la casa sia un diritto imprescindibile e che, come ricorda Foti che oggi è editor del settimanale MilanoX, sono proiettati in una fase post-global, caratterizzata dalla presenza di "reti noborder, Precarious United che lavorano su scala europea, difensori della "bicicrazia", degli orti e delle energie rinnovabili". A chiudere il quadro, c'è quella che viene identificata come la "dark side" della contestazione: la costellazione anarchica che si muove dagli squat torinesi ai gruppi che su Facebook inneggiano ai principi libertari e ad azioni sovversive. Individualità spesso solitarie, punkabbestia, ravers, anarchici che non hanno mai letto Bakunin ma, più vicini agli squatter di Berlino che ai lavoratori di Pomigliano, credono che alla crisi violenta si debba rispondere con la violenza degli atti. "Sono presenti in tutte le aree del movimento – spiega Rafael – ma sono poco identificabili". Sono loro i "fantasmi" che spaventano di più la questura e l'opinione pubblica. E che spesso, distruggendo a ritmo di musica, minano i progetti di chi contestando costruisce. I mediattivisti, i precari, i migranti e i ravers che oggi hanno voglia di parlare sono quelli che non accettano di essere inglobati nel "pericolo" denunciato dal ministero degli interni. Gli altri, quelli che inquietano, preferiscono tacere.
2010-10-14 Maroni: rischi elevati di infiltrazioni per il corteo Fiom di sabato Cronologia articolo14 ottobre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2010 alle ore 14:49. Per il corteo della Fiom di sabato ci sono "rischi elevati di infiltrazioni" di gruppi violenti. Lo ha detto il ministro dell'Interno Roberto Maroni durante la trasmissione Porta a Porta, annunciando che domani incontrerà i vertici della Fiom: "Il rischio c'è, lo hanno detto i servizi segreti ieri al Copasir. Ci sono rischi di infiltrazione di gruppi, anche stranieri". Maroni ha poi annunciato oggi che scriverà una lettera a Michel Platini. "Se l'Uefa avesse adottato, come noi abbiamo suggerito, le misure di prevenzione che noi abbiamo già nei campionati italiani, ma che non possiamo applicare per le partite internazionali, cioè daspo e tessera del tifoso, vi assicuro che quello che è successo non sarebbe avvenuto". Il titolare dell'Interno ha respinto così le critiche rivolte al Viminale e alle forze di polizia per i disordini di Genova in occasione del match Italia-Serbia. Sugli incidenti anche la Federazione Italiana Gioco Calcio ha fornito all'Uefa il video di Italia-Serbia e aspetta di poter inviare alla confederazione europea anche una relazione sull'incontro di martedì. Il rischio, infatti, è che l'Italia, in quanto organizzatrice della gara, sia sanzionata insieme alla Serbia: la decisione dell'Uefa arriverà il 28 ottobre. Sui disordini, però, Maroni non ci sta ad accollarsi le responsabilità di quanto accaduto e sostiene che c'è stata "una sottovalutazione dell'intelligence serba". Il titolare dell'Interno ha ricostruito la cronistoria dei messaggi intercorsi tra la polizia serba e quella italiana. Maroni ha così ricordato che l'8 ottobre l'intelligence serba aveva mandato un messaggio nel quale si parlava della presenza a Genova di un centinaio di tifosi, divisi in due gruppi, che sarebbero rincasati alla fine dell'incontro. "Una nota del genere - ha spiegato il ministro - ci ha indotto a considerare che le nostre forze di polizia avrebbero potuto gestire la situazione con un certo numero di forze dell'ordine. Se ci avessero invece informati che sarebbero arrivate bande criminali che avrebbero messo a ferro e fuoco lo stadio, avremmo agito in maniera diversa. Per cui, nessun appunto viene fatto al prefetto, al capo della polizia e alle forze dell'ordine" Quanto alle critiche che gli sono giunte dal sindaco di Genova, Marta Vincenzi, il titolare del Viminale non si scompone, dopo aver chiesto che Ivan, il capo degli ultras serbi, sia "incriminato per strage". "Ho le spalle larghe - dice - ci rido sopra. Ma sono qui per accertare le responsabilità, per prendermi le responsabilità. In questo caso, ci sono tanti professori in giro, ma nessuno prima ha detto "attenzione". Parlano tutti dopo". Intanto si va delineando il quadro dei tifosi coinvolti negli incidenti di Marassi. Il bilancio definitivo della notte di guerriglia sarebbe per ora di 45 persone denunciate a piede libero, tra cui 4 cittadini comunitari, 35 decreti di espulsione e 8 arresti. Gli otto ultrà serbi arrestati, con ipotesi di reato che vanno dalla resistenza a pubblico ufficiale al danneggiamento aggravato, dalla violazione delle norme di ordine pubblico al porto abusivo di oggetti atti a offendere, sono stati tutti trasferiti nelle carceri genovesi di Marassi e Pontedecimo. Dove restano in attesa delle udienze di convalida del fermo che, secondo fonti della questura, potrebbero svolgersi già oggi. Mentre sono 19 i tifosi serbi, di ritorno in patria da Genova, che sono stati fermati dalla polizia di frontiera. Come ha riferito oggi l'emittente tv B92, da ieri sera diversi autobus con a bordo decine di tifosi sono entrati in Serbia attraverso i posti di confine con Croazia e Ungheria. (Ce. Do.) VISTI DA LONTANO / Per la stampa internazionale gli ultras serbi vogliono sabotare l'ingresso di Belgrado nell'Ue (di Elysa Fazzino)
2010-10-09 Cisl e Uil chiedono meno fisco per il lavoro. Al governo: risposte o la musica cambia di Claudio TucciCronologia articolo9 ottobre 2010Commenta Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2010 alle ore 10:50. Raffaele Bonanni manda un messaggio a Giulio Tremonti: "prima va discussa la riforma fiscale, poi va fatto il federalismo", ha detto il segretario generale della Cisl dal palco di piazza del Popolo a Roma, durante la la manifestazione nazionale "Meno fisco per il lavoro", organizzata assieme alla Uil. "Il governo non metta il carro davanti ai buoi", ha sottolineato Bonanni, evidenziando come sia necessaria prima una discussione sul fisco e poi si "può procedere con il federalismo che non può compiersi senza riequilibrare i pesi tra coloro che hanno la ritenuta d'acconto e chi no". Bonanni chiede all'esecutivo "risposte" ("o la musica cambia", aggiunge) e non risparmia neanche l'opposizione: "Si faccia sentire di più, con meno gossip e più attenzione alla realtà". E riferendosi al recente accordo su Pomigliano, rilancia: "ben vengano 10,100, mille Pomigliano se servono a far crescere gli investimenti, l'occupazione e i salari". D'accordo il numero uno delle Uil, Luigi Angeletti, che, davanti a una piazza colorata di migliaia di bandiere verdi e blu e riempita da oltre 100mila persone, sottolinea come sia la prima volta che il sindacato manifesti per chiedere la riduzione delle tasse: "è scandaloso che la stragrande maggioranza dei dipendenti paga più tasse dei loro datori o di quello che paga chi ha un reddito finanziario". Basterebbe, spiega, recuperare un 10% dell'evasione fiscale (in Italia, ricorda, solo l'1,5% dei contribuenti dichiara sopra i 150mila euro), per avere quei 10 miliardi per far calare il peso del fisco". Angeletti manda poi una stoccata alla Cgil: "Noi vogliamo fare una trattativa e un accordo con il governo sulle tasse, mentre non ci sembra oggi che la Cgil sia in condizioni di voler fare un'intesa". Riferendosi invece al Nutrito il pacchetto di richieste rivolte al governo dai due sindacalisti, che spaziano dalla riduzione delle aliquote Irpef, in particolare la prima e la terza, portandole rispettivamente al 20% e al 36%, all'aumento delle detrazioni da lavoro dipendenti e da pensioni, all'equiparazione della "No tax area" per i pensionati con quella dei lavoratori dipendenti. Da correggere, secondo Cisl e Uil, anche l'aliquota fiscale sulle rendite finanziarie, portandola dall'attuale 12,5% (un livello tra i più bassi in Europa, dicono i due sindacati), al 20%, con l'esclusione dei soli titoli di Stato, così come l'abbassamento allo stesso livello dell'aliquota sugli interessi dei depositi bancari (oggi al 27%), tradizionale fonte di risparmio per i meno abbienti. In più, riduzione del prelievo sulle imprese, più attenzione su famiglie e non autosufficienti. E sul regime fiscale agevolato sul salario di produttività, la richiesta è di migliorare l'attuale meccanismo confermando l'aliquota di vantaggio al 10%, ampliando la soglia di reddito al di sotto del quale si applica l'agevolazione ed estendendo il beneficio anche al settore pubblico.
2010-10-06 Resta il nodo Fiom, ma prima luce verde per il piano Fabbrica Italia della Fiat. Panda rinviata al 2012 di Giorgio PogliottiCronologia articolo5 ottobre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2010 alle ore 18:22. Prima e parziale "luce verde" per il piano Fabbrica Italia da 20 miliardi di investimenti. All'incontro con i sindacati la Fiat ha incassato la disponibilità di Fim-Cisl, Uilm, Fismic e Uglm a venire incontro alle esigenze del Lingotto, con intese come è stato fatto per Pomigliano D'Arco – ma tarate sulle esigenze di ogni singolo stabilimento – sulla flessibilità nell'organizzazione del lavoro, sul pieno utilizzo degli impianti e sull'esigibilità degli accordi. Resta il nodo della Fiom-Cgil che non ha firmato l'intesa su Pomigliano, è contraria alle deroghe contrattuali e potrebbe mettersi di traverso nell'attuazione del piano. Non si tratta di un "ostacolo" di poco conto, per Fiat che ha ribadito come l'avvio del progetto sia subordinato all'esistenza di condizioni preliminari che assicurino il quadro di certezze necessario per la sua realizzazione. All'inizio del confronto con il sindacato, il Lingotto ha detto con chiarezza che Fabbrica Italia non partirà se non ci sarà l'impegno formale delle organizzazioni sindacali ad assumersi precise responsabilità per la riuscita del progetto. L'importanza delle scelte di destinazione dei nuovi modelli e il volume degli investimenti previsti – è il ragionamento del Lingotto – richiedono un elevato livello di garanzia in termini di governabilità degli stabilimenti e di utilizzo degli impianti. "Abbiamo fissato un percorso giusto, ma prima vogliamo conoscere gli investimenti e poi ci sarà la discussione stabilimento per stabilimento" spiega il segretario generale della Fim, Giuseppe Farina. I sindacati si aspettavano che l'azienda entrasse più nel dettaglio del piano, per questo motivo non nasconde la propria delusione la Uilm: "Non siamo soddisfatti - afferma il segretario generale Rocco Palombella - perché la Fiat non ha presentato il programma di investimenti come avevamo richiesto". Quanto alla Fiom, il leader Maurizio Landini ha ribadito la posizione delle tute blu della Cgil; ovvero "siamo interessati a discutere il progetto Fabbrica Italia ma la trattativa va fatta nel rispetto del contratto senza deroghe e nel rispetto delle leggi". Fiat rinvia la nuova Panda al 2012 dopo il congelamento degli investimenti
Fiat: Fabbrica Italia partirà solo con l'impegno dei sindacati. La nuova Panda rinviata al 2012 di Stefano NatoliCronologia articolo5 ottobre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2010 alle ore 16:58. Fiat intende "consolidare e rilanciare la propria struttura produttiva automobilistica" in Italia con un programma di investimenti da 20 miliardi di euro ma "Fabbrica Italia non partirà se non ci sarà un impegno formale delle organizzazioni sindacali ad assumersi precise responsbilità per la riuscita del progetto". È la posizione del Lingotto espressa un comunicato diffuso al termine dell'incontro con Fiom, Fim, Uilm e Fismic sul piano industriale. "L'avvio del progetto - ha ribadito l'azienda - è subordinato all'esistenza di condizioni preliminari, che assicurino il quadro di certezze necessario per la sua realizzazione". Secondo l'azienda, "l'importanza delle scelte di destinazione dei nuovi modelli e il volume degli investimenti previsti richiedono un elevato livello di garanzia in termini di governabilità degli stabilimenti e di utilizzo degli impianti". Dai diretti interessati la risposta non si è fatta attendere: "Non siamo soddisfatti", ha dichiarato ad esempio il leader della Uilm, Rocco Palombella, precisando che "Fiat non ha presentato un programma di investimenti stabilimento per stabilimento. Ha chiesto se eravamo pronti per affrontare la sfida di 'Fabbrica Italia'. C'è la nostra disponibilità ad affrontare i temi sul tavolo, ma da parte dell'azienda non c'è stata la stessa chiarezza". La Fiom, dal canto suo, ha ribadito che é interessata a discutere il progetto Fabbrica Italia "ma la trattativa va fatta nel rispetto del contratto senza deroghe e nel rispetto delle leggi". "La Fiat - ha spiegato il segretario generale, Maurizio Landini - ha detto che potrebbero esserci soluzioni che vanno anche oltre Pomigliano, un accordo che le tute blu della Cgil non hanno sottoscritto e non intendono sottoscrivere. Noi abbiamo dato la disponibilità al confronto Fabbrica Italia. La Fiat si é riservata di decidere su come proseguire". Il progetto Fabbrica Italia, che la Fiat intende realizzare per "consolidare e rilanciare" la struttura produttiva in Italia, prevede un investimento da 20 miliardi di euro. Intanto, secondo quanto scrive oggi Automotive News Europe, citando fonti aziendali, il lancio della nuova Panda sarà rinviato al gennaio del 2012. Il nuovo slittamento della terza generazione della "piccola" più venduta d'Europa, secondo quanto si legge sul sito della rivista, è dovuto al recente "congelamento degli investimenti" deciso dall'ad Fiat Sergio Marchionne. Il ministro dell'Economia ha detto che"dobbiamo investire più che possiamo sulla scuola". Stiamo studiando, ha detto, "un sistema per ricostruire il sistema dell'istruzione, gli edifici, le borse di studio. Tanto per gli scolari, quanto per gli insegnanti". Il ministro ha in mente anche interventi sulla ricerca come, ad esempio, dei "voucher" per consentire la detassazione. Tremonti ha poi sottolineato che "nessun Paese serio faccia trattati con paradisi fiscali" e che, in base ai dati in possesso al Tesoro, il risparmio per l'eliminazione delle province non supererebbe i "100-200 milioni". È un risparmio simbolico, ha detto. Parlando invece della prossima finanziaria, che si chiama "legge di stabilita", Tremonti ha assicurato che sarà "esclusivamente tabellare. Recepirà i numeri del decreto di luglio e i dati fondamentali del bilancio in essere". Il ministro ha poi detto che "possiamo chiedere all'Europa deroghe per zone franche, aree a bassa fiscalità, a bassa regolamentazione, eccezioni a regole europee pervasive". La speranza, ha concluso, "di ottenere eccezioni su tutto questo". Questa prima tranche dovrebbe riguardare circa 300-350 milioni che saranno ridestinati ai cantieri che più stanno tirando in questo momento: il Mose di Venezia. Non è ancora chiaro da dove arriveranno queste prime risorse, ma l'allegato infrastrutture traccia un quadro sommario dei capitoli di spesa incagliati che verranno sbloccati: circa 3,7 miliardi dovrebbero arrivare dagli interventi della manovra di fine maggio, 3 miliardi dal Fas e altri tre dai piani regionali finanziati dal Fas, mentre 3,8 miliardi dovrebbero arrivare da fondi comunitari. Va per altro considerato che il quadro finanziario dei fabbisogni evidenziati dall'allegato non si ferma a questi 19,1 miliardi: le risorse necessarie ammontano infatti a 33,1 miliardi, di cui 19,7 da impiegare al sud e 13,4 nel centro-nord. Più significativo e realistico l'ammontare di quattro miliardi considerato necessario nel prossimo triennio per sei opere fondamentali da realizzare per "lotti costruttivi": Torino-Lione, tunnel del Brennero e Fortezza-Verona, terzo valico dei Giovi, Verona-Padova, Venezia-Trieste, Milano-Verona. Nella scelta delle 28 priorità - che diventano 34 in un altro punto del documento se si assume come orizzonte il 2020 - non c'è nulla di veramente nuovo se non forse la consacrazione di opera prioritaria per il sud del nuovo asse ferroviario Napoli-Bari. Per il resto si tratta delle infrastrutture strategiche largamente condivise, finalmente inserite in una lista ristretta. http://giorgiosantilli.blog.ilsole24ore.com
2010-10-03 La sfida della produttività. Riparte il confronto tra imprese e sindacati per nuove relazioni industriali di Nicoletta PicchioCronologia articolo03 ottobre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 03 ottobre 2010 alle ore 15:06. L'ultima modifica è del 03 ottobre 2010 alle ore 08:00. Quasi venti organizzazioni attorno al tavolo, tra imprenditori e sindacati. Alla ricerca di quel "patto sociale" che dovrà essere, nelle intenzioni dei protagonisti, la base per riprendere la strada della crescita. Si parlerà di relazioni sindacali, di come rendere le aziende più competitive. Ma si guarderà anche fuori dai cancelli delle fabbriche e degli uffici, ai quei grandi temi, dal fisco, alle infrastrutture, alla ricerca, individuando proposte di riforma condivise, da presentare al Governo. Con questi obiettivi si avvia domani il tavolo sulla produttività, un'idea lanciata dalla presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, all'assemblea di maggio e quanto più urgente adesso: è vero che si cominciano a sentire segnali di ripresa, ma si tratta di un recupero debole e lento, con l'Italia che è in coda rispetto agli altri paesi europei. Proprio nei giorni scorsi il Centro studi di Confindustria ha messo in evidenza i nostri handicap: l'Italia ha perso competivitivà nei confronti della Germania, negli ultimi dieci anni il nostro costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato del 20%, il loro si è ridotto quasi del 10. E sono i tedeschi, paese manifatturiero come l'Italia, il notro punto di riferimento. Bisogna rimboccarsi le maniche. Di questo sono convinti i protagonisti del negoziato, che si incontreranno domani a Roma, alle 18, nella sede dell'Abi. Presenti, oltre alla leader degli industriali e ai vertici delle organizzazioni sindacali, quelli del mondo del credito e assicurativo (Abi e Ania), le organizzazioni delle piccole e medie imprese a partire da Rete Imprese Italia e Confapi, le organizzazioni del mondo agricolo (Coldiretti, Confagricoltura) e della cooperazione (Legacoop, Confcooperative). Non sarà proposta un'agenda di temi, come ha detto nei giorni scorsi la Marcegaglia: "Lancerò una serie di riflessioni, poi i vari argomenti verrano fuori dal tavolo e saranno approfonditi".
Ci saranno appunto due fronti: "Prenderemo impegni precisi su ciò che possiamo fare noi, sull'organizzazione delle aziende, sulla flessiblità, su come essere più produttivi". Ma poi ci sarà un nutrito pacchetto che dovrà essere sottoposto al Governo, la cui attuazione dipende dall'Esecutivo. Anche se l'Italia è la seconda potenza industriale europea, è sempre più difficile per il mondo imprenditoriale competere senza un sistema paese efficiente, che anzi diventa un costo aggiuntivo I tempi dovranno essere stretti: l'obiettivo è chiudere entro dicembre. E c'è il punto interrogativo su quale sarà l'atteggiamento della Cgil. Al tavolo Guglielmo Epifani, numero uno della confederazione, ci sarà. Almeno nelle prime battute: poi arriverà Susanna Camusso, che sarà eletta segretario generale ai primi di novembre. Il confronto sulla produttività potrebbe segnare anche una svolta positiva nelle relazioni sidacali, con la Cgil disposta a firmare e a condividere le stretegie con Cisl e Uil, mettendo fine alla lunga serie di intese separate. Sarà inevitabile parlare al tavolo dei contratti e proprio per distendere il clima lo scorso fine settimana, al convegno di Confindustria a Genova, gli imprenditori hanno lanciato un segnale importante di disgelo: la disponibilità a fare il tagliando alla riforma dei contratti del 2009, un modo per far rientrare in partita la Cgil, che non l'ha firmata. Ma gli episodi di tensione di questi giorni, con gli attacchi della Fiom alle sedi della Cisl, le reazioni all'accordo siglato mercoledi scorso tra Federmeccanica, Fim, Uilm, Ugl e Fismic sulle deroghe contrattuali, bollato come antidemocratico sia da Epifani che dalla Fiom, fanno capire che ci sarà molto da lavorare. L'auspicio è che, alla fine, su particolarismi e ideologie prevalga il futuro del Paese.
Operatori ottimisti: crisi dura ma la nautica è pronta a ripartire. Al salone di Genova il punto su hi-tech e stile di Raoul de ForcadeCronologia articolo3 ottobre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 03 ottobre 2010 alle ore 19:13. http://www.repubblica.it/salute/forma-e-bellezza/2010/10/05/news/obesit_cresce_fra_gli_uomini-7741223La produzione italiana di superyacht, settore in cui l'Italia è leader nel mondo, ha retto l'impatto della crisi del 2008 e 2009 grazie soprattutto all'export, anche se ha segnato un pesante -23%. Lo testimoniano i dati forniti oggi da Ucina, la Confindustria nautica, nel secondo giorno di apertura del Salone nautico internazionale, che proseguirà fino al 10 ottobre alla Fiera di Genova. Una kermesse che mostra, nella sua cinquantesima edizione, i segni del momento difficile che il comparto ha vissuto negli ultimi due anni.Cento barche in meno in esposizione, anche se la presenza di 2.300 unità dimostra che la manifestazione mantiene comunque un notevolissimo peso; alcuni stand vuoti (si registra una flessione di una cinquantina di espositori rispetto a passate edizioni, benché il numero continui a essere ragguardevole, toccando le 1.400 unità); ma, soprattutto, un numero di visitatori, nei primi due giorni, che appare al di sotto delle medie di un tempo. La giornata d'inaugurazione, d'altro canto, ha subito lo sciopero selvaggio dei dipendenti dell'azienda di trasporto locale genovese, con una manifestazione davanti alla Fiera che ha impedito a molti di raggiungere agevolmente il Salone. E, in aggiunta, una protesta, a favore della tutela del Santuario dei cetacei, inscenata fra gli stand da Greenpeace. Avvenimenti che hanno irritato gli espositori.
"Quello di Genova – spiega Salvatore Basile, a.d. di Ferretti group – è un salone importantissimo per la nautica. Ma non ho mai visto scioperi e blocchi come negli ultimi due anni. Io stesso ieri sono stato fermato in auto dalla manifestazione e ho dovuto raggiungere gli stand a piedi. È chiaro che, in un momento delicato come questo, per il comparto, se qualcosa non va, come è successo all'inaugurazione per lo sciopero, si sente di più". E tuttavia Basile, come altri, operatori mostra fiducia nella possibilità di ripresa della nautica. Un ottimismo che trapela anche da Ucina nell'analisi dei, pur negativi, dati sull'andamento del settore, registrati nella pubblicazione "La nautica in cifre". Alcuni cantieri, ha detto il presidente di Ucina, Anton Francesco Albertoni, "hanno chiuso il corrente anno nautico (che termina il 31 agosto) dichiarando un calo rispetto al precedente. Tuttavia il calo potrebbe essere recuperato col bilancio dei mesi di settembre, ottobre, novembre e dicembre. Perché sono stati proprio quei quattro mesi del 2009 a determinare il buco nero del comparto. E quindi, se il Salone di Genova e i prossimi andranno bene, lasituazione potrebbe essere recuperata proprio nello stesso periodo di quest'anno". Del resto, prosegue Albertoni, "dopo un quinquennio 2003-2007 che aveva regalato alla nautica un'accelerazione spaventosa è ovvio che la frenata si sia sentita. Per il 2010, però, c'è un cauto ottimismo. Determinato anche dal fatto che sono praticamente esauriti gli stock di barche invendute. E quindi gli ordini presi a Cannes e Montecarlo, e quelli che ci saranno, a Genova sono oggetto di nuove costruzioni". Analizzando i dati elaborati dall'ufficio studi di Ucina, in collaborazione con l'università di Genova, emerge (si tratta di un dato campione) che la produzione nazionale di superyacht nel 2009 è calata del 23% rispetto al 2008. La percentuale è frutto di una media ponderata tra una produzione per il mercato nazionale che segna -56% e una produzione per l'export che perde il 9,6%. Questo significa che le esportazioni, pur con un calo, hanno sostanzialmente tenuto e che, per ogni megayacht italiano che si vende sul territorio nazionale, all'estero se ne vendono cinque. Nel 2008 la proporzione era di uno a tre. Per quanto riguarda il fatturato dell'intera industria nautica (che totalizza complessivamente un -31,3%), la cantieristica ha segnato, nel 2009, un -27,9% sul 2008. Poi c'è un -37% per le aziende di refitting, riparazione e rimessaggio (che però diventano sempre più specializzate); un -35,8% degli accessori e un -38,6% dei motori. "Nel 2009 – conferma Albertoni – indubbiamente si è registrata la flessione di fatturato più importante che la nautica abbia mai avuto. Ora, però, tutti gli indicatori dicono che il calo può essere recuperato".
Megayacht da sessanta metri e arredi marinaro-chic. Le novità del salone nautico di Genova di Fernanda RoggeroCronologia articolo2 ottobre 2010 * Leggi gli articoli * Guarda le foto * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2010 alle ore 16:32. * * * * Anche se più della metà delle 2300 barche esposte (per l'esattezza il 60%) è inferiore ai dieci metri, la ripresa della nautica italiana, in mostra da oggi al 50° Salone di Genova, è tutta affidata ai megayacht, dai 35-40 metri in su, gli unici in questo momento ad avere mercato. E gli sguardi degli appassionati (per la verità nel primo giorno, complice un cielo bigio e la protesta dei tranvieri che ha bloccato gli ingressi in fiera, non foltissimi) sono tutti per le due ammiraglie del Salone. Il sessanta metri a motore Blue Eyes del cantiere Crn del gruppo Ferretti e il Fivea, 45 metri a vela di Perini Navi. Il primo colpisce per l'arredo, testimonianza della passione dell'armatrice per l'antica Cina mandarina. I visitatori scendendo dal pozzetto commentano i preziosi tavoli con delicati intarsi e un soffitto che riproduce un'antica mappa dei venti. Tutt'altra atmosfera nello sloop in acciaio di Perini, che ha un gusto molto "marinaro", tanto teak e un arredo sobrio. Pur essendo certificato per il noleggio, l'armatore ha deciso di utilizzarlo esclusivamente per le vacanze di famiglia con lunghe crociere. I circa 1200 metri quadrati di piano velico garantiscono andature fino a tredici nodi in pieno relax, tanto che i letti della cabina armatoriale sono stati posti "a murata", cioè ai due lati dello scafo, per consentire un sonno tranquillo anche in piena bolina. La zona tecnica sarebbe il sogno di ogni casalinga, con cucina superaccessoriata e una lavanderia con quattro lavatrici-asciugatrici e una struttura per stiratura meccanica. Un gioiello da una trentina di milioni di euro. Da vedere anche il Magellano 50 di Azimut Yachts, presentato qui in anteprima mondiale, il primo motoryacht con illuminazione a led e sistema ibrido per navigare fino a 8 nodi con motori elettrici: ovvero come ripartire da una notte di quiete in rada nel silenzio più assoluto, senza spezzare la magia. Le novità in tutto sono 500, quindi c'è di che sbizzarrirsi. Oggi comunque era la giornata istituzionale, con l'arrivo del ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli che ha annunciato una nuova disponibilità di incentivi statali per 1,6 milioni di euro a favore del settore grazie allo sblocco di risorse non ancora utilizzate, parte dei 20 milioni originariamente stanziati per la sostituzione di motori fuoribordo e l'acquisto di stampi in vetroresina. Sollecitato dal presidente dei produttori nautici Anton Francesco Albertoni che chiedeva maggiore attenzione del governo verso il settore, il ministro si è lasciata scappare una leggera polemica nei confronti della Guardi di Finanza, quest'estate particolarmente "attiva" nei controlli. Pur compiendo un'attività giusta e necessaria, ha in sostanza detto il ministro, la GdF in alcuni casi si è comportata in maniera talmente aggressiva da far rischiare la fuga di molti diportisti verso le coste estere. Qualche ora più tardi Matteoli ha dichiarato di essere stato frainteso. Resta il fatto che i porti delle Baleari, così come quelli della Croazia, mai come quest'anno erano affollati di barche italiane.
2010-10-02 L'avanzo Inps cala di 3,4 miliardi Davide ColomboCronologia articolo02 ottobre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2010 alle ore 08:01. ROMA Sette trimestri di recessione hanno lasciato il segno nei conti dell'Inps. Al punto che nell'assestamento al bilancio di previsione per il 2010 il risultato complessivo della gestione finanziaria subisce una correzione di 3,4 miliardi rispetto alle vecchie stime (novembre 2009) e scende da 4,1 miliardi a 706 milioni di euro. La brusca caduta dell'economia italiana, iniziata a fine marzo 2008, ha prodotto effetti sul mercato del lavoro che hanno superato le previsioni contenute negli ultimi due documenti di finanza pubblica su cui i tecnici dell'Inps hanno basato, come prevede la legge, le loro proiezioni di bilancio. In particolare, rispetto alle stime contenute nel Dpef (luglio 2009) e nella Ruef (maggio 2010), è peggiorato il tasso di occupazione nel settore privato e sono cresciute meno delle attese le retribuzioni lorde con, addirittura, un netto calo del monte retributivo nell'industria (del -1,5% secondo la Ruef rispetto al +1,6% dell'ultimo Dpef). Il risultato è stato una contrazione più che proporzionale dell'avanzo di competenza, visto che quando il mercato frena si riducono le entrate contributive e si dilata la spesa per prestazioni assistenziali. Nel documento appena firmato dal presidente Antonio Mastrapasqua, e che la settimana prossima sarà al vaglio del Consiglio di indirizzo e vigilanza dopo il parere positivo già espresso dal collegio dei sindaci revisori, si evidenzia come le entrate contributive registrate a consuntivo 2009 si siano ridotte di 3,5 miliardi (dai 148,559 miliardi previsti ai 145,031 effettivi). Mentre la previsione aggiornata per fine 2010 indica entrate contributive in crescita per circa 900 milioni (si prevede infatti un incasso di 145,9 miliardi) ma comunque inferiori di 2,3 miliardi rispetto alle prime previsioni fatte, appunto, un anno fa. "La recessione più acuta del dopoguerra ha avuto un riflesso forte sui conti dell'istituto – spiega al Sole 24 Ore Antonio Mastrapasqua – ma il risultato complessivo della gestione finanziaria resta positivo per oltre 700 milioni e sulla base delle stime contenute nella Decisione di finanza pubblica che il governo ha varato mercoledì scorso noi confidiamo di arrivare a fine anno con numeri con numeri ancora migliori". Guardando alle principali gestioni pensionistiche, gli scostamenti maggiori rispetto alle vecchie previsioni riguardano il fondo pensioni lavoratori dipendenti (che passa da un avanzo di 10,3 miliardi a uno di 6,9 miliardi) e la gestione dei parasubordinati (che passa da 8,3 a 6,9 miliardi). Ma l'effetto crisi è ancora più vistoso se si passano in rassegna le rettifiche proposte per le gestioni delle prestazioni temporanee dei lavoratori dipendenti, capitolo che contiene tutti gli ammortizzatori sociali attivati: si balza da un avanzo di oltre tre miliardi a un disavanzo previsto a fine anno di 263 milioni. Nelle previsioni aggiornate l'Inps arriva a contabilizzare un incremento del cosiddetto "montante dei crediti contributivi" pari a 63,2 miliardi rispetto ai 52,8 del 2008. Ma proprio su questo fronte fanno ben sperare i risultati raggiunti con le riscossioni, che hanno fatto segnare un recupero crediti che dovrebbe toccare i 6 miliardi a fine anno contro i 4,6 incassati nel 2009. Nelle ultime stime cresce anche il numero delle nuove pensioni che verranno liquidate: saranno 714.421 (+11,4% rispetto alle domande di pensioni accolte e liquidate 2009). I pensionamenti maggiori sono attesi tra i lavoratori dipendenti (+13,6%, con 48.696 nuove pensioni) rispetto al comparto del lavoro autonomo (+3%, con 5.678 ritiri). © RIPRODUZIONE RISERVATA IL QUADRO Le pensioni del 2010 Sulla spesa pensionistica influiranno le nuove pensioni accolte e liquidate, le pensioni vigenti, quelle eliminate e gli incrementi dovuti alle perequazioni automatiche Se si escludono le pensioni erogate dalla Gestione invalidi civili, le ultime previsioni contenute nell'assestamento del bilancio preventivo 2010 indicano per fine anno 16.042.360 pensioni rispetto ai 16.010.896 di fine 2009. Le nuove pensioni liquidate saranno 714.421 (+11,4%; 73.242 nuove prestazioni), mentre le pensioni eliminate saranno 682.957 La ripartizione Le nuove pensioni liquidate riguardano 407mila lavoratori dipendenti (+13,6%); 195.600 pensioni di lavoratori autonomi (+3%); 631 nuove pensioni degli iscritti al fondo clero (-13,2% rispetto alle pensioni accolte e liquidate nel 2009)
nps: a luglio nessuna fuga per le pensioni Davide ColomboCronologia articolo14 agosto 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2010 alle ore 08:03. * * * *
ROMA L'imminente passaggio alla finestra unica per il pensionamento di vecchiaia e anzianità non ha per il momento influito sulle scelte dei lavoratori di chiudere in anticipo il rapporto d'impiego. Lo rivela l'Inps, che ieri ha diffuso i dati relativi alle domande di pensionamento di anzianità dopo l'apertura della finestra di luglio. Nei primi sette mesi dell'anno le uscite dal lavoro per pensionamento sono state 16mila in meno rispetto alle previsioni: 131.300 contro le 147.700 preventivate nel bilancio 2010. L'unico andamento in lieve aumento è quello del pensionamento dei lavoratori dipendenti (18.000 più delle previsioni: 85.500 contro le attese 67.200); ampiamente compensato dal calo (rispetto alle previsioni del bilancio 2010) sia dei lavoratori agricoli (- 9.100 unità), sia degli artigiani (- 15.500) sia dei commercianti (-10.000). Il presidente dell'Istituto, Antonio Mastrapasqua, ha accompagnato i dati diffusi in una nota con un commento lapidario: "Gli italiani mostrano maggiore equilibrio di tanti esperti della materia". La finestra di luglio è stata la penultima prima dell'entrata in vigore della riforma e l'ultima con il requisito delle quote, visto che la finestra di ottobre sarà riservata a chi ha maturato i 40 anni di anzianità contributiva entro il giugno 2010. Nel bilancio di previsione 2010 l'Inps si stima che nell'anno verranno liquidate 757mila nuove pensioni contro le 679mila liquidate nel 2009, con un incremento di circa 60mila nuovi assegni (+8,6%). Ma la previsione delle pensioni liquidate è solo in parte confrontabile con le domande di pensionamento perché contiene un "effetto di trascinamento" relativo agli assegni pagati per pensioni maturate negli ultimi mesi dell'anno precedente. Le pensioni vigenti nelle principali gestioni Inps a fine 2009, vale ricordarlo, erano 16.053.965, in calo dello 0,26% rispetto al 2008. "È poco rilevante il confronto con il 2009 – spiega Mastrapasqua – poiché lo scorso anno si era scontato l'inasprimento del requisito minimo di età, passato da 57 anni nel 2007 a 59 anni nel 2009, e dell'innalzamento del requisito di sola anzianità, passato da 39 anni a 40 anni". Insomma il 2009 è stato un anno particolarmente avaro di liquidazioni, con il risultato che quest'anno si riverseranno automaticamente alcuni contingenti di nuovi pensionati che avevano già maturato i requisiti nel 2009. L'andamento altalenante dei pensionamenti è un effetto della legge 247/2007 (la riforma Damiano-Prodi, che ha introdotto il sistema degli scalini più quote). "Era interessante vedere come sarebbe stata utilizzata la finestra di luglio, dopo la definizione della nuova riforma che introduce dal 1° gennaio 2011 la cosiddetta finestra mobile – osserva ancora Mastrapasqua –. C'era chi si aspettava una grande fuga verso la pensione. Ma così non è stato. Segno di maturità e di equilibrio degli italiani. È nuovo motivo di stabilità per i conti dell'Inps". A completare il quadro sulla previdenza, ieri dal Dipartimento delle Finanze e dalla Ragioneria generale dello stato arrivati anche i dati sulle entrate contributive nel primo semestre, che mostrano, nel complesso, un aumento di circa un miliardo e 82 milioni (+1,1% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso). In particolare i contributi Inps (compreso l'Ipost, soppresso con la manovra correttiva) crescono dell'1,6% a 66,3 miliardi. Secondo l'Economia a giugno hanno tenuto gli incassi per recupero crediti mentre si sono ridotti gli incassi netti per il Tfr. In aumento anche i contributi Inpdap (anche in questo caso compreso l'Enam, soppresso), +1,3% a 26 miliardi, dovuto all'aumento della contribuzione da parte delle amministrazioni statali. In calo, invece, i premi riscossi dall'Inail (Ipsema inclusa). Si scende di circa 600 milioni rispetto al primo semestre del 2009 (-10,9%) probabilmente a causa, spiega la nota del ministero dell'Economia e delle Finanze, "dell'andamento negativo dei redditi sia per l'anno scorso sia nelle previsioni per quest'anno". Ipotesi che troverebbe conferma dalla rata riscossa a febbraio, quando le imprese pagano il premio di autoliquidazione (anticipo per l'anno e conguaglio per l'anno passato) , inferiore di 460 milioni rispetto a quella del 2009, mentre la rata di maggio (rateo sull'autoliquidazione 2009-2010) è risultata in calo di circa 70 milioni. Infine, contributi in crescita del 4,4 e dell'8,9%, anche, per l'Enpals e gli enti previdenziali privatizzati.
2010-09-29 Puglia laboratorio del nuovo lavoro. Le vostre storie raccontate al Sole.com di Cristina CasadeiCronologia articolo29 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2010 alle ore 16:02. Una task force istituita in Regione per le crisi aziendali che lavora a pieno ritmo per risolvere le emergenze occupazionali di Bat, Filanto, Adelchi, solo per citare i casi più recenti. Le aziende che dicono che è la regione del Sud che si sta muovendo meglio per un rilancio deciso e duraturo. Al Sud la Puglia è diventata l'area più dinamica, nel bene e nel male, e la più progressista, soprattutto per l'attenzione alla green energy, come mostra il suo territorio ormai disseminato di pale eoliche. "Il Sole 24 Ore" si sta rivolgendo soprattutto ai giovani, in questi giorni, con la pubblicazione, ieri, della guida per trovare lavoro e con l'apertura, su internet e sul giornale, di un forum dedicato agli interrogativi che l'emergenza occupazione continua a porre (continuate a lasciare i vostri commenti). Nel 28% delle risposte di 988 aziende italiane di diversi settori e dimensioni a un sondaggio dell'ufficio studi di Manpower la Puglia ha intrapreso un percorso "buono" che nel 4,1% è giudicato "decisamente buono" per la ripresa economica. E è diventata la regione del Sud capace di distinguersi dalle altre e di guadagnare un netto distacco da Basilicata, Molise, Sicilia, Campania, Calabria. "In Puglia c'è un'industria medio piccola nel commercio, nell'agroalimentare e nella logistica, oltre che nelle energie verdi che ha saputo guardare in grande e al di là dei confini nazionali – osserva l'amministratore delegato di Manpower, Stefano Scabbio –. Si è dotata di competenze avanzate e di profili manageriali adeguati, ha costruito un marketing più orientato al mercato globale", al punto da diventare un modello per il Sud.
Dall'analisi globale delle dinamiche dei fatturati attesi per il prossimo anno, secondo il sondaggio Manpower, le aziende si aspettano nel 42% stabilità, dovuta soprattutto alle incertezze del mercato. In questa fase più che mai l'aumento del giro d'affari si lega "a un grande tema di fondo che l'Italia deve cercare di risolvere e cioè le esportazioni. Quasi i tre quarti del nostro export va in Europa, ossia in un'area del mondo la cui crescita nei prossimi anni si attesta su livelli molto bassi. Dobbiamo indirizzarci ad altre aree, come ha fatto la Germania che ha guardato alle economie emergenti, India e Cina. Finchè non riusciremo ad andare verso quei paesi che hanno una crescita molto forte, rimarremo ancorati a uno stock di export troppo basso". Delle quasi mille aziende che hanno partecipato alla ricerca di Manpower, solo poco più del 20% lavora nella convinzione di poter fare crescere il fatturato il prossimo anno. Un aumento della produzione a cui dovrebbero corrispondere anche nuove assunzioni: in media questo si verificherà nel 16% dei casi a livello nazionale e nel 19% nel centro-nord. "Le aziende che fanno assunzioni incrementali sono ancora poche – dice Scabbio –, molte stanno ancora rivedendo gli organici e continuano nei programmi di fuoriuscita. Non mancano però i primi segnali positivi che si cominciano a registrare nella selezione di figure di alto profilo e specializzazione: questo settore sta crescendo del 20%".
Nelle politiche di recruiting, tra i criteri guida al primo posto c'è la flessibilità (67%) che "le aziende in questa fase stanno usando in modo tattico per coprire gli ordinativi – interpreta Scabbio –. Certo ancora non c'è una volontà strutturale di aumentare la manodopera di basso livello". Seguono la motivazione all'apprendimento (60%) e l'orientamento ai risultati (52,2%) di cui un nuovo assunto non potrà fare a meno per entrare a far parte dei team aziendali. Sui fattori chiave decisivi per competere la geografia sembra eliminare le differenze, ma con una distinzione: il quarto fattore per competere se al sud è lo spirito di cooperazione (44,1% delle risposte), al nord è la richiesta di una maggiore capacità di lavorare sotto pressione (32,9%).
Le imprese del Centro-Nord e del Sud concordano sulla necessità di un intervento dei governi locali nella definizione e nell'attuazione di politiche di sviluppo mirate ed efficaci: a sostenerlo è il 39% delle imprese. Inoltre viene sottolineata l'esigenza di un adeguamento delle infrastrutture a livello europeo (14,6%) e di una nuova generazione imprenditoriale, un problema più sentito al sud con il 14,2% che al centro-nord con l'11,9%. A trainare il mezzogiorno, in vista di un rinnovamento e di una auspicata ripresa economica saranno il turismo per il 47,8% delle imprese (per il 53,4% al sud) e l'energia per il 22% (per il 25,9% al centro-nord). Inoltre, mentre il centro-nord suggerisce anche di non trascurare i servizi (con l'11% dei suggerimenti), una parte di imprenditori e manager del sud crede nelle potenzialità e nel rinnovamento dell'agroindustria (12,4%).
Sulle deroghe al contratto dei metalmeccanici c'è l'accordo tra Federmeccanica, Fim e Uilm di Giorgio PogliottiCronologia articolo29 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2010 alle ore 16:55. Con l'accordo raggiunto tra Federmeccanica, Assistal, Fim-Cisl e Uilm sulle intese modificative al contratto dei metalmeccanici del 2009 si sblocca il piano Fabbrica Italia della Fiat. Il testo che richiama i contenuti dell'accordo interconfederale del 15 aprile 2009 rappresenta una cornice di regole che potrà essere applicata dalle 12mila aziende metalmeccaniche a livello locale. Le deroghe sono previste, anche in via sperimentale o temporanea, in due casi: per favorire lo sviluppo economico e occupazionale con la creazione delle condizioni per nuovi investimenti o per contenere gli effetti di situazioni di crisi aziendale. Le intese sulle deroghe dovranno indicare gli articoli del contratto nazionale oggetto di modifica, ma non potranno riguardare il salario (i minimi tabellari, né gli aumenti periodici di anzianità, o l'elemento perequativo con il quale si estendono gli aumenti alle imprese in cui non si fa contrattazione aziendale), oltreché i diritti inderogabili stabiliti dalla legge. Quanto alle procedure, le intese sono definite a livello aziendale con l'assistenza delle associazioni industriali e le strutture territoriali del sindacato. È prevista entro 20 giorni una validazione a livello nazionale da parte dei sindacati e delle aziende che hanno stipulato il contratto nazionale, ma trascorsa questa scadenza le intese locali diventano pienamente efficaci. L'intesa è stata siglata con un mese di anticipo rispetto alla dead line di fine ottobre fissata dall'ad della Fiat, Sergio Marchionne, che a luglio aveva sottolineato la priorità di garantire la piena esigibilità dell'intesa su Pomigliano D'Arco mettendola al riparo dal possibile contenzioso giudiziario minacciato dalla Fiom. Federmeccanica, per voce del presidente Pierluigi Ceccardi, considera l'intesa un "buon accordo" e torna a chiedere alla Fiom che non ha partecipato alla trattativa, né ha firmato il contratto nazionale del 2009, di "tornare al tavolo". Ma il leader della Fiom, Maurizio Landini, giudica "uno strappo democratico gravissimo" l'accordo perché "i sindacati non hanno nessun mandato dei lavoratori a firmare", e "con le deroghe hanno avviato un percorso verso la cancellazione del contratto nazionale". Per Rocco Palombella (Uilm), "l'intesa rafforza la contrattazione di secondo livello", al contempo "si avrà un controllo nazionale su tutte le deroghe", mentre "finora non conoscevamo i contenuti delle modifiche al contratto concordate localmente nelle aziende in cui manca il sindacato".
Giudice dichiara inammissibile il ricorso della Fiom sul reintegro dei tre di Melfi licenziati da Fiat Cronologia articolo29 settembre 2010Commenti (1) * Leggi gli articoli * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2010 alle ore 12:52. * * * * Il ricorso della Fiom sulle modalità con cui la Fiat aveva attuato il reintegro dei tre operai dello stabilimento di Melfi (Potenza) licenziati nel luglio scorso è stato dichiarato "inammissibile" dallo stesso giudice del lavoro che aveva emesso il provvedimento di annullamento dei licenziamenti. L'udienza durante la quale la Fiom aveva presentato la sua istanza si è svolta il 21 settembre scorso. Il sindacato aveva contestato la decisione della Fiat di riammettere i tre licenziati permettendo loro di svolgere attività sindacale ma non di tornare a lavoro sulle linee produttive. In una nota, i legali della Fiat hanno evidenziato che "nel dichiarare inammissibile l'istanza della Fiom, il Tribunale di Melfi ha confermato trattarsi di richiesta estranea al nostro ordinamento processuale sottolineando che la stessa costituisce "tentativo, che oltrepassando i limiti dell'analogia, si caratterizza per essere un'iniziativa creativa e di politica legislativa, inibita all'ordine giudiziario". Dopo la sentenza la Fiom, in una nota, ha precisato: "Presenteremo nei prossimi giorni un atto di precetto nei confronti della Sata di Melfi, come indicato dalla sentenza odierna. Il Giudice di Melfi - si legge - non é entrato nel merito delle modalità con cui far rispettare alla Fiat l'ordine del reintegro al lavoro per i tre operai della Sata di Melfi. Ciò esclusivamente per ragioni di natura processuale, riconducibili al fatto che tale competenza non spetta ad un giudice per il lavoro, ma al Giudice dell'esecuzione. Pertanto, perché la Fiat applichi pienamente il decreto esecutivo emesso lo scorso 10 agosto dal Tribunale di Melfi, che ha condannato l'Azienda per comportamento antisindacale e ordinato il reintegro sul proprio posto di lavoro dei tre operai di Melfi, la Fiom ha dato mandato ai propri legali di presentare nei prossimi giorni, così come indicato dalla odierna sentenza del Tribunale di Melfi, un atto di precetto per avviare l'esecuzione forzata dell'ordine di reintegro nei confronti della Sata di Melfi. Naturalmente - conclude la nota - la Fiom si riserva, in caso di un reiterato mancato adempimento da parte dell'Azienda di ricorrere al Giudice dell'esecuzione". Intanto riparte il confronto su Fabbrica Italiae sugli investimenti della Fiat negli stabilimenti italiani. Il 5 ottobre - riferisce il segretario generale della Uilm Rocco Palombella - i rappresentanti della Fiat incontreranno Fiom, Fim e Uilm su Fabbrica Italia. Dopo l'accordo per lo stabilimento di Pomigliano (non firmato dalla Fiom) ai parlerà degli altri siti industriali, Mirafiori, Cassino, Melfi e la Sevel di Chieti.. 2010-09-27 In dieci anni ogni lavoratore italiano ha perso 5.453 euro di potere d'acquisto Cronologia articolo27 settembre 2010Commenti (2) Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2010 alle ore 13:53. In 10 anni ogni lavoratore ha perso 5.453 euro di potere d'acquisto del suo stipendio. Il dato emerge dal rapporto Ires-Cgil sulla crisi dei salari. Tra il 2000 e il 2010, si legge nel rapporto, le retribuzioni hanno avuto a causa dell'inflazione effettiva più alta di quella prevista, una perdita cumulata del potere d'acquisto di 3.384 euro ai quali si aggiungono oltre 2mila euro di mancata restituzione del fiscal drag che porta la perdita nel complesso a 5.453 euro. Nel periodo 2000-2010, sottolinea il rapporto Ires-Cgil, la perdita accumulata calcolata sulle retribuzioni equivale a circa 44 miliardi di maggiori entrate complessivamente sottratte al potere d'acquisto dei salari. Questo spiega perché nel decennio le entrate da lavoro dipendente abbiano registrato una crescita reale (al netto dell'inflazione) del 13,1%, a fronte di una flessione reale di tutte le altre entrate del 7,1 per cento. La caduta del potere d'acquisto per abitante "in realtà risulta già molto evidente prima del 2009: rispetto al picco del terzo trimestre 2006, la flessione del reddito delle famiglie italiane in termini reali supera il 6%, che corrisponde a oltre 1.100 euro annui. Tra il 2002 e il 2010, in particolare, per il reddito disponibile familiare c'è stata una perdita di circa 3.118 euro nei nuclei di operai e impiegati, contro un guadagno di 5.940 euro per professionisti e imprenditori". Nel 2010, poi, le retribuzioni contrattuali - secondo le stime dell'Ires - crescono del 2,1% rispetto a un'inflazione dell'1,7%, le retribuzioni di fatto crescono del 2,1% e quelle nette dell'1,9%, "evidenziando così un aumento della pressione fiscale dello 0,2% in corso d'anno". Se si considera quindi il biennio della crisi, "contiamo un aumento della pressione fiscale dello 0,4%" e l'aumento medio reale delle retribuzioni nel biennio 2009-2010 risulta di appena 16,4 euro netti mensili. Se si calcola invece, conclude la Cgil, la crescita delle retribuzioni includendo anche l'abbattimento del reddito dovuto al massiccio ricorso alla cassa integrazione, l'aumento netto reale in busta paga per tutti i lavoratori dipendenti è solamente di 5,9 euro al mese. "C'é un grande problema che riguarda l'abbassamento dei salari, soprattutto legato al prelievo fiscale", è il commento al rapporto del segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Per il sindacalista "esiste l'urgenza di interventi di sgravi per il lavoro dipendente" alla luce almeno degli effetti del drenaggio fiscale. Non é più accettabile, ha detto Epifani. che "il bene più scarso, il lavoro, oggi é più tassato delle altre forme di reddito". Bisogna quindi "riequilibrare" il fisco, cosa che non può essere rinviata "alle calende greche" ma va fatto in tempi rapidi. (N.Co.)
La bussola per conquistare il posto giusto. La mappa dei mestieri che resistono alla crisi di Francesca BarbieriCronologia articolo27 settembre 2010Commenti (14) Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2010 alle ore 08:25. Dalle 9 alle 18 i lettori possono inviare agli esperti del Sole 24 Ore a questo indirizzo le proprie domande sui seguenti temi: curriculum e colloqui di lavoro, pari opportunità, mettersi in proprio, lavorare all'estero. Le prime risposte ai quesiti saranno pubblicate sul quotidiano di martedì e nei giorni successivi online. L'ultima fotografia dell'Istat sull'occupazione parrebbe non dare scampo: un quadro a tinte fosche dove la quota dei senza lavoro è arrivata all'8,5% (record dal 2003) e per i giovani addirittura al 27,9% (primato negativo dal 1999). Intercettare i pochi disponibili è sempre più difficile. Però ci sono aziende che - in controtendenza rispetto al trend generale - faticano a trovare addetti con il curriculum adatto all'incarico da ricoprire. Al Nord gli informatici, al Centro gli installatori di infissi, al Sud i parrucchieri. Sono questi i mestieri che guidano le classifiche regionali degli "introvabili", messe a punto dal centro studi Datagiovani attingendo dal sistema informativo Excelsior di Unioncamere. Certo non si tratta di grandi numeri, ma nemmeno di cifre infinitesimali: le assunzioni totali non stagionali pianificate dalle imprese per tutto il 2010 sono 551.950, il 26,7% delle quali di difficile reperimento. E l'Istat ha registrato la settimana scorsa oltre 50mila posti vacanti nell'industria e nei servizi privati. Si tratta di funzioni indispensabili per le aziende, da ricoprire attingendo sia nelle fasce alte sia in quelle basse dell'impiego, che spesso restano vuote perché mancano i candidati con le competenze giuste. Oggi, molto più che in passato, per chi cerca un'occupazione è fondamentale informarsi, mettere a punto strategie, trovare contatti utili sfruttando le nuove tecnologie. Opportunità concrete di lavoro e formazione devono essere i punti fermi per orientare i percorsi lavorativi, che si tratti di giovani alla prima esperienza o di espulsi dopo anni di attività, di donne in carriera o di immigrati.
Anche quest'anno, con la Guida pratica "Trovare lavoro", Il Sole 24 Ore offre una bussola per chi è alla ricerca di un impiego. Nelle pagine seguenti troverete strumenti utili e consigli pratici per mettere a punto il piano d'azione vincente. Si parte con indicazioni mirate su curriculum e colloquio per poi accendere i riflettori su giovani, donne, immigrati ed espulsi dal mercato del lavoro: per ciascun target troverete un focus sulle possibilità di impiego, segnalate raccogliendo le voci dirette di capi del personale, cacciatori di teste e recruiter specializzati. Spazio anche a contratti, nuovi intermediari, corsi di formazione e libri di approfondimento. L'analisi di Datagiovani sulle previsioni di assunzione delle imprese per il 2010 ha messo in evidenza le sette figure professionali più difficili da reclutare in ogni regione tra quelle che rappresentano più dell'1% degli inserimenti totali previsti. "La graduatoria - spiega Michele Pasqualotto, ricercatore di Datagiovani - ha preso in considerazione 25-30 professionalità rappresentative del 70% delle assunzioni totali". Al Nord - come detto in precedenza - il rischio di mismatch riguarda in primis gli informatici (introvabili nel 46,8% dei casi). Tra le figure più richieste dalle imprese "quasi tre commessi su dieci sono difficili da trovare - rileva Pasqualotto -. In più, problematiche si potrebbero riscontrare per occupare posti da cameriere e nei servizi sanitari qualificati". In Piemonte e Valle d'Aosta, c'è penuria di parrucchieri (71%), meccanici industriali (49%), cuochi (46%) e operatori di call center (36%). La Lombardia, oltre alla carenza di acconciatori (79%), evidenzia un gap di infermieri , informatici e specialisti nei rapporti con il mercato (tutti oltre il 40%). Interessante è poi il caso della Liguria, in cui ben tre delle professionalità più gettonate sono anche quelle più ardue da rintracciare: si tratta di meccanici e montatori (ben il 92% delle richieste va a vuoto), seguiti da commessi e camerieri. In Veneto sono wanted operatori sanitari, elettricisti e tecnici di vendita, mentre in Emilia Romagna una figura particolarmente difficile da scovare è quella del barista: degli oltre mille posti disponibili quasi il 40% rischia di rimanere deserto. Percorrendo lo stivale verso Sud, la Toscana evidenzia due figure di difficile reperimento, che sono anche tra quelle più ricorrenti in assoluto (oltre mille assunzioni indicate per ciascuna): professioni sanitarie (56%) e camionisti (44%). Nel Lazio, commessi e tecnici informatici si trovano sia tra i mestieri più richiesti sia tra quelli più difficili da reperire, ma con percentuali di difficoltà meno rilevanti (rispettivamente 32% e 38%). Da segnalare, tra gli altri profili "difficili", gli installatori di infissi (che sono in assoluto i più introvabili in tutta l'area), i meccanici auto, i baristi e gli infermieri.
Al Sud è caccia aperta ai parrucchieri e a tutti i mestieri legati all'edilizia. In Puglia, ad esempio, tra le prime sette figure richieste se ne trovano quattro del settore edile e ben tre sono introvabili. In Campania, oltre agli elettricisti (55%) è arduo assumere contabili, ma anche cassieri (50%). Per concludere, la Sicilia mostra un mix di profili rari: mancherebbero infatti sì elettricisti (54%) e tecnici delle costruzioni civili (27%), ma anche cuochi (40%), personale sanitario (33%), meccanici e montatori industriali (28%). "In questa fase critica per l'occupazione - conclude Pasqualotto - e di fronte a un quadro territoriale così variegato è necessario che i lavoratori, soprattutto quelli più giovani, siano disponibili a spostarsi per far valere le proprie professionalità, mentre per chi si appresta a scegliere nuovi percorsi formativi è indispensabile trovare i canali che orientino alle peculiarità territoriali, per coniugare al meglio interessi personali e sbocchi lavorativi".
2010-09-26 Patto imprese-sindacati sulle riforme di Nicoletta PicchioCronologia articolo26 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2010 alle ore 08:04. Nelle aspettative doveva essere l'occasione per il disgelo. E così è stato. Emma Marcegaglia ha lanciato la proposta di un patto per le riforme, su cui coinvolgere tutte le parti sociali, che possa spronare il governo. E ha confermato: Confindustria è disponibile a fare un "tagliando" della riforma dei contratti del 2009. Un modo per consentire alla Cgil di ritornare al tavolo. "Sento un clima diverso, la crisi della politica spinge ad unire le forze sociali. Il bicchiere è mezzo pieno", ha detto a metà discorso, rivolgendosi ai tre segretari generali seduti in platea, in particolare a Guglielmo Epifani, numero uno Cgil. Ed ha mandato anche un segnale al governo: "Siamo entrati in un cono d'ombra, ma l'esecutivo deve andare avanti e governare. Con il voto del 29 ritrovi compattezza. C'è tanta gente, tra cittadini e imprese, che con responsabilità sta facendo il proprio mestiere. Ma stanno esaurendo la pazienza". Sul tavolo del patto c'è la sfida di una maggiore crescita, che passa per infrastrutture, ricerca, fisco, e contratti. C'è la sfida di una maggiore produttività e competitività da conquistare, per recuperare quel gap di 30 punti sul costo del lavoro per unità di prodotto che ci distanziano dalla Germania, "il nostro benchmark". E per rispondere alla globalizzazione "che è positiva, perchè ha fatto crescere i posti di lavoro e offre l'opportunità della grande crescita dei mercati emergenti". Una competizione che, scandisce la presidente di Confindustria, "mai porterà ad una gara al ribasso per salari e diritti". Già venerdì pomeriggio, nella prima giornata del convegno di Confindustria su lavoro e relazioni industriali (una delle celebrazioni del Centenario) il vice presidente per le relazioni sindacali, Alberto Bombassei, aveva annunciato la novità di una verifica della riforma della contrattazione, aprendo la porta ad un rientro in partita della Cgil. C'era molta attesa, quindi, su ciò che avrebbe detto ieri mattina Epifani, durante la tavola rotonda con gli altri segretari generali. In numero uno della Cgil ha raccolto: contratti nazionali più ampi, più spazio alla contrattazione di secondo livello, ma no alle deroghe. Si vedrà al tavolo del grande patto, che si avvierà il 4 ottobre, se le aperture si tradurranno in fatti. "Dobbiamo essere coerenti con ciò che ci stiamo dicendo", ha messo in chiaro la Marcegaglia. Epifani, dal palco, le aveva chiesto di "impegnarsi per unire lavoro e impresa". Risposta positiva: "Noi ci siamo, ma anche Epifani lo faccia". E se il leader della Cgil aveva ricordato i 12mila accordi firmati dalla sua confederazione, la presidente degli industriali l'ha esortato: "ne faccia 12mila e uno". Anche perchè è solo con la crescita e con un aumento della produttività che potranno salire le retribuzioni. Crescendo meno degli altri, ha detto la Marcegaglia, abbiamo perso in 16 anni 540miliardi di euro di Pil rispetto all'area euro, 720 rispetto al G7. Si tratta di 9mila euro in meno di retribuzione per ogni italiano area Ue e di 12mila area G7. In Germania, ha detto la presidente, il 40% delle imprese ha solo un contratto aziendale. "Anche noi dobbiamo trovare il modo di adattare le regole dove ci sono investimenti, per creare occupazione". È la logica che ha portato all'intesa di Pomigliano. E la Marcegaglia ha ringraziato Bonanni ed Angeletti, leader di Cisl e Uil "per aver messo la faccia sulle riforme e sui nuovi accordi". Pomigliano come risultato della possibilità di deroghe consentite, in caso di crisi, investimenti e più occupazione, dalla riforma del 2009. Federmeccanica e sindacati stanno negoziando per definire questo aspetto e regole specifiche per l'auto. "Sono ottimista", ha detto la Marcegaglia, ribadendo il suo sostegno al progetto Fabbrica Italia del Lingotto: "La Fiat troverà risposte alle sue esigenze all'interno del contratto dei metalmeccanici. Vogliamo che Marchionne vinca la sfida globale". Ma è ciò che serve anche a tutte le imprese italiane. Senza conflitto ma con il dialogo: "Leviamo dal tavolo cose non vere. Non vogliamo puntare sui rapporti di forza, non vogliamo che vecchie ideologie vengano attribuite a noi". È altrove "a Cuba che vengono licenziati 500mila lavoratori, non in Italia. Nel nostro Dna c'è la vicinanza con i lavoratori". Ben venga poi la logica della sussidiarietà proposta dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. E la Marcegaglia ha detto sì ad un "avviso comune" sullo Statuto dei lavori, ma ha anche chiesto al ministro di eliminare "enti e costi inutili che gravano sulle imprese".
2010-09-25 Marcegaglia: "Nuove regole sui contratti. Subito un'agenda per le riforme, la pazienza sta finendo" Cronologia articolo25 settembre 2010Commenta Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2010 alle ore 13:45. GENOVA. Occupazione e competitività. Questi i temi principali del convegno organizzato da Confindustria, in programma oggi a Genova. Politici, rappresentanti sindacali e imprenditori si confrontano sulle misure per rilanciare l'economia italiana che, secondo le ultime previsioni del centro studi di Confindustria dovrebbe crescere dell'1,2% nel 2010. Non abbastanza a detta di Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, secondo cui è necessaria "una crescita di almeno il 2% l'anno" per riassorbire la disoccupazione e a tenere in piedi il tessuto produttivo". Ecco la cronaca della giornata. 13.29. Il governo "deve andare avanti" facendo ciò per cui è stato votato dai cittadini. Ma deve farlo "subito", perché "il mondo dell'impresa e i cittadini stanno esaurendo la pazienza". Lo ha detto il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, concludendo il convegno su competitività e occupazione. "Bisogna farlo con determinazione - ha aggiunto - il governo ascolti l'Italia che lavora e che fa impresa, che con responsabilità continua a fare il proprio mestiere. È questa l'Italia che regge il nostro paese e che va ascoltata". La presidente di Confindustria ha confermato la volontà degli industriali di lavorare con i sindacati per definire l'agenda delle riforme definendo un patto: "Vogliamo fare una sorta di patto sociale per le riforme. Bisogna unirsi e lavorare insieme in una logica di riforme". Marcegaglia ha spiegato che "la proposta sarà illustrata ai sindacati a partire dal tavolo di confronto il 4 ottobre. Bisogna unirsi e lavorare insieme in una logica di riforme. Questo è l'obiettivo fondamentale ecco perché ho invitato il 4 ottobre i sindacati per condividere un'agenda di riforme". Spiegando che i temi principali sono "la ricerca, la scuola, il merito, la burocrazia e l'energia". Marcegaglia ha sottolineato che "dobbiamo essere tutti uniti per fare le cose. Non vogliamo più aspettare, bisogna fare le cose con serietà". Le nuove regole sulla contrattazione, ha aggiunto, "hanno l'obiettivo di far fare passi avanti, non in una logica di scontro". La presidente degli industriali ha affermato la necessità di adottare una "logica di cambiamento per tornare a crescere con forza e aumentare l'occupazione". Nel corso dell'intervento la numero uno degli industriali ha precisato: "I prossimi mesi sono importanti e essenziali per dare sostanza alla necessità di modernizzare il paese e le relazioni industriali", per questo occorre una precisa "agenda delle riforme". In merito alla questione Fiat, Marcegaglia ha indicato che "Il progetto Fabbrica Italia è giusto, ambizioso per consentire a Marchionne di provare a vincere una sfida globale. E Confindustria sostiene pienamente la Fiat in questo progetto, vogliamo che lo porti avanti". "Vogliamo una Fiat più forte e globale - ha aggiunto - perchè è l'unico modo per mantenere una forte industria automobilistica con la testa in Italia e con stabilimenti nel nostro Paese. Siamo sicuri che farà questo passo nell'ambito contratto dei metalmeccanici". Il presidente di Confindustria ha inoltre fatto un bilancio dei costi della crescita italiana inferiore all'area euro: "Crescendo meno degli altri abbiamo perso in 16 anni la bellezza di 540 miliardi di euro di Pil rispetto all'area euro, 720 miliardi rispetto al G7 - ha aggiunto -. "Cumulativamente si tratta di 9mila euro in meno per ogni italiano relativamente ai paesi dell'euro e di ben 12mila rispetto a quelli del G7". Se consideriamo il valore iniziale del Pil italiano nel 1994 - ha proseguito - e quello finale del 2008 prima della crisi, il nostro tasso annuo medio di crescita è stato dell'1,35%. "Tra il 1980 e il 1994, anni non esaltanti, il tasso medio era dell'1,97%. Mentre l'Italia cresceva in media dell'1,3%, la zona euro cresceva del 50% in più". Se l'Italia, ha continuato Marcegaglia, "avesse registrato una crescita come quella dell'euro zona negli ultimi 16 anni, ogni italiano sarebbe stato a fine 2008 più ricco di 1.700 euro a testa in quel solo anno". Sull'eventuale chiarimento della fase di turbolenza politica in Italia e delle polemiche e teatrini degli ultimi giorni, Marcegaglia ha risposto a un giornalista, al termine dell'intervento che "è più facile che ci mettiamo al tavolo coi sindacati. "Siamo entrati in un cono d'ombra della politica, in una nebbia che sembra sempre più fitta". 13.15. Parla Maurizio Sacconi, ministro del Welfare. Sulla riforma del modello contrattuale "passi avanti sono stati fatti, ne occorrono ragionevolmente altri per avvicinare il più possibile il salario alla produttività". Rivolgendosi poi al leader della Cgil, Guglielmo Epifani, che ha invocato un contratto nazionale più largo, Sacconi ha aggiunto: "Più che allargare il campo dei contratti, cosa condivisibile, c'è il problema che più è invasivo e meno si libera spazio per la contrattazione aziendale. Più è invasivo nella dimensione normativa e salariale meno si sviluppa a livello territoriale". E poi, in merito alla vicenda Pomigliano, il ministro aggiunge. "Pomigliano rappresenta il '"meno Stato più società". Di solito la Fiat realizzava un investimento al Sud chiedendo incentivi allo Stato, questa volta lo fa con un atto di fiducia, cerca l'incentivo nelle persone e nelle libere associazioni che si sono messe in gioco". "Per questo devo dire grazie a Bonnani e Angeletti - ha aggiunto - per la responsabilità che si sono assunti. Ci sono momenti nella vita delle persone in cui si accumulano meriti che non possono essere dimenticati". 12.37. C'è un "estremo buonsenso", dice il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, nella posizione del vicepresidente di Confindustria per le relazioni industriali, Alberto Bombassei, che ieri ha lanciato l'invito a cercare un accordo su occupazione e competitività. Sul tema del rilancio della produttività, Il modello è l'accordo con Fiat per lo stabilimento di Pomigliano: "Dovunque ci sarà qualcuno che vuole investire proporrò che si duplichi quell'accordo". 12.01. In Italia serve "una politica di lavoro orientata ai giovani, che oggi sono quelli che soffrono di più", spiega Luigi Abete, il presidente di Assonime, a partire da un "tagliando" alla riforma dei contratti. Percorso nel segno di "un grande dialogo che continua, un grande percorso. Il dialogo nelle relazioni industriali in Italia c'è sempre stato". Ma oggi con la "necessità di accelerare i tempi. Quelli che stanno dentro stanno dentro e chi sta fuori resta fuori. E sappiamo che nelle società moderne chi sta fuori rischia di restare sempre più fuori". 11.15. "Allegerire il carico fiscale alle imprese e ai lavoratori". Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, anticipa al convegno di Genova che il suo partito presenterà una proposta di riforma fiscale. "Lo presenteremo a ottobre. Non do le indicazioni precise – dice – ma in linea di massima bisogna che chi ha di più dia di più. Aiutare chi sta sul fronte della crisi: le famiglie, le aziende e i lavoratori. Bisogna, lo ripeto, ridurre il carico sull'impresa e sul lavoro e caricare sull'evazione fiscale e sulle rendite finanziarie". Bersani ha poi aggiunto che "il rischio è il restringimento della base produttiva delle imprese e dei servizi. Abbiamo subito una botta doppia e cresciamo la metà". "Chi governa dev'essere il primo che vede i problemi. Ed essere il primo a dirlo. Fare diversamente crea solo dei guai". Bersani si dice preoccupato, in primis, a livello moniale. "Dal lato della finanza non stiamo aggiustando le cose. Sono state fatte delle soluzioni locali. E anche queste non mi convincono: cosa vuol dire che le banche non devono essere fatte fallire? E poi, sull'economia? Bisogna sviluppare i mercati interni senza fare protezionismo, ma questo non sta avvenendo". Anche sul debito globale, Bersani fa una considerazione. "Ho sentito negli Stati Uniti una proposta semplice: prendiamo l'eccesso di debito accumulato per salvare le banche e le istituioni finanziarie negli ultimi due anni. Lo mettiamo in una bad company e poi lo assorbiamo con una tassa sull'intermediazione". 11.05. "Il nostro compito è fare le cose. E per fare le cose più siamo e meglio è". Così il leader della Uil, Luigi Angeletti, commenta la proposta di Confindustria su occupazione e competitività, e l'auspicio di coinvolgere la Cgil. Ma, dice Angeletti, "prima di dire che è una cosa importante aspettiamo che ci sia una firma, dopo un accordo potremo dire che è un passaggio importante". Quanto ai nodi che la Cgil chiede di sciogliere, a partire dal confronto sul contratto dei metalmeccanici, "li stiamo risolvendo - dice Angeletti - Tra pochi giorni vedrete che c'è una soluzione". 10.40. "È un anno che si parla solo della D'Addario e della Tulliani. Basta, non ne possiamo piu". Così il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, parla della crisi economica. "Serve una novità - dice - e la novità deve essere impegnarsi per l'economia". Bonanni ha commentato la posizione della leader degli industriali Emma Marcegaglia sulla crisi: "È vero, stiamo andando male. Tra il Governo che sparge ottimismo e le opposizioni sociali e politiche che spargono pessimismo, serve una buona dose di responsabilità da parte di tutti. Le persone responsabili devono darsi una mano e tirare diritto in avanti per un paese che ha bisogno di cure, sostegno e novità". 9.40. Epifani conferma la volontà di dialogo. "Ritengo che sia condivisibile l'allarme lanciato dalla presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. La Cgil conferma la volontà di dialogare con Confindustria, anche sulla riforma dei contratti. Ma chiede di risolvere quei nodi che hanno diviso le due parti nell'ultimo anno". Lo ha sottolineato il leader del sindacato di Corso d'Italia, Guglielmo Epifani. "La riforma dei contratti - ha detto Epifani - è il nodo che ci divide da tempo, aggravato dalla disdetta del contratto dei metalmeccanici. Capisco la volontà di riaprire il dialogo. Da parte mia la richiesta è di fare le cose seriamente, a partire dai nodi che finora non ci hanno fatto fare passi avanti".
Straordinari sempre più agevolati, a patto che siano utili a incrementare la competitività di Enzo De FuscoCronologia articolo25 settembre 2010 * Leggi gli articoli * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2010 alle ore 09:56. * * * * Qualsiasi forma di lavoro straordinario può essere detassato se l'azienda dichiara che è stato utile ad incrementare la competitività. Lo precisano l'agenzia delle Entrate e il ministero del lavoro con una nota congiunta (prot. 2010/134950) tornando sul tema della detassazione dopo la risoluzione 83/2010. Si realizza, nella sostanza, una piena liberalizzazione delle somme soggette a detassazione ricomprendendo anche le somme dovute per prestazioni eccedenti quelle ordinarie. Il problema si è posto all'indomani della risoluzione 83/2010 la quale aveva dato un segnale di apertura alla possibilità di detassare il lavoro straordinario regolamentato dal decreto legislativo 66/2003 (ma anche quello supplementare). Era stato avanzato qualche dubbio sulla possibilità che queste somme venissero detassate poiché erano contenute nella norma originaria che ha istituito il beneficio fiscale (Dl 93/08), ma successivamente sono state soppresse dal 2009 (articolo 5 del Dl 185/08). Nessun dubbio, invece, si era posto per lo straordinario forfetizzato che generalmente viene corrisposto ai lavoratori che hanno un inquadramento elevato nell'ambito della contrattazione collettiva e che sono esclusi dalla disciplina giuridica sull'orario di lavoro. Ora viene precisato che il lavoro straordinario che si applica alla generalità dei lavoratori (ossia, quello regolato dal Dlgs 66/03) può essere detassato a condizione che "sussista un vincolo di correlazione con i parametri di produttività". Come chiarisce la nota congiunta analogo criterio risulta valido per ricondurre nel beneficio fiscale le prestazioni di lavoro supplementare o reso sulla base di clausole elastiche. Si pone però il problema della prova affinché possa essere dimostrata la correlazione: anche sul punto la nota congiunta fornisce un nuovo indirizzo. In via generale, l'Agenzia e il ministero richiamano la circolare 49 del 2008 in cui è stato chiarito che l'impresa deve documentare che determinate somme siano state assegnate al lavoratore: e ciò può avvenire anche attraverso "la comunicazione scritta al lavoratore della motivazione della somma corrisposta". In considerazione del fatto che questa documentazione non sempre è presente nelle aziende, la nota sembra fare un passo in più: l'azienda, in alternativa alla documentazione, può fornire una dichiarazione con cui attesta che la prestazione lavorativa ha determinato un risultato utile per il conseguimento di elementi di competitività e redditività legati al proprio andamento economico. Si tratta di risultati che non devono per forza aver prodotto un utile per l'impresa o il professionista poiché è sufficiente che la prestazione abbia fornito un'utilità complessiva sganciata da logiche squisitamente finanziarie. Questo criterio di determinazione della somma vale a partire dal 2009 e si applica entro il limite di importo complessivo di 6mila euro lordi (unitamente alle altre somme già detassate), con esclusivo riferimento al settore privato e per i titolari di reddito di lavoro dipendente non superiore, nel 2008, a 35mila euro, al lordo delle somme assoggettate nel 2008 all'imposta sostitutiva. Si pone ora l'ulteriore problema delle modalità di recupero delle somme. Non è escluso che con una ulteriore chiarimento venga data la possibilità di detassare gli straordinari "arretrati" in occasione della compilazione del prossimo modello 730/2011 relativo al periodo di imposta 2010 senza la necessità di compilare una dichiarazione integrativa per il passato. Sembra essere questo il nuovo indirizzo contenuto in comunicazioni inviate da alcuni Caf alle imprese. Se venisse confermata questa modalità di recupero, le imprese e i professionisti avrebbero più tempo per fornire tutti gli elementi utili ai propri lavoratori. Si dovrebbe sciogliere in modo positivo anche il dubbio della detassazione con l'aliquota del 10% dell'importo che le aziende in questi giorni stanno restituendo ai lavoratori, e corrispondente allo sgravio contributivo autorizzato dall'Inps. Un assist per la competitività (di Michele Tiraboschi)
Un assist per la competitività di Michele TiraboschiCronologia articolo25 settembre 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2010 alle ore 16:02. * * * * Ampia applicazione del regime di detassazione per tutte le somme erogate in relazione a incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa o ad altri elementi di competitività e redditività legati all'andamento dell'impresa. Questa è l'interpretazione che, in coerenza con l'obiettivo di favorire la produttività del lavoro e la ripresa economica, deve essere data dell'articolo 2 del decreto legge 93/2008. No, quindi, a capziosi formalismi e a quelle letture "causidiche" delle norme che tanto incidono sulla competitività delle imprese e sulla (bassa) produttività del lavoro.
La nota congiunta ministero del Lavoro-agenzia delle Entrate (Prot. 2010/134950) supera ogni dubbio sollevato all'indomani del Dl 185/08 che aveva esteso al 2009 (proroga poi prolungata a tutto l'anno in corso dalla finanziaria per il 2010) il regime di tassazione solo con riferimento agli incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa, competitività e redditività e non invece alle ulteriori voci inizialmente previste dal decreto 93/08, cioè le somme erogate per prestazioni di lavoro straordinario o supplementare o rese in funzione di clausole elastiche. A fronte di letture restrittive – secondo le quali non sarebbero rientrate nell'imposta sostitutiva le somme erogate per gli straordinari propriamente intesi, bensì solo gli straordinari forfetizzati e i superminimi (cui testualmente ha fatto riferimento la circolare congiunta del ministero del Lavoro e delle Entrate n. 59/08) – già la risoluzione del 17 agosto 2010, n. 83/E avrebbe dovuto sgombrare ogni dubbio, là dove argomentava che anche le erogazioni relative a prestazioni di lavoro straordinario possono essere detassate, se connesse con incrementi di produttività e redditività. Così, evidentemente non è stato (come attestano le perplessità evidenziate in alcuni commenti, vedi Il Sole 24 Ore dell'11 settembre 2010), tanto che Lavoro e Agenzia sono ora dovute tornare sul punto affermando che la correlazione con parametri di produttività "può sussistere sia nell'ipotesi di straordinario forfetizzato, reso dai dipendenti che non sono vincolati dall'orario di lavoro, sia per le altre tipologie di prestazione straordinaria di lavoro". Questa interpretazione non fa certo rientrare per via di prassi amministrativa ciò che era stato eliminato dalla legge: le somme erogate a titolo di straordinario o supplementare o per prestazioni rese in funzione di clausole elastiche non sono detassate in sé, ma, al pari di ogni retribuzione premiale, solo ove vi sia una effettiva correlazione con i parametri di produttività; ed allo stesso modo sono riconducibili all'imposta sostitutiva le somme erogate per il lavoro notturno o per il lavoro a turni solo se vi è un riscontro sui risultati positivi perseguiti. Analogo ragionamento sostanzialista vale con riferimento alla "prova" della correlazione tra straordinario (o lavoro supplementare, notturno o a turni) e produttività. È sufficiente, al riguardo, qualunque documentazione della impresa: ad esempio una comunicazione scritta al lavoratore della motivazione della somma corrisposta o una dichiarazione dello stesso datore che attesti che la prestazione lavorativa abbia determinato un risultato utile per il conseguimento di elementi di competitività e redditività legati all'andamento economico dell'impresa.
Il chiarimento dovrebbe ora dare nuovo impulso alla riforma degli assetti contrattuali concordato nell'accordo del 22 gennaio 2009. Risultano infatti ampiamente sostenuti, con riferimento alla regolamentazione dei tempi di lavoro (straordinari, lavoro notturno, turnazioni, part-time) e nell'interesse congiunto di lavoratori e imprese, accordi innovativi volti allo sviluppo della produttività del lavoro e della competitività. L'autore è consigliere del ministro del Lavoro
Così in Siemens vince il dialogo Cronologia articolo25 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2010 alle ore 08:06. GENOVA. Dal nostro inviato Da "grande malata" a locomotiva dell'Europa. La storia della Germania dell'ultimo decennio rappresenta un modello di successo per come questo paese è riuscito a superare la crisi e a rimettersi in moto. E un ruolo importante lo hanno giocato le relazioni industriali con il dialogo tra capitale e lavoro, come ha ricordato ieri il presidente e Ceo di Siemens, Peter Losher. "La ripresa tedesca è avvenuta grazie a politiche che hanno favorito la costruzione di un tessuto di imprese innovative che hanno lavorato con successo nei mercati globali – ha spiegato il manager austriaco al convegno di Genova, rivolgendosi alla platea di imprenditori –. Un altro elemento chiave della competitività sono gli investimenti in ricerca e sviluppo, bisogna puntare soprattutto sulla tecnologia verde. Un'altra leva importante è l'istruzione, occorre dare più peso alle lauree tecniche". Ma il successo della locomotiva tedesca, ha spiegato Losher, si basa anche "sulle relazioni industriali fondate sul dialogo e sulla collaborazione, piuttosto che sul conflitto". Proprio pochi giorni fa lo stesso Losher ha siglato un accordo con il leader dell'IG-Metall (il sindacato dei metalmeccanici) Berthold Huber, che prevede come anche nel caso di chiusura o delocalizzazione degli impianti qualsiasi licenziamento debba avvenire con il consenso del consiglio di fabbrica. L'accordo che per il prossimo triennio mette al riparo da possibili tagli il posto di 128mila lavoratori, premia i sacrifici fatti negli ultimi anni dai dipendenti del colosso tedesco. Intendiamoci, anche in Germania si sciopera, sia pur con minor frequenza che in Italia: nel nord-ovest sono in corso agitazioni per sollecitare il 6% di aumento. Il sindacato tedesco è pronto ad accettare i sacrifici nel momento della crisi, ma rivendica con forza che vengano redistribuiti i profitti quando l'economia riparte. È al modello renano che guarda con interesse la Cisl, che pur rinunciando a dare battaglia in nome della cogestione propone l'adozione di un modello di governance duale, con la presenza dei rappresentanti dei lavoratori nei consigli di sorveglianza e la partecipazione azionaria dei dipendenti al capitale dell'impresa. Guarda anche all'esperienza tedesca l'iniziativa del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che ha convocato un tavolo e ha inviato alle parti sociali un voluminoso dossier, un codice sulla partecipazione, che raccoglie i diversi modelli che si stanno sperimentando nel mondo. In Italia si punta sull'autoregolazione e i sindacati (tranne la Cgil) con le associazioni imprenditoriali lo scorso 9 dicembre hanno firmato un avviso comune chiedendo al parlamento di sospendere per un anno le iniziative legislative. Il senatore Pietro Ichino (Pd), su richiesta bipartisan, è relatore di un testo che sintetizza le quattro proposte presentate da maggioranza e opposizione.
2010-09-24 Bombassei apre alla Cgil: "È ora di fare il tagliando all'accordo del 2009" Cronologia articolo24 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2010 alle ore 16:00. "Ci sono tutte le condizioni per decidere di fare insieme un primo tagliando all'accordo del 2009 e, con i sindacati tutti, firmatari e no, verificare oggettivamente lo stato dell'arte". Lo ha affermato Alberto Bombassei, vicepresidente di Confindustria, al convegno di Genova su occupazione e competitività. Quanto ai tempi Bombassei ha detto: "Al più presto, entro l'anno mi sembra ragionevole". L'invito della Confindustria è rivolto anche alla Cgil: "Non abbiamo alcun preconcetto contro nessuno - ha spiegato Bombassei - più siamo meglio è. L'importante è che non si pongano condizioni, non si mettano limiti. Bisogna sedersi sgombri da preconcetti, con l'obiettivo di guardare avanti e non con lo specchietto retrovisore". Gli industriali, dice Bombassei, sono anche "pronti" a un accordo interconfederale sulle regole di rappresentanza. "Non una legge. La legge eventualmente dopo, per darne validità generale", ha precisato. Secondo Bombassei "sulla base di ciò che è avvenuto negli ultimi 12 mesi nei tanti rinnovi dei contratti nazionali e nelle realtà di fabbrica, è chiaro che la riforma risponde proprio all'esigenza, di recente espressa dalla Cgil, di costruire un contratto nazionale "più largo e generale". Questo era l'obiettivo della piattaforma unitaria di Cgil, Cisl e Uil. Questo è il risultato dell'intesa raggiunta con Cisl e Uil nel 2009". Su questo, ha concluso, "Confindustria è disposta ad avviare ogni ulteriore approfondimento nella convinzione che è quello il percorso per rendere le relazioni industriali fattore di competitività". Sul tema dei contrattazione proprio la Cgil ha dedicato un seminario tenutosi a Todi. "Per difendere i contratti nazionali e in generale la contrattazione - si legge sul sito internet della Cgil - è necessario avere il coraggio di elaborare una proposta di riforma, capace di scombinare le carte. Il conflitto non si può considerare come risolutivo". A Todi sono stati abbozzati temi che porteranno la Cgil a decidere, presumibilmente in un prossimo Comitato direttivo, anche se il percorso è ancora tutto da definire: la proposta potrebbe essere sottoposta al voto di tutti i direttivi confederali con il massimo coinvolgimento di tutti i livelli dell'organizzazione, prima di arrivare al voto definitivo nazionale. Confindustria ha messo il lavoro e le relazioni industriali al centro della due giorni di dibattito ai magazzini del Cotone nel porto di Genova. Un tema caldo, come hanno mostrato i numeri sull'occupazione: nel secondo trimestre sono stati creati sì 27mila nuovi posti ma il tasso di disoccupazione è arrivato al'8,5%, il top dal 2003. Ma non sono solo i numeri. Genova, location del convegno, è una città che sta vivendo momenti di preoccupazione per la cantieristica, in particolare per le voci sul piano di risrutturazione di Fincantieri. Il capoluogo ligure ha due importanti siti produttivi: quello di Riva Trigoso e quello di Sestri Ponente. Per questo il sindacato dei metalmeccanici ha organizzato una manifestazione per contestare il convegno di Confindustria a Genova. C'erano tutte le rappresentanze delle maggiori industrie liguri, da Fincantieri a Ilva, da Ansaldo a Esaote. "Dobbiamo dare una risposta industriale ai lavoratori che stanno manifestando fuori", ha detto il sindaco di Genova Marta Vincenzi, proprio in apertura dei lavori del convegno. E non è solo la cantieristica. Al corteo ha preso parte anche una rappresentanza degli orchestrali del Teatro Carlo Felice con l'intenzione di suonare i loro ottoni. Quella del teatro dell'opera genovese è un altro segno delle difficoltà all'ombra della Lanterna: i dipendenti, infatti, dovranno affrontare la cassa inegrazione. Il segretario generale della Fiom di Genova Francesco Grondona ha incontrato il vicepresidente di Confindustria per le relazioni industriali Alberto Bombassei. "Confindustria si rende conto dei problemi che comporta la sua posizione ma mi sembra ampiamente condizionata dalle posizioni della Fiat", ha detto Grondona al termine dell'incontro. "Abbiamo posto a Confindustria - riferisce Grondona - il problema della rappresentanza. Bombassei ci ha detto che c'è un problema di competitività, che è necessario salire sul treno di Pomigliano e nessuno può avere diritti di veto. Noi abbiamo sottolineato che gli accordi separati non possono valere per tutti. Un accordo è tale se non è una capitolazione, se entrambe le parti ci perdono qualcosa, ma Confindustria chiede al sindacato di perderci troppo". Sui problemi del lavoro, al convegno, è intervenuto il vicedirettore generale della Banca d'Italia, Ignazio Visco. La crescente diffusione di contratti a termine, ha detto, ha effetti negativi sulla produttività del lavoro. Secondo Visco "le riforme che hanno accresciuto la flessibilità nell'impiego del lavoro hanno facilitato un aumento dell'occupazione e una riduzione della disoccupazione. Ma ciò è avvenuto in parte rilevante con un maggior ricorso ai contratti a termine, che hanno reso più segmentato il mercato del lavoro e hanno alla lunga effetti negativi sulla produttività del lavoro e la profittabilità". "Soprattutto - ha aggiunto Visco intervenendo al convegno di Confindustria - in assenza di decisi progressi sul fronte della concorrenza e della riduzione di protezioni e di rendite di varia natura, l'abbassamento delle retribuzioni d'ingresso dei più giovani ha consentito di allungare i tempi dell'aggiustamento del settore produttivo necessari per rispondere alle sfide della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica". La scarsa concorrenza del sistema e le piccole dimensioni delle imprese, ha poi aggiunto Visco, sono due dei principali ostacoli "strutturali" al pieno sviluppo dell'economia italiana. E nell'uscita dalla crisi "molti nodi strutturali rimangono insoluti".©RIPRODUZIONE RISERVATA
La ripresa non crea occupazione Serena Uccello Cronologia articolo24 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2010 alle ore 08:05. MILANO A differenza degli ultimi dati (in crescita) sul fatturato, a differenza degli ordinativi, e ancora a differenza della produzione industriale, il mercato del lavoro italiano, appena descritto dall'Istat, continua a faticare. Dai numeri una sola buona notizia: nel secondo trimestre di questo anno 27mila persone hanno trovato un lavoro. In questo periodo cioè gli italiani con un lavoro sono 22.915.000, lo 0,1% in più rispetto al primo trimestre dell'anno. Un numero a ben guardare ancora esiguo, interessante però nella misura in cui potrebbe rappresentare una inversione di tendenza. Anche perché resta al momento l'unico positivo all'interno di una fotografia statistica che invece vede gli altri indicatori ancora con il segno meno. Ad esempio lo stesso numero di occupati se confrontato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno è diminuito dello 0,8%, ovvero 195mila lavoratori in meno. La contrazione tendenziale è la sintesi di una sostenuta riduzione della componente italiana (-366 mila unità) e di una significativa crescita di quella straniera (+171 mila unità). Senza cioè gli stranieri la situazione di malessere del nostro mercato del lavoro sarebbe ancora più marcata. A perdere quota è soprattutto l'industria (-274 mila unità, pari al -5,7%). E l'industria del Nord, racconta l'Istat. Ragione per cui il tasso di occupazione nel secondo trimestre 2010 è così pari al 57,2%, con una flessione di 7 decimi di punto percentuale rispetto al secondo trimestre 2009. E se, stando ai valori assoluti, il calo è più accentuato per gli uomini in confronto alle donne, il ritmo di discesa tendenziale dell'occupazione femminile (-7,9%) si conferma più accentuato rispetto a quello maschile (-4,8%). Di conseguenza il tasso di disoccupazione è salito all'8,5% (dati destagionalizzati, 8,3 non destagionalizzato). Si tratta del livello più alto dal 2003. Attualmente dunque le persone che cercano sono 2.136.000 con un incremento dell'1,1% rispetto al primo trimestre dell'anno (una quota che non si raggiungeva dal secondo trimestre del 2001). Alla crescita della disoccupazione si accompagna un moderato aumento degli inattivi rispetto al secondo trimestre 2009 (+92.000 mila unità), sintesi di una lieve riduzione delle non forze di lavoro italiane e di un ulteriore incremento di quelle straniere. Si conferma pesante la situazione per i più giovani: il 27,9% di loro, ovvero uno su quattro, non ha un lavoro, ed è il risultato peggiore dal 1999. Se possibile va anche peggio alle giovani donne del Sud: in questo caso a rimanere fuori dal mercato del lavoro sono quattro su dieci (il 40,3%)."Una vera emergenza sociale", la definisce Giorgio Santini segretario confederale Cisl che chiede "interventi urgenti". "Nell'ambito del piano triennale del lavoro - continua Santini - chiediamo che il governo si faccia promotore unitamente alle regioni di azioni prioritarie per incentivare e sostenere le assunzioni da parte delle imprese". Mentre per il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy "i dati più allarmanti riguardano il calo dell'occupazione dipendente stabile". L'occupazione a tempo pieno ha infatti ceduto l'1,6% (-316mila unità). Il risultato è determinato principalmente dalla netta discesa dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato (-283mila unità), in particolare nelle imprese di media dimensione della trasformazione industriale. A tale calo si associa quello dei dipendenti a termine (-51mila unità) non compensato dall'aumento dell'occupazione autonoma a tempo pieno (+18 mila unità). Numeri che per Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil, si confermano gravissimi, anche perché a questi "va aggiunto il vasto bacino della cassa integrazione e del lavoro nero". Di segno opposto la valutazione del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, secondo cui "dal punto di vista congiunturale il trimestre ha manifestato una sostanziale stabilità dei dati in rapporto al periodo precedente, per cui l'Italia ha indicatori complessivi significativamente migliori della media europea, grazie a strumenti come i contratti di solidarietà e le varie forme di cassa integrazione". © RIPRODUZIONE RISERVATA
Marcegaglia: la politica si concentri su crescita e occupazione. L'Italia ha bisogno di risposte di Nicoletta CottoneCronologia articolo23 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2010 alle ore 15:02. "La politica si concentri su crescita e occupazione", ha detto la leader degli industriali, Emma Marcegaglia, parlando a Viareggio all'assise di Confindustria Toscana. "I problemi dell'occupazione non attendono i passaggi di parlamentari da una parte all'altra", pretendono "risposte serie e immediate". La presidente degli industriali ha detto che in Italia è necessaria "una crescita di almeno il 2% l'anno", altrimenti non "riusciremo a riassorbire la disoccupazione, a tenere in piedi il tessuto produttivo, ad aumentare il benessere di tutti". La leader degli industriali ha ricordato quanto l'Italia sia stata colpita dalla crisi. "Quando si dice che siamo andati meglio di altri Paesi non è vero, siamo stati fortemente colpiti dalla crisi". E oggi, ha aggiunto, c'è la "sensazione che stiamo uscendo dalla crisi con una capacità di crescita inferiore alla media europea". In questa fase della crisi "il peggio è alle spalle", dice, ma "siamo comunque in un quadro di incertezza". "Il rigore nei conti pubblici - ha detto la presidente Marcegaglia - non è una opzione ma un must" e allo stesso tempo "bisogna fare una reale politica di crescita". Confindustria ritiene indispensabile uno snellimento della burocrazia e il taglio dei costi improduttivi ("nelle nostre imprese nella crisi abbiamo tagliato tutti i costi"); il taglio delle tasse (l'auspicio é che il tavolo per le tasse porti a "ridurre la pressione fiscale su chi tiene in piedi questo Paese, imprese e lavoratori", con la disponibilità a ragionare sulle rendite finanziarie); le infrastrutture ("sulle opere strategiche i fondi ci siano, e se non ci sono bisogna dirlo, basta bugie"); l'energia; il mercato (perché il Paese mostra una "allergia al mercato" e anche questo governo "sta facendo una politica assolutamente contraria al mercato"); il merito, la ricerca e la formazione e in questo senso l'auspicio é che la Riforma Gelmini passi "intatta" alla Camera. E sul nucleare Marcegaglia ha invitato a fare scelte slegate dall'ideologia ma partendo dalla considerazione che "se vogliamo ridurre le emissioni di C02 del 20% non abbiamo altre scelte che il nucleare". Sulla produttività è necessaria "una condivisione di obiettivi tra imprenditori e lavoratori. Non possiamo pensare che ci sia ancora una parte del sindacato che scambia la tutela dei diritti dei lavoratori con la tutela di chi non lavora, falsi malati e falsi invalidi", ha detto la presidente di Confindustria. "Dobbiamo fare dei cambiamenti, tutti insieme, non possiamo stare fermi - ha spiegato - perché la competitivita internazionale non ci chiede di stare fermi. È il momento di scelte, anche complesse, anche difficili. Scelte il più possibileAnche sul tema dell'internazionalizzazione "la politica deve fare la sua parte". La Marcegaglia ha annunciato la presentazione al Governo di una proposta per migliorare il "sistema Italia all'estero che è - secondo la numero uno degli industriali - un disastro. Ognuno va per i fatti propri. Le ambasciate fanno delle cose, le Regioni ne fanno altre, le Camere di Commercio estere altre ancora: spendiamo molti soldi per la promozione ma non diamo un reale vantaggio, un reale servizio alle imprese che vogliono promuoversi all'estero. Presenteremo nei prossimi giorni una proposta al Governo: in ogni paese vogliamo una sorta di sportello unico per le imprese. Un'impresa che vuole andare in Cina o in Tunisia deve sapere a chi rivolgersi, e lì deve trovare tutto il sistema paese che lo aiuta a promuoversi". Un analogo impegno per la crescita la numero uno di Confindustria lo chiede all'Europa: "Si sta discutendo di un nuovo Patto di Stabilità per la crescita, questo vorrà dire una ancora maggiore sorveglianza sui conti pubblici, e noi saremo un sorvegliato speciale per il nostro debito, ma anche una maggiore sorveglianza sulle politiche di crescita. Serve più Europa ma anche l'Europa deve cambiare" e deve "tornare a valorizzare la propria industria". Confindustria, ha concluso Marcegaglia, vuole "assolutamente contribuire a questa Italia che cambia. Vogliamo farlo insieme alle altre parti sociali, è arrivato il momento di fare le cose, dobbiamo avere il coraggio di cambiare, di modernizzare, di fare scelte anche impopolari, se riusciremo a fare questo riusciremo a valorizzare il Paese".
Lavoro e competitività, convegno di Genova. Il sindaco Marta Vincenzi: dare una risposta industriale dal nostro inviato Vittorio CarliniCronologia articolo24 settembre 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2010 alle ore 16:00. * * * * ore 15.57 Il sindaco di Genova Marta Vincenzi: "Dare una risposta industriale ai lavoratori della cantieristica". "Occupazione e competitività". Confindustria mette il lavoro, le relazioni industriali, al centro della due giorni di dibattito ai magazzini del Cotone nel porto di Genova. Un tema caldo, quello dell'occupazione, come hanno mostrato ieri i numeri sull'occupazione: nel secondo trimestre sono stati creati sì 27mila nuovi posti ma il tasso di disoccupazione è arrivato al'8,5%, il top dal 2003. Ma non sono solo i numeri. Proprio in queste ore circa duemila lavoratori stanno manifestando al Porto antico. Genova, infatti, sta vivendo momenti di preoccupazione per la cantieristica, in particolare per le voci sul piano di risrutturazione di Fincantieri. Il capoluogo ligure, bisogna ricordarlo, ha due importanti siti produttivi: quello di Riva Trigoso e quello di Sestri Ponente. "Dobbiamo dare una risposta industriale ai lavoratori che stanno manifestando fuori", ha detto il sindaco di Genova Marta Vincenzi, proprio in apertura dei lavori del convegno. E non è solo la cantieristica. Al corteo ha preso parte anche una rappresentanza degli orchestrali del Teatro Carlo Felice con l'intenzione di suonare i loro ottoni. Quella del teatro dell'opera genovese è un altro segno delle difficoltà all'ombra della Lanterna: i dipendenti, infatti, dovranno affrontare la cassa inegrazione. L'area dei Magazzini del Cotone è comunque presidiata da un ingente dispiegamento di forze di polizia e carabinieri.
2010-09-22 Profumo è soltanto secondo nella classifica delle buonuscite più ricche. Romiti irraggiungibile di Luigi dell'OlioCronologia articolo22 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 22 settembre 2010 alle ore 19:17. Una buonuscita quasi dieci volte superiore ai 4,27 milioni della sua busta paga 2009 (), intorno allo 0,1% della capitalizzazione borsistica di UniCredit (circa 33 miliardi di euro) e pari all'6% dell'utile netto fatto segnare dal gruppo nel primo semestre (669 milioni di euro). Con i numeri è possibile sbizzarrirsi alla ricerca di un'indicazione per rispondere alla domanda più gettonata di oggi: quali criteri hanno portato a definire una buonuscita da 40 milioni di euro lordi (poco più della metà al netto), in cambio delle dimissioni di Alessandro Profumo? Il super manager genovese, che ha annunciato di voler versare due milioni di euro in beneficienza alla Casa della Carità di don Colmegna, è balzato al secondo posto nella graduatoria delle buonuscite più generose concesse in Italia. Davanti a lui c'è l'inarrivabile Cesare Romiti, che nel 1998 lasciò la carica di presidente incassando 105 miliardi di vecchie lire come premio per i 25 anni di carriera nell'azienda torinese, che attualizzati corrispondono a circa 66 milioni di euro. Ai quali vanno aggiunti i 99 miliardi di lire per il patto di non concorrenza. "Appena" 20 milioni di euro è riuscito, invece a spuntare quattro anni dopo Paolo Cantarella, all'epoca ad del gruppo e con la stessa anzianità di servizio in Fiat. Mentre Paolo Fresco ha lasciato la guida dietro la concessione di un pacchetto di stock option dal valore imprecisato. Al terzo posto si piazza un altro banchiere, Matteo Arpe, che nella primavera del 2007 ha mollato la carica di amministratore delegato in Capitalia, incassando una liquidazione di 30 milioni di euro. A dire il vero l'accordo prevedeva anche un pacchetto di stock option: pur non essendo stato comunicato il prezzo, è difficile che ne abbia beneficiato, considerato il tracollo borsistico dei titoli bancari negli ultimi anni. Pochi mesi dopo è toccato al presidente della stessa Capitalia (nonché grande avversario di Arpe) Cesare Geronzi: una volta completata la fusione con Unicredit, si è fatta da parte incassando 20 milioni di euro. Non prima di aver trovato un nuovo lavoro: la presidenza di Mediobanca. Passando dalla finanza all'industria, Roberto Colannino ha lasciato la carica di ad dell'Olivetti in cambio di una buonuscita di 17 milioni di euro (la cifra è tuttavia comprensiva dei compensi per l'attività di chief executive officer di Olivetti-Telecom fino al momento dell'entrata del gruppo Pirelli). Dieci in più di quelli percepiti lo scorso anno da Luca Majocchi al momento di dire addio a Seat Pagine Gialle. Di 4,2 milioni ha dovuto invece "accontentarsi" nella primavera dello scorso anno Ugo Ruffolo, ex ad e dg di Alleanza Assicurazioni. Andando indietro nel tempo, il 2003 si è segnalato come un anno dei grandi addii e dei grandi incassi. Davide Croff ha lasciato la carica di amministratore di Bnl incassando 16,3 milioni di euro (+900% rispetto ai normali emolumenti che aveva percepito l'anno precedente), mentre Gaetano Mele si è dimesso da direttore generale di Rcs Group portando a casa 9,6 milioni (1,2 milioni di e 8,4 di buonuscita). Male non è andata nemmeno a Vincenzo De Bustis (che ha lasciato Mps incassando circa 5 milioni di euro). Diversa sorte è toccata nello stesso anno a Vincenzo Maranghi, che ha lasciato la carica di amministratore delegato in Mediobanca (dove era entrato 30 anni prima) senza bonus, limitandosi a incassare 1,5 milioni di euro per le ferie non godute in carriera. Tra le aziende "generose" con i vecchi top manager va segnalata Telecom Italia, che nel 2008 si è ristrutturata a caro prezzo: l'addio dell'ad Riccardo Ruggiero è costato circa 13 milioni di euro e quello del vice-presidente e già ad Riccardo Buora intorno ai 10 milioni. Poco meno della metà aveva incassato nel 2005 Marco De Benedetti per lasciare la guida di Tim. Somme che fanno impallidire non solo i comuni mortali, ma anche quei calciatori (per lo più stagionati) che durante il mercato estivo sono stati convinti dalle rispettivi squadre a rescindere il contratto, in cambio di una buonuscita (vedi i casi di Camoranesi e Trezeguet, che hanno percepito circa 500mila euro a testa). Liberi come gli ex-manager di trovare subito un'altra società pronta a ricoprirli d'oro. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Dieci anni di accordi per ripartire di Alberto BombasseiCronologia articolo22 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 22 settembre 2010 alle ore 08:38. L'ultima modifica è del 22 settembre 2010 alle ore 08:06. "Confindustria e il lavoro 2000- 2010" è una pubblicazione che nasce per proseguire la consolidata tradizione di Confindustria di procedere a un'edizione periodica di raccolta degli accordi interconfederali come strumento di lavoro.
Il periodo considerato è stato caratterizzato da un vero scontro ideologico su quasi tutti gli interventi negoziali o legislativi in materia di lavoro. Sono gli anni che, dopo l'ultimo strappo consumato con l'accordo separato di "san Valentino" sui punti di contingenza il 14 febbraio 1984, vedono di nuovo una prima mancata firma della Cgil su un accordo interconfederale, quello per la riforma del contratto a termine (2001) negoziata con tutti i sindacati fino a quando, all'ultimo momento, la Cgil, bloccata dai metalmeccanici della Fiom, "scopre" ragioni di dissenso. Segue il difficile e drammatico percorso che dal Libro Bianco sul mercato del lavoro (che ci fu chi si affrettò a definire "limaccioso") porta alla Legge Biagi, ma anche all'assassinio del suo ispiratore per mano delle Brigate rosse. Ed, ancora, sono gli anni del Patto per l'Italia (2002) e della strumentale polemica su un presunto stravolgimento dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Del Protocollo sul Welfare con il quale, nel 2007, la sinistra radicale, essenziale componente del governo Prodi, intende destrutturare la legge Biagi senza, tuttavia, riuscirvi.
Così come dell'avvio di quel lungo e contrastato confronto per la riforma della contrattazione collettiva iniziato come primo atto della presidenza di Luca di Montezemolo - con il "gran rifiuto" della Cgil in aperta polemica con Cisl e Uil – e che Emma Marcegaglia e io abbiamo concluso, dopo "appena" cinque anni, nel 2009, ma ancora una volta senza la sottoscrizione della Cgil. I documenti pubblicati nei tre volumi confermano che il percorso per la modernizzazione del rapporto di lavoro e delle relazioni industriali è stato e rimane indispensabile, anche se continua a essere straordinariamente complicato. Nel ripercorrere i numerosi tavoli che Confindustria ha con convinzione promosso, vediamo che sono state concluse buone intese generali, talvolta "separate" specie quando l'impegno richiesto a ciascuno degli attori si è rivelato particolarmente elevato. E questo in un decennio in cui pure si sono dovute registrare tutte quelle condizioni economiche e produttive che tradizionalmente inducono le parti sociali a stringere patti per la ripresa: dalle difficoltà di inizio secolo legate all'ingresso nella moneta unica alla fase in cui molti hanno parlato di declino industriale fino alla nuova grande crisi dal settembre 2008. E non sono certo mancate azioni concrete da parte di Confindustria. Nel luglio 2004 l'invito rivolto ai tre segretari generali non era per discutere la riforma degli assetti della contrattazione collettiva bensì per esaminare un documento complessivo nel quale proponevamo ai sindacati, considerate le difficoltà che il paese stava incontrando, di affrontare insieme tutta una serie di argomenti che andavano dai temi delle infrastrutture al Mezzogiorno, dalla ricerca scientifica alla riforma universitaria, alle pensioni e così via. Solo l'ultimo paragrafo era dedicato ai temi sindacali. Eppure fu proprio quello il motivo per giustificare una differenziazione di posizioni all'interno dei sindacati e un conseguente rinvio del tema della riforma della contrattazione e con quello anche di tutti gli altri. Abbiamo insistito e, a fronte di rinvii e incertezze, consapevoli dei dati sull'andamento dell'economia e in particolare sulla perdita di competitività del nostro sistema produttivo (negli ultimi dieci anni, dal 1995, il clup nell'industria in senso stretto era cresciuto del 23% in Italia, mentre non era quasi aumentato in Germania ed era invece diminuito di 9 punti percentuali in Francia) abbiamo indicato la necessità di adottare precise scelte di politica industriale ed economica proponendo ai sindacati, con il documento del settembre 2005, alcune soluzioni per far sì che le relazioni industriali diventassero un fattore di competitività, in quanto capaci di riattivare quel circuito virtuoso che collega maggiore produttività con maggiore crescita.
Il confronto sulla modernizzazione delle relazioni industriali comunque non riuscì a decollare stante le profonde differenze che ancora si dovevano registrare nelle posizioni delle tre organizzazioni sindacali. Differenze rese palesi nel documento unitario che Cgil, Cisl e Uil avevano presentato in vista del confronto con il governo sui temi della competitività e della crescita. Nel loro documento i sindacati affermavano di essere interessati a ricercare soluzioni capaci di rafforzare, incentivare ed estendere la contrattazione di secondo livello utilizzando politiche fiscali di sostegno. Un dato positivo perché, al di là delle soluzioni tecniche, l'orientamento coincideva con quello espresso da Confindustria. Meno positivo il fatto che i sindacati avessero precisato che, pur interessati a innovare, mantenevano ferme "le relative posizioni in tema di modelli contrattuali e le prerogative dei contratti collettivi". Una posizione che rendeva decisamente complesso ogni progetto di revisione, anche parziale, delle regole del 1993.
La stessa iniziativa del governo Prodi, che porterà al Protocollo sul Welfare del luglio 2007, fa seguito all'idea proposta da Confindustria di lavorare per un Patto per la produttività avendo posto, da un lato, i temi della produttività e della competitività quali priorità e, dall'altro, la necessità di apprestare un sistema di tutele nel mercato del lavoro adeguate alle nuove sfide derivanti dal cambiamento del quadro economico e sociale. In questi anni sulla questione lavoro Confindustria non ha mancato di delineare la propria posizione: disponibilità a ragionare sul secondo livello di contrattazione con salario legato ai risultati, ma a condizione che si discuta anche del primo livello per renderlo "più leggero" e ferma la necessità di ampliare il confronto a tutti i temi chiave: dalla flessibilità alla esigibilità delle prestazioni concordate; dagli interventi in materia pensionistica a quelli per realizzare un sistema più moderno di ammortizzatori sociali, così da completare l'impianto della Legge Biagi assolutamente da non depotenziare in quanto oramai accertato non essere quella la causa della precarietà.
L'invito alla modernizzazione per la crescita in tutti i settori, dalla pubblica amministrazione alle infrastrutture, dalle politiche energetiche e ambientali ai trasporti e la logistica, dai sistemi educativi e formativi al welfare e alle relazioni di lavoro e sindacali, continua a caratterizzare l'azione di Confindustria anche quando, nel 2008, apriamo il negoziato che porterà alla sottoscrizione dell'accordo di riforma della contrattazione collettiva. Una riforma che probabilmente non risolve tutti i problemi ma certamente dà una risposta adeguata a quelli principali considerato anche che è stata, fino all'ultimo, negoziata con tutti e tre i sindacati insieme e questo vuol dire aver sempre cercato le soluzioni migliori fra le diverse posizioni che si contrapponevano al tavolo. In quell'accordo c'è l'universalità dei diritti fondamentali garantita dal contratto nazionale; è rimessa ai contratti nazionali la facoltà di stabilire le materie delegate al secondo livello; c'è l'impegno a procedere alla razionalizzazione del numero dei contratti; ci sono i principi su cui costruire l'intesa per le regole sulla rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro e quindi per dare certezza circa l'effettività degli accordi che si concludono; non c'è alcun rischio di balcanizzazione dei diritti dei lavoratori perché qualsiasi deroga è sempre frutto di una amplissima flessibilità negoziale, quasi un modello a livello europeo.
È evidente che sono tutte modifiche che presuppongono anche un sostanziale cambiamento culturale da parte degli attori. E questo non è facile né immediato. Di fatto comunque in questi dieci anni il nostro modo di operare è notevolmente mutato. Sono gradualmente cambiati i ruoli dei soggetti della contrattazione proprio nel senso da più parti invocato di una minore centralizzazione. In sede centrale è rimasta forte l'attenzione per le regole generali. Ai contratti di settore provvedono direttamente le strutture di categoria, avendo anche la necessità di adottare logiche specifiche e quindi diverse fra i diversi settori. Rispetto al secolo passato non esiste più un contratto modello. I diversi contratti di settore rispondono sempre più a esigenze proprie tant'è che, dopo molti anni, si torna a parlare di contratti di comparto, specie dove si sono andate consolidando situazioni contrattuali accorpate. Non basta. Molto meno banalmente di quel che può sembrare, osserviamo che ogni settore ha di fronte sindacati diversi. Anche se le categorie sindacali fanno capo a Cgil, Cisl, Uil, ognuna di loro ha storie e tradizioni diverse, si misura con esigenze diverse. Di qui la altrettanto poco scontata possibilità che i sindacati in alcuni contratti di settore individuino soluzioni, anche fortemente innovative, adeguate a un comparto produttivo ma che mai accetteranno di introdurre in un altro. A volte la sensibilità per queste banalità eviterebbe di incorrere in fastidiosi errori di prospettiva nell'affrontare un confronto sindacale. A questa multiforme realtà cerca di dare una risposta la riforma della contrattazione collettiva del 2009. Alberto Bombassei è vicepresidente di Confindustria per le Relazioni industriali, affari sociali e previdenza
Nuove frontiere per il lavoro Cronologia articolo22 settembre 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 22 settembre 2010 alle ore 08:32. L'ultima modifica è del 22 settembre 2010 alle ore 08:05. * * * * È importante che la Confindustria nell'ambito della celebrazione dei suoi 100 anni crei un momento di confronto-riflessione sui temi delle relazioni industriali. Accadrà venerdì e sabato a Genova. L'obiettivo è quello che ha reso grande tutta la tradizione delle parti sociali in Italia: costruire un cambio culturale per adattare le materia viva, vivissima, dei rapporti tra interessi del capitale e interessi del lavoro, alle nuove sfide produttive. La corposa serie di protocolli, ultimo quello dell'anno scorso e non firmato dalla Cgil, contribuisce a far crescere la qualità degli apporti di tutti i fattori produttivi. Il tempo, purtroppo, è quello dilatato del riformismo italiano, ché da noi le riforme si fanno a piccoli passi, grazie a continue mediazioni, a vere, estenuanti fatiche culturali, a un'incessante dialettica con le forze della conservazione (spesso le più "rivoluzionarie"). La nuova frontiera è la contrattazione aziendale, dove è meglio percepibile la produttività da redistribuire in forma di salario e di utili, dove è più definibile il terreno concreto della collaborazione tra lavoro e impresa. Dove, in sostanza, proprio impresa e lavoro scoprono, alla fine, di avere molti più interessi in comune di quanto non ne abbiano di confliggenti.
2010-09-19 Piano da duemila esuberi all'Alitalia? È polemica, l'azienda non smentisce Cronologia articolo19 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2010 alle ore 15:29. Il piano di ridimensionamento dei dipendenti di Alitalia, riportate oggi dalla stampa, con un taglio di 1.800-2.000 lavoratori entro la fine dell'anno, scatena polemiche politiche e sindacali. Così mentre "Alitalia fa sapere che non conferma i contenuti dell'articolo", si moltiplicano le dichiarazioni critiche verso il piano, anche se per ora non confermato, della compagnia aerea italiana.
"Se fosse confermata la notizia del piano di esuberi cui starebbe lavorando Alitalia, sarebbero fondate le nostre preoccupazioni su una privatizzazione gestita malissimo dal Governo che, senza garantire benefici al trasporto aereo italiano, ha semplicemente scaricato 3 miliardi di euro di debiti sulle spalle dei contribuenti abbandonando i lavoratori al loro destino" ha spiegato il capogruppo del Pd in commissione Trasporti alla Camera, Michele Meta, commentando la notizia. "Parlare oggi di esuberi, a venti mesi dalla nascita della nuova Alitalia, significa certificare il fallimento di un'operazione – ha continuato Meta - che ha creato notevoli danni al trasporto aereo italiano regionalizzando di fatto l'ex compagnia di bandiera che ha rinunciato ad avere ambizioni di vettore internazionale. Se pensiamo, inoltre, alla crescente concorrenza dell'alta velocità ferroviaria sulla tratta Milano-Roma, dove Alitalia invece opera in regime di monopolio assoluto, allora crediamo che le prospettive del vettore siano limitate senza ulteriori strategie di sviluppo. Già da domani, chiederemo al Governo di venire a riferire in Parlamento con urgenza sugli sviluppi di Alitalia e di chiarire, nelle vesti di garante della privatizzazione, se la compagnia intenda davvero esternalizzare e abbandonare settori strategici come la manutenzione che erano il fiore all'occhiello di Alitalia grazie alla quale erano garantiti livelli di sicurezza tra i più elevati al mondo". Ma le polemiche politiche e sindacali si sono susseguite per tutta la giornata. "Mi auguro si tratti di una notizia priva di fondamento" ha affermato in una nota, il presidente della Regione Lazio Renata Polverini in merito al presunto ridimensionamento di Alitalia."I lavoratori di Alitalia - spiega Polverini - rappresentano un bacino occupazionale importante per la nostra regione che va salvaguardato. Proprio di recente la Regione Lazio ha concluso un accordo a esuberi zero per la tutela dei lavoratori di Alitalia Manteinance System assicurando fondi destinati al settore aerospaziale e, per la prima volta, misure di welfare a favore dei figli dei lavoratori". "Se le notizia sugli esuberi riportate dalla stampa venissero confermate andrebbe aperto immediatamente un confronto": lo ha affermato il segretario nazionale Filt-Cgil Mauro Rossi. Andrea Cavola, del coordinamento nazionale dell'Usb, ha detto di prendere "atto della non smentita dell'aziendà. Dico solo – ha aggiunto - che qualche settimana fa l'amministratore delegato Rocco Sabelli in una convention con qualche centinaio di dipendenti Alitalia ha tranquillamente detto che prevedeva 1.500 uscite di cui 750 stagionali e 750 che avrebbe gestito con piccole esternalizzazioni. Lo ha detto davanti a centinaia di persone". "Attenderemo nei prossimi giorni le nuove azioni dell'azienda - afferma ancora il sindacalista - È strano che un'azienda che 2 anni fa venne regalata e liberata di tutti i debiti, alleggerita di 10mila dipendenti e che ha avuto tutti gli ammortizzatori, dopo appena due anni parla di 1.500 esuberi". Secondo le indiscrezioni riportate dal Corriere della Sera, l'ex compagnia di bandiera conta attualmente 14mila dipendenti rispetto ai 12.600 programmati. I dipendenti in più sarebbero tra 1.400 e 1.200. A questi andrebbero aggiunti i contratti dei precari da non rinnovare, che sarebbero circa 600. In particolare, l'amministratore delegato di Alitalia Rocco Sabelli avrebbe annunciato in una convention aziendale di inizio settembre un ritorno ai livelli di organico del Piano Fenice, tramite recuperi di efficienza e esternalizzazione. Secondo i rumors l'azienda punterebbe su un risparmio che prevede l'esternalizzazione di alcuni servizi negli scali periferici: le aree coinvolte potrebbero essere la logistica e la manutenzione. E proprio il settore della manutenzione è tra i più sensibili per i sindacati, non soltanto per la Filt-Cgil ma anche per la Fit-Cisl. Il rischio è quello di una nuova stagione di conflitti in Alitalia a due anni dalla privatizzazione della compagnia ceduta dal Governo Berlusconi nel 2008 alla Cai di Roberto Colaninno, presidente e tra i soci di riferimento italiani del gruppo che ha tra i suoi azionisti anche Air France con il 25% del capitale. Proprio nei giorni scorsi erano inoltre filtrate indiscrezioni sul possibile ingresso nella compagine sociale di nuovi soci e di un aumento di capitale in vista. Tuttavia proprio Colaninno si era affrettato a smentire spiegando che "Alitalia non ha bisogno dell'ingresso di nuovi soci nella compagine azionaria né di un aumento di capitale. I risultati di fine agosto sono molto buoni, sia per numero di passeggeri, puntualità e regolarità. La cassa - ha concluso Colaninno - sta andando bene". ©RIPRODUZIONE RISERVATA
2010-09-17 La Fiat scorpora l'auto Cronologia articolo17 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 17 settembre 2010 alle ore 08:05. "L'auto ora è libera", libera di calibrare le alleanze senza più i vincoli derivanti dal condividere lo stesso tetto con business strutturalmente diversi. L'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, ha voluto sottolineare il via libera dell'assemblea allo spin off che dividerà in due il gruppo del Lingotto. "Momento storico", per il presidente John Elkann, che segna la nascita di "due società forti, con ambizioni, obiettivi e persone pronte a realizzarli". Fiat Industrial, con Iveco e Cnh, arriverà in Borsa il 3 gennaio: entro fine mese verrà presentato il documento informativo definitivo e la richiesta di quotazione della società scissa che dovrebbe essere approvato per novembre. Da gennaio le due Fiat – quella dell'auto e quella di camion e trattori – inizieranno cammini separati, con un indebitamento netto industriale iniziale di 2,5 miliardi ciascuna. Intanto l'accordo Ue-Corea è stato criticato anche da Marchionne per mancanza di reciprocità. Servizi u pagine 2, 3 e 8 con un'analisi di Giuseppe Berta
Così Torino ha sciolto il nodo del debito di Antonella OlivieriCronologia articolo17 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 17 settembre 2010 alle ore 08:05. Fiat alza il velo sulla ripartizione del debito: le due società che nasceranno dalla scissione partiranno con un indebitamento netto "industriale" di 2,5 miliardi ciascuna. Alla pari, come era stato promesso. Le cifre in realtà sono ancora provvisorie perchè fanno riferimento alle stime di indebitamento netto (esclusi i servizi finanziari) di oltre 5 miliardi, per l'intero gruppo, che risalgono al 21 aprile scorso. Ma, raffrontate con i dati proforma a fine 2009, forniscono un'implicita indicazione dell'andamento delle due anime del Lingotto. Alla Fiat "auto" era assegnato un indebitamento netto industriale di 741 milioni: per arrivare a 2,5 miliardi mancano poco meno di 1,8 miliardi di risorse che quest'anno si stima assorbirà. Fiat Industrial, che invece parte da una base 2009 di indebitamento netto esclusi i servizi finanziari di 3,67 miliardi, beneficerà di quasi 1,2 miliardi di flussi di cassa. Le stime, come detto, sono ancora suscettibili di variazioni. Il 27 settembre è previsto che il Lingotto depositi il documento informativo definitivo, che conterrà l'aggiornamento al 30 giugno dei proforma separati. La nuova guidance sull'intero esercizio sarà fornita il 21 ottobre quando sarà licenziato il consuntivo del terzo trimestre. A ogni modo le indicazioni fornite in assemblea rivelano già oggi che sul versante dei debiti le due Fiat sono destinate a divergere fin dalla culla: l'auto continuerà a richiedere più investimenti di camion e trattori, aumentando il debito iniziale, mentre la sorella scissa dovrebbe continuare il recupero sui flussi di cassa allontanandosi dai minimi del 2009 di piena crisi. La seconda indicazione emersa ieri sul versante finanziario è che il nodo del debito è virtualmente sciolto. Qualche anno fa, ai tempi dell'alleanza con Gm, il Lingotto aveva già provato a separare l'auto dal resto dei business del gruppo. Ma le insidie tecnico-legali contenute nella contrattualistica relativa a bond e finanziamenti erano tali e tante che si era deciso di soprassedere. Il paziente lavoro di setacciamento non è stato però tempo perso, perchè il gruppo da allora ha iniziato a eliminare dai nuovi prestiti quelle clausole standard che avrebbero potuto far scattare l'obbligo di rimborso immediato: è il caso della "disposizione di asset" in presenza di scissione. Oggi infatti, come ha confermato ieri l'ad Sergio Marchionne, non esistono più nei bond in circolazione clausole che possano provocarne il rimborso immediato. Quanto ai rapporti con le banche, è quasi completato il giro di raccolta dei consensi ai contratti di finanziamento che resteranno in capo alla Fiat "auto", ma in ogni caso le cifre in gioco sono inferiori al mezzo miliardo. I bond resteranno in pancia a chi li ha emessi: 9 miliardi in Fiat spa, e 2 miliardi, relativi a Cnh e non garantiti da Fiat, che andranno con la parte Industrial. Per far fronte ai maggiori impegni, la Fiat dell'auto sarà dotata di maggiori risorse liquide: 10 miliardi contro i 3 miliardi che saranno assegnati a Fiat Industrial. Inoltre, per le partite pregresse, i creditori Fiat, oltre alla garanzia dei beni che resteranno nella spa, potranno contare sulla garanzia "solidale" di Fiat industrial. Nel frattempo sono stati forniti altri dettagli che non alterano comunque il quadro. Sui debiti della parte servizi finanziari (finanziamenti alle vendite), l'indebitamento netto di Fiat Industrial sarà di circa 10 miliardi, quello di Fiat spa (che ha una joint con il Crédit Agricole valutata a patrimonio netto) di 1,5 miliardi. Quanto ai flussi di quest'anno, Cnh ha emesso a giugno un bond da 1,5 miliardi di dollari e prorogato la scadenza di una linea di credito da 1 miliardo di euro. A luglio è stata concordata, a favore di Fiat Industrial, l'erogazione di un finanziamento da 4 miliardi da parte di un pool di otto banche (Barclays, Bnp, Citi, Crédit Agricole, Intesa, SocGen, Rbs, UniCredit) che servirà a ripagare Fiat spa dei prestiti infragruppo (quasi 5 miliardi a fine 2009). Infine, prima del completamento dell'operazione, è previsto il trasferimento da Fiat a Fiat Industrial di linee di finanziamento per circa 1 miliardo. Dopodichè, separati i rapporti, e sdoppiata la tesoreria oggi unificata in Fiat Finance, ciascuna delle due società si gestirà autonomamente anche nei confronti del mercato. La Borsa ha registrato le novità con un calo delle azioni ordinarie del Lingotto del 2,2% a 10,21 euro.
Corsa verso Cina e Brasile, frenata in Europa. Come cambia il settore auto nell'era Marchionne di Paolo BriccoCronologia articolo17 settembre 2010Commenti (2) Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2010 alle ore 23:09. L'unica cosa sicura è che le auto hanno ancora quattro ruote, i sedili e un volante. Per il resto, è cambiato tutto. Con una metamorfosi a tratti violenta, in uno scenario in cui le gerarchie si sfaldano e gli equilibri si ricompongono a una velocità tale che l'occhio comune fatica a cogliere cosa stia capitando. Sergio Marchionne, fresco dall'approvazione da parte dell'assemblea Fiat dello spin-off dell'auto, ha più volte usato l'espressione "rivoluzione copernicana", per indicare i cambiamenti che hanno caratterizzato negli ultimi anni l'industria mondiale dell'auto. Mutazioni di cui sindacalisti, politici, intellettuali e imprenditori italiani, che ne criticano il radicalismo manageriale, non si sarebbero resi conto. Però, quelle parole le avrebbero potute pronunciare Carlos Ghosn di Renault Nissan, Akio Toyoda di Toyota, Alan Mulally di Ford. Chiunque stia dentro all'attuale globalizzazione, ipercinetica e senza tregua. Il cambio di paradigma. Ma quando si è verificata questa cesura storica? Che cosa, negli ultimi anni, ha smosso il grande acquario della competizione globale? Proviamo a immaginare la Fiat come un pesce fra i tanti. E concentriamoci, appunto, sulla mutazione dell'acqua in cui tutte le case automobilistiche si trovano a nuotare. La sua composizione, il suo colore, le correnti che genera. I dati dell'Oica, l'organizzazione dei produttori di auto, raccontano lo spostamento del cuore del sistema verso l'Asia. "La maggioranza degli investimenti – nota Ralf Kalmbach, capo del settore automotive di Roland Berger – è naturalmente concentrata nei paesi emergenti: l'elemento nuovo degli ultimi dieci anni è che, oggi, anche i marchi europei di alta qualità realizzano le vetture in Asia, con standard propri della casa madre e con l'obiettivo di venderle alla borghesia medio alta che là si sta affermando". Dunque, non soltanto prodotti a basso prezzo. Sotto il profilo complessivo, nel 1999 nel mondo si producevano 56,2 milioni di auto, che dieci anni dopo sono diventate 61,7 milioni, quasi il 10% in più. Nell'Unione europea (a 15) allora si costruivano poco meno di 17 milioni di vetture all'anno. Adesso sono diventate 12 milioni, quasi un terzo in meno. I numeri relativi all'Italia mostrano lo svuotamento del nostro sistema produttivo, che sta assumendo le sembianze di un involucro sgonfio: da 1,7 milioni a poco più di 800mila, circa la metà. Negli Stati Uniti e nel Messico, da 17,6 milioni a 8,7 milioni: la metà, dunque. Il Sud America, che significa soprattutto Brasile, è ben più che raddoppiato: da 1,6 a 3,7 milioni. In Asia si è passati da 16,8 milioni a 31,7 milioni: +88 per cento. Impressionante il trend cinese: da 1,8 milioni a 13,8 milioni, dunque in aumento del 653 per cento. "Questo fenomeno – osserva l'industrialista Giampaolo Vitali, segretario del Gruppo economisti di impresa – va però letto in parallelo all'evoluzione delle immatricolazioni. Il che mostra come gli andamenti della produzione e del "consumo" di auto siano speculari: Europa e Stati Uniti sperimentano un calo drastico, mentre l'Asia è la nuova frontiera". In tutto il mondo, l'anno corso sono state immatricolate 56 milioni di macchine, il 7,9% in più rispetto a dieci anni prima. Nell'Unione europea a 15, il calo è del 10,6% (da 16,5 a 14,8 milioni) e negli Stati Uniti e in Messico la flessione è del 36% (da 20,2 a 16,1 milioni). Interessante notare come il dato statistico rispecchi perfettamente l'idea che i due motori del mercato dell'auto siano Brasile e Asia. Il Brasile ha registrato un tasso di crescita del 110% (da 1,5 a 3,1 milioni) e l'Asia ha avuto il medesimo ritmo: +110%, da 10,3 milioni a 21,7 milioni. In Cina sono state immatricolate, nel 2009, 13,6 milioni di macchine, con un aumento del 552% rispetto a dieci anni prima. Dunque, spostatosi l'asse verso oriente, il problema è costituito dal futuro degli Stati Uniti e dell'Europa. Usa ed Europa bye bye. "Da questo punto di vista – spiega Kalmbach – il nodo industrialmente critico è rappresentato dal grado di utilizzo degli impianti, che cambia molto a seconda della loro collocazione geografica". Nel 1990, secondo i dati elaborati dalla società di consulenza con l'ausilio della consociata italiana, a livello globale era pari all'80%, nel 2009 con la crisi si è scesi al 61%, mentre quest'anno dovrebbe risalire al 68 per cento. Il problema, appunto, è la distribuzione fra un continente e l'altro: Asia e Sud America sono rispettivamente al 65% e al 67%, a fronte di un Nord America crollato al 46% e di un'Europa occidentale ferma al 58%. La proiezione futura di Roland Berger è particolarmente interessante proprio per i due grandi malati, appunto l'Europa e il Nord America: nel 2015 la prima dovrebbe tornare al 79% e il secondo all'89 per cento. "Un recupero di quaranta punti in cinque anni per gli Stati Uniti – commenta Vitali – ci potrebbe anche stare, per la capacità di crescita interna in grado di assorbire nuove auto e per la rapidità del mutamento del sistema produttivo: la chiusura, la ristrutturazione o la riapertura di uno stabilimento, in uno stato americano piuttosto che in un altro, sono improntate a una notevole elasticità. Diverso il discorso sull'Europa occidentale, dove i vincoli sociali e politico-giuridici sono maggiori". Asia e Sud America, come mercato di produzione e di "consumo", sono giovani. Dunque, è naturale che spesso abbiano anche stabilimenti relativamente nuovi. "Dentro alla già complessa condizione europea – afferma Giuseppe Russo, direttore dell'Osservatorio sull'automotive, istituito presso la Camera di Commercio di Torino – la situazione italiana è ancora più particolare: basti pensare che la fabbrica più recente è Melfi, che ha quasi vent'anni. E quando l'obsolescenza degli impianti diventa eccessiva, qualunque produttore può decidere di riammodernare, chiudere, ricostruire o fondare altrove. Quando lo devi fare, consideri una serie di elementi: il costo dell'energia e del lavoro, gli incentivi, ma anche le infrastrutture, la logistica e le relazioni sindacali. Succede a tutte le case automobilistiche, in qualunque paese". A proposito del costo del lavoro, secondo una stima di Kpmg i differenziali fra i paesi del primo mondo sono minimi: fatto 100 l'indice americano, in Francia è pari a 97,7, in Germania a 100,7, in Canada a 97,1 e in Italia a 98,8. Al di là del fatto che il costo del lavoro, in base ai metodi di calcolo e al modello di macchina, alla fine incida fra il 7 e il 12% del totale, la differenza fra il primo mondo e i mercati emergenti resta assai rilevante. Stando alle elaborazioni di Roland Berger, la media all'ora è di 21 euro negli Stati Uniti, 30 euro in Germania e 22 euro in Italia. Nella Repubblica Ceca si scende a 10 euro, in Slovacchia a 7 euro, in Bosnia a 4 euro. In Brasile si è a 5 euro e in Messico a 1,65 euro. In Cina a 1,73 euro e in India a 2 euro. "Unendo gli elementi della capacità produttiva in eccesso e del differenziale del costo di lavoro – riflette Antonio Bigatti, che in Kpmg si occupa di auto – diventa evidente come, soprattutto in Europa, ci sia un problema di prospettiva strategica". Da produttori ad assemblatori. Non c'è, però, soltanto il rimescolamento della capacità produttiva e della forza di assorbimento delle vetture da parte dei continenti, intesi come gigantesche piattaforme in cui le case storiche si accostano, cooperano e si mettono in dura concorrenza con i produttori emergenti. C'è anche l'ultimarsi dell'evoluzione del modo di fare auto che accomuna tutte le case. Un'evoluzione iniziata fra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Ogni costruttore ormai è un assemblatore. Negli anni Settanta la deverticalizzazione dell'organismo fordista ha progressivamente portato fuori dal perimetro della fabbrica la produzione di componenti. Il passaggio topico di questa prima fase è stato quando tutti i produttori europei e americani, negli anni Ottanta, hanno venduto le loro acciaierie. La materia prima con cui fabbricare, dentro alla fabbrica, la quasi totalità dei componenti. "Ormai – dice il direttore dell'Osservatorio sull'automotive – i tre quarti di una macchina sono realizzati dalla filiera della componentistica. Il produttore si è definitivamente trasformato in un assemblatore e in un fornitore di servizi: per esempio, dalla manutenzione alla finanza personale per l'acquisto della macchina". In un contesto segnato dai nuovi equilibri fra le piattaforme continentali e dalla definitiva trasformazione della natura delle case automobilistiche, si pone con forza la questione europea, per cui pare inevitabile un parziale processo di deindustrializzazione. "In Europa – precisa Kalmbach – si concentreranno sempre più le funzioni sofisticate: il disegno dell'auto, l'invenzione tecnologica, la valorizzazione del marchio, perfino il come assemblare i pezzi comprati in tutto il mondo". Non ci sarà una desertificazione produttiva. Un ridimensionamento, sì, potrebbe essere inevitabile. E non potrà non essere doloroso. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
2010-09-11 Quattro morti sul lavoro a Capua e Pistoia, Napolitano: indignazione per gravi negligenze Cronologia articolo11 settembre 2010Commenta Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 11 settembre 2010 alle ore 11:53. Due incidenti sul lavoro hanno causato la morte di tre operai a Capua (provincia di Caserta) e di un manovale a Pistoia. Quest'ultimo è avvenuto in un'azienda che opera nell'ambito del riciclo dei rifiuti a Pescia (Pistoia). La vittima è un operaio di 36 anni, Marius Birt, romeno, che abita a poca distanza dalla fabbrica. Da una prima ricostruzione sembra che l'operaio sia stato schiacciato da un macchinario. La fabbrica, la "3 F ecologia", si occupa di riciclo di rifiuti, in particolare della carta. Sul posto forze dell'ordine e ispettori dell'Asl. I tre operai morti in un incidente sul lavoro a Capua erano impegnati nei lavori di bonifica e di manutenzione di un silos, alto circa dieci metri, all'interno dell'azienda farmaceutica Dsm, sulla strada statale Appia, che da San Tammaro porta a Capua, direzione Aversa. I tre lavoravano per una ditta di Agragola. Secondo le prime informazioni sono stati investiti dalle esalazioni provenienti dalla cisterna, probabilmente dovute ad un processo di fermentazione che si è innescato quando gli operai l'hanno aperta. Gli operai avevano da poco iniziato le operazioni di bonifica della vasca. Secondo una prima ricostruzione due sono stati colti immediatamente da malore mentre il terzo ha tentato di soccorrerli finendo, però, nel fondo della vasca privo di sensi. Quando è scattato l'allarme per i tre non c'è stato più nulla da fare. Due delle vittime erano residenti in provincia di Caserta mentre la terza abitava nel Napoletano. È terminato da poco un sopralluogo del questore di Caserta, Guido Longo mentre all'interno vi è ancora il sostituto procuratore di Santa Maria Capua Vetere, Donato Ceglie. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha espresso "commossa partecipazione" al dolore delle famiglie e delle comunità colpite e raccolto "la diffusa indignazione per il ripetersi di incidenti mortali causati da gravi negligenze nel garantire la sicurezza dei lavoratori in operazioni di manutenzione nei silos simili a quelle che già più volte in precedenza hanno cagionato vittime". Il capo dello Stato, si aggiunge "confida nella rapidità e nel rigore degli accertamenti da compiere e nella definizione delle normative di garanzia da adottare e far rispettare".
"Servono nuove regole" Nicoletta PicchioCronologia articolo 11 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 11 settembre 2010 alle ore 08:04. ROMA Cambiare le regole: del mercato del lavoro, della produzione, della politica. "Quelle del passato non sono più adatte al mondo in cui viviamo. Dobbiamo fare tutti un passo avanti, rapidamente: basta con le vecchie liturgie, il tempo gioca a favore della ripresa economica, è un fattore vincente come dimostrano i paesi che stanno crescendo in modo vigoroso". Mariella Enoc, presidente di Confindustria Piemonte, ha appena letto i quotidiani: la Bce chiede per l'Italia più flessibilità delle retribuzioni, il World Economic Forum ci mette in fondo ai Paesi industrializzati nella classifica della competitività. Uno scenario che all'Italia non consente più ritardi, "bisogna accelerare i passaggi", né rimanere ancorati a vecchie ideologie. "In assenza di ideologie nella politica, oggi si sta ideologizzando il mercato del lavoro. Ma così non si fanno gli interessi dei lavoratori", dice la Enoc, che rilancia il tavolo nazionale sulla crescita, chiesto dalla presidente, Emma Marcegaglia. Con un avvertimento: "I migliori accordi sono quelli dove alla fine tutti sono un po' scontenti, ma possono dire: abbiamo firmato. Al tavolo nazionale sulla crescita, che spero si possa aprire presto, tutti dovranno sedersi con onestà intellettuale, facendo prevalere non le ideologie, ma gli interessi dei lavoratori. Con la volontà di andare fino in fondo, con l'obiettivo della crescita del Paese, e di non alzarsi, sbattendo la porta". La Cgil non ha condiviso la riforma della contrattazione, la Fiom non ha firmato tre contratti dei metalmeccanici ed ha detto no all'intesa per lo stabilimento Fiat di Pomigliano: ideologia? Sono convinta che quello della Fiom sia un atteggiamento ideologico, che purtroppo non difende i lavoratori. L'impresa ha bisogno di creare le condizioni migliori per produrre, essere competitiva e per questa strada tutelare il lavoro. Non possiamo perderci dietro i minuti della pausa pranzo, non è certo questo un argomento di difesa del lavoro. Di fronte al recesso dall'ultimo contratto unitario del 2008 da parte di Federmeccanica, la Fiom ha proclamato uno sciopero. Pochi giorni fa, l'aggressione al leader della Cisl, Raffaele Bonanni: si rischia un aumento delle tensioni? Premesso che la scelta di Federmeccanica è stata un atto di chiarezza e che i lavoratori metalmeccanici hanno un contratto in vigore, il rischio di tensioni sociali è latente. C'è il rischio che emergano gruppi violenti, non legati a particolari organizzazioni, ma che puntano a strumentalizzare questa situazione di squilibrio. Si discute del modello tedesco: secondo lei qual è la strada per aumentare la produttività? Bisogna aumentare il dialogo in azienda e renderlo più rapido. Un cambiamento già avviato da Confindustria con la riforma della contrattazione. Il caso Fiat dello stabilimento di Pomigliano ha dato un'accelerazione. È un'azienda globale e deve muoversi secondo le regole e i tempi del mercato mondiale. La globalizzazione ha questo prezzo, per tutti. Secondo i dati Istat, il Pil ha avuto una crescita record nel secondo semestre dell'anno: ripresa conclamata? Le previsioni per il 2010 per l'Italia indicano una crescita poco superiore all'1 per cento. La Germania raggiungerà un 3 per cento. Siamo indietro: dobbiamo affrontare seriamente il problema della crescita. Per questo è urgente un tavolo, dove le ideologie restino fuori. © RIPRODUZIONE RISERVATA
2010-09-10 Fiat rivela i debiti dello spin off Cronologia articolo10 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2010 alle ore 08:08. Se la scissione fosse avvenuta nel 2009, la Fiat divisa in due vedrebbe la parte che resta in capo all'auto con 32,7 miliardi di fatturato e un risultato netto negativo di 277 milioni e la parte Industrial (con Iveco e Cnh) che avrebbe ricavi pari a poco più della metà della consorella – 17,96 miliardi – ma perdite doppie per 564 milioni. A tracciarne i profili è il "Documento informativo", datato 4 settembre, che dovrebbe sostituire il prospetto informativo, previo ok della Consob. La Commissione, peraltro, potrebbe ancora richiedere ulteriori integrazioni prima dell'assemblea che giovedì prossimo dovrà deliberare sulla scissione. La ripartizione del debito – non definitiva – è più favorevole alla Fiat spa, che post-scissione avrebbe un indebitamento netto di 2,25 miliardi rispetto ai 13,6 miliardi di Fiat Industrial. Per le sole attività industriali (escludendo cioè i servizi finanziari), Torino conferma però che i relativi debiti, al momento della scissione, saranno spalmati in modo sostanzialmente paritetico tra le due società, anche se nel pro-forma 2009 dei 4,4 miliardi di indebitamento netto relativo alle attività industriali, 741 milioni resterebbero in Fiat e 3,67 miliardi (83%) andrebbero all'Industrial. Malan e Olivieri u pagina 37
2010-09-09 Il fumogeno non coprirà il coraggio dei riformisti di Alberto OrioliCronologia articolo09 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2010 alle ore 08:26. ha il torto di essere un sindacalista che firma le intese e le difende nelle assemblee. Anche di fronte a chi non è d'accordo. Non sfugge la dialettica: crede nei suoi argomenti, tenta di creare consensi anche quando l'aria si fa difficile. Ma di fronte all'intolleranza nemmeno un abruzzese tosto può far molto. L'assalto al palco di Torino, mentre parlava di lavoro e diritti, va condannnato. Qualcuno, anche dopo l'analogo episodio con il presidente del Senato Schifani ha parlato di "tutela del dissenso". Non c'entra un bel nulla: il dissenso è enzima in democrazia, ma tappare la bocca, insolentire, farsi forte tra bulli è il contrario del dibattito. Né basta a giustificare queste provocazioni che anche i potenti usino in questi giorni metodi spicci. Non è copiando il peggio della Casta che la piazza cambierà il paese. La violenza prima è verbale, poi chissà. Sono tempi di tensioni e servirebbe essere seri anche da parte di chi fa per mestiere il commentatore sui giornali. Che senso ha, ad esempio, scrivere – come il Manifesto in conclusione di un corsivo contro l'ex ministro, ed ex segretario Fiom, Cesare Damiano "colpevole" di aver aperto alle richieste di Sergio Marchionne – "Datemi un martello". Un martello per fare che? "Per darlo in testa a chi non mi va" come cantava Rita Pavone? Per quanto siano tempi di veline e canzonette quel riferimento resta inquietante, né possiamo illudervi che qualcuno tra i facinorosi ricordi Pete Seeger e la sua bella ballata di protesta If I had a hammer. La politica è alle prese con uno stallo tra partiti in cerca di voti e di risposte sulle emergenze dell'economia. È polarizzata tra gossip e conflitti istituzionali, senza una terra di mezzo in cui cercare le risposte ascoltando i suggerimenti della società. L'economia cerca soluzioni, anche dalla politica, per l'uscita da una crisi durata più del previsto e scatenata sui settori con violenza diversa. Nella terra di mezzo in cui politica ed economia non riescono a incontrarsi ci sono anche le relazioni industriali. È qui che azioni, passioni, sogni di altrettante vite lavorative si traducono in regole, in canoni condivisi, nello scambio antico tra fatica e denaro. Per tutti gli attori, ma proprio per tutti, il rinvio dei temi, la fuga dai problemi, non è più una risposta possibile. La crisi ha fatto esplodere le contraddizioni dei partiti e delle parti sociali: per tutti è ora di cambiare. Si vedrà come – e in che tempi – la politica uscirà dall'impasse. Si vede invece come imprese e sindacati provano a rispondere alla sfida. Sergio Marchionne da manager globale, ponendo un problema di efficienza della contrattazione rispetto alle esigenze di una competizione planetaria. Dove si sta solo se si produce a certi ritmi e a certi costi. Lo standard di Pomigliano, uno degli stabilimenti del Sud su cui la casa di Torino intende puntare nell'ambito del progetto di Fabbrica Italia (20 miliardi d'investimenti che forse troppo spesso ci si dimentica), non è in linea con quegli standard. È toccato ai rappresentanti delle parti rimettere in asse le regole di quel luogo. E così, con la buona volontà di Cisl, Uil e Ugl, è stato fatto. La spinta di Marchionne, della Federmeccanica, della Confindustria va in quella direzione: per applicare le regole di Pomigliano occorre rivedere la cornice generale del contratto nazionale. Come del resto prevede anche la nuova architettura negoziale stabilita con l'accordo del 2009 in cui sono esplicitamente previste deroghe da calibrare a seconda delle esigenze di alcuni particolari settori produttivi. Accade già per la siderurgia e non è uno scandalo. L'importante è che la trattativa per la definizione dei contenuti si svolga con l'attenzione al merito dei problemi reali e non all'ideologia o al solo valore simbolico-politico di questa o quella vertenza. Vedere anche illustri menti accanirsi su cavilli e parlare di diritti nel deserto del lavoro amareggia. Sembra di tornare ai mandarini imperiali, smarriti con il loro corredo burocratico, davanti alla storia viva. La svolta Fiat ha creato una nuova dimensione, un "luogo geometrico dei punti di conflitto" dove comporre la dialettica sociale ed economica. L'importante è che tutti i protagonisti siano all'altezza e partecipi, anche la Cgil. È comprensibile che la Fiom legata a Giorgio Cremaschi abbia convenienza a trincerarsi nella ridotta del no, parecchio distante dal confronto. A restare seduti in trincea ci si sente anche eroi perché – infine – non ci si batte mai, si evadono i problemi delle persone in nome di questo o quello slogan. Si incassa qualche successo, magari personale (o personalistico?) senza mai la responsabilità degli impatti economici delle proprie scelte. E quando proprio non si può fare a meno si entra in campo per interposta persona, come nel caso dell'autunno giudiziale promesso dalla Fiom che annuncia battaglia a colpi di ricorsi. Così guadagna il capocorrente, mai i lavoratori. E i coristi possono fingere di salvarsi la coscienza, senza il coraggio di chiedersi davvero: vogliamo che ci siano operai in Italia nel XXI secolo? Guglielmo Epifani, riformista e razionale per storia e carattere, ha tentato di cambiare strategia, di vaccinare la Fiom con l'innovazione negoziale, ma alla fine ha dovuto assecondare le pulsioni massimaliste di un sindacato dei metalmeccanici, ormai diventato una anomalia nella mappa associativa della stessa Cgil. E chi ha memoria ricorda il sindacato di Lama, di Scheda, di Trentin, capace di riforme e di utopie, di accordi sul lavoro e discussioni sui Consigli, ma sempre nemico degli estremismi verbali. Ora toccherà a Susanna Camusso, che dalla Fiom viene, gestire la complessa partita dei rapporti tra Cgil e meccanici. Deve scegliere se restare incerta, mentre altri giocano la partita o se entrare in campo, nel campo delle regole della produzione globale, e imporre il proprio contributo, senza certo rinunciare alla propria identità, interloquendo con Confindustria e Federmeccanica. È quello che auspicano i non pochi riformisti alla Fausto Durante che in Fiom militano da sempre con il coraggio della buona volontà. È quello che suggerisce Cesare Damiano. Il sindacato funziona se agisce sulle condizioni dei lavoratori, non se si arrocca sul no e lascia ad altri la decisione sulle sorti di fabbrica e persone. Nè ha senso immaginare un Vietnam nelle aule di tribunale o tantomeno prefigurare – come ha fatto intendere il segretario dei meccanici Cgil Maurizio Landini – una "rappresaglia" sulle piccole aziende del settore da mettere in conto Fiat (e chi ne pagherebbe il prezzo vero segretario Landini? Quelle Pmi che sappiamo così in affanno? I meccanici delle cinture? Che tristezza!). Sarebbe tattica ben grama quando in gioco ci sono investimenti colossali attraverso i quali passa anche l'immagine stessa del paese e la sua capacità di attrarre (o meno) investimenti produttivi. Alla lunga resterebbero i diritti da esercitare su un deserto. La Storia metterà di fronte alla prima presidente donna di Confindustria, Emma Marcegaglia, la prima leader donna della Cgil, Susanna Camusso. Hanno un'occasione storica, nei rispettivi ruoli, per modernizzare l'Italia, garantire imprese e operai, e provare in fondo che, nei momenti più difficili, l'altra metà del cielo se la cava meglio degli uomini.
Riforma delle Rsu, la strada è in salita Cronologia articolo09 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2010 alle ore 08:05. ROMA Tanti annunci ma pochi fatti per definire le regole sulla misurazione della rappresentanza e della rappresentatività sindacale. La strada è in salita per le due opzioni in campo: quella parlamentare – con la proposta presentata dal Pd alla Camera e al Senato ferma da mesi in commissiona – e quella pattizia, con il documento unitario faticosamente messo a punto da Cgil, Cisl e Uil nel maggio del 2008 ma rimasto ancora lettera morta. Sul versante parlamentare l'ultima mossa è arrivata dalla Fiom che lo scorso febbraio ha presentato una proposta di legge di iniziativa popolare, dopo essersi opposta alla definizione delle regole attraverso la sola autoregolamentazione delle parti sociali. Che, invece, è la soluzione preferita da Confindustria, Federmeccanica, Cisl, Uil e dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, favorevole ad un avviso comune tra sindacati e imprese. In questo caso la base di partenza è il documento unitario del 2008 sulla rappresentanza e la democrazia sindacale, frutto di una mediazione tra diverse concezioni, quella della Cgil (favorevole al referendum tra tutti i lavoratori) e quella della Cisl (consultazione tra gli iscritti). Per la misurazione della rappresentatività il documento unitario prende come modello il sistema del pubblico impiego con qualche correzione: si prevede sia certificata dal Cnel in base agli iscritti, ai voti nelle Rsu e nei comitati di sorveglianza degli enti previdenziali. Sulla democrazia, il modello è quello usato per la validazione del Protocollo del welfare del governo Prodi, con la consultazione certificata tra tutti i lavoratori e pensionati prima dell'approvazione da parte degli organismi direttivi. Le forti divisioni tra Cgil, Cisl e Uil hanno ostacolato l'attuazione di questo documento. Questi principi hanno ispirato la proposta presentata al Senato dal Pd Paolo Nerozzi (e alla Camera da Cesare Damiano) che ripropone sostanzialmente il testo unificato elaborato nella XIII legislatura dal comitato ristretto di cui è stato relatore l'onorevole Pietro Gasperoni. "È il massimo punto di convergenza tra le differenti correnti politiche e la migliore sintesi delle istanze avanzate dai sindacati", sottolinea Nerozzi. Prevede che a regime saranno considerati rappresentativi, ai vari livelli di contrattazione, i sindacati che nel corrispondente ambito rappresentino almeno il 5% dei lavoratori del comparto o dell'area contrattuale, considerando la media tra il dato associativo e il dato elettorale. Ma un'iniziativa è arrivata anche dal governo. Il 27 febbraio 2009 il Consiglio dei ministri ha approvato il ddl delega di riforma degli scioperi nel settore dei trasporti, su proposta del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Prevede che potranno proclamare uno sciopero nei trasporti sindacati con almeno il 50% della rappresentanza. In alternativa, le sigle con almeno il 20% possono ricorrere al referendum preventivo, che deve registrare un consenso di almeno il 30% dei lavoratori. Per chi trasgredisce scattano sanzioni amministrative. Ma anche queste regole restano per ora solo sulla carta. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Fiom vara lo sciopero ma la minoranza chiede una svolta Giorgio PogliottiCronologia articolo09 settembre 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2010 alle ore 08:04. * * * *
ROMA Un pacchetto di quattro ore di sciopero articolato a livello territoriale da tenersi entro il 16 ottobre, giorno in cui si svolgerà la manifestazione nazionale a Roma. È la contromossa decisa dalla Fiom all'indomani dell'annuncio di Federmeccanica del recesso dal contratto del 2008, contenuta nel documento approvato ieri a maggioranza dal comitato centrale. Tra le 119 "tute blu" della Cgil la linea del leader della Fiom Maurizio Landini ha ottenuto 92 sì(77,3%), mentre 22 voti sono andati al documento della minoranza riformista di Fausto Durante (21,8%), ed un sindacalista si è astenuto. Landini ha confermato che per la Fiom "rimane valido in ogni impresa il contratto firmato nel 2008 e votato da tutti i lavoratori" e, "dove necessario, il sindacato darà corso alle più opportune azioni giuridiche". Prima della naturale scadenza del contratto del 2008, ovvero entro gennaio del 2011, La Fiom terrà un'assemblea nazionale per presentare la piattaforma per il rinnovo del contratto, non riconoscendo valido il contratto nazionale siglato nel 2009 da Federmeccanica con tutte le altre organizzazioni sindacali. "È una pretesa assurda cancellare il contratto senza sentire il parere delle parti – ha sostenuto Landini –. Accettare il diktat della Fiat e far diventare Pomigliano la regola dei diritti nel nostro Paese è un grave errore perché si afferma l'idea che per lavorare bisogna cancellare i diritti". Secondo Landini le imprese "dovrebbero riflettere sul fatto che far accordi con sindacati minoritari non gli servirà a molto", perché "rischiano di non avere il consenso nelle loro fabbriche". Di qui la proposta lanciata a Fim e Uilm di sospendere qualsiasi confronto con Federmeccanica per avviare una consultazione dei lavoratori metalmeccanici che verifichi con un voto referendario l'esistenza di un mandato ad avviare una trattativa sulla sanzionabilità e derogabilità del contratto. Mentre il leader della minoranza, Fausto Durante, componente del comitato centrale (uscito di recente dalla segreteria della Fiom in polemica con la scelta della Fiom di costituirsi come minoranza nella Cgil) ha auspicato un nuovo clima con Federmeccanica e sindacati: "No al muro contro muro – ha detto –. Deve prevalere il buonsenso e la responsabilità, bisogna aprire una stagione nuova delle relazioni sindacali nel settore metalmeccanico che è l'unico dove sta accadendo tutto questo per responsabilità di tutti". Sullo sciopero, Durante ha detto di "non essere contrario, ma di non essere del tutto convinto dall'impostazione", perché "oltre all'analisi di quanto sta avvenendo, che è condivisibile, penso manchi una proposta più convincente su come reagire ed evitare una deriva del settore metalmeccanico". La sua proposta è: "il contratto va rilanciato, azzerando la situazione". A fianco della Fiom si è schierata anche la segreteria della Cgil che giudica la disdetta del contratto nazionale del 2008 decisa da Federmeccanica "una scelta sbagliata che accentua la divisione e, allo stesso tempo, determina la balcanizzazione delle relazioni industriali del settore". Con l'operazione decisa da Federmeccanica inoltre "si svuota di sostanza il contratto nazionale". Sul referendum proposto dalla Fiom appare scontato il no di Fim e Uilm, che avevano già disdettato il contratto del 2008 un anno fa. La Uilm proprio ieri ha riunito la segreteria nazionale, ribadendo come con l'accordo siglato il 15 ottobre 2009 "sono confermate e migliorate le normative contrattuali e i trattamenti economici" e "questa intesa ha già superato, per fortuna, il contratto del 2008". Anche per il numero uno dell'Ugl, Giovanni Centrella, "non è giusto semplificare la disdetta da parte di Federmeccanica del contratto 2008 come se fosse la fine del contratto nazionale o come se i lavoratori fossero rimasti senza un sistema di garanzie", perché "quel contratto è stato rinnovato nel 2009 sulla base delle nuove regole della contrattazione, non riconosciute da un solo sindacato". © RIPRODUZIONE RISERVATA Disdetta per il contratto 2008 I PUNTI Federmeccanica ha annunciato il recesso dal contratto nazionale firmato da tutti i sindacati nel 2008 che scatterà alla scadenza naturale, ovvero dal 1° gennaio 2012. Sulla base delle nuove regole della contrattazione nel 2009 è stato sottoscritto un altro contratto (da tutte le sigle eccetto la Fiom) valido per il triennio 2010-2012, sulla base del quale sono stati pagati gli aumenti dalle imprese. Un tavolo per l'auto Nuovo modello con deroghe Straordinari, via il tetto Il 15 settembre Federmeccanica ha convocato al tavolo i sindacati firmatari del contratto dei metalmeccanici del 2009 per individuare le deroghe valide per il settore auto. Non parteciperà la Fiom, perché non ha siglato il contratto. Sarà data una copertura normativa alle deroghe dell'accordo di Pomigliano d'Arco. Al tavolo verranno definiti i criteri generali in base ai quali sul territorio si potranno applicare le deroghe, che in futuro potranno essere estese a tutto il settore. Le deroghe sono previste dall'accordo interconfederale del 15 aprile 2009 per "situazioni di crisi aziendali o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale di un'area". Le deroghe dovrebbero riguardare l'organizzazione del lavoro con l'estensione del tetto agli straordinari obbligatori (a Pomigliano sono previste 80 ore aggiuntive rispetto alle 40 del contratto nazionale), le procedure di conciliazione e prevenzione del conflitto, ma è possibile anche si introduca anche un salario di ingresso per i giovani.
Sulla produttività il governo studia maggiori sgravi Davide ColomboCronologia articolo09 settembre 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2010 alle ore 08:04. * * * *
ROMA Il punto di partenza è la detassazione al 10% della componente di salario legata alla produttività. L'aliquota secca che – come annunciò Maurizio Sacconi dopo l'ultimo Consiglio dei ministri di luglio – potrà essere estesa anche agli accordi che determineranno una nuova organizzazione del lavoro studiata per migliorare i risultati aziendali. Mercoledì prossimo, quando Federmeccanica aprirà il confronto con i sindacati per definire le deroghe al contratto nazionale per recepire i contenuti dell'intesa di Pomigliano d'Arco, probabilmente non si saprà molto di più. Ma è certo che il governo è impegnato a verificare, conti alla mano, la possibilità di un ritocco migliorativo di quell'aliquota. Ieri Sacconi lo ha ribadito ai microfoni di Radio 24: "Noi abbiamo introdotto una tassazione leggera sul salario che è espressione di questi accordi". E a Pomigliano – è stato l'esempio ribadito dal ministro – i tremila euro lordi in più che dovrebbero guadagnare i lavoratori grazie alle nuove turnazioni, il lavoro notturno e gli straordinari aggiuntivi previsti per la produzione della nuova Panda "dovrebbero essere tutti o quasi tassati al 10% e vedremo se in futuro anche di meno". Le verifiche sulle coperture che dovrebbero garantire un ulteriore alleggerimento della cedolare si apriranno, con ogni probabilità, dopo l'invio alle camere del Documento di finanza pubblica, in vista della preparazione della nuova legge di stabilità (la ex finanziaria) tabellare. Di certo si sa invece che nel 2011 la detassazione del salario di produttività sarà assicurata anche ai redditi fino a 40mila euro annui (quest'anno il tetto era a 35mila euro mentre per il 2009 era di 30mila) in modo tale da garantire l'agevolazione all'intera platea degli operai e degli impiegati. La cedolare secca sul salario di produttività era stata introdotta nel primo consiglio dei ministri della legislatura, che si riunì emblematicamente a Napoli, per poi essere confermata e applicata, nel 2009, anche al reddito variabile connesso agli indicatori positivi dell'impresa. La misura è stata finanziata con 500 milioni l'anno e ha interessato, secondo dati del ministero, oltre un milione di lavoratori con i redditi più bassi. Insomma uno strumento che ha funzionato anche nei momenti più cupi della recessione e che è stato confermato nel Piano triennale per il lavoro che Sacconi ha presentato a fine luglio e sul quale, nelle prossime settimane, si aprirà la discussione con le parti sociali. Il ministro, commentando la rescissione del contratto dei metalmeccanici del 2008 da parte di Federmeccanica, ha parlato di "atto formalistico" che nulla cambia per il lavoratori, visto che il contratto attualmente applicato è quello del 2009 "firmato da tutte le organizzazioni sindacali tranne la Cgil". Anzi, siccome la cornice normativa del 2008 è stata superata dal nuovo modello contrattuale fissato dall'accordo interconfederale del 15 aprile 2009, ora la posta in gioco sta tutta nella possibilità di "derogare ai contenuti normativi nazionali per favorire al massimo l'adattabilità reciproca tra le parti nei territori". E del resto è questa, secondo il ministro, la strada da battere per recuperare in competitività. Perché, come ha ricordato nei giorni scorsi il governatore della Bundesbank, Axel Weber, uno dei punti di forza della Germania è stato proprio il cambiamento delle relazioni industriali "proprio nella misura in cui – ha detto Sacconi – è stato spostato il baricentro dal contratto nazionale agli accordi di tipo aziendale e territoriale". Al contratto, ha aggiunto Sacconi, bisognerà togliere "ogni significato ideologico, per individuare pragmaticamente il punto di incontro tra le esigenze dei lavoratori, di una buona qualità del lavoro e una buona remunerazione, e quelle delle aziende di una maggiore produttività e redditività del lavoro". Un quadro evolutivo delle relazioni sindacali cui il governo guarda con fiducia e che andrà a incorniciarsi – se la crisi politica non imporrà uno stop alla legislatura – in quei diritti inderogabili che verranno aggiornati dal disegno di legge delega sullo "Statuto dei lavori"; un testo che rappresenta l'altro impegno politico assunto dal ministro e che presto dovrebbe arrivare in Parlamento. © RIPRODUZIONE RISERVATA
2010-09-08 Bonanni contestato alla festa del Pd a Torino con fumogeni e biglietti da 50 euro (facsimile) di Claudio TucciCronologia articolo8 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2010 alle ore 18:25. Dopo le contestazioni al presidente del Senato Renato Schifani oggi è stata la volta del segretario della Cisl Raffaele Bonanni a essere preso di mira alla festa del Pd in piazza Castello a Torino. Un coro di "vergogna vergogna", alcuni fumogeni (uno dei quali ha sfiorato il bersaglio) e una pioggia di facsimile di banconote da 50 euro sul palco hanno accolto l'arrivo del segretario generale della Cisl, che avrebbe dovuto partecipare a un dibattito con Enrico Letta. Ad aspettare al varco Bonanni c'erano una cinquantina di contestatori, alcuni dei quali del Collettivo comunista piemontese, che fa capo al centro sociale cittadino Askatasuna. "Voi - ha detto Letta ai contestatori - non avete niente a che fare con la democrazia. Siete il contrario di cui ha bisogno il paese. Siete antidemocratici". Letta ha anche parlato di "assolute falle nel sistema della sicurezza da parte delle forze dell'ordine". Poi ha aggiunto che "non essere in grado di gestire la situazione significa che qualcosa è sfuggita di mano: la situazione poteva trasformarsi in un dramma. Oggi ritengo che siano stati compiuti reati gravi e spero che si analizzi fino in fondo per capire cosa è successo". Il leader della Cisl ha poi commentato: "Sto bene ma sono turbato per una contestazione così violenta. Spero che ora tutti riflettano e abbassino i toni". Tutto questo mentre il comitato centrale della Fiom, riunitosi oggi a Roma, all'indomani della disdetta da parte di Federmeccanica del contratto nazionale dei metalmeccanici del 2008, ha proclamato un pacchetto di quattro ore di sciopero articolato a livello territoriale da tenersi entro il 16 ottobre. "Chiediamo ufficialmente a Film e Uilm che sospendano qualsiasi negoziato con Federmeccanica e che si rendano disponibili ad una consultazione di massa", ha dichiarato il numero uno della Fiom, Maurizio Landini. "Ci aspettiamo che loro accettino", ha aggiunto, "visto che a Pomigliano hanno accettato un referendum quando lo chiedeva la Fiat". Tornando invece a Bonanni, il sindacalista è stato contestato appena è apparso sul palco con una salve di fischi e non ha potuto cominciare il suo intervento. Il momento di maggior tensione si è verificato quando sul palco sono stati lanciati anche alcuni fumogeni: alcuni esponenti sindacali che erano con il leader della Cisl lo hanno protetto e accompagnato lontano dal palco. I facsimile da 50 euro recavano la scritta "Il denaro è un buon servo e un cattivo padrone". Immediate le reazioni di solidarietà a Bonanni. Per il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi l'aggressione al leader della Cisl è "un atto gravissimo non solo in sé, ma anche perché può rappresentare il ritorno di una stagione di violenza politica nel Paese che ha conosciuto ben quarant'anni di ricorrente terrorismo ideologizzato". "Vergogna", ha commentato l'ex ministro dell'Istruzione, ora parlamentare Pd Giuseppe Fioroni: "È ora di dire basta, tolleranza zero con chi non rispetta la dignità delle persone e i diritti di tutti a esprimere le proprie opinioni". Confindustria ha condannato con fermezza l'aggressione e ha rilevato con preoccupazione "il ripetersi di fenomeni di intolleranza nei confronti di esponenti del mondo delle istituzioni, della politica e del sindacato, soprattutto di quelli più impegnati nel dialogo e nel processo di riforma della società. Questi comportamenti sono estranei alla cultura dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali". La replica a Letta del questore di Torino. "Letta è stato un pò troppo precipitoso nel suo giudizio. Quando c'è stato da intervenire, siamo intervenuti". Così il questore di Torino, Aldo Faraoni, replica all'accusa mossa da Enrico Letta secondo il quale ci sarebbero state falle nel sistema di sicurezza delle forze dell'ordine. Sull'episodio della violenta contestazione al leader della Cisl Bonanni, il questore nei prossimi minuti farà una relazione al prefetto, Alberto di Pace. "All'interno della festa del Pd - ha aggiunto Faraoni - c'è un servizio d'ordine curato dagli organizzatori che, è bene precisare, hanno sempre voluto consentire l'accesso libero a tutti anche nelle aree dei dibattiti. Così facendo c'è il rischio, come è avvenuto oggi, e già sabato scorso quando era ospite della festa il presidente del Senato, che entrino personaggi che possano creare disturbo. Chi fossero - ha concluso il questore - i giovani che con le scritte sulle maglie contro l'accordo di Pomigliano, agli organizzatori della festa glielo avevamo detto". ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Marcegaglia con Federmeccanica: la disdetta un atto di chiarezza. La Fiom annuncia sciopero di 4 ore Cronologia articolo8 settembre 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2010 alle ore 15:59. * * * * Lo scontro sul contratto dei metalmeccanici aumenta di intensità. Per la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia la disdetta del contratto annunciata ieri da Federmeccanica "è semplicemente un atto di chiarezza", dato che "un contratto vigente c'è", cioè quello in vigore dal primo gennaio 2010 e firmato nel 2009 da tutte le sigle sindacali a eccezione della Fiom. Per il ministro Sacconi la decisione è solo "un atto formalistico" che "non cambia nulla" per i lavoratori, ma la Fiom, nuovamente invitata dalla presidente di Confindustria a firmare l'accordo, resta sulle sue posizioni e passa all'attacco annunciando uno sciopero di quattro ore che si svolgerà entro il 16 ottobre, quando si terrà una manifestazione nazionale. La mossa di Federmeccanica "è illegittima e per questo siamo anche pronti al tribunale", ha annunciato il segretario generale dell'organizzazione sindacale, Maurizio Landini, che accusa Federmeccanica e Confindustria di aver ceduto "al ricatto della Fiat che aveva minacciato di uscire dal sistema confindustriale". Il sindacato delle tute blu della Cgil chiederà invece alla Fim e alla Uilm di "fermarsi" e di avviare una consultazione tra i lavoratori per avviare nuove trattative. Proprio la Uilm ha però definito "incomprensibile" il clamore di questi giorni: il contratto nazionale dei metalmeccanici esiste, ed è quello rinnovato il 15 ottobre dello scorso anno, ha ribadito la segreteria nazionale che si è riunita a Roma. "Proprio con l'accordo sono confermate e migliorate le normative contrattuali e questa intesa ha già superato, per fortuna, il contratto del 2008, confermandone e migliorandone le normative e i trattamenti economici: non si comprende quindi il clamore di questi giorni". Secondo la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, in questo momento "ci troviamo in una situazione complessa dal punto di vista delle relazioni sindacali: abbiamo una parte del sindacato che vuole insieme a noi cambiare le relazioni sindacali e rendere più competitive le imprese per poi poter pagare più salari. Ma c'é una parte, la Fiom, che non vuole accettare questa logica. Auspichiamo e speriamo che la Fiom ci possa ripensare e sedere ad un tavolo con noi, ma abbiamo poche speranze". Per Marcegaglia la Germania resta il "benchmark", ossia il modello da seguire in questa fase economica: "il governo tedesco in questa crisi economica ha adottato una politica di rigore, ma ha ugualmente aumentato gli stanziamenti sulla ricerca, l'innovazione, laAll'esecutivo, invece, Marcegaglia chiede formalmente che entro pochi giorni "si faccia un consiglio dei ministri che nomini il ministro dello Sviluppo economico". Sull'ipotesi voto è netto il parere della presidente di Confindustria. "Abbiamo già detto che secondo noi non si deve andare a votare: è necessario superare le beghe interne e agire per il bene del paese". (M. Do.) ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Federmeccanica recede dal contratto del 2008 Cronologia articolo08 settembre 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2010 alle ore 08:07. * * * * Federmeccanica ha deciso all'unanimità di recedere dal contratto 20 gennaio 2008, firmato anche dalla Fiom. Dal primo gennaio 2012 quel contratto perderà dunque i suoi effetti. Con questa mossa la federazione dell'industria metalmeccanica si mette al riparo da eventuali ricorsi nei confronti dei contenuti dell'accordo Fiat di Pomigliano (firmato da Fim, Uilm, Fismic e Ugl). Il recesso è propedeutico al negoziato che partirà il prossimo 15 settembre: Federmeccanica, Fim, Uilm, Fismic e Ugl discuteranno sulle deroghe al contratto nazionale e su norme specifiche per l'auto. Per Fiom la decisione di Federmeccanica è "uno strappo alle regole democratiche". Secondo le altre sigle sindacali è una scelta scontata visto che il contratto del 2009 (non firmato dalla Fiom) "supera e migliora quello del 2008". "I lavoratori restano protetti" sottolinea il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi.
Fiom: strappo alle regole democratiche Giorgio PogliottiCronologia articolo08 settembre 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2010 alle ore 08:07. * * * *
ROMA Sul recesso dal contratto del 2008 annunciato da Federmeccanica piovono le critiche della Fiom-Cgil, mentre Fim-Cisl, Uilm, Fismic e Uglm considerano "scontata" la decisione. Per il leader delle tute blu della Cgil, Maurizio Landini, la decisione presa dal consiglio direttivo delle aziende metalmeccaniche è un "grave strappo alle regole democratiche del nostro paese". Landini accusa Federmeccanica di "voler abolire il contratto nazionale contro il parere dei lavoratori e con il coinvolgimento di sindacati minoritari", sottolinea come sia stato confermato dal direttivo che "fino alla scadenza del 2011 resta in vigore il contratto del 2008 che non prevede deroghe", dopodiché "valuteremo nel rapporto con i lavoratori se e quando presentare una piattaforma per il rinnovo". Oggi si riunirà il comitato centrale della Fiom per decidere quali azioni intraprendere, ma Giorgio Cremaschi, leader della Rete 28, aprile non usa mezzi termini definendo quella di Federmeccanica "una scelta eversiva senza precedenti a cui si dovrà rispondere sia sul piano legale, sia sul piano del più diffuso conflitto sociale". Di tutt'altro avviso Fim e Uilm che il contratto unitario del 2008 lo avevano disdettato circa un anno fa, prima di firmare il contratto nazionale del 15 ottobre 2009 (non firmato dalla Fiom) che ha recepito i principi della riforma del modello contrattuale (non firmata dalla Cgil). La Fim considera il recesso dal contratto del 2008 "un fatto scontato e puramente formale", in quanto "è stato superato e migliorato dal contratto del 2009". Replicando alle affermazioni della Fiom che ricorda di essere il sindacato con più iscritti tra i metalmeccanici, il segretario generale della Fim, Giuseppe Farina, afferma che "le sigle che hanno sottoscritto il contratto del 2009 rappresentano la maggioranza dei lavoratori iscritti al sindacato". Anche per il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, la decisione di Federmeccanica "non cambia assolutamente nulla, davamo per scontato l'esistenza di un solo contratto", l'anomalia era "che ce ne fossero due". L'attenzione si sposta al 15 settembre, quando si riunirà la Commissione per avviare il confronto sulle deroghe al contratto nazionale dei metalmeccanici in modo da recepire il contenuto dell'intesa di Pomigliano D'Arco (firmata da tutti i sindacati eccetto la Fiom) e rispondere ad una precisa richiesta dell'ad della Fiat, Sergio Marchionne. Al tavolo verranno anche fissate norme specifiche per il settore auto per mettere al riparo da possibili ricorsi della Fiom le deroghe sugli straordinari obbligatori, le misure sul raffreddamento dei conflitti e sul trattamento di malattia in caso di assenze anomale previste dall'accordo per Pomigliano. Deroghe, peraltro, previste dall'accordo interconfederale del 15 aprile 2009 applicativo del nuovo modello contrattuale. La Fiom non è stata invitata da Federmeccanica al tavolo, mentre parteciperanno le altre sigle che hanno sottoscritto il contratto del 2009. La revoca è un "passaggio obbligato" per il numero uno della Fismic, Roberto Di Maulo, che aggiunge: "sta a noi aprire il negoziato per attuare le deroghe al contratto nazionale e possibilmente arrivare al contratto dell'auto. Speriamo di concludere il tutto rapidamente". Per il segretario nazionale dell'Ugl Metalmeccanici, Antonio D'Anolfo, "il nostro unico obiettivo è individuare, nell'ambito delle deroghe previste nel contratto 2009, le soluzioni più idonee alla salvaguardia dei posti di lavoro". © RIPRODUZIONE RISERVATA
2010-09-07 Federmeccanica rescinde il contratto nazionale, Ceccardi: "Nessuna spinta da Fiat" Cronologia articolo7 settembre 2010Commenti (1) Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2010 alle ore 16:36. Il direttivo di Federmeccanica ha dato mandato al presidente Pierluigi Ceccardi di comunicare fin d'ora il recesso dal contratto nazionale siglato il 20 gennaio 2008. La disdetta dell'accordo come ha spiegato lo stesso Ceccardi, è avvenuta "a fronte delle minacciate azioni giudiziarie della Fiom Cgil relative all'applicazione di tale accordo" ed è comunicata "in via meramente tecnica e cautelativa allo scopo di garantire la migliore tutela delle aziende". La disdetta dal contratto è dal gennaio 2012. Il consiglio direttivo di Federmeccanica ha innanzitutto confermato la legittimità e validità dell'accordo del 15 ottobre 2009, (che non é stato firmato dalla Fiom) e sulla base di questo contratto ha dato incarico ad un'apposita commissione di attivare un tavolo di confronto con le organizzazioni sindacali per definire delle norme specifiche per il settore dell'auto. Il presidente Ceccardi ha spiegato che il consiglio ha preso in esame anche le evoluzioni dei rapporti sindacali nel settore e soprattutto la vicenda dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco: dal dibattito che é emerso in consiglio Federmeccanica ha deciso che è necessario proseguire l'adeguamento delle relazioni sindacali, industriali e contrattuali alla domanda di maggiore affidabilità e flessibilità che vengono richieste dalle aziende. Questo per consentire loro una migliore tenuta rispetto alla competizione globale in atto. "Fiat non ha spinto per niente - ha detto il presidente Ceccardi - l'accelerazione che abbiamo imposto oggi è per tutelare le esigenze delle aziende metalmeccaniche e di un milione di lavoratori che dipendono da esse". Nei mesi scorsi il Lingotto aveva ipotizzato l'uscita da Confindustria per poter aggirare il contratto nazionale. Con la rescissione del contratto di fatto si scongiura questa ipotesi. Per il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, si tratta di "una decisione grave e irresponsabile". "È uno strappo - osserva - alle regole democratiche del nostro Paese, in quanto si pensa di concordare con sindacati minoritari la cancellazione del contratto nazionale impedendo ai lavoratori metalmeccanici di poter decidere sul loro contratto". Domani nella riunione del comitato centrale della Fiom "prenderemo tutte le decisioni più opportune", aggiunge Landini.
Marchionne: "Fiducia in Federmeccanica per delineare nuovo futuro per l'industria" Cronologia articolo6 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2010 alle ore 17:03. "Mi aspetto di portare avanti il discorso che abbiamo cominciato da diversi mesi. Massima fiducia nella capacità di Ferdermeccanica nell'incominciare a delineare un futuro diverso per l'industria". Lo ha detto l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, a proposito del vertice di domani di Federmeccanica. "Vediamo un pò se si va avanti, lasciamo i dettagli a loro. Lasciamoli lavorare e aspettiamo domani", ha aggiunto il manager del Lingotto lasciando l'Unione Industriale di Torino dove ha partecipato al consiglio direttivo. Rispetto al tema "caldo" di Melfi, l'ad di Fiat ha detto: "A Melfi continuiamo a produrre Punto, cerchiamo di non focalizzarci su questo problema legale del giudizio. Stiamo producendo vetture e meno male che lo stiamo facendo".
"Una terapia-Pomigliano per favorire il rilancio" Giorgio PogliottiCronologia articolo07 settembre 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2010 alle ore 08:07. ROMA Serve una terapia-Pomigliano per rilanciare produttività e salari attraverso un nuovo patto sociale. È la proposta del leader della Cisl, Raffaele Bonanni, che nel dirsi d'accordo con la richiesta del presidente di Confindustria di convocare un tavolo sulla crescita, chiama le imprese a un'azione comune sul fisco. "Ha ragione la presidente Marcegaglia nel denunciare la perdita di competitività del nostro paese – sottolinea Bonanni –. Rispetto a nazioni come la Germania paghiamo per le disfunzioni di sistema, il costo maggiore dell'energia che genera tariffe più costose, le carenze infrastrutturali, l'inefficienza della pubblica amministrazione, la mafia e le troppe tasse su lavoro e imprese". Segretario, cosa è disposto a mettere sul tavolo per la crescita? Di fronte a investimenti con ricadute occupazionali serve una terapia sul modello di Pomigliano d'Arco. Bisogna consentire alle imprese di sfruttare al massimo gli impianti con una maggiore flessibilità nell'organizzazione del lavoro, in cambio di ricadute positive sui salari e della salvaguardia dei posti di lavoro. A Pomigliano la maggiore produttività porterà agli operai 4mila euro lordi in più annui per effetto dei notturni, e altri 6-700 euro al mese se si lavorerà su 18 turni. Al governo cosa chiedete? Il governo deve estendere la detassazione del premio di risultato, sul modello di quanto annunciato dal ministro Sacconi per Pomigliano. Su questi punti sono pronto a firmare un avviso comune con le imprese, per indicare le soluzioni possibili alla classe politica che purtroppo si occupa d'altro. Si riferisce alle possibili elezioni anticipate? Esattamente. Avrebbero un costo pesantissimo per il paese, con un imbarbarimento della vita politica. Ma dal governo attendiamo risposte anche sul tema fiscale. Ma il ministro Tremonti ha escluso interventi nell'immediato. Il cantiere sul fisco deve partire subito. È una priorità. Con la Uil abbiamo organizzato una manifestazione unitaria il 9 ottobre a Roma, chiediamo il sostegno delle imprese come accadde lo scorso autunno al cinema Capranica. C'è una convergenza di interessi. Bisogna abbassare le aliquote ai lavoratori dipendenti e ai pensionati, ridurre le tasse alle imprese che investono, spostando il peso della tassazione dalle persone fisiche ai beni di consumo, con una lotta senza quartiere all'evasione fiscale. © RIPRODUZIONE RISERVATA
2010-08-29 Bagnasco: "Sulla vertenza della Fiat di Melfi si ascoltino le parole di Napolitano" Cronologia articolo29 agosto 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 29 agosto 2010 alle ore 14:26. "Un criterio d'azione valido per tutti". Così il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, definisce le parole pronunciate dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sulla vicenda degli operai della Fiat Sata di Melfi. I tre lavoratori, licenziati dall'azienda, erano stati reintegrati su ordine dei giudici, ma il Lingotto - pur facendoli rientrare in fabbrica e garantendo piena retribuzione - non li aveva fatti tornare al proprio posto di lavoro. Da qui l'appello dei tre operai al capo dello Stato e la risposta di Napolitano, che aveva invitato tutti, compresa la Fiat, a "rimettersi all'autorità giudiziaria". Ora, intervistato dal Tg2 a margine delle celebrazioni per il 520mo anniversario dell'apparizione della Madonna della Guardia, il leader dei vescovi italiani sposa in pieno le parole del presidente della Repubblica: "Il lavoro è fondamentale per costruirsi una famiglia - ha detto Bagnasco - Ripeto: speriamo che attraverso un dialogo insistente e intelligente si possa arrivare a una soluzione definitiva ed equa per tutti". Un invito al dialogo che suona identico (o quasi) a quello lanciato da Napolitano per chiedere "un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell'attività della maggiore azienda manifatturiera italiana e dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale". Bagnasco ha anche invocato una classe dirigente "cristiana nei fatti, non nelle parole" e ha ammonito che "trascurare la famiglia, ad esempio nelle sue esigenze economiche, significa sgretolare la società stessa". Dal cardinale è arrivata, inoltre, una dura critica alle politiche sulla maternità e all'atteggiamento "stolto" di chi non si preoccupa del calo della natalità in Italia. "Che il nostro paese non goda di buona salute sul piano della natalità è sotto agli occhi del mondo. Che non se ne occupino gli altri è normale, ma che non se ne occupino gli italiani stessi è sinonimo di un atteggiamento stolto". Il tema del lavoro si intreccia, così, con le politiche familiari: "Il mondo potrà continuare a guardare con fiducia al futuro finché un uomo e una donna uniranno le loro vite per sempre nel vincolo del matrimonio". Ecco perché, ha concluso il capo dei vescovi, "mettere in atto delle politiche adeguate ai reali bisogni della famiglia perchè possa avere dei figli, significa guardare lontano, assicurare un corpo sociale equilibrato". Le parole di Napolitano hanno suscitato l'immediata reazione dell'Italia dei valori, con Antonio Di Pietro e il responsabile welfare del partito, Maurizio Zipponi, "Anche il presidente della Cei chiede di "rispettare la dignità dei lavoratori", hanno rilevato i due esponenti dell'Idv, criticando la posizione del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
2010-08-25 La Fiom di nuovo davanti ai giudici: "Vogliamo sapere come Fiat deve attuare la sentenza di reintegro" di Claudio TucciCronologia articolo25 agosto 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2010 alle ore 13:44. I legali della Fiom-Cgil hanno depositato poco fa al tribunale di Melfi un'istanza per chiedere al giudice del lavoro di chiarire le modalità attuative del reintegro disposto con la sentenza del 9 agosto scorso per i tre lavoratori della Fiat-Sata, Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli. Lo ha reso noto l'avvocato della Fiom-Cgil, Lina Grosso, che ha detto ora "di attendere una risposta da parte della magistratura". Contestualmente, gli stessi legali Fiom hanno presentato in procura una memoria integrativa (in fatto e diritto) rispetto alla denuncia presentata l'altra sera nei confronti del Lingotto per violazione dell'articolo 650 Codice penale, relativo all'inottemperanza a provvedimenti dell'autorità. In mattinata, è arrivata anche la notizia che i lavoratori dello stabilimento di Melfi della Fiat - dove si produce la "Punto Evo" - saranno collocati in cassa integrazione dal 22 settembre all'1 ottobre prossimo. La cassa integrazione, a quanto si apprende da fonti aziendali, è stata decisa a causa della "discesa della richiesta di mercato". Intanto, i tre operai licenziati e reintegrati dal magistrato hanno deciso, anche oggi, di presentarsi davanti ai cancelli dello stabilimento di Melfi. "Non entreremo in fabbrica ma saremo qui ogni giorno, al turno delle ore 14", hanno detto, due di loro, Giovanni Barozzino e Antonio Lamorte, che si sono detti soddisfatti per la risposta ricevuta dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano alla loro lettera. Lamorte, parlando poi con i giornalisti, ha sottolineato anche "l'importanza delle dichiarazioni del ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, sulla necessità che le sentenze dei giudici siano rispettate, anche se non piacciono". La presa di posizione di ieri del Capo dello Stato è stata duramente criticata dal segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo, che ha parlato di "una grave ingerenza nel merito dell'operato dei magistrati". Un plauso invece alle parole del Colle è giunto dalla Cei, la Conferenza episcopale italiana, che per bocca del presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, monsignor Giancarlo Maria Bregantini ha bacchettato Fiat, sostenendo che il Lingotto "sta commettendo un grave errore etico, negando i diritti delle persone".
Il modello è la siderurgia Giorgio PogliottiCronologia articolo25 agosto 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2010 alle ore 08:08. ROMA Le norme "ad hoc" richieste dalla Fiat per il settore auto saranno individuate attraverso le deroghe al contratto nazionale dei metalmeccanici dalla commissione Federmeccanica-sindacati che è già al lavoro in vista della riunione ufficiale che si terrà tra il 10 e il 15 settembre. Del resto le deroghe al contratto nazionale sono previste dall'accordo interconfederale del 15 aprile 2009 applicativo del nuovo modello contrattuale (non firmato dalla Cgil) in "situazioni di crisi aziendali o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale di un'area". Per blindare l'accordo su Pomigliano d'Arco, rendendo esigibile il contenuto dell'intesa contestata dalla Fiom, nel contratto nazionale verrà introdotta una deroga sulle 80 ore di straordinario comandato aggiuntivo rispetto alle 40 ore già previste. Tra le deroghe contrattuali è probabile verrà inserito anche l'esonero per l'azienda dal pagamento dei primi 3 giorni di malattia in caso di picchi anomali di assenze. "L'obiettivo – spiega Giuseppe Farina (Fim-Cisl) – è quello di garantire deroghe al contratto nazionale in situazioni straordinarie a tutte le aziende impegnate in progetti di sviluppo, importanti investimenti con ricadute occupazionali, o nel salvataggio di siti industriali". Per Fim, Uilm e Federmeccanica il precedente è la siderurgia: sono previste norme specifiche, invece di un contratto separato, che assicurano la lavorazione a ciclo continuo. Con la firma di tutti i sindacati all'Ilva di Taranto – il sito siderurgico più grande d'Europa – sono state introdotte alcune regole che secondo il segretario della Uilm, Rocco Palombella, "possono rappresentare un riferimento anche per il settore auto", sui capitoli spinosi degli scioperi, delle assenze e dei turni. "In occasione di uno sciopero indetto in violazione delle regole – spiega – il lavoratore che aderisce perde il salario accessorio e al sindacato vengono tagliate le ore di permessi aggiuntivi. Il danno è consistente considerando il premio di produttività equivale a circa il 20% del salario, ed è calcolato in base a risultati operativi di ciascun reparto e alle presenze. Sono previste eccezioni per gli scioperi in caso di infortuni gravi o rischi per la sicurezza". Palombella sottolinea che le proteste nella siderurgia non fermano la produzione, essendo prevista la continuità di marcia per gli impianti, inoltre, per assicurare la produzione 24 ore per 7 giorni alla settimana esistono diversi regimi di turni, si lavora su 18 turni come previsto per Pomigliano, ma anche su 21. "Per effetto dell'indennità – continua Palombella – il turnista guadagna il 30% in più rispetto agli altri lavoratori". Contraria alle deroghe, la Fiom-Cgil non considera pertinente il riferimento alla siderurgia: "In quel caso sono previste norme aggiuntive al contratto nazionale, mentre per il settore auto la commissione vuole inserire deroghe".
2010-08-24 I tre operai di Melfi tornano davanti ai cancelli e chiedono a Napolitano: "La Fiat rispetti la legge" di Claudio TucciCronologia articolo24 agosto 2010Commenti (6) Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2010 alle ore 14:29. Sono tornati davanti ai cancelli della Fiat Sata di Melfi Giovanni Barozzino, Marco Pignatelli e Antonio Lamorte, i tre lavoratori licenziati dall'azienda e riassunti con un decreto del giudice del lavoro. Ieri, l'azienda aveva consentito il loro ingresso nella fabbrica, ma non il ritorno sulle linee di produzione. All'ingresso del secondo turno, che è scattato alle ore 14, i tre operai hanno voluto essere presenti per ribadire la loro posizione: "tornare a lavoro come ha disposto il magistrato". Barozzino, Pignatelli e Lamorte hanno anche preparato una lettera aperta al Presidente della Repubblica per chiedere giudizi veloci da parte della magistratura. "Ci rivolgiamo a Lei, Presidente, perchè richiami i protagonisti di questa vicenda al rispetto delle leggi", è scritto nella missiva. Intanto, continua a far discutere la decisione della Fiat di non consentire ai tre operai di Melfi reintegrati dal giudice di accedere alla produzione. L'appello perchè Fiat applichi la sentenza del giudice è corale: dai sindacati al governo, anche se con posizioni diverse. "Le sentenze vanno rispettate anche quando non fanno piacere - ha detto, da Rimini, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli - se il nostro Paese è uno Stato di diritto non lo può essere a fasi alterne. Qui c'è una sentenza e la sentenza deve essere rispettata". Giudizio condiviso dal sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia, che è convinto che l'azienda "da un lato debba applicare le sentenze della magistratura come necessario e dall'altro continuare a rimanere dalla parte della ragione". Secondo Saglia, "il problema è che con questa vicenda, così come a Pomigliano, si stanno riscrivendo le regole delle relazioni industriali a monte di una decisione che è stata condivisa da tutti, eccetto dalla Cgil". Ora Fiat, ha aggiunto, "non deve mettere in imbarazzo parte importante del sindacato che ha condiviso questo percorso". Sul piede di guerra la Cgil. "C'è una sentenza esecutiva della procura di Potenza - ha spiegato il vice segretario generale Susanna Camusso - e la Fiat deve rispettarla. Non c'e nessuno che possa esimersi dal rispettare una sentenza della magistratura con nessuna motivazione e quelle peraltro fonite in questa occasione dalla Fiat sono del tutto pretestuose". Per il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, la Fiat "sta facendo il gioco della Fiom e sta spostando l'attenzione su un problema assolutamente residuale" perchè "il fatto importante è l'investimento". ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Serve un confronto sul lavoro Giorgio PogliottiCronologia articolo24 agosto 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2010 alle ore 08:07. ROMA "La Fiat continua a cercare lo scontro con i lavoratori e con la Fiom, non ottemperando ad una sentenza della magistratura. Sarebbe invece necessario riaprire un confronto positivo sul lavoro, nel rispetto dei diritti garantiti dalla Costituzione". La vicesegretario generale della Cgil, Susanna Camusso, (che con ogni probabilità in autunno prenderà la guida del sindacato di Corso d'Italia) considera "ingiustificato" il comportamento della Fiat, "molto poco rispettoso dei tre lavoratori che prima di essere delegati o iscritti alla Fiom, stanno vivendo il dramma del rischio della perdita del posto di lavoro" e sono "utilizzati come oggetto di conflitto con la Fiom". Come risponde al ministro Sacconi (Lavoro) che ha chiesto al sindacato se ritiene giusto il principio che una minoranza possa bloccare una produzione anche per uno sciopero legittimamente proclamato? Trovo sgradevole che il ministro faccia una simile affermazione, la magistratura ha appurato che non si è trattato di alcun atto di sabotaggio. Ma il riferimento del ministro va aldilà del caso specifico di Melfi. Siccome l'affermazione del ministro ha un legame con il contesto la considero strumentale, nessuno di noi ha mai legittimato iniziative di sabotaggio. Si vuole sostenere che non c'è più quel diritto allo sciopero che è garantito dalla Costituzione, invece di puntare a costruire relazioni positive con il sindacato, applicando le sentenze. Non teme la marginalizzazione della Fiom dai negoziati con la Fiat, non avendo il sindacato firmato il nuovo contratto nazionale, nè l'accordo su Pomigliano? Troverei inconsueta l'esclusione della Fiom che è firmataria della parte normativa del contratto nazionale e non ha firmato l'accordo su Pomigliano poichè violava diritti inderogabili dei lavoratori. Ritengo sia sempre saggio che tutti gli attori siano chiamati ai tavoli negoziali, sarebbe un grave errore escludere il sindacato più rappresentativo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Ora priorità agli investimenti Cronologia articolo24 agosto 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2010 alle ore 08:07. ROMA "A Melfi la Fiat sta facendo un favore a chi vuole politicizzare ed estremizzare un confronto che dovrebbe concentrarsi sugli investimenti e sul futuro occupazionale, che interessano la stragrande maggioranza dei lavoratori". Il leader della Fim-Cisl, Giuseppe Farina, è categorico nel sottolineare le responsabilità di "Fiom e Fiat nell'esasperazione del clima". È convinto che "il Lingotto sta sbagliando, le sentenze vanno rispettate tutte, questo vale oggi per l'azienda e domani per la Fiom, nel caso venisse accolta la tesi della Fiat". Anche la Fim ha partecipato alla protesta unitaria che ha portato ai tre licenziamenti. Avete nulla da rimproverarvi? La sentenza dice che non c'è stato alcun sabotaggio, i blocchi delle produzioni sono risultati di azioni di sciopero. Certo, le azioni di boicottaggio e di microconflittualità fuori dalle regole che danneggiano l'azienda sono condannabili. Ma immaginare di abolire il conflitto in Fiat è impensabile, serve più realismo da parte di Marchionne. Il problema è come prevenire il conflitto? Come credete si possa prevenire? Non si risolvono i conflitti eliminando i soggetti sindacali, ma investendo in relazioni industriali più stabili e mature. La Fiat deve spiegare che tipo di relazioni industriali vuole costruire con il sindacato, rendendo esplicito che se gli impegni presi dai lavoratori produrranno risultati positivi, ci sarà un tornaconto economico. La strada da seguire è il modello partecipativo tedesco con un sindacato responsabilizzato nelle gestione e a livello locale nella prevenzione della microconflittualità. La Fiat deve scommettere sulla collaborazione e non sulla contrapposizione frontale che trasforma la Fiom in un'organizzazione martire. Quando riprenderà il tavolo con la Fiat? Nella prima decade di settembre è previsto un incontro per creare entro il contratto nazionale un capitolo specifico sul settore auto. © RIPRODUZIONE RISERVATA
2010-08-23 Per i tre operai Fiat di Melfi reintregro senza lavoro. Appello a Napolitano, Fiom minaccia denuncia Cronologia articolo23 agosto 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2010 alle ore 13:59. I tre operai licenziati dalla Fiat e reintegrati dal giudice del lavoro sono usciti intorno alle 15 dal cancello dello stabilimento di Melfi (Potenza) del gruppo torinese, che avevano varcato intorno alle ore 13.30. Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli erano fermi negli uffici delle guardie che sorvegliano gli ingressi. "Lancio un appello al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: non ci faccia vergognare di essere italiani", ha detto ai giornalisti Barozzino, che è delegato sindacale della Fiom-Cgil. La decisione di far uscire gli operai è stata presa dai legali della Fiom dopo che un avvocato e un ufficiale giudiziario sono entrati in fabbrica, dove hanno avuto conferma che la Fiat accetterebbe la loro presenza a patto che i tre occupino una saletta e svolgano solo attività sindacale, senza tornare al lavoro sulle linee di produzione. Al cambio turno i tre erano entrati nello stabilimento di Melfi. "Non abbiamo commesso alcun reato, non siamo quelli che loro dicono. Siamo qua per guadagnarci lo stipendio", avevano commentato, tra gli applausi dei colleghi, i tre lavoratori varcando i cancelli della fabbrica. La Fiom aveva proclamato un'ora di sciopero, dalle 14 alle 15, in attesa di conoscere se i tre operai reintegrati potessero raggiungere i reparti o meno. Barozzino, Lamorte e Pignatelli, subito bloccati dalla vigilanza interna, sono stati accompagnati nel gabbiotto della sorveglianza, insieme all'avvocato Lina Grosso e all'ufficiale giudiziario, Francesco D'Arcangelo, che deve notificare il provvedimento di reintegro del giudice del lavoro di Melfi, ai dirigenti della Fiom Emanuele De Nicola (segretario regionale) ed Enzo Masini (responsabile settore auto). L'avvocato Lina Grosso, legale della Fiom, adesso è intenzionata a presentare una denuncia penale alla Procura della Repubblica di Melfi (Potenza) contro la Fiat, per la mancata esecuzione della sentenza di reintegro. Lo ha detto la stessa Grosso dopo l'uscita dalla fabbrica dei tre operai. L'avvocato inoltre, ha detto che chiederà al giudice del lavoro che ha riammesso i tre operai di "stabilire con esattezza" le modalità del loro reintegro. "È inaccettabile la posizione della Fiat, che vuole relegare i tre operai in una saletta sindacale, mentre il giudice li ha reintegrati nel loro posto di lavoro. In questo modo - ha concluso Grosso - non si esegue la sentenza del giudice del lavoro". La Fiat, replicando, si è detta "fiduciosa" che il tribunale di Melfi nel giudizio di opposizione "saprà ristabilire la verità dei fatti" e ha ribadito la "ferma convinzione che siano pienamente legittimi i provvedimenti" adottati nei confronti dei tre lavoratori di Melfi licenziati l'8 luglio e poi reintegrati. In una nota, il Lingotto ha sottolineato di "poter ampiamente dimostrare nel corso dell'udienza fissata per il 6 ottobre prossimo che il comportamento tenuto dai tre scioperanti fu un volontario e prolungato illegittimo blocco della produzione e non esercizio del diritto di sciopero". L'azienda ha ribadito "ancora una volta che i comportamenti contestati ai tre scioperanti sono stati di estrema gravità, in quanto, determinando il blocco della produzione, hanno leso la libertà d'impresa, causato un danno economico e condizionato il diritto al lavoro della maggioranza degli altri dipendenti che non avevano aderito allo sciopero. Nella ferma convinzione che nella prima pronuncia non siano stati colti compiutamente gli aspetti disciplinarmente rilevanti della questione - aggiunge il comunicato - Sata ha comunque doverosamente eseguito il provvedimento di reintegro emesso dal tribunale di Melfi, con il ripristino del rapporto con i lavoratori interessati, sia per gli aspetti retributivi sia per l'agibilità completa dell'attività sindacale, dei relativi diritti e connesse prerogative". La decisione di "non avvalersi della sola prestazione di attività lavorativa dei tre interessati, che costituisce prassi consolidata nelle cause di lavoro e che ha l'obiettivo di evitare ulteriori occasioni di lite tra le parti in causa, trova, nel caso specifico - è la conclusione - ampia e giustificata motivazione nei comportamenti contestati che, in attesa del completarsi degli accertamenti processuali, si riflettono negativamente sul rapporto fiduciario fra azienda e lavoratori. Si tratta peraltro di comportamenti per i quali è in corso anche indagine penale da parte della Procura della repubblica presso il tribunale di Melfi". Ma secondo il leader della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, quanto accaduto nello stabilimento Fiat di Melfi rappresenta "una violazione delle più elementari regole democratiche". Landini ha confermato la decisione di portare il Lingotto in tribunale "perché sta commettendo un reato", in quanto "sta violando l'applicazione di leggi e sentenze nel nostro paese. Questa cosa - ha proseguito Landini - è grave che venga fatto dalla Fiat, la più grande impresa metalmeccanica del nostro Paese, che così facendo semplicemente imbarbarisce le relazioni sindacali". Sacconi: i lavoratori Fiat partecipino agli utili aziendali ©RIPRODUZIONE RISERVATA
2010-08-02 Vendite in calo per Italia e Francia, in ripresa il mercato giapponese Cronologia articolo2 agosto 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2010 alle ore 11:05. Il mercato dell'auto continua a sfornare numeri positivi in Giappone, mentre in Italia è previsto un vero e proprio crollo delle immatricolazioni. Secondo i dati mensili diffusi a Tokyo dall'associazione nazionale dei rivenditori (Jada), le vendite di auto, camion e bus - escluse le minicar fino a 660 cc - sono aumentate a luglio del 15% su base annuale, dodicesimo rialzo consecutivo. In particolare, le vendite di auto hanno registrato una crescita de 15,5% a 307.397 esemplari, contro il +9% dei camion (24.920) e il +20,9% dei bus (1.086), grazie agli incentivi ecologici decisi dal governo a sostegno del settore. Negativo invece il dato della Francia: nel mese di luglio le vendite sono calate del 12,9% su base annua. Il gruppo Fiat, in particolare, ha fatto registrare una riduzione dell'8% rispetto a luglio del 2009, risultato comunque migliore della media delle marche non francesi (-9,9%). Nei primi sette mesi dell'anno, le vendite di auto nuove in Francia sono aumentate, rispetto allo stesso periodo del 2009, del 2,8%. Il gruppo Fiat registra invece un calo, del 7% (5,8% per il marchio Fiat). In Italia, invece, le stime anticipate ieri da Federauto, l'associazione dei concessionari, parlano di un drammatico calo del 26% delle immatricolazioni nello scorso mese di luglio. I dati ufficiali saranno resi noti oggi. Per il presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi, si tratta di "un vero disastro per tutti. Questo dato si avvicina molto alla realtà perchè - dice - sembra che i principali costruttori abbiamo finalmente tolto il piede dalle kilometri zero. Questo perchè non si può continuare all'infinito ad autoimmatricolarsi vetture per dimostrare dati di quota non veritieri. E infatti il mercato a privati, quello non inquinabile da autoimmatricolazioni, vede una flessione attorno al -30%. E si continua così oramai da qualche mese nell'indifferenza del Governo".
2010-07-31 Qui Chrysler. Obama a Marchionne: "Sergio, ti ringrazio davvero per quello che hai fatto" dal nostro inviato Christian RoccaCronologia articolo31 luglio 2010Commenta Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2010 alle ore 16:26. DETROIT - Le ola delle tute blu, come allo stadio. La musica del Boss, Born in the Usa. Ma anche dei più docili, ed europei, Coldplay. L'accoglienza per il presidente americano Barack Obama nella fabbrica di Jefferson North, dove la Chrysler di Sergio Marchionne produce la Jeep Grand Cherokee, è da rock star. "È la prima macchina nuova che ho comprato in vita mia", ha svelato il presidente sapendo di stuzzicare l'orgoglio dei millecinquecento operai iscritti allo storico sindacato di categoria Uaw sistemati al centro del grande complesso. "Sergio, grazie davvero per il lavoro che hai fatto qui", ha detto Obama a Marchionne. Obama e Marchionne. Le due star della giornata. I dipendenti hanno fatto la fila per una foto con l'uno e con l'altro. In maniche di camicia il primo. Col pullover blu d'ordinanza il secondo. Un anno fa Chrysler era in bancarotta. Ora i due annunciano che il piano elaborato da Marchionne, finanziato da Obama e approvato dai sindacati sta funzionando. A Jefferson North, è stato aggiunto un secondo turno, quando solitamente in estate la produzione scende. Mille e cento persone sono state assunte per produrre la nuova Grand Cherokee 2011 ("la migliore vettura mai prodotta da Chrysler", secondo Marchionne). Lo stabilimento di Sterling Heights, che avrebbe dovuto chiudere nel 2012, resterà aperto e nei primi mesi dell'anno assumerà 900 persone. Chrysler produce utile operativo (il secondo sarà annunciato il 9 agosto). Si comincia a parlare di quotazione in Borsa. Il debito con il governo inizia a essere ripagato. "Non so se da questa giornata arrivi un messaggio per Pomigliano - ha detto Marchionne ai giornalisti al termine del discorso del presidente - Penso sia un riconoscimento che ci potevano essere giorni peggiori. Per arrivare a questo punto era necessario ripartire da zero e ristrutturare. In questa ristrutturazione è stato importante il ruolo del governo americano". In Italia, ha aggiunto Marchionne, "Fiat rappresenta diverse cose: le nostre responsabilità vanno al di là di quelle di una casa automobilistica. Nel contesto italiano, Fiat svolge il ruolo che qui invece ha il governo. È questo lo spirito di Fabbrica Italia. Spero che la gente impegnata in questa discussione riconosca il ruolo che stiamo giocando. Il resto del mondo vede l'industria automobilistica in modo diverso. Noi non possiamo essere diversi, particolari, chiedere ogni giorno un trattamento speciale. Il mondo è piatto, dobbiamo riconoscerlo. È una grande, grandissima, scommessa. Spero che il paese sia all'altezza". I dipendenti Chrysler adorano Marchionne. Lo chiamano "Marcionni". Obama, invece, dice "Serghio Marchionni". Indossano le t-shirt "One Team, One vision" che inneggiano al World Class Management, il programma aziendale per l'eliminazione degli sprechi nella catena di produzione introdotto da Marchionne dopo l'esperienza in Fiat. Difficile immaginare uno spettacolo simile, da noi. Gli operai con più anzianità mostrano una maglietta blu. C'è scritto "Enoch". "È una parola ebraica - dicono - Vuol dire che siamo devoti alla nostra fabbrica, che siamo orgogliosi di essere qui, che crediamo nel nostro lavoro". Angel Gomez, 17 anni di lavoro in Chrysler, dice: "Marchionne è un grande uomo, una persona umile, vuole riportare Chrysler ai fasti di un tempo. Guardi questa fabbrica, un anno fa andava a pezzi, ora è un gioiello. Ai colleghi italiani dico di guardare che cosa sta succedendo qui: avevamo perso il lavoro, ma ci hanno richiamati, ora lavoriamo in questa bella fabbrica, costruiamo di nuovo le automobili, abbiamo ripreso a guadagnare. È vero, i nuovi arrivano con un salario più basso. Ma vorrei dire agli amici italiani: qual è l'alternativa? Meglio uno stipendio basso che nessuno stipendio". Jeffeny Brunson lavora come istruttore di Product Quality Improvement, una joint venture sindacato e azienda per migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi Chrysler. Il giudizio è identico: "Marchionne sta facendo un grande lavoro. La Fiat ha portato la qualità. Non conosco la vostra situazione, ma agli operai italiani posso dire che noi abbiamo apprezzato molto il progetto di Marchionne". Liveblogging@ http://www.camilloblog.it/
2010-07-29 Fiat si prende due mesi per decidere su Confindustria ma a settembre newco a Pomigliano Cronologia articolo29 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 14:31. Da fine settembre tutti i lavoratori dello stabilimento Fiat di Pomigliano saranno riassunti dalla newco, la nuova società costituita per gestire l'accordo del 15 giugno, non firmato dalla Fiom. La newco Fabbrica Italia non sarà iscritta all'Unione Industriale di Napoli. Lo ha riferito il segretario generale Fismic, Roberto Di Maulo, al termine dell'incontro in cui l'azienda ha comunicato ufficialmente ai sindacati la nascita della new company. Della newco, controllata da Fiat Partecipazioni, faranno parte anche i mille lavoratori della Ergom, azienda dell'indotto Fiat. All'incontro non ha partecipato la Fiom. "La Fiat ci ha comunicato che sono già partiti tutti gli ordini relativi all'investimento per la Panda - ha spiegato Di Maulo - e che già ad agosto cominceranno i lavori per la ripulitura dell'area che ospiterà la linea della vettura a partire dalla lastratura". A settembre saranno definite le regole contrattuali della newco e verrà sottoposta ai 5.200 lavoratori la lettera di riassunzione, man mano che ci saranno le esigenze produttive. Quindi, per un periodo, una parte dei dipendenti continuerà a far parte di Fiat Group Automobiles per produrre l'Alfa 159. Su Confindustria decisione sospesa per due mesi. Nell'incontro tra Fiat e sindacati che si è tenuto a Torino è stata comunicata la disdetta degli accordi sul monte ore dei permessi sindacali negli stabilimenti di Pomigliano e Arese. Annunciata anche la sospensione per due mesi della decisione Fiat sulla disdetta del contratto di lavoro e sull'uscita di Confindustria: secondo quanto riferito al termine della riunione, la decisione della Fiat è la conseguenza dell'incontro di ieri tra il presidente della Confindustria Emma Marcegaglia e l'ad Sergio Marchionne. I delegati della Fiat al tavolo di confronto hanno letto una lettera in cui il gruppo dichiara di aver sospeso per breve tempo la decisione dall'uscita dal contratto nazionale del lavoro a seguito dell'incontro avvenuto ieri a Roma, una sospensione che durerà due mesi. Ecco perché tutti vanno in Serbia Così la stampa estera racconta l'ultimatum di Marchionne
Dalla Fiat ai russi, ecco perché tutti vogliono andare a produrre in Serbia di Cristina CasadeiCronologia articolo29 luglio 2010Commenti (1) Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 07:52. Dei tanti ponti di Belgrado quello che senza dubbio tutti gli imprenditori del mondo vorrebbero attraversare porta in Russia, dritto verso un mercato di quasi 200 milioni di consumatori. Ad annullare la distanza e le difficoltà logistiche c'è il fatto che l'attraversamento non prevede balzello e garantisce rapporti commerciali con un'area molto interessante. A fare da tramite c'è la Serbia, grazie a un accordo di libero scambio con la Federazione russa: deve essere stato anche questo ad aver già portato nel paese 200 imprenditori italiani. Questo piccolo, per ora, esercito dei delocalizzatori italiani vale un giro di affari di 2 miliardi di euro l'anno, destinato a crescere in maniera esponenziale una volta che l'investimento Fiat entrerà nel pieno regime produttivo. La Siepa (agenzia serba per gli investimenti) ha previsto addirittura che Fiat sarà un volano che porterà 30mila posti di lavoro tra diretti e indiretti nel settore auto, occupati in aziende di componentistica che non lavoreranno solo per Fiat. L'attrattività della Serbia dunque non arriva solo dai salari bassi, mediamente intorno ai 350 euro, o dal piano di incentivi fiscali e finanziari che è valso al paese il primo posto nella classifica della Banca mondiale in materia di riforme economiche per attrare investimenti stranieri. Agevolazioni che vanno dai terreni forniti gratis a chi stabilisce nuovi impianti produttivi ai contributi del governo a fondo perduto per ogni lavoratore assunto a tempo indeterminato: dai 2mila ai 10mila euro, a seconda della portata dell'investimento - minimo un milione di euro - e del numero di impiegati - minimo tra 10 e 50 -. Fino ad arrivare all'esenzione dalle tasse per dieci anni se si investe in capitale fisso almeno 7,5 milioni di euro e si impiegano oltre 100 addetti a tempo indeterminato (si veda Il Sole 24 Ore di sabato 24 luglio). C'è di più ed è forse questo di più che ha generato tanto slancio. C'è infatti un accordo di libero scambio tra la Federazione russa e la Serbia che assicura un trattamento favorevole per la merce oggetto dell'interscambio. Per non pagare oneri doganali ovviamente sono previste delle condizioni. E cioè: il paese d'origine della merce deve essere la Serbia, è obbligatorio l'acquisto e la fornitura diretti e infine la fornitura deve essere accompagnata dal certificato di origine. Affinchè la Serbia si possa dichiarare paese d'origine è necessario che i manufatti siano stati interamente prodotti in Serbia, magari anche utilizzando materie prime, semilavorati e prodotti finiti originari di qualche altro paese. A patto però che tali prodotti siano stati trasformati in gran parte Serbia. La lista delle merci interamente prodotte in Serbia è lunga ma il punto che interessa gli imprenditori riguarda i manufatti prodotti in Serbia da materie prime serbe. Se i manufatti prevedono la lavorazione o trasformazione di materie prime o componenti provenienti dall'estero o di origini sconosciute, il valore di questi non deve superare il 50% del valore totale della merce esportata dalla Serbia. Altrimenti ci si ferma prima del ponte.
Nuovo patto tra Emma e Sergio di Alberto OrioliCronologia articolo29 luglio 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 08:44. L'ultima modifica è del 29 luglio 2010 alle ore 08:08. * * * * La Fiat va in Serbia ma le relazioni industriali non si balcanizzano. La strategia di Sergio Marchionne per indurre i sindacati a una gestione più razionale delle regole contrattuali e più in linea con le necessità di un'azienda con lo sguardo-mondo ha avuto due risultati.
Primo: ha indotto l'intera struttura associativa delle imprese, Confindustria, grazie alla mediazione di Emma Marcegaglia, a uno sforzo di leadership per cercare quegli spazi normativi adatti alle esigenze di una multinazionale vera che compete su mercati veri, alla ricerca di clienti veri. Dopo il vertice tra Marchionne e Marcegaglia in Farnesina, Fiat resterà in Confindustria e in Federmeccanica, dove è da sempre uno dei soci storici, e avrà le opportune franchigie per la newco di Pomigliano che diventerà uno stabilimento di frontiera anche per le relazioni industriali del futuro. Secondo: ha imposto nel mercato dell'auto italiano a tutti – dai sindacati che difendono il lavoro, agli enti locali che sono interessati agli impianti sul territorio, al governo che deve pensare (e non pensa a fondo) la politica industriale – di adattarsi alla globalizzazione.
Non c'è più il dialetto semi-consociativo degli anni 70: non c'è un'impresa che scambia commesse pubbliche con la politica, preoccupata di avere consenso, non c'è più l'azienda che baratta l'attenzione al sindacato con la pace sociale. Il tutto magari pagato dall'inflazione e dalle vecchie, miracolose, svalutazioni competitive. Non c'è più quel mondo che tanti rimpiangono, magari fingendo di sognare il futuro con toni stentorei, ma in realtà con nostalgia per l'Italietta dove ci si metteva d'accordo tra pochi soci di un club decadente. Non a caso mai frequentato dai vertici attuali di Fiat e Confindustria.
Ora c'è la necessità di produrre velocemente e a costo minore automobili che piacciano al pubblico. C'è la necessità di investire in ricerca, di studiare soluzioni tecnologiche che siano già ora il domani, di incrociare i gusti mutevoli di milioni di consumatori duramente colpiti dalla crisi mondiale. Si tratta di produrre su scala inimmaginabile prima, su volumi che fino a un anno fa apparivano semplicemente colossali e che ora sono semplicemente il livello di sopravvivenza. Si chiama aumentare la produttività. Non diminuire i diritti, non diminuire i costi o le retribuzioni. Si deve agire secondo regole che sono le normali regole del lavoro nel mondo: semplicemente l'obbligazione tra chi percepisce una retribuzione e deve garantire con continuità e puntualità e regolarità una prestazione in forma di fatica o di ingegno. Tutto qui. A Pomigliano, ad esempio, per anni non è stato così: produzioni a singhiozzo, assenteismo patologico, permessi sindacali ipertrofici.
Nella sua disarmante semplicità, la visione del mondo alla Marchionne, in un contesto di bizantinismi negoziali e di continue contaminazioni tra mondo della politica e lobbies, è apparsa rivoluzionaria. È un bene che la spallata del manager Fiat si sia rivelata, alla fine, sollecitazione a rivitalizzare l'aria. Tanto più ora che l'architettura delle relazioni industriali in Italia è stata appena ritoccata nell'ultimo accordo interconfederale che vede ancora contraria la Cgil. Quell'accordo in realtà ha già in se stesso tutto il potenziale di flessibilità normativa di cui ha bisogno la Fiat per avere certezze dopo gli impegni presi per Pomigliano: basta applicarlo nei suoi dettagli operativi o utilizzarlo come strumento per compiere un uteriore passo verso l'adattabilità delle forme contrattuali soprattutto azienda per azienda. Quando da Confindustria è partita quella spinta, non tutti ne hanno compresa la potenzialità riformista: ora ne appaiono più chiare le ragioni. È un bene che non si siano create le condizioni di scontro nelle relazioni industriali, settore in cui l'Italia vanta comunque una tradizione che ha garantito coesione sociale anche nei momenti duri degli anni '70. Ma tutti devono comprendere come le prossime stagioni o sono di evoluzione o di arretramento.
La Fiat sospende per due mesi la decisione sulla disdetta del contratto nazionale Cronologia articolo29 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 12:47. La Fiat ha sospeso per due mesi la decisione sulla disdetta del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici e sull'uscita da Confindustria, dopo l'incontro di ieri tra Sergio Marchionne ed Emma Marcegaglia. Lo riferiscono fonti sindacali presenti all'incontro all'Unione Industriali di Torino su Fabbrica Italia. Alla riunione - sempre secondo quanto riferiscono i sindacati - la Fiat ha comunicato la disdetta degli accordi sul monte ore dei permessi sindacali negli stabilimenti di Pomigliano e di Arese. (ANSA).
Lo stabilimento di Mirafiori Cronologia articolo27 luglio 2010 * Leggi gli articoli * Guarda i video * Guarda le foto * Consulta i grafici * Cerca nelle mappe Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2010 alle ore 17:58. * * * * DOVE SI TROVA Lo stabilimento si trova nel quartiere Mirafiori Sud, che prende nome dal vecchio castello di Mirafiori dei Savoia A QUANDO RISALE Fu inaugurato il 15 maggio 1939, ma la produzione automobilistica partì realmente solo nel 1947 con la seconda serie della 500 A e la rilocalizzazione delle linee della Fiat 1100, precedentemente costruita al Lingotto QUANTO È GRANDE Il complesso industriale di Mirafiori occupa una superficie di 2.000.000 di m2. Al suo interno si snodano 20 chilometri di linee ferroviarie e 11 chilometri di strade sotterranee che collegano i vari capannoni. PRINCIPALI MODELLI COSTRUITI A MIRAFIORI Fiat 500 Topolino (dal 1947), Fiat 1100 (dal 1947), Fiat 1400 (1950), Fiat 1900 (1952), Fiat 1100/103 (1953), Fiat 600 (1955), Fiat 500 (1957), Fiat 1200 (1957), Fiat 1800 (1959), Fiat 2100 (1959), Fiat 1300 (1961), Fiat 1500 (1961), Fiat 2300 (1961), Fiat 850 (1964), Fiat 124 (1966), Fiat 128 (1969), Fiat 127 (1971), Fiat 126 (1972), Fiat 131 Mirafiori (1974), Fiat Ritmo (1978), Fiat Panda (1980), Fiat Uno (1983), Fiat Regata (1983), Fiat Punto (1993), Autobianchi Y10, Lancia Lybra, Lancia Thesis COSA PRODUCE OGGI Attualmente dalla fabbrica escono i modelli: Fiat Punto, Fiat Idea, Fiat Multipla, Alfa Romeo MiTo, Lancia Musa. La capacità produttiva è di 1.115 vetture al giorno.
Nuovo patto tra Emma e Sergio di Alberto OrioliCronologia articolo29 luglio 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 08:44. L'ultima modifica è del 29 luglio 2010 alle ore 08:08. * * * * La Fiat va in Serbia ma le relazioni industriali non si balcanizzano. La strategia di Sergio Marchionne per indurre i sindacati a una gestione più razionale delle regole contrattuali e più in linea con le necessità di un'azienda con lo sguardo-mondo ha avuto due risultati.
Primo: ha indotto l'intera struttura associativa delle imprese, Confindustria, grazie alla mediazione di Emma Marcegaglia, a uno sforzo di leadership per cercare quegli spazi normativi adatti alle esigenze di una multinazionale vera che compete su mercati veri, alla ricerca di clienti veri. Dopo il vertice tra Marchionne e Marcegaglia in Farnesina, Fiat resterà in Confindustria e in Federmeccanica, dove è da sempre uno dei soci storici, e avrà le opportune franchigie per la newco di Pomigliano che diventerà uno stabilimento di frontiera anche per le relazioni industriali del futuro. Secondo: ha imposto nel mercato dell'auto italiano a tutti – dai sindacati che difendono il lavoro, agli enti locali che sono interessati agli impianti sul territorio, al governo che deve pensare (e non pensa a fondo) la politica industriale – di adattarsi alla globalizzazione.
Non c'è più il dialetto semi-consociativo degli anni 70: non c'è un'impresa che scambia commesse pubbliche con la politica, preoccupata di avere consenso, non c'è più l'azienda che baratta l'attenzione al sindacato con la pace sociale. Il tutto magari pagato dall'inflazione e dalle vecchie, miracolose, svalutazioni competitive. Non c'è più quel mondo che tanti rimpiangono, magari fingendo di sognare il futuro con toni stentorei, ma in realtà con nostalgia per l'Italietta dove ci si metteva d'accordo tra pochi soci di un club decadente. Non a caso mai frequentato dai vertici attuali di Fiat e Confindustria.
Ora c'è la necessità di produrre velocemente e a costo minore automobili che piacciano al pubblico. C'è la necessità di investire in ricerca, di studiare soluzioni tecnologiche che siano già ora il domani, di incrociare i gusti mutevoli di milioni di consumatori duramente colpiti dalla crisi mondiale. Si tratta di produrre su scala inimmaginabile prima, su volumi che fino a un anno fa apparivano semplicemente colossali e che ora sono semplicemente il livello di sopravvivenza. Si chiama aumentare la produttività. Non diminuire i diritti, non diminuire i costi o le retribuzioni. Si deve agire secondo regole che sono le normali regole del lavoro nel mondo: semplicemente l'obbligazione tra chi percepisce una retribuzione e deve garantire con continuità e puntualità e regolarità una prestazione in forma di fatica o di ingegno. Tutto qui. A Pomigliano, ad esempio, per anni non è stato così: produzioni a singhiozzo, assenteismo patologico, permessi sindacali ipertrofici.
Nella sua disarmante semplicità, la visione del mondo alla Marchionne, in un contesto di bizantinismi negoziali e di continue contaminazioni tra mondo della politica e lobbies, è apparsa rivoluzionaria. È un bene che la spallata del manager Fiat si sia rivelata, alla fine, sollecitazione a rivitalizzare l'aria. Tanto più ora che l'architettura delle relazioni industriali in Italia è stata appena ritoccata nell'ultimo accordo interconfederale che vede ancora contraria la Cgil. Quell'accordo in realtà ha già in se stesso tutto il potenziale di flessibilità normativa di cui ha bisogno la Fiat per avere certezze dopo gli impegni presi per Pomigliano: basta applicarlo nei suoi dettagli operativi o utilizzarlo come strumento per compiere un uteriore passo verso l'adattabilità delle forme contrattuali soprattutto azienda per azienda. Quando da Confindustria è partita quella spinta, non tutti ne hanno compresa la potenzialità riformista: ora ne appaiono più chiare le ragioni. È un bene che non si siano create le condizioni di scontro nelle relazioni industriali, settore in cui l'Italia vanta comunque una tradizione che ha garantito coesione sociale anche nei momenti duri degli anni '70. Ma tutti devono comprendere come le prossime stagioni o sono di evoluzione o di arretramento.
Per la stampa estera quello di Marchionne è soprattutto un "ultimatum" di Elysa FazzinoCronologia articolo29 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 16:17. Sergio Marchionne "alza la posta", lancia un "ultimatum", pone le sue condizioni. Il braccio di ferro ingaggiato dalla Fiat con i sindacati ha eco sulla stampa internazionale, attenta a cogliere – in tempi di crisi - una possibile svolta nelle relazioni industriali in Italia. "Marchionne chiede garanzie ai sindacati", titola il Financial Times. Il Ceo di Fiat, spiega Guy Dinmore, "ha alzato la posta nella sua disputa con i sindacati italiani chiedendo garanzie di produttività prima di andare avanti con il suo piano di investire 20 miliardi di euro nel suo paese natale nei prossimi cinque anni".
"Non stiamo facendo minacce, ma non siamo pronti a mettere a rischio la sopravvivenza dell'azienda", riferisce il Ft, citando i media italiani. Marchionne ha detto ai leader sindacali che Fiat è la sola azienda che intende investire una somma del genere in Italia, una somma che è quasi pari ai tagli della manovra nel 2010 e 2011. Fiat, che è il principale datore di lavoro privato in Italia, progetta di raddoppiare la produzione italiana di auto entro il 2014, continua il quotidiano britannico. "Ma abbiamo bisogno di garanzie che gli impianti possano funzionare". Marchionne, ricorda il Ft, "sta sfidando i contratti nazionali concordati tra sindacati e datori di lavoro su retribuzioni e condizioni di lavoro".
Nato in Italia, ma educato in Canada – nota il Ft - il manager "è tornato in Italia per mettersi alla testa di un conflitto con i sindacati seguito da vicino dal governo di centro-destra e dalla Confindustria". Marchionne, "che ha sollecitato i lavoratori ad affrontare le sfide della globalizzazione", ha osservato che l'Italia è il solo paese dove il gruppo Fiat ha registrato una perdita.
Fiat ha creato una nuova società per gestire Pomigliano, "aprendo la prospettiva che Marchionne sia pronto a imporre condizioni di lavoro ai lavoratori disposti a firmare", si legge ancora sul quotidiano. Dinmore ricorda le preoccupazioni dei sindacati per il trasferimento della produzione di due futuri modelli da Mirafiori a un impianto in Serbia, dove Fiat "ha ottenuto garanzie di incentivi dal governo serbo".
"Ultimatum" è la parola ricorrente nei titoli della stampa francese. Di ultimatum parla infatti un lancio Afp pubblicato sui siti di Les Echos e Le Figaro: l'ad Fiat ha lanciato un ultimatum ai sindacati "perché si impegnino ad accettare di rivedere gli accordi attuali per rendere le fabbriche italiane competitive, condizione ‘sine qua non' per attuare il suo progetto di raddoppiare la produzione locale". E' in sostanza una "messa in guardia": Marchionne ha avvisato che "il peso della presenza Fiat in Italia è in gioco" e che in caso di "no" "gli investimenti previsti per l'Italia saranno ridimensionati". Nel suo titolo, Le Figaro introduce il tutto con la parola chiave "Competitività".Un breve lancio dell'agenzia americana Bloomberg, ripreso sul sito del San Francisco Chronicle, informa – citando l'Ansa - che Marchionne conferma il piano di produzione italiano, 20 miliardi di euro di investimento. Sul caso Fiat, un servizio di New York Times- International Herald Tribune della scorsa settimana faceva notare quanto sia importante per l'Italia "persuadere gli italiani "a cambiare abitudini di lavoro, se vogliono che il loro futuro finanziario migliori, sia individualmente che come nazione".
2010-07-28 Marchionne: "La disdetta al contratto è praticabile". Il ministro Sacconi contrario ad "atti unilaterali" Cronologia articolo28 luglio 2010Commenti (8) Questo articolo è stato pubblicato il 28 luglio 2010 alle ore 11:51. Sergio Marchionne ha confermato il piano "Fabbrica Italia", "unica azienda - ha detto - ad investire 20 miliardi nel Paese. Ma - ha aggiunto - dobbiamo avere garanzie che gli stabilimenti possano funzionare". Il ceo di Fiat, al tavolo con i sindacati (presenti i leader di Cgil, Cisl e Uil), il ministro del welfare Maurizio Sacconi e alla presenza del governatore del piemonte Roberto Cota, il presidente della Provincia Antonio Saitta e il sindaco di Torino Sergio Chiamparino , ha ribadito l'intenzione del Lingotto di non considerare la produzione dell'auto in Italia "secondaria". Il manager, secondo quanto riferito da alcune fonti che partecipano al tavolo, ha aggiunto che la produzione della monovolume 'L0' in Serbia "non toglie prospettive a Mirafiori". Per Marchionne "esistono alternative per garantire i volumi di produzione" nella fabbrica torinese. Poi, però, lo stesso Marchionne ha aggiunto "ci sono solo due parole, al punto in cui siamo, che richiedono di essere pronunciate: una è sì, l'altra è no". "Sì, vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana; no, vuol dire lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui ad essere inefficiente e inadeguato a produrre utile e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro". Marchionne, inoltre, ha affermato che: "Si parla molto della possibilità della Fiat decida disdetta dalla Confindustria e quindi dal contratto dei metalmeccanici alla sua scadenza. Se necessario siamo disposti anche seguire questa strada, ma non abbiamo nessun preconcetto". "Per noi - ha aggiunto - la cosa importante è raggiungere il risultato e avere la certezza di gestire gli impianti. Produrre a singhiozzo, con livelli ingiustificati di assenteismo, o vedere le linee bloccato per giorni interi è un rischio che non possiamo accollarci" La strategia di Fiat, soprattutto dopo la creazione della newco per Pomigliano, ovviamente ha destato, e sta destando, preoccupazione tra le controparti e i politici locali. "Il piano di Fiat sarebbe insostenibile dal punto di vista sociale ed economico se dovesse venir meno Mirafiori", ha detto il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. "La cosa migliore - ha affermato Guglielmo Epifani, segretario della Cgil - è cercare una mediazione e non usare i carrarmati: più buonsenso e meno i muscoli. Chiederemo a Fiat - ha aggiunto - lavoro, occupazione e investimenti anche in Italia, chiarezza su futuro di Mirafiori e Pomigliano senza dimenticare Termini Imerese. Dobbiamo avere qualche certezze: i lavoratori non posso vivere alla giornata". Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, invece dice "sì" al piano "Fabbrica Italia" di Fiat. Un ok che è "senza se e senza ma", ha puntualizzato Bonanni. "E questo sì vale anche per l'accordo a Pomigliano - ha continuato il leader della Cisl -. Ma vogliamo che Marchionne faccia chiarezza sul fatto che le modalità dell'investimento rimarranno nel perimetro delle regole del nuovo sistema contrattuale che abbiamo costruito". Il progetto Fabbrica Italia è "importante. I numeri contenuti nel piano devono essere riconfermati" ha chiesto, dal par suo, il ministro Sacconi, secondo cui "è giusto che l'azienda investa garantendo il pieno utilizzo degli impianti". "Il Governo - ha aggiunto Sacconi - ha sollecitato le parti a restare nell'alveo delle tradizionali relazioni industriali che hanno dimostrato capacità di rigenerazione. Non occorrono inopportuni atti unilaterali nel sistema delle relazioni industriali". "Le parti -ha detto -devono cercare le modalità per adattare il sistema delle relazioni ad esigenze concrete: investimenti nei siti produttivi e piena efficienza degli impianti ed affidabilità".
Mirafiori, mito ormai sbiadito Marco FerrandoCronologia articolo28 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 28 luglio 2010 alle ore 08:09. "Adesso vuole vedere che faremo la fine del Lingotto? Ma io al posto della fabbrica un centro commerciale mica lo voglio". Mentre rientra dal mercato, Silvana Giaccone, 62 anni di cui quasi 40 vissuti nel quartiere simbolo della Torino fordista, guarda al di là di corso Unione Sovietica e corso Agnelli, indica la facciata bianca dove fino a qualche anno fa campeggiava il logo blu della Fiat e sospira: "Quando sono arrivata qui il piazzale era sempre pieno di macchine, adesso hanno costruito case e giardini perché i parcheggi non servono più". La signora Silvana ha le borse piene, perché nel week end arriveranno le sue due nipoti con un biglietto in tasca per il concerto degli U2 del 6 agosto, allo stadio Olimpico: "A me fa piacere, ma qui ormai si parla solo di musica". In realtà a Torino oggi si parlerà anche del futuro della Fiat, con il tavolo che questa mattina si apre in Regione. Ma nel quartiere che più di tutti ha famigliarità con le liturgie sindacali, la fiducia non abbonda: "I tavoli si fanno se si ha qualcosa da offrire in cambio", osserva con disincanto Corrado Ferro, 78 anni, entrato in Fiat nel '51 da colletto bianco e poi passato al sindacato, dove è diventato segretario regionale della Uil. "Oggi le istituzioni che cosa avranno da offrire a Marchionne? Poco o niente, in confronto a quello che può mettere sul tavolo un paese come la Serbia". A dire il vero tra le case popolari di via Dina, Kragujevac non è altro che "un posto dove la gente viene sfruttata più che da noi", come dice amaramente Sergio Settimo, ex giovane di Mirafiori che dopo qualche anno di carcere ha ottenuto la semi-libertà e dà una mano in parrocchia, ma quel che si percepisce chiaramente è l'impotenza. Di fronte a un processo ineluttabile, partito vent'anni fa e che periodicamente sembra approdare al punto di svolta. A Mirafiori gli ultimi raggi di sole si sono visti nell'estate 2006, quando in piena cura Marchionne è stata avviata la nuova linea per la Punto e da un angolo dello stabilimento è stato ricavato il Motor village, grande concessionario con cui la fabbrica sembrava improvvisamente voler abbattere i suoi muri e per la prima volta aprirsi al quartiere. Poi la nebbia, sempre più fitta. Che dalla grande fabbrica arriva a lambire quei pezzi di città che la circondano: corso Traiano con i suoi palazzi medio-borghesi, l'asse di via Dina con le casette Fiat e il grande complesso salesiano degli istituti Edoardo e Virginia Agnelli, piazza Dante Livio Bianco e il nucleo di palazzoni tirati su a partire dagli anni '50, tutti a base di due camere, tinello e cucinino. "Ormai la Fiat non è più la protagonista indiscussa del passato – osserva don Gianni Bernardi, da 25 anni parroco di Gesù Redentore, chiesa simbolo del boom edilizio degli anni '60 –, ma sarebbe un errore sottovalutarne l'importanza". I simboli forse hanno preso il posto della realtà delle cose, ma "la Fiat – prosegue – resta centrale per tutto l'indotto, diretto e indiretto. Che alla fine tutto permea, dagli equilibri economici a quelli sociali. A lavorare a Mirafiori qui sono rimasti in pochissimi, ma la Fiat, Sergio Marchionne, la Serbia e Pomigliano sono sulla bocca di tutti. E la gente si chiede: che senso avrebbe vivere in questo quartiere se chiude la Fiat?". Interrogativi amari, che svelano l'orgoglio di un quartiere che si vede sempre più invecchiato, sbiadito. I tre bandi per l'attrazione di nuove imprese nell'area acquistata dagli enti locali andati deserti, la fugace apparizione dei fasti di Torino 2006 che qui ha lasciato solo un palazzetto per il ghiaccio, lo stesso Motor village, "sono solo tamponi che lasciano il tempo che trovano", dice ancora don Gianni. Il problema numero uno resta naturalmente il lavoro, e chi cerca di risolverlo fatica, più della media. Come il centro lavoro del Comune di Torino, che grazie ai fondi del programma Urban 2 ha deciso di insediare proprio in via Carlo Del Prete, a due passi dalla grande fabbrica: uno strumento innovativo, che abbina i tradizionali servizi di sportello ai percorsi di ricollocazione; dal 2007, quando è stato inaugurato, fino al 31 maggio scorso, 18mila persone hanno portato curricula, consultato annunci, chiesto informazioni. Alcune centinaia sono state ricollocate, e per 186 di loro è saltato fuori un contratto di un anno o addirittura a tempo indeterminato: solo 19 hanno trovato uno spazio nel metalmeccanico, però, a dimostrazione di un mercato contratto, quasi impenetrabile. "Ciò che fa più soffrire – confessa Lorenza Roggio – è vedere operai specializzati nel pieno della loro carriera, magari con vent'anni di esperienza e stipendi da 2mila euro al mese, costretti ad arrendersi a una busta paga che non arriva alla metà. Ma non c'è molto da scegliere". "La sensazione è che qui si stia creando un vuoto, economico ma anche culturale", abbozza Renato Bergamin, che da presidente della fondazione cascina Roccafranca coordina un posto strano, bellissimo, un ex fabbricato agricolo completamente restituito al quartiere dopo vent'anni di degrado – sempre grazie ai fondi del programma Urban 2 – che oggi dà lavoro a 20 persone grazie a un ecomuseo, un centro studi, una biblioteca e una "piola", omaggio alle osterie di un tempo. Proprio qui, nelle sale chiuse non da muri ma da ampie vetrate, in questi giorni è allestita una mostra fotografica dedicata alla Mirafiori di ieri e di oggi: decine di scatti, spesso prelevati dagli album di famiglia, "intorno ai quali si è sviluppato un interesse e un'emozione che forse non ci aspettavamo neanche: qui i legami con il passato sono intatti, e la fabbrica in un modo o nell'altro ne fa sempre parte". marco.ferrando@ilsole24ore.com © RIPRODUZIONE RISERVATA www.ilsole24ore.com
Fiat-Confindustria, ok più vicino Nicoletta PicchioCronologia articolo28 luglio 2010 * * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 28 luglio 2010 alle ore 08:05. * * * * ROMA - La nascita della newco, Fabbrica Italia Pomigliano, formalizzata ieri; il progetto complessivo degli investimenti della Fiat nel nostro paese (20 miliardi nei prossimi cinque anni) ma anche la soluzione contrattuale che possa mettere il Lingotto al riparo da controversie giuridiche da parte di chi non ha firmato l'accordo per Pomigliano, a scapito della produttività e del funzionamento dello stabilimento.
Ci saranno tutti e tre questi argomenti oggi sul tavolo convocato dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, con i vertici della Regione e del Comune, lo stato maggiore dei sindacati, nazionali e di categoria, e la Fiat. Sergio Marchionne, appena tornato dagli Stati Uniti, ci sarà. E ci sarà anche domani mattina, stavolta nella sede dell'Unione industriali di Torino, nell'incontro con i sindacati, ufficializzato ieri. Una mattinata con due round: il primo con la Fiom al tavolo, sul progetto Fabbrica Italia e quindi sui progetti che l'azienda di Torino ha per il nostro paese. L'altro solo con i sindacati che hanno firmato l'intesa per Pomigliano, quindi Fim, Uilm, Ugl e Fismic, eccetto la Fiom, sul futuro dello stabilimento. La nascita della newco per Pomigliano, che riassumerà i 5mila lavoratori dell'azienda, è una novità che i sindacati si aspettavano. Era una delle strade ipotizzate dalla Fiat per poter applicare l'intesa limitando il dissenso e gli eventuali ricorsi della Fiom. Ma per i piani alti del Lingotto potrebbe non bastare per raggiungere l'obiettivo di lavorare con produttività e competitività adeguata. Per concretizzare quella "strategia di vendere auto", come usa ripetere Marchionne. Tra le ipotesi discusse, la disdetta del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici, per staccare la newco dalle regole del contratto di categoria. Oggi i sindacati lo chiederanno a Marchionne, per avere chiarimenti prima ancora di incontrarlo domani per quelle "comunicazioni ufficiali" con cui sono stati convocati all'Unione industriali dalla Fiat. La situazione è in continua evoluzione. E vede tutti al lavoro, dalla Fiat, alla Confindustria, al sindacato. Marchionne si è sentito in questi giorni con la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ed oggi dovrebbero avere un incontro riservato, a Roma. L'idea attorno a cui si sta ragionando è quella di applicare l'accordo sindacale firmato per Pomigliano e non iscrivere la newco all'associazione confindustriale territoriale, tenendola fuori dal sistema Confindustria, e quindi di non applicare il contratto nazionale. Contemporaneamente non si esclude che si possa mettere mano al contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici, prima della scadenza, che sarebbe a fine 2012 (nel caso dell'ultima intesa siglata separatamente nel 2009 e quindi triennale in base alla riforma del contratti): si tratterebbe di rendere più esplicite e cogenti le possibilità di deroghe già previste nella riforma del contratti di un anno fa. Ciò eviterebbe l'effetto dirompente di una disdetta, che comporterebbe anche l'uscita della Fiat, anche se solo per il settore auto e magari temporaneamente, dal sistema confindustriale, e quindi da Federmeccanica. Tanto più che operativamente, spiegano gli esperti, la disdetta del contratto e quindi anche la fuoriuscita dal sistema confederale, avrebbero effetti solo alla scadenza dell'attuale CCNL dei metalmeccanici, quindi a fine 2012. Mentre sarebbero immediati gli effetti sulle relazioni sindacali. I sindacati hanno già alzato un muro: non solo la Fiom, che con Maurizio Landini, ha giudicato la disdetta un atto "grave e immotivato". Ma anche gli altri, firmatari dell'accordo per Pomigliano. Sì alla newco, hanno detto sia la Fim che la Uilm, ma il contratto nazionale non si tocca. "Mi rifiuto di credere ad una disdetta, anche perchè non avrebbe senso ora, visto che il contratto nazionale scade nel 2012", dice Rocco Palombella, numero uno della Uilm, più propenso a ipotizzare una disdetta degli accordi integrativi del pianeta Fiat auto, mentre il leader nazionale, Luigi Angeletti, ancora ieri ha incalzato la Fiat su un chiarimento del progetto industriale. "Operazione inutile e dannosa, ci opporremo con tutte le nostre forze", commenta il leader della Fim, Giuseppe Farina. Nella Cisl non si esclude invece una soluzione che potrebbe portare a rimettere mano al contratto dei metalmeccanici a breve. © RIPRODUZIONE RISERVATA
I NUMERI 25mila - I dipendenti coinvolti L'ipotesi di distacco di Fiat Auto dal contratto nazionale prevede il coinvolgimento di 25mila addetti: si tratta dei lavoratori degli stabilimenti di Mirafiori, Cassino, Pomigliano e Termini Imerese e degli impiegati degli enti centrali. 938mila Federmeccanica I lavoratori che operano nelle 1.200 imprese aderenti a Finmeccanica sfiorano quota un milione. Il settore, nel complesso, dà lavoro in Italia a poco più di due milionio di persone, in calo deciso nel 2009 a causa della recessione globale. Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna le tre regioni più rappresentate. Poi Veneto, Friuli Venezia Giulia e Toscana. La quota di operai sul totale supera il 57%.
2010-07-27 Fiat vara la newco Fabbrica Italia Pomigliano. Meditando l'uscita dal contratto nazionale di Stefano NatoliCronologia articolo27 luglio 2010Commenta Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2010 alle ore 16:30. Nasce Fabbrica Italia Pomigliano. La società, iscritta al registro delle Imprese della Camera di Commercio di Torino è controllata al 100% da Fiat Partecipazioni ed ha sede legale a Torino. Il presidente è l'ad del Lingotto, Sergio Marchionne, affiancato in consiglio da Gianni Baldi (capo auditing del gruppo), Camillo Rossotto (tesoriere) e Roberto Russo (general counsel). L'oggetto sociale della newco, che ha un capitale sociale di 50mila euro, è "l'attività di produzione, assemblaggio e vendita di autoveicoli e loro parti. A tal fine può costruire, acquistare, vendere, prendere e dare in affitto o in locazione finanziaria, trasformare e gestire stabilimenti, immobili e aziende". La società può compiere inoltre "le operazioni commerciali, industriali, immobiliari e finanziarie, queste ultime non nei confronti del pubblico, necessarie o utili per il conseguimento dell'oggetto sociale, ivi comprese l'assunzione e la dismissione di partecipazioni ed interessenze in enti o società, anche intervenendo alla loro costituzione". La nascita di Fabbrica Italia Pomigliano è un passo preliminare per la costituzione di una nuova società, una new company in cui riassumere, con un nuovo contratto, i 5.000 lavoratori attuali della fabbrica campana. Si tratta del progetto Futura Panda a Pomigliano, per il quale la Fiat ha raggiunto un accordo con i sindacati il 15 giugno, non firmato dalla Fiom. La Fiat, intanto, sarebbe pronta ad uscire da Federmeccanica e disdire il contratto di lavoro nazionale che regola il rapporto con i dipendenti del gruppo. L'annuncio, secondo quanto riportato oggi da organi di stampa, potrebbe essere dato giovedì all'Unione industriale di Torino, dove la Fiat ha convocacato i sindacati delle imprese metalmeccaniche. La disdetta interesserebbe 25.000 dipendenti - i lavoratori degli stabilimenti di Mirafiori, Cassino, Pomigliano e Termini Imerese e degli impiegati degli enti centrali - e diventerebbe operativa il 31 dicembre 2012, quando scadrà l'attuale contratto di lavoro e quindi la Fiat uscirebbe dalla Federmeccanica il primo gennaio 2013. Non si placano, nel frattempo, le polemiche sulla delocalizzazione in Serbia di una parte della produzione Fiat. Spostare degli stabilimenti per ragioni di profitto non è "eticamente" giusta e a nessuno è "consentito sfruttare il lavoro umano": è quanto afferma, ai microfoni della Radio Vaticana, monsignor Beniamino De Palma, vescovo di Nola, diocesi in cui si trova anche lo stabilimento di Pomigliano d'Arco. "In questi giorni - ha spiegato il presule - siamo tornati alla paura di prima. Nel senso che le notizie che ci arrivano mettono in crisi, mettono in ansia tutto il mondo del Pomiglianese e del Nolano". "Per quanto riguarda l'ipotesi di spostare una parte della Fiat in Serbia unicamente per i profitti, non so se questo sia eticamente giusto" ha osservato il vescovo. "L'Italia - ha aggiunto - non può perdere il lavoro. Il diritto al lavoro viene prima e soprattutto prima del profitto, che non è l'unico valore". A proposito dei costi più bassi in Serbia (400 euro) rispetto a quelli italiani (1.300 euro), monsignor De Palma ha ammonito come a nessuno sia "lecito sfruttare il lavoro umano, a nessuno e per nessun motivo". "Con il lavoro - ha proseguito - non si scherza" e la Fiat deve "rispettare quelle che sono le esigenze umane del mondo del lavoro".
2010-07-25 L'auto senza mercato è ruggine di Gianni RiottaCronologia articolo25 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 25 luglio 2010 alle ore 14:30. L'ultima modifica è del 25 luglio 2010 alle ore 08:09. È difficile assegnare torti e ragioni nella querelle seguita alla scelta Fiat di produrre auto in Serbia, se ci lasciamo ipnotizzare dalle gesta dei protagonisti. Sergio Marchionne dichiara che per la sua azienda è naturale lavorare dove migliori sono le condizioni. Tutta la politica italiana, per una volta unita con armonia che ameremmo vedere su altri temi, si schiera ai cancelli di Mirafiori, come il Berlinguer di una volta. I commentatori analizzano, si dividono, esagerano, c'è chi perfino lega la vicenda alla guerra dei Balcani, come se Clinton e D'Alema, leader del blitz che fermò il tentato genocidio di Milosevic, avessero voluto lucrare sull'auto. La confusione oscura la posta in gioco a Torino. È certo interesse nazionale mantenere una forte presenza dell'auto in Italia, e nella sua storica sede sotto la Mole. Nessuna persona di buon senso vedrebbe la fine della "I" di Fiat come una buona notizia. Ma l'esito positivo non è - questo il punto di partenza che troppi nascondono - legato alla volontà di Marchionne, della famiglia Agnelli, alla trattativa del sindacato, raziocinante o estremista, alla pressoché irrisoria capacità di mediazione della politica, mai come in questi casi ridotta a comparsa, bene intenzionata al meglio, petulante al peggio. La questione è: Fiat, chiunque la guidi, come qualunque altra fabbrica, chiunque la guidi, produrrà o no in Italia se, e solo se, le condizioni di mercato lo consentiranno. Anche se Marchionne decidesse "Mirafiori non si tocca", se il governo stanziasse i più pingui sussidi (stroncati presto dall'Europa), se si installassero al Lingotto i soviet più tosti della Fiom, (come ai tempi dell'Officina Sussidiaria Ricambi Osr, reparto ghetto per i comunisti alla Emilio Pugno, ribattezzata Officina Stella Rossa) il risultato non muterebbe. Presto la competizione globale "automotive" condannerebbe alla resa lo storico stabilimento di Torino. Ricordo negli anni 80 il buio del turno dell'alba nella Rust Belt americana, la cintura della ruggine, operai metalmeccanici e siderurgici fieri di essere Middle Class con i loro 27 dollari l'ora di salario, presto battuti dalla competizione cinese a 16 centesimi di dollari l'ora. I giapponesi approfittarono della felice politica fiscale, di relazioni industriali positive, di collaborazione tra università e laboratori, e produssero automobili negli stati Usa del Sud. Chi seppe innovare e adattarsi al mondo nuovo prosperò. Chi si rifugiò nel passato e nell'invettiva fu divorato dalla ruggine. Fa bene il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, lasciato solo dal Partito democratico, a chiedere a tutti, governo, azienda e sindacato, responsabilità e maturità. Oggi in Piemonte non c'è solo Fiat-Chrysler. C'è la General Motors con i diesel di nuova generazione al Politecnico del rettore Profumo. C'è la Volkswagen con Giugiaro. C'è Pininfarina. Un polo e una cultura da non disperdere, ma che vanno resi competitivi. Per far sì che Fiat resti a Torino non bisogna convincere Marchionne o John Elkann. Bisogna creare le condizioni concrete perché le fabbriche restino, altre arrivino, nuove produzioni partano.
Difendere "i diritti" di Mirafiori fa fare buona figura nei talk show, ma non salva un posto solo di metalmeccanico. Al governo Berlusconi non basta "mediare" al solito, precario, tavolo d'estate. Deve garantire all'azienda un percorso virtuoso verso il successo: innovazione, ricerca, mobilità sostenibile, motori verdi. E ai lavoratori la rete che li accompagni nelle difficoltà. Quando abbiamo sostenuto l'accordo di Pomigliano, e lamentato il clima di ostilità preconcetta che si era creato intorno al progetto di Fabbrica Italia, anticipavamo solo quel che è poi seguito, inevitabilmente. La diffidenza eccessiva seguita al referendum ha rallentato l'idea di investire nel nostro paese e riaperto le strade dell'estero. Non è una ritorsione di Marchionne - cui pure vanno raccomandate in questa ora saggezza e prudenza, per respingere la tentazione rischiosa di isolarsi e procedere da solo. È un calcolo costi-benefici che chiunque poteva far da sé. Lamentare il "ritorno a Valletta" è, di nuovo, efficace come slogan, del tutto inane come analisi e capacità di proposta. La "responsabilità sociale dell'azienda", le eterne lamentele dei tardo-olivettiani, non c'entrano nulla: perché mai dovrebbe essere meno "etico" dare lavoro a un serbo che a un italiano o un brasiliano? Quando un'azienda, a fine d'anno, conta i suoi lavoratori, può sentirsi "responsabile" a prescindere da che passaporto abbiano in tasca.
Noi italiani abbiamo il dovere di difendere la nostra comunità, il suo benessere, la sua capacità di creare ricchezza e cultura, il suo lavoro, consacrato dalla Costituzione nella prima riga. Il lavoro "italiano" però si difende, e la Costituzione si celebra, non dichiarando superbi "Mirafiori non si tocca!", o cercando trame oscure che da Milosevic arrivino alle utilitarie. Mirafiori, e tutte le Mirafiori del paese, si difendono se le aziende che già operano avranno il modo per radicarsi senza ostacoli, e dall'estero arriveranno altri marchi e altri investimenti. Se "fare" il made in Italy sarà una via crucis, a rischio non è solo Mirafiori, ma tutta l'industria italiana di manifattura che pure, scrive Martin Wolf sul Financial Times, "fa invidia a inglesi e americani".
2010-07-22 Fabbrica Automobili Globale, i mercati premiano Fiat. Il governo su produzione in Serbia: riaprire il tavolo di Paolo BriccoCronologia articolo22 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2010 alle ore 08:58. L'ultima modifica è del 22 luglio 2010 alle ore 08:06. Sergio Marchionne, il manager italiano partito da un sobborgo di Toronto, ha risanato la Fiat evitando che il nostro paesaggio industriale perdesse il suo fondamento storico che, ancora oggi, vale un buon 3% del Pil. Con lo scorporo dell'auto annunciato a Detroit, Fiat competerà sui mercati globali. John Elkann, l'azionista, ha condiviso con Marchionne l'elaborazione di una strategia dura e complessa che ha trasformato l'azienda fondata dal trisnonno, il mitico Senatore Giovanni, da impresa italiana a controllo familiare, pur col fascino cosmopolita del'Avvocato Agnelli, a gruppo internazionale. La prima lingua non è l'amato dialetto piemontese, parlato nelle fonderie come nelle "alte sfere", identità o vezzo di appartenenza, ma l'inglese standard, secco e sintetico, del mondo globale. I luoghi hanno un significato, e Elkann ha scelto di presiedere il consiglio di amministrazione di Fiat a Auburn Hills, quartier generale di quella Chrysler la cui ristrutturazione sta ottenendo ottimi, non buoni, risultati. Calendario dello spin off auto a parte, è questo l'elemento da sottolineare. Nasce un atlantismo industriale in cui, per una volta, le carte le dà l'Italia. Gli americani hanno ripreso a fidarsi del marchio Chrysler (407mila vetture vendute nel secondo trimestre, il 22% in più di quello precedente), e Marchionne ha parlato per la casa madre italiana di un trimestre, il secondo, "eccezionale", che ha visto un utile di gruppo di 113 milioni di euro, contro i 90 milioni attesi dagli analisti. La borsa, che ha premiato tutti i titoli del gruppo, ha apprezzato l'impianto dello scorporo e ha applaudito la performance inattesa. La sospettosa Moody's, interessata ad approfondire le dinamiche finanziarie di un'operazione complessa e coraggiosa sotto il profilo industriale, mette per cautela sotto osservazione il rating. Routine, fra i mercati finanziari e gli autosaloni, fra le stanze ovattate del capitalismo internazionale e le linee ultra-automatizzate che sfornano vetture. L'asse Marchionne-Elkann sta modernizzando una delle più antiche aziende italiane, l'unica che nel Novecento è stata fino in fondo una "impresa-istituzione", sincronizzandola con il tempo nuovo. La nostra era, con la vecchia America e la vecchissima Europa prive di egemonie e rendite di posizioni. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-07
"Troppe incertezze". Fiat sposta in Serbia la monovolume L Zero di Andrea MalanCronologia articolo22 luglio 2010
Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2010 alle ore 08:05. DETROIT - Fiat alza la posta nella discussione sul piano Fabbrica Italia: l'amministratore delegato Sergio Marchionne ha annunciato ieri nella conference call con gli analisti finanziari che l'azienda ha deciso di produrre in Serbia une delle vetture che nel piano industriale presentato lo scorso 21 aprile era destinata a Mirafiori; si tratta della monovolume finora indicato come L0 (L Zero), ovvero la vettura che dalla fine dell'anno prossimo dovrebbe sostituire la Lancia Musa e le Fiat Idea e Multipla. La decisione, presa nei giorni scorsi dal Group Executive Council, comporterà naturalmente un vuoto a Mirafiori nel momento in cui gli attuali modelli usciranno di produzione. Non solo: Marchionne ha detto agli analisti che "non sarebbe saggio" confermare nuovi investimenti in Italia "data l'incertezza" sull'accordo per aumentare la produttività a Pomigliano. "Fiat non può assumere rischi non necessari in merito ai suoi progetti: dobbiamo essere in grado di produrre macchine senza incorrere in interruzioni dell'attività" ha spiegato il manager. Non si può produrre con il 90% dei dipendenti, è il suo ragionamento: ci vuole un'adesione totale al progetto, come quella – che cita spesso ad esempio – dei dipendenti Chrysler. L'amministratore delegato del Lingotto ha ribadito peraltro che a Pomigliano la Fiat "ha intenzione di portare avanti l'investimento (da 700 milioni, ndr), lavorando insieme alla maggioranza dei sindacati che lo ha approvato". L'arrivo della Panda da fine 2011 è dunque confermato. Ma di fronte alla possibilità di una conflittualità che metta a rischio la produzione di un modello così importante, il manager tiene comunque aperta la strada del ritiro - anche a costo di perdere parte dei fondi investiti; troppo importante la partita della competitività degli impianti italiani. "Dobbiamo convincere i sindacati sull'assoluta necessità di modernizzare i rapporti industriali in Italia". La decisione di ieri è destinata ad acuire lo scontro sindacale. Giorgio Airaudo, segretario della Fiom a Torino, ha detto che "se venisse confermata la volontà di portare il nuovo modello in Serbia si aprirebbero problemi a Mirafiori, smentendo gli impegni che la Fiat aveva illustrato il 21 aprile ai sindacati. Non vogliamo pensare che la Fiat – ha proseguito Airaudo – si relazioni con i lavoratori e i sindacati italiani contrapponendo sempre le produzioni tra un sito estero e un sito italiano". Il sindaco di Torino Sergio Chiamparino ha avvertito che "se la Fiat farà davvero quello che ha prospettato oggi, verrebbe meno uno dei punti chiave della produzione a Mirafiori". "Non vorrei che fosse Mirafiori, che più di ogni altro ha creduto nella possibilità di un rilancio – ha aggiunto il sindaco – a pagare i costi della vicenda Pomigliano". L'operazione serba risolve in realtà un altro problema a Fiat: fa avanzare il progetto di joint venture con la Zastava, che dopo la firma dell'accordo di 2 anni fa era ancora in attesa di un modello forte da produrre; né il progetto della piccola Topolino né quello di una low cost da esportare hanno infatti finora avuto via libera. L'investimento in Serbia vale quasi un miliardo di euro per arrivare a una capacità produttiva di 190mila vetture annue; la produzione della nuova monovolume dovrebbe iniziare tra la fine del 2011 e i primi mesi del 2012. La somma di 1 miliardo di euro verrà coperta per 250 milioni dal governo di Belgrado; 400 verranno da un prestito dalla Bei e il resto dall'azienda torinese; quest'ultima dovrebbe spendere dunque una somma comparabile con quanto avrebbe investito per produrre la L0 a Mirafiori; nel 2008 si era parlato per Zastava di un investimento di 700 milioni, di cui 200 contribuiti da Belgrado. I SITI PRODUTTIVI DELLA FIAT ALL'ESTERO SERBIA Fiat ha rilevato gli stabilimenti della Zastava a Kragujevac e avviato l'opera di ristrutturazione e ampliamento della fabbrica. Sergio Marchionne ha annunciato ieri agli analisti che intende spostare qui la produzione della prossima monovolume POLONIA L'impianto della Fiat in Polonia conta attualmente circa 6.500 dipendenti. nello stabilimento polacco si producono attualmente la Panda, la Fiat 500, la Fiat 500 Abarth e la Ford Ka. Tychy vanta una capacità di circa 450 mila vetture l'anno TURCHIA La città di Bursa, in Turchia, è centrale nel paese per l'industria automobilistica: Renault-Oyak, Peugeot-Karsan e Tofas (joint venture tra Fiat e il gruppo finanziario turco Koç) hanno siti produttivi nei dintorni della città
Fiat in Serbia, il governo preme per la riapertura del tavolo. Bersani concorda Cronologia articolo22 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2010 alle ore 19:25. "Credo che si debba quanto prima riaprire un tavolo tra le parti per discutere l'insieme del progetto Fabbrica Italia, cioè quel progetto che vuole realizzare investimenti nel nostro paese se accompagnati da una piena autorizzazione degli impianti secondo il modello già concordato a Pomigliano". Lo ha detto a Pescara il ministro del Welfare e del Lavoro, Maurizio Sacconi riferendosi al progetto di Fiat . "Io credo - ha aggiunto il ministro - che ci sia modo di saturare i nostri impianti alla luce dei buoni risultati che il gruppo sta conseguendo negli ambiziosi progetti che si è dato. Certo occorrono relazioni industriali cooperative perchè invece le attività che in qualche modo fermano la produzione, minoranze che bloccano la produzione, non incoraggiano questi investimenti". L'affondo di Calderoli. "La Fiat in Serbia? L'ipotesi ventilata da Marchionne non sta né in cielo né in terra. Se si tratta di una battuta, magari fatta per portare a più miti consigli i sindacati, sappia che comunque non fa ridere nessuno, diversamente sappia che troveranno da parte nostra una straordinaria opposizione". Lo dice il ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli . Per il ministro "non si può pensare di sedersi a tavola, mangiare con gli incentivi per l'auto e gli aiuti dello stato e poi alzarsi e andarsene senza nemmeno aver pagato il conto". Bersani: "Chi può convochi un tavolo". Serve un "tavolo" che affronti la vicenda Fiat, l'Italia non può permettersi di affrontare un capitolo così delicato per l'economia del Paese "attraverso dichiarazioni" e sarebbe anche bene nominare finalmente "uno straccio di ministro dello Sviluppo". Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, a margine di un convegno sulle donne, parla ai giornalisti della vicenda Fiat: "Faccio io una domanda: chi è che convoca un tavolo per la Fiat? Non pretendo che sia il ministro ad interim, in tutt'altre faccende affaccendato. Lui è nel... frutteto alle prese con le mele marce!". Insomma, "chi può convochi un tavolo" e, comunque, "lo vogliamo fare uno straccio di ministro dello Sviluppo?". Bonanni invoca chiarezza su Fabbrica Italia. "Marchionne fermi le bocce. Occorre chiarezza su numero e modelli che si produranno in Italia". Questo il monito del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni al numero uno della Fiat Sergio Marchionne, dopo le ultime dichiarazioni su Mirafiori. "La Fiat - si legge in una nota - deve fare chiarezza su tutto il progetto 'Fabbrica Italia'. Per questo all'ammnistratore delegato, Marchionne diciamo: fermi le bocce, faccia luce sugli investimenti dell`azienda. Ed avvii una discussione aperta col sindacato, per tutti gli stabilimenti del Lingotto". "Ma - aggiunge Bonanni - a qualche pezzo del movimento sindacale diciamo anche di smetterla con i polveroni che servono solo a produrre incertezze tra i lavoratori. Occorre che la Fiat precisi il numero e i nuovi modelli delle autovetture che intende produrre negli stabilimenti in Italia. Non aiutano in questo momento la confusione e le polemiche. Bisogna evitare di alimentare su questa delicata vicenda sindacale le strumentalizzazioni politiche che rischiano di scaricarsi sulla pelle dei lavoratori". Nuovo balzo di Fiat, intanto, a Piazza Affari, all'indomani dell'approvazione dei piani di scorporo dell'auto e dell'annuncio di dati trimestrali superiori alle attese. Il titolo del Lingotto sale del 2,12% a 9,87, tra scambi sostenuti e pari al 3,4% del capitale, dopo una raffica di promozioni arrivate dalle principali banche d'affari. Il mercato, spiegano gli operatori, non ha dato molto peso all'annuncio fatto ieri dopo la chiusura delle contrattazioni dall'agenzia Moody's di voler mettere sotto revisione il rating assegnato a Fiat, in vista di un possibile declassamento. A sostenere gli acquisti in Borsa, dopo un balzo del 6,74% segnato già alla vigilia, sono stati invece, come detto, i diversi studi sul gruppo di Torino diffusi dagli analisti finanziari all'indomani dei dati. "Va anche aggiunto - precisa un operatore - che i termini dello spin-off erano noti, e questo rialzo sembra più che altro un movimento finanziario incoraggiato dalle notizie sullo scorporo". Le reazioni degli addetti ai lavori sono comunque più che positive. Su Fiat sono intervenuti ad esempio gli analisti di Equita, che hanno alzato il prezzo obiettivo stimato per il titolo del 4% portandolo a 14,40 euro, confermando il consiglio di acquisto (buy). Commerzbank ha invece migliorato il consiglio da vendere (sell) a (hold). Nomura Holding ha mantenuto il consiglio 'neutral', rivedendo però il target da 10,5 a 11 euro. Bene anche Societè Generale, che consiglia ora l'acquisto (buy) dei titoli del Lingotto (prima era 'hold', tenere), con l'analista Philippe Barriere che sottolinea come "la leva operativa delle misure di ristrutturazione intraprese nel 2008 e nel 2009 sta dando frutti, mentre Fiat sta vendendo segni di ripresa un pò in tutto il mondo, guidando un miglioramento della domanda, salvo per l'auto". Il gruppo guidato da Sergio Marchionne è stato promosso da hold a buy anche da Unicredit. "Il probabile miglioramento delle attese e il piano di scorporo approvato ieri rappresentano due cause per rendere gli investitori più rialzisti", scrive l'analista Gabriele Parini in una nota. Intanto, dopo, l'intervento di Moody's, l'agenzia Standard & Poor's resta ferma su Fiat a quanto annunciato già il 23 aprile scorso, quando aveva posto sotto osservazione in vista di un possibile taglio (CreditWatch negativo) il rating a lungo termine assegnato al gruppo di Torino (BB+) sulla scia proprio dei piani di scorporo dell'auto. In quell'occasione S&P aveva annunciato che una decisione sarebbe stata presa non appena fossero state disponibili più informazioni sullo spin-off.
010-07-10 Pomigliano farà la Panda, tutti i segreti della nuova utililitaria di Giorgio PogliottiCronologia articolo10 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2010 alle ore 09:56. La nuova Panda (qui tutte le novità su come sarà fatta) verrà prodotta nello stabilimento di Pomigliano D'Arco. L'ad del Lingotto, Sergio Marchionne, ha confermato l'attuazione dell'accordo del 15 giugno con una decisione che sblocca l'investimento da 700 milioni, nell'incontro che si è svolto ieri a Torino con i leader dei sindacati firmatari dell'intesa (Cisl, Fim, Uil, Uilm, Fismic e Ugl). Non è stata convocata la Fiom che non aveva firmato, così come la Cgil che per voce del segretario Guglielmo Epifani considera l'esclusione un "fatto senza precedenti". L'incontro era molto atteso dopo che al referendum tra i lavoratori dello stabilimento di Pomigliano si era affermato il sì, ma con una percentuale (67%) ben inferiore alle attese, tanto da mettere a rischio il trasferimento della produzione della panda dalla Polonia all'Italia. Ma guardando a quella maggioranza dei lavoratori che ha dato il proprio assenso la Fiat ha deciso di "dare continuità produttiva allo stabilimento campano e a tutto il sistema della componentistica locale", che riguarda all'incirca 15mila persone. Un comunicato della Fiat spiega che l'azienda e i sindacati firmatari dell'accordo "si impegneranno per la sua applicazione con modalità che possano assicurare tutte le condizioni di governabilità dello stabilimento". L'attuazione dell'intesa su Pomigliano ha anche una valenza più generale, essendo considerata dal Lingotto "la condizione necessaria per la continuità dell'impegno della Fiat nel progetto Fabbrica Italia" che prevede il raddoppio della produzione di auto in Italia entro il 2014. Con una lettera inviata a tutti i dipendenti (si veda l'articolo a fianco), Marchionne ha sottolineato la scelta "eccezionale" della Fiat di "compiere questo sforzo in Italia, rinunciando ai vantaggi sicuri che altri Paesi potrebbero offrire". Un concetto ribadito dal presidente della Fiat, John Elkann: "La decisione di procedere con gli investimenti programmati è un importante segnale di fiducia – ha detto –. Significa che crediamo nell'Italia e intendiamo fare fino in fondo la nostra parte. Molte cose stanno cambiando intorno a noi, e oggi può essere l'inizio di una fase completamente diversa". Per Elkann il successo "dipenderà da quanto ciascuno saprà essere protagonista di questo cambiamento". Il governo, tramite il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, saluta con "grande soddisfazione" la decisione non solo per "i grandi volumi di lavoro" generati, ma anche perché "è per la prima volta il frutto non di interventi pubblici ma dell'autonoma capacità delle parti sociali di creare condizioni tali da rendere conveniente l'investimento". Il numero uno della Cisl sottolinea che "nonostante tutti i profeti di sventura e le chiusure ideologiche e politiche di una minoranza rissosa" la Fiat "non si è tirata indietro confermando gli impegni per Pomigliano". Raffaele Bonanni considera l'intesa una "svolta storica", una "iniezione di fiducia" auspicando che "altre imprese seguano l'esempio della Fiat di riportare le produzioni in Italia". Forti critiche da Guglielmo Epifani, che nonostante il no della Fiom aveva annunciato il sostegno della Cgil al referendum e all'investimento su Pomigliano: "Ognuno può incontrare chi vuole – spiega il leader della Cgil – ma è sbagliato scegliersi gli interlocutori al semplice scopo di farsi dare ragione. Questo apre un problema formale nei rapporti fra Cgil e Fiat". Epifani fa sapere che la Cgil "non delegherà ad altri il ruolo della rappresentanza dei lavoratori" e "non accetterà mai che siano gli interlocutori a scegliere con chi confrontarsi", aggiungendo: "parteciperemo ad ogni sforzo per consolidare la produzione e tutelare l'occupazione ma senza mai rinunciare alla difesa dei diritti dei lavoratori". Per Luigi Angeletti "se la Cgil vuole essere della partita è la benvenuta purché non crei ostacoli alla piena attuazione dell'accordo". Il segretario della Uil ricorda la peculiarità della vicenda di Pomigliano: "Negli altri paesi i sindacati fanno i salti mortali per difendere quello che hanno – sostiene -, rinunciano a scioperare, si sono ridotti i salari per evitare le delocalizzazioni. In questo caso si sposta in Italia una produzione dalla Polonia, ecco perché l'investimento su Pomigliano va difeso a qualunque costo". ©RIPRODUZIONE RISERVATA
2010-06-23 Pomigliano, per gli industriali il voto è uno spartiacque (Ft) di Elysa FazzinoCronologia articolo23 giugno 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2010 alle ore 13:53. Le condizioni poste dalla Fiat sono "dure", altre aziende sono pronte a mostrare i muscoli, i sindacati sono furenti ma indeboliti. In un reportage da Pomigliano d'Arco, richiamato sulla homepage del suo sito, il Financial Times sottolinea che in questo scontro è in gioco molto di più della sorte dello stabilimento campano. "Il governo di centro-destra di Silvio Berlusconi e gli industriali", scrive Guy Dinmore, "vedono il voto come uno spartiacque nella storia delle relazioni industriali": aziende come la Fiat mostrano i muscoli contro un sindacato che un tempo era potente e ora è "indebolito dal processo di globalizzazione". Sergio Marchionne, ricorda il Ft, ha indicato che avrebbe chiuso l'impianto con i suoi 5.300 lavoratori se non avesse raggiunto sufficiente consenso, ma "non ha definito" il livello di consenso ritenuto sufficiente. "Questo è ricatto", ha detto al Ft Massimo Brancato, leader della Fiom di Napoli, che ha respinto l'offerta di Marchionne. "Se voti sì, mantieni il salario. Se no, sei senza lavoro". Brancato, riferisce il quotidiano britannico, afferma che Finmeccanica e Indesit intendono fare lo stesso tipo di contratto se Fiat riesce a imporre le sue condizioni. Marchionne ha promesso di investire 700 milioni di euro a Pomigliano e di trasferirvi la linea di produzione della Panda dalla Polonia. In cambio – spiega il Financial Times - i lavoratori devono accettare pause più brevi, straordinari obbligatori più lunghi, sanzioni contro quelle che la Fiat definisce "livelli inaccettabili" di assenze per malattia, restrizioni al diritto di sciopero. L'approccio "prendere o lasciare" di Marchionne – continua il Ft - ha fatto arrabbiare i sindacati, con la Fiom che dice che le sue offerte di negoziare sono state respinte. L'ad Fiat – aggiunge - ha fatto infuriare i lavoratori quando li ha accusati di avere inscenato uno sciopero all'impianto siciliano di Termini Imerese perché volevano guardare la prima partita dell'Italia ai Mondiali. "Non siamo schiavi. Voglio lavorare con dignità", ha detto al Ft un lavoratore che ha votato contro il piano. Ma la maggioranza hanno detto di avere votato a favore "perché non avevano scelta". "L'alternativa è chiudere l'impianto e perdere il lavoro", ha detto una donna. "E' questa l'economia mondiale in cui ci troviamo".
2010-06-22 Alta affluenza al referendum su Pomigliano di Giorgio PogliottiCronologia articolo22 maggio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2010 alle ore 18:59. Alta affluenza al referendum promosso a Pomigliano d'Arco sull'accordo separato raggiunto da Fiat con Fim-Cisl, Uilm, Fismic e Ugl. I votanti sono stati 4.642 nella consultazione che si è svolta dalle 8 alle 21 presso lo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco. Gli aventi diritto al voto erano 4.8881. Il quesito, al quale i lavoratori hanno risposto con una croce sul sì o sul no, era: "Sei favorevole all'ipotesi d'accordo del 15 giugno 2010 sul progetto "Futura Panda" a Pomigliano?". Nello stabilimento campano oggi non c'è cassa integrazione: l'azienda ha infatti richiamato al lavoro, su richiesta dei sindacati, i 5.200 dipendenti per agevolare la partecipazione al voto, avendo fissato una giornata di formazione. Al primo turno è stata registrata una percentuale di assenteismo pari al 2,5%. Un appello alla Fiat è stato lasciato dal segretario del Pd, Pier Luigi Bersani: "Se c'é il sì dei lavoratori la Fiat porti avanti senza meno il suo progetto", ha detto aggiungendo: "il referendum é un passaggio molto delicato, se i lavoratori sono andati a votare, il loro sarebbe un sì alla Fiat, per cui voglio credere che anche la Fiat darà seguito all'accordo e non seguirà altre ipotesi di cui si legge in queste ore". Tuttavia una netta affermazione del sì al referendum non è sufficiente per sbloccare l'investimento da 700 milioni necessario per trasferire la produzione della nuova Panda dalla Polonia a Pomigliano d'Arco. La Fiat intende "blindare" l'accordo per metterlo al riparo da ricorsi e dal contenzioso giudiziario che potrebbe compromettere la realizzazione del piano. Un team di giuristi del Lingotto sta lavorando su diverse ipotesi, tra queste c'è anche quella di creare una newco alla quale conferire lo stabilimento campano, per procedere alla riassunzione di ciascun dipendente secondo i criteri dell'intesa con le deroghe al contratto nazionale. Ma se dalle urne non dovesse prevalere in modo netto il sì, per la Fiat potrebbe anche riprendere quota il cosiddetto "piano B", con la produzione della nuova Panda in Polonia o Serbia. La Fiom, che non ha firmato l'accordo, considera "illegittima la consultazione per le deroghe ai contratti, alle leggi e alla Costituzione, contenute nell'accordo separato" e ha lasciato libertà di coscienza ai propri iscritti, invitandoli ad andare a votare per evitare ritorsioni da parte dell'azienda. Solo i Cobas sostengono apertamente il no. Mentre tutte le confederazioni si sono schierate per il sì, compresa la Cgil.
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